Siamo sull'orlo del dirupo, aldilà delle emozioni irraggiungibili.

di Piccola Stella Splendente
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** “My life is a prison.” ***
Capitolo 2: *** “Allarme rosso, questo ragazzo non ha un cuore!” ***
Capitolo 3: *** “Tutto ciò che frena le mie lacrime è un pianoforte.” ***
Capitolo 4: *** “Perché mi sento così?” ***
Capitolo 5: *** Non è sempre tutto rose e fiori. ***
Capitolo 6: *** "Sbaglio o ERO il ragazzo impavido e coraggioso?" ***
Capitolo 7: *** Mai risvegliare il mio passato, mai. ***
Capitolo 8: *** Timida e dolce a livelli micidiali. ***
Capitolo 9: *** Gioco di labbra. ***



Capitolo 1
*** “My life is a prison.” ***


Siamo sull'orlo del dirupo,

aldilà delle emozioni

irraggiungibili.

POV Stella.

 

 

Non ce la facevo più.
Molte volte mi sono chiesta che senso avesse la mia vita, e tutte le volte non trovavo una risposta. Quella era la mia “grande domanda”.

Ero stufa di tutto e di tutti, dei miei pensieri, dei giudizi, degli sguardi truci ed invidiosi, ero stufa persino di me.

Troppi casini, troppo poco tempo, troppe ferite aperte, troppe poche cicatrici.

 

Mi pareva tutto grigio anche mentre mi dirgevo a scuola.
Mi pareva di essere imprigionata in una gabbia da cui non puoi scappare, la mia vita era come una gatta buia, solo che non c'era la chiave per aprire la porta.

 

Perchè la mia vita era una prigione da cui non potevi evadere.


Continuavo a camminare verso scuola di malavoglia, anche perché giorno avrei dovuto pulire la palestra, da sola. Ero costretta a fare quei “lavoretti” insieme ai miei amici per ripagare i danni procurati ai computer della scuola per colpa un mio compagno di classe che era un hacker. E non si sa perché, ma avevano accusato noi.

Ero esausta, dormivo poco e quando dormivo mi faceva male ogni singola parte del corpo. Ero piena di lividi e non sapevo nemmeno se le gambe mi avrebbero retto.

Oltrepassai il cancello dell'entrata e mi diressi al solito muretto, dove io e il mio migliore amico ci incontravamo ogni mattina. Mi avvicinai a lui e tutti gli sguardi e le pettegole che fino a qualche momento prima mi guardavano giudiziose svanirono per qualche istante.

Drew mi venne incontro e mi abbracciò istintivamente:«'Giorno piccola. É successo qualcosa?» feci finta di nulla e gli risposi con un semplice no.
Era bello stare tra le sue braccia, perché lui c'era sempre stato, era come un'ancora di salvezza. Tante volte mi aveva tenuta stretta tra le sue braccia calde e forti che mi rassicuravano come se fossero quelle di un fratello maggiore.

Sentivo le sue braccia stringermi più saldamente, come se non volesse lasciarmi andare a “lezione”.
Gli posai una mano sui capelli castani e glieli scompigliai, poi gli bacia dolcemente la guancia:«A dopo meraviglia, oggi tocca a me pulire la palestra.»

«Vengo a darti una mano io, come hai fatto tu quando toccava a me. A dopo piccola.» rispose lui ricambiando il dolce bacio sulla guancia.

Mi allontanai quando, poco dopo sentii i suoi amici gridare:«Vedo che abbiamo trovato una ragazza! Complimenti amico!» non lo vedevo, ma sentivo che era imbarazzato:«E-Ehi, c-che cosa avete capito? Lei è..É la mia migliore amica! Guai al primo di voi che si azzarda semplicemente a sfiorarla.»
Essendo sempre una delle prime ad entrare, mi avviai per quei corridoi vuoti, girovagando un po' alla cazzo.
Poi sentii un dolore alla testa, come se avessi sbattuto contro a qualcosa di duro, infine, mi ritrovai con le chiappe a terra.Confusa mi guardai attorno, quando qualcuno porse una mano in avanti. Alzai lo sguardo e rimasi quasi sorpresa nel vedere gli occhi di quel ragazzo; azzurri, come il cielo e blu, come le onde del mare.

Peccato che quella persona, era una delle persone che più odiavo al mondo: uno di quei donnaioli stronzi e spudorati, non so, per farvi capire com'era. Ogni giorno si portava a letto una ragazza diversa e poi era uno stronzo micidiale, o così si diceva in giro.

Rifiutai il suo aiuto e mi alzai da sola, spiazzando Jake che aveva cercato di essere gentile. Mi sistemai il più in fretta possibile, cercando di evitare ogni tipo di umiliazione.
«Ma che diamine?» dissi io guardandolo in modo sarcastico e quasi arrabbiato, poi me ne andai con l'indifferenza più totale.

Arrivai in classe e appoggiai la cartella al solito angolo insieme a quelle degli altri miei amici, poi presi la tuta (che solitamente usavo per pulire) e mi diressi in bagno per cambiarmi, quando qualcosa, anzi qualcuno mi inorridì.


ANGOLO AUTRICE: scusate per il piccolo inconveniete, ma ho deciso di fare una sottospecie di “restauro” della storia per scriverla in modo diverso. Il succo della storia e i personaggi rimarranno gli stessi, cambierò solo com'è scritto, aggiungendo cose o meno. C:
Mi scuso ancora per l'inconveniente.

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Capitolo 2
*** “Allarme rosso, questo ragazzo non ha un cuore!” ***


Siamo sull'orlo del dirupo,

aldilà delle emozioni

irraggiungibili.

 

POV Jake.

 

 

Era successo un'altra volta.

Mi risvegliai con una ragazza nel letto, probabilmente era stata con me la sera prima. Odiavo trovarmi le ragazze nel letto durante i giorni di scuola, perché diventavano quasi appiccicose.
Mi alzai cercando di non svegliarla, ma la trovai in piedi di fronte alla finestra con indosso solo una mia maglia a maniche corte, dato che il suo intimo e vestiti erano ancora a terra dalla sera prima ed io, ero solo in mutande.

«Buongiorno.» disse lei avvicinandosi a me per poi passare l'indice destro fra i miei addominali. Mi fece ricadere sul letto e iniziò a strusciarsi su di me:«Mi dispiace, oggi ho scuola bambolina. Vado a prepararmi.» le dissi io scostandola.
Mi alzai e presi l'intimo e dei vestiti, come al solito jeans larghi, canottiera e felpa, poi mi diressi sotto la doccia, mentre la ragazza si rivestiva.
«Senti, io vado, richiama quando vuoi..» urlò lei per poi andarsene.
A dirla tutta non mi ricordavo nemmeno il suo nome, ma non ne feci un dilemma e continuai a lavarmi sotto l'acqua calda che mi coccolava di prima mattina.
In seguito mi preparai e feci colazione, poi dopo aver messo qualche libro a muzzo nella cartella mi diressi verso scuola.
Guardai l'orologio e mi accorsi che era più presto del solito, praticamente ero in anticipo, io. Cioè, insomma, io in anticipo per andare a scuola, chi se lo sarebbe mai aspettato?
Passai veloce per la città e quando finalmente arrivai a scuola, mi comportai da ragazzo figo e spavaldo, tale e quale ero.
Salutai le oche facendo l'occhiolino a qualcuna di loro e salutai i miei amici.
Mi scoppiava la testa, avevo bisogno di stare solo.


Decisi di andare in classe e appena arrivato in classe mi sedetti vicino ad una finestra.
Anche quel giorno era una giornata soleggiata, calda.
Non avrei desiderato altro che uscire con i miei amici e andare a caccia di pollastre.
Pensai solo in quel momento alle ragazze in cerca d'amore che per loro sfortuna incontrarono me.

È che io non sapevo starci con una ragazza; ero il tipo che non si era mai innamorato che non si sarebbe innamorato, mai. Mi stufavo delle ragazze che in me ci vedevano solo un figo, non c'era mai stata una ragazza che mi considerava una persona con un cuore.

Forse perché io non avevo un cuore.

 

Avrei mai provato l'amore?

Mi sarei mai innamorato seriamente?

Avrei avuto qualcuno da amare davvero?

 

Quelle domande mi fecero riflettere molto, anche se dopo un po' quei pensieri mi fecero letteralmente impazzire.
Perché io pensavo queste cose? Non dovevo nemmeno pensarci, figuriamoci crederci!

Mi alzai e andai in bagno per darmi una sciacquata al viso quando senti qualcosa sbattere contro il mio petto, seguito da un tonfo.
Scossi un attimo la testa e poi guardai il pavimento su cui la ragazza era caduta. Alzò lo sguardo mentre io le porgevo una mano per aiutarla ad alzarsi.

I miei occhi si persero nei suoi, che avevano il colore della giada e splendevano come pietre preziose.

Rimasi quasi incantato da quegli occhi che sembrava stessero quasi per affogare nei miei, che erano dello stesso colore del cielo.
Si alzò da terra da sola e successivamente si passò rapidamente le mani tra gli abiti (jeans stretti e felpa molto larga) per pulirli, poi se ne andò.

 

Mi girai a guardare i suoi capelli neri che ondeggiavano tra un passo e l'altro.
Scossi di nuovo la testa credendo di impazzire e arrivai finalmente al bagno, dove mi sciacquai il viso e mi guardai per uno o due minuti allo specchio.
Sentii delle mani percorrermi la schiena e subito dopo una voce femminile:«Uhm, Jake, ci rivediamo eh?» disse la ragazza continuando a muovere le sue mani sulla mia schiena. Mi girai di scatto e me la trovai a pochi centimetri dal mio viso, quando le risposi:«Già, cara la mia Rebecca.» poi le soffiai sulle labbra.
Si avventò sulle mie labbra e iniziò a baciarmi.
Alla fine ci ritrovammo nello sgabuzzino della palestra a fare cose proibite.

Ma tutto accadde così in fretta..Il rumore della porta della palestra che si chiudeva velocemente, dei passi farsi sempre più vicini.
Tra me e Rebecca, sguardi d'intesa.
Si rivestì in fretta e furia mentre io uscii allacciando la felpa.

«Siete davvero ripugnanti, sul serio.» disse schifata la ragazza di quella mattina.
«N-Non hai sentito nulla, vero?» dissi io quasi titubante.
«Le urla di quella troia le avranno sentite pure i professori.»
«Troia sarai tu, e guai a te se osi spifferare qualcosa in giro.» disse Rebecca sfoggiando quella sua voce da oca. Non riuscimmo a non ridere, così io e “quella ragazza” scoppiamo in una risa sonora.

Poco dopo arrivò un altro ragazzo, alto quanto me con i capelli castani e gli occhi quasi neri.
«Così..Che ci fate voi qui?» chiesi io quasi innocentemente.
«Beh, credo che siano problemi nostri. Di certo non siamo qui per fare quello che stavi facendo tu.» rispose lei un po' acida.
«Bah!» sbottai io per poi andarmene.
Me ne tornai in classe per un'ora, durante la quale cazzeggiavamo a go go.

E poi, educazione fisica! Oh sì, era una delle mie materie preferite.
Potevo farmi notare dalle ragazze per le mie capacità e far notare pure i miei addominali.

Dopo aver preso la sacca mi diressi negli spogliatoi con gli altri ragazzi.
Dopo qualche minuto uscii dallo spogliatoio e mi guardai attorno, forse alla ricerca di qualcuno. Qualcuno che non sapevo bene chi.
E poi la vidi, ma i suoi occhi non incrociarono il mio sguardo, perché era troppo impegnata a sistemare delle cose nel ripostiglio.
Feci per dirigermi verso di lei per dirle una cosa e, senza accorgermene finii col culo per terra.

 

ANGOLO AUTRICE: Beh ragazze e ragazzi, che dire? Anche il 2° capitolo è completo! 
                                Grazie a tutti quelli che mi seguono sempre. Grazie, veramente! :')

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Capitolo 3
*** “Tutto ciò che frena le mie lacrime è un pianoforte.” ***


Capitolo 3. 

POV Stella.

Arrivai in classe e appoggiai la cartella al solito angolo insieme a quelle degli altri miei amici, poi presi la tuta (che solitamente usavo per pulire) e mi diressi in bagno per
cambiarmi, quando qualcosa, o qualcuno mi inorridì.

Avevo visto Jake con una delle tante troie di quella scuola mentre si dirigevano fuori dalla scuola tra un bacio e l'altro.

Disgustoso, veramente.
Poi andai in bagno e mi ci chiusi dentro: mi tirai via la felpa e indossai una maglia a maniche corte, poi mi tirai via a fatica i pantaloni, avendo tutte le gambe doloranti e piene di lividi. Presi la tuta dell'Adidas e l'indossai, rimettendomi ai piedi le mie Air Force bianche. Come ultima cosa misi la felpa che serviva a coprire i lividi che avevo pure sulle braccia.
Appena uscii dal bagno e tirai fuori gli antidolorifici, quando mi ritrovai davanti Drew, pronto a darmi una mano con la pulizia della palestra.
«Ehi, che stai prendendo?» disse lui preoccupato. «Ehm..N-Nulla, sono..» Drew mi interruppe prendendomi le pastiglie di mano: «Da quando prendi degli antidolorifici? Che ti sei fatta?»chiese lui assumendo uno sguardo preoccupato: «N-Nulla, veramente, è che..da qualche giorno mi fa male il ginocchio!» dissi io mentendo come non mai.

 

Mi prese il viso tra le mani e il mio cuore perse un battito quando si avvicinò al mio orecchio per sussurrarmi: «Sai che ci sono, sai che puoi dirmi tutto, quando vuoi.»
Gli misi un braccio dietro al collo e lui mi mise una mano dietro la schiena, poi mi strinse a sé e mi baciò una guancia.
Notai che il suo colorito in viso era cambiato, un po' come il mio. Ricambiai il bacio sulla guancia e poi tornammo a fare i deficienti -come al solito- mentre ci dirigevamo in palestra a braccetto quando iniziammo a saltellare.
Scoppiammo a ridere e quando eravamo finalmente entrati in palestra, lui si diresse in spogliatoio per cambiarsi.

Sentivo le urla di una ragazza, gemiti di piacere, poi, ricordai chi era entrato in palestra
Oh, dannazione che schifo.

Perché una ragazza doveva cadere così in basso? Andiamo, c'erano milioni di persone e luoghi al di fuori di questa scuola e loro decidono di fare sesso in palestra? Nello sgabuzzino per giunta!

Allarmati li vidi uscire di colpo, lei vestita alla cavolo e Jake che si stava ancora mettendo la felpa.
«Siete davvero ripugnanti, davvero.» dissi io schifata.
«N-Non hai sentito nulla, vero?» chiese Jake quasi impaurito.

«Le urla di quella troia le avranno sentite pure i professori.»
«Troia sarai tu, e guai a te se osi spifferare qualcosa in giro.» disse Rebecca sfoggiando la voce da ochetta zoccola che si ritrovava.
Non riuscimmo a non ridere, così io e Jake dopo uno sguardo buffo scoppiamo a ridere come due imbecilli.

Poco dopo arrivò Drew, che aveva appena finito di cambiarsi.
«Così..Che ci fate voi qui?» domandò Jake.

«Beh, di certo non siam qui per fare quello che stavi facendo tu.» risposi io velenosa.
«Bah!» mugugnò lui prima di muovere le sue chiappe fuori dalla palestra.
Subito dopo io e Drew iniziammo a pulire, fino a che non sentimmo una classe arrivare all'incirca un 'ora dopo.
Mettemmo apposto le cose usate nello sgabuzzino, per poi andarcene. Subito dopo, ero intenta ad andarmene quando qualcosa mi fece cadere per terra in un colpo solo: 

«Perchè cazzo devo sempre cadere a causa tua?!» urlai io irritata.
«Impara a guardare dove metti i piedi, ragazzina!» rispose lui arrabbiato. Era infuriato? Bene, io lo ero di più. Non avevo preso gli antidolorifici e mi faceva male quasi tutto il corpo, in più ci mancavano pure le cadute a terra!
«Brutto moccioso, prima di tutto impara l'educazione poi vedi di guardare tu dove cammini, dato che oggi è la seconda volta che mi fai cadere! E non ti sei neppure scusato!» dissi io rialzandomi a fatica perché non sentivo più le gambe, o per lo meno, sentivo solo un dolore lancinante. Non so che espressione si dipinse sul mio volto, ma lui sembrava stranito, anche se qualche secondo dopo mi rispose a tono: «Scusarmi?! Ma se prima ho cercato di aiutarti e tu mi hai evitato! E mocciosa ci sarai tu, ragazzina!»
«Ma non ho sentito la parola “scusa” uscire dalla tua bocca, idiota!» risposi io acida.
«Perché, ti aspettavi pure delle scuse?»
«Da un tipo come te no di certo!»
«Cosa vorresti dire con 'un tipo come te?» fece lui mentre con le mani gesticolava le virgolette.
«Intendo dire che posso anche fare a meno delle scuse di un coglione come te!» detto questo andai a cambiarmi, mentre lui mi urlava qualcosa simile a un “FOTTITI.”

Drew era già uscito dalla palestra mentre io dovevo ancora cambiarmi, gli avevo detto di non aspettarmi, così andai a cambiarmi pure io.
Appena finii di cambiarmi mi diressi nel corridoio della palestra ma mentre cercavo di uscire qualcuno mi prese il polso: «Prima o poi te la farò pagare! Attenta, Stella.» disse Jake sogghignando tra sé.
«Sto tremando come una foglia Jake, oddio che paura!» dissi io ironica mentre lo prendevo in giro, poi continuai: «Come conosci l mio nome?»
«Beh, sai Stella, le voci che girano sul tuo conto non sono molto carine.»
«Alle persone non piace sentirsi dire la verità, nonostante la cerchino. Per esempio tu fai schifo. E smettila di dire il mio nome!»
«Fottiti cessa!» urlò lui mentre io ero già fuori dalla palestra.

 

Ero stanca, ma decisi lo stesso di andare in aula musica a rilassarmi un po' suonando il pianoforte.

Ricordavo quando mia madre mi aveva incoraggiato a imparare a suonare al piano piano a soli 6 anni, lei era la mia insegnate. Quasi ogni sera si sedeva di fianco a me su quello sgabello di pelle nera e con le sue mani suonava leggiadramente, come se fosse senza pensieri malgrado tutto le crollasse addosso.

E poi mia madre sparì insieme al pianoforte.

Lei se ne andò oltre l'infinito, oltre tutte le stelle, mentre il pianoforte a mezza coda che avevamo finì in una discarica per colpa di ''mio padre''.


Mentre salivo le scale pensavo a quanto la mia vita fosse cambiata e ci rimasi quasi di stucco.
Il problema era solo uno.

Nella mia vita le cose sono sempre cambiate e, ad ogni cambiamento tutto peggiorava.
Nulla è mai stato rose e fiori per me, mai, neppure una volta.

 
Arrivata davanti alla porta dell'aula, appoggiai la mano sulla maniglia fredda e spinsi delicatamente, aprendo la porta di legno.
Una dolce ma malinconica melodia suonata mi avvolse tra le sue note, facendomi sentire esitante e impaurita.

Alzai lo sguardo e miei occhi si incrociarono con due occhi da cerbiatto, grandi e castani come le nocciole.
La melodia melanconica si fermò di colpo, ma i nostri occhi rimasero gli uni negli altri per altri due minuti.

 

ANGOLO AUTRICE: Ehilà ragazzi! Cosa ne pensate? Il continuo lo pubblicherò appena potrò e volevo ringraziare le persone che mi seguono e che mi recensiscono.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, a presto!

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Capitolo 4
*** “Perché mi sento così?” ***


Capitolo 4.

 POV Jake.


Tornai alla lezione di fisica durante la quale feci il deficiente tutto il tempo insieme ai miei amici.
E poi si tornò in classe cercando di concludere quella giornata estenuante.

Tutto mi sembrava passare lento mentre mi chiedevo cose senza senso.


Dov'è lei?

Il problema era scoprire chi era quella lei.


Quando anche l'ultima campanella trillò, mi misi d'accordo con i miei amici per un'uscita che avremmo fatto più tardi nel pomeriggio o magari quella sera stessa, poi iniziai a camminare verso casa mia.
Camminavo lento e quando vidi un vicolo mi ci fermai davanti, quasi sorpreso.
Sentii qualcosa mordermi lo stomaco e trafiggermi il petto. Non capivo cos'era, era una sensazione strana, troppo strana.

Lei era lì, forse troppo impegnata a piangere e fumare per notarmi.
Si passò una mano sul viso, precisamente sugli occhi, cercando di far cessare invano le lacrime. La 
felpa le si sporcò di trucco e un po' di cenere le cadde sui jeans stretti che le delineavano perfettamente le gambe alquanto snelle.
Fumava la sua sigaretta tra un singhiozzo e l'altro mentre la sua cartella era gettata in un angolo. Si girò e io mi avvicinai velocemente a lei, sedendomi al suo fianco.

Da vicino vedevi il suo tremare ansiosamente e le sue mani che quasi faticavano a tenere stretta la sigaretta tra l'indice e il medio.
Si girò di scatto verso di me, quasi spaventata, come se stessi ferendo una parte del suo orgoglio.

«C-Che ci fai t-tu qui? Cosa vuoi ancora?» disse lei velocemente.
«Beh, questo è un luogo pubblico.» risposi io ironicamente.

Nonostante quel vicolo fosse una parte pubblica della città, quelle tre mura sapevano di lei, sapevano delle sue urla, delle sue lacrime, dei suoi ricordi, sapevano di amarezza e sconforto e contemporaneamente sapevano di coraggio e dolcezza.

Lei si alzò di scatto prendendo con sé la cartella per avviarsi verso casa sua, ma impulsivamente la bloccai prendendola per un braccio:«Quindi..Perché piangi?» era una domanda sciocca, ma non ero realmente a conoscenza del perché delle sue lacrime, insomma..non che m'importasse, ma a 
nessuno fa piacere vedere una persona piangere.
«Non sono problemi tuoi.» rispose lei secca mentre dimenava il braccio sperando che io mollassi la presa.

La mia mano avvolgeva il suo polso così piccolo ed “esile”, dal quale riuscivo a sentire il tremore della mano che pian piano aumentava.
Stella si girò verso di me, con il viso ancora rigato dalle lacrime che scendevano copiose.

«Perché piangi?» le chiesi io nuovamente.
«I-Io non sto piangendo..» disse lei girandosi mentre cercava qualcosa nella cartella.

«Certo, e io non sono il più bello della scuola!» risposi io ironico mentre lei si soffiava il naso e si ripuliva gli occhi e le guance dalle lacrime.
«Beh, p-per me non lo sei affatto.» rispose lei sedendosi nuovamente al mio fianco:«Visto? N-Non sto piangendo.»

Che cosa era successo alla ragazza aggressiva e sarcastica che avevo incontrato quella mattina stessa?
Cosa le era successo? Perché non mi dava dell'idiota e non mi urlava dietro? Ma soprattutto, perché 
aveva pianto?


Aveva finito da poco di fumare la sigaretta e subito ne accese un'altra:«Queste non ti fanno per niente bene.» dissi io prendendole la sigaretta che aveva appena riposto tra le labbra.
«Mal parata crepo.» disse lei menefreghista.
«Non dire cazzate. Piuttosto pensa a darmi una spiegazione per le tue lacrime.» risposi io a quell'affermazione di qualche secondo prima.
«Perché devo dare una spiegazione a te?» disse lei guardandomi torvo.
«Beh, insomma, perché...! Perché..Perché sono curioso di sapere il motivo per cui una ragazza come te piange.» cercai di dire io tentennante perché non avevo un motivo preciso.

Non sapevo perché mi importava sapere perché piangeva, era tutto strano perché alla fine un motivo non c'era. Io..La odiavo, perché mi doveva importare qualcosa di lei, perché?!

«Te l'ho detto io non stavo piangendo..» disse lei come se il suo orgoglio fosse stato ferito.
«Orgoglio ferito?» dissi io con un ghigno sul viso.

Lei abbassò lo sguardo come se avessi centrato il punto: «Okay, hai ragione, ho pianto. Ti senti meglio ora? Ti senti realizzato?» strepitò lei guardandomi direttamente in viso, evitando i miei occhi.
«Perché tutte quelle lacrime..?» chiesi io per l'ennesima volta.
«Cosa faresti se la tua migliore amica ti baciasse così, all'improvviso?»
«B-Beh...Non ho una migliore amica, ma credo che la respingerei..» dissi io un po' imbarazzato perché non sapevo che rispondere a quella domanda: «Aspetta, il tuo migliore amico t-ti ha baciata?»
«Esattamente...» disse lei timidamente, anche se si notava una nota d'imbarazzo nella sua voce.
«Ma alla fine è uno stupido bacio, n-no?»
«Non è uno stupido bacio quando lui è un amico d'infanzia..E' che l-lui c'era quando..quando..» la sua voce si fece lentamente spezzata, quasi soffocata.
«Quando..?»
«Quando mia madre..quando..mia madre..è..» cercò di dire lei balbettando.

Avevo capito che cosa voleva dire. Sua madre era..era..morta.
«Tua madre è..» dissi io con un po' di timore, anche se lei concluse la frase prima di me:«..morta.»


Mi guardò negli occhi, facendomi perdere nella giada dei suoi.
Aveva gli occhi rossi e gonfi, occhi pieni di lacrime pronte a scivolarle sul viso.
Piegò le ginocchia e le “abbracciò”, portandosele più o meno vicino alla testa.

Piangeva, di nuovo.


Mi sentivo terribilmente in colpa per averla fatta scoppiare in lacrime nuovamente.
Non avrei dovuto toccare quell'argomento, sono proprio un idiota, avrei dovuto lasciar stare.


 

ANGOLO AUTRICE: con questo capitolo vi ho fatto un grandissimo spoiler su quello che accadrà nel prossimo dal punto di vista di Stella!
                              Ringrazio ancora le persone che mi recensiscono e che mi seguono. Grazie.
                               A presto!

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Capitolo 5
*** Non è sempre tutto rose e fiori. ***


Capitolo 5.

 POV Stella.

Alzai lo sguardo, trovandomi persa in due occhi da cerbiatto color nocciola.
La melodia melanconica si fermò di colpo, ma i nostri occhi rimasero gli uni negli altri per altri due minuti.

Non riuscii a mantenere quel “gioco” e subito abbassai lo sguardo, per poi rompere il ghiaccio:

«S-Scusa, non volevo interromperti..Meglio che vada!» cercai di dire io tentennante.
«No tranquilla, non mi infastidisci puoi rimanere qui, non c'è problema!»
«Comunque, piacere, io sono Stella.» dissi io accompagnando la frase con un sorriso educato.
«Bel nome, azzeccato direi. Piacere, io sono Brandon, ma puoi chiamarmi Brand.» arrossii lievemente e dopo avergli stretto la mano mi sedetti su uno dei tanti banchi.
«Tu..Sai suonare il piano.» disse lui con tanta sicurezza.

Come faceva a saperlo?

«C-Come lo sai?» dissi io stupita.
«Le tue mani.» disse lui prendendomi le mani delicatamente. Arrossii e ritrassi subito le mani, come se fossi stata scottata. «Ti va di suonare un po' con me?» chiese il biondo misterioso.

Non potevo suonare il piano con qualcuno, o semplicemente suonare per qualcuno.
Avevo fatto una promessa al funerale di mia madre.

Nella mia mente ogni giorno riecheggiavano le parole di quella promessa:

“Se dovrò suonare il pianoforte davanti a qualcuno, 
sarai tu quando ci ritroveremo in paradiso,
insieme,
oltre l'infinito.”


 

«Scusa, io..non posso.» sussurrai io flebile.
Poi lui se ne andò dicendo che doveva fare una cosa urgente e che non c'era problema.
Appoggiai la testa sui tasti provocando un suono alquanto terrificante quanto orribile. Dopo due minuti rialzai la testa e preparai le mani sui tasti, pronta a suonare “Perfect”, una delle mie canzoni preferite, una canzone degli Hedley.

Lasciai che le mie dita sfiorassero i tasti da sole perché ormai conoscevano quelle note perfettamente.

Quella è la canzone che mi ritrae più di qualsiasi altra canzone.

Tutto scorreva veloce mentre sento gli occhi pungermi e in un attimo la campanella dell'ultima ora suona. Ho passato tre, se non quattro ore a suonare, stavo per piangere, lo sentivo.

Stavo per cadere nel buio, stavo per cadere in un dirupo.

Mi alzai e appena arrivata in classe -ormai vuota- afferrai la cartella e mi diressi verso l'uscita, e poi me lo trovai davanti con i suoi occhioni grandi; Drew, quel ragazzo così gentile e forte allo stesso tempo a cui volevo molto bene.

«Ehi piccola, dove sei stata?» chiese lui prendendomi per i fianchi.
«A suonare il piano nell'aula di musica, scusa se non sono tornata in classe.» dissi io abbassando lo sguardo.
Poi sentii il muro dietro la mia schiena e il respiro di Drew sulle mie labbra.
I miei occhi nei suoi e viceversa.

Volevo veramente bene al mio migliore amico, sapevo che faceva quello per confortarmi, sapevo che non mi avrebbe mai baciata, ma mi sbagliavo. Le sue labbra sulle mie e viceversa, lui famelico, io sorpresa. Era come se avesse fame di me, come se avesse aspettato tanto tempo. 
Le sue mani sul mio viso e le mie sulle sue spalle mentre cercavo di scansarlo. Quel bacio era caldo e lento come le lacrime che da lì a poco mi avrebbero rigato il viso.

Perché stai baciando la tua migliore amica, perché?
Perché mi fai questo?!


Avevo già iniziato a piangere quando lo scansai per andarmene ma lui mi prese il polso e lo strinse:«Scusa, ma..Sono innamorato di te.» gli tremava la voce ma mi sembrava sicuro delle parole pronunciate qualche secondo prima. Dimenai il braccio liberandomi dalla sua presa, dirigendomi verso un vicolo, il mio vicolo.

Dannazione, dannazione.

Quel vicolo era il posto che avevo iniziato a frequentare dopo la morte di mia madre, ormai era mio, come se mi appartenesse veramente.
I miei passi si facevano più veloci e rapidi e le mie gambe dolevano, ma poco importava. Arrivata là, lanciai la cartella che finì contro il muro e mi sedetti subito con la schiena appoggiata al muro.

Notai che infondo al vicolo c'era qualcuno che mi guardava, ma lo vedevo a fatica dato che le lacrime mi offuscavano la vista e vedevo tutto sfocato.Passò qualche secondo e subito quel “qualcuno” si sedette di fianco a me.

Mi girai di scatto e spaventata mi accorsi che era Jake. Era ufficiale, il mio orgoglio era andato a farsi friggere: non mi sarei mai voluta far vedere piangere da lui, insomma, proprio da quel coglione di Jake.

Che poi, oltre a piangere sentivo il tremore nelle mani e non solo.
Tutto il mio corpo tremava, come se mi trovassi in mezzo alla neve ghiacciata con indosso solo dell'intimo.
La sigaretta quasi mi cadeva a terra per tutto il mio “tremare”.

«C-Che ci fai t-tu qui? Cosa vuoi ancora?» dissi io titubante.
«Beh, questo è un luogo pubblico.» rispose lui sarcasticamente.

Waaah, che nervoso! Mi faceva imbestialire, ma non c'era posto per un'altra emozione tra le mie lacrime. Quel vicolo ormai era come “mio”.
Mi ero rifugiata lì per anni e anni, e di certo non avrei smesso di farlo per colpa di uno come lui. Perché quello era l'unico posto al mondo dove io mi sentivo “protetta”, era probabilmente l'unico posto in quella città che ero sicura di poter chiamare “casa”.

Ora però mi sentivo privata di qualcosa di fondamentale con la presenza di
Jake.

Presi la cartella di getto e me la misi in spalle, cercando di fuggire da quel posto, ma lui mi bloccò per il polso, impedendomi di andare verso l'appartamento in cui coabitavo con il mio peggior nemico.

«Quindi..Perché piangi?» chiese lui quasi ingenuamente, alla quale mi seccava rispondere:«Non sono problemi tuoi.» finii col rispondere io, perché era complicato 
spiegare il perché delle mie lacrime. Sentivo la presa della sua mano farsi sempre più salda ogni volta che dimenavo il braccio sperando che mi mollasse ma, nulla da fare.
Aveva le mani da uomo, nonostante fosse ancora nel pieno degli anni.
Sinceramente, speravo che non riuscisse a percepire il mio tremore così, pelle a pelle.

Quel contatto con lui mi infastidiva ma al tempo stesso mi confortava, anche se non molto.
Decisi di girarmi lo stesso verso di lui anche se il mio viso era ancora bagnato da lacrime amare.

«Perché piangi?» mi chiese lui nuovamente.
 «I-Io non sto piangendo..» risposi io cercando i fazzoletti nella cartella. 
«Certo, e io non sono il più bello della scuola!» rispose lui ironico mentre io mi ripulivo il viso e mi soffiavo il naso. 
«Beh, p-per me non lo sei affatto.» risposi io sedendomi successivamente accanto a lui:«Visto? N-Non sto piangendo.»

Perché non mi aggrediva? Perché non mi rispondeva male? Dov'era finito il ragazzo che avevo incontrato quella stessa mattinata scolastica?
Feci l'ultimo tiro della mia sigaretta e poi la spensi contro il muro, lanciando il filtro dentro un tombino.
Ero nervosa, avevo assolutamente bisogno di un'altra sigaretta, così decisi di accenderne un'altra.

Con un gesto rapido e veloce mi portai la sigaretta alle labbra, quando
Jake intervenne:«Queste non ti fanno per niente bene.» prese la Marlboro che da poco avevo riposto tra le labbra e la spezzò.
«Mal parata crepo.» risposi io con tanto odio verso me stessa.
«Non dire cazzate. Piuttosto pensa a darmi una spiegazione per le tue lacrime.» disse lui, agitando la mano con la sigaretta -ormai spezzata- davanti al mio viso.

«Perché devo dare una spiegazione a te?» sbottai io guardandolo torvo.
«Beh, insomma, perché...! Perché..Perché sono curioso di sapere il motivo per cui una ragazza come te piange.» che cosa voleva dire con “una ragazza come te.”? Prima o poi l'avrei preso a pugni.
«Te l'ho detto io non stavo piangendo..» risposi io abbassando lo sguardo, sì, il mio orgoglio era stato ferito già da quando lui mi ha vista piangere in lontananza.
«Orgoglio ferito?» disse lui ghignando.

Abbassai lo sguardo:«Okay, hai ragione, ho pianto. Ti senti meglio ora? Ti senti realizzato?»
strepitai guardandolo in viso, cercando di scampare ai suoi occhi di ghiaccio.

«Perché tutte quelle lacrime..?» chiesi lui per l'ennesima volta.
«Cosa faresti se la tua migliore amica ti baciasse così, all'improvviso?»
«B-Beh...Non ho una migliore amica, ma credo che la respingerei..» rispose lui con un po' di timidezza: «Aspetta, il tuo migliore amico t-ti ha baciata?»
«Esattamente...» disse io con una nota d'imbarazzo nella sua voce.
«Ma alla fine è uno stupido bacio, n-no?»
«Non è uno stupido bacio quando lui è un amico d'infanzia..E' che l-lui c'era quando..quando..» sentii che le parole si soffocavano lentamente in gola.
«Quando..?»
«Quando mia madre..quando..mia madre..è..» cercai di dire balbettando.


È che parlare di lei faceva male, nonostante fossero passati più di 6 anni.
«Tua madre è..» disse lui prendendo in mano il discorso, anche se lo interruppi:«..morta.»

Quella volta lo guardai nuovamente in viso, senza più evitare i suoi occhi.
Stavo per affogare nei suoi occhi dello stesso colore del mare.

Piegai le ginocchia e ci appoggiai sopra la testa mentre le stringevo con le braccia.
Non dovevo, non volevo farmi vedere nuovamente piangere..

Era tutta colpa mia, non avrei dovuto rispondergli e me ne sarei dovuta andare, ma “chi è causa del suo mal, pianga se stesso.”
Non sapevo se percepisse o meno la mia rabbia, ma si scusò istintivamente, mentre io me ne stavo a piangere in silenzio.
Prima di riaprir bocca, Jake mi spostò delicatamente i capelli dal viso, poi ruppe il ghiaccio:«Senti, mi dispiace, ma adesso ascoltami. Sorridi, perché lei ti ha dato alla luce proprio per questo, perché la sua felicità è sempre stata il tuo sorriso. Sorridi perché anche se è lassù, lei c'è.» disse lui cercando quasi di confortarmi, ma io mi alzai di scatto, tirando un pugno al muro:«Dannazione, dannazione..!»urlai.

Appoggiai la fronte sul muro che avevo appena colpito, asciugandomi le lacrime con la mano che si faceva sempre più sporca di sangue, però non mi ero sporcata il viso.
Mi ero ferita, ma non sentivo dolore, sentivo solo rabbia, l'unica cosa che percepivo era la collera.

E poi le mani calde di
Jake sui fianchi mentre sussurrava dolcemente «ehi», mani che mi tirarono verso il suo petto; non esitò e mi prese per i polsi mentre mi guardava la mano con cui avevo sferrato il pugno poco prima:«Guarda che ti sei fatta..Sei una sciocca..Ti fa male, vero?» disse lui cercando di “comprendermi”.
Ero imbarazzata, lui era dietro di me e con fermezza mi teneva i polsi, come se mi stesse quasi abbracciando.
«Col cazzo che mi fa male!» dissi io furiosa per poi tirargli una gomitata nello stomaco che lo fece allontanare mentre mugugnava sottovoce.

«Scusa, devo andare, vaffanculo idiota.» sbottai io prendendo la mia cartella per poi andarmene, lasciandolo lì come un allocco.

Iniziai a camminare verso casa mia con passo svelto, poi appena arrivata davanti a casa, aprii velocemente la porta. Il problema era solo uno: la porta era già aperta.

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Capitolo 6
*** "Sbaglio o ERO il ragazzo impavido e coraggioso?" ***


Capitolo 6;

 POV Jake.


E tremava quel suo corpo così esile e magro, mentre con le sue dita sottili stringeva i pugni.
Mi veniva voglia di stringerla a me, di abbracciarla. 
Mi veniva voglia di regalarle uno di quegli abbracci dai quali difficilmente ti stacchi, uno di quegli abbracci che ti fa sentire al sicuro.

«Scusa, non avrei dovuto toccare quell'argomento.» dissi io scusandomi istintivamente, senza neanche pensarci su. 
Non mi rispondeva, se ne stava in silenzio a piangere, nonostante si sentiva la sua rabbia. Le scostai gentilmente i capelli che le coprivano un po' il viso e le presi il viso, costringendola a 
guardarmi dritta negli occhi:«Senti, mi dispiace, ma adesso ascoltami. Sorridi, perché lei ti ha dato alla luce proprio per questo, perché la sua felicità è sempre stata il tuo sorriso. Sorridi perché anche se è lassù, lei c'è.» dissi io cercando di confortarla.
«Dannazione..dannazione!» urlò lei alzandosi velocemente e tirando u
n pugno al muro, uno di quei pugni che ti fanno sanguinare le mani, un cazzotto pieno di rabbia.

Mi avvicinai a lei da dietro quando mi accorsi che la sua mano sanguinava.
Lei aveva appoggiato la fronte al muro quando io le posai le mani sui fianchi per poi tirarla verso di me, 
facendole quasi sbattere la testa contro il mio petto, subito dopo, le afferrai saldamente i polsi: «Guarda che ti sei fatta..Sei una sciocca..Ti fa male, vero?» dissi io con un tono di voce quasi comprensivo; speravo solo che non si accorgesse del mio colore, dato che ero diventato paonazzo per l'imbarazzo. E tutto questo perché averla così vicina era diverso confronto a quando ho vicino altre ragazze. Ciò che più di tutto il resto mi faceva imbarazzo, era che sembrava che io la stessi stringendo a me, anche se a dirla tutta l'avrei fatto senza esitare.
«Col cazzo che mi fa male!»sbottò lei tirandomi una gomitata nello stomaco. 
Le lasciai i polsi e mugugnai silenziosamente mentre mi allontanavo da Stella. Lei, prese la sua cartella e se ne andò, lasciandomi lì spiazzato. Camminai avanti e indietro per un paio di minuti, successivamente appoggiai la fronte al muro.

Mi pareva strano aver visto una ragazza piangere per una ragione che non fossi io, oppure un
I-Phone. Insomma, pensavo che c'erano ragazze che piangevano per avere degli oggetti e poi pensavo a lei e mi veniva voglia di strapparmi gli occhi, perché lei aveva perso una delle cose più preziose che aveva.
In seguito, mandai un messaggio ai miei amici, scrivendogli che oggi non sarei uscito con loro perché stavo poco bene, e non era una bugia.

Me ne tornai a casa con la testa sovraccaricata di pensieri e, appena varcai la soglia di quell'appartamento in cui abitavo solo, mi buttai sul divano a peso morto.
Lei e il suono della sua voce pervadevano ancora la mia mente, mentre la sua testa contro il mio petto e il tremore delle sue mani erano sensazioni che sentivo ancora a fior di pelle.

Sentivo un forte mal di testa, così mi addormentai come se nulla fosse su quel divano che, al mio corpo stanco dopo quella giornata, pareva comodissimo. Mi addormentai con una mano sul petto, proprio 
dove la sua testa si era appoggiata, come se fossi stato bruciato, o qualcosa di simile.
Il suo tocco era stato quasi fatale, sensibile e flebile, ma cruciale. Il suo profumo era rimasto impresso nella maglia anche in così pochi secondi
Mi resi conto che era davvero da sciocchi farsi certe paranoie e che era sciocco pensare ad una persona che avevo semplicemente visto piangere.

Quante paranoie, però.

La mattina seguente mi alzai ancora un po' assonnato e dopo essermi preparato uscii chiudendo 
di malavoglia la porta perché il rumore delle chiavi girare nella serratura mi innervosiva, non so perché. A passi più lenti del solito muovevo le mie gambe in direzione scuola fermandomi a guardare la città qua e là, quando finalmente -forse in ritardo- varcai la soglia della scuola.

Mi venne spontaneo cercare il suo sguardo, i suoi occhi di giada e i suoi boccoli corvini.
Subito dopo urla di rabbia, urla di dolore e lacrime. Urla, urla, nient'altro che urla.

Urla disperate, urla di tristezza, urla di collera.

Mi avvicinai al punto in cui stavano facendo casino e la, anzi li notai e li squadrai dalla testa ai piedi. Stranito, in realtà stupito guardai il ragazzo che la stringeva a sé mentre lei cercava di scansarlo. Ovviamente, tra le sue braccia c'era Stella, che urlava affannatamente al ragazzo di mollarla, che lui 
doveva lasciarla andare, ma lui non mollava la presa. A dirla tutta quel ragazzo mi era familiare, mi sembrava di averlo già visto, o almeno credo.
«Drew, maledizione lasciami..! Mollami, ti prego..Mi è bastato ciò che hai fatto ieri e ciò che mi hai dimostrato di essere oggi..» disse Stella con il viso che affondava nel petto del ragazzo che la stringeva sempre di più a sé. Che fastidio quando qualcuno trattava così una ragazza, anche se alla fine capii chi era: lo avevo visto il giorno prima in palestra, era il ragazzo che stava aiutando Stella,che fosse il suo migliore amico?

Mi avvicinai a loro e il ragazzo mi guardò torvo, quasi irritato dalla mia presenza. Tranquillamente appoggiai la mano sinistra su una spalla di Stella e
Drew si girò, dandomi le spalle e facendo allontanare la mano dalla spalla della ragazza.
«Non avvicinarti a lei e fatti gli affari tuoi.» biascicò quasi sicuro di sé stesso.
«Nessuno ha detto che io stessi cercando lei.» dissi io senza neanche pensarci, ma perché lo avevo aggredito in quel modo? Il peggio venne dopo, però.
«Allora levati dalle palle.» mi avvertì lui. Ma poi, avvertirmi di cosa? Credeva sul serio che avessi paura di lui? Se era veramente così, era conciato male il tipo.

Io non ho mai avuto paura di nulla, proprio mai.
Coraggioso ed impavido fino al midollo!

Irritato e impulsivo come non mai, gli sferrai un pugno che lo fece cadere a terra, così fu costretto a liberare Stella da quella stretta che mi infastidiva tanto senza un motivo preciso.

Rimasi quasi sorpreso, ma il mio viso assunse un'espressione preoccupata riguardo a quello che aveva sul volto. Aveva il labbro inferiore ferito e livido, mentre sulla guancia destra aveva i segni di una manata.
Lei, ancora immersa nelle sue lacrime non si accorse che qualche secondo dopo, era al mio fianco con un braccio davanti al suo esile corpo e una mano appoggiata sulla sua schiena.
«Osa sfiorarla e sei morto.» conclusi io mentre io e Stella ci allontanavamo, lasciando quel fesso dolorante a terra.
Eravamo in ritardo alle lezioni, ma chi se ne frega!


ASPETTA, ASPETTA.

Perché l'avevo difesa?! Perché la stavo allontanando da lui mentre la portavo in infermeria?!
Oh dannazione, ma che cazzo mi è preso?!

Durante il “tragitto” verso l'infermeria -sperando che nessuno la sentisse- sentivo i suoi singhiozzi e le uniche parole che pronunciava mentre si asciugava il viso:«Dannazione....Maledizione....»
Le passai una mano sui capelli sorprendentemente morbidi e lei quasi sussultò, girandosi verso di me. I suoi occhi rossi e gonfi e il labbro sfigurato mi fecero imbambolare quando, una volta arrivati in infermeria la sua voce irruppe nei miei viaggi mentali, riportandomi alla realtà:«Perché sono qui se tanto non ho nulla?» chiese lei con voce flebile e insicura.
«Non hai nulla?! NON HAI NULLA?! Dico, ma ti sei vista?!» dissi io alzando il tono della voce, ma mi accorsi di aver sbagliato ad urlare in quel modo subito dopo aver visto il modo in cui sussultò alla 
mia reazione, spalancando i grandi occhi:«S-Su, siediti..» accennai io qualche istante dopo indicandole uno sgabello, mentre io prendevo una sedia e una scatoletta del pronto soccorso.
«C-Che cosa hai intenzione di fare?» chiese lei irritata.
«Ho intenzione di medicarti e capire che è successo.» risposi io aprendo la cassetta del pronto soccorso.
«Non ho bisogno di essere medicata, sto bene così, non mi ha fatta male. E non credo che ti importi sapere che è successo.» disse lei guardando la manica della felpa chiara, ormai sporca di eye-liner .

Sciocca.. pensai guardandola con un ghigno sul viso.

«Non hai bisogno di essere medicata? Oh bene, quindi se io dovessi fare così, cosa faresti?» dissi io -istigandola un po'- prendendole il volto tra le mani.  Mugolò per il dolore e con fermezza levò le mie mani dal suo viso:«Deficiente mi fai male.» strepitò lei 
per poi massaggiarsi la guancia segnata dalle cinque dita.
Mi voltai e presi del ghiaccio, poi glielo porsi gentilmente.
«G-Grazie.» disse lei guardando un punto fisso anche se non aveva lo sguardo perso. «Quindi..Questa è la seconda volta che ti vedo piangere, eh?» dissi io quasi soddisfatto mentre prendevo il cotone.
«Ehmbè? Cos'è, ti diverte vedere il mio fottuto viso farsi più brutto del solito? E poi credi che per un'orgogliosa come me sia bello e appagante farsi veder piangere?!» sbottò lei velenosamente, ma poi si ricompose e usò un tono di voce più calmo:«Mi stupisco del fatto che tu non mi abbia ancora derisa, ma 
ciò che mi sorprende di più è che non lo sappia tutta la scuola.»
«Mi consideri così bastardo da mettere in giro cose così angosciose? Ora per piacere mi prenderesti l'acqua ossigenata?!» dissi io un po' furioso, poi mi guardò stranita e si alzò.



MOMENTO MOMENTO..

“cose così angosciose”? Spero che non abbia pensato che io la consideri 
un'angoscia, insomma, non mi sono spiegato bene..Dannazione, avrà capito male e adesso mi odierà più
di prima.” pensai io elusivo.
Stella cercò di prendermi l'acqua ossigenata da un mobiletto troppo alto per lei. Mi posai una mano sulla fronte e poi mi alzai e andai ad aiutarla. Mi avvicinai a lei da dietro e con una mano le cinsi un fianco evitando di farla cadere, mentre con l'altra mano presi l'acqua ossigenata, sfiorandole delicatamente le 
dita.

Senza che lei se ne accorgesse socchiusi gli occhi e inspirai ben a fondo quel profumo capace di inebriarmi i sensi.

In quel momento avrei voluto fermare il tempo per far sì che i nostri corpi rimanessero quasi uniti in quel calore che mi faceva soffocare per la timidezza e la dolcezza della cosa.
Un istante che sembrò durare ore.


Stella appoggiò i piedi a terra dopo essere stata sulle punte per poco tempo, poi si girò verso di me, con il viso quasi contro il mio petto.
«G-G-Grazie..» sussurrò lei visibilmente in imbarazzo, dato che era arrossita..e mica poco!
«Di nulla.» risposi io un po' timidamente, accennando un sorriso.


Perché tutta quella timidezza se io sono il ragazzo senza cuore, impavido e coraggioso?!
AAAAAAAh, che palle essere me, proprio non mi capisco.

«Come te lo sei procurata?» chiesi io impregnando l'ovatta con quel liquido dall'odore piuttosto fastidioso.
«C-Che cosa?» rispose le facendo la finta tonta.

«Ehm, credo che tu ci possa arrivare da sola.» Ma che ho mangiato stamattina, pane e acidità?!
«Sono caduta..» disse lei abbassando lo sguardo mentre tornavamo a sederci.
«Ceeeeeerto!» dissi io pieno di finta convinzione e poi continuai:«E il segno delle 5 dita che hai sulla guancia destra? E poi da dove sei caduta?» dissi io gesticolando con il cotone in mano.
«M-Mi è rimasto veramente il segno sul viso?!» chiese lei spaventata, così si alzò di fretta e guardò la sua immagine riflessa nello specchio poco distante dal lavandino dell'infermeria. Si posò una mano sulla guancia e sgranò gli occhi di fronte a quella vista.

Mi avvicinai a lei sempre da dietro e guardai la “nostra” immagine riflessa nello specchio poi, appoggiai la mia mano sulla sua, ancora appoggiata sulla sua guancia e le accarezzai il viso. Dalla guancia arrossata, al labbro gonfio e sfigurato.

Assunse un'aria interrogativa e dopo qualche secondo rimosse la mia mano dal suo viso, mentre spaventata disse:«N-Non toccarmi! N-Non a-avvicinarti a me, Daniel.»

Daniel? Chi era Daniel? Perché il mio tocco le aveva ricordato quel tizio? ©

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Capitolo 7
*** Mai risvegliare il mio passato, mai. ***


Capitolo 7;

POV Stella.

 

Iniziai a camminare verso casa mia con passo svelto, poi appena arrivata davanti a casa, aprii velocemente la porta. Il problema era solo uno: la porta era già aperta.
Ciò significava che lui era già a casa, ed era ubriaco. In ogni caso mi avrebbe picchiata anche se fosse stato sobrio.

«S-Sono a casa!» dissi io ripulendomi il viso dalle lacrime, ed eccolo lì dopo meno di 3O secondi.
«Dove sei rimasta fino a quest'ora?!» chiese Daniel (ormai non lo chiamavo più papà.) che era già rosso in viso a causa dell'alcool.
«I-Io..Ehm..S-Sono stata a..» lui non mi fece finire la frase:«Non m'importa dove sei andata a fare la troia!» urlò lui spingendomi contro il muro.
«EHI, io non sono una troia come le donne che ti porti a casa ogni tanto!» urlai io di botto. Per questo mi meritai uno schiaffo che mi fece picchiare la testa contro il muro.
«Taci, brutta puttana! Sei come tua madre!» strillò lui prima di darmele di santa ragione. Finii contro il muro varie volte e feci cadere un vaso quando picchiai la schiena contro un mobile e molti erano gli schiaffi, le sberle che mi aveva dato, procurandomi i segni delle manate quasi ovunque. E poi c'erano gli occhi rossi e gonfi perché pieni di lacrime che non avrei fatto uscire.

La sera stessa non mangiai e andai a farmi una doccia veloce, poi con i capelli ancora bagnati mi misi davanti allo specchio. Come avrei spiegato il perché del mio labbro gonfio e viola? In più era anche tagliato. Avevo lividi ovunque, sopra le gambe e sulle braccia, ma quelli più grandi si trovavano sulla schiena e sulla pancia.
Maledizione, faceva veramente male il labbro. Non usciva più sangue ma la ferita si vedeva, tanto che c'era un livido intorno.
Dopo la doccia decisi di andare a letto, ma feci fatica a dormire. Mi doleva quasi ogni singolo arto e continuavo a girarmi e rigirarmi nel letto, in cerca di un po' di pace.

La mattina seguente, mi svegliai e notai che in casa non c'era nessuno. Ero sola, finalmente.
Mi preparai per andare a scuola e saltai la colazione, cercando gli antidolorifici.
Guardai nell'armadietto dei miei medicinali e no, non c'erano.
Cosa avrei fatto? Drew se ne sarebbe accorto, lo sapevo a prescindere.
-Maledizione, maledizione, cerca i trucchi Stella!- mi ripetevo freneticamente, ma era troppo tardi ed era ora di incamminarsi verso scuola. Presi le chiavi e con il viso basso chiusi la porta e successivamente m'incamminai per le strade della città.

Dopo neanche 1O minuti ero lì, ancora pochi passi e sarei entrata a scuola e avrei visto Drew, ma mi soffermai sulla soglia per altri due minuti circa.
Dopo quello che era successo il giorno prima mi avrebbe parlato?
Presi un respiro profondo e molto coraggio, dirigendomi al solito muretto.
Lui era lì tranquillo, anche se quando mi vide la sua espressione tranquilla svanì di botto, assumendo un'aria sconvolta e preoccupata. Corse verso di me e mi prese velocemente il viso tra le mani, causandomi un forte dolore al labbro, il che mi fece mugolare.«Ma che cazzo..?!» disse lui continuando a stringermi il mento tra le mani. Dimenai il viso e mi liberai dalla sua stretta, con una sottospecie di ringhio. Accidenti, mi faceva male, lo vedeva il livido e invece cosa fa? Viene lì e mi stritola il mento!
«Che diamine ti sei fatta?!» chiese lui direttamente.
«Sono semplicemente caduta, niente di rotto, nulla di grave, sul serio.» dissi io allontanandomi un po' da lui come se avessi paura di lui.
«Non sei caduta, è da un po' che tu non mi racconti la verità!» chiese lui furioso quando successivamente il suono della campanella coprì il suono della sua voce che sicuramente continuò a pronunciare cattiverie e bugie. Non avevo capito il motivo di quella domanda, ma in quel momento non m'importava.
«I-Io non st..» non feci in tempo a parlare che qualcosa mi colpii e sentii la guancia farsi più calda.
Sgranai gli occhi e mi appoggiai una mano sulla guancia. Fortuna che ci ero abituata!
A dirla tutta però, un gesto del genere da parte sua non me lo aspettavo, proprio no; esterrefatta mi girai verso l'uscita della scuola, ma mi fermò afferrandomi il polso con una mano.

«Sc-Scusa, io non so che mi è preso e..» lo interruppi:«E cosa?! Credi che io le accetti le tue scuse?! Hai visto come diavolo sono conciata? Non basta un labbro quasi rotto, ti ci devi mettere pure tu! E vaffanculo Drew, vaffanculo!» dissi io piena di rabbia continuando a porgergli domande retoriche. La sua presa non si allentò per niente, anzi.
«Piccola, io..» lo interruppi nuovamente:«Piccola? Non osare chiamarmi così, mai più.» dissi io secca maledicendolo con lo sguardo. Lui abbassò lo sguardo e rese invano il mio tentativo di fuga stringendomi tra le sue braccia. «Mollami Drew.» cercai di dire io decisa, ma ciò che usci fu una voce tremante.
«Non posso.» rispose lui appoggiando il mento su una mia spalla:«Non voglio.» concluse.
« Dannazione lasciami!» urlai io dimenandomi, ritrovandomi successivamente con il viso affondato nel suo petto. «Non posso e non voglio lasciarti..Io ti amo.»
Sgranai gli occhi e vi uscì qualcosa che sinceramente non mi aspettavo di vedere vincolare fuori dai miei occhi: lacrime.

Quello schiaffo mi faceva sentire tradita.
«Lasciami, per piacere..» chiesi io cercando di non far notare ciò che mi scorreva lungo le guance.
«Stai piangendo..?» fece lui quasi sorpreso appoggiandomi la mano sulla testa.
«No. Mollami.» risposi io posando le mie mani sul suo petto pronta a spingerlo.
«Non ti lascio andare.» rispose Drew deciso. «Drew, maledizione lasciami..! Mollami, ti prego..Mi è bastato ciò che hai fatto ieri e ciò che mi hai dimostrato di essere oggi..!» urlai io cercando invano di spingerlo, mentre il mio viso affondava nel suo petto.

Ad un tratto sentii una mano calda e possente appoggiarsi sulla mia spalla sinistra. Riconobbi quel tocco caldo ma forte percepito solo il giorno prima: era
Jake, o per lo meno credo.
Drew mi fece sollevare i piedi di qualche centimetro da terra e si voltò, dando le spalle al ragazzo che fu costretto a rimuovere la mano dalla mia spalla.
«Non avvicinarti e non impicciarti.» sputò lui acido, ma il ragazzo rispose in fretta:«Nessuno ha detto che io volessi lei.» Ormai era scontato e sicuro, dato che lo avevo riconosciuto per via della sua voce che spesso assumeva un tono ironico o sarcastico. «Allora levati dalle palle.» fece lui stranamente velenoso, ma Jake non rispose a voce.

Sentii un gemito di dolore uscire dalla bocca di Drew e subito dopo mi sentivo libera. Le sue braccia non mi avvolgevano più saldamente e il mio viso, dapprima appoggiato sul suo petto si sentiva graffiato da una scarica di vento. Avevo ancora la vista un po' appannata, ma capii che Drew era per terra dolorante; quando riuscii a mettere a fuoco il viso di Jake notai un'espressione preoccupata mentre con attenzione da maestri scrutava ogni centimetro del mio viso.
Forse era stata solo una mia impressione ma mi sentii tirare per il braccio, poi, qualche secondo dopo mi ritrovai con la mano di Jake sulla schiena e l'altro suo braccio davanti a me e poi pronunciò delle banalissime parole, che però mi confusero:«Osa sfiorarla e sei morto.»

Cosa gli fa se mi sfiora? Qual'è il suo problema?!
Tenendo la mano appoggiata sulla mia schiena mi accompagnò dentro la scuola, ma non aprì bocca, fino a che non mi fece sussultare passandomi delicatamente una mano fra i capelli, così mi girai verso di lui e notai che si era imbambolato appena eravamo entrati in infermeria.

Che ci facevamo lì? Insomma, perché mi aveva portata in infermeria?
Voleva medicarmi? Dico, proprio lui? Potevo fare benissimo da sola, non avevo bisogno dell'aiuto di uno stupido come lui..
Però..È arrivato pure a volermi medicare?” pensai io ingenuamente.

«Perché sono qui se tanto non ho nulla?» chiesi io incerta.
«Non hai nulla?! NON HAI NULLA?! Dico, ma ti sei vista?!» disse lui tornando alla realtà.
Sussultai spaventata alla sua reazione perché il tono della sua voce era veramente alto. Poi imbarazzato per la reazione appena avuta, abbassando il tono della voce accennò un:«S-Su, siediti..» mentre con la mano mi indicava uno sgabello e lui si sedeva su una sedia quasi nuova dopo aver afferrato una scatoletta del pronto soccorso.

Appena notai che stava aprendo la cassetta del pronto soccorso, gli feci una domanda, anche se era piuttosto evidente la mia irritazione:«C-Che cosa hai intenzione di fare?»
«Ho intenzione di medicarti e capire che è successo.» rispose lui.
«Non ho bisogno di essere medicata, sto bene così, non mi ha fatta male. E non credo che ti importi sapere che è successo.» dissi io rivolgendo il mio sguardo verso la manica della felpa azzurra ormai sporca di eye-liner.
«Non hai bisogno di essere medicata? Oh bene, quindi se io dovessi fare così, cosa faresti?» sbottò lui prendendomi il viso tra le mani e stringendolo. Vedevo il suo ghigno e mi infastidì, ma mi limitai a mugolare per il dolore poi, con fermezza levai le sue mani dal mio viso che purtroppo era dolorante:«Deficiente mi fai male.» strepitai alla fine massaggiandomi la guancia segnata poco fa.

Mi porse del ghiaccio gentilmente dopo essersi tolto dalla faccia quel ghigno che aveva poco fa.
«G-Grazie.» dissi io evitando i suoi occhi e il suo sguardo.


Una cosa che non mi piaceva, era sicuramente guardare in viso la gente, oppure guardarla negli occhi.
Ho sempre odiato quegli sguardi che cercano di scrutarti dentro, ma le persone non avevano ancora capito che scrutandomi dentro, non avrebbero trovato altro che merda, perché io ero così: una persona di merda.

«Quindi..Questa è la seconda volta che ti vedo piangere, eh?» disse lui soddisfatto.
Adesso ero incazzata, eccome se lo ero.

Dannazione, crede che per un'orgogliosa come me sia bello ed appagante? Peccato che non lo sia!
Io ODIO farmi vedere piangere.
Non mi piace mostrarmi vulnerabile debole.

«Ehmbè? Cos'è, ti diverte vedere il mio fottuto viso farsi più brutto del solito? E poi credi che per un'orgogliosa come me sia bello e appagante farsi veder piangere?!» sbottai velenosamente, ma poi mi ricomposi e con indifferenza e calma continuai:«Mi stupisco del fatto che tu non mi abbia ancora derisa, ma ciò che mi sorprende di più è che non lo sappia tutta la scuola.»
«Mi consideri così bastardo da mettere in giro cose così angosciose? Ora per piacere mi passeresti l'acqua ossigenata?!» disse lui quasi furioso.

OH BENE, sapere che ero un'angoscia mi mancava.”  pensai io quasi..infastidita..?
Poi cercai di prendergli l'acqua ossigenata dal mobiletto un po' distante da noi.
L'unico problema era che il mobiletto era troppo in alto.
Ormai ero sulle punte dei piedi e rischiavo di cadere, ma nulla.
Andiamo, ero alta 1.68 e non riuscivo a prendere uno stupido flacone di acqua ossigenata?!

Poco dopo sentii una mano cingermi il fianco posandosi sul mio ventre, facendomi scampare una bella caduta.

ASPETTA UN SECONDO. La mano era di Jake, dico..DI JAKE.
Arrossii totalmente e il mio imbarazzo aumentò quando, dopo aver preso l'acqua ossigenata mi sfiorò le dita. Notai che si fermò qualche istante, ma capii poco dopo cosa stava facendo.
Avevo la schiena poggiata contro il suo petto e percepivo il suo respiro.


Mi stava annusando.


Nonostante provassi imbarazzo e mi infastidissero un po' quei contatti “corpo a corpo”, in quel momento avrei voluto fermare il tempo. È che Jake faceva tanto il duro e coglierlo in flagrante mentre mi annusava lo faceva risultare quasi “dolce”.


Un istante che sembrò durare ore.

Riappoggiai i piedi a terra dopo essere stata sulle punte per un po' di tempo, poi mi girai verso di lui e quasi non finivo con il viso contro il suo petto.
Era veramente alto, però. Quasi 2O cm, -se non di più- di differenza.
«G-G-Grazie..» sussurrai io in imbarazzo mentre sentivo il mio viso andare a fuoco.
«Di nulla.» rispose lui sorridendo.

«Come te lo sei procurata?» chiese lui una volta seduti.
«C-Che cosa?» risposi io facendo la finta tonta. Daniel mi ha sempre detto che nessuno doveva sapere di quello che succedeva in casa, e quando diceva nessuno, significava NESSUNO, o eran cazzi.
Mi avrebbe menata a più non posso se venisse a sapere che qualcuno sa il mio “segreto”.

«Ehm, credo che tu ci possa arrivare da sola.» disse Jake arricciando il naso davanti al cotone che, impregnato di acqua ossigenata, sprigionava un odore fastidioso.
«Sono caduta..» risposi io cercando di essere il più convincente possibile.
«Ceeeeeerto! E il segno delle 5 dita che hai sulla guancia destra? E poi da dove sei caduta?»concluse lui gesticolando con il cotone in mano.
«M-Mi è rimasto veramente il segno sul viso?!» chiesi spaventata, così mi alzai di fretta e guardai la mia immagine riflessa nello specchio poco distante dal lavandino dell'infermeria.
Davanti a quella vista sgranai gli occhi, era inevitabile farlo.

Sentii Jake avvicinarsi lentamente da dietro, poi appoggiò una delle sue mani sulla mia, ancora sul viso, successivamente iniziò ad accarezzarmi lentamente la guancia per poi arrivare vicino al labbro sfigurato.

 

FLASHBACK

Dopo quella sfuriata che mi aveva fatto poco prima perché ero arrivata a casa tardi, mi aveva picchiata, e..
Ora era dietro di me, proprio davanti allo specchio.
Con una delle sue mani sul mio viso, intento ad accarezzarmi ciò che aveva sfigurato.
Daniel.
Quell'uomo che tutti chiamano “papà” ma che io chiamo con il suo nome di battesimo, perché non è mai stato un padre per me.
Mi guarda con un ghigno soddisfatto e io non mi muovo per paura di prenderle ancora.
Non volevo essere picchiata ancora.
Non ce la facevo più.

 

ritorno alla realtà.

«N-Non toccarmi! N-Non a-avvicinarti a me, Daniel.» dissi io scostando quel ragazzo in cui vedevo qualcun altro.
Ero spaventata, ancora.
Indietreggiai fino a sbattere leggermente la schiena contro un lavandino.
Mi appoggiai un braccio sugli occhi, cercando di coprire le lacrime, quando il tremore tornò a far parte di me e di ogni mio gesto.
«Stammi lontano, brutto bastardo.» dissi io con voce strozzata mentre Jake, che da poco si era allontanato, cercò di “abbracciarmi”, ma avevo paura.

Il viso di Jake, non era il suo.
Era quello di Daniel.

Bloccai la mano di Jake che si stava avvicinando al mio corpo e, tentennante gli dissi che doveva starmi lontano.

«Stella, io non sono quel Daniel di cui parli. Ehi...» disse lui con gentilezza mentre con la mano libera mi tirò su il viso, permettendogli di guardarmi negli occhi:«...Guardami..ehi..»

Lacrime, di nuovo lacrime.

Non potevo, non dovevo piangere, o le avrei prese, ancora.
Sentivo le dita di Jake (?) asciugarmi le lacrime invano, dato che erano peggio delle cascate.


Mai risvegliare il mio passato, mai.

Decise di colmare la distanza tra noi e mi strinse a sé, accarezzandomi la testa mentre ripeteva «ehi..» con un tono di voce piuttosto dolce. Con il viso appoggiato al suo petto riuscivo a sentire i battiti del suo cuore e il suo respiro che non so perché si fece più irregolare, quasi accelerato.

E poi quel gesto mi fece tornare alla realtà. Mi fece mettere da parte il passato per un po' di tempo.
Delle labbra calde mi baciavano dolcemente le guance bagnate e le sue mani mi scompigliavano i capelli mentre sussurrava qualcosa:«..ehi, per piacere..ferma le lacrime, qui c'è Jake, lo stronzo bastardo menefreghista e puttaniere che adesso ti sta baciando le guance. Quello che ti ha vista al vicolo e che ora vorrebbe stringerti a sé come non ha mai fatto con nessun'altra ragazza..» si zittì di colpo dopo essersi reso conto di ciò che aveva appena detto e io sgranai gli occhi.
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Capitolo 8
*** Timida e dolce a livelli micidiali. ***


Timida e dolce a livelli micidiali.
POV Jake.

Lei indietreggiò spaventata, fino ad andare a sbattere piano contro il lavandino.
Aveva gli occhi lucidi e tremava. Arretrai e mi distanziai un po' da lei, mentre Stella si passò una mano sugli occhi:«Stammi lontano, brutto bastardo.» disse lei con voce esitante.
Cercai di avvicinarmi a lei e tentai di “abbracciarla”, ma quando vide la mia mano avvicinarsi al suo corpo intercettò il mio polso e lo bloccò.
«T-Ti ho detto di starmi lontano.» tentennò lei abbassando lo sguardo. «Stella, io non sono quel Daniel di cui parli. Ehi..guardami..» le dissi io prendendole il viso gentilmente -attento a non farle male-, per guardarla negli occhi, ma..
Non potevo guardarla negli occhi quando le sue guance erano bagnate.
Spalancai gli occhi e con le dita cercavo di fermare le sue lacrime, ma erano come cascate e scendevano copiose. “Potresti sempre stringerla..” pensò una parte di me, mentre l'altra pensava “Andiamo, la conosci da due giorni, ti respingerà sicuramente, e poi..Cosa credi di fare? Lei non cadrà mai ai tuoi piedi.”

Silenziosamente colmai la distanza che c'era tra i nostri corpi e la strinsi a me, e poi le accarezzai i capelli.
«ehi..» ripetei io in modo dolce mentre la accarezzavo. Mi sentivo quasi soddisfatto per quel “contatto” avuto con lei. Il mio respiro si fece irregolare quando mi stufai di asciugarle le lacrime con le dita.

Mi avventai sul suo viso iniziando a baciarle le guance bagnate dalle lacrime, stampando anche qualche piccolo bacio dolce qua e là.
Oh dannazione. Fottuta impulsività di merda.
Con le mani iniziai a scompigliarle i capelli neri e, senza neanche pensarci le sussurrai: «..ehi, per piacere..ferma le lacrime, qui c'è Jake, lo stronzo, bastardo, menefreghista e puttaniere che adesso ti sta baciando le guance. Quello che ti ha vista al vicolo e che ora vorrebbe stringerti a sé come non ha mai fatto con nessuna..» mi zittii di colpo quando mi resi conto di averle appena rivelato una parte di ciò che stavo pensando.

Sentii il viso andarmi a fuoco, probabilmente ero arrossito e non poco!
E poi ci mancava solo che lei alzasse lo sguardo per guardarmi con gli occhi sgranati, anche se piangeva ancora.
«J-Jake..?» chiese lei timidamente come se fossi riuscito a “riportarla alla realtà.”
Decisi di guardarla negli occhi, che ormai mi parlavano.
«C-Che c-cosa c'è'?» le chiesi io mentre mi addentravo nelle giungle che aveva come occhi.
«Sc-Scusa..Non so che mi è preso, d-davvero..» disse lei esitante passandosi il braccio sul viso asciugandosi le lacrime e bagnando la felpa.
«Tu..Stai..Tremando.» dissi io un po' esitante, stringendola istintivamente a me con fare quasi protettivo.
«Sì..ehm, io..Scusami.» disse lei scusandosi come se fosse sua la colpa., poi continuò:«N-Non era mia intenzione causarti disagi. Scusa è..è che io, io..io..» la interruppi e conclusi la frase a modo mio, per come lei mi appariva:«Shhh, non dirlo nemmeno per scherzo. È che tu..sei più fragile di quel che vuoi far vedere.»
Con una delle sue mani strinse tra le sue dita un piccolo lembo di stoffa della mia felpa.
«I-Io non sono debole!» affermò lei facendomi fare una piccola risatina:«C-Che hai da ridere?!» disse lei quasi alterata. Risi e poi – sinceramente non so neppure io come – la sollevai di peso.
«Non c'è nulla di male nell'essere deboli, a volte basta solo avere la persona giusta al proprio fianco.» continuai io sorridendo mentre la facevo sedere sulle mie gambe.
«Ehm..Jake, c-c'è lo sgabello.» disse lei diventando rossa, tremendamente rossa, assumendo un'aria dolce, tremendamente dolce.
«E quindi?» dissi io sarcastico impedendole di spostarsi.
Eravamo viso a viso, lei in braccio a me con il viso di fronte al mio.
Era così vicina..
Jake, che cosa vai a pensare?

«E quindi mettimi giù! Guarda che peso.» disse lei contrariata alla mia decisione di rimanere seduti così.
Aspetta, lei pesa? AHAHAHAHAHAHAH, peserà sì e no 50 chili, che la finisca.”
«AHAHAHAHAHAHAHAHHAHAH, se tu pesi io non sono popolare!» dissi io continuando a ridere quasi di gusto. Lei inarcò un sopracciglio e mi guardò piuttosto male.
«Facciamo così..» dissi io con un tono ancora un po' divertito:«Mentre ti medico tu rimani in braccio a me, poi puoi far quel che ti pare, ti va?»
«No che non mi va!» strepitò lei.
«Quindi, faremo come ho detto io!» affermai e lei rispose subito:«MA..» la interruppi:«Ma niente..Shh bambolina, fatti medicare.» le sussurrai io malizioso all'orecchio.
«N-Non chiamarmi bambolina, idiota!» disse lei mentre a me spuntava un ghigno sul viso.
«Come vuoi, bambolina.» dissi marcando di più il nomignolo “bambolina” e presi il cotone dapprima impregnato di disinfettante.
Dopo le presi il mento delicatamente e -attento a non farle male- iniziai a tamponare la ferita che aveva al labbro. Nella mia testa mi continuavo a chiedere come diamine si fosse ferita in quel modo quasi brutale, ma era inutile chiederlo a Stella che non mi avrebbe risposto sinceramente. E poi si vedeva che la ferita era ancora aperta e non era stata disinfettata.

Esaminai quelle labbra quasi perfette e rosee..e carnose al punto giusto.
Continuavo a tamponare delicatamente intorno alla ferita perché avevo una tremenda paura di farle male.
Appena più delicatamente di prima iniziai a tamponare la ferita, quando sentii un mugolio di dolore sibilato e subito mi fermai.

«T-Ti ho fatto male? Scusami.»
«N-No, vai tranquillo..Non mi hai fatto male.» disse lei cercando di non mostrare il bruciore che probabilmente provava.
Le presi il mento tra l'indice e il pollice, poi le passai il pollice delicatamente sul labbro inferiore e..Mi pentii amaramente di quel gesto.
Labbra soffici e perfette, attraenti.
Calma i bollenti spiriti Jake!” mi ripetei io nella testa, poi feci caso al tremore del suo corpo che in quel momento, quasi fatale per entrambi, smise di tremare, come se stesse trattenendo il respiro.

«Ehi, s-sei arrossita.» dissi io sottovoce accarezzandole una guancia ormai calda per il rossore del viso.
Lei si fece ancora più rossa e prese a guardare il pavimento, poi flebile flebile disse:«Uhm, d-davvero..?»

Timida e dolce a livelli micidiali...incredibile.
Jake, metti giù le mani dal suo viso o morirai dalla voglia di baciarla.” a quanto pare la mia coscienza mi conosceva piuttosto bene. Mi morsi il labbro e tirai via la mano dal viso della ragazza che ora aveva preso a guardarmi negli occhi e io, ricambiai l'intenso sguardo.

Così vicino da poter sentire il suo respiro caldo.

Così fottutamente vicino da poter sentire il suo profumo.

Così dannatamente vicino al suo viso da aver voglia di avventarsi sulle sue labbra.

 

Mi avvicinai ancor più di prima al suo viso e con il mio naso sfiorai il suo e, dopo averle accarezzato nuovamente le labbra vi ci stampai sopra un lieve bacio a fior di labbra.

Lei spostò il mio viso dal suo e fece una faccia contrariata e confusa e per un momento mi pentii di aver baciato le sue labbra soffici e calde.

 

«Jake, vuoi che ti schiaffeggi per farti capire che non sono come tutte le altre oche?» disse lei con voce secca cercando di alzarsi, anche se non ci riusci dato che nell'arco di mezzo secondo le avvinghiai le mie braccia intorno alla vita.
«Hai ragione, ma non dire che non ti è piaciuto!» le dissi io ammiccando e ghignando cercando di farla infuriare. In qualche modo mi sarei dovuto liberare da quella situazione imbarazzante, no?
Stella arrossì come non mai, probabilmente perché appena le dicevi una sconceria o cose del genere la timidezza prendeva il possesso di lei e delle sue guance.
«E chi ti dice che mi sia piaciuto?!» disse lei agitando le mani in modo divertente, ancora rossa in viso.
«Me lo dicono le tue guance!» ammiccai io nuovamente, ma sta volta ridendo.
«B-Beh, solo perché sono timida non c'è bisogno di fare tutte ste scenate! E poi sei stato tu a prendere la decisione di baciarmi! Fortuna che ti ho fermato, o te ne saresti pentito subito.» rispose lei a suo modo.
«Con delle labbra come le tue non credo che me ne sarei pentito, bambolina.» ammiccai io, soffiandole sulle labbra. Arrossì di nuovo, diventando come i pomodori.
«Stupido pervertito maniaco.» disse lei assumendo un'espressione del tipo: “Dì un'altra cazzata e firmerai il contratto con la morte.”
In risposta risi e lei si alterò:«No, ma che ci ridi?! Tu mi esasperi, brutto idiota.» poi appoggiò le sue mani sulle mie, -ancora avvinghiate intorno alla sua vita e strette dietro la schiena- e le prese, cercando di liberarsi da quella presa.

«Che ti costa lasciarmi andare? Tanto mi hai già disinfettato la ferita e non credo che si possa mettere un cerotto vicino al labbro.» disse lei ancora alle prese con le mie mani. Alla fine le presi io le mani, appoggiando i palmi su quelle di Stella, di gran lunga più piccole delle mie.
Che mani che aveva, però.
In senso buono, ovviamente.
«Come cosa mi costa lasciarti andare? Mi costa eccome.» dissi io dandomi delle arie.
«E che ti dovrebbe costare, una scarpata in pieno viso?»
«No, questo, sciocca bambolina.» le dissi io tirandola per le mani, facendola venire più vicina a me.
Le presi il mento con le dita e la baciai istintivamente.
Le nostre labbra sembravano un puzzle completo perché erano incastrate perfettamente, come le nostre mani qualche attimo prima di iniziare ad accarezzarci.

Iniziai a baciarla sulle labbra e poco dopo iniziai a mordicchiarle dolcemente il labbro inferiore, cercando di farle dischiudere le labbra, fino a che non le dischiuse e le nostre lingue iniziarono a sfiorarsi mentre con passione giocavano. Quel sapore di zucchero filato mi fece perdere la testa insieme alle sue labbra e al suo profumo (quasi identico al suo sapore).
Lei, ancora a cavalcioni sulle mie gambe appoggiò le mani sul mio viso passandole lentamente dai miei capelli alla faccia e viceversa. Il suo tocco delicato e suadente mi faceva impazzire.

Le mie mani erano di nuovo sulla sua schiena, accarezzandola dolcemente e mi accorsi di averle causato dei brividi quando scrollò leggermente le spalle.
Peccato che di brividi, oltre ai suoi, sentivo anche quelli che mi provocava lei e tutto il suo mix di dolcezza, timidezza e malizia.
Non era per niente un bacio casto, data la foga e l'intensità di quel bacio. Non aveva quasi nulla a che vedere con la sua dolcezza, ma il suo sapore in fatto di dolcezza a quanto pareva ne era esperto.
Nessuno dei due capii chi, effettivamente, si staccò per primo.
Avevamo tutti e due il respiro affannato e non sapevamo per quanto tempo fossimo rimasti a baciarci, ma mi mozzò il fiato, veramente e sta volta lei non fu l'unica ad arrossire..
Le mie mani e le sue sembravano andare in automatico: le mie continuavano ad accarezzarle la schiena e le sue coccolavano il mio viso tra una carezza e l'altra.

«N-Non a-avrei dovuto..Sc-Scusami..» balbettai io ancora in preda all'imbarazzo.
«B-Beh, è a-anche colpa mia c-che ho ricambiato..» rispose lei. Okay, se balbettavo io risultavo strano, ma perché se lei esitava appariva estremamente dolce?
Ricominciai a medicarla e quando finii la presi per i fianchi e la sollevai per qualche secondo, per poi farle toccare di nuovo il pavimento con i piedi. Di seguito mi alzai pure io da quella sedia di plastica dura.


Continuava a tremare e io non lo accettavo.
Non mi andava di vederla così, proprio no.
E lo sapevo: il tremore non era causato dal freddo, ma dal nervoso e dalla..paura?

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ANGOLO AUTRICE: perdonatemi per l'enorme ritardo. ç__ç
Eh, in questo capitolo sono successe molte cose, come il bacio per esempio. Non sarò molto presente ultimamente, scusate. Un bacio, a presto! ;D  

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Capitolo 9
*** Gioco di labbra. ***


Gioco di labbra.
Pov Stella.

Decise di colmare la distanza tra noi e mi strinse a sé, accarezzandomi la testa mentre ripeteva «ehi..» con un tono di voce piuttosto dolce. Con il viso appoggiato al suo petto riuscivo a sentire i battiti del suo cuore e il suo respiro che non so perché si fece più irregolare, quasi accelerato.

 

E poi quel gesto mi fece tornare alla realtà. Mi fece mettere da parte il passato per un po' di tempo.

Delle labbra calde mi baciavano dolcemente le guance bagnate e le sue mani mi scompigliavano i capelli mentre sussurrava qualcosa:«..ehi, per piacere..ferma le lacrime, qui c'è Jake, lo stronzo bastardo menefreghista e puttaniere che adesso ti sta baciando le guance. Quello che ti ha vista al vicolo e che ora

vorrebbe stringerti a sé come non ha mai fatto con nessuna..» si zittì di colpo dopo essersi reso conto di

ciò che aveva appena detto e io sgranai gli occhi.

 

«J-Jake..?» feci io sempre con gli occhi sbarrati, ma sta volta ero tornata alla realtà, ne ero certa.

Lui invece continuò a fissarmi imperterritamente negli occhi purtroppo ancora inondati dalle lacrime.

«C-Che c-cosa c'è'?» chiese lui aumentando sempre di più l'intensità del suo sguardo, che pian piano si perse addentrandosi nei miei occhi.

Aspetta, ma che vado a pensare? Sicuramente avrà pensato a qualcosa di buffo su di me.

«Sc-Scusa..Non so che mi è preso, d-davvero..» disse io asciugandomi le lacrime con la felpa mentre il mio

corpo iniziò a tremare automaticamente.

Non se ne sarebbe accorto, o per lo meno lo speravo.

A dirla tutta, ero una ragazza che non amava i “contatti fisici”.

«Tu..Stai..Tremando.» cercò di dire lui mentre con foga mi stringeva al suo corpo, sorprendentemente caldo.

«Sì..ehm, io..Scusami.» balbettai io un po' scioccamente:«N-Non era mia intenzione causarti disagi. Scusa è..è che io, io..io..»

«Shhh, non dirlo nemmeno per scherzo. È che tu..sei più fragile di quel che vuoi far vedere.» affermò lui con

tanta sicurezza mentre il mio cuore perse un battito, come se le parole che aveva appena pronunciato fossero

vere, reali.

 

Il vero problema era proprio quello.

Quell'affermazione non era così sbagliata, anzi.

Quelle parole mi colpirono dritte al cuore, come fanno le note della tua canzone preferita.

Impresse nella mia mente si reiteravano come se ci fosse un disco impallato nella mia testa.

Io non ero debole, ero forte! Certo.

Forte come l'aria e con la corporatura di uno spaghetto cotto.

 

Con il viso appoggiato sul suo petto e le mani dietro la sua schiena, con le dita presi un piccolo lembo di stoffa e lo strinsi, cercando di filtrare la verità con indifferenza.

«I-Io non sono debole!» cercai di dire io, prendendo anche l'ultima goccia di coraggio rimasta dentro il mio

corpo, facendogli fare una piccola risatina.

 

Perché la vera battaglia non era contro di Jake e i suoi modi di fare, no.

La battaglia era contro la maschera di pietra di me stessa; una lotta con la me interna, con la me introversa.

 

«C-Che hai da ridere?!» chiesi alterata. Rise e poi dopo avermi preso per bene per i fianchi mi sollevò di peso.

«Non c'è nulla di male nell'essere deboli, a volte basta solo avere la persona giusta al proprio fianco.» disse lui quasi inconsciamente dopo essersi seduto e avermi posta sulle sue gambe.

«Ehm..Jake, c-c'è anche l'altro sgabello.» dissi diventando tremendamente rossa, mentre perplessa guardavo i suoi occhi che, visti da vicino non sembravano poi così freddi.

«E quindi?» rispose lui facendomi una domanda retorica, di cui – per sua sfortuna – mi lamentai.

 

Iniziavo quasi a sentire caldo per quella distanza veramente ridotta che ormai si era “instaurata” tra noi.

Non potevo essere così vicina a quei suoi occhi di cristallo e, stare dannatamente vicina alle sue labbra, - tanto

da sentirne pure il respiro caldo - mi mozzava il fiato.

 

Cosa andavo a pensare? Oh mio dio, dovevo proprio essere malata.

Sicuramente avevo la febbre, insomma, cos'era quella vampata di caldo che mi aveva assalito solo a pensar

quelle cose?

 

Poi dopo un piccolo momento di esitazione passato a pensare decisi di rispondere a ciò che aveva detto poco prima: «E quindi mettimi giù! Guarda che peso.»

«AHAHAHAHAHAHAHAHHAHAH, se tu pesi io non sono popolare!» continuava a ridere di gusto mente con uno sguardo truce lo fulminavo.

«Facciamo così. Mentre ti medico tu rimani in braccio a me, poi puoi far quel che ti pare, ti va?» disse lui ancora con quella mezza risata da ebete sul volto.

«No che non mi va!» strepitai decisamente contrariata della sua decisione a cui io non avevo il diritto di obbiettare, perché se anche l'avessi fatto non sarei riuscita a liberarmi dalla sua presa.

«Quindi faremo come ho detto io!» affermò, facendomi ingannare da sola, dato che cercai invano di obbiettare:«MA..» mi interruppe e continuò da solo, per la sua strada, dicendo e facendo quel che gli passava per la sua mente contorta:«Niente ma! ..Shh bambolina, fatti medicare.»

Il modo malizioso in cui aveva pronunciato la seconda parte della frase mi fece quasi sussultare.

E poi bambolina, dico..MI HA CHIAMATA BAMBOLINA!

Che qualcuno lo tiri sotto con un autobus all'istante!

Bambolina chiamava una delle sue tante troie, non me!!

 

«N-Non chiamarmi bambolina, idiota!» ringhiai io mentre sul suo viso appariva un ghigno fastidioso che mi aveva fatto venire voglia di pigliarlo a ceffoni.

«Come vuoi, bambolina.» disse marcando di più la parola “bambolina” prendendo il cotone dapprima impregnato di disinfettante.

 

Sbuffai e subito dopo mi prese il mento, iniziando a tamponare la ferita al labbro anche se a dirla tutta tamponava solo intorno alla ferita, come se avesse paura di farmi male.

Sapevo che la ferita a contatto con quel liquido sarebbe andata a fuoco per il bruciore, dato che, né la sera prima né il mattino stesso avevo accennato a disinfettarla.

Eppure tamponava delicatamente..Che avesse sul serio paura di farmi male?

Ancora più delicatamente di prima cercò di passare il batuffolo di ovatta impregnato sulla ferita, ma appena sfiorò il taglio mugolai istintivamente per il dolore, ma non pensavo che si sarebbe fermato.

 

«T-Ti ho fatto male? Scusami.»

«N-No, vai tranquillo..Non mi hai fatto male.» dissi io cercando di rassicurarlo e farlo continuare.

Prese il mio mento tra l'indice e il pollice e poi passò il pollice delicatamente sul labbro inferiore.

Che diamine gli era preso?

Non poteva accarezzarmi le labbra così, o sarei..morta, o per lo meno svenuta per il caldo che che stava

invadendo il mio corpo e il mio viso.

Deglutii, posando lo sguardo sulle sue labbra e notai che se le morse due, o forse tre volte.

Sentii l'aria mancarmi e il mio corpo per qualche istante smise di tremare assurdamente.

 

«Ehi, s-sei arrossita.» bisbigliò, accarezzandomi una guancia ormai calda per il rossore delle mie gote.

Arrossii sempre di più, consapevole del motivo del mio rossore e poi flebile flebile risposi quasi facendo finta di nulla:«Uhm, d-davvero..?» come se non me ne fossi resa conto.

 

La mia timidezza raggiungeva le stelle con quel contatto, ormai era come un incendio, ed era difficile da

domare.

Lo guardai negli occhi azzurri e – forse – infiniti come il cielo sereno nel quale, al di fuori di quell'edificio, splendeva inesorabilmente il sole che con i suoi raggi tiepidi iniziava a riscaldare quella giornata timida di febbraio inoltrato.

 

Ancora quella distanza così ridotta che mi dava alla testa.

Il suo odore, il suo profumo.

Il suo respiro.

 

Si avvicinò lentamente al mio viso, iniziando a giocare con i nostri nasi, facendoli sfiorare; poi, dopo avermi accarezzato nuovamente le labbra vi ci stampò sopra un piccolo bacio a stampo, mandandomi quasi in confusione.

Scostai il mio viso dal suo assumendo un'espressione confusa, quasi contrariata a quel casto bacio che in effetti non mi era per niente dispiaciuto.

Le sue labbra erano morbide, soffici, come lo zucchero filato.

 

«Jake, vuoi che ti schiaffeggi per farti capire che non sono come tutte le altre oche?» domandai secca cercando

di alzarmi, anche se non ci riusci dato che in secondo mi strinse tra le sue braccia, avvinghiate alla mia vita.

«Hai ragione, ma non dire che non ti è piaciuto!» rispose lui ammiccando mentre il ghigno tornava a comparire sul suo volto.

Arrossii come non mai:«E chi ti dice che mi è piaciuto?!»

Oh beh, sappiamo entrambi che ti è piaciuto.” pensò una parte di me.

«Me lo dicono le tue guance!» disse lui ammiccando nuovamente, per poi scoppiare in risa.

«B-Beh, solo perché sono timida non significa che mi sia piaciuto..Non decido io quando arrossire..! E poi sei stato tu a prendere la decisione di baciarmi! Fortuna che ti ho fermato, o te ne saresti pentito subito.» risposi.

«Con delle labbra come le tue non credo che me ne sarei pentito, bambolina.» dopo aver ammiccato per l'ennesima mi soffiò sulle labbra, facendomi rimanere di stucco.

«Stupido pervertito maniaco.» dissi io fulminandolo e uccidendolo con lo sguardo.

 

E rideva, di nuovo.

«No, ma che ci ridi?! Tu mi esasperi, brutto idiota.» cercai di liberarmi da quella sua stretta prendendogli le

mani, dato che erano ancora avvinghiate dietro la mia schiena.

«Che ti costa lasciarmi andare? Tanto mi hai già disinfettato la ferita e non credo che si possa mettere un cerotto vicino al labbro.» dissi ancora alle prese con le sue mani.

Successivamente fu lui a prendermi le mani, facendo appoggiare le nostre mani palmo contro palmo, arrivando a sfiorare l'uno le dita dell'altro.

«Come cosa mi costa lasciarti andare? Mi costa eccome.» disse lui quasi vantandosi.

«E che ti dovrebbe costare, una scarpata in pieno viso?» risposi io sarcastica.

«No, questo, sciocca bambolina.» affermò il ragazzo prima di ridurre drasticamente le distanze tra i nostri visi prendendomi il mento con le dita e baciandomi.

 

Un bacio.

Non più “un bacio” come quello di prima.

Questo era un bacio, completo quasi di tutto.

Delle carezze che ci facevamo a vicenda mentre le nostre labbra sembravano perfette insieme.

 

Le labbra erano incastrate perfettamente tra di loro, come le nostre mani qualche attimo prima di iniziare ad accarezzarci.

 

All'inizio fu in semplice gioco di labbra, poi iniziò a mordicchiarmi dolcemente il labbro inferiore cercando

di farmi dischiudere le labbra, fino a che non le dischiusi e le nostre lingue iniziarono a sfiorarsi mentre

con passione giocavano.

 

Cioccolato, eh.

Mica male il ragazzo.

 

Mentre le mie mani percorrevano la distanza tra il suo viso e i capelli sentii le sue dita accarezzarmi il centro

della schiena, facendomi a dir poco impazzire.

Oh mio dio..Aveva già trovato il mio punto debole.

 

Mi provocò brividi ovunque, mentre tranquillamente lui passava ancora la sua mano sulla mia schiena.

A dirla tutta quel bacio non aveva quasi nulla a che vedere con la dolcezza, i padroni di quel gioco erano la passione e l'intensità, che fecero perdere la testa ad entrambi.

Nessuno dei due capii chi, effettivamente, si staccò per primo.

 

Non mi importava più di arrossire.

Se quel bacio era stato un semplice errore, sarebbe stato l'errore più bello della mia vita.

Siamo sinceri, su.

Jake bacia da dio.

Le mie mani e le sue sembravano andare in automatico: le sue continuavano ad accarezzarle la schiena e

le mie coccolavano il mio viso tra una carezza e l'altra.

«N-Non a-avrei dovuto..Sc-Scusami..» balbettò in preda all'imbarazzo.

«B-Beh, è a-anche colpa mia c-che ho ricambiato..» risposi io esitando.

 

Come se non fosse successo nulla – per fortuna - ricominciò a medicarmi e quando finì mi cinse i fianchi e mi rimise in piedi, di seguito si alzò anche lui da quella sedia di plastica dura su cui poco prima ci eravamo avventati l'uno sulle labbra dell'altro.

 

Tremavo ancora e la cosa mi infastidiva molto anche se..Sembrava che infastidisse più Jake che me, dato che appena lo notò aggrottò le sopracciglia, facendosi più cupo in viso.

 

«S-Senti, io vado.» disse di punto in bianco prendendo la cartella ormai accantonata sopra un lettino.

«Vai già a lezione? Dove hai intenzione di andare?» oddio, manco fosse mia madre.

«Uscirò di “soppiatto” dalla scuola e me ne tornerò a casa.»risposi sorridendo.

«Allora ti accompagno.» disse lui afferrando la cartella dopo essersi tolto la felpa.

Praticamente ormai il suo busto era coperto solo da una canottiera a coste nera che faceva fare la sua parte alla muscolatura ben definita di Jake.

«N.O. Grazie.» risposi io secca alla sua affermazione. Come gli avrei spiegato che non sarei tornata a casa mia?

«E perché no?» chiese ghignando.

«Beh, perché prima ho delle cose da fare..!» cercai di ribattere.

«Non c'è problema, ti accompagnerò ovunque tu voglia andare.»

«Stalker.» dissi io cercando di andarmene frettolosamente, ma nulla mi fece scappare appena in tempo dalle grinfie di Jake.

«Non m'importa se tu mi scambi per uno stalker. Verrò con te.» ripeté lui mentre io cercavo di andarmene.

Senza rispondere mi diressi all'uscita della scuola camminando tranquillamente, credendo di averlo lasciato in infermeria, ma..eccolo che spunta di nuovo come un fungo in pieno novembre.

Stavo per uscire dalla scuola quando un braccio mi blocca l'uscita.

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