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(In attesa del secondo capitolo che arriverà a breve, ho rivisto questa
prima parte, dato che ho capito che non era molto comp
(In attesa del
secondo capitolo che arriverà a breve, ho rivisto questa prima parte, dato che
ho capito che non era molto comprensibile! Ho evidenziato le parti in rosso,
che sono i ricordi di Draco, e aggiunto qualche piccola cosetta! Buona lettura!
Cassie)
Parte prima
And so it is
Just like you say it would be
Il sole sta sorgendo, una
leggera diffusione di luce colpisce le nuvole scure.
Non è vero.
Il sole non sorge davvero
da dieci anni. Dalla vittoria del Signore Oscuro, il sole non sorge. Dalla
morte di Harry Potter, il sole non sorge. Da allora, il sole non sorge.
La nebbia dei Dissennatori ha
tolto ogni possibilità che l’astro della Terra fosse visibile.
La mattina si riconosce
solo dagli orologi.
Per chi, ovviamente, ce
l’ha un orologio. O, forse, se hai occhio, puoi vedere una lieve luminosità
delle nuvole, che avvolgono perennemente il cielo grigio, come una lanugine
sparsa.
Tocco il vetro della
finestra nella mia camera a Malfoy Manor, è caldo. Una giornata di
gennaio sta iniziando. O forse sta finendo? Me lo chiedo sinceramente. Non lo
so davvero. Potrebbero dirmi che sta finendo e ci crederei benissimo. E in
ultima analisi, non c’è nemmeno uno stupido sole a smentirmi. Superbia.
Le mie mani si torcono su sé stesse, eccitate. Potrei dire che è notte e qualcuno
potrebbe darmi ragione. Chi lo sa, potrebbe anche darmi ragione qualcuno che
non vi sia costretto. Abbiamo il potere. È nostro.
Sfera di luce meravigliosa
e bellissima, che solo noi possiamo toccare.
Nemmeno il sole può avere
ragione del Signore Oscuro e di uno dei suoi Mangiamorte.
È sorprendente. E io faccio
parte di tutto questo, in minima parte sono anche io il signore del mondo.
Sospiro tra me e me,
attento che quella minima emissione d’aria si perda nelle pareti di pietra
bianca e dura, vacillare proibito. So benissimo che anche solo pensare
di essere il signore di qualcosa, oggi, in questo istante, in questo mondo ed
in questa vita, è simile ad un tradimento alla mia causa. Tutto è di
Voldemort. La mia vita, la mia anima, il mio tempo, le mie donne, la mia casa,
la mia famiglia, la mia storia, la mia mente. Non posso pensare di dividere
qualcosa con lui, anche quelle cose che sarebbero solo mie di diritto. Quale,
poi? Quale diritto? Nessuno. Va bene. Benissimo. Non ci potrebbe essere niente
di meglio al mondo.
L’egoismo è per quelli
pieni di ricchezze, di fulgidi e brillanti tesori davanti ai loro occhi.
Non credo di avere una cosa
così unica da non accettare di dividerla con lui, con Voldemort. Lui che mi ha
dato tutto.
Nuovi occhi per vedere.
Nuovi pensieri da forgiare.
Nuove azioni da intentare.
Nuova vita da trascinare.
Senza di lui, non avrei
occhi. Pensieri. Azioni.
E soprattutto non sarei già
più vivo, da tempo.
Non c’è un motivo più
nobile al mondo: evitare la morte e cercare la vita, sia essa di qualsiasi
forma e tipo.
Io sto cercando solo
questo. Sto guardando solo questo. Sto pensando solo a questo. Sto facendo solo
questo.
Trascino eternamente
me stesso alla ricerca solo di questo.
Life goes easy on me
Most of the time
Mi volto alle mie spalle,
guardandomi indietro. La stanza più ricca del castello, Voldemort mi ha
concesso di tenerla. Lui mi ha fatto l’onore di prendere la camera da letto dei
miei genitori; mi osservo intorno, le mani che si piegano a pugno. Legni pregiati,
perlopiù ebano. Il suo colore nero e rosso mi ha sempre intrigato alquanto,
l’ho scelto con mia madre a Diagon Alley, un giorno di giugno. Faceva un caldo,
quel dannato sole mi faceva impazzire. Meno male che ora non c’è più; mi attirò
immediatamente questa serie di mobili, nella vetrina di un negozio di
arredamento magico. Rilucevano nella luce del mattino, fui colpito da quei
riflessi stupefacenti di colore. Dopo quei riflessi particolari non li ho
trovati più, ma comunque mi piacciono abbastanza questi mobili. Il letto a
baldacchino, coperto da un telo rosso sangue, decisamente in pieno stile con
me. Tutto in questa stanza è in pieno stile con me. Sulla spalliera del letto,
un’imitazione fedele di un quadro babbano, la Dama con l’ermellino di
Leonardo da Vinci. Questo piaceva a mio padre, non moltissimo a me
sinceramente, ma quando me lo chiese, dissi che l’adoravo invece. In effetti,
l’adoravo perché mio padre me lo aveva portato appositamente dall’Italia, ma
non mi piaceva il soggetto.
“Stai scherzando Weasley? Vorresti dire che
qualcuno ha invitato quella roba al ballo? Non la Mezzababbana zannuta?”.
“Buonasera, signor Moody!”.
Un balzo indietro terrorizzato.
“Sei un furetto nervosetto, eh, Malfoy?”.
In realtà, c’è solo una
cosa che non è nel mio stile in questa maledetta stanza. Per fortuna ci ho già
provveduto. Abbondantemente provveduto.
Cammino lentamente, il mio
passo che è silenzioso come quello di un serpente. Ci sono voluti anni, ma
finalmente so come camminare come si conviene ad un vero Mangiamorte. Ho ancora
delle cicatrici sui piedi, quando mio padre mi faceva notare che non
camminavo bene e, per spronarmi, mi faceva camminare in mezzo a chiodi
arrugginiti. Credo di aver avuto un principio di tetano per questo, ma per
fortuna lo bloccai in tempo. Per il resto, una volta capito il trucco, è stato facile.
Arrivo vicino al letto e mi siedo sulla sponda, lo sguardo rivolto
ostinatamente alla finestra. Non voglio guardare dietro di me. Non ho paura,
sia chiaro. Blaise mi farà delle paranoie assurde, ma figuriamoci se ho
paura anche di lui. E il Signore Oscuro, bè… l’ho detto, no? È tutto suo. Il
mondo è suo. E' come se comprendesse all'interno di sé stesso tutte le cose
infinitesimali che esistono. Se perde qualcosa, soprattutto se è infinitesimale,
non fa differenza. Finalmente, spinto da orgoglio latente, mi volto e
sorrido. Non è vero. Non sorrido. Non sto sorridendo.
“Guarda come frigna!”.
Risate sguaiate su chi non sente.
“Avete mai visto una cosa così patetica? E dovrebbe
essere il nostro insegnante!”.
La guancia che doleva, il vento che lo percuoteva, il
primo vero dolore.
“Non osare mai più dire che Hagrid è patetico, tu,
mostro… tu, razza di brutto…!”.
“Hermione!”.
“Vai via, Ron!”.
Guardo la donna nel letto.
Bionda, nuda, passabile, appena coperta da lenzuola di seta rossa. Ha la testa
appoggiata sul cuscino, gli occhi chiusi e le labbra rosse. Mi sono divertito
con lei. Abbastanza. I suoi capelli sono sparsi disordinatamente, e si
erano stranamente intrecciati con i miei al risveglio, biondi i primi e biondi
i secondi, oro il mio e scadente bronzo laccato il suo. Un conato di vomito al
ricordo. Mi sono staccato bruscamente, disgustato, e mi sono alzato.
Hannah Abbott.
L’abbiamo catturata due
mesi fa, mentre andava in chiesa per sposarsi. Lo sposo era qualcuno di
Hogwarts, ma non mi ricordo come si chiamava. Sicuramente uno dei Tassorosso.
L'ho ucciso e me ne sono andato. Aveva il viso tumefatto ed era
irriconoscibile, e prima non ci avevo fatto caso. Quindi non so chi fosse,
Blaise sicuramente lo saprà. Ha organizzato tutto Theodore Nott, e chiaramente
ha avuto il primo turno. La voleva da quando eravamo ad Hogwarts, sbavava
quando la vedeva passare nella Sala Grande. Si grattava in mezzo alle gambe,
ghignando con noi, lei che lo ignorava, circondata dalle sue amiche, il suo
passo allegro che faceva saltellare le sue trecce bionde, l'andatura
leggermente più veloce mentre lei passava accanto a noi. Non volevo
ripassarmela dopo Nott, almeno con gli altri come me, con quelli al mio
livello, preferisco avere qualcosa di solo mio. Ma non c’era di
meglio, e allora mi sono accontentato. E poi a Nott ormai non fregava più
niente, l'aveva sbattuta nelle cucine. Un vero spreco, in fondo è abbastanza
graziosa. È un mese che la porto nella mia camera. Ogni sera, piange un po’, fa
un po’ di strepiti, ma dice che con me non è poi tanto male. Non è poi tanto
male. Non che mi interessi la sua opinione, assolutamente. Nott le faceva
male. Io no. Non mi interessa farle male. Che me ne frega? Non è
importante lei, tantomeno è importante farle male. Quando la sbatto sul letto,
non mi interessa farle male, ma forse glielo farei alla mattina. Male, intendo.
Piange alla mattina.
Si sporge oltre il letto e
guarda l’orologio sul comodino. Constata stupita che sono le sette e mezzo,
guarda il cielo alla ricerca di una luce che non esiste più. Si volta verso di
me e io fingo di dormire. Allora si rannicchia su sé stessa, patetica bambolina
di stracci, e piange. Fremo nel sonno per la rabbia, è davvero stupida. Non ha
mai capito niente, nemmeno a scuola. Piange perché ricorda il tempo delle sue
stupide trecce? Piange perché i capelli le vengono tirati e deve lasciarli
sciolti? Vorresti rifarti le trecce, Hannah? Nel nostro mondo, una sola
legge impera sovrana. Se non sei capace di smettere di piangere, muori. È
meglio. Decisamente. Ovviamente vale per voi. Non per me o per chi
comanda. Pallidi fantasmi che avete seguito Potty, se non sapete smettere di
piangere, morite. Risparmierete fatica e dolore a voi stessi, ed ulcera
nervosa a noi. E noi, dite? Piangiamo noi?
Noi non dobbiamo
piangere. È un atto di ingratitudine
verso il Signore Oscuro.
Bussano alla porta. Mi alzo
da letto e faccio in tempo a indossare una vestaglia di seta nera che avevo
distrattamente lasciato su una poltrona.
“Avanti” mormoro, lo
sguardo rivolto alla porta, mentre me l’allaccio.
Con un leggero cigolio, la
porta si apre. Blaise mi guarda sorridendo. È talmente frivolo quel ragazzo
che, a volte, mi sorprendo del fatto che sia ancora vivo. Ha sempre la stessa
espressione di quando eravamo ad Hogwarts, il che è tutto dire. Nonostante poi
il Signore Oscuro gliela abbia fatto gentilmente notare un mare di volte
che il nostro colore caratteristico è il nero, lui continua a foderarsi l’anima
e il corpo di colori sgargianti. Renderebbe confuso persino un cieco. Oggi, per
esempio, è vestito di una lunga tunica di colore blu pervinca. Blu pervinca.
Mi stropiccio gli occhi, irritato, non so perché ma mi dà fastidio quel
colore.
“Ciao
Harry! Ciao Calì!”.
Sorriso radioso su un volto diverso.
I colori consueti sul suo viso si incastrano
perfettamente con il blu pervinca che indossa.
“Quella odiosa mezzosangue è venuta con Krum, e dire che
pensavo fosse più intelligente! Krum, ovviamente!”.
Fuori… occhi sorpresi, occhi meravigliati, occhi
eccitati, occhi socchiusi in fessure, occhi rassegnati, occhi coperti da
polveri colorate, occhi sbarrati dall’invidia, prima ben aperti per scatenare
l’invidia altrui, che invece non era arrivata. Occhi tutti su di lei. Occhi tutti
per lei.
Dentro… bocca chiusa, parole perse, lingua impastata,
pensieri confusi. Occhi che sfuggono. Da lei.
Come un soffio di vento, volteggia a un metro di altezza
da tutti loro.
Come sempre, volteggia lontana da tutti loro.
Angelo irraggiungibile, donna insopportabile, demonio
insaziabile.
Lei. Fuoco dell’insopportabilità di non averla.
Angelo reietto, uomo eletto, demonio designato.
Lui. Rassegnazione dell’inevitabilità di esservi escluso.
“Buongiorno Draco!” mi fa
allegro, mentre ancora mi stropiccio gli occhi “Mi sembri esausto! Hai dormito
bene? ”.
“Benissimo … l’Abbott ha
fatto bene il suo lavoro!”.
Ride. “Mi eri sembrato
stanco, invece… ma forse effettivamente lo sei…”.
Rido. “Già… è sfiancante
quella donna! Comunque, ho la mente stanca, non il corpo!”.
“Come mai? Troppi
pensieri?! Rimpianti?! Ricordi?! ” sorride in maniera irritante.
All’improvviso mi dà fastidio. Soprattutto con quella veste assurda addosso.
“No, sono fin pochi…”
rispondo sbrigativo, sedendomi di nuovo sul letto “E’ tutto meravigliosamente
facile …”.
“Facile?” chiede Blaise,
spalancando i suoi occhi azzurri “In che senso, facile?”.
Non rispondo, voglio dire
che, grazie a Voldemort, ognuno di noi ha esattamente che cosa vorrebbe. Non
siamo costretti a sgomitare per vivere, abbiamo tutto su un grande e intarsiato
piatto d'argento. Il dolore e la fatica ci vengono evitati, il piacere inebria
come primo attore la nostra anima. Ma lui non capirebbe. In effetti, non ho
ancora capito come faccia ad essere un Mangiamorte. L’ultima volta che gli ho
parlato, rimpiangeva Silente. Sì, esattamente il vecchiaccio che è morto prima
di Potty. Blaise dice che faceva ridere. Che era divertente. Te la ricordi
quella del DIRE-QUALCHE-PAROLA? Pigna, pizzicotto, manicotto, tigre. Era un
grande! Mi faceva morire! Peccato che sia morto. Lo avevo guardato,
inarcando un sopracciglio. Ringrazia che qui non ci sia uno come Codaliscia,
altrimenti il Signore Oscuro avrebbe già saputo della tua…nostalgia… e t’avrebbe fatto venire la
nostalgia della vita! Lui per niente turbato aveva sorriso con l’aria di
chi la sapeva lunga. È per questo che l’ho detto a te, no? Perché andavo sul
sicuro, in fondo stava simpatico anche a te… Sorrisi, che razza di tipo
strano.
Si siede sul letto vicino a
me, rinunciando ad avere la risposta alla sua domanda. È sempre così: lui
chiede, io me ne sto in silenzio. Credevo che si annoiasse a morte a parlare
con me, invece ho capito che sono il suo esperimento psicologico meglio
riuscito. Se le cose fossero andate in maniera… diversa… , sarebbe
diventato primario nel reparto di Psichiatria al San Mungo.
Lentamente si guarda
attorno, apparentemente con curiosità, anche se conosce la mia stanza a
memoria, fin da quando eravamo bambini . Poi sospira languidamente e mi dice: “La
puoi spostare per piacere? Mi fa ribrezzo…”.
“Cosa?” chiedo distratto,
di rado lo ascolto attentamente.
“L’Abbott… mi danno
fastidio i morti…” risponde con la voce scocciata ed annoiata, una smorfia sul
volto abbronzato “Chissà da quante ore è lì…”. Mi volto a guardare la ragazza
nel letto, effettivamente è da parecchio. Stamattina non ha fatto in tempo né a
guardare l’orologio, né tantomeno a piangere, meno male. Rabbrividisco
leggermente, notando la piccola scia di sangue che bagna anche le mie lenzuola,
le dovrò far lavare daccapo. La Brown e la Weasley non sanno lavare nemmeno un
straccio, me le portano sempre troppo aggrinzite. Il resto del sangue,
provocato dalla ferita sul collo, si è fortunatamente aggrumato. La lama aveva
trapassato la sua carne più debole e delicata con una facilità impressionante.
Anche questa è fatta. È morta nel sonno, meglio di così non poteva andare. Non
s’è né accorta, né ha fatto in tempo a piangere. Pace al mio sistema nervoso.
La voce di Blaise
interrompe il flusso dei miei pensieri. Una voce flautata e leggera, ma che ha
sempre l’effetto di sconquassarmi il cervello.
“Sei troppo… generoso…”
mi dice, guardandomi con un sorriso rassegnato “Davvero troppo, Draco… dovresti
smetterla…”.
“Eh?” chiedo senza
eccessivo interesse, i suoi discorsi sono veramente troppo scombinati per me.
“Quella donna… Hannah…
voleva disperatamente morire…” risponde con pazienza, come se stesse parlando
ad un bambino piccolo “Tutti se ne sono altamente fregati. Tu l’hai
accontentata…”,si raccoglie nelle
spalle e soggiunge con una punta di divertimento nella voce: “Te l’ho detto,
sei troppo generoso…”.
“Modera il linguaggio, Weasley. Non è meglio che vi
muoviate adesso? Non vorrete che riconoscano anche lei, vero?”.
“Che cosa vorresti dire?”.
“Granger, stanno cercando i Babbani, vuoi far vedere le
mutande a tutti? Perché se è questo quello che vuoi, aspetta solo un attimo…
vengono di qua e almeno ci faremo una bella risata…”.
Altre parole. Le solite. Insulti di orgoglio, risposte di
orgoglio. Orgogli diversi.
“Oh, insomma, andiamo a cercare gli altri”.
Soddisfazione dell’essere ascoltato.
“Tieni giù quel tuo testone, Granger”.
“Andiamo!”.
Fruscio di vesti nella notte, vesti che si allontanano.
Una luna sanguigna che illumina il viso. Un sorriso, ma la luce tetra del
Marchio nero non permette di distinguerlo.
Allontanarsi, la sicurezza matematica che in quelle
situazioni non sarà mai in pericolo.
Fermarsi, un fruscio, un altro alle sue spalle. Chiedersi
scioccamente se poteva essere anche lui in pericolo.
“Sei troppo generoso, Draco…”. Una voce flautata e
leggera, ma che ha sempre l’effetto di sconquassare il cervello.
“Che cavolo vuoi, Blaise?!”. Irritazione pura, quella
della distrazione e del essere scoperti.
“Sai bene che avrebbero preso anche la Granger, era ad un
passo… li stavano andando incontro… rinunci alla tua personale vendetta,
affidata ad altri da perfetto Serpeverde quale sei, solo per difendere il suo
orgoglio da Grifondoro…”.
“Fantasie, Blaise…”. Tacere di fronte all’evidenza.
Illuminazione di una giustificazione.
“Voglio avere io l’onore di vendicarmi… non lascerei a
nessuno questo piacere…”. Ghigno soddisfatto.
“Ridi, ridi, ma per me sei e rimani generoso da fare
schifo…”.
“Non dire fesserie…” dico,
alzandomi in piedi e dandogli le spalle “Mi aveva scocciato, ecco tutto,
figuriamoci che mi frega di quello che diceva o pensava… piangeva troppo, ecco
tutto. Mi dava fastidio ecco…”.
Lui sorride, sempre troppo
accondiscendente, e fa: “Dici sempre troppi ecco, quando sei nervoso… te
lo diceva sempre la McGranitt, quando ti interrogava… te lo ricordi? Ah, quanto
era simpatica quella donna! Come una carie ai denti, in effetti…però peccato
che sia morta!”.
Lo interrompo, infastidito:
“Smettila, Blaise! Mi rompi in questi giorni! Che c’è, vuoi che faccia rapporto
al Signore Oscuro? Vuoi che gli dica delle tue nostalgie?! Vuoi che ti
metta a morte per alto tradimento?! Si può sapere che cavolo vuoi? Che
cerchi?”.
“Semplice…” sorride lui,
alzandosi in piedi “Vivere, Draco… voglio solo vivere…”.
“E allora smettila con
queste storie… stai rischiando troppo... sembra invece che tu voglia morire...”
gli dico ancora, guardandolo dall’alto in basso, poi aggiungo: “Lasciami in
pace…”.
Il mio tono non ammette
repliche. Ma lui replica lo stesso, il suo sorriso è scomparso del tutto: “Non
c’è pace, Draco. Da nessuna parte. E io la rivorrei indietro, questa è la mia
sola nostalgia. Vivere in pace, e soprattutto libero… ma non ho la
presunzione di fartelo capire… in fondo, nessun’altro ci è riuscito, perché
dovrei riuscirci proprio io?”.
Non gli rispondo. Come
sempre. Non merita una mia risposta.
Non è vero.
Non riesco a
rispondergli. Chiudo i pugni a riccio, dovrei invece. Invece, come sempre, è
lui a rompere quel silenzio.
Sorride ancora: “Vuoi che
faccia qualcosa per te?”.
Che tu diventi muto,
così che la tua voce non sconquassi più il mio cervello.
“Voglio una delle Patil,
stasera…” rispondo, sollevando il mento con aria altezzosa.
“La maggiore o la
piccola?”.
“E’ uguale…” ribatto
indifferente “Anzi no, la grande… ma, se la piccola non se l’è fatta nessuno,
preferisco quella…”.
“Eccolo qua che ritorna il
castigavergini… mi avevi preoccupato, amico, pensavo che l'Abbott ti avesse
rammollito...” ride lui, poi si fa ancora serio. È un brutto segno che Blaise
sia stato serio due volte nello stesso giorno.
“Che c’è?” chiedo ancora.
“C’è una riunione tra poco…
credo un’esecuzione…”.
“E allora?” ribatto con
tono annoiato. Ce ne sono decine al giorno.
“Il Signore Oscuro vorrebbe
che ci fossi…”.
“Ci sarò” ribatto pronto e
vigile “Quando è?”.
“Tra due ore…”.
“D’accordo… tienimi il
posto…”.
Un tono di voce secco: “No,
Draco… è meglio che arrivi in orario, è davvero molto meglio per te…”.
Un tono che non ammette
repliche.
E non ne ha, rimango in
silenzio, mentre esce dalla mia camera.
Lui non si chiama Draco Malfoy,
le repliche riesce ad evitarle. Sono le risposte, che invece non ha. Nessuno ha
mai quello che vuole.
And so it is
The shorter
story
Con un colpo di bacchetta,
faccio sparire il corpo della Abbott, che si smaterializza, andando a finire
nella fossa comune assieme agli altri. Per un attimo, resto immobile,
ricordandomi che lì ci sono anche i miei genitori. I miei genitori… li ricordo
a malapena. Narcissa Black in Malfoy… Lucius
Malfoy… non hanno una tomba con
questi nomi scolpiti, con fiori freschi del loro unico figlio e quelle due date
vicine nella pietra, lontanissime nella memoria. La madre di Blaise, Dorilys
Zabini, ce l’ha una tomba. Pulita, colma di camelie bianche, scintillante
contro la collina. E lei era la puttana dei Mangiamorte, quella che si sono
fatti tutti. C’ero vicino anche io, ma mi fece ribrezzo. Magari è stato proprio
per questo, per questo suo lavoro, che ha avuto una tomba. I miei
genitori invece no. Avranno fatto male il loro lavoro.
In realtà, non lo so il
perché.
Mio padre morì qualche anno
dopo la vittoria di Voldemort, era evaso da Azkaban ed era stato riammesso
nelle schiere dei Mangiamorte. Una mattina, mi vennero a dire che era morto,
solo questo. Erano giorni che lui appariva preoccupato. Il rimpianto del lutto
me ne ha fatto ricordare, allora non me ne accorsi. Non ci ho trovato una
spiegazione, mai, e nemmeno l’ho cercata più di tanto. Sarebbe stato un
suicidio, lo so, c’erano di centinaia che morivano ogni giorno senza un perché.
Chiedere avrebbe significato morire. Come mia madre. Lei aveva chiesto troppo.
Priva della protezione di mio padre e con la mia ancora troppo immatura,
l’avevano uccisa in una notte di pioggia, nel suo letto. Non è vero. Era
nel letto di Boris Tiger, ma fa lo stesso. Non ci parlavamo da anni ormai. Le
dissi solo di smetterla con le sue indagini, il tono non dissimile a quello che
uso con Blaise. Come Blaise, non mi ascoltò. Dovrei decisamente cambiare
tono di voce. Comunque, mi disse solo una frase, prima del silenzio del rancore
e di quello della morte. Il sangue non si dimentica, Draco, mai. Farai anche
tu i conti con il tuo sangue. Non c’è signore oscuro che tenga, quando si parla
del sangue.
Stringo i pugni, del sangue
non me ne è fregato niente. L’ho ignorato. Continuare a vivere per il sangue,
per il mio sangue, sarebbe stato uguale alla fine. Il sangue mi aveva
portato fino a lì, mi aveva permesso di sopravvivere fino a quel momento, solo
per la sua inconfutabile purezza. Era stato la mia salvezza. Ma adesso il
sangue reclamava la vendetta dell’omicidio di mio padre. Reclamava la mia morte
per quell’ancestrale senso dell’onore. Non potevo permettermelo, io volevo
vivere. Mio padre sarebbe stato d’accordo con me. Nonostante questo, continuo a
fare i conti con gli occhi di mia madre di quel giorno. Azzurri come mai sono
stati i miei, privi dei toni grigi di mio padre. Colore lucente contro
l’assenza di ogni colore. Rilucenti della determinazione dell’amore che io
non conoscerò mai.
Mi continuano a perseguitare
quegli occhi.
Correre, riusciva a pensare solamente a quello. Il
respiro corto, il fianco che doleva terribilmente, le gambe che credeva
avrebbero ceduto. Tutta l’aria che inspirava, era impiegata nella corsa; non
arrivava più alcun ossigeno al cervello. Forse per questo esso si perdeva nei
pensieri che la sua mente cosciente non avrebbe mai riconosciuto. Le parole del
vecchiaccio, poco prima di tirare le cuoia. Gli aveva detto di provare pietà
per lui, di non odiarlo e tantomeno di temerlo. Parole insensate, se ne
fregava. Ma una frase continuava a percuotergli il cervello con la stessa
intensità del suo passo. Uccidere non è nemmeno lontanamente facile come
pensano gli innocenti. Lui era innocente? Certo che lo era, pensò con una punta
di disprezzo per sé stesso, mentre Piton lo spingeva giù per le scale. Era
stato Piton ad uccidere Silente, non lui. Lui era innocente. Nel canone del
mondo comune, era innocente. Ancora. Non perché se fosse diventato un
Mangiamorte avrebbe ucciso, macchiando per sempre la sua innocenza, ma perché
di fronte al Signore Oscuro, quei concetti subivano una brusca inversione di
tendenza. Innocente sarebbe stato Piton, che aveva compiuto l’omicidio, e
colpevole lui, che non aveva avuto il coraggio di commetterlo. Le regole cambiavano
nel mondo di Voldemort. Sudore freddo della paura impregnò i suoi capelli
biondi, assieme a quello caldo dello sforzo. Piton urlava, avevano Potter alle
calcagna. Aveva paura di Potter, adesso? Finalmente le scale finirono. La sala
Grande… rumore di combattimenti, maledizioni che si infrangevano sulle pareti,
acciottolio dei rubini della clessidra di Grifondoro. I rubini odiati nella
loro abbondanza, il giorno dell’assegnazione della Coppa delle Case. Quasi si
gloriò che adesso rovinassero, innumerabili, contro gli smeraldi intatti della
clessidra di Serpeverde. Come se i Mangiamorte ci mettessero una studiata
attenzione nelle loro maledizioni per non colpire la clessidra della Casa di
cui sicuramente avevano fatto parte. Se mai ci avevno pensato, se mai se ne
fossero ricordati… di sfuggita, vide le quattro lunghe tavolate fatte a pezzi.
Nostalgia. Non ci si sarebbe seduto mai più. Alcuni come lui combattevano. Con
terrore, si accorse che aveva appellato come persone come lui i ragazzi che
stavano combattendo. La piattola Weasley, quell’imbecille di Paciock, Lunatica
Lovegood. La Mezzosangue... la mezzosangue, si fermò nella sua mente a
guardarla più a lungo. In fondo, diceva addio anche alla sua nemica naturale.
Quando si sarebbero rivisti, non ci sarebbe stato spazio per trasformazioni in
furetti e denti da castoro. Solo tre nomi: Imperius, Crucio, Avada Kedavra. E
la fine di ogni gioco.
Evitava ogni maledizione, reclamando forze assurde ogni
minimo secondo, la Granger.
Vuoi vivere, Mezzosangue?
Io anche. Non c’è nessuna differenza tra me e te.
A questo pensava, mentre in una frazione di secondo la
vide e i suoi capelli agitati dal vento del suo attacco lasciavano una scia
ramata nei suoi pensieri.
Lo stesso pensiero si spezzò a pezzi, quando lei si voltò
e distrattamente lo guardò.
Distrattamente, null’altro era concesso. A lui, da lei.
Pietà nei suoi infiniti occhi dorati.
Pietà nel colore caldo dei suoi occhi.
Pietà nell’assenza di colore dei suoi.
La stessa pietà degli occhi azzurri di Silente.
La pietà dei buoni. La pietà degli innocenti che guardano
un colpevole.
Sono sicuri di avere un paradiso sopra di loro, e
guardano con pietà i dannati.
Avrebbe voluto spaccarle la faccia, ma non poteva. Stava
correndo no?
E poi… non poteva… non poteva e basta.
Questo sentiva… dentro… oltre la paura ed oltre il suo
folle volo.
Perché non poteva?
Era un Mangiamorte, ormai, ci avrebbe vissuto con queste
cose.
Perché allora non poteva?
Stava ancora giocando? Ancora avrebbe voluto vedere denti
di castoro e trasformazioni in furetto?
Ancora non era pronto?
Domande senza risposta e, prima che da Potter, fuggì da
lei e dal suo insopportabile sguardo.
Con rabbia, infrango il mio
pugno chiuso contro la finestra, spaccando il vetro. Il sangue cola lungo le
mie nocche rimaste furiosamente serrate, mentre dallo squarcio nel vetro mi
raggiunge il vento freddo,gelandomi il
viso. Rabbrividisce il sangue caldo sulla mia mano gelata, mentre la mia stanza
si riempie dell’odore nauseabondo dei cadaveri ammonticchiati poco vicino. Un
odore dolciastro, il sottofondo di metà della mia vita. Mi fa venire la nausea,
mi porto la mano sanguinante sulla bocca ed afferro la bacchetta, nascosta
sotto il cuscino.
“Reparo” mormoro,
anche se parte di quel tanfo orribile resta impregnato nelle pareti. Resta
confinato nella mia mente.
Mi siedo di nuovo sul letto
e guardo senza alcuna ombra di interesse la ferita sulla mia mano aprirsi
sempre di più. Mi strappò dalla carne viva un frammento di vetro, e poi la
tampono leggermente con un fazzoletto di stoffa bianca, che immediatamente si
impregna di rubino.
Per un attimo sorrido. Ora
capisco Blaise, quando parla della nostalgia. Una persona, una volta, mi
disse che la parola nostalgia deriva da nostos, ritorno in greco…
Ulisse, un eroe babbano voleva tornare a casa dopo vent’anni di guerra. Ogni
volta, era una nuova impresa, una nuova avventura, ma nulla sembrava
avvicinarlo a casa sua. Al massimo, sembrava solo allontanarsene. Nel viaggio,
sul mare, attraverso la terra, lui struggeva per essa. La nostalgia…
null’altro che il desiderio del ritorno. Io non provo nostalgia, mai.
Di solito, oso aggiungere onestamente.
I miei mai sono
sempre simili ai di solito degli altri, deve essere tipico dell’indole
egocentrica ed intransigente dei Malfoy. Rendiamo obsoleta l’abitudine delle
cose, trasformandole in eventualità straordinarie e inconfessabili. Io non
voglio ritornare da nessuna parte, quindi non provo nostalgia. Però… questo
accade di solito. Di solito, per esempio, non mi sfracello la mano contro
un vetro per il puro gusto di farlo. Quindi è anche ammesso che io provi
nostalgia. Un po’, non fraintendiamo… non mi chiamo Blaise Zabini che ha
nostalgia di tutto, dalla pioggia d’estate a Silente, passando per le
Millegusti+1 e le cravatte verde-argento di Serpeverde.
Io non rimpiango mai nulla.
Guardo la mia mano.
Onestà, prego.
D’accordo, questo accade con la
cadenza dei vostri di solito.
Oggi, come ogni uomo, mi
sento anch’io di rimpiangere qualcosa. Cose estremamente semplici, nebbie
impalpabili. Danzano attorno a me, apparentemente della consistenza del fumo,
ma alla fine è pur sempre fumo che finisce negli occhi. Quindi, brucia da
morire.
Io spesso lo ignoro questo
miasma attorno alla mia persona. Di solito ignoro i miei rimpianti.
Ignoro che volevo vendicare mio padre e salvare mia madre. Posso farlo, posso ignorarli,
perché è facile farlo. Molto facile. Come ogni altra cosa nella mia vita.
Li sogno spesso la notte.
Siamo in salotto ed è dicembre; fuori nevica. Nelle mie orecchie, sento solo il
fischio sordo dell’aria che entra dagli spifferi. Ho cinque anni e mezzo, e
sono seduto davanti al camino. Guardo le fiamme scoppiettare e sorrido, mi
piace il fuoco. Me ne è rimasta la passione anche adesso, infatti la prima cosa
che faccio, quando andiamo in missione, è incendiare le case degli Auror e
stare lì ore ed ore a guardare le lingue di fuoco dorate sollevarsi verso il
cielo. Blaise mi guarda, sogghignando, ma non mi interessa niente, resto lì e
tutto sembra essere al di fuori di una piccola porta nella mia mente. Anche nel
mio sogno c’è una piccola porta, chiusa. Quella dalla camera dei miei. Io sento
delle urla attutite ma non me ne preoccupo. Non mi interessa. Dopo un
po’, le urla cessano e sento i passi di mio padre per le scale; mi stringo
nelle mie spalle, coperte da un vestitino di velluto verde.
Guarda il fuoco anche lui.
Non parla per ore ed ore e io sono… felice. Contento che lui condivida
quello che sto vedendo io; immagino i suoi occhi grigi come i miei illuminarsi
del contrasto di colori più caldi, riempirsi di scintille luminose,
restringersi per la paura dello scoppiettare di un tizzone ardente. I nostri
pensieri bruciano dello stesso fuoco. Mi illudo che dalle ceneri del passato
nasca qualcosa che ci renda uniti. Perché essere padre e figlio non è avere lo
stesso cognome, non è che tuo padre ti dà gli occhi grigi e i capelli biondi e
finisce tutto lì. C’è… qualcos’altro. Non so cosa è. Io non posso provare
nostalgia. Non c’è desiderio del ritorno per una cosa che non c’è mai stata.
Nel mio sogno, però, questo non l’ho ancora capito, in fondo ho solo cinque
anni, no? Mi limito a non guardare mio padre, convinto che io ora sia una parte
di lui, quella parte di lui che gli permetterà di vivere in eterno.
Volgarmente, le persone comuni dicono suo figlio. All’ improvviso, però,
sento un odore fortissimo, lo conosco bene. L’odore di mia madre. È anche lei
vicino a noi. Mia madre sa di ciliegia. Si mette sempre quel profumo per
coprire quello della Pozione Guaritrice che ha un tanfo orribile. È una pasta
arancione che odora in maniera strana, quando ero piccolo quell’odore mi faceva
arricciare il naso e stare male. E allora lei lo copriva con quel profumo
prezioso e raro. Non sapeva che era inutile, a farmi chiudere lo stomaco non
era quell’odore inqualificabile di un medicinale, ma quello ferrigno del sangue
che sentivo sempre in sottofondo, nonostante il profumo. In sottofondo, come
quelle urla, nonostante una porta chiusa.
“Draco… devi andare a
letto…” mi dice, la voce acuta e tremolante.
Mi volto e annuisco,
alzandomi. Ero un bambino viziato, si sa… ma non facevo i capricci… mai...
Sorridendo, guardo mio
padre. Rimango immobile, perché lui ha lo sguardo fisso non sul fuoco, non su
di me, ma sulla maschera d’argento da Mangiamorte che tiene appesa sul
camino, dopo quattro anni che ha smesso di usarla. Brillano gli occhi a mio
padre. Non ha mai avuto quell’espressione, quegli occhi, quel viso, colmo
contemporaneamente di rabbia, di dolore e di trionfo, sembrava… rifulgere…
più del fuoco, più di ogni cosa minimamente luccicante al mondo. Io non splendo
di quella luce davanti ai suoi occhi.
È una constatazione veloce,
ma ha l’effetto di un terremoto nella mia testa.
E non splenderò mai di
quella luce davanti ai suoi occhi.
Mia madre mi prende in
braccio, mi porta in camera mia e mi mette a letto. Nella penombra della
stanza, i lividi che ha sul viso, seminascosti dai suoi boccoli biondi,
sembrano molto più scuri, la sua faccia liscia e rosea sembra addirittura
sparire, come inghiottita da enormi buchi neri. Lei mi accarezza il viso, poi
guarda la finestra. Forse pensa che sto dormendo o forse me lo dice apposta.
Guarda scendere la neve gelida e mormora, una piccola lacrima lucente splende
sulla sua pelle liscia: “Lucius sta diventando esattamente come Bella… se non
indosseremo una di quelle maledette maschere, non ci guarderà nemmeno in
faccia…”.
È qui che mi sveglio.
Non è un sogno.
Si è capito.
È semplicemente il giorno
in cui si è decisa la mia vita. Lo so che avevo cinque anni e mezzo, ma erano
abbastanza per capire che quell’uomo… il Signore Oscuro… aveva tutto. E
io niente. Aveva mio padre, tanto per dirne una. La più importante delle cose
al mondo per me, certo. Per questo sono diventato un Mangiamorte. Per mio
padre.
Ma le cose sono rimaste le
stesse. Io non ho niente, e Voldemort tutto. Lui ha avuto l’ammirazione
sfolgorante di padri a cui aveva promesso di oltrepassare i confini di ogni
morte e di ogni potere. Lui ha avuto mio padre… io non l’ho avuto mai. E
questo, stavolta, è un vero mai, un mai degli altri. Comunque,
alla fine ha avuto anche me. I miei motivi per essere un Mangiamorte adesso sono
altri, ma alla base c’è una storia semplice. Semplicissima e brevissima.
Volevo compiacere mio padre
e volevo che lui mi guardasse.
Per questo, non provo
rimpianto dei miei genitori. Per questa maschera, per indossarla, per
nascondermi nel suo incavo luccicante, per splendere della sua luce riflessa,
ho dovuto accettare tanto, sopportare molto, sacrificare tutto. Me stesso,
tanto per dirne una. Quando la indosso, io sono come un’onda del mare, scura e
nera che si infrange sulla terra. Non conta riconoscermi, basta che io ci sia e
dia il mio contributo. E, quando la indosso, io vivo secondo essa. Morirò
secondo essa. La regola base della maschera è essere fedele al Signore Oscuro.
Prima lui, e poi il resto. Prima lui, e poi gli altri. La famiglia… loro,
quella sera, mi hanno fatto capire chiaramente che cosa dovevo essere, mi hanno
fatto capire che questo era scritto nel codice genetico della nostra stirpe.
Quindi… quando qualcosa gli si è rivoltato contro ed avevano già fatto di me
quello che volevano, non potevano chiedermi di tornare indietro. Verso cosa?
L’ho detto, a parte il Signore Oscuro, non avevamo nulla per cui desiderare di
tornare. Non potevo vivere, accettando una parte di regole. Non potevo vivere,
essendo solo un Mangiamorte a metà. O tutto, o niente. Io ho accettato tutto.
Come mio padre, che non ha certamente lasciato spazio a mia madre e a me.
Allora perché avrei dovuto farlo io?
Io sono prima di tutto un
Mangiamorte.
E solo dopo, molto dopo,
io sono Draco Lucius Malfoy.
E con molto dopo, si
intende solo qualora il Mangiamorte lo abbia permesso.
No love no glory
Inizio lentamente e
faticosamente a svestirmi, oggi mi sento davvero stanco. Blaise aveva
perfettamente ragione. Come cavolo fa, non lo so, ma ha sempre ragione lui, mi
fa una rabbia eccezionale.
Raggiungo la mia sontuosa
camera da bagno in marmo bianco e nero, e riempio la vasca fino all’orlo. Acqua
di tutti i colori dell’arcobaleno sgorga dai rubinetti d’oro massiccio, mentre
nuvole colorate di bolle si sollevano nell’aria. Mi ci adagio comodamente
dentro. Poggio la testa sul bordo della vasca, distendendomi, e chiudo gli
occhi. Quando li riapro stancamente, osservo pigramente la superficie
dell’acqua, che agito con le mani, descrivendo piccoli cerchi concentrici. Il
mio corpo è pieno di ferite e l’acqua è diventata rosata. Nel punto accanto
alla mia mano, diventa addirittura rossa. Eccola lì, di nuovo la maledetta nostalgia.
Adattata ad uso ed esigenza di Draco Lucius Malfoy. L’ho detto, io non
provo nostalgia degli altri, ma solo di me stesso. È l’unica cosa verso cui
potrei avere desiderio di ritornare.
Ieri, abbiamo assaltato
l’ultima roccaforte degli Auror e mi sono dovuto battere con quel demente di
Dean Thomas. L’ho fatto fuori, ovviamente, ma non mi aspettavo che fosse così
forte. Blaise me l’ha menata, dicendo che dovevo medicarmi, ma io davvero
non avevo dolore o fastidio. Mi sono ritirato in camera mia, ho dormito qualche
ora e poi mi sono fatto l’Abbott.
C’era un tempo però in cui
al minimo taglio urlavo, in cui la vista del sangue che rovinava la mia pelle
diafana mi accecava di dolore, in cui ogni minima escoriazione mi faceva
gemere. Una volta, ad Hogwarts, quella specie di mezzogigante pulcioso ci fece
vedere un ippogrifo. Mi fece male, mai come mi posso essere fatto male adesso.
Mio padre lo fece anche condannare a morte quella specie di animale,
chiaramente perché io mi presentai a lui, come se avessi avuto la più grande
delle disgrazie mai subite e fossi un qualche sopravvissuto ad una mattanza di
un pazzo omicida. Ma non era davvero niente in confronto a quello che ebbi
dopo.
Da Mangiamorte.
Ululare di animali notturni. La luna splende tonda nel
cielo, come il viso scarno di un assassino. Guarda il cielo attraverso la
finestra rotta, uno spiffero di vento gelido che gli raggiunge il viso. Mai
come l’altra folata di vento che attraversa la stanza nella sua assenza.
Lei… fresca tramontana. Guarda le sue bende sul suo
corpo. Ferite sparse che ancora bruciano e percuotono i suoi sensi provati.
Piccole lacrime di dolore splendono nei suoi occhi grigi, ostaggi di una
vergogna inammissibile. È solo. Si dice che sarà l’ultima volta che piange.
Giustificazione per una colpa capitale. La piccola goccia salata cade lungo il
suo viso, i suoi zigomi severi e il suo collo sottile e bianco, tocca le sue
vesti lacere, muore nell’incavo del gomito. Spaventata la sua piccola lacrima,
risalta come un diamante sulla fronte di una donna nera, mentre arriva nel
centro di una macchia scura sul suo braccio. Il tatuaggio dei Mangiamorte.
Credeva che gli Auror fossero i bravi ragazzi. Non era
vero, sapevano ferire, torturare, uccidere, peggio dei Mangiamorte.
Credeva che Piton non l’avrebbe abbandonato. Non era
vero, si erano separati giorni prima. Lo aveva lasciato alla Stamberga
Strillante.
Credeva che la vita di un Mangiamorte fosse lusso ed
onore. Non era vero, ma questo lo sapeva da tanto.
E poi credeva un’altra cosa… ma a questa non sa ancora
dare una qualificazione.
Non conosce la nostalgia. Il desiderio del ritorno.
Non sa dove potrebbe tornare. Non c’è niente dietro di
sé, per cui desideri tornare.
Un rumore conosciuto. Conosciuto come il vento.
Lei, ovviamente.
“Oggi avevo più compiti del solito…”.
Parole senza importanza.
“La McGranitt ci sta parlando della trasfigurazione
animale…”.
Parole assolutamente inutili.
“Ed ovviamente dovevo esercitarmi, tra poco ci sono i
M.A.G.O.!”.
Parole che gli davano fastidio.
“Come se non bastasse, poi, quella dannata Mrs Purr mi ha
seguito per ore!”.
Parole tenui ed instancabili, mentre imbeve le nuove
bende nel disinfettante verde scuro.
“E dovevo anche aiutare Dean con Storia della Magia!”.
E parole… non sa definirle, non le conosce… sono in
effetti parole ben strane… fantasmagorie di pensieri di foggia particolare.
C’era ancora la McGranitt che caricava di compiti. C’era
ancora la trasfigurazione animale da studiare. C’erano ancora i M.A.G.O di cui
preoccuparsi. C’era ancora Mrs Purr che rompeva. C’era ancora Dean Thomas, lo
scemo integrale. E tutti gli altri, e il resto del mondo.
C’era tutto, e questo, nonostante tutto…
“Nelle cucine ho trovato un po’ di pasticcio di funghi…
spero che ti piaccia…”.
Non sa cosa siano, ma sono parole vitali, necessarie. Per
lui. Per credere che esiste ancora un universo lì fuori. Non solo fuori da
quella casa, ma fuori di lui, del solo mondo che conosce, della sola vita che
sta vivendo. E lei lo sa, chissà come lo sa.
Finisce il suo lavoro e guarda il cielo, mentre lui
mangia.
“Non cambierà niente, lo sai, Granger?”.
Lei annuisce, come se fosse la cosa più naturale del
mondo. Non deve aver mai pensato il contrario.
“Il fatto che tu mi stia aiutando, non cambierà nulla…
sono sempre me stesso, e tu la schifosa Mezzosangue di prima…”.
Solleva le sopracciglia, in espressione annoiata. Certo
che lo sa, sa sempre tutto come sempre.
“Quando starò bene, tornerò dal Signore Oscuro e tu da
Potty, no?”.
Le sta chiedendo conferma. E lei gliela dà, annuendo
stancamente.
“E allora perché?”.
È davvero confuso, adesso. Lei saprà sicuramente perché.
Come sempre.
Se sa tutto, perché?
“Ho quasi ucciso Silente…”.
Una nuova conferma ad una domanda non fatta.
Resta in silenzio ancora, poi sorride dolcemente.
Come fa con tutti, si dona a tutti. Anche a lui, sebbene
non abbia mai chiesto niente. A nessuno, tantomeno a lei.
“E’ il quasi che ti frega.”.
Raccoglie le sue cose, pronta a tornarsene nella sua
Torre d’Avorio da Grifondoro.
“E soprattutto la mia coscienza… dopo che ti ho trovato
qui per caso, so che è qui che dovrei essere. È quella che non mi fa andare
via. È la mia coscienza che mi fa tornare.”.
Tace lui, vorrebbe chiederle perché lui invece la fa
restare.
Si ferma lei di spalle, davanti alla porta, mangiata dai
tarli. Appoggia la mano sullo stipite e rimane ferma.
Chiaramente non lo delude. Dona la risposta che lui
cerca, la risposta che lei ovviamente conosce.
“Non ti preoccupare, Malfoy. Mi fai restare solo perché è
nella tua natura. La natura di sfruttare la gente per il proprio vantaggio.
Nonfarti domande e non essere
inutilmente confuso; è solo il tuo egoismo a farti restare… qui, con me…”.
Annaspo e torno a galla,
emergendo con la testa fuori dall’acqua. Mi sono addormentato e stavo quasi per
affogare. La vasca è profonda sì, ma io stavo morendo da perfetto imbecille.
Tossicchio ancora un po’, la gola che raschia. Mi sollevo faticosamente a
sedere e mi stropiccio gli occhi, guardando fisso davanti a me il riflesso
nello specchio dalla cornice dorata. Lo guardo attentamente, lo scruto, come se
non fosse il mio; mentre lo faccio, mi sento annaspare, come se davvero stessi
affogando ed avessi i polmoni pieni d’acqua. E quel che è peggio è che vorrei
quasi che fosse vero. Invece è solo una maledetta sensazione. È solo
questo. Una sensazione. E mi sta uccidendo.
Rido senza senso, una
risata folle, troppe volte udita in questi luoghi. Non da parte nostra, chiaramente.
Tra loro, gli altri, quelli che non contano. Nelmio caso, al massimo, potrebbero prendermi
per pazzo, ma questo non ha mai costituito un problema, anzi… guardare
l’esempio della vecchia compianta zia Bellatrix, per credere.
Perché rido?
Niente mi uccide
davvero. Le ferite, il rimpianto, la
morte incombente, quella altrui. Così, mi dico, farò sì che niente davvero mi
uccida, ferendomi, straziandomi, dolendo la mia anima.
È buffo, ma nonostante
tutto, ho ancora paura di morire. Dopo il potere, la gloria, la ricchezza, la
fama, il piacere.
Ho davvero paura di
morire. Ed allora, come tutti, mi racconto questo.
Quando sarà il mio turno,
non me ne dispiacerà. La morte troverà un’anima facile da portare via. Calerà
senza sforzo e senza lacrime inutili la sua falce scintillante su di me.
Certo, spero più tardi che
mai, come tutti. Ma intanto probabilmente sarò talmente, non dico morto, ma poco
vivo che non mi farà male.
Poi arriva quella sensazione.
Non la chiamo, mai, e lei lo stesso entra, come una folata di vento freddo che
fa aprire e sbattere le finestre. Non so come definirla, so che arriva. E che
mi spacca dentro. Ci sono giorni in cui arriva ad ogni minima parola, pensiero
o idea. La trova sempre una strada per trovarmi. Mi fiuta, come se lasciassi
dietro di me una scia luminosa, per lei impossibile da ignorare. È esattamente
allora che vorrei morire pur di non sentirla più.
Io che mi aggrappo
alla vita con folle disperazione, voglio allo stesso modo disperatamente
morire in quei momenti.
Morire davvero, perché
dentro mi sento fin troppo vivo.
E non so perché.
Ogni Mangiamorte è
morto. Lo dice il nostro nome stesso, ci cibiamo della morte.
Per la gloria.
Moriamo per essa.
Non si può essere vivi, punto e basta. Chi è vivo, non può
essere morto, ovvio, come chi può essere noi, non può essere loro. Chi
è vivo, non può cibarsi della morte altrui per amore della gloria.
Semplicemente, non è
Mangiamorte.
Questi momenti,
questa… cosa…mi ricorda che sono
ancora vivo, mio malgrado. Troppo vivo.
Ho una vita
perfetta, ho una stanza perfetta, sono un Mangiamorte perfetto che
conosce giorni di perfetta gloria.
Eppure, sono ancora
vivo.
L’unica cosa imperfetta
sono io con la fottuta sensazione strana.
Imperfetta, come colei che me la provoca, suprema parabola
dell’imperfezione umana.
Ed è imperfetta,
perché mi convince del contrario, del contrario di tutto, come sempre.
Sorrido a me stesso, guardo il mio riflesso nello specchio ed appare diverso.
Sono Draco Lucius Malfoy per un attimo e me lo godo fino all’ultimo, nonostante
sia il più grande tradimento. Riassaporo i miei occhi, il mio sguardo, il mio
viso… e i miei pensieri… me li ero scordati, come fossero. Belli. Non
sapevo che fossero così chiari, trasparenti, stalattiti di cristallo su una
parete di roccia dura.
“Sai che sto studiando Aristotele?” sorriso soddisfatto
sulla sua bocca rosea e piena.
“E allora?” sorriso annoiato sulla sua bocca sottile,
arricciata in una smorfia di disgusto. Sta molto meglio adesso, riesce anche ad
essere ironico. L’ironia è un lusso di chi sta bene. Quando se ne sarà andato
da quella maledetta casa, recupererà anche il suo cervello. Che dovrebbe aver
già cacciato la Mezzosangue, ora che si sta rimettendo. Cosa che non ha fatto,
ce l’ha ancora di fronte. Ma il cervello è un lusso di chi non possiede niente
di meravigliosamente inspiegabile.
“Come -E allora?!-??!! Non mi chiedi perché?”. Smorfia di
delusione, da bambina capricciosa. Sporge leggermente il labbro inferiore. Gli
viene da ridere, ma non lo fa.
Morirebbe, pur di non farlo.
“Perché?!!” voce infinitamente annoiata, si stiracchia
stendendosi meglio sul divano cremisi. La luce del sole inonda le stanze
polverose. E lei è lì, nonostante siano le Vacanze di Natale. Mai lontanamente
immaginato.
“Non così! Sembra quasi che non ti interessi!” .
Frustrante, decisamente frustrante parlare con lei.
“Infatti, è proprio così, Granger…”.
Silenzio, crede che lei si stia arrendendo. No. Si sta
solo riorganizzando.
Lei non si arrende mai.
“E va bene, visto che ti scoccia tanto e io adoro
scocciarti, te lo dico lo stesso!”. Sorriso ancora più soddisfatto.
Praticamente inutile discutere con lei.
Profumo di fiori di pesco e vaniglia. Si siede accanto a
lui.
“L’ho cominciato a studiare per caso… e ho scoperto una
cosa importante! Leggi!”.
Oro rosso nei suoi capelli.
“Se non tieni fermo sto cavolo di libro, non leggerò mai
niente!”.
“Scusa”. Si ferma. È sempre troppo agitata, quando è
felice. È felice la Mezzosangue. Ed è con lui. Fa schifo pensarlo, no? Pensa,
ma la voce della mente è troppo flebile per udirla. Lei è insopportabilmente
fastidiosa e soprattutto rumorosa.
Mette a tacere ogni altra voce.
“Dove devo leggere per porre fine a questa lagna?”.
“Qui!” risata impaziente ed eccitata.
“Mi hai fatto male! La gamba,ahia! Ti ci sei seduta
sopra!”.
“Non è vero!”. Moto di stizza, un piccolo pugno sulla
spalla destra.
“E se anche non era vero, ora mi hai fatto male alla
spalla fasciata!”.
“Scusa, accidenti! Vuoi leggere?!”.
“Mi lasci in pace poi? Emigri in un altro continente?”.
“Sì, sì! Ma leggi, dannazione!”.
Sospiro rassegnato.
“La felicità, infatti, come abbiamo detto, richiede virtù
perfetta e vita compiuta, giacché nel corso della vita…”.
“Basta!” un’esclamazione affrettata.
“Come basta?! Tutto qui? Consolati, Granger, non ci ho
capito niente! E, soprattutto, non me ne frega niente!”.
Sospiro spazientito.
“E’ ovvio che non capisci… non presti attenzione!
Rileggi!”.
“Fossi matto! Una basta ed avanza!”.
“Sei decisamente impossibile, Malfoy… possibile che tu
non abbia capito?”.
Espressione diversa. Occhi cioccolato nella nebbia dei
suoi. Brividi sul suo collo. Lei, mortalmente seria.
“No, Granger… spiegamelo tu, visto che sei tanto brava…”.
Sorride. È felice, quando deve spiegare qualcosa.
“Non sarai mai felice, se non sarai dalla parte giusta.
Quella della virtù, che, si dà il caso, sia la mia parte. E quella di Harry.
Non sarai mai felice dall’altra parte. Non ci sarà spazio per l’amore, di
nessuno, e quella che penserai essere gloria, non sarà nulla di tutto ciò.”.
“L’ho fatta la mia scelta, Granger, lo sai… te l’avevo
detto che non sarebbe cambiato niente…”.
Improvvisamente è costrizione stare con lei.
Claustrofobia, si sente soffocare. Fa per alzarsi.
“Volevo solo dirtelo… sapere di averlo fatto…” sorriso
triste. Fa male.
“Per svuotarti la coscienza?”. Arrogante ed amaro, come
sempre. Chiude le porte.
“No… non solo per questo…”. Accogliente e dolce, come
sempre. Spalanca le porte.
“E allora per cosa altro?”. Inaspettatamente imbarazzato.
“Per chi altro, vuoi dire?” , una ghirlanda il sole alle
sue spalle. Sembra una regina.
Annuisce e deglutisce.
“Per te… ma soprattutto per me…e non c’entra niente la mia coscienza…”.
“E cosa allora?”.
“Se resti dall’altra parte, non ci sarà mai spazio per
l’amore di nessuno…”, inaspettatamente incerta “Tantomeno per il mio…”.
È in quel momento che capisce che definitivamente ha
perso il suo cervello. In quel minuscolo momento che passa tra le sue parole e
l’esserne felice oltre ogni ragionevole misura. Il momento in cui davvero pensa
di passare dall’altra parte. Dove c’è lei. Il suo piccolo e meraviglioso
mistero inspiegabile.
Ritorno a guardarmi
allo specchio e constato freddamente che la maschera è di nuovo al suo posto.
Una maschera più rigida e fredda di quella d’argento deiMangiamorte, una maschera che porta
incastonati come due opali morti i miei occhi grigi. Ogni tanto Draco solleva
la sua piccola testa, accende gli occhi e mi fissa, ma poi muore lì,
nell’inferno dentro di me. Draco muore assieme a lei, la Mezzosangue. Li
vedo avviluppati dalle fiamme, rido mentre si accartocciano come foglie secche,
e calpesto con disgusto la loro cenere. Peccato che, come fenici, risorgano
sempre da esse, facciano solo finta di morire, e io non me ne avveda mai. Mai
che disperda quelle ceneri nel vento e lasci che si perdano. Lo dimostra questa
maledetta sensazione, l’ho detto. La sensazione è lei. Lo capisco
chiaramente. L’effetto è lui, dare forza a Draco. Penso che sarebbe già
morto, se non ci fosse stata lei.
Io sarei un vero
Mangiamorte, se non ci fosse stata lei.
Torno in camera mia, una piccola nube di vapore che mi
segue nel mio percorso. Svogliato, apro l’armadio, cercando la mia lunga tunica
nera da Mangiamorte. Lascio scivolare a terra l’accappatoio bagnato, nonostante
non mi sia ancora asciugato. La mia pelle rabbrividisce al contatto con le
piccole gocce che cadono lungo le braccia, il torace e le gambe.
Ho lavato via il
sangue, ma le ferite ci sono ancora.
Stringo le labbra,
mordendo il labbro inferiore con forza, sento il sapore metallico del sangue in
bocca. Scivola nella mia gola, brucia le mie viscere. Il sangue non mi dà
tregua, il mio sangue puro non mi dà tregua. Ma resisto, soresistere.
Me l’ha insegnato mio padre; ogni volta che provi dolore, procuratene un
altro. Se ti fa male il braccio, pizzicati il fianco; se ti fa male la
gamba, morditi le labbra. Concentrati sul dolore che tu stesso ti sei procurato
e mordi, mordi come se ne andasse della tua vita. Prenditi a morsi avidi ed
avari, fin che il dolore sia così lacerante da cancellare l’altro dolore,
quello che tu non ti sei cercato. Il dolore che non volevi. Diventerai cieco
del dolore precedente, e, quando smetterai di mordere, lo saprai. Lo
saprai che quel dolore che ti faceva annaspare, non era niente in confronto ad
un altro che potresti provare. E imparerai a sopportare.
Morso. I Malfoy non
esistono più.
Nuovo morso. Sono
l’ultimo dei Black e dei Malfoy.
Pelle screpolata in
mezzo ai denti. Hanno ucciso i miei genitori.
Lingua tocca il
sangue. E io non so il perché.
Sangue nella mia gola.
Non ho chiesto il perché.
Gengive che fanno
male. Non volevo sapere il perché.
Denti fulminati di dolore. Non mi importava il perché.
Pugno contro l’anta
dell’armadio. Osso che brucia. Sono sempre stati fedeli
Calcio contro la
poltrona. Dito che si flette innaturalmente. Spilli nei muscoli. Non è
bastato che fossero fedeli.
Testata contro la
parete. Martello contro la mia fronte. Vertigine nei sensi. Rivolo caldo lungo
la guancia. Li ho traditi.
Sono morti.
Io sono fedele.
E se non basterà?
Cado in ginocchio,
ancora nudo.
Ora il sangue scorre
di nuovo. Ed ancora non fa male. Non fa male. Non c’è distrazione, papà.
Nessuna distrazione.
Il paradosso è che, se
anche potesse sentirmi e volesse degnarmi di ascoltare e rispondere,
cosa che non ha mai fatto in vita, credo che mi direbbe soltanto che gli faccio
schifo, profondamenteschifo.
Esattamente quello che
penso anch’io di me stesso.
Perché sono loro
due la distrazione. I miei genitori e la loro orribile fine sono la
distrazione.
Il dolore, quello
vero, è un altro.
Ancora mi guardo allo
specchio. Draco mi sorride beffardo dall’altra parte del vetro.
La guarda attraverso lo specchio. I suoi occhi, le sue
labbra, il suo viso, le vede solo dallo specchio. Si trucca. Sta a mezzo
centimetro dalla superficie di vetro, il naso che accarezza leggermente lo
specchio stesso. Respiro condensato in un piccolo alone.
Piccolo sorriso curva le labbra di lui, rosse di una
piccola scia di sangue.
Un morso d’amore. Sa anche mordere la Regina dei
Grifondoro.
Non sa truccarsi, però. Ride mentre la guarda. È buffa. È
bella. Lei che ora sta lì. In una camera da letto con lui, come la cosa più
naturale del mondo. A piedi nudi, le gambe scoperte, solo la camicia di cotone
addosso, come la cosa più naturale del mondo. L’espressione corrucciata mentre
si trucca, come la cosa più naturale del mondo.
“Che cavolo hai da ridere?!”. Esplosione di piccola
rabbia. Onde di capelli la seguono.
“Sei malata? Non sto affatto ridendo!”. Negare, sempre
negare. Anche l’evidenza.
“Guarda che non sono cretina, Draco! Ti ho sentito!”.
“E allora, oltre che malata, sei anche sorda…!”.
Occhi pieni di scintille. Si sta arrabbiando.
Limitare i danni.
“E va bene! Ma insomma, guardati! Non ti sai per niente
truccare!”.
“Ma che accidenti dici?!”.
“Hai un occhio più scuro e uno più chiaro!”. Risata che
prude la laringe.
“Ovvio, stavo ancora finendo… devo sfumare…”. Sguardo di
superiorità. C’era un tempo in cui lo odiava. Ora è una droga. Non potrebbe mai
farne a meno.
“Sarà… ma se ammetti di non saper fare una cosa, mica
muori, Granger…”.
Passa un lampo nei suoi occhi. È solo un secondo, lampo
bronzo nei suoi occhi d’oro.
Guarda lo specchio, si volta. Inumidisce il dito, lo
passa sulla palpebra. Voce che indugia.
“Non mi chiami mai Hermione…”.
Guardarla turbato. Non sapere che voglia dire.
“E allora? Mi viene più naturale chiamarti Granger… ti ho
chiamato per anni così…”. Tutte le cose tra loro scorrono naturali. La risata,
il letto, lei che si trucca, e lui che la chiama Granger.
“Se è per questo, anche io ti ho sempre chiamato Malfoy…
e ora ti chiamo Draco…”.
Ancora tremore. Ancora di spalle. Calcio nello stomaco.
Alzarsi dal letto. Naturale. Stringerla per la vita, la
guancia contro la sua. Baciarla.
Sospiro di lei, scirocco caldissimo.
“Se vuoi, ti chiamo Hermione… se ti dà tanto fastidio…”.
Sorriso bellissimo. Mano sulla sua, appoggiata sul
fianco.
Bacio sul collo di lei, pesca e vaniglia. Un altro, un
altro, un altro ancora. Deliziosa caramella lei, un vizio a cui non si riesce a
smettere. Dieci, cento, mille “Hermione” nelle sue labbra.
“Dai, adesso basta!” Risata. Tenue fuga. Nuvole nello
sguardo dissolte dal sole delle sue iridi.
Parole discordanti dalla tensione nella sua pelle. Non
ascoltarle. Baciarla ancora.
“Dai, Draco! Sei impossibile! Devo andare alla riunione!
Smettila!”.
“Di fare che?”. Continuare, fino alla morte. Fino ad
averla consumata tra le sue labbra. Ingenuità assolutamente non ingenua.
Strattone, scappa. Ride. La insegue.
Cadere nelle lenzuola, arrancare nella loro zattera del
mondo naufrago. Guardare i suoi occhi annebbiarsi di piacere, riempirsi
d’amore, sussurrare il suo nome, e sapere che è normale. Amarla alla follia, e
sapere che è normale. Prenderla con tutto sé stesso, e sapere che è normale.
Sentirla dire che lo ama, e sapere che è normale.
Se una cosa è così normale, naturale, deve essere per
forza anche giusta.
Deve essere così. Ad ogni costo, o davvero il
mondo non funziona. Davvero niente funziona.
La sua testa sul suo petto. I capelli scompigliati che
sanno di shampoo per bambini. Lei, il migliore balsamo per tutto. Lei lo
accarezza, come una soffice brezza marina.
Passa le dita sulle sue palpebre chiuse e frementi, non
dorme, lo sa già. Le ritrae sporche di polvere colorata. La sua maschera
personale… ogni donna si trucca per nascondere sé stessa e mostrare un’altra
faccia. Guarda una donna truccarsi e capirai ogni suo minimo segreto. Se
mostrerà il suo viso lindo e pulito davanti al tuo, vuol dire che sei una parte
di lei, e che crede di poterselo permettere. Di essere lei stessa con te.
Sorride, ovviamente parole di Blaise Zabini. Non sue.
Le toglie ogni traccia di quella maschera, quella che
mostra fuori da quella camera. Le è grato, perché glielo lascia fare. Rimane
lì, tra le sue braccia, il respiro ancora leggermente affannoso.
“Lo sai che tutto… questo… ci metterà in un mare di
casini?”. Voce rassegnata, lo guarda dal basso in alto.
“Certo che lo so…”.
“Lo sai che il meglio che possiamo aspettarci, è che
Harry lo scopra e mi mandi al San Mungo?”.
“Lo so…”.
“Lo sai che stiamo rischiando grosso?”.
“Lo so…”.
“E che questa… cosa… potrebbe ucciderci?”.
“Lo so…”.
“E che, soprattutto, non ci porterà a niente?”. Incerta
la voce, occhi di nuovo pieni di nuvole.
Non c’è un altro “lo so”. La bacia. Con forza, dolore, le
sue labbra sanno solo di necessità e bisogno. Non passione e non amore, allora.
Lei risponde nella stessa maniera. Succhiare la forza l’uno dall’altra. Lui, il
coraggio da lei. Lei, la spregiudicatezza da lui. Non aver pronunciato l’ultimo
“lo so…”. L’arcano segreto che li farà rincontrare, ancora, ancora ed ancora.
Staccarsi alla ricerca d’ossigeno, necessità minore, ma
importante.
Sorriso triste sulle labbra di lei. Stringerla forte e
soffocarla nel suo petto.
Udirla lo stesso.
“Hai ragione. È ormai perfettamente chiaro che non so più
niente…”.
La porta si apre. Guardo con
occhi confusi la persona sull’uscio, anche se so benissimo chi è. È la sola che
potrebbe semplicemente entrare, senza bisogno di un invito. Mi guarda
scioccata, a metà tra la vergogna, il timore e lo stupore.
“Ma che diamine stai
facendo?!!” mi urla, richiudendo la porta, per timore che qualcuno la senta.
Mi alzo dal pavimento,
ingombro di pezzi di vetri e schegge di legno. Prima che possa rispondere, urla
ancora, rossa in viso: “E mettiti qualcosa addosso, dannazione!”.
Sorrido, afferrando la
vestaglia e mettendomela addosso: “Sei mia moglie, e ti faccio ancora questo
effetto? Lo sai che non è normale?”.
Incrocia le braccia e mi
guarda con sguardo di sfida: “Figurati quanto me ne importa… e comunque non
avevo la minima intenzione di saltarti addosso… anche perché Blaise avrebbe
ucciso prima me e poi te…”, si gratta pensosamente la guancia, squarciata nel
centro da una profonda cicatrice scura, poi aggiunge: “Anzi credo che
ammazzerebbe prima te, e poi me… e naturalmente gli farei cambiare idea… su
di me, chiaramente. Per te, non avrei fatto in tempo…”. Sorrido ancora, mi
fa piacere vederla così. Sembra… serena. Ovviamente so che non è vero.
Ma l’apparenza è la migliore delle consolazioni. Non viviamo tutti così in
fondo, come lune che mostrano sempre la stessa faccia, lasciando l’altra più
scura e meno bella nell’ombra sempiterna? Perché dovrei deluderla, se finge
di essere serena? E sicuramente le costa moltissimo farlo?
“Che c’è, Pansy?” le chiedo,
dandole le spalle, mentre mi vesto.
Non risponde alla mia
domanda, ma provvede a farmene una lei. In fondo, è pur sempre mia moglie.
“Si può sapere che cavolo
hai combinato? Hai quasi distrutto la tua camera!”
“Un Sectumsempra uscito
male… sai che non mi riesce bene…”. Certo che lo sa, è pur sempre mia moglie.
Quindi sa perfettamente che il Sectumsempra l’ho usato con Dean Thomas ed è
uscito benissimo. C’era lei, vicino a me. E sa anche che sulle cose non ha
effetto, ma solo sulle persone.
Mi ricambia il mio favore
di prima, lasciando la mia faccia nascosta nell’ombra.
“Sei veramente imbranato…”
dice ironicamente, guardandomi con un tenue sorriso.
“Già… allora che vuoi?” le
chiedo, voltandomi. Mi sono rivestito, anche se i miei capelli sono ancora
bagnati. Dovrei smetterla con questa abitudine di portarli lunghi come mio
padre, figurati a lui che gliene frega, se anche si degnasse di guardarmi,
dovunque è.
Esita un po’ prima di
rispondere. Si passa la mano tra i capelli lunghi e neri, brilla come una
stella l’anello con diamante che porta all’anulare sinistro. Il mio
anello, quello che ha indossato per la prima volta tre anni fa, quando ci siamo
sposati. Quello che era di Narcissa Black Malfoy. Se lo meritava Pansy,
davvero. E’ l’unica a cui forse l’avrei ceduto. Il gioiello splende irritante
per i miei occhi, mentre ancora le sue dita passano nei suoi capelli scuri. I
capelli che mai io ho toccato, accarezzato o baciato. Certo, alcune volte dorme
con me, ma, se la toccassi, credo davvero che Blaise mi ucciderebbe. E poi non
ne ho proprio voglia, non mi piacciono i triangoli amorosi tra migliori amici.
Inoltre, credo che allo stadio attuale delle cose, posso tranquillamente
definire Pansy come una sorella.
Quando Blaise mi chiese di
sposare la donna che lui amava da almeno cinque anni, non capii perché. E
nemmeno capii quando me lo ordinò il Signore Oscuro. Ma l’ho fatto. Per la
prima condizione, quella di Blaise, poi ho capito. Per la seconda, non c’è
ancora spiegazione. La cerimonia fu sfarzosissima. Ci unì in matrimonio il
Signore Oscuro stesso con un lungo rito, culminato con la consegna dell’anello
di mia madre a mia moglie. Molti si meravigliarono, e so benissimo il perché.
Splendeva un diamante sulle
dita di Pansy, non uno smeraldo, come fa ogni Mangiamorte con la compagna della
sua vita.
“Ma è bellissimo! Chissà quanto ti è costato!”. Occhi illuminati
dalla luna e dalla meraviglia.“Ma perché?”. Fa sempre domande lei, anche nei
momenti migliori.
Infila al suo anulare sinistro la piccola gemma verde
giada. Sorride alla piccola difficoltà che incontra nell’infilarlo fino alla
fine. Porta la sua mano alle labbra, e le bacia quel dito stesso.
“Lo vedi a che dito te l’ho messo, Grang- volevo dire-
Hermione?”. Fa sempre errori lui, anche nei momenti migliori.
Corrugare della fronte. Pensare. Distendersi delle
piccole pieghe della sua pelle. Capire. Rossore sulle guance. Capire meglio.
Mani sulla bocca. Aver definitivamente compreso.
“O mio Dio!” . Urlo felice, lacrime sulle guance.
“Sta zitta! Altrimenti ci sentono, Granger!”. Sussurro
prudente, carezza sulle lacrime.
“Vuoi dire che… insomma che tu…”
“Sì Granger, vuol dire esattamente che io…”.
Ridere. Non si può far altro con lei. Tensione che evapora nella risata almeno
un po’. Tensione che ritorna per la risposta.
Non arriva risposta. Rimane in silenzio. Doloroso
silenzio.
Nuove lacrime, e sa già che sono diverse da quelle di
prima.
Espressione cambiata in un soffio di vento.
Lancinante freccia ferisce lo stomaco.
“Hermione, che c’è?”. Stringerla per la vita. Cercare i
suoi occhi. Non trovarli.
“Guarda che se non vuoi, non importa…”. Non è vero, importa
eccome.
Dita che stringono convulsamente il suo mantello. Affonda
il viso nel suo petto. Piange, ancora.
La stacca da sé. Come sempre, a malincuore.
Viso arso dal sale delle lacrime. Ma sorride, lei
sorride, come sempre. Risata acuta, ago sotto le sue unghie.
“Che cosa scriveremo sull’invito? Fedele Mangiamorte
sposa Valente Auror? E metteremo la clausola di non uccidersi durante il
ricevimento, ma solo fuori?”. Scherza. E piange.
Ora capisce. Stretta più forte sulle sue braccia.
“Draco, siamo realistici… tu sei un Mangiamorte ed io…”
parole soffocate dalle lacrime. Non va avanti, e lei parla sempre, anche nei
momenti importanti.
Sentirsene soffocato. Desiderare che lei parli, che dica
qualsiasi cosa, anche un “no”, ma il silenzio… morirne per ogni secondo che
continua. Pregare perché finisca… a qualsiasi prezzo.
“Se è solo questo il problema…” sussurro inudibile.
Raggi del sole di nuovo nei suoi occhi, mescolati a
quelli della luna. Solleva il capo. Viso luminoso di stelle e luna. E di altro.
Sorride, la conosce bene quella luce. Luce gemella alla sua. Capisce che ha
trovato la soluzione.
Tra poco… mai più silenzi…
“Hanno ucciso i miei genitori… hanno fatto del male ai
miei amici… fin quando c’è stato da giocare, era un conto. Ti ho messo in
pericolo per stare con me, ora non ne ho più voglia…”. Stretta più forte sulle
sue braccia. Tremore nella voce. Stringerla più forte, pregarla intensamente di
dargli quel coraggio che gli manca ancora.
“D’ora in poi, sarà tutto in salita, ma non mi interessa
se sarai ancora con me. Ho bisogno che tu mi renda migliore, come già riesci a
fare. Se deciderai di sposarmi, io…”. Voce spezzata, sguardo altrove. Non ci
riesce.
Quando finirà di parlare, niente sarà più come prima.
Lo braccheranno, cercheranno, tormenteranno. E lei con
lui. Già… però… lei con lui… lei sempre con lui…
“Draco…” un piccolo richiamo. Dita nervose sulla sua
mano.
Guardarla ancora, il petto che trabocca di luce. Lei… il
suo coraggio… lei, la sua forza. Lei, il vento che spinge altrove la sua nave.
Può ribellarsi al vento, lui, piccola barchetta? Certo che no.
“Domani verrò con te da Potter… gli dirò tutto…”.
Raggiante lei, piccola stella senza cielo. Splendi,
stellina, brucia questo stupido mondo del tuo calore e della tua luce.
Esplodi di colori, e fagliela vedere. Ti guarderò da
quaggiù, principessa del cielo.
Questo pensa. E sa come farla bruciare di luce.
“Da domani, qualsiasi cosa tu dica o faccia, io non sarò
più un Mangiamorte… sarò solo Draco Malfoy… e , se tu lo vorrai, sarò anche il
marito della piccola, insopportabile, Mezzosangue Granger…”.
Vola tra le sue braccia, meteora lucente. Farfalla di
luce spicca il volo.
Morde le sue labbra, lacrime dissolte sulle sue guance.
Ogni luce muore.
E lui si dice che le regalerà milioni di anelli.
Miliardi, se vorrà. E quello smeraldo cadrà per terra, nella polvere. Il
simbolo del legame di un Mangiamorte. Quello che lui non sarà mai più.
Mi viene da rimettere e mi
porto impercettibilmente la mano alla bocca. Ricordare il matrimonio con Pansy
non è una bella esperienza. E poi l’anello… la celeberrima sensazione…
Quando sposai Pansy, pioveva a
dirotto. Lo ricordo bene, le finestre ticchettavano d’acqua e non si vedeva
niente fuori. Né dentro, solo la tenue luce del camino che illuminava
fiocamente il salotto. Misi l’anello a Pansy e il Signore Oscuro, come simbolo
del nostro legame eterno, fece uccidere un unicorno e ci riempì una coppa piena
del suo sangue. Lo ricordo ancora quel liquido argentato che splendeva beffardo
nel bicchiere di cristallo; lo avevo visto solo un’altra volta, nella Foresta
Proibita, il primo anno. Imbrattava gli alberi e i cespugli.
“Hagrid, guarda! Scintille rosse! Gli altri sono in
difficoltà!”.
“Non pensi che gli sia successo qualcosa, vero?”.
“Se si tratta di Malfoy, non me ne importa proprio
niente, ma se capita qualcosa di brutto a Neville… in fin dei conti, se lui è
finito qui, la colpa è nostra…”. Eri davvero preoccupata, Granger? Anche per
me? O eri d’accordo con Potty?
Rido quasi, è abilissima a
trovare sempre una strada. Ovvio che l’abbia fatto anche adesso…
Pansy riuscì ad evitare di
bere il sangue con una scusa, io invece dovetti farlo.
Era la cosa più dolce che
avessi mai bevuto, meglio del vino o di qualsiasi altra cosa al mondo.
Scivolò nella mia gola con
facilità, rendendomi quasi ebbro. Lasciai la stanza che mi sentivo fortissimo
ed invulnerabile.
Sgattaiolai in camera mia e
corsi in bagno. Mi misi due dita in gola e vomitai tutto, fino all’anima. Me lo
ricordavo che diceva il Mezzogigante pulcioso… chi avrebbe voluto una vita
dannata, dopo aver ucciso la creatura più innocente fra tutte? Io non la
volevo ancora una vita dannata. Ora forse berrei un secchio pieno di
sangue di unicorno, se servisse a qualcosa. E non so nemmeno se capirei di
viverla una vita dannata. Da che cosa si capisce? Ti spuntano le corna,
la coda e il forcone? Ci devo proprio provare, magari cancella anche la maledettasensazione.
Quando mi ricomposi, decisi di
tornare alla festa che si teneva per il mio matrimonio. Incontrai Blaise nel corridoio.
Mi disse solo, gli occhi innaturalmente chiari: “Grazie… ora che è Pansy
Malfoy, nessuno la toccherà più con un dito…”. Agitai la mano con fare
noncurante, e tornai al banchetto, coronato dall’uccisione di Neville Paciock e
Luna Lovegood. Mi sentii male verso la fine, quel dannato sangue mi faceva un
effetto strano.
Pansy è stata una delle
prime Mangiamorte donna. La sua famiglia era ricca abbastanza, fedele abbastanza,
docile abbastanza. I genitori e la sorella Mildred morirono la notte di
Natale di quindici anni fa. Da allora, se ne sono fregati che fosse una di
noi. Ha il corpo pieno di cicatrici, più o meno visibili. Temo di più
quelle invisibili in verità: le prime, quelle che si vedono, sono solo
antiestetiche, le seconde invece l’hanno quasi fatta suicidare anni fa. L’hanno
ferita, picchiata, ridotta quasi alla pazzia, violentata. Intuibile che, come
sempre, non sappia il perché.
Sei mesi prima del nostro
matrimonio, l’hanno accoltellata all’addome. Non avrà più figli. Soffre ancora
di disastrose emorragie. Chiaramente ora non la toccano più, è mia moglie in
fondo. Ma sta con Blaise. Lui la ama molto.
Mia madre aveva sempre
torto.
Il sangue non conta niente,
anche se a sancire un’unione ci pensa il sangue di unicorno.
Anche quello puro, se
qualcuno decide che non sei poi così importante.
“Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporca Mezzosangue”.
Ah già, non conta nemmeno
quello impuro a conti fatti.
Pansy finalmente mi
risponde, mi ero quasi dimenticato che ci fosse.
“L’esecuzione, Draco… sta
per iniziare…”.
Sospiro annoiato, che razza
di scocciatura. Perché devo esserci anche io? Mi sento così tremendamente
stanco.
“Non sai perché il Signore
Oscuro vuole che ci sia anche io?” chiedo, finendo di vestirmi. Soppeso un po’
tra le mani la maschera argentata, prima di indossarla.
“No” nega velocemente. Troppo
velocemente, aggiungo. Quindi non è vero. Lo sa benissimo, ma non vuole
dirmelo.
La guardo, scuotendo il
capo, Blaise sa fingere molto meglio. Dovevano mandare lui a chiamarmi, non
Pansy. La vedo agitarsi e saltellare quasi sui piedi, freme dalla voglia di
dirmelo. Le do le spalle, sorridendo. Dieci secondi e mi spiffera tutto.
Continuo a fare le mie cose, poi la sento sbuffare di impazienza.
“Non vale la pena non
dirtelo, per quello che conta…” dice, giustificando il suo prossimo tradimento
davanti al tribunale della sua coscienza “Tanto per quello che importa, no?
Non potrai farci niente lo stesso…”.
“Già, già…” dico, ancora
soffocando le risate nella mia gola. Mi fa sempre morire dal ridere, Pansy.
Inconsapevolmente, certo… credo che se lo sapesse, se la prenderebbe molto
male. Egoista come è, troverebbe il modo di non farmi più sorridere in sua
presenza. Tutto per non darmi quella piccola parte di sé stessa in maniera così
gratuita. La stessa identica cosa che farei anch’io. È mia moglie, nonostante
tutto. E ci deve essere un motivo.
“Ma Blaise non vuole che te
lo dica adesso… ha paura che tu rovini tutto…” prosegue, giocherellando
con i suoi capelli come una bambina particolarmente capricciosa.
“Figurati che posso
rovinare a Blaise… qualsiasi cosa ha in mente, la rovinerà da solo… e poi non
hai appena detto che non posso lo stesso farci niente?”. Lei sorride, stavolta
sembra quasi sincera. Poi si rabbuia. I capelli scuri le coprono il viso, la
cicatrice sembra sparire. Se li scosta con un gesto della mano. Quando solleva
lo sguardo e mi guarda, ha gli occhi lucidi.
Mi fermo. Non ho più voglia
di ridere.
“Che c’è, Pansy? Dimmelo…”
le chiedo, guardandola e muovendo un passo nella sua direzione.
Sorride: “Ti voglio molto
bene, e Blaise anche… hai fatto tantissimo per me e per lui. Se tu fossi stato
un altro, se non fossi stato così generoso, io… chissà dove sarei… perciò…”, la
sua voce si spezza: “Draco, non fare niente di stupido, ti prego. Hai visto
cosa è successo ai miei genitori e ai tuoi? E a mia sorella?”, piange: “E a me?
Non sapremo mai di che crimini ci siamo macchiati. Non potremmo farci mai
niente…”.
Non mi piace questo
discorso, decisamente. Come non mi piace essere definito generoso due
volte nella stessa giornata, ed assolutamente senza spiegazione logica, né
effettivo merito. Decisamente preferivo che mi mandavano Blaise, non voglio
sentire che sta per dirmi. Non lo voglio più. Quei due a stare assieme sono
completamente partiti. Non avrei mai dovuto permetterlo.
“Pansy, che sta
succedendo?”, eppure non mi esimio dal chiederglielo. L’afferro per le spalle
controvoglia, l’acqua dei miei capelli bagnati scivola lungo il mio collo
assieme a sudore freddo.
Pansy esita ancora, ed io ancora
prego perché non parli.
Ma nessuno mi ha mai
sentito ed esaudito, quando mi metto a pregare.
“La Granger, Draco…”
sussurra “L’hanno presa stanotte… è lei che stanno per giustiziare…”.
Mi stacco dalle sue spalle,
fattesi improvvisamente roventi. O sono le mie mani che si sono agghiacciate?
Ghiaccio fuso nelle mie vene, lo sento persino nei capillari delle dita, del
naso e del labbra. Avanza sinuoso nel mio sangue, come un serpente dalla pelle
viscida e dalla testa triangolare. Animale a sangue freddo che si nutre del mio
già poco calore.
Faccio un passo indietro,
un altro ancora, e poi ancora un altro. Pansy parla, ma non la sento. Tutto
viene coperto da un ronzio forte ed assordante nelle mie orecchie. Vedo… grigio,
solo quel colore, l’assenza di ogni forma cromatica, persino il nero sarebbe
meglio. Forse l’iride dei miei occhi copre le pupille; evaporano i colori da
tutto, dai ricordi e dal presente, un quadro dalle tinte sbiadite dal tempo,
contorni incerti e macchie di luce, come fossero state bagnate dall’acqua.
Tutto non è altro che una serie di distorte immagini, Pansy, la mia stanza, il
mio riflesso. Ancora la mano sulla bocca, come se volessi vomitare, come se la
mia anima volesse scappare via. Draco sta cercando di scappare. Pansy mi
urla ancora qualcosa, ma è lontanissima. Lei è lontanissima.
Il fracasso nelle orecchie
aumenta a dismisura, la testa sta per scoppiare. Forse tra poco cadrò riverso
per terra in una pozza di sangue. Morto. È questo pensiero che mi fa prestare
attenzione al ronzio nelle orecchie. E c’è davvero tutto, stavolta. La sensazione
aveva il pregio di essere veloce, adesso è tutto sinistramente lento. Non passa
mai.
C’ètutto. Le parole sussurrate, quelle urlate,
quelle taciute, quelle aspettate, quelle temute, quelle soffocate, quelle
rimpiante, quelle sognate, quelle ilari. Quelle scivolate via, quelle che
pungono, quelle che fanno male, quelle che inquietano, quelle che fanno
arrabbiare, quelle che fanno ridere. Quelle baciate dalle sue labbra,
quelle schiacciate sulla sua spalla, quelle bisbigliate sui suoi capelli.
Quelle non dette… le parole non dette, contraddizione in termine. Non si
può non dire una parola. Eppure ci sono… ci sono ancora parole che le
voglio dire.
C’è tutto. E sento l’echeggiare dei suoi tacchi quadrati
sull’asfalto bagnato di una notte senza luna, sento l’incidere incerto, la
piccola insicurezza sulle gambe tornite fasciate dai pantaloni scuri, mentre se
ne va, avvolta dall’oscurità che ogni notte la porta da me.
E ancora sento il fruscio
delle sue labbra contro le mie, premere forte, aprirsi languide e richiudersi
veloce, il suo sapore di ciliegia, accarezzarle fino ad impazzire, fino a
sentirsi bruciato da un marchio insaziabile, la malattia di Re Mida, volere sempree non averne mai abbastanza.
E ancora ascolto il
silenzio dei suoi occhi, le onde dorate di luce che si accavallano l’una
sull’altra, mentre mi dice qualcosa di stupido, mentre ride, mentre mi dice che
ho torto marcio ed invece io le ripeto che ho perfettamente ragione, e alla
fine ha ragione lo stesso lei.
Ci sente inaffondabili,
fino al secondo prima dell’impatto con l’iceberg.
Ti glori di te stesso,
mostri i muscoli e i denti, sei invincibile, inaffondabile; ti ergi a re del
mondo sulla prua della tua nave, gridi al mare, urli al cielo, strepiti al
vento. Ti inebri di potere e sai che non finirà mai.
È impossibile che finisca,
niente del genere può finire. Dio non la conosce forse da miliardi di anni
questa sensazione?
Poi all’improvviso, sei
nell’acqua gelida, e non sai come ci sei finito. Anneghi fino alla gola, mille
lame nella carne, ghiaccio nelle vene più caldo del sangue. Rabbrividisci ed
annaspi, esule del paradiso, punito per la tua presunzione. Muovi le braccia e
cadi negli abissi, il respiro si taglia a fette, piangi e le lacrime si gelano
sulle guance, fanno male, rinunci all’idea di piangere. Non servirebbe lo
stesso. Raccogli ricordi e pensieri, e trovi carta bruciata dal mare. Si
sbriciolano nelle tue mani e non sei niente, solo un’ombra passata per caso su
questo pianeta. Hai pianto, hai gioito, hai vissuto in definitiva, e forse hai
anche amato. Ma questo non conta, sei meno della polvere, uno degli altri che
si illudono di aver avuto un qualche peso su questa terra. Il mare, il cielo e
il vento ridono urlanti di te.
Tutto ride adesso di me. Il
letto con il baldacchino, la dama nel ritratto, le tende di raso, lo specchio
con la cornice di ebano.
E la sensazione si
diverte anche lei. Offusca i contorni delle cose, li sbiadisce e li cancella
piano, lei sola diventa chiara e netta. Sorge come il sole, quel sole che non
esiste più. Arriva, fulgida e risplendente.
Mentre il ghiaccio blocca
tutto, lei scioglie i legacci, illumina le catene, le spezza tra le sue spire,
e poi libera Draco.
Alla fine ce l’ha fatta.
Dopo anni di lotta, ce l’ha fatta a vincere la sua eterna battaglia contro di
me.
Come è sempre accaduto,
sento nelle vene quel ghiaccio lasciare il posto alla lava, a lapilli
incandescenti che scorrono incendiando i miei tessuti. Sorrido, mentre Pansy mi
guarda stupita. Non capisce, come potrebbe? Ma io sì.E mi ritrovo a sibilare un: “Finalmente…”.
Lei… la mia forza e il mio coraggio… lei… a
rendermi migliore… non posso permettere che muoia.
Lei che sa anche fare
questo di me, trasformarmi nell’eroe che le hanno portato via dai suoi cieli
azzurri, quello che io non sono, e che anzi ho contribuito a fare fuori.
Hai ragione, mamma. Contro il
sangue non si va mai, non c’è Signore Oscuro che tenga.
Ed è lei il mio
sangue, è più vitale del sangue stesso. Impura, Mezzosangue… sanguesporco.
Ma è sempre sangue lei,
rossa e salata di vita. Sempre vita lei. Non le si addice la morte,
quella è fatta solo per quelli come me, non per quelli come lei. Per
gli angeli di questo misero mondo perso. Come l’Abbott. E chissà perché mi
torna in mente l’Abbott proprio adesso. E la trovo la risposta… perché, come
tutti gli altri che ho ucciso, semplicemente non se ne era mai andata.
Sbatto le palpebre un paio
di volte, recuperando il controllo di me stesso. Finalmente il ronzio sparisce,
le cose riacquistano i loro colori e i loro odori, e sento finalmente la voce
di Pansy, che dice affranta: “Sapevo che non dovevo dirtelo!”.
Tutto però adesso ha colori
più vividi, più intensi e più forti. Mi accecano, mi assordano le voci e i
suoni. Tutto si vela di una necessità urgente, tutto riflette quello che sento
dentro. Non posso permettere che muoia.
La maschera è caduta.
Non c’è più niente che attutisca
quello che c’è fuori, che lo faccia arrivare filtrato. E non c’entra
niente la maschera d’argento che mi ritrovo ancora a portare sul viso.
“Pansy, l’hanno portata nel
salone principale, vero?” le chiedo, afferrandola per le spalle.
“Draco, per favore… ti
faranno fuori… e non prima di avertela mostrata morire…” sussurra lei tra le
lacrime.
“Ti prego, Pansy… per
favore…” la imploro, ed ancora tutto mi assorda, attorno a me uno spettacolo di
luci e suoni.
Lei esita ancora e in
quella pausa le chiedo velocemente: “Blaise è lì vero? Che cosa ha in mente?!”.
“Ha fatto sì che non le
facessero del male…” la voce di Pansy è rimpianto puro. Forse si chiede perché
alla Mezzosangue anche Blaise abbia concesso il lusso che a lei invece è stato
ripetutamente negato, come una porta sbattuta in faccia con violenza, volta
dopo volta, in una sera d’inverno. Il suo tono torna incolore come prima,
mentre aggiunge: “Non lo so che cosa ha in mente Blaise, ma non vuole che tu
mandi tutto all’aria…”. Sospira ancora Pansy e la vedo sfilarsi il mio anello
dal dito. Poi me lo consegna nella mano destra, la sua è freddissima,
ghiacciata.
Amara, dice: “Questo non
serve ad una vedova…sono nella stanza al piano inferiore, quella delle
riunioni. Fa presto…”.
L’abbraccio forte. Vorrei
dirle qualcosa, ma non lo faccio. Tutto risuonerebbe come un addio, qualsiasi
cosa io dicessi. E non ne ho la forza e il coraggio. Lei, lontana, me ne
dà la quantità sufficiente per fare quello che sto facendo.
Lacrime sul suo viso. Piange ininterrottamente da ore.
Non sa il perché. Non osa chiederglielo.
Lacerante dolore in lei, lacerante il suo riflesso in
lui. Urla e si strappa i vestiti. Mani nei capelli opachi.
Lontana.
Ha paura e non fa domande. Come quando è davanti al
Signore Oscuro, e non chiede perché.
Solo che adesso il terrore è mille volte più angosciante.
Se questo è il vero terrore, allora non deve mai averlo
provato davvero…
Finalmente risposta. E capisce tutto.
“Hanno ucciso Harry e Ron stanotte… i tuoi amichetti li
hanno uccisi stanotte…”. Cantilena infernale sulla bocca della sua creatura
celeste.
Esco velocemente dalla mia
stanza, aprendo la porta e iniziando a scendere le scale in pietra. Mi assale
come un colpo sulla nuca la serie infinita di urla dei prigionieri catturati e
torturati nelle segrete. Fanno… male… incredibile... le sento solo
quando esco dalla mia stanza, cioè molto raramente. C’è un perenne Incantesimo
Insonorizzante sulla mia camera che mi impedisce di sentirle. Possibile che non
capissi perché non volessi sentirle? Perché le detestassi tanto? Perché ne
avessi tanto timore, disgusto, orrore? Possibile che solamente adesso abbia
capito?
Gelosia come una lama sottile. Avrebbe provato lo stesso
dolore, se fosse morto lui?
“Non lo sapevo…” sussurro inutile ed insensato, velato di
rimorso. Nell’ombra, dolore. Per lei.
Scendo le scale con foga, a
due a due, un secondo in più e sarò arrivato troppo tardi. Passano ai lati del
mio viso, stazioni leggermente illuminate su un binario deserto e oscuro, i
quadri preziosi che sono sulle pareti di pietra, alcuni animati, altri no.
Giallo oro, rosso rubino, azzurro zaffiro… la storia della mia famiglia. Mia
nonna Leonor, seduta in salotto; mia zia Bellatrix e mia madre Narcissa, sedute
su delle poltroncine di velluto nero; mio padre Lucius, ironia della sorte, che
guarda lo scoppiettare di un caminetto. Sono tutti morti. La stessa
folle luce negli occhi, la luce della rivalsa, dell’insoddisfazione, del
potere. La luce dei miei occhi, codardi come la polvere che seppellisce
tutti i morti della mia famiglia, codardi come i vermi che li circondano. E so
che la polvere e i vermi aspettano anche me. Con me, lapidaria promessa, scende
però nel terreno anche quella luce, compagna infida di ogni Malfoy. La luce che
ci ha ucciso muore con l’ultimo dei Malfoy. All’improvviso, lo percepisco con
sconvolgente certezza. Io sono l’ultimo dei Malfoy. E con oggi si chiude
la nostra storia. Vivere qui, aver permesso che Voldemort vivesse qui, averlo
persino ritenuto un onore, mi ha illuso che la mia famiglia ci fosse ancora,
fosse solo nascosta. Nascosta sì, nelle crepe dei muri, nelle
intercapedini dei ritratti, nello spazio tra il caminetto e il divano, sotto i
tappeti, nelle travi del soffitto. Ma la mia famiglia è morta. Tutta,
per Voldemort. E so che oggi morirò anche io, perché finalmente lo chiamo così.
Voldemort. Non c’è Signore Oscuro che tenga. Hai ragione, mamma, hai
sempre avuto ragione tu. Perdonami, mamma. Ti perdono, papà.
Guardami, mamma. Guarda
come ho imparato bene la lezione, anche meglio di te.
Tra poco passerò questa soglia e davanti a me ci sarà
il mio assassino. Sai chi sarà? Tom Orvoloson Riddle, il piccolo maniaco di
potere Tom Riddle. Non il Signore Oscuro. Non gli concedo nemmeno il privilegio
del nome Voldemort.
Hai ragione anche tu Blaise, ora la capisco anche la
tua nostalgia di Silente. Era l’unico che lo chiamava Tom.
Mia piccola Mezzosangue,
rido tra me e me, mentre apro la
porta lentamente Hai davvero ogni potere del mondo su di me.
Can’t get my eyes of you
La
prima cosa che sento, quando apro la pesante porta di legno finemente
intagliato, è l’odore di incenso che tenta di coprire quello del sangue,
versato da anni qui dentro. Un pietoso tentativo di non sentirlo, ogni
Mangiamorte odora del sangue che ha versato, può lavarsi le mani, ma quello
resta. Resta, anche contro un profumo alla ciliegia che non copre i lividi
causati da un marito… mia madre. Resta, anche contro una maschera che
non dovrebbe permettere di respirare e quindi di sentirlo… io.
Le
risate dei Mangiamorte. Acute e fastidiose. Mi perforano le orecchie.
Una risata ironica, triste, quasi canzonatoria. Gli
perfora le orecchie.
“Non lo sapevi…”. Non gli crede.
Una
folla confusa si trova nella stanza, ma chiaramente non riesco a riconoscere
nessuno. Indossano tutti come me la maschera d’argento dei Mangiamorte, e
stanno tutti in cerchio attorno ad un punto ben preciso. Che ci sia lei al
centro? Tento di sporgermi, ma le figure davanti sono troppo alte, e quindi non
riesco a vedere niente. Il terrore mi alita sul collo. Vedo solo Voldemort,
davanti al mio caminetto, con accanto Codaliscia e Barty Crouch Junior. Tutto è
cominciato davanti ad un caminetto trent’anni fa e tutto lì finirà. La breve
rinascita di Draco Lucius Malfoy si compirà lì. Voldemort ha il viso nascosto
da un pesante cappuccio nero, intravedo solo il saettare dei suoi occhi rossi.
I suoi occhi sono tersi dalla luce del fuoco del
caminetto.
“No che non lo sapevo, Hermione! Ieri sera ero con te, o
te ne sei dimenticata? E stamattina… sono andato a trovare mia madre…”.
Il sudore freddo mi imperla
la fronte, il pregio di questa maschera è che almeno nessuno se ne può rendere
conto. Le tende poi sono tirate e, a parte la luce del camino e quella
azzurrina dei Lumos alla sommità di alcune bacchette, non si vedrebbe lo stesso
niente. Figuriamoci un rivolo di sudore d’angoscia sulla fronte di un
Mangiamorte tra i più fedeli. Le risate proseguono, ma non sento urla e grida
di dolore.
“Tua madre? Sei andato al cimitero?”. Nonostante tutto,
preoccupata. La voce trema, ma pensa sempre a lui.
Pensa sempre a lui… nonostante le urla e le grida di
dolore…
“Sì… volevo vederla… non lo so… spiegarle… tutto questo…
sarei venuto da Potter tra un’oretta…”.
Mi sporgo alla disperata
ricerca di Blaise, voglio trovarlo prima che Voldemort mi veda. Se
effettivamente vuole che ci sia anch’io, mi cercherà finché non mi avrà visto
nella folla. Un attimo… perché vuole che ci sia anch’io? Possibile che
sappia di me ed Hermione? Sarebbe perfettamente possibile, lui sa tutto, sempre.
Che l’abbiano fatta parlare? No, non è possibile, Blaise ha fatto sì che
non le facessero niente. Devo trovarlo, subito. Prima che Voldemort trovi me… e
soprattutto prima che… accada quello che temo da anni, quello che credevo di
lasciare fuori dalla mia camera con un Incantesimo Insonorizzante. La paura di
sentirla gridare tra quelle voci sconosciute, la sua voce acuta orribilmente
mutata, rispetto alle sue vivaci grida di rabbia e a quelle soffuse di piacere.
Non mi sento molto razionale
al momento e, in questo stato, mi serve che qualcuno pensi per me. Devo stare
proprio male per affidare questo compito a Blaise Zabini.
Sobbalzo,
mentre mi sento stringere il braccio.
“Consolati! Puoi anche dire a tua madre che non hai
tradito la vostra preziosa causa!”. Voce stridula, folle, irrazionale. Non le
si addice. Sobbalza.
“Ma che stai farneticando?!”. La voce non sembra la sua.
Troppo acuta e stridula. Suo padre direbbe “da femminuccia”, ma preferisce
rimuoverlo.
“Draco…”,
respiro finalmente. Blaise. Mi guarda, soppesandomi con lo sguardo per
un lungo secondo. I suoi occhi sembrano sorridere, ma non riesco a distinguerlo
con certezza.Credo di aver perso la capacità di riconoscere nettamente
le cose, i miei sensi sembrano intorpiditi. La vista è nebulosa, e il maledetto
ronzio sembra essersi acclimatato perfettamente alle mie orecchie.
“Pansy
ti ha detto tutto, vero?” mi chiede in un sussurro affrettato, cercando di non
farsi sentire da nessun altro.
Annuisco con il capo, non
sono sicuro della mia voce in questo momento. Potrebbe risuonare troppo da
femminuccia.
Lo intravedo sorridere, per
poi rispondermi: “Ho fatto bene a dirle di stare zitta… così ero matematicamente
sicuro che ti avrebbe spiattellato tutto… piccola Pansy… meglio così,
abbiamo decisamente poco tempo… più ne risparmiamo, meglio è… ”.
“Vuoi aiutarmi?” gli chiedo,
guardando apparentemente al di sopra della sua spalla destra, simulando
disinteresse assoluto. Disinteresse, sì come no… il sangue mi sta ribollendo
nelle vene dal disinteresse.
“E’ovvio, Draco…” risponde
lui, alzando le spalle “Non che mi piaccia particolarmente farlo e la Granger
non mi è mai stata simpatica… però… credo di doverti dodicimila favori, e devo
iniziare a ripagarteli, no?”.
“Hai qualcosa in mente?”
chiedo senza giri di parole. Non credo che mi debba nulla, ma meglio
approfittarne…
“Diciamo di sì… comunque una
cosa non è affatto ovvia… che vuole fare Draco? Liberarla?” mi dice,
avvicinandosi in tono cospiratorio. Le risate stanno aumentando ancora di più.
La pelle sembra accartocciarsi dai brividi.
“Non sto farneticando, non trattarmi da stupida! Sto
dicendo la verità, Draco, dannazione!”. Urla con tutte le sue forze lei.
Stridio su una superficie liscia. Gli fa male, accartoccia la pelle.
“Ovvio”
rispondo velocemente, senza esitazione. Oggi sembra la giornata dell’aggettivo ovvio.
Sorride ancora Blaise, mi
infastidisce come sempre, ma forse è l’ultima volta che lo vedo, quindi glielo
concedo.
“Bene” aggiunge in tono
scherzoso “Ho un piano… l’avrei attuato lo stesso, anche se tu non fossi
venuto, ma ero abbondantemente sicuro che ci saresti stato…”. Mi arrendo anche
questo, alla consapevolezza che il suo piccolo esperimento su di me sia
riuscito perfettamente.
“E quale sarebbe la verità, sentiamo, Granger…”. Tono beffardo
di ere ed ere fa. Non riesce ad evitarselo. Il sangue Malfoy reclama
quell’ultima difesa, la difesa di una roccaforte contro un mondo che agita
bandiera bianca.
“Dimmi, ma fa presto…”
“La Granger non c’è ancora,
Draco… è nelle celle… la porterà qui Pansy…” mi risponde Blaise, circospetto.
“Non chiamarmi Granger! Non lo sopporto!”. Ancora urla.
Viso in fiamme, e le fiamme ristorate dal mare salmastro di lacrime crudeli.
“Ma lo vedi come stai?! Sei sconvolta, non sai neanche tu
che stai dicendo… ascoltami, adesso calmati e riposa. Ne parliamo più tardi…”.
Abbasso gli occhi e sospiro
di sollievo. Anche le risate sembrano attenuarsi nella mia mente.
Recupero il controllo di me
stesso, e formulo la domanda che ho nella mente da quando Pansy mi ha detto che
l’avevano catturata. Non è di vitale importanza, ma devo sapere.Il mio grande errore negli anni è stato non
voler sapere. Non sapendo, chiudendomi gli occhi, mi privavo la possibilità di
fare qualcosa.
Ora invece è diverso. Che sa
Voldemort? Me lo chiedo senza sosta.
Ha potere, perché sa tutto,
non perché ha tutto. Quella è una diretta conseguenza.
Sono stato impotente, perché non
ho mai saputo niente, non solo perché la vita mi ha tolto lei, il mio
tutto. Quella era una causa scatenante.
Mi schiarisco la voce e
chiedo: “Blaise, tutti questi anni… io…”, esito, poi prendo forza. Sono
perfettamente sicuro che Blaise sappia già tutto. Per questo, anche Blaise ha
tanto potere su di me. Perché sa.
“Come hanno fatto a
catturarla?” sputo finalmente fuori.
Lui sospira con aria
impaziente: “Sapevo perfettamente delle tue piccole strategie e dei tuoi piani
diversivi, Draco…”, ecco, come volevasi dimostrare “In questi ultimi dieci
anni, da quando vi siete lasciati, hai fatto di tutto per proteggerla, per far
sì che non la prendessero… segnali discordanti, false piste, testimonianze
sbagliate… ha funzionato per fin troppo tempo, ma come vedi, non poteva durare
per sempre …”.
“Credevo fosse al sicuro…”.
Lui mi stringe forte il
braccio: “Svegliati Draco… era questo che cercavo di farti capire con il mio
discorsetto di stamattina. Niente è al sicuro a questo mondo. Né io, né
te, né Pansy, né tantomeno la donna che ami da tutta una vita. Lo vedi cosa
siamo? Semplicemente noi quattro? Una Mezzosangue, amica di Potter. Una
Purosangue, fedele da generazioni. Il figlio di Lucius Malfoy, il figlio della
puttana dei Mangiamorte. E siamo tutti sulla stessa barca… forse oggi morirà la
Granger ed era una Mezzosangue. Ci racconteremo questo come scusa. Poi domani
morirò io, e che cosa ci racconteremo? Che mia madre non ha fatto bene il suo lavoro?”.
È la prima volta che parla
così di sua madre. Così… onestamente. Davvero siamo ad un passo dalla
fine.
Mi stacco da lui, quasi con
uno strattone, una reazione inconscia di difesa, la sua voce come sempre mi ha
sconquassato i neuroni.
“Non ci sarà un più tardi, Draco”. Voce che spezza ogni
pensiero, catene arrugginite sotto una mannaia affilata. Dimenticarsi come si
fa a respirare. Credere di non averne un granché bisogno in quel momento.
“Che stai dicendo? Mi vuoi spiegare di che diamine stai
parlando?!”.
“Questa cosa deve finire. Qui, adesso… non posso andare
avanti così…”.
“Così, come?”.
“Comunque…”
riprende Blaise, la sua voce da irata è tornata normale. Guarda di sottecchi
Voldemort e gli altri due accanto a lui, accertandosi che non ci abbiano visto.
Poi prosegue: “Ho un piano… e decisamente non può fallire…”.
Inarco un sopracciglio: “E
perché non può fallire?”.
“Perché è l’unico che
abbiamo…”.
“Immaginavo che fosse questo
il motivo…”.
“Comunque, può davvero
funzionare… ricordi quale è il più grande punto debole del nostro grande e
potente Signore?”.
Accentua le ultime parole con
sprezzante e disillusa ironia. Forse se avesse il viso scoperto, potrei anche
cogliere una smorfia di disgusto sul suo viso. Come sia riuscito a sopravvivere
tutti questi anni, è ancora un mistero.
“No che non lo so…” replico,
non credo che Voldemort abbia un punto debole tanto visibile. A parte gli
Horcrux ovviamente, ma Dio solo sa dove sono nascosti. Ci ha provato San Potter
a trovarli e si è visto com’è andata a finire.
“Oh sì che lo sai… te ne sei
solamente dimenticato…” aggiunge in tono chiaramente saccente, nonostante
stiamo ancora parlando sottovoce.
Sbuffo: “Ti vuoi dare una
mossa ed aprire quella fogna di bocca che ti ritrovi?!”. Mi ritrovo a
sorridere, mentre dico: “Certo che è strano… siamo ad un passo dalla morte e
riesci ancora a farmi incazzare…”.
“Parla per te…” fa lui offeso
“Ci sarai tu ad un passo dalla
morte, non certo io…”.
“Bè allora?!”.
“Allora, che?!”.
“Il piano, Blaise!”.
“Ah sì… ti dico solo due
parole… magia bianca…”.
“Magia bianca…” ripeto tra me
e me pensieroso “Tipo quella che proteggeva Potter? Quella che gli aveva
lasciato sua madre, morendo?”.
“Esattamente…” risponde lui
sottovoce, meno male che gli altri Mangiamorte stanno pensando a tutt’altro,
altrimenti avremmo già fatto une bella fine. Stiamo praticamente tramando alle
spalle di Voldemort… mi correggo, non alle sue spalle, davanti ai suoi
occhi.
Prende
fiato e prosegue: “Non ti garantisco cose definitive, né tantomeno durature… ma
ti garantisco tempo… tempo per scappare…”.
“Scappare?!” chiedo
soprappensiero. Non l’avevo minimamente contemplato nelle mie opzioni.
“Certamente io e Pansy
scapperemo…” risponde lui “Va bene la generosità, ripagare favori e tutto il
resto, ma è una bella occasione anche per me e per Pansy. Tu che vuoi fare?”.
“Io li ho traditi, Draco. Ho tradito Harry e Ron per
stare con te. Me ne sono fregata di tutto. Di loro e della nostra amicizia. E
sono anni che… sono anni che mi nascondo… i-io non li ho mai detto niente di
te, nemmeno quando ti aiutavo e ti medicavo nella Stamberga Strillante. Mio
Dio, quanto tempo è passato da allora! E in tutto questo tempo, loro… loro non
sapevano niente, loro non sospettavano niente… io stavo con loro, e…”. Parole
monche. Lacrime che annebbiano i pensieri di lei.
“Sono cose vecchie, Hermione, che c’entra adesso?! Oggi
tu… oggi noi… glielo avremmo detto… non è colpa nostra, se sono morti… è… la
guerra…”. Incertezza su quella parola tanto infida. Si è insinuata fredda nelle
loro parole, serpente dai denti aguzzi. Li sta facendo a pezzi.
“E chi la fa la guerra? Non siamo forse noi? Anche io e
te? Ho ucciso Mangiamorte, tuoi amici, e tu hai ucciso Auror, miei compagni.
Come speriamo di uscirne? Con che presunzione abbiamo pensato di essere diversi
da loro? Di poterne uscirne, io e te?!”.
Tono maledettamente convinto. Esita. Sa perfettamente
come vincere, come sempre. Continua lei, la voce più alta, le lacrime più
disperate, il viso più rosso.
“Svegliati, Draco! Possibile che tu non capisca?! Noi due
non siamo niente, niente di niente! Che abbiamo più di loro? Niente! Harry
aveva una profezia a proteggerlo, e noi? Nulla! Nulla!”.
Rimango
in silenzio. Scappare… mi guardo attorno, la mia casa, i luoghi che mi
hanno visto nascere, dove è vissuta la mia famiglia. È qui che avrei desiderato
morire. Nascere, vivere e morire qui.
Scappare…
non c’è il pensiero dell’impossibilità della cosa, della difficoltà che ben
tre Mangiamorte scappino con una prigioniera. Non c’è la mancanza del coraggio,
la paura di essere scoperti, il terrore per me, per lei e per i miei due amici.
C’è
solo la profonda consapevolezza che oggi la storia finisce. Oggi è il grande
giorno
Non
ho potuto scegliere come nascere. Non ho voluto scegliere come vivere.
Mi voglio almeno preservare la scelta della mia morte.
Oggi
so di poterlo fare.
Non
potrei accettare una morte diversa da questa. Sono vissuto da assassino, morirò
da eroe. Non è una bella novità?
Sento
gli occhi pizzicare e il respiro diventare più veloce, nonostante quello che ho
pensato e mi sono detto.
Sono
sempre un codardo Serpeverde in fondo. Sono sempre un Mangiamorte, in fondo.
Come
un gattino che indossa le spoglie di un leone, come il corvo della fiaba che si
mette addosso le piume della gazza. Sospiro più forte. Per una volta, sia
benedetta questa maschera maledetta da Mangiamorte.
“Hermione, io oggi sarei venuto da Potter… oggi avrei
smesso di essere un Mangiamorte…”. Tono quasi accondiscendente. Ultimo vano
tentativo. La priorità su tutto: non farla andare via.
“Credi che sarebbe cambiato qualcosa? Una minima cosa?
No! Non che non sarebbe cambiato niente… ascoltami per piacere…”.
“Ti sto ascoltando…”. E mentre dice questo, sa già di
aver perso.
“Ho
capito…” mi dice Blaise, la voce leggermente malferma.
“Forse lei non mi permetterà
di farlo…” aggiungo e, dopo anni, riscopro una nota quasi… dolce… nella
mia voce.
Blaise mi mette la mano su
una spalla, mentre mi dice piano: “Non ti preoccupare… me la trascinerò di peso
se sarà necessario…”.
“Grazie Blaise…”.
“Dodicimila favori, ricordi?”
mi fa lui ironico “Non vorrai perseguitarmi per tutta la vita da fantasma?!”.
Certamente se diventassi un
fantasma, non sarebbe lui quello che perseguiterei… povero illuso…
All’improvviso, sento tutti i
miei muscoli irrigidirsi, compreso il cuore, che alla fine è sempre un muscolo
anch’esso.
Voldemort si è mosso e mi ha visto.
“Va da lui…” mi sussurra
Blaise, voltandosi per tornare indietro “Fa finta di niente… ci penso io al
resto… non farti scoprire…”. Rabbrividisco leggermente, mentre si allontana. Il
bagliore di quei due folli occhi rossi lo sento sulla mia pelle. Sembra
scrutarmi fin dentro all’anima, fino ai pensieri più intimi e nascosti. Forse
sta già intuendo che cosa ho in mente. Non è forse un Legilimens? Il migliore
al mondo? Sorriso amaro.
E io non sono certamente il
migliore Occlumante al mondo. È decisamente uno scontro impari.
Comunque ho ancora qualche
freccia al mio arco. Sono uno dei migliori attori sulla faccia della Terra.
Recito da anni davanti a lui. E se sono ancora vivo, vuol dire che ha
funzionato. O che evidentemente aveva bisogno di me.
Sia come sia, oggi non
dovrebbe essere diverso, non dovrebbe essere cambiato niente. E se è cambiato
qualcosa… non credo di volermi porre adesso il problema…
“In questi mesi, in questi anni… quando incontravo Harry
e Ron, parlavamo… di Hogwarts e dei nostri ricordi… di come Luna fosse sempre
così assente, di come Neville fosse sempre così imbranato, di come Lavanda
fosse sempre così truccata e cose simili. Ridevamo sai? E poi ricordavamo voi,
gli altri. La Parkinson, Tiger, Goyle, Nott, Zabini… e te, il principe delle
serpi. Harry sai che faceva? Si dispiaceva. Diceva che tu non volevi uccidere
Silente, ma che Voldemort ti ricattava. Lui sperava, Harry sperava sempre che
tu saresti passato dalla parte giusta, che saresti cambiato. Ron ovviamente non
era d’accordo. Come sempre, io mi mordevo la lingua per non parlare, per non
dire che Harry aveva ragione. Che tu eri cambiato, che stavi con me, che ci
saremmo sposati. È successo anche ieri sera, e stavo per dirli tutto, ma poi ho
pensato che sarebbe stato più giusto, se lo avessi spiegato tu. Stamattina,
mentre pensavo a loro, a quanto abbiamo condiviso, ho ripensato ad Hogwarts. E
a te. Al ragazzino biondo che mi chiamava Mezzosangue ogni volta che mi vedeva,
al Cercatore di Serpeverde che commetteva falli su falli, al giovane uomo che
camminava impettito nei corridoi, maltrattando tutti e guardando il mondo con
aria di eterna sufficienza. Mi sono detta che tu eri cambiato, che ora sei un
altro. E poi mi sono raggelata, Draco. Perché tu in realtà non sei cambiato di
una virgola…”. Sputa fuori tutto il veleno dalla sua vita. Sputa lui fuori
dalla sua vita.
“Ti rendi conto di che cosa stai dicendo?! Mi stai
dicendo che io sarei ancora quella persona?! E lo sai meglio di me che non è
così…per te, io…”.
“Per me, cosa?! Eh, cosa?! Cosa hai fatto per me?!
Niente! Niente! Sei rimasto da quella parte, Draco! Dalla parte di quelli che
per sempre mi avrebbero chiamato Mezzosangue, di quelli che hanno ucciso i miei
due migliori amici, di quelli che hanno catturato Ginny!”.
“Draco…”
lo sento dire a mezza voce. Immediatamente la folla confusa tace, come un solo
e grande oceano silente, smettono di parlare e si voltano a guardarmi. Chiudo
gli occhi, concentrandomi, poi li riapro, abbasso il capo in modo cerimonioso
ed attraverso la stanza, fendendo la folla in due ali. Tutti provano timore per
Draco Lucius Malfoy; il paradosso è che adesso, per la prima volta, ho io
paura di loro. Da bambino avevo sempre un terrore assurdo delle maschere dei
Mangiamorte e dei loro mantelli neri. Quando li vedevo, piangevo; me lo
raccontava mia madre, quando lei e mio padre si lasciavano andare malinconicamente
ai ricordi del loro Oscuro Signore. Quando Lui era scomparso, io avevo quasi
due anni, e fino a quel momento mio padre aveva sempre la bella idea di
portarmi ai raduni dei Mangiamorte. Non a vedere una partita di Quidditch, non
a giocare a Scacchi Magici, non a Diagon Alley a prendere un gelato, no; ai
raduni dei Mangiamorte. Per vedere folli che inneggiavano, assassini che
ridevano e vittime che piangevano. E poi si meravigliano del fatto che sono
diventato un Mangiamorte… e dovrei anche sentirmi in colpa…
Congelo
nella mia mente la paura infantile che inspiegabilmente è risorta, e continuo a
camminare, attraversando il salotto.
I
miei passi sono i soliti; sicuri, ampi, solo leggermente più incerti. Sono
molto fiero di me.
Arrivato
davanti al Signore Oscuro, abbasso ancora leggermente il capo. Nessun inchino,
tantomeno un bacio cerimonioso sulla sua mano guantata di nero. Non se ne parla
proprio.
Codaliscia
e Barty Crouch mi guardano malevoli. Si sono sempre chiesti perché Voldemort
fosse tanto benevolo con me.
Tranquilli,
non lo so nemmeno io, considerando poi che ha fatto fuori entrambi i miei
genitori senza pensarci…
Ma
adesso non è il momento per recriminazioni e domande inutili. La sola domanda
che ha davvero importanza è: Quanto Voldemort sa?
“Te
la sei presa comoda, eh?” mi dice Voldemort in tono quasi scherzoso. Se ci
fosse stato rimprovero nella sua voce, non sarei più vivo.
“Vi
chiedo perdono, mio Signore…” accenno ancora ad un movimento del capo. È
difficile farlo, sto lottando con l’improvviso stimolo di rimettere. Dato che
sento ancora il fuoco rosso dei suoi occhi sul mio viso, mi affretto ad
aggiungere in tono casuale: “L’Abbott mi ha dato un po’ di problemi… ma li ho risolti…”.
Blaise ha ragione. Niente è più al sicuro a questo mondo. Spero almeno che nell’altro
mondo saremo tutti al sicuro. Scusami comunque, Hannah… ma, come si
dice… mors tua, vita mea… e tu sei già bella che morta…
Finalmente
Voldemort ride, accolgo la sua risata con sollievo. Sì, mi fa rizzare i capelli
sulla nuca, ma meglio che ride piuttosto che faccia altro… tipo, non lo so,
uccidermi, scuoiarmi, polverizzarmi o torturarmi fino alla follia. O tutte e
tre le cose assieme.
“Perché
mi avete fatto chiamare, mio Signore?” chiedo senza troppi giri di parole.
Barty
e Codaliscia spalancano gli occhi quasi scioccati dalla mia audacia, mentre
percepisco solo una breve risatina di Voldemort.
“Sei
curioso?” mi chiede, sogghignando. Stiamo praticamente giocando al gatto con il
topo. E chiaramente non sono io il gatto.
Mi
limito a rimanere in silenzio. Mossa sbagliata.
Intravedo
le sue narici piatte e livide, da serpente, fremere. Si è arrabbiato.
Codaliscia e Barty sghignazzano.
Che
razza di faticaccia, non so se sia meglio la sevizia da Cruciatus o la tortura
mentale…
“Certo
che lo sono, Mio Signore…” sospiro stancamente “Sembravate desideroso di
condividere questa esecuzione con me…”.
Il
fremito si è attenuato. Respiro di sollievo, ad occhio e croce ho ancora
qualche minuto di vita.
Nella
folla che ascolta silenziosa attorno a noi, con il fiato quasi sospeso, scorgo
una figura che si accuccia in un angolo. Blaise è al suo posto. Iniziamo il
bluff del secolo.
Accentuo
la mia voce sul tono più lezioso ed adorante che mi esce fuori. Quello di tutta
una vita, insomma.
“Chi
sarà giustiziato oggi, mio Signore?”.
“Come?
Non lo sai?” risponde inopportuno come sempre Codaliscia, lisciandosi il viso
con le lunghe unghie grigiastre.
Stringo
i pugni con rabbia e nervosismo. Con lui non ho nessun genere di obbligo. Lo
posso usare come valvola di sfogo. In fondo potrei farlo fuori bendato, con le
mani legate e i piedi attaccati al suolo. Schiocco la lingua infastidito: “No
che non lo so, razza di scherzo della natura… altrimenti ti pare che l’avrei
chiesto?!”.
Codaliscia
si ritrae a disagio, mentre Voldemort ride e risponde al suo posto. Credo che
ci godrebbe molto a vederci combattere tra di noi, come due cani randagi in una
lotta clandestina.
“Stiamo per giustiziare Miss Granger…” aggiunge ironico.
Ha scoperto l’ironia da un paio d’anni. Ed è patetico, decisamente. E poi
dicono che il potere non dà alla testa…
Scoppio
a ridere, spero che la mia risata non risulti forzata: “Davvero? Non sa che
enorme gioia mi dà oggi, mio Signore!”.
“Lo
so, lo so… non l’hai mai potuta sopportare, vero Draco?”.
“Ma oggi io sarei venuto da Potter, insomma, Granger!”.
Ultimo disperato tentativo.
“E perché non l’hai fatto prima? Perché non ne eri
convinto! Perché evidentemente non mi amavi abbastanza per farlo!”. La più
grande bestemmia che abbia mai sentito.
“Non ti azzardare a dire una cosa del genere!”. Urla con
tutto il fiato che gli rimane in gola.
“Sì,
mio Signore…” mi affretto a replicare, mi sono estraniato fin troppo
“Mezzosangue e Grifondoro? Non so cosa sia peggio… se poi si aggiunge che era anche
la migliore amica di Potter…”.
“Ed invece lo dico, eccome! Se fossi passato prima dalla
nostra parte, forse Harry e Ron adesso…”. Voce spezzata, rimpianto gelido
contro freddissima realtà accaduta.
Lui ancora ride ed avrei
voglia di spaccargli la faccia. Proprio così, come un dannatissimo e schifoso
babbano. Credo che ci sarebbe molta più soddisfazione nel piegargli con le mie
mani quel ghigno di superiorità e quell’espressione di potere su ogni maledetta
e singola vita.
Comunque so benissimo di non poterlo fare. Quindi mordo le
labbra a sangue e me ne sto fermo. Dolore che scaccia il precedente, pallida
consolazione, palliativo e placebo… a volte anche mio padre ha ragione.
“Non avrei potuto fare niente e questo lo sai meglio di
me”. Risposta rassegnata. La solita per ogni occasione.
“Secondo
me, il peggio erano proprio i suoi genitori…” ride sguaiatamente Barty “Babbani
fino al midollo… che schifo, chissà che fine avranno fatto… ma in effetti che
fosse anche la migliore amica del Ragazzo-che-NON-è-sopravvissuto… bè, è una
bella lotta!”.
“E chi te l’ha detto? È la stessa balla che tu ti
racconti per i tuoi genitori?!”. Voce che sferza l’aria. Vento nelle sue
orecchie. Fischia senza sosta, sale sulle ferite, lei che è sempre stata miele.
Non la riconosce.
Forse per quello che la schiaffeggia con tutte le sue
forze, fino a farla barcollare.
Ma quando solleva gli occhi, capisce il suo errore.
Capisce che non c’è più niente da fare.
Di fronte a lui, lei appoggia la mano sulla guancia
arrossata. Spalanca gli occhi e, nonostante tutto, lei è davvero meravigliata.
Occhi color oro brunito. Occhi lucenti e splendenti, sole
nelle nuvole grigie dei suoi.
Occhi di dolore. Occhi che piangono lacrime nascoste.
Milioni di lacrime nascoste.
Occhi alla fine anche soddisfatti. Occhi che sembrano
dire la frase che lei direbbe sempre… te l’avevo detto, io!
È davvero lei.
“Voglio che tu te ne vada… vattene, vattene via!”. Folle
Erinne, folle vendicatrice dei torti altrui, prima che del suo dolore.
“No, Hermione… aspetta…”. Ultimo paletto che si fa a
pezzi contro il suo volto sconvolto.
Voldemort
ride ancora, accompagnato da Codaliscia e Barty. La leggera ombra nell’angolo
del mio campo visivo di Blaise mi impone di ridere a mia volta. Mi faccio
enormemente schifo.
“Vattene! Non hai salvato i tuoi genitori, perchè
dovresti fare lo stesso un giorno per me? Non sei cambiato, non sei mai
cambiato, e io stupida che ci credevo anche di essere l’artefice del grande
cambiamento di Draco Lucius Malfoy! Ora vedo tutto con infinita chiarezza! E
vedo anche dove mi stava portando questa cosa! Alla morte! E nel tragitto ha
pensato bene di portarsi via Harry e Ron! E loro erano tutto per me! Tutto!
Dove eri tu, quando c’erano solo loro due? Te lo dico io! A farti marchiare il
braccio, ecco dove! Non cambierai mai, sarai sempre un Mangiamorte. Per sempre,
e io non ci posso fare niente. Non ci voglio più fare niente, e questo fa tutta
la differenza di questo mondo. Sei stato per anni con coloro che mi avrebbero
volentieri ucciso! Non ci posso pensare… e l’ho capito solo ora. E mi reputavo
anche una persona intelligente…” un silenzioso mormorio, ancora lacrime.
Alla fine arriva la condanna.
Nessun imputato può sottrarvisi.
Colpevole od innocente. E lui è sicuramente colpevole.
“Vattene adesso… non ti voglio vedere mai più…”.
Mi
faccio schifo. Come se mi guardassi dall’esterno e vedessi una cosa che non
dovrebbe nemmeno esistere, una bestemmia incarnata, quello che vedo da fuori,
quello che sono sempre stato… ora, invece, io… sono davvero cambiato?
“Ti prego
aspetta, non può finire tutto così… lo sai che mi stai facendo? Mi stai
uccidendo…”. Disperato, come la prima volta che la vide davvero, alla Stamberga
Strillante, mentre gli medicava le ferite.
Bellissima parentesi che si chiude. Cinicamente si
direbbe: - E’ stato bello finché è durato-. Ma non ce la fa a dirselo. È
durato… tempo verbale passato… riusciva a coniugare lei solo al presente ed al
futuro nella declinazione della sua vita. E, senza accorgersene, parlando di
lei, ha già usato il passato.
“No… non credo di averne il potere, né la capacità e
tantomeno la forza… anche se forse dovrei farlo… addio… Malfoy…”. Luce di
smeraldo splende nella sua mano. Gli ha ridato l’anello. Lo stringe nelle mani
convulsamente, il freddo del metallo non deve tornare. Per sempre, l’ultimo
calore di lei. Stringe forte l’anello, diventa tiepido e si illude che non sia
solo il suo di calore. Lei è andata via. Ora non più vento. Solo smorta e
inconsistente aria che vibra del suo cognome maledetto. Lo mette in tasca.
Indossa la sua ultima maschera ed apre il sipario.
Si prevedono molte repliche. Dieci anni di repliche.
Andrà per la maggiore quello spettacolo.
La sua prima battuta, quella d’esordio, la conosce alla
perfezione.
“E’ stato bello finché è durato…”.
Sbatto le palpebre un paio di
volte.
È
arrivata la prova del nove.
Hermione
sta entrando.
Sento
il cigolare dell’ampia porta di metallo, quella che conduce alle segrete.
Chiudo gli occhi e nella mia mente distendo la mano davanti a me, come se la stessi
aprendo io quella porta, quella stessa porta che volevo aprire io davanti a lei
il giorno in cui sarebbe entrata per la prima volta in questa casa.. Farfalle
di luce invadono i pensieri da quella fessura aperta, svolazzano lievi, e per
un attimo non vedo niente. Tutto è troppo bianco. Troppo bianco.
Bianco
come lei. Rimango con gli occhi chiusi, le risate, le urla e le voci sono solo
onde perfide nelle mie orecchie.
La
mia fantasia vola, viaggia, libera i miei occhi dall’onere di dover vedere lei.
Perché
so cosa mi aspetta.
La
vedo emergere piano dalla luce, e non conta se le segrete sono buie, se in
questa stanza c’è solo la luce del caminetto, se il sole non esiste più. Lei è
la luce, il sole, la vita e spazza via questo buio, questa notte, questa morte.
Come
in un ideale crepuscolo, abbiamo un solo secondo per incontrarci. Perché lei è
il sole e io sono la luna, e non c’è dato stare assieme.
E
questo è il crepuscolo. Della mia vita e della sua.
Avanza
piano, irresistibile raggio di sole. Si eleverà contro chiunque la circondi
come una statua di pietra orgogliosa ed altezzosa. I suoi passi sono lenti,
misurati, leggeri, sembra che scivoli sul ghiaccio, pattinatore esperto.
Ha
il mento sollevato in alto, gli occhi asciutti e solo leggermente rossi, le
labbra vermiglie serrate in una smorfia di disappunto regale. Regale, come la
principessa che è. Il collo bianco sfavilla nella sua stessa luce, le spalle
sono aperte e fiere, il petto quasi proteso in avanti. Tintinnano come
campanelli i riccioli mentre cammina piano, bronzo colato, le fanno da cornice
al viso dorato. La immagino la sua espressione e la traduco in parole. È la
sola cosa che non è mai stata di Voldemort, la sola cosa al mondo che non ha
mai avuto, assieme all’Eroe Potty e al Cavaliere Impavido Weasley. Morti loro
due, rimane lei sola, la Regina Mezzosangue. Oggi finisce anche l’ultimo limite
di Voldemort. Ha anche il trio dei miracoli. Ma lei avanza lo stesso con
quell’espressione orgogliosa e prende tutti in giro, me compreso che non l’ho
avuta mai e mi sono illuso che fosse mia. Non mi avrete, sembra dire, la
sola che mi avrà sarà la Morte.
Ricopre
tutto d’oro con la sua sola presenza, re Mida di questo compassionevole mondo
perso.
Sento
i suoi passi assieme a quelli di Pansy ticchettare sul marmo duro, si stanno
avvicinando.
Ho
negli occhi l’immagine di una madonna rinascimentale, ricoperta di oro giallo e
rubino.
E
poi apro gli occhi. E non riesco a smettere di guardarla.
Non
è Hermione. Non può essere Hermione.
Il
Mangiamorte sa perfettamente cosa vede. Una come le altre.
Il
problema che Draco è perfettamente d’accordo con lui. È una donna ferita
come le altre. È una donna torturata come le altre. È una donna violentata come
le altre. È una donna morta come le altre.
E
lei non dovrebbe essere le altre. Assolutamente.
Annego.
Boccheggio e non respiro. È lei l’ossigeno, era lei l’ossigeno. Morirò
pur di non respirare questa… cosa… che non può essere lei. Se eri
ossigeno, ora sei monossido di carbonio. Se eri vento, ora sei tempesta di
sabbia. E io morirò pur di non respirare te. Mi sento Giuda e tu incarni il
tradimento. Ti bevo da anni a piene mani, calice amaro di fiele, e solo ora
sembro accorgermi quanto tu non mi disseti, ma invece bruci la mia gola. Bevo
te e muoio. Tradisco Voldemort per te, sono un traditore per te. E tu non
dovresti essere questa cosa piccola e deforme che mi è stata buttata ai
piedi.
Sei
rimasta a terra, raggomitolata, stringendo qualcosa al petto. Sollevo gli occhi
su Pansy quasi come se le chiedessi spiegazioni. Lei fa spallucce e si volta,
andando via. Raggiungendo Blaise.
Vogliamo
liberare questa cosa, già. A costo delle nostre vite.
Desideravo
morire, ed ora che non sei che una bambolina di stracci, voglio disperatamente
vivere. Vivere come un Mangiamorte, ovvio.
Non
vali questo sacrificio.
Rimane
con la faccia premuta al suolo, Voldemort ride assieme a Codaliscia e Barty. I
suoi capelli sono una zazzera disordinata e sporca. Sono bui, sono… neri...
Hermione aveva i capelli dell’autunno. E questa invece sembra la parodia
della morte.
Sta
piangendo. Piange, un rantolio sommesso giunge dalle sue braccia incrociate e
serrate.
Ferisce
le mie orecchie, come lo stridio su una lavagna. Odio che le persone
piangano. E lei non piangeva mai.
Sono
tentato di AvadaKedravizzarla all’istante; forse Voldemort me lo chiederà…
forse voleva che la uccidessi per porre fine a questo mio supplizio… vederla e
sapere che non è più lei…
“Mi
guardi almeno in faccia, Miss Granger…” sospira iroso Voldemort, mentre le
imprime un calcio violento sul viso.
Lei
non solleva il viso che rimane ostinato per terra. Muoviti, stupida…
“Barty…”
sibila Voldemort ed immediatamente Crouch Junior l’afferra per i capelli e la
strattona in alto. La sento gemere e piangere ancora.
Faccio
un passo indietro, appiattendomi contro la maschera. E se lei mi riconosce?
Mi
accorgo che non era sola. E soprattutto che non era lei a piangere.
A
terra, dove ai miei occhi c’era solo lei, c’è una minuscola bambina. Dovrà
avere all’incirca dieci anni. Anche lei ha i capelli neri, ma due scintillanti
occhi chiari pieni di lacrime. Indossa un piccolo vestito blu notte, troppo
grande per lei, strappato e lacero. È sporca, ma sembra una bella bambina.
Spero che non le abbiano fatto niente, non sarebbe la prima volta in ogni caso
che si fanno anche una bambina. Sembra star bene, ha solo un ematoma viola sul
capo e qualche escoriazione sparsa sul resto del viso.
“Mamma!”
urla. E sta parlando con…
Mi
volto repentinamente verso di lei, verso quella donna.
Quella
che era la mia donna… e chissà se adesso è ancora… mia…
E davvero,
nonostante tutto, non ci ho mai pensato.
Quando
Cristo morì, ci fu un terremoto. Dicono che si squarciò il velo del tempio di
Gerusalemme.
Un
sottile velo si squarcia anche nella mia mente. Un terremoto sfracella i miei
nervi.
La
guardo ancora. La guardo ancora ed ancora ed ancora.
Non
riesco a smettere di guardarla.
Ha
i capelli neri, il viso pieno di graffi e scorticature. Perde sangue da un
labbro. È dimagrita. I suoi occhi sono spenti. Le sue spalle sono curve, quasi
come quando si piegava sotto il peso di mille tomi ad Hogwarts. La sua
espressione è più dolce, quasi lasciva, come quando si mette troppo zucchero in
un piatto e diventa immangiabile. Storpia con lei. Ma con lei storpia anche il
vestito nero fatto a brandelli, le guance ricoperte di polvere, i capelli
innaturalmente scuri pieni di foglie secche.
Eppure
alla fine ha addosso tutto questo.
È
sempre Hermione… è diversa, ma è lei.
Sei
soltanto una madre.
Mi
ritraggo, tra lo scioccato, il disgustato e il terrorizzato, le spalle
incontrano il caminetto.
Chi
altro ti ha avuto Hermione?
Dimmi
solamente questo… così all’inferno lo maledirò fino alla fine del tempo… quel
lui che ha osato solamente guardati come solo io avevo il diritto e il destino
di fare…
Recondita,
come una nota di sottofondo nel silenzio di una casa vuota, la gelosia mi fa
vacillare.
Lei
sussurra solo: “Non piangere, Naike…”. Naike… vittoria, in greco.
Beata
te, Hermione… evidentemente la conosci ancora la speranza.
Crouch
la tiene stretta, fa aderire il suo corpo al suo, Voldemort continua a ridere.
Crouch ansima e tutti continuano a ridere. Urlano frasi oscene alla donna che
solo io, in questa stanza, ho preso davvero. Senza violenza, senza pubblico.
Hermione
sorride. Sorride. Sarai sempre la paladina Grifondoro, e io il codardo
Serpeverde.
Guarda
la figlia.
“Sta
zitta, piccolo furetto che non sei altro…”.
“Sei un furetto nervosetto eh, Malfoy?”.
Ha dieci anni. La bambina ha dieci anni.
“Sei un furetto nervosetto eh, Malfoy?”.
Dieci anni fa, noi ci siamo lasciati.
“Sei un furetto nervosetto eh, Malfoy?”.
La bambina è sua figlia. È figlia di Hermione. E l’ha chiamata
“furetto”.
Naike ha gli occhi grigi, sembrano lune di riflessi
argentati.
Gli occhi di mio padre che sono rivolti ad una maschera
argentata, i miei occhi ingenui che inseguono fiamme bionde.
Si squarcia completamente il velo nella mia mente, un tempio
cade a pezzi sotto un terremoto.
Un centurione romano, quando Cristo morì, disse solo:
“Davvero quest’uomo era figlio di Dio…”.
Capisco perfettamente che cosa intendesse.
Davvero questa bambina è mia figlia…
Mia figlia… vita… la stessa da cui volevo
furiosamente staccarmi fino ad un attimo fa, ma che adesso mi impone
crudelmente troppe domande. E il destinatario per una volta non è Hermione.
Stringo violentemente i pugni, il sangue si ferma.
Se Voldemort non fosse mai esistito… e sebbene sono
un traditore, davvero è la prima volta che lo penso.
Lui era l’artefice della mia salvezza.
Una blanda salvezza d’accordo, la piena remissione sarebbe
stata Hermione, ma quello passava il convento.
E ora invece lo odio con tutta l’anima.
Non posso rimanere qui fermo.
Barty sta leccando avidamente il collo bianco della mia
mezzosangue. La tiene ferma per il seno e la bacia, sogghignando. Io tremo,
Hermione resta immobile, Naike ha smesso di piangere. Allora anche tu sei
coraggiosa, come la tua mamma… non lo sapevo…che stupido, certo che non lo so…
e non lo saprò mai…
Non ce la faccio più.
Voldemort sembra accorgersene. Sogghigna: “Cosa c’è
Draco?”. Si finge preoccupato e so benissimo che non lo è. Il preoccupato dei
due sono io. Non perché so perfettamente che cosa accadrà adesso, non perché
l’ho visto milioni di volte con decine di altre donne come lei. Magari fosse
per questo…Hermione ha spalancato i suoi grandi occhi caramello. Sembrano anche
riempirsi delle lacrime che non voleva versare. Sussurra tra sé nelle labbra il
mio nome. Si guarda attorno, cercandomi, per quanto glielo consenta la presa
d’acciaio di Barty.
Basta. Decisamente è troppo. Sapevo di non potermi fidare
di Blaise. Farò tutto da solo, come sempre.
La mia mano corre repentina alla bacchetta sotto il
mantello e la estraggo.
Sto per urlare una maledizione, ma poi mi fermo. Una voce
chiara e netta. Mi volto verso la fonte dell’urlo, ma non faccio in tempo a
riconoscerla. Chiudo repentinamente gli occhi, un bagliore accecante di colore
bianco riempie la stanza. Brucia di dolore le nostre pupille. La retina si
riempie di macchie scure e nere, non riesco più a vedere nulla. I mangiamorte
urlano, accecati, mentre Voldemort sembra letteralmente impazzito, strepita
dando ordini contradditori a destra e a manca. Il lungo periodo di potere lo ha
decisamente acclimatato a starsene tranquillo a godere della sua ironia e dei
suoi trucchetti contorti. Sembra incapace di difendersi e di attaccare.
Qualcosa mi urta e cado rovinosamente a terra. Cerco di
rotolare piano verso il punto dove penso che ci siano Hermione e Naike, ma
incontro solo una selva di gambe e piedi che mi calpestano a più riprese.
Tutt’un tratto, mi arretro immobile, accucciato per terra.
Sento distintamente una voce nel mio cervello.
“Di chi è che non ti fidi?!!” E va bene che la sua
voce mi sconquassa il cervello, ma adesso è troppo….
“Di te, Blaise… e di chi, altrimenti?! Quando diamine
ci hai messo?!”.
“Il tempo necessario perché riuscisse…”
“Si può
sapere che cavolo hai fatto?”.
“Fiat lux… un
incantesimo di mia invenzione… crea una sorta di piccolo sole…”.
“E come ti è venuta
l’idea di creare quest’incantesimo?”.
“Quando dovevo
abbronzarmi e il sole non c’era…”.
“Evito decisamente
di fare commenti…”.
“Sono nella tua
mente, Draco… li sento perfettamente… come vedo che razza di fantasie avevi su
Pansy al secondo anno, ma sei un pervertito! Addirittura nel sotterraneo di
Piton con le pozioni che sballottano…”.
“Vuoi che sbatta la
testa contro il pavimento, così magari ti ammazzo per pura casualità magica?!”.
“Comunque sei un
pervertito… abbiamo Hermione e Naike… stiamo uscendo dalle cucine… muoviti…”.
Serro forte gli
occhi e so che non è per la luce.
“Forse dovrei rimanere qui… per coprirvi le spalle…”.
La voce di Blaise suona perforante tra i miei neuroni.
“E’ la donna che ami… se siamo fortunati, non la
rivedrai mai più… e poi c’è tua figlia… vuoi davvero che non ti veda mai?”.
“Sapevi di Naike? E allora perché non me l’hai detto?”.
“Perché hai un equilibrio mentale instabile e non
sapevo nemmeno se saresti venuto per la Granger… se ti dicevo pure della
bambina, Dio solo sa che avresti fatto…”.
“Va bene, ho capito… senti, davvero… resto qui…
affronto i Mangiamorte e vi do il tempo per scappare…”.
“Non ti si addice fare l’eroe, e per una volta che lo
fai, vuoi che la tua bella non ti veda? Muoviti! Punta la bacchetta agli occhi
e pronuncia : - Inferis Nox- vedrai perfettamente…”.
And
so it is
Just
like you say it should be
So benissimo che cosa lei si aspetta. Si aspetta che io
scappi, che io fugga, che io mi accucci qui in attesa che tutto finisca.
Immobile per terra, come una serpe in seno, il sole
sparirà per l’ultima volta nella mia vita e io ritornerò alle tenebre.
Tra qualche anno, qualcuno confusamente mi parlerà della
morte di Blaise Zabini e Pansy Parkinson, assieme a due sporche mezzosangue, e
io sorriderò, mentre dentro… bè dentro sarà tutta un’altra cosa.
O magari no… moriranno oggi stesso e io, da vile traditore di tutte le parti e
di tutti gli schieramenti del mondo, me ne fregherò, continuando a vivere nel
velluto e nei merletti.
Una volta, mio padre mi disse che noi, che la
nostra razza è nata tra i merletti per fare solo due cose: fare la guerra e
fare l’amore.
Ovviamente non usò la seconda espressione. Mi sembra
ovvio. Ma il senso era questo.
Non ci sarebbe nulla di male, se io tornassi indietro, se
fossi ancora vile, codardo, inutile come sono sempre stato.Ma già so che non è possibile, anche mentre
lo penso. Mi sono ricordato la frase di mio padre, e già l’ho stravolta.
Fare l’amore… lui non ha mai usato quella parola,
ed invece in un periodo lontanissimo della mia vita, io l’ho sparsa a piene
mani.
Su di lei.
Pensare: “Al
diavolo, Granger, non farò mai quello che ti aspetti! Per una volta, devi avere
torto, cazzo!”, sentire Blaise
dire di spicciarmi ed avvertirmi che sono fuori dalle cucine, e sussurrare
Inferis Nox, credo che passino dieci secondi netti.
Il bagliore
termina almeno per i miei occhi. Ora vedo tutto perfettamente; la sfera di
fuoco al centro della stanza, i mangiamorte che sbattono ciechi tra di loro,
Voldemort che prende a calci qualcuno apparentemente senza motivo. Sembra un
enorme miasma di corpi, sangue e sudore.
Inferno… la notte
dell’inferno… quando ci arriverò, ci sarò già abbondantemente abituato…
Mi concentro,
intravedendo un varco che conduce al portone di pietra.
Per un attimo,
respiro a fatica, poi prendo coraggio e inizio a correre follemente in quella
direzione, prendendo a gomitate uomini, dando calci, spingendo e scalpitando,
come un animale in trappola. Senza prudenza, senza paura.
Esattamente come
lei non penserebbe mai che io sia capace di fare.
Per quel che
rimane della mia vita, non le darò mai più la soddisfazione di darle ragione.
Allora, eccolo finalmente il secondo capitolo! Ringrazio tutti
coloro che hanno commentato, tutti gentilissimi e carinissimi! Ringrazio anche
chi ha letto solamente e sono molti, ma il fatto che non abbiano lasciato
nemmeno una piccola recensione, mi spaventa… non è che questa storia fa
veramente schifo? Fatemelo sapere, anche in maniera telegrafica, ci tengo
veramente! Un enorme bacio! Cassie!
Corro
velocemente, la milza duole orribilmente. Mi arpiono al corrimano in pietra
delle scale che portano ai piani inferiori, sarà l’ultima volta che le scendo queste scale. Caccio lontano le lacrime, la nostalgia, la
paura, il rimorso e la stanchezza. Non ci riesco, ma non importa. Non sono mai
voluto diventare un superuomo. E’ decisamente molto quello che sto
facendo.
Le cucine.
Odore di stantio
e di cibi, corpi di elfi domestici per terra. Blaise si è aperto un varco,
uccidendoli senza troppi pensieri. Anche quando uccide non ha pensieri, come
diamine fa? Godo nell’essere io il saccente della situazione, almeno stavolta.
Avrà invocato lo
statuto del C.R.. E.P.A., dopo che ha assistito a questa scena.
I fumi dei cibi
che sobbollono ancora nelle pentole toccano i miei vestiti, dandomi ancora una
sensazione di nausea, che, se possibile, si intensifica quando vedo finalmente
la porta dell’uscita, dopo i lunghissimi tavoli di legno, usati per poggiare le
pietanze. Ancora, sto per fermarmi, ma non lo faccio. Vorrei, con tutte le mie
forze fermarmi, l’istinto di sopravvivenza continua a gemere nelle pareti della
mia stanza. Lei, come sirena crudele, però è infinitamente più potente, sembra
richiamarmi alla fine dei miei giorni. Sembra dirmi che ormai la mia vita è
finita e che dovrei saperlo anch’io; perfida, mi mostra gli abissi
dell’inferno, non la vetta del Paradiso.
Apro la porta di
scatto, il respiro che si condensa in vapore. L’aria è fredda, ghiacciata,
carica di brina e nevischio. Rabbrividisco, stringendo gli occhi per scorgerli,
ma non riesco a vederli. Sono le dieci del mattino ed è tutto così
maledettamente grigio… Voldemort, dannato… quando sento anche le ciglia
ghiacciarsi e le mani iniziare a spaccarsi, intravedo finalmente il guizzare di
una veste rossa. Pansy. Sento di non avere più fiato, ma corro in
quella direzione. Sono pochi passi, solo pochi passi e niente più, ma sembrano
lunghissimi. La mia vita intera sembra srotolarsi nell’intervallo di essi.
Finalmente i miei
piedi ghiacciati raggiungono il loro obiettivo, mi fermo, l’acqua che si
congela su di me.
Curioso… il
destino, la vita, o, non lo so, Dio magari, se esiste… comunque, tutte queste
cose assieme hanno un senso dell’umorismo sfrenato. L’ironia del destino… sono
tutti e quattro fermi vicino al castagno spoglio che mia madre piantò nel
giorno della mia nascita. Ha trentacinque anni quest’albero, ha trentacinque
anelli nella sua corteccia… se non è destino questo, che debba morire proprio
qui, che altro potrebbe esserlo, non lo so…
Eccole lì, le
quattro persone che ho amato di più in tutta la mia vita… Blaise, l’amico
silenzioso ed insopportabile, quello che anche adesso mi guarda con espressione
rassegnata. Rassegnazione dell’impossibilità che io cambi, che lui cambi in qualche
modo, saremo sempre quello che siamo. Pansy, la moglie silenziosa e complice,
quella che anche adesso mi guarda con espressione rassegnata. Rassegnazione
dell’impossibilità che io resti come sono, che così io mi salvi nell’unica
maniera che pensa mi sia concessa, rimanendo cioè qui con Voldemort, mentre lei
invece cerca la salvezza altrove.
E poi loro due…
l’amore nascosto ed urlato di questi anni. Ma che dico? di tutta la vita.
Hermione è in
piedi accanto all’albero, si regge al suo tronco, come se ne volesse avere
forza. Ha il viso bianco e gli occhi spalancati, i capelli neri svolazzano
nell’aria. I suoi occhi cioccolato sono sempre gli stessi, sono sempre ospiti
del sole scomparso, sono sempre così pulsanti e vivi da lasciare frastornati,
muti ed immobili al suolo alla ricerca della motivazione di tutto il mondo. E
come io non me ne fossi accorto prima, è un autentico mistero. Naike mi guarda
senza curiosità alcuna, stretta alla madre, rabbrividisce nel mantello di
Blaise con gli alamari d’argento.
Hermione mormora
qualche parola all’indirizzo di Pansy, staccandosi dall’albero e facendo segno
a Naike di lasciarla. La bimba obbedisce e mi guarda ancora senza capire. Mi fa
male mia figlia, la sua ovvia indifferenza, vedere i miei stessi occhi grigi privi
di sentimenti. Vorrei urlarle chi sono, ma non lo faccio. Non ne ho il
coraggio. A volte è meglio l’indifferenza, che l’odio, checché ne dicano tutti
il contrario. E lei, Naike, mia figlia, non so che cosa sentirebbe sapendo chi
sono. Mi odieresti, Naike?
Vedo ancora
Hermione dire qualche parola a Blaise che annuisce a sua volta, ma non riesco a
capirle, il vento soffia forte nelle mie orecchie.
Lei muove qualche
passo nella neve fresca, venendo verso di me. Sembra muoversi piano, vorrei che
lei fosse già qui ed invece c’è ancora un altro passo, un altro ancora e poi di
nuovo un altro.
Finalmente arriva
ad un passo da me.
Non me la
ricordavo così piccola, così minuta, così esile. Le sue spalle potrei
afferrarle entrambe con una mano sola, potrei spezzarla anche solo guardandola.
E forse la sto già spezzando, perché non riesco a smettere di guardarla e lei
chiude gli occhi piano con espressione sofferente.
Non smettere di
guardarmi, per favore… li ho cercati tanto i tuoi occhi nelle notti d’estate,
in quelle d’inverno, in ogni singola dannata notte in cui non capivo nemmeno se
era estate o inverno, perché il mio corpo voleva solo te, ghiaccio bollente.
Forse mi ascolta,
chi lo sa, perché finalmente solleva il viso. Gli occhi sono asciutti, non
vuole piangere… ovvio…
Dice solamente,
le labbra screpolate che si aprono di un centimetro: “Non credevo che ci fossi
tu dietro a questa fuga… dopo tutti questi anni…”.
We’ll both forget the breeze
Most of the time
Questi anni… hai ragione. Che per me siano passati
tutti adesso, non vieta che per te siano stati più lunghi, della consistenza di
veri anni, non di secondi come è stato per me. Ne sento il peso, la nettezza
chiara e distinta sulle spalle, ma per il resto non esistono. Però vedere i
tuoi capelli adesso neri, i tuoi occhi adesso più smorzati nella loro luce, e
soprattutto vedere nostra figlia, significa che inevitabilmente, volente o
nolente, quegli anni davvero sono passati.
Non ti dico
questo, non credo che sia necessario.
I tuoi occhi
ancora si volgono lontani, riempiendosi delle folate di vento e neve che ci
circondano. Guardi altrove, mentre mi chiedi sottovoce, come se lo stessi
chiedendo solo a te stessa: “Perché, allora?”. Per un solo secondo, davvero non
ti ho sentito; davvero la tua voce è stata così lieve da perdersi nel vento. Ma
poi la tua domanda risuona nel mio cervello come una campana. C’è la risposta,
ovvio che c’è, ed è enorme, luminosa, bellissima. Ma non esce dalle mie labbra.
Sembra che mi sia dimenticato come si faccia a parlare. Dubitavo del mio
coraggio di arrivare fino a qui, e ne avevo motivo. Il coraggio non fa parte
del mio DNA, è evaporato nello stesso istante in cui l’ho saputa più o meno al
sicuro. La necessità è la più potente molla d’azione dell’agire umano. Nel mio
caso, ho sempre agito per la mia mera ed esclusiva sopravvivenza, ora le cose
sono leggermente mutate, ma la sostanza non cambia. In fondo, lei è viva, Naike
è viva, non c’è niente di più importante… quindi… sono perfettamente sicuro che
non dirò null’altro. Nulla di diverso. Gli addii sono scene alla Blaise Zabini,
non alla Draco Malfoy. E lei lo dovrebbe sapere più di chiunque altro al mondo.
Mi sento quasi offeso dal suo pretendere una risposta, quando sa benissimo che
non l’avrà mai.
Improvvisamente i
suoi occhi si fanno liquidi, violenti ed intensi, come non sono mai stati. Li
temo quasi mentre si incollano ai miei.
Sorride, un
sorriso triste e tirato, infinitamente malinconico, come l’eco del mare in una
conchiglia.
“Sei cambiato,
Draco… tanto…” dice soltanto.
Sbatto le
palpebre un paio di volte, forse non ho sentito bene.
“Che hai detto?”
le chiedo stupidamente. Dopo anni, apro la bocca davanti a lei e, la prima cosa
che le dico, è immensamente stupida.
Lei ripete la sua
frase con dolcezza, e ora ne colgo ogni remota ombra nascosta, fremente dietro
le parole innocenti.
Rido a me stesso,
non a lei, e rispondo tagliente, un tutt’uno con il vento che sta rendendo il
mio viso rosso: “Curioso che tu lo dica… considerando che tra me e te è finita
perché dicevi che non sarei mai cambiato… come vedi, hai preso un bel abbaglio…
allora commetti degli errori anche tu… buono a sapersi…”.
Lei sorride
ancora, mentre dice delicata: “Hai perfettamente ragione, ma almeno in
questo non cambierai mai… sarai sempre il solito arrogante e presuntuoso di
sempre…”, incrocia le braccia al petto e per un attimo sembra tornata quella di
tanti anni fa “E sai qual è il paradosso? Che ne sono persino contenta!”.
“In effetti, è
paradossale…” concedo e lei annuisce di nuovo.
Come prima, le
parole si bloccano nell’aria attorno a noi. Sembrano così tante, eppure
svolazzano attorno a noi nell’aria gelida, beffarde nella loro inconsistenza e
nella nostra incapacità di afferrarle. Torna il silenzio, sembra una pelle
liscia sui nostri respiri. Non è un silenzio imbarazzato, è un silenzio… teso. Tante volte siamo rimasti in silenzio, quindi non ne abbiamo paura;
ma l’urgenza di dirci qualcosa prima
che… è palpabile. Ci alita sul
collo il silenzio, come un animale affamato, e più lo fa, più noi ce ne stiamo
fermi e zitti. Paradosso è certamente la parola giusta per descrivere la
situazione, e me e lei. Come sempre.
Almeno qualcosa
non cambia mai.
Non è importante,
ma lo sembra, mentre penso a cosa chiederle. È la prima ed unica cosa che mi è
venuta in mente. Mi sento un adolescente al primo appuntamento, e non c’è
niente di più diverso in questo momento. Nonostante le mani sudaticce e il
cuore in gola.
Trovo solo la
voce per dire: “Come mai hai i capelli neri?”.
Lei aggrotta le
sopracciglia, mentre torna a guardarmi, sembra volermi dire che sono veramente
cretino a farle una domanda del genere. L’espressione del suo viso non mi è
ovviamente nuova, me la riservava sempre da Hogwarts in poi quindi ci sono
abbondantemente abituato.
“Mi sembra ovvio,
Malfoy…” risponde brusca lei, incrociando di nuovo le braccia e guardandomi con
espressione insofferente “Era per non farmi riconoscere… che facevo, me ne
andavo in giro con un cartellino con su scritto – Hermione Jane Granger, Auror,
ex di Draco Lucius Malfoy, per favore CATTURATEMI!- ?!!”.
Improvvisamente
so perché il mio inconscio mi ha suggerito di chiederle dei capelli. In fondo,
mi fido sempre del mio inconscio, del mio istinto, del mio sangue, anche se non
scorre esattamente in direzione del cervello.
“Devo dedurre che
anche per Naike sia lo stesso, no? Non ha nemmeno lei i capelli neri?” la mia
voce è un debole pigolio, ma cerco di non farla tremare.
Lei sussulta
impercettibilmente e le sue braccia scivolano sui suoi fianchi, mentre i suoi
occhi cadono altrove. Guizzano veloci, lontani dal mio viso e dai miei occhi. Ti ricordo Naike, eh Hermione? Credevi che
non me ne accorgessi… andiamo, abbiamo gli stessi occhi…
La sento
sospirare, per poi rispondere: “Certo che no… è bionda… è una tua copia in miniatura…”.
“Non l’avrei mai
saputo, vero?” chiedo con rabbia. La rabbia… dolcissimo schermo di anime
inquiete.
“No…” risponde
sinceramente, tornando a guardarmi. Scorre di nuovo l’antica elettricità degli
scontri verbali tra me e lei. E ne sono oltremodo felice. Sembrava che avessimo
smarrito anche noi stessi, oltre a tutto il resto.
“Lo sapevi il
giorno che ci siamo lasciati?” chiedo ancora, il livore nelle mie parole è
un’onda lunga che travolge entrambi nel suo corso.
“Avevo dei
sospetti, ma no… non lo sapevo con certezza…”.
“Avresti dovuto
dirmelo… ma no, tu pensavi che dovevi lasciarmi, non c’era bisogno di un motivo
per tenerti legata a me, no?!!”. Stavolta lo urlo con tutta la forza che mi è
rimasta in corpo, lei assurda imputata di un processo per la colpa di avermi
reso infelice in questi dieci anni.
Ma lei sa sempre
come spiazzarmi: “E’esattamente come dici… non avevo bisogno di un altro motivo per non riuscire ad allontanarti da me… se tu avessi saputo di
Naike… bè, può darsi che sarebbe finita nella stessa maniera. Ma io forse non
sarei riuscita a privare, oltre che me stessa, anche mia figlia di te, di suo
padre…”.
Le sue parole
crepitano incandescenti nella mia mente, soprattutto l’altro motivo. Mi ci aggrappo con tutte le forze, l’unico superstite del tempo
trascorso è quel motivo remoto.
“Qual’era l’altro
motivo?” chiedo scioccamente, e la mia voce mi ricorda la sua, quando poco
prima mi ha chiesto perché avessi deciso di salvarla. Spero che anche la
risposta sia lo stessa…
Lei incrocia
ancora le braccia sulla veste consunta, sospirando con l’aria di pensare che
sono davvero stupido.
“Mi sembra ovvio
quale fosse l’altro motivo… non te lo devo stare certo a dire…”.
Mi ritrovo ad
atteggiare la mia voce come una preghiera, davvero lei è una dea pagana crudele
che vuole negarmi questa piccola ed insignificante risposta, inutile perché
velata del passato, eppure così importante che ne dipende tutto quel poco che
resta. Agli umani, non è concesso di amare le dee, e allora? Lasciateci nella
nostra illusione, non abbiamo chiesto a nessuno di essere svegliati.
“Dimmelo lo
stesso… credo di essermelo dimenticato… gli anni passano…”.
Hermione sospira
e guarda il cielo gonfio di nuvole, per un po’ ha smesso di nevicare. I suoi
capelli sono bagnati e le si sono attaccati in lunghe onde sul collo bianco e
rosso.
“Farebbe male… a
tutti e due…” bisbiglia piano, senza guardarmi “Non abbiamo bisogno di altra
sofferenza, non credi? E poi che importa? Quel tempo non esiste più… sono
passati dieci anni…”.
La interrompo,
recuperando assurdo coraggio dalle profondità di me.
“Il tuo altro motivo di allora è lo stesso mio motivo… solo che per me come era di allora,
lo è anche di adesso… lo è sempre stato e credo che non smetterà mai di
esserlo… il motivo per cui sono qui e il tuo perché al mio averti salvata di
poco fa… è sempre dannatamente lo stesso… e sta tranquilla, il male che mi ha
fatto in questi anni non potrebbe farlo di più adesso, nemmeno volendo…”.
And so it is
The colder water
Lei si stringe
nelle spalle, so che le mie parole non se le aspettava perché non me le
aspettavo nemmeno io da me stesso. Tenere a freno i sentimenti, imbavagliarli,
legarli per impedirli di fare male, è una cosa che non ha logica. È come voler
legare l’aria o l’acqua, costringerla in forme che altrimenti non prenderebbe
mai. È fare qualcosa di frustrante ed illogico. Adoperandomi nel portare avanti
questo gioco, ho reso i miei sentimenti acqua gelida. Effettivamente li ho
fermati, ma solo perché si sono ghiacciati su loro stessi. Ora riscoprirli così
forti, impetuosi e caldi soprattutto… non ci sono abituato. Non c’è
niente che lei non riuscirebbe a farmi fare.
Solleva gli occhi
miele verso il tetto della mia casa, puntandolo sui gargoyles di pietra delle
balaustre. Ne sembra rapita, sembra essersi dimenticata di me, eppure me ne
sono perfettamente accorto che ha fatto un passo indietro. Si è allontanata da
me.
“Sono passati
dieci anni, Draco… ormai non ha più importanza…” ripete, sembra che per lei il
ritornello degli anni passati sia un mantra. Se lo ripete in continuazione per
inculcarselo nel cervello. Non ci crede nemmeno lei.
Annullo la
distanza tra me e lei con una sola falcata, approfittando del fatto che il suo
sguardo sia apparentemente perso altrove. So ancora che, invece, se ne è
accorta benissimo; le sue spalle tremano e si stringono in un attimo.
“Guardami…” le
ordino con voce autoritaria. Sono sempre un Mangiamorte in fondo.
“No…” risponde
secca e dura. È sempre Hermione Granger in fondo.
“Perché?” le
chiedo, la voce più bassa e più tagliente “Hai paura?”.
Lei ride, una
risata bassa e gutturale… forzata… prima di dire: “E di che cosa dovrei aver
paura, scusa?! Di te?! Figuriamoci… non ho avuto paura di Voldemort, vedi
quanta paura posso avere di te…”.
Intanto guarda
sempre altrove.
“E allora fallo…”
la esorto, stringendola violentemente per le spalle. La sento sussultare,
mentre le urlo contro: “Fallo, dannazione! Guardami, Granger!”.
Sento dalla sua
gola arrivarmi un suono soffocato, prima che lei si volti finalmente a guardarmi
in faccia, le mani artigliate sulle mie braccia nel tentativo di allontanarmi
da lei. I suoi occhi sono nitidi e puliti, come sempre. Sembra tranquilla,
ostenta serenità, ma le sue labbra tremano. Potrebbe essere il freddo, no?
Questo penso…
Continuo a
pensarlo, mentre regge fiera il mio sguardo.
Lo penso ancora,
mentre quello sguardo d’agata regge granitico, mentre io sto decisamente per
crollare.
“Non avrei mai
dovuto lasciarti… sarei dovuta rimanere con te ogni secondo della mia vita…”.
Un colpo netto, una stilettata precisa. Maledetta Mezzosangue, vuole farmi morire…
Lo ha sciolto lei
l’ultimo segreto. L’ha fatto cadere lei l’ultimo vessillo, si è arresa pur di
non concedermi di entrare nella sua roccaforte senza un suo specifico invito.
Sento sorridere la mia stessa anima. E per la prima volta in vita mia,
ringrazio Dio per qualcosa…
La tiro
bruscamente a me, non ce la faccio più. È così piccola, così leggera… la bacio
ferocemente, mangiandole le labbra a sangue e a fuoco. Il bisogno primordiale, conosciuto
dall’inizio della storia. Le sue labbra sono screpolate, non sono piacevoli,
sento il sapore ferrigno del sangue in bocca, ma solo sentire le sue mani
cedere dalla presa ferrea sulle mie braccia, vale tutto questo bacio che sa
solo di bisogno.
Avevo bisogno di
baciarla, da anni. Finisce il bisogno, arriva il piacere.
Mi ritrovo a
scivolare le mie braccia lungo la sua vita, il mio corpo e il suo che si
incastrano perfettamente tra loro come un tempo. Le sue dita fredde le sento
sulla mia nuca, intrecciarsi con i miei capelli bagnati e giocherellare
spensierate. Fiore di bucaneve nell’inverno freddo, le sue labbra si aprono,
accogliendo le mie, sento il suo sapore, prigioniero dei ricordi, ora vivido
come il vento che mi sferza la faccia, come l’acqua che gela nelle scarpe, come
il mantello che fustiga la mia schiena. Sarà anche dolore, dolore anche lei,
come tutto il resto. Ma è vera. Quello che sembrava sbiadito e spento, una
brutta copia della vita vera, muore nelle mie labbra e nelle sue, unite assieme
per l’ultima volta.
Geli l’inferno,
bruci il paradiso, se solo questo attimo non sia la cosa più bella che ci sia
al mondo.
Le nostre labbra
si accarezzano dolcemente, sfregando le une sulle altre, lasciando uno spazio
insufficiente a dividerci. Ogni volta che la sto per lasciare, mi punge dentro
la voglia e mi riaccosto a lei. Cosciente che sta per finire, ne rifiuto la
realtà immodificabile, continuando in quest’atto contemporaneamente eterno ed
ancestrale.
Mi stacco
controvoglia dalle sue labbra, non da lei. E chi la lascia più adesso… la
stringo a me, appoggiando la guancia sulla sua testa. Il suo viso rimane
soffocato sul mio petto, ma non credo che le dia fastidio.
Certo, sento le
sue lacrime bagnare la stoffa della mia tunica, ma la sento anche mormorare
soffusa il mio nome.
Mi dà i brividi
come dice il nome “Draco”... la piccola inflessione tenue e decisa sulla erre…
Dio, non credo che nessuno lo dica tanto bene…
Si irrigidisce
appena, mentre mormora: “Accidenti, mi sono dimenticata di Naike! Ci sta
guardando, vero?”.
Annuisco, poi le
chiedo contrariato: “Perché di che ti preoccupi? Non è mia figlia, no?”.
Lei si stacca da
me bruscamente, e chiede atona: “E di chi dovrebbe essere figlia, scusa?!”.
The blower’s
daughter
Fingo
un’espressione meditabonda, portandomi un dito sulle labbra; inutilmente devo
aggiungere, perché tutti i probabili padri di Naike, a parte me, cominciando da
Potter e passando per Weasley, Thomas, Finnegan e persino Paciock, sono tutti
all’altro mondo. È la prima volta che mi rendo conto che ne sono morti così
tanti. Non trovando alcun nome, alzo le spalle e rispondo: “Non lo so… dimmelo
tu… di che altro potrebbe essere figlia Naike?”.
Lei risponde
presuntuosa: “Se era un modo contorto per chiedermi se sono stata con qualcun
altro, la risposta è no… e vale anche e soprattutto per questi
dieci anni… può essere solamente tua figlia… e quando la conoscerai non ne
avrai nemmeno il minimo dubbio. È identica a te… a volte mi veniva voglia di
picchiarla, esattamente come facevo con te…”.
Interrompo le sue
parole, l’equivoco di fondo nelle nostre parole mi ha riportato alla dolorosa
realtà concreta.
“Hermione…” la
mia voce è più seria e grave del solito, e lei ovviamente se ne accorge. Si
stacca da me, guardandomi in volto; passa sotto le sue palpebre un fulmine
azzurro. Perché mi dovevo innamorare proprio della più intelligente della
scuola? Mi fossi preso Lavanda Brown, e quella non c’avrebbe capito niente…
“Non ci pensare
neanche…” sibila come un serpente, staccandosi da me e guardandomi quasi con
odio.
Lo sapevo, come
sempre Blaise non c’è mai quando ho bisogno davvero di lui. La Granger
può diventare più pericolosa di Voldemort, quando ci si mette, e lui se ne sta
lì tranquillo a fumarsi la sua sigaretta con Pansy, chiacchierando amabilmente
con mia figlia. Sembra che siamo ad un allegro picnic, credo di essermi persino
scordato che tra poco il piccolo sole di Blaise perderà i suoi effetti.
“Ascoltami
Granger…” inizio, tentando di essere convincente, ma lei ovviamente vanifica i miei sforzi, rovesciandomi addosso il suo consueto fiume di
parole. Urla, senza timore che qualcuno la senta, nemmeno che la senta nostra
figlia, e prima si faceva tanti problemi… ma quant’è strana…stringe i pugni furiosa, il viso rosso e
livido e i capelli arruffati nel vento ghiacciato, zuppi di nevischio.
“Non se ne parla
proprio! Nella tua insensata idea, io e Naike dovevamo essere complici del tuo
suicidio?! Ce ne dovremmo andare, sapendo che tu invece rimani qui a farti
ammazzare?! E io che cosa le dovrei dire, un giorno, quando mi chiederà di suo
padre? Che è morto davanti ai miei occhi, perché ero troppo codarda per morire
assieme a lui?! Tu scapperai assieme a noi, e non mi importa se ci prenderanno
e se ci uccideranno tutti e tre assieme… mi hai capito?!!”, la sua voce si
spezza e i pugni ricadono molli lungo le sue braccia, mentre continua: “… se
anche ci uccideranno… per la prima volta, noi tre… finalmente staremo tutti
assieme… l’ho fatto una volta questo errore, non lo farò di nuovo… dovevo morire
con Harry e Ron e non l’ho fatto, dovevo vivere accanto a te e non l’ho fatto…
non puoi togliermi anche questo…”.
Cadono alla fine
le lacrime dai suoi occhi, volge il viso dall’altra parte, nascondendole
timidamente.
Faccio un passo
verso di lei, cerco di volgerle il viso verso di me, prendendola per il mento,
ma lei si ritrae bruscamente. Scoppia in singhiozzi, urlandomi di non toccarla.
Le sue lacrime silenziose restano chiuse nelle mani che porta al viso.
“Non avrai pace,
se resterai con me…” mormoro, aggrappandomi con tutte le mie forze alla mia
decisione. Guardo il Malfoy Manor, non lei, e da esso ne traggo il nefasto
coraggio. Da lei, potrei ricavarne solo voglia di vivere, la morte è invece
ospite privilegiata del mio castello.
Solleva irata lo
sguardo, mettendosi una mano nei capelli neri, agitandone una ciocca davanti ai
miei occhi: “La vedi questa?! È la prova concreta che non sono mai stata in pace! Con te o senza di te, non sono mai stata al sicuro! Mi
sono spostata di luogo in luogo, costringendo anche nostra figlia a fare lo
stesso! Per stare al sicuro, ho sacrificato tutto quello che c’era di bello
nella mia vita! Ora sono stanca, non sono più disposta a farlo! Se anche
dovessi vivere, che senso poi avrebbe vivere così?!”, la sua voce aumenta di
tono: “Perché ogni maledetta volta non provi a pensare a me, prima che a te
stesso?!!”.
“E’ per te che lo
faccio, stupida!” urlo a mia volta, annullando di nuovo la distanza tra me e
lei.
“Non hai nessun
diritto di decidere per me, mi hai capito, Malfoy?!!” mi guarda sfrontatamente
dal basso verso l’alto. E solo perché è più bassa di me, altrimenti mi
guarderebbe da una vetta di novemila metri di altitudine.
“Tu farai quello
che ti dico io, hai capito?! Te ne andrai da questo maledetto posto, ti farai
una bella vita, ti sposerai, darai dei fratellini a Naike e ti dimenticherai di
me… non intendo discutere su questo…”.
“No, non lo farò
mai!”.
“Ed invece sì che
lo farai!”.
“Dovrai lanciarmi
un Imperius per farmi andare via di qui…”.
“Non credere che
non ne potrei essere capace…” la minaccio ed estraggo dal mio mantello la
bacchetta.
Gliela punto
contro, sperando di spaventarla. Ha ragione ovviamente. Non ha avuto
paura di Voldemort, figuriamoci quanta potrebbe averne di me. Solleva il mento
orgogliosa, sfidandomi con lo sguardo e con la voce: “Avanti, fallo… muoviti…”.
Ora la riconosco
la madonna che mi ero configurato poco prima. Le mancano solo i suoi veri
capelli.
Rimango con la
bacchetta sguainata, puntata contro di lei, e continuiamo a guardarci, l’odio
che abbiamo sempre conosciuto fa crepitare l’aria gelida attorno a noi. Siamo
capaci di odiarci, con la stessa forza e la stessa intensità di come ci amiamo.
Sembriamo di nuovo i ragazzini di Hogwarts che si sfidavano apertamente nei
corridoi, mancano solo Potty e Lenticchia che le danno manforte. Mi sembra
quasi di sentirli accanto a me e a lei… manchiamo anche noi, in fondo, a ben
vedere. Un tempo, la mia bacchetta non avrebbe tremato di fronte ad una
Mezzosangue; un tempo, i suoi occhi non sarebbero stati pieni di lacrime
davanti a me. Lacrime di rabbia, ma di una rabbia assordante che solo l’amore
frustrato e calpestato può dare.
Premo la
bacchetta contro la sua fronte, mentre i suoi occhi mi sfidano ancora.
“Revelo naturam!” urlo e il suo viso non cambia espressione. Le lacrime splendono un po’
di più, diamanti color dell’oro, mentre il vento libera nell’aria una cascata
di bronzo alle sue spalle.
Sorrido, mentre i
suoi riccioli castani le cadono di nuovo a ghirlanda attorno al suo viso.
Ora sei veramente
tu… volevo vederti così prima di andarmene…
The pupil in denial
I can’t take my eyes off of you…
“Incantesimo
banale… Malfoy…” dice sprezzante e sembra davvero il castorino di tanti anni
fa, la cocca di tutti i professori. Me ne illudo ed invece, nonostante i
capelli di nuovo chiari e nonostante la voce presuntuosa, so benissimo che non
è più lei, la Mezzosangue zannuta. La mia piccola e dolcissima Mezzosangue
Zannuta…
Scendono a
precipizio le lacrime sul suo viso, mentre mormora: “Banale, esattamente come
questo… Reseco!”.
Estrae anche lei
la bacchetta dal mantello, puntandomela contro. Un lampo di luce violetto mi
colpisce.
“Banalissimo in
effetti, Granger… mi aspettavo di meglio…” tento di tenere ferma la mia voce.
Non è onorevole per un Malfoy piangere, nemmeno quando sta per morire.
Intravedo i fili
dorati dei miei capelli fluttuare lontani nel vento, sfioro quelli che sono
rimasti e li trovo corti sulla nuca.
Anche tu l’hai
pensato, allora… volevi che per l’ultima volta fossimo come tanti anni fa… che
fossimo di nuovo noi stessi…
Non riesco a
smettere di guardarla, lei che è di nuovo castana. È lo specchio di me stesso,
di quello che sarei voluto essere per tutta la vita, l’uomo di cui ora sono una
pallida immagine. I capelli corti alla Draco Malfoy, e non più alla Lucius, ne
sono il segnale più forte.
Non c’è il tempo
materiale per cambiare anche tutto il resto, ma grazie lo stesso per i capelli.
Mi piacciono, corti… me ne ero scordato…
Riesci sempre a
farmi il regalo più bello, la sorpresa più gradita, il dono più inaspettato.
Did I say that I loathe you?
Did I say that I want to leave it all behind?
Ho detto di odiarti?
Ho detto che avrei lasciato tutto questo alle mie spalle? Erano bugie, Granger.
Bugie colossali, grandi come case, enormi come il mio castello. La cosa
bellissima e meravigliosa è che anche tu sei una bugiarda. E da me che sono e
sempre sarò un Serpeverde, è normale aspettarselo, ma da te, dalla Regina dei
Grifoni… come tu hai cambiato me, evidentemente devo aver fatto lo stesso per
te…non ti voglio lasciare. Me lo
potrei permettere, dopo tutto quello che la vita mi ha tolto. La vita mi ha
tolto i miei genitori, e poi te e Naike. Potrei riprendermi tutto in una volta
sola, e sarebbe giusto. In apparenza. Giusto vuol dire equo, e io non sono
stato mai equo. Quanto ho tolto io agli altri? Tanto, troppo. L’iniquità rende
tutto lontano dalla giustizia. Lo fa diventare vendetta, patetica, stupida ed
insana vendetta. Verso, chi, poi? Quando tutte queste cose le ho fatte solo e solamente
io? Con chi me la dovrei prendere? Il destino, la vita, Voldemort, Dio? Con te?
Ancora bugie.
Il tuo innato senso
della giustizia un giorno lo capirà, ora no e mi fa piacere, anche se mi sta
rendendo le cose più difficili. Non riesci a capirlo perché ci tieni a me. In
caso contrario, lo avresti capito subito, come sempre…
Grazie, Granger…
Grazie, Hermione…
Siamo rimasti
così, quanto, due secondi, due minuti, due ore o due vite intere?
Non lo so adesso,
riesco solo a guardarla e basta. E lei fa lo stesso, non abbiamo nemmeno
bisogno di toccarci, i nostri sguardi due ponti d’oro e d’argento che uniscono
le nostre anime.
La mia mano rompe
l’incanto, la sollevo per accarezzare la sua guancia. Lei chiude gli occhi
repentinamente, le ciglia nere brillano della luce delle lacrime che non vuole
piangere. Con gli occhi chiusi, solleva le braccia come una bambina che chiede
di essere presa in braccio. Debolmente, le porta sul mio petto, intreccia le
sue dita dietro la mia nuca. Rimane così immobile, gli occhi chiusi, le lacrime
serrate. Sembra quasi che stiamo ballando e, con lacerante angoscia, mi rendo
conto che con lei non ho mai ballato. E, dolore impossibile, non ballerò mai.
Stringe le
braccia attorno al mio collo ed appoggia la fronte sulla mia spalla. I suoi
occhi restano sigillati.
“Hermione…” la
richiamo “Adesso vattene… prendi Naike e scappa… Blaise e Pansy ti
proteggeranno…”.
Lei non si muove,
anzi mi stringe più forte. Sussurra solamente: “Saluta Naike, prima… voglio che
abbia almeno un piccolo ricordo di te…”.
Annuisco con il
capo, e lei si stacca malvolentieri da me. Volge gli occhi indietro, dove ci
sono Pansy, Blaise e Naike.
Chiama sottovoce
la bambina, che ci stava guardando con gli occhi sbarrati. Chissà che cosa deve
aver pensato tutto questo tempo vedendomi con sua madre. Mentre Naike piano si
avvicina, Blaise mi fa segno di stringere con il tempo. Sollevo preoccupato il
capo, il riflesso del sole nelle finestre del salotto si sta affievolendo.
Annuisco,
rivolgendomi a lui, poi mi rivolgo ad Hermione: “Che cosa le devo dire?”.
“Quello che vuoi…
è tua figlia, Draco… dille quello che vorresti sentirti dire tu e ci prenderai…
te l’ho detto, no? E’ identica a te in tutto e per tutto…”.
Naike finalmente
arriva davanti a noi, si stringe imbarazzata nelle spalle e mi guarda con
sospetto.
Poi si rivolge ad
Hermione e chiede: “Che c’è, mamma? Non ce ne andiamo?”.
“Tra un momento,
tesoro…” risponde lei, mettendosi in ginocchio per arrivare alla sua altezza
“Hai conosciuto Pansy e Blaise? Ti stanno simpatici?”.
“Sì, mamma…”
sorride lei, ancora titubante, poi torna sospettosa a guardarmi.
“Ti stai
chiedendo chi è questa persona, Naike?” le chiede dolcemente Hermione.
“No, mamma…”
risponde la bambina, poi, arrossendo, riprende: “Credo di aver capito chi è…”.
Mi stringo nelle
spalle a disagio, parlano di me come se non ci fossi.
“E secondo te,
chi è?” le chiede ancora pazientemente Hermione.
Lei scruta i miei
capelli, i miei occhi, il mio viso e la mia totale figura, poi abbassa gli
occhi e chiede incerta: “E’ il mio papà?”.
Hermione sorride
ed annuisce, accarezzandole una guancia, non prima però di aver asciugato
velocemente una lacrima solitaria che le solcava il viso. Mi sento spezzare
qualcosa dentro, ci spero ogni secondo che termini l’agonia di vederle per
l’ultima volta, eppure pagherei per restare sempre sospeso in questo istante.
“Papà…” mi canzona Hermione, dandomi una gomitata nel fianco dopo essersi
alzata da terra. Emetto un lamento soffocato, è sempre così maledettamente
violenta…
Aggrotta le
sopracciglia e mi fa: “Papà, lo sai che Naike è una veggente? Lei
si è sempre chiesta da dove venisse il suo potere, considerando che io sono
babbana di origine… tu lo sai, papà?”.
Ho recepito il messaggio, vuole che la smetta di stare in
silenzio.
Ci rifletto su e poi rispondo sicuro, guardando mia
figlia: “Certamente… la tua bisnonna, Leonor Malfoy… la madre di mio padre. Era
cugina di Cassandra Cooman, una grandissima veggente… aspettavamo da anni di
vedere chi ne avrebbe ereditato il potere…devi aver preso da lei…”.
Naike spalanca gli occhi, quanto sono chiari… vorrei
solamente scappare, adesso… mi costringo a tenere i piedi incollati al suolo ed
è una violenza inimmaginabile. Non sono decisamente fatto per fare l’eroe.
“Era bionda come te, la bisnonna?” mi chiede, gli occhi
luminosi. È bellissimo, sono grigi come i miei, ma lucenti come quelli di
Hermione. Non so com’è stato possibile, ma è la cosa più bella che abbia visto.
“Come me, certo…” il groppo in gola sta diventando
terribilmente pesante. Non riesco a respirare.
“Anche io sono bionda…” cinguetta lei vanitosa, poi agita
i suoi capelli neri con fastidio: “Questi non sono miei… la mamma diceva
che così non mi avrebbero riconosciuta…”.
“Stai bene anche così…” sussurro, spero che mi abbia
sentito perché davvero non riesco a parlare più forte di così.
Quando Blaise mi parlava del dolore di non poter avere un
figlio da Pansy, non lo capivo. Gli rispondevo sprezzante che doveva
ringraziare Dio di potersi portare a letto una donna sterile così non c’era
alcun rischio di gravidanza indesiderata; e poi, se anche Pansy fosse rimasta
incinta, il bambino non sarebbe sempre passato per mio? Che soddisfazione ne
avrebbe avuto? Lui diceva, sibillino come sempre, che non potevo capire.
Ora ho capito.
Pensare di amare qualcuno come amo Hermione, per me, era
un miracolo.
Pensare poi di amare Hermione, alias la Mezzosangue
Zannuta… bè, è intuibile che cosa sarebbe successo se me l’avessero detto
vent’anni fa.
Ma poi pensare di amare qualcuno tanto quanto Hermione,
nemmeno conoscendolo bene quel qualcuno, era decisamente impossibile.
Invece la prova vivente è questa bambina altezzosa come
sua madre, che sorride rossa in viso perché le ho detto di stare bene con i
capelli neri.
Tiro su con il naso, cercando di calmarmi. Avrei fatto
decisamente meglio a non seguirle, accidenti a Blaise e a tutte le sue idee
balorde.
Il tipo in questione si avvicina cautamente a noi e dice
velocemente: “Hermione, adesso dobbiamo veramente andare…”. Pansy, alle sue
spalle, annuisce gravemente, le sorrido e lei mi risponde con uno sbuffo
sarcastico.
Non cambieremo mai, Serpeverde fino alla fine del mondo.
Guardando Pansy, mi ricordo di una cosa.
Mi frugo ossessivamente nelle tasche, fino a trovare
quello che cerco.
L’anello che mi ha restituito Pansy, brilla scintillante
nella mia mano, come un cristallo di ghiaccio.
“Mi dispiace per te, ma la tua occasione di avere un
anello mio l’hai gettata al vento dieci anni fa…” sorrido, rivolgendomi ad
Hermione “Hai perso il treno e adesso lo do ad un’altra…”.
Hermione sorride a sua volta, gli occhi lucidi, non riesce
a parlare nemmeno lei.
Mi inginocchio all’altezza di Naike e cerco di ricordarmi
quello che mi ha detto Hermione. Le parole che volevo sentirmi dire da mio
padre…
“Naike…” inizio e già la mia voce trema. Respiro a fondo
e, sotto i suoi occhi indagatori, riprendo: “Questo era di tua nonna, e prima
ancora della mia, la veggente di cui ti ho parlato…”, le porgo l’anello che lei
stringe con un sorriso tra le sue mani paffute. Le poggio una mano sulla
spalla, sospirando ancora, e continuo: “Un giorno, quando diventerai una grande
veggente, stringerai questo anello e vedrai la storia di tutta la tua famiglia.
Purtroppo io non posso raccontartela, ma tu la vedrai anche meglio di come
avrei potuto dirtela io. Seguila bene, tutta fino alla fine, e capirai quello
che oggi non posso dirti ancora… sono sicuro che ce la potrai fare, che vedrai
tutto, forse anche cose che io non so, e per il resto ti aiuterà tua madre. Non
è questa la vera sfida, Naike. Per questo, sono ampiamente convinto che ce la
farai… un giorno lontano, vedrai anche questo giorno, mi vedrai di nuovo dirti
queste cose e forse vedrai anche quello che succederà tra poco. Quello
vorrei evitartelo, ma se accadrà… stringi i denti e fatti forza. La vera sfida
è che tu capisca perché l’ho fatto. Ora non potresti capire… ma, se sei anche
solo la metà di come era tua madre, capirai…”, la mia voce si abbassa di un
tono, mentre aggiungo: “… e quel giorno, Naike, perdonami, se puoi… e ricorda che
l’ho fatto solo per te e la mamma… me lo prometti?”.
Lei annuisce grave e sussurra: “Te lo prometto, papà…”.
Dannazione, fa un male cane quella piccola parola… ho
sempre notato che le parole più piccole servono sempre per delineare cose
enormi, di cui l’uomo ha paura. Terra. Mare. Cielo. Vento. E poi…
mamma… ed alla fine… papà…
Le sorrido, non voglio che ricordi un uomo codardo come
padre.
Sebbene io sia proprio così, sebbene quando vedrà tra anni
questo giorno, Naike vedrà esattamente questo.
Il tremore nella voce che ora riesce ad ignorare, il
luccichio negli occhi che ora non può vedere, il livore nelle labbra che ora
non distingue… allora tutto sarà chiaro. Ma per allora… Dio solo sa dove sarò
io… in qualsiasi inferno dove finirò, me ne importerà ben poco… sarò troppo
occupato a bestemmiare Dio per avermi allontanato da loro due, per curarmene…
Hermione finalmente parla di nuovo e dice a Naike di
andare da Blaise e Pansy.
La bambina annuisce, stringendo forte l’anello, si volta e
fa qualche passo.
Poi si blocca, torna indietro, si ferma incerta davanti a
me, torturando le sue dita.
Poi mi getta le braccia al collo, stringendomi forte con i
piccoli arti infreddoliti.
Non riesco a fare nulla, resto immobile. Mi chiedo come
Hermione abbia mai potuto pensare che mi somigli in qualcosa… mi vuole far
morire esattamente come lei, come la Mezzosangue… e in fondo è una Mezzosangue
anche lei… ironia della sorte, l’ultima dei Malfoy e dei Black è una
Mezzosangue… mio padre mi avrebbe semplicemente ucciso, se lo avesse saputo…
“Ti voglio bene papà…” dice convinta, la piccola voce
ferma e seria “La mamma parla sempre tanto di te… e io ti ho sempre voluto
bene…ciao papà”. Forse mi sbagliavo,
probabilmente se le avessi detto tutto, avrebbe davvero capito.
È esattamente come sua madre.
Sua madre…Naike non mi odia, per merito suo… per
che cosa non devo ringraziarla questa dannata Mezzosangue?
Naike raggiunge Blaise e Pansy, Blaise la prende in
braccio e lei si accuccia contro di lei, come un piccolo cagnolino.
Poi Blaise estrae la bacchetta, mormora qualche parola e
fa apparire uno squarcio luminoso nell’aria di colore verde smeraldo.
Il passaggio che li permetterà di andarsene di qui…
Annuisco, rivolto a lui … e Blaise annuisce a sua volta…
Non serve altro. È il mio migliore amico, se ha avuto la
pazienza di arrivare fino a qui con me, sa benissimo che, oltre a questo cenno
del capo, non avrà nient’altro.
“A parte sentirmi chiamare migliore amico per la
prima volta…” la sua voce risuona nella mia mente… stringo i pugni, il
maledetto è rimasto in contatto telepatico con la mia mente per tutto questo
tempo.
“Bè, allora hai avuto fin troppo… te ne vuoi andare
adesso?!” urlo nel mio cervello.
Lui mi guarda e lo sento dire: “Pensa in positivo… se va male, ci vediamo tra poco…”.
“Blaise…”.
“Lo so, lo so…” la sua voce è saccente ed annoiata “Le proteggerò a costo della mia vita,
renderò felice tua moglie… e tu mi hai sempre voluto bene… gli addii me li devo
anche fare da solo… guarda che roba…”.
Sorrido verso di
lui, mentre sparisce nel gorgo.
Pansy indugia
sulla soglia, poi mi urla dietro, le lacrime che scorrono sul viso sottile,
atteggiato in una smorfia impertinente: “Sei stato il marito peggiore del
mondo…!!”.
“E tu la moglie
migliore del mondo…” le rispondo a mia volta “Perché non c’eri mai e mi tradivi
con il mio migliore amico!”.
Pansy sorride a
sua volta, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano, poi solleva una
mano in segno di saluto e sparisce anche lei.
Resto un po’ a
guardare la luce smeraldo. Siamo lì di nuovo io e lei, da soli per l’ultima
volta, gli occhi fissi sul gorgo che ci separerà.
Stavolta, non
riusciamo a smettere di non guardarci.
Qualsiasi cosa
dirà o io dirò, sarà un addio. E non ne ho la forza.
“Ti amo Draco…”
sussurra, lo sguardo ancora fisso nella luce verde che le rende i capelli
invitanti di sfumature sconosciute.
Deglutisco e non
la guardo ancora.
“Anch’io…”
bisbiglio.
I miei sensi si
riacutizzano nel sentire un tramestio di passi alle mie spalle. L’incantesimo
di Blaise è finito. Stanno arrivando.
Lei si volta,
senza una parola, piccola come non è mai stata.
Si getta su di me
e mi abbraccia forte.
La stringo
saldamente a me per la vita … dammi
la tua forza, amore mio… non lo
dico, ovvio… lo penso solamente, la imploro e una piccola lacrima cade dalla
mia guancia sui suoi capelli, sparendo subito.
L’ultimo regalo per
te… l’ultima lacrima… forse la prima, non lo ricordo più…
“Fammi restare…
posso aiutarti, davvero…” implora per l’ultima volta, ma sa già che non
l’ascolterò.
Non le rispondo,
continuo ad abbracciarla, l’eco delle grida alle nostre spalle sempre più forte
come il richiamo di un Caronte che vuole immediatamente la sua anima designata.
“Vieni con me,
allora…” pigola, i singhiozzi che non rendono distinguibili le sue parole.
“Hermione, va
via…” la mia voce non trema più. Mi mordo le labbra per renderla ferma.
Solleva il viso,
baciandomi con forza, aggrappandosi a me come se stesse affogando. Se non avessi la certezza matematica che se
mi trovassero in questo istante, ammazzerebbero anche lei… li chiederei…
uccidetemi adesso, per favore…
Rispondo al suo
bacio con passione, infantilmente pensando che stiamo diventando una cosa sola
e che così nessuno la separerà più da me.
Ma poi con la
stessa forza la stacco da me e le do le spalle, lasciando me stesso e lei al
freddo.
Ci dobbiamo abituare
a questo, Hermione… per anni, non ci abbiamo fatto i conti con lo stare
separati, ma ora…
“Va adesso…”
mormoro, lo sguardo fisso sulla porta delle cucine, i passi sono sempre più
vicini.
“Non ti dimenticherò
mai…” bisbiglia ancora lei.
“Nemmeno io… va
ora…” sento la mia voce dire. Inutilmente
perché il mio“mai” sarà di qualche minuto… da morti, si ricorda qualcosa?
Il suo ultimo “ti
amo” si perde nel vento con altre parole che lei ha detto, ma che non ho udito.
Mi arrivano invece i suoi passi sulla neve che l’allontanano da me, e il gorgo
che crepita.
Mi volto,
osservandolo da sopra la mia spalla destra.
È sparito. C’è
solo l’albero di mia madre adesso.
Sospiro, sono
salvi. Tutti e quattro.
I passi diventano
molesti schiaffi nelle mie orecchie. Fanno esplodere la porta con un violento Bombarda!, urlato da una decina di voci. La fanno staccare dai cardini. Subito
dopo, un’enorme ondatamonocrome si
abbatte nel giardino.
Rimango fermo, lo
sguardo gelato, la bacchetta che scivola dalle mie dita sudate e ghiacciate.
La punto
stupidamente contro le milioni di asticelle di legno che vi vengono frapposte.
Voldemort avanza
silenziosamente come un serpente e batte le mani ironicamente. Idiota…
“Lo sapevo,
Draco…” dice irato, avanzando verso di me con la bacchetta sguainata “Lo sapevo
che avresti cercato di liberare la sporca Granger… meno chiaro era che ti
avrebbero aiutato anche la Parkinson e Zabini…”.
Sorrido
ironicamente, sto tremando e so che non è per il freddo. Una parte del mio
cervello mi urla di implorare pietà, ma il resto… no… devo rendere
fiera di me Naike, quando guarderà questa scena un giorno. Ed anche Hermione…
Voldemort mi
punta contro la bacchetta e ride ancora, gli occhi fiammeggiano.
“Mi ci voleva
solo l’occasione giusta, sai Draco?” ride tra sé e sé.
Spalanco gli
occhi, voleva farmi fuori da tanto tempo … il perché lo sa solo lui. Forse è lo
stesso che ha portato alla morte dei miei.
“In effetti, eri
diventato una spina nel fianco…” continua lui, incrociando le braccia e
studiandomi “Ma eri pur sempre il migliore… quindi ero un po’ riluttante a
toglierti di mezzo, ma adesso come puoi immaginare… non passerò sopra questa
cosa…”.
“Era
chiarissimo…” gli faccio eco, sollevando il mento. La Granger mi ha contagiato. Buona cosa, almeno sono sicuro di non
scappare come un coniglio come sarebbe caratteristico da parte mia…
“Facciamo una
cosa veloce, vuoi? Te lo devo dopo questi anni di duro servizio…” ride lui,
puntandomi la bacchetta alla tempia “A proposito, nel caso me lo sia lasciato
sfuggire, la prenderemo… la Mezzosangue sarà la prima a
morire dopo di te… assieme a quegli altri due traditori…”, stringo i pugni e
lui, non soddisfatto, prosegue maligno: “Anzi no… prima ci divertiremo un po’
con lei… è davvero una bella streghetta… e la figlia quando crescerà, sarà un
belvedere anche lei… ti ha messo le corna, eh, Draco? La Mezzosangue si è
divertita in tua assenza… e tu l’hai anche liberata… l’ami davvero molto,
eh?!”. La sua voce assume un’aria disgustosamente melensa.
“Bastardo!” urlo
e gli mollo un pugno in faccia, come desideravo fare da un sacco di tempo.
Che
soddisfazione, magra, ma sempre una soddisfazione.
Lui barcolla un
po’, un tempo non sarebbe successo. Ha sconfitto la morte, come nessuno prima
di lui aveva mai fatto. Ha raggiunto l’eternità. Ma il suo corpo è sempre
carne, è sempre soggetto alla vecchiaia ed alla stanchezza. Tra la giovinezza e
la morte, c’è sempre un periodo in cui sei più debole e meno preparato. Ed
anche più solo. Questo vale anche per lui, anche se considerando da che
situazione partisse, è sempre il più grande mago del mondo. Per la terza
condizione, invece…
Lui non è mai
solo.
E questa è la sua
più grande forza.
Simultaneamente
al mio attacco, è uno scoppiare di raggi di luce da tutte le direzioni. Mi
abbasso per scansarne qualcuno, recuperando la mia bacchetta. Non voglio morire
standomene fermo. Le urla coprono gli altri suoni, striscio per terra con
cautela, i Mangiamorte confusi si accalcano per colpirmi, ma non riescono a
farlo tutti assieme, quindi puntano alla cieca, sbagliando mira. La metà di
loro sono dei perfetti imbecilli. Vigile, sento alle mie spalle uno scalpiccio
di passi e un tonfo. Mi volto, pronto, ma poi mi gelo. Voldemort mi punta la
bacchetta alla nuca.
“Bè, questo mi ha
sorpreso, davvero…” ringhia aspramente “Te ne andrai con l’orgoglio di avermi
colpito…”.
Le mie braccia
cadono lungo i fianchi.
La bacchetta
rovina nella neve fresca.
Chiudo gli occhi,
non voglio vedere le facce soddisfatte dei Mangiamorte.
È finita.
“Avada Kedavra!”.
Sospiro. E poi è
l’ultima cosa che sento.
Il vento si fa
meno freddo, l’aria meno pungente, la luce meno intensa.
Nel buio, solo il
baluginare di due occhi color cioccolato e di altri due grigio luna.
Non potete
immaginare di che fatica è stato questo capitolo, dover mantenere uguale
Hermione è stata un’impresa! Devo dire di somigliarle parecchio e solo questo
l’ha reso un pochino più semplice! E poi, sapendo come dovevo concluderlo, mi è
venuta un’angoscia assoluta! LA FIC NON E’ FINITA! Manca ancora un capitolo!
Quindi, abbiate ancora un po’ di pazienza! Cercherò di aggiornare quanto prima!
Come sempre, ringrazio tutti coloro che mi stanno dedicando il loro tempo! Sono
stata molto contenta che, nello scorso capitolo, ci siano state molte più
recensioni! Spero che non mi ammazziate per questo! Un mega bacione, quindi, a
Synnovea, silvia 90, kiki (spero di non averti fatto perdere in questo
capitolo!), Aleptos (i capitoli sono quattro, questo è il penultimo! Grazie del
capolavoro, anche se non penso di meritarmelo!), Merryluna, cocorita (la colpa
del Naike è di una deficiente che ho visto in tv e che aveva il suo nome
scritto così! avendo sgobbato per cinque anni come una pazza sulle versioni di
greco, sapevo che si scriveva NIKE, ma quella maledetta mi ha confuso! Grazie della
recensione bellissima!), Sally 90, Lady Crystal.
Un piccolo
avviso: il prossimo capitolo è un pochino, diciamo, strano. Non so se si
capisce benissimo la situazione. Ma alla fine si capisce tutto, non vi
preoccupate!
“Finalmente…”. Il
sibilo di Voldemort si smarrisce nel vento. Nessuno sente la sua esclamazione.
Anche il Signore
Oscuro consente a sé stesso gesti proibiti di vacillamento, a patto che si
perdano nel vento.
I Mangiamorte
rilassano le spalle, sollevati. Due di loro, fendendo la bufera di neve, si
avvicinano al loro Signore.
Barty Crouch Junior
dà un calcio schifato al fianco del giovane uomo biondo esanime, steso per
terra. Il volto reso bianco reca la traccia di un minuscolo sorriso.
“Che cazzo ti ridi,
bastardo?!” ride sguaiato Barty, prendendo a calci il viso dell’uomo morto.
I Mangiamorte ridono
ad alta voce, poi iniziano lentamente a ritornare nel castello, al caldo. Poco
importa che il suo padrone sia appena morto. Chiaramente continueranno a vivere
lì.
Codaliscia striscia
vicino a Voldemort, guardando disgustato il cadavere.
“Mio Signore…” lo
chiama soffuso Codaliscia “Perché avete aspettato tanto?”.
Voldemort si volta
irato, mormorando sferzante: “Osi esprimere dubbi sul mio agire?”.
“N-n-no…” balbetta
Codaliscia, terrorizzato, poi cerca di restringere il tiro: “Mi chiedevo solo
perché non l’avete fatto prima… conoscete tutta la storia da anni ormai… ed
invece dopo aver tolto di mezzo Lucius, avete aspettato tanto con il ragazzo…
perché?”.
“Avevo i miei
motivi, Codaliscia…” risponde Voldemort, tracotante, la veste nera che si agita
nel vento.
Poi prosegue:
“Lucius era inutile. Esattamente come la moglie. Non mi servivano ed appena è
venuta fuori la cosa, li ho fatti fuori. Non me la sentivo di rischiare. Ma
Draco era ancora utile… doveva rimanere in vita… e ti dirò, se oggi non avesse
cercato di liberare la Granger, lo avrei tenuto in vita per altri due - tre
anni, il tempo di finire di costruire Dark Hell Manor… ci serviva il suo
castello, no?”.
Barty e Codaliscia
ridono. Barty si avvicina, osservando ancora il cadavere che ha ripetutamente
sfregiato.
“Almeno adesso potrò
smettere di controllare tutte le donne che uscivano dalla stanza di questo
fottuto bastardo…” commenta volgare, ridendo sardonicamente “Ogni volta era una
rogna vedere se erano incinte o meno…”.
“Ora capisco…”
mormora Codaliscia con un battito di mano “Per questo avete reso sterile la
Parkinson, mio Signore… per impedirle di avere figli da Malfoy…”.
“Codaliscia sei in
ritardo di anni, ma meglio tardi che mai…” annota Voldemort tra sé e sé, poi
ride scomposto: “Adesso che è morto l’ultimo dei Malfoy, anche l’ultima profezia
è caduta… queste profezie… smontata una, le smonti tutte…”.
“L’unica persona che
poteva porre fine alla vostra grandezza era l’ultimo dei Black e dei Malfoy…”
ride anche Barty “Con la morte di Draco, che non ha avuto figli, il vostro
Regno sarà eterno!”.
Non è vero.
Tutti ridono e
festeggiano, alzando cupe scintille nere nel cielo bianco di neve. Un Marchio
nero splende sinistro sul corpo dell’ultimo Malfoy. Intanto, Theodore Nott
viene attirato da un’ombra scura nella neve fresca. Si allontana.
Dopo qualche
secondo, ritorna con la seconda gradita sorpresa della giornata.
Lontano, miglia e
miglia più in là.
Una grotta buia in
una montagna rosa da frane e smottamenti. La pioggia cade senza sosta, fango
sulle vesti e sulle mani.
Una bimba dorme,
sogna il primo capitolo della storia dei Malfoy. Sogna, ignara del suo destino.
Sogna, la nuova prescelta, l’ultima prescelta, l’ultima dei Black e dei Malfoy.
Sorride.
Accanto a lei, un
uomo e una donna.
Per ora, con lei
condividono solo i capelli. Neri come la notte.
Anche se lei è
bionda, quello è un primo passo.
Un primo passo verso
la vittoria, un primo passo verso Naike.
“Sarà nostra
figlia…” mormora Blaise Zabini.
“Lo so… alla fine
Draco ci fa fare sempre quello che vuole…”. Pansy Parkinson si stringe all’uomo,
la testa di Naike sulle sue gambe.
E alla fine riescono
a sorridere anche loro.
Le palpebre sono
assurdamente pesanti, sembrano d’acciaio e non riesco ad aprirle. Ogni
maledetta cellula del mio corpo mi fa un male boia, comprese quelle dei
capelli. Stringo forte gli occhi, le pupille si restringono, dietro le palpebre
chiuse una luce bianca accecante mi ferisce gli occhi. Ma che diamine è? mi chiedo nel tepore del dormiveglia.
Cerco di
riaddormentarmi, rispondendomi velocemente che sarà il sole.
Il sole?!
Mi tiro
bruscamente a sedere dalla posizione supina, in cui mi trovavo, e mi guardo
attorno sconcertato. Sono steso in un letto, mi sembra familiare… sussulto… il letto di Hogwarts. Riconosco immediatamente le lenzuola odorose di
gelsomini, un profumo che non ho più ritrovato, sebbene lo cercassi da ogni
parte. Riconosco anche il copriletto verde-argento, tipico della mia Casa; ci
sono persino le lampade verdognole agli angoli di pietra della stanza. L’unica
cosa diversa è la luce del sole. La stanza è la mia, ma quella di Hogwarts era
nei sotterranei. Era impossibile vedere il sole. E poi, che io mi ricordi, la
luce del sole non la vede nessuno da anni.
Mi stendo di
nuovo sul letto, lentamente i ricordi ritornano a galla.
Avada Kedavra!
Sollevo la mano
verso l’alto, non me la ricordavo così piccola…
“Ti sei svegliato finalmente, Malfoy…” una
voce conosciuta mi fa sobbalzare.
Mi volto verso
l’ingresso e vedo fermo sulla soglia… oh mio Dio… un
diciassettenne Potter mi guarda con aria di sufficienza.
Una goccia di
sudore freddo mi scende lungo il collo. D’accordo, sono impazzito…
“Ce ne hai messo
di tempo a svegliarti…” mormora lui, avvicinandosi al mio letto con le braccia
incrociate.
Lo squadro con
attenzione, è esattamente identico al Potter del settimo anno. I capelli sono
sempre neri e spettinati, gli occhi verde brillante sono sempre nascosti dalle
spesse lenti, c’è persino la famosa cicatrice a saetta.
“Tu invece sei
più piccolo di quello che mi aspettassi…” dice, ridendo tra sé e sé.
“Più piccolo?!”
chiedo sconcertato, ma la mia domanda si blocca in gola. La mia voce… è quella di un bambino… difficile non rendersene conto… se questa è
sempre la mia stanza, di fronte a me, ci dovrebbe essere lo scrittoio e uno
specchio.
Mi sollevo
leggermente ed intravedo il mio riflesso nello specchio.
Non ho la voce di
un bambino, sono un bambino. Undici anni più o meno. Il
pigiama è persino quello azzurro con i boccini che mi regalò mia zia Elladora
per il mio decimo compleanno, sono mingherlino e pallido come allora, e persino
i capelli biondi sono appiattiti sul capo con la gelatina, come mi piaceva a
quell’età.
La morte è proprio
strana… certo che mi aspettavo di tutto tranne che essere di nuovo un moccioso…
“All’inizio,
anche a me ha fatto uno strano effetto… ed avevo quindici anni…” commenta
Potter, poi sogghigna tra sé e sé. Riesco a cogliere solamente le parole: “…
undici anni…”.
Mi alzo dal
letto, barcollando come se avessi la febbre.
“Potter… se
davvero sei Potter… si può sapere che diavolo è successo?!” chiedo nervoso,
stringendo i pugni ed agitandoli vicino alle sue ginocchia. Non mi ricordavo
così minuscolo.
Potter sospira
tra sé e sé e risponde: “Certo che sono io, furetto… siccome ti
conosco, hanno detto a me di venirti a chiamare… hai la prima lezione tra poco…
muoviti… Piton ti aspetta…”.
Sto decisamente
perdendo la pazienza. Che diamine di lezione?!! E Piton è morto! E pure Potter!
Ma, ora che ci penso, sono morto anche io…
“Se ci sei tu,
questo deve essere l’inferno…” ribatto caustico.
“Non è l’inferno,
idiota… e comunque tra poco io me ne vado di qui… è l’ultimo anno…” risponde
lui, guardando verso l’alto.
Non ci sto
capendo niente.
“Se è il
paradiso, è una bella cantonata…” borbotto.
“Non è nemmeno il
paradiso… presuntuoso come sempre, Malfoy… pensavi di meritartelo?” replica
Potter acido.
Abbasso il capo,
alla rabbia si sostituisce un vago senso di vergogna. Ma immediatamente mi
riprendo: Potter era il prescelto ed è esattamente dove sono io, quindi…
“E’ una via di
mezzo…” risponde alla fine Potter, appoggiandosi con una spalla alla colonna
del letto a baldacchino “Un luogo che ti permetterà di arrivare nel luogo che vorresti…”.
Non rispondo,
distogliendo lo sguardo da lui per puntarlo di nuovo alla stanza sconosciuta.
Potter si stacca dal mio letto e mormora qualcosa a labbra strette. Agita la
mano e in un bagliore opalino, compare davanti a me uno specchio dall’aspetto
vecchio e consumato, e dalla cornice intarsiata d’argento.
“Bè, che c’è?”
mormoro a Potter, guardando lo specchio con aria scettica.
“Dio, Malfoy… mi
ero dimenticato quanto sei imbecille…” sbuffa Potter, indicando poi la
superficie di vetro “Guarda dentro… c’è il luogo dove vuoi andare…”.
Controvoglia, mi
avvicino allo specchio in cui nulla sembra visibile a causa della luce riflessa
del sole.
Poi la mia gola
si chiude.
Poggio una mano
sul vetro freddo, gelido come il vetro della mia finestra a Malfoy Manor.
Dall’altra parte, una mano sottile si appoggia alla mia, superandola in
grandezza.
“Granger…”
mormoro, gli occhi che pizzicano. Oltre alle lacrime che cerco di trattenere,
Hermione è talmente luminosa da farmi bruciare gli occhi. Lei sorride e dice
qualcosa, ma non riesco a sentire la sua voce. Piange e ride Hermione, ed è
bellissima. Bella oltre ogni ragionevole misura, oltre ogni razionale logica,
oltre ogni logica fantasia. Veste di bianco, i capelli risplendono e gli occhi
scintillano di stelle d’oro.
“P- perché?”
balbetto, rivolto a Potter, la mano ancora sul vetro, oltre il quale Hermione
la tiene ancora appoggiata. Continua a dirmi qualcosa che non riesco a sentire.
“Non lo chiedere
a me…” sorride Potter, guardando il riflesso della sua migliore amica “Quella
ragazza ha fatto sempre delle scelte discutibili… Malfoy… Draco… è morta lo stesso giorno, in cui sei morto tu…”.
“NO!” mi ritrovo
ad urlare, staccando la mia mano dal vetro.
“Persino prima di
te… anche se di dieci secondi …” continua Potter, gettando un’occhiata al
riflesso che ha smesso di parlare, silenziosa per le nostre orecchie, e che,
sorridente, si stringe nelle spalle.
“Come?” chiedo,
guardandola di nuovo.
“Ha lanciato un
incantesimo al portale, affinché sparisse… si è nascosta dietro l’albero di tua
madre…” spiega Potter, entrambi guardiamo Hermione, lui risponde sorridente al
sorriso di lei, io la guardo ancora turbato e sconvolto “Quando i Mangiamorte
hanno reagito al tuo attacco a Voldemort, lei è uscita allo scoperto, protetta
dal vecchio mantello di mio padre. È stata colpita per caso da un anatema,
mentre si avvicinava a te. E, subito dopo, hanno ucciso anche te…”.
Ora ricordo. Le
parole che mi aveva detto, salutandomi, e che io non avevo udito; lo scalpiccio
di passi alle mie spalle e poi il tonfo. Era… lei.
“Non doveva
morire per me…” mormoro, abbassando il capo. Le lacrime adesso bagnano
silenziose il mio viso.
“Lo penso
anch’io…” risponde sinceramente Potter, guardandola “Ma lei è fatta così… la
conosci… e se la conosco bene come penso, ti sta già aspettando… faresti bene
ad andare a lezione, altrimenti non la raggiungerai mai…”.
Sorrido, il
sapore salato delle lacrime in bocca, mentre poggio la mano di nuovo sulla sua
che continuava ad aspettarmi, instancabile come sempre. Le sussurro a labbra
strette: “Aspettami”, sperando che lei mi capisca.
Hermione
annuisce, sorridendo ancora, e le sue labbra sillabano: “Ti amo”.
Annuisco,
asciugandomi le lacrime con la manica del pigiama. La sua mano si stacca dal
vetro, mentre lei si fa di lato per permettermi di vedere cosa c’è alle sue
spalle. Non ce ne era bisogno,
amore mio.
Se davvero è il mio paradiso, il nostro paradiso, so perfettamente cosa c’è alle sue
spalle.
La vista di
Malfoy Manor, lucente nei suoi torrioni antichi e splendente nella luce del
sole, mi toglie il fiato. Vedo montagne smeraldine e prati di fiori da colori
che non credo di aver mai visto. Piango ancora e non riesco a farne a meno. Ed
è bellissimo.
Hermione sorride
sulla scala d’ingresso, poi agita la mano, sillabando: “Ti aspetto…”, e alla
fine sparisce.
Lo specchio mi
restituisce solo il mio riflesso infantile.
“Il suo ultimo
sacrificio l’ha fatta arrivare direttamente lì…” mormora Potter commosso “E il
tuo ti ha permesso di essere qui… tra poco, l’andrò a raggiungere anch’io…”.
Sorrido ironico e
mormoro, le lacrime che si asciugano sulle mie guance: “Avvicinati alla mia
donna, Potter, e ti ammazzo… di
nuovo…”.
Potter ride tra
sé e sé: “Adesso sarà meglio che ti vesta…”.
Ad un tratto, mi
ricordo di una cosa e fermo Potter sull’uscio.
“Che altro c’è?!”
chiede lui, nervoso “Sono in ritardo, la McGranitt mi mette una nota!”.
“E Blaise e Pansy?”
chiedo spaventato “E Naike?”.
Potter sorride
ancora, fa ricomparire lo specchio e mormora: “Zabini e Parkinson saranno i
migliori genitori del mondo per tua figlia… in quanto a Naike… è confortante
vedere un prescelto che non sono io… con l’aggravante di un ben diverso
risultato…”.
Lo specchio si
illumina ancora e stavolta riesco subito a distinguere le sagome al suo
interno. La luce è pressoché scomparsa, anzi la scena che vedo è al buio, se
non per una piccola luminescenza perlacea.
“Accadrà tra dieci
anni…” sussurra Potter alle mie spalle.
Riconosco
immediatamente il salotto del Malfoy Manor, esattamente come l’ho visto
l’ultima volta che ci sono stato. Le tende rosso cupo sono tirate, il caminetto
è acceso, i mobili di legno pregiato non ci sono più, ad eccezione della
poltrona di mio padre che adesso fungeva da trono o pseudotale per Voldemort.
La stanza è piena di gente, viva e…
morta.
Cadaveri
giacciono a terra in pozze di sangue nero, riconosco molti Mangiamorte e
qualche Auror che conosco di vista.
Tutto sembra
sospeso in un momento di stasi, le bacchette tacciono, gli incantesimi sono
bloccati. Si odono solo i gemiti dei feriti.
Al centro della
stanza, distinguo a malapena due figure, una stesa per terra, l’altra in piedi.
La seconda indossa un mantello bianchissimo e lucente con cappuccio.
All’improvviso, l’ombra per terra urla qualcosa e la seconda figura per il
contraccolpo dell’incantesimo scagliatole contro, fa un passo indietro. Il
cappuccio cade dalla sua testa, rivelando una cascata di boccoli biondissimi.
“Naike…” mormoro,
appoggiandomi stancamente allo specchio.
Mia figlia,
chiaramente, non mi sente. Si porta una mano al viso dove scintilla un taglio
poco profondo; asciuga il sangue e, così facendo, rende visibile l’anello che
io le ho dato e che porta all’anulare destro.
I suoi occhi
socchiusi si aprono, rivelandosi chiari come me li ricordo.
Senza nemmeno un
gemito di dolore o fastidio, punta sicura la bacchetta contro la misteriosa
figura ai suoi piedi. Lo spostamento del suo mantello luminoso la rende
visibile.
Boccheggio.
Voldemort è steso per terra, il capo calvo scoperto, il sudore che gli imperla
la pelle biancastra. Gli occhi rossi saettano inquieti nella stanza, trovando
solo gli Auror che Naike deve essersi portata con sé.
“Che vuoi fare,
puttanella?” le chiede arrogante, guardandola dal basso verso l’alto.
Naike sorride
freddamente: “Mi sembra ovvio… che vuoi farci? Le profezie sono veramente
noiose… non si riesce mai a venirne fuori…”.
Voldemort ride:
“Non sei una Malfoy… l’ultimo è morto dieci anni fa… non puoi farmi nulla… non
ne hai il potere, la profezia parlava dell’ultimo dei Black e dei Malfoy… solo
quello avrebbe avuto il potere di uccidermi…”.
Naike inarca un
sopracciglio, come faceva sempre Hermione.
“E pensare che mi
hai avuto anche sottomano per un’intera notte… quando avevo dieci anni, mi hai
persino catturata…”.
Voldemort
spalanca gli occhi. È la prima volta che lo vedo autenticamente terrorizzato.
“La mocciosa di
quella volta!” balbetta spaventato.
“Esatto” replica
crudele Naike “La stessa a cui hai ammazzato nella stessa giornata il padre e
la madre…”.
La bacchetta
preme più forte sul collo di Voldemort.
“Com’è
possibile?” si chiede ancora Voldemort, tremando “Credevo che Malfoy e la
Mezzosangue non avessero fatto in tempo a…”.
“Errore di
valutazione” replica sbrigativa lei “Adesso è l’ora che faccia quello per cui
sono nata… sai che mi dicevano sempre i miei genitori, mentre mi allenavano?
Intendo, Blaise Zabini e Pansy Parkinson, ovviamente. Che non posso fallire,
perché già mia madre me l’ha imposto chiamandomi così… Naike significa
vittoria…”.
“Non sei la
prescelta, l’ultimo prescelto era Potter!” grida disperato Voldemort, cercando
di sfuggire alla presa di Naike.
“Non credere che
sia perché una stupida profezia mi ha designato come tale…” sussurra lei, gli
occhi grigi scintillano per un attimo, prima di tornare torbidi come prima “Le
faccio io stessa le profezie e so benissimo quanto siano inaffidabili… vedere
Harry Potter per credere… no, Riddle. Ti ammazzerò per un solo motivo. Uno ed
uno soltanto. Gli altri ne trovino i loro… ma io…”, la bacchetta trema per un
attimo, prima di tornare ferma.
“Ti ammazzerò
perché mi hai impedito di avere nostalgia di mio padre…”.
Trasalgo,
sentendo quello che ha detto.
Mormora qualche
parola e, un attimo dopo, Voldemort smette per sempre di vivere.
Mia figlia sposta
tutti i capelli su una sola spalla, chiude gli occhi sospirando mentre gli
Auror scoppiano di gioia, tenendo i Mangiamorte catturati. Naike sorride a
tutti, stanca e ferita, si stringe la mano destra, dove porta l’anello. Lo
guarda e piange, piegata su di esso.
Bambina mia…
Poi si allontana
degli altri, fendendo la folla in due ali festanti. Potter mi consente di
seguirla con lo sguardo.
Attraversa le
stanze dove tutti i Malfoy sono vissuti, le osserva con malcelata curiosità,
sfiora con le dita insanguinate i quadri preziosi, accarezza i mobili rari.
Arriva all’ingresso e spalanca il pesante portone, pronunciando un “Alohomora”
a bassa voce.
Esce all’esterno.
Le voci allegre
restano alle sue spalle, rese mute dal grave portone di pietra che si è
richiuso.
C’è vento. Spazza
la foresta e i prati, trasportando odori lontani.
Il cielo è
grigio.
Come sempre.
Solleva lo
sguardo, guarda le pesanti nuvole con aria corrucciata.
Alza la mano
destra che si illumina di un bagliore celeste. Piccole scintille si staccano
dalla sua mano, giocano con le sue dita, sfiorano il mio anello. Poi arrivano
alle nuvole.
Sorride Naike, il
mantello candido che si agita nel vento.
Le scintille
creano una macchia celeste nel cielo.
Lentamente si
espande, prima piano, poi sempre più veloce, fendendo l’orizzonte e il limite
descritto dalle montagne.
Il cielo è
tornato azzurro. Oro puro, balugina sulle sue spalle, nuovamente illuminato dal
sole.
Torna a vedersi
anche un piccolo spicchio di luna, dietro il castello, pallido per la luce del
nuovo giorno che inizia.
I petali di fiori
si sollevano, circondando la sua esile figura nel vento dell’estate.
Sole… gli occhi di
tua madre…
Luna… i miei…
E, alla fine, tu…
vento… siamo tutti e tre assieme.
Vivremo assieme. Per
sempre, assieme.
Naike chiude gli
occhi, il vento che le scompiglia i capelli chiari.
Resta immobile
così.
Tremano
leggermente le sue mani abbandonate lungo i fianchi.
So che cosa vedi,
Naike.
Il paradiso di tua
madre… orgogliosa, apre gli occhi
e guarda attorno a sé.
Felice che il
luogo più bello del mondo sia un po’simile a quello che ha creato lei.
Chiude ancora gli
occhi.
E vedi me, vedi dove
sono.
Felice, apre di
nuovo gli occhi.
È felice, adesso.
Felice, davvero.
Fa qualche passo.
In direzione di un albero noto.
Dopo averlo
raggiunto, si siede alle sue pendici. Fa passare la sua mano sull’erba fresca.
Stringe i denti per una fitta di dolore al fianco.
Dove la sua mano
è passata, è comparsa una piccola lastra di marmo.
Recita: “Il vostro amore sarà come il vento… anche
se non potrò vederlo, continuerò sempre a sentirlo. Esattamente come accadeva
per voi due da tutta una vita… Naike…”.
Si solleva,
toglie alcuni fili d’erba dal mantello e fa qualche passo.
Si ferma.
Ed ascolta il
vento.
“Potter, quand’è
che cominciano le mie lezioni?”.
Siamo chiari!
Io, di solito, non mi commuovo scrivendo le mie storie. Cerco sempre di darmi
un contegno perché altrimenti non riuscirei a scrivere di determinate cose,
considerando che mi affezionerei troppo ai personaggi e pur di non farli
capitare qualcosa, stravolgerei tutta la storia. Ma stavolta… ve lo giuro… mi
sono commossa davvero, da sola poi! Ma sarò normale? Avevo deciso dall’inizio di
far morire sia Draco che Hermione, ma Naike è nata molto dopo, mentre scrivevo
la storia stessa, quasi come se reclamasse un’esistenza! Un solo chiarimento:
non ho nominato precisamente il luogo dove si trova Draco, ma sarebbe una
specie di purgatorio. Nella mia mente malata, l’ho immaginato simile alla
scuola di Hogwarts, quindi le loro lezioni o pseudotali, sarebbero dei mezzi di
espiazione. Draco torna all’età di undici anni perché ha molti anni di
pentimento da scontare, mentre Harry l’ho fatto di 17 anni perché è lì da molti
più anni di Draco, quindi ha finito quasi la sua opera di pentimento! A volte,
sono veramente contorta… me ne stupisco da sola! Che dire ancora? Questa storia
è stata una specie di parto ed averla terminata per me rappresenta un enorme
risultato, considerando che l’ho scritta talmente di getto da meravigliarmene
io stessa! Ci tengo tantissimo, come una piccola creatura, specie per questo
ultimo capitolo, quindi ogni sorta di commento sarebbe gradito! Un mega
ringraziamento a tutti coloro che hanno recensito questa storia o che hanno
solamente letto! Grazie davvero tanto!!!! Spero che ci siate ancora per questo
capitolo! Non so se scriverò ancora una Draco/ Herm, sicuramente se lo facessi,
sarebbe una storia molto più allegra! Questa mi è costata lacrime e sudore nel
vero senso del termine! Grazie ancora, Cassie!