Amsterdam

di formerly_known_as_A
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Zaterdag // Sabato ***
Capitolo 2: *** Maandag ***
Capitolo 3: *** Dinsdag//Martedì ***
Capitolo 4: *** Woensdag ***
Capitolo 5: *** Donderdag // Giovedì ***
Capitolo 6: *** Vrijdag ***
Capitolo 7: *** Zaterdag // Sabato ***
Capitolo 8: *** í vorið ***



Capitolo 1
*** Zaterdag // Sabato ***


Islanda non saprebbe dire come siano finiti lì. In un pessimo albergo ad ore ad Amsterdam, che puzza di fumo ed alcol. Brennivìn. È quasi sicuro che sia colpa di quella bevanda demoniaca -oh, ma tanto buona, le perdona anche questo- o forse è stato l’assenzio? Il fumo?

Incastra la gamba tra quelle dell’uomo e continua a baciarlo, afferrandolo per la camicia ed abbassandolo, lasciandosi andare ad un lamento quando si rende conto della differenza di altezza. Quando hanno cominciato a baciarsi era così alto? È sempre stato così alto? Ricorda, Eirìk, ricorda! Non potete essere lì senza un motivo.

Oh, c’è un motivo. Sesso. Non è un motivo valido? Nella mente annebbiata da fumo ed alcol, non riesce a trovare motivo migliore per desiderare altri mille di quei gemiti che l’uomo sta lasciando uscire dalle labbra.

Ricorda. È solo un flash, ma gli manda un brivido lungo la schiena. Van Gogh, le raccomandazioni di Norge, Olanda…

“Jan…” geme, buttandolo malamente a sedere sul letto, che cigola come se dovesse crollare da un momento all’altro -al piano di sotto, a giudicare dallo scricchiolare del pavimento- e salendogli a cavalcioni sopra.

Certo, è cominciata così, ecco perché non era poi così alto, gli era in braccio, dannato olandese e le sue droghe che gli fanno scordare le cose importanti.

“Tuo padre mi ammazzerà.” sussurra lui, nell’ennesima protesta che dovrebbe, di norma, far fermare l’islandese. Ha cominciato con ‘non sei il mio tipo’ e passando per ‘sei troppo giovane’ è arrivato a quello. Islanda gli ha risposto sempre allo stesso modo.

“Che peccato.”

Muove il bacino su di lui, sensualmente, stuzzicandolo oltre l’impossibile, spostando le mani sul suo corpo, sotto la camicia, sulla sua pelle, leccandogli le labbra prima di legarle con un bacio profondo, impedendogli di protestare ulteriormente.

Andare in Olanda per vedere le città, i musei… quella era stata la sua idea iniziale. Non è il tipo da andare in giro in cerca di sesso o droga, solitamente è troppo timido per questo. No, non è il tipo, allora perché sta spogliando l’uomo di fronte a lui? Uomo. Non dimostra la sua età, chissà che cos’avrà pensato la signora alla reception! Se la ricorda in modo appannato, forse era un uomo, ma le unghie laccate erano un segno che…!

L’olandese lo allontana, secco e deciso, facendolo vergognare a morte per il modo in cui lo prende per la vita, lo solleva e lo posa sul letto, lontano da lui, come se non pesasse nulla o fosse un bambino. Poi resta seduto sul bordo del letto, la testa tra le mani, i capelli scompigliati che ricadono un po’ sugli occhi.

“Sei un bel ragazzo. Davvero, sei intelligente e mi piace parlare con te, ma sei ubriaco e probabilmente non avrei dovuto farti fare un tiro. Dio! Ma cosa diavolo stavo pensando, sei suo figlio!” sbotta, tirando un pugno al materasso, che protesta rumorosamente.

Islanda non sa cosa rispondergli. Ha la testa che gira e l’eccitazione non svanirà perché glielo dice lui. Però si sente un po’ più razionale, rispetto alla persona che ha oltrepassato la porta e si vergogna. Molto.

Allunga le mani verso l’olandese infelice, vorrebbe allo stesso tempo sbatterlo sul letto ed abbracciarlo, è una sensazione strana, gli gira la testa perché ci pensa davvero troppo. Le incastra sotto alle proprie cosce, come a punirle per aver disubbidito e voler evitare altri danni.

“Ti accompagno in albergo.” sussurra l’altro, più calmo, alzandosi e porgendogli la mano. L’islandese guarda di lato, non osando guardarlo in faccia, cercando di elaborare qualche modo creativo di mandarlo via, per lasciarlo solo con la propria vergogna.

“Eirìk, non è successo nulla, torna in albergo e dormi, senza alcol in corpo starai meglio.” aggiunge, conciliante, un tono che ancora non ha sentito, nella sua voce.

Libera una mano e prende la sua. Ma non lo guarda. Resta a guardare in terra mentre fanno il percorso inverso verso la reception e Jan parla con la persona con cui hanno parlato prima. È amichevole e l’altra persona ride allegra. È una donna, ma non ha voglia di alzare lo sguardo per vedere se ha le unghie laccate o meno.

Barcolla insieme all’accompagnatore fino in strada e senza neppure accorgersene si trova in taxi. La testa rimane rigidamente voltata dalla parte in cui sa che non ci sarà nessun uomo dagli occhi verdi e la mano che gli aveva porto ritorna a nascondersi, mentre si addossa alla portiera e chiude gli occhi.


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Capitolo 2
*** Maandag ***


Islanda ha pensato che un viaggio lontano dal se stesso fisico potesse fargli soltanto del bene. A volte succede. A volte gli sembra che l’isola sia troppo piccola, troppo vuota, persa com’è in mezzo al mare. A volte ha bisogno di allontanarsene per rendersi conto di quanto sia bella.

E non c’è nessun avvenimento che gridi ‘vattene’ come una separazione. Dopo due mesi, si rende conto che la casa in cui viveva con quella persona è sempre troppo piena di ricordi per essere sopportabile, ma esita ancora ad andarsene. Si dice che è soltanto per un periodo breve, una vacanza e riesce a convincersi, ma, da allora, sono già trascorsi quattro mesi. Sei mesi in totale nei quali erra di stanza in stanza, cercando di eliminare le tracce, rinchiudendo tutto in una delle sue tantissime stanze vuote.

Senza quella persona, quella casa troppo grande per una persona sola diventa immensa. Dopo sei mesi, quell’immensità è insopportabile.

Ne parla a Matt. Anche se l’istinto gli dice di andare dal fratello, non lo fa perché sa che si preoccuperebbe molto di più del dovuto, che si metterebbe a dar di matto nel suo modo calmo, borbottando per casa velati insulti per la sua ex metà. Probabilmente se lo terrebbe a casa, non lasciandolo un momento, come se Eirìk potesse deprimersi al punto di fare qualche stupidaggine.

Dopo sei mesi ed una separazione consensuale, più che essere triste sente che gli manca qualcosa. Si dice che è l’abitudine ad avere sempre qualcuno di tanto rumoroso intorno, più che il fatto che gli manchi proprio quella persona. Non gli manca. Non piange più. E non si ferma lunghi momenti a pensare se sia felice con l’altra persona, con quello più meritevole del suo amore, che la sposerà presto.

Islanda trova stupido che esista la possibilità di amare per tanti anni una persona e poi accorgersi che c’è di meglio. Le da’ molte colpe, ma se ne da’ altrettante per averla lasciata andare molto prima di quando si siano lasciati. Fa il conto delle colpe, decide che però è lei che ha iniziato tutto e lei che ha finito tutto. Lei ha la responsabilità di quegli anni di felicità e quei mesi di vuoto.

Non per questo è meno triste.

Matt gli dice di andare ad Amsterdam e lui lo guarda male. L’altro ride e gli spiega che, nonostante la fama, la città ha molti pregi e che una settimana lì, ammesso che non si dia alla pazza gioia con donne e droga, può rimetterlo in forma. A volte, molto spesso, non capisce del tutto i ragionamenti di quello che un tempo chiamava padre. Chiunque gli avrebbe detto di darsi ad una settimana di follia ad Amsterdam a base di donne e droga.

Matt invece gli mostra il sito della città e, per la prima volta in molti anni, Eirìk prende una decisione in meno di due mesi.


Lunedì.

Sei giorni prima.


Olanda è strano, per essere amico di Danimarca. Forse è perché immagina i suoi amici rumorosi e ubriachi e sempre con il sorriso sulle labbra. Quando invece gli si avvicina, in aeroporto, non può fare a meno di notare quanto sia lontano dall’idea che si è fatto di lui, soprattutto perché il danese, parlandogliene, ha continuato a dipingerlo come il proprio migliore amico.

Non è caotico e, anche se porta sempre con sé una pipa piuttosto appariscente, quello che c’è dentro sembra tabacco. Parla con un tono calmo, la voce bassa che gli ricorda molto quella del fratello, non è propriamente amichevole. Però è gentile e questo ha modo di dimostrarlo quasi subito.

Non può fare a meno di sorridere, stirare un pochino le labbra, almeno, nel notare quanto sia più simile a lui.

Per prima cosa lo porta al Rijksmuseum. Dapprima non gli spiega nulla, resta ad osservarlo da lontano mentre si muove da un quadro all’altro, vicino fino a guardare le singole pennellate e poi a guardare l’insieme, meravigliato.

L’arte gli è sempre piaciuta. Ama la poesia sopra ogni forma d’arte, il canto, le leggende e gli eroi, perché gli ricordano un tempo lontano in cui gli sembrava di essere felice, gli ricorda che, un tempo, è stato il primo ed il migliore tra i nordici, nonostante fosse molto più piccolo.

Nonostante questo, ama anche i dipinti, ama guardarli e pensare a come e perché siano fatti. Guarda le nature morte e quasi tende una mano verso di esse, perché sono così perfette da sembrare reali.

Olanda -Jan, si chiama Jan- lo segue in silenzio, accompagnandolo senza però guidarlo, guardandolo un po’ stupito quando si rende conto che l’islandese non segue affatto il percorso del museo, tornando indietro ad analizzare dipinti simili, facendo una foto e tenendo la macchina fotografica in fondo al braccio teso accanto a quelli dipinti dalla stessa persona.

Non parla, ma dentro di sé si sente bene, in pace, come ogni volta che entra in un museo.

Si trova ad Amsterdam da due ore quando tira fuori il cellulare e manda un messaggio a Matt.

Grazie. Semplicemente questo, grazie. Sa che lo chiamerà quando la giornata sarà finita, raccontando a macchinetta ogni cosa.

Islanda è una persona silenziosa, ma il suo carattere cambia radicalmente quando si tratta di parlare di cose che gli piacciono. Matt lo sa e, forse, quello è solo un altro trucco per tornare a parlare come un tempo, in quello strano piano che sembra aver elaborato da qualche anno. Ad Eirìk non importa. Parlerà al telefono con lui per un’ora, spendendo un capitale per la doppia chiamata internazionale, perché, anche se è un trucco, Matt l’ha mandato in un posto che gli piace.

A volte bisogna riconoscere i meriti delle persone.

Si blocca di fronte alla Ronda di Notte di Rembrandt, stupito e meravigliato. Nel sito sembrava meraviglioso, ma non aveva ben realizzato quanto fosse grande. Si avvicina il più possibile, cercando di cogliere ogni particolare, ammirando la luce e come l’intera scena ne sia modificata.

“Jan, i tuoi pittori sono affascinati dalla luce.” commenta, quasi casualmente, rivolto all’olandese dietro di lui.

Lui si avvicina e sembra intento a pensarci su, mentre osserva con attenzione il dipinto che ha sicuramente visto milioni di volte.

“Era un periodo luminoso.” ribatte, lo sguardo ancora un po’ perso, probabilmente al momento di cui parla. “Mi ero liberato dal dominio di Spagna.” aggiunge, portandosi la nocca dell’indice sulle labbra.

Eirìk lo osserva, sentendosi, per un momento, molto vicino a quello che deve provare, ripensandoci.

“Si è molto ispirati, quando si è felici.” gli risponde, con un minuscolo sorriso. Sa esattamente di quello che parla.

Non ha ancora terminato di stupirsi, quando si spostano poco lontano, prendono qualcosa da mangiare in una bancarella, si siedono sul prato del Museumplein e pranzano lì, in silenzio a guardare le persone -turisti, adulti e bambini, semplici olandesi a passeggio- che più o meno di fretta gli passano di fronte. Islanda è già stato in una città d’arte e gli sembra di poter leggere nel pensiero.

Quel gruppetto di corsa, ad esempio, che ha quasi camminato sopra al suo pranzo -ed ha evitato anche di calpestare lui per un soffio- è lì per poco tempo e probabilmente perderà un’ora a scegliere souvenir e cartoline che dimostrino che loro ad Amsterdam ci sono stati, anche sacrificando una visita ad un museo o una passeggiata sui canali. Ah, vuole fare questo, dopo.

Più lontano, sorprendentemente, c’è un gruppo di ragazzi chiassosi e strafatti, che gridano al mondo quanto sia bella l’Olanda. Che pena. Non dubita che faranno una visita al quartiere a luci rosse, in seguito. Si sono sicuramente persi, per essere in quella parte della città.

Guarda la Nazione accanto a lui, pronto a chiedergli cosa ne pensi di quella gioventù bruciata e si scopre fissato a propria volta, cosa che lo manda un po’ nel panico per colpa della propria naturale predisposizione all’imbarazzo con gli sconosciuti.

“Hai scelto il tuo preferito?” chiede, confondendolo, accendendo la pipa. Eirìk ha appena addentato l’Hollandse Nieuwe che fa parte della piccola montagna di cibo che l’altro gli ha voluto far assaggiare. Aringa cruda. Ha un gusto meraviglioso e passa il test, ma la domanda dell’olandese lo lascia un attimo perplesso.

Sta parlando dei turisti strafatti?

“Pittore.” specifica, chiarendo la questione e facendogli fare un sospiro di sollievo. “Sembra che ti siano piaciuti un po’ tutti, anche se hai guardato soprattutto Vermeer.” gli fa notare, stupendolo ancora. Sì, effettivamente tra quelli che hanno visto è il suo preferito.

Ha già visto qualcosa a Parigi, qualche anno prima e l’ha decisamente colpito per quel modo di vedere e trasporre la luce, per i dettagli, la polvere per terra, i segni sui muri. Sì, tra quelli del museo è il suo preferito, anche se la Ronda di Notte l’ha colpito, facendolo sentire minuscolo.

“Van Gogh.” risponde, quasi senza pensare.

Jan lo fissa con lo stesso stupore che deve avergli mostrato prima, la stessa confusione, poi ridacchia. Ha una risata controllata, di certo non quella sconclusionata di Danimarca. Però è lo stesso allegra, divertita.

“Non l’abbiamo ancora visto.” precisa, come se non fosse ovvio.
Islanda sbuffa e gonfia le guance, stizzito. Ecco, non gli dirà più niente, ora, se deve prenderlo in giro in quel modo! Sta per rispondergli qualcosa a tono, ma tace quando l’altro gli ruba un pezzo di frikandel. “Sei strano, islandese. Hai le idee chiare, però, non è male.” aggiunge, facendogli un sorriso.

Qualcosa in Islanda si scioglie, esattamente al centro del petto.


La sensazione ritorna quando, alla sera, Danimarca gli chiede cosa ne pensa della città e della sua guida eccezionale.

Non risponde subito, ma, quando lo fa, sente il calore invadergli il viso, la bandierina con cui era trafitta l’aringa che si muove tra le sue dita.

“Grazie, Dan.”



Note dell'autrice

Per prima cosa, grazie per il vostro supporto, il primo capitolo -complice il rating?- è stato un successo e, per essere un pair sfigato, sono contentissima.

In seguito, due cose.

La fanfiction sarà aggiornata ogni lunedì, fatta eccezione per questa settimana e la prossima. Oggi e mercoledì.

I primi sei capitoli sono pronti... e anche gli ultimi tre, in pratica ne manca uno che è a buon punto e pubblicando un capitolo a settimana sono quasi sicura di finirla in nove settimane, in tempo per la mia partenza all'estero.

L'altra cosa importante è che, inizialmente, questo capitolo doveva avere un pezzo in più, ma che non sono assolutamente ispirata per un altro museo. I due si devono ancora conoscere!

Quindi spero non vi abbia deluso... e vi ringrazio per le letture :)

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Capitolo 3
*** Dinsdag//Martedì ***


Il giorno successivo l’islandese non può che arrivare al Museumplein con un sorriso sulle labbra, esaltato per quello che sa che farà quel giorno.

“Ti piace davvero molto, eh?” chiede l’olandese, guidandolo verso il museo. Islanda non risponde. Non perché non voglia o sia maleducato, ma perché è bloccato, il corpo teso mentre attraversano la soglia, le mani tremanti.

Ha sempre pensato che adorare in quel modo un artista di un’altra Nazione fosse sbagliato. Non si venerano arti diverse dalle proprie, pensava, osservando il fratello prendere il violino per suonare qualcosa di straniero e gli altri nordici leggere ed apprezzare opere in altre lingue. Ha sempre creduto che la forza di una nazione risiedesse appunto nel tenersi strette le proprie opere e farsele piacere.

Islanda è sempre stato particolarmente fissato con la propria identità, nato com’è da una protesta contro chi quella identità voleva sostituirla a qualcosa venuto da lontano, ma Van Gogh gli ha decisamente fatto cambiare idea.

Si è trovato per la prima volta di fronte ad un suo dipinto a metà anni ’50, in uno dei libri di arte che Dan gli aveva mandato in blocco per farsi perdonare e cercare di recuperare quel sembiante di famiglia che erano un tempo. Anche allora sapeva decisamente come ammorbidirlo, lo stupido danese.

Non erano i Girasoli, erano gli Iris. Un dipinto meno famoso ma altrettanto bello, che l’aveva affascinato con i colori, con quei blu così vividi che gli avevano subito ricordato i tempi malinconici dei viaggi per mare.

Così aveva iniziato ad apprezzarlo e presto era diventato l’Artista, quello con la prima lettera maiuscola, aveva letto, ma soprattutto guardato. Pensare di ritrovarsi finalmente di fronte a qualcosa che ha dipinto, qualcosa su cui si è dannato per trovare i colori giusti lo emoziona troppo per rispondere all’olandese.

“Tu… L’hai conosciuto?” chiede, mentre osserva i dipinti e i semplici disegni con occhio attento, con una lentezza quasi esasperante.

“Non molto. Non era il mio genere, non avevo ancora capito quanto fosse grande. Per me era un povero pazzo che colorava in modo strano.” ammette quello, non senza un pizzico di vergogna. “Credo che si trovasse decisamente molto meglio in Francia.”

Islanda si volta per guardarlo, uno sguardo di disapprovazione in volto, da vero fanatico, cercando di capire se il tono che ha sentito sia o meno dispiaciuto. Di sicuro ora dev’essere un orgoglio essere la patria di un tale genio.

“Guarda.” sussurra, prendendolo per un polso e piazzandolo di fronte ad un autoritratto. “Ti piace la luce, eppure non la vedi, qui. Guarda, i tratti concentrici intorno a lui, quella è luce, anche se non è chiarezza, è come un’orbita. La luce si modifica a seconda di cosa importa di più.” gli spiega, sorridendo ed indicandone il percorso.

Lo fa avvicinare il più possibile, con una delle guardie che li guarda un po’ male, ma non gli interessa.

“Vedi? Non sono pennellate a caso. Ci sono luci ed ombre e il colore non è uniforme.” aggiunge, tracciando ancora dei piccoli movimenti con le dita, nell’aria di fronte alla tela.

Jan annuisce, colpito, anche se probabilmente sa già tutte quelle cose.

Islanda è soddisfatto e passa agli altri quadri, gli occhi luminosi mentre cerca i dettagli, le pennellate, il cuore che batte all’impazzata come se fosse ad un appuntamento romantico. E, in un certo senso, quello è come il coronamento di un rapporto a distanza, durato anni.

Continua ad andare avanti ed indietro attraverso le stanze, fermandosi a lungo davanti agli Iris.

“È meraviglioso. Come immaginavo.” commenta, all’accompagnatore che non lo lascia un secondo solo mentre il suo continuo girovagare attira l’attenzione degli altri visitatori. Vorrebbe fare un milione di foto ai dettagli, ma, soprattutto, fare una foto accanto a quel dipinto, il primo che ha imparato ad amare. È davvero un peccato non potere.

“È il tuo preferito?” chiede Jan, incuriosito, ormai probabilmente convinto di avere davanti un fissato dell’artista. Ma la cosa non sembra turbarlo più di tanto.

Eirik scuote la testa, voltandosi verso di lui per parlare. “No, è stato il primo che abbia mai visto, però. Il blu è bello come il mare, con gli stessi riflessi e i fiori sembrano incredibilmente vivi.” commenta, socchiudendo gli occhi e sentendo di nuovo quell’ondata di nostalgia. “Mi ricorda la mia infanzia.” confessa, in uno slancio di sincerità, tornando a guardare le sfumature di blu.

“Qual’è il tuo preferito, allora?” domanda l’olandese, guardandosi in giro come per individuarlo. “Il mio è Campo di grano con volo di corvi.” lo anticipa e Eirik lo guarda come se avesse detto la cosa più assurda del mondo.

È anche il suo preferito e sa che moltissimi lo snobbano perché non è maestoso come I Girasoli e non ha attorno un alone di tormento come gli autoritratti.

Si illumina, annuendo brevemente. “È anche il mio preferito.”

Jan sorride a propria volta, un po’ meno misterioso rispetto al giorno prima, più rilassato in sua presenza… amichevole. Probabilmente hanno entrambi bisogno di un po’ di tempo. Lo guida attraverso il museo, fino al dipinto in questione ed Eirik sente la morsa tipica di qualcosa di angosciante e bello, avvicinandosi con estrema lentezza.

C’è tutto. Il vento e le nuvole scure, quell’angoscia che sembra preannunciare la fine. La follia.

Forse è una sensazione ancora più forte di quanto pensasse quando fissa la stampa che ha messo nel soggiorno che ne riproduce le figure. O forse è autosuggestione.

“È bellissimo.” ammette, però, portandosi una mano dove quella sensazione è più forte, sul petto.

Bellissimo, sì, ma non riesce a guardarlo più di cinque minuti, imprimendosi nella memoria ogni tratto, collegandolo alla follia di qualcuno che ha amato di un amore ben diverso da quello che lega due innamorati, ma proprio per questo incondizionato, senza limiti.

L’amore di un figlio nei confronti di un padre che, lentamente ed inesorabilmente, soccombe alla follia.



“Dan?”

“Vuoi ringraziarmi ancora?” chiede il danese, al telefono, divertito. “Guarda che se vuoi chiedo a Jan di adottarti, se ti piace così tanto la città!”

Scuote la testa, arrossendo al pensiero. Anche nell’Amsterdam Dungeon l’hanno scambiato per il fratellino dell’olandese. Solo perché ha avuto seriamente paura che quei finti malati di peste fossero veri e si è nascosto dietro Jan quando sono entrati!

Un tempo sarebbe scappato gridando, è già un buon passo avanti.

Abbraccia il cuscino, imbarazzato, sbuffando leggermente.

“Dopo il museo mi ha portato all’Amsterdam Dungeon.” borbotta, giocherellando con il cordino della macchina fotografica, ancora decisamente imbarazzato. “E mi hanno preso per il suo fratellino. Non ci somigliamo per niente e io non ho fatto storie per il pirata che sputava nei bicchieri prima di darci da bere, anzi!” protesta, imbronciato, cadendo sul fianco.

“Pirati? Ti piacciono sempre?” chiede il danese, interessato, ricordando ad Eirik che quell’uomo sembra avere una memoria prodigiosa per qualsiasi cosa lo interessi, anche solo un minimo. Se li marca sicuramente da qualche parte, non ci sono alternative possibili!

“Certo che mi piacciono. C’era tutta una parte dedicata solo a loro, era bellissimo, sembrava di stare su una vera nave pirata!” esclama Islanda, ricordando quella parte con entusiasmo. Sembra così diverso dal solito Lui, ma quella è solo una parte, un po’ infantile, forse, che può mostrare quando si sente al sicuro. Al telefono, ad esempio, protetto dalla lontananza e dal fatto che nessuno può vedere la sua espressione felice.

“La parte sull’Inquisizione era assurda. Il prete continuava a gridare cose senza senso. Anche Jan non era contento.” continua, cercando di raccontare ogni cosa, ma non riuscendoci molto bene. Troppe emozioni, tra l’entusiasmo per i pirati e l’orrore della peste.

“Invenzione spagnola.” ribatte Dan, divertito. “Ha una certa avversione per lui, l’hai notato?”

Eirik ci pensa un momento, ricordandosi quello che gli ha detto a proposito della luce nei dipinti. Annuisce. Sì, non sembra sopportare molto lo spagnolo. Ma è così per quasi tutte le ex colonie.

Anche lui è al telefono con il proprio ex colonizzatore. Ma è decisamente diverso.

“Notato. Poi c’era una stanza sulla peste e…” si blocca, stringendo fin troppo il cuscino.

“Stai bene?” chiede immediatamente il danese. Non per il silenzio. Non è durato molto più di due secondi. L’argomento è abbastanza delicato per entrambi. Hanno avuto paura di perdere Nor a causa della peste. La sua popolazione si era ridotta drasticamente e…

“Sto bene, mi sono fatto scudo con Jan.” ribatte, facendo ridere Dan. Per poco non lo segue, anche se è una battuta fatta solo per rassicurarlo un poco sul proprio stato mentale.

Ha avuto paura, sì. Si è nascosto e se ne vergogna, ma l’immagine del fratello devastato dalla malattia è impresso a fuoco nella sua memoria.

Il fratello che lo proteggeva sempre, magro ed incapace di muoversi senza provare dolore, la pelle candida diventata blu o nera in certi punti.

Il terrore non l’ha abbandonato finché non si sono mossi verso la stanza successiva ed Islanda si è tenuto bene dietro l’olandese, cercando di guardare per terra per non scorgere, in quella processione di morti che ancora camminavano -attori, solo attori!-, il volto di Nor.

“Non ti preoccupare, anche per lui è… un brutto ricordo.”

La voce di Dan sembra lontana, all’improvviso, ma è perché era perso a pensare. Torna subito attento a quelle parole. Cosa vuole dire? Che l’olandese non lo prenderà in giro per il resto della visita? Bene, non ne ha proprio voglia.

“Senti, Dan.” inizia, ben intenzionato a porre una domanda che non si è mai azzardato neppure a formulare consciamente, ma che una cosa che ha letto al museo gli ha suggerito. “Quando non stavi bene… com’erano i colori? E la luce?” chiede, tentennante, rendendosi conto che la domanda è decisamente personale, intima. Inoltre, non hanno mai parlato veramente del periodo buio del danese, quello che trascorreva facendosi del male.

Lo sente sospirare, probabilmente pensando se rispondere sinceramente o meno. Forse ha letto la stessa cosa che ha letto, che gli schizofrenici vedono i colori e la luce in modo diverso e che quello, misto all’assenzio, avrebbe influenzato l’arte di Van Gogh.

Da una parte riconosce il tormento sotto le pennellate, ma, dall’altra… c’è moltissima luce in quei dipinti, come una speranza che non scompare mai. Se così fosse, se anche per Dan ci fosse stata, allora un po’ del peso che ha sentito in quel periodo, sul cuore, se ne andrebbe.

“Non c’erano colori, né tanto meno luci.” risponde invece Dan, uccidendo quella speranza. Un altro sospiro, una pausa, come se volesse aggiungere altro. “C’eri solo tu e quella era la mia speranza, Eirik.”

Lascia andare il cuscino per un momento, l’espressione stupita, poi l’abbraccia e, giura, se quel danese stupido fosse lì, abbraccerebbe anche lui in quel modo. Sorride.

“Suppongo di doverti molto più che un consiglio su dove andare in vacanza, mhm?”

“Idiota.”

Ma lo dice con talmente tanto affetto nella voce che sembra significare un milione di cose diverse.



Note dell'autrice


Per prima cosa vi ringrazio ancora moltissimo per il feedback. Purtroppo nell'ultima settimana ho avuto una specie di strana influenza che mi ha impedito di rispondere ai commenti ed aggiornare come avrei voluto, quindi avete questo capitolo solo di venerdì... per il prossimo, però, aspetterete solo il weekend, promesso.

Vi rimando alla pagina del blog dedicata ai primi capitoli per le note “artistiche” e qualche foto dei luoghi visitati!


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Capitolo 4
*** Woensdag ***


“Oggi voglio fare qualcosa di diverso.”

Fiducioso, Islanda l'ha seguito per le vie affollate del quartiere Jordaan, mancando a più riprese di farsi travolgere dai turisti, sebbene non sia poi così piccolo. Il quartiere è decisamente caratteristico, con le case tutte attaccate l'una all'altra, colorate, gli artisti che si fanno pubblicità. Se solo guardasse quello, di certo lo apprezzerebbe.

Ma non vede più di tanto, sballottato qui e lì e per poco non si perde.

“Jan!” lo chiama, dopo quasi un'ora di cammino, sollevando un braccio per farsi vedere. Di lui nota solo la punta dei capelli, insieme ad un aroma di tabacco che si perde negli odori della folla. Ripete il suo nome, vedendo che si allontana sempre di più, un po' nel panico, nonostante sappia di saper uscire da quel quartiere per tornare in albergo.

La punta dei capelli si ferma e lui riesce a raggiungerlo, aggrappandosi alla sua manica e standogli il più vicino possibile.

“Non ti piace?” chiede l'olandese, lasciandolo a pensare, per quasi un minuto, cosa possa rispondere ad una domanda così diretta. No, il quartiere sarebbe bello, ma senza tutte queste persone.

“Quando piove è molto più bello.” aggiunge, senza mostrare segno di essersi offeso. L'islandese tira un sospiro di sollievo, presto interrotto da una spallata che lo separa di nuovo da Jan. Ma l'altro è rapido ad afferrarlo per un polso e guidarlo verso una delle case, aprendo una porticina e conducendolo all'interno.

Spalanca gli occhi, immaginando già il proprietario furioso che li caccia via di casa, ma si ritrova, inaspettatamente, in un cortile, con tanto strada ciottolata, fiori e statue. Un cortile come non ne vede da moltissimi anni.

“Hofjes.” lo anticipa Olanda, mostrando lo spazio intorno con una mano, come se dovesse presentare un'opera d'arte. “Questo è un quartiere popolare, ma i nobili avevano l'abitudine di creare questi giardini interni per beneficenza.” gli spiega, portandolo fino alla panchina e sedendoglisi accanto, prima di accendere la pipa.

Eirik lo osserva, perché quello sembra in tutto e per tutto un rituale a cui non ha mai assistito. Segue le sue mani che posano il tabacco, la giusta quantità, con un movimento particolare, per poi cercare un fiammifero ed accenderlo. A quel punto l'olandese deve sentirsi osservato, perché si volta con un'espressione un po' sorpresa.

“Non ti piace la folla, eh? Ci avrei scommesso.”

Sembra davvero così solitario? Oppure addirittura sembra il tipo di persona che desidera soltanto isolarsi? Lo guarda fumare, in silenzio, pensando ancora a cosa rispondergli. Perché ci avrebbe scommesso?

“Non ti piacciono i turisti.” aggiunge l'olandese, tirando lungamente e guardando la facciata della casa di fronte a loro. L'altro si gira ad osservare due passerotti che saltellano sull'erba, fermo a pensare.

“Non mi piacciono i turisti irrispettosi, ecco tutto. E mi piacciono i luoghi tranquilli come questo.” riesce finalmente a rispondere, intrecciando le dita ed appoggiandosi con i gomiti alle gambe. “I tuoi turisti sono rumorosi e non guardano dove vanno, ma quella strada mi piaceva.”

A fatica, una parola alla volta, forse comincia a riuscire a spiegarsi. Non è mai stato molto semplice, per lui, ha sempre avuto la tendenza ad aggrapparsi alle sottane letterali del fratello.

“Uhm... hai rovinato il mio bel programma.” risponde Jan, facendolo trasalire. Quel tono di voce non gli piace per niente, sembra minaccioso!

“Mi spiace.” si affretta a ribattere, imbarazzato ed un po' a disagio, raddrizzando la schiena e guardandolo. Di sicuro non si aspetta quel sorriso furbo che vede sulle sue labbra.

“Ehy, sono così inquietante?” chiede, ridacchiando e muovendo tra le dita la pipa spenta. Ha già finito? Non ha la più pallida idea di come funzioni una pipa, a dire il vero... si possono spegnere e riaccendere?

“Ah! No! Non lo sei!” mente, imbarazzato, gesticolando con le mani davanti al volto. “Ma sei la mia guida e sei gentile e...!” si blocca, abbassando lo sguardo alle dita che sta tormentando e sentendosi un po' stupido. “Non volevo...”

Il suo interlocutore resta in silenzio, ad osservarlo, poi sorride. Un sorriso diverso da quello di prima, luminoso. Un sorriso che lo rilassa senza che sappia come diavolo faccia.

“Non avevo voglia di andare nel caos, oggi, quindi è come se tu mi avessi letto nel pensiero. E ora che abbiamo appurato che non ti va' di stare qui, direi che possiamo andare dove avrei voluto stamattina. Abbiamo ancora moltissimo tempo prima di stasera.” annuncia, alzandosi e facendo sparire la pipa nella giacca.

Stasera? Lo guarda, con la testa leggermente voltata di lato, senza capire. Solitamente di sera torna in albergo, no? Che vuole fare?

“Cosa c'è stasera?” cede finalmente alla curiosità, seguendolo verso la folla.

“Questa è una sorpresa.”


Seppur conoscendolo da pochi giorni, l'idea che si è fatto di Jan è abbastanza chiara. Con quell'atteggiamento da teppista, gli sembra uno di quei ragazzi degli anni ottanta, con quei capelli assurdi e l'aria strafottente, con la pipa sempre in bocca.

E poi, Islanda lo sa, l'Olandese è ricco. Quindi è esattamente come quei finti ribelli anni ottanta in sella ad una motocicletta.

Per questo, quando gli dice che dovranno prendere la macchina, Ice si immagina subito una sportiva anni sessanta, tirata a lucido, una di quelle macchine che sembrano fatte apposta per rimorchiare.

Quindi è possibile immaginare quale sia la sua reazione nel ritrovarsi di fronte ad una macchinina squadrata nella quale teme dovrà fare un buco nel tettuccio per entrare. Rossa, per carità, quindi almeno in qualcosa somiglia a quella delle sue aspettative... ma è pur sempre una scatoletta.

“Non è come l'immaginavo.” commenta, osservando l'olandese incastrarsi dentro l'auto. Ecco cosa sembra, la macchinina dei Lego!

“Vero? È bellissima! La mia bambina!” esclama Jan, entusiasta, mentre Eirik si infila a fatica attraverso la portiera, sussultando quando si rende conto che il sedile è veramente basso.

“Adorabile.” ribadisce, con una smorfia.

L'olandese sembra non capire il sarcasmo o, forse, è troppo preso dall'auto per rendersene conto. Poco male, ricorda le discussioni sulle auto scoppiate con Dan, quindi è molto più sano evitare.

“È molto lontano?” chiede, genuinamente incuriosito.

Il paesaggio è diventato subito diverso, una volta usciti da Amsterdam. Le case diventano tipiche, anche se le vede da lontano, visto che prendono l'autostrada.

“Non molto, ci vuole un'ora e mezza per andare fino a lì, ma ne vale decisamente la pena.” risponde l'olandese, guardando la strada, per poi sorprenderlo quando indica qualcosa dalla propria parte, fuori dal finestrino.

“Di là c'è il Markermeer, è un lago artificiale, non il vero mare. Ha preso il nome da una penisola, Marken... è molto tipica, per lo più ci sono pescatori...” gli spiega, prima di chiudere il finestrino, visto che non fa caldissimo.

L'auto fa un rumore infernale, come se dovesse abbandonarli da un momento all'altro. Sgrana gli occhi, aggrappandosi al sedile. Del mare nessuna traccia... tanto che comincia a pensare che Jan lo stia prendendo in giro.

“Come mai sei qui?” domanda Jan, dopo qualche minuto di silenzio.

L'altro lo osserva, non capendo proprio benissimo. Non ha deciso lui di portarlo in un posto misterioso, senza dirgli nulla?

“Voglio dire... Dan mi ha detto che avevi bisogno di...” aggiunge, forse nel tentativo di far conversazione, più che voler sapere i fatti suoi.

Scuote la testa, nonostante questo, sospirando. Non sono cose di cui gli va' di parlare. Proprio perché ormai non lo fanno soffrire come prima, vuole evitare di pensarci. Sta bene, così, guarda fuori dal finestrino e se lo ripete, mentre il paesaggio scorre.

Qualcosa gli dice che tutto non vada troppo bene, invece.


Un'ora e mezza di macchina dopo, quello che lo aspetta non ha nulla di particolare o culturale e questo lo sorprende abbastanza.

Qualcosa di diverso, ha detto, però... quella sembra una struttura moderna e sono a qualche chilometro da Amsterdam. Che cosa sarà?

“Ti piacerà, sono sicuro.” mormora l'olandese, guidandolo verso l'entrata. Islanda sta con le mani intrecciate, a tormentarsele, come ogni volta che si ritrova in un posto nuovo.

Lo segue, sentendo la temperatura abbassarsi a mano a mano che si addentrano nel corridoio. Prende nota dell'olandese che paga, chiedendosi perché non gli dica nulla, visto che vuole pagare anche lui e solo quando vede lo stand dei pattini a noleggio si illumina.

Quella -dev'essere gigantesca, viste le dimensioni all'esterno- è una pista di pattinaggio.

Come gli sia venuto in mente di portarlo lì, quando per pattinare potrebbe benissimo andare sotto casa, è un mistero, ma lo trova un bel gesto, in fondo.

“Non è proprio una meta turistica...” sussurra, ma è già felicemente diretto verso il noleggio pattini, come se si trovasse di nuovo nel proprio habitat naturale. Sente lo sguardo di Jan seguirlo, ma non ne è imbarazzato per nulla, tutta la propria attenzione è rivolta al ghiaccio ed alle espressioni delle persone intorno.

Se deve essere sincero, non pattina da quasi un anno, quindi si immagina fare cadute tremende, così poco allenato com'è. Ma non importa. Andare a divertirsi sul ghiaccio fa parte di tutte quelle cose che faceva con lei e non avrebbe mai ripreso a fare, se non messo di fronte alla cosa in questione.

“In realtà è un'arena molto importante, parecchi grandi artisti ci hanno cantato e si fanno qui le selezioni nazionali di Miss Universo.” lo informa l'olandese, facendogli fare un sorriso di traverso.

“Oh, capisco, Miss Universo...” ripete, con un tono insinuante, ma con quel sorriso furbo sulle labbra. Come biasimarlo? Sono uomini entrambi, no?

Ned non risponde ed Islanda si ferma a guardare un volantino appoggiato accanto alla cassa, sgranando leggermente gli occhi.

Thialf. Quel luogo si chiama Thialf.

Il sorriso si allarga e ripiega il volantino per infilarselo in tasca, con l'intenzione di fargli raggiungere i suoi compagni stipati in valigia. Ha quell'abitudine da moltissimo tempo, ormai, probabilmente dalla prima volta in cui Dan l'ha portato in Francia per una riunione, facendolo assistere per poi premiare la sua pazienza con un giro nei musei. Gli piace collezionare cose. Ricordi. Con le foto è molto più cauto, ma i souvenir occupano spesso gran parte della sua valigia.

Indica il numero di entrate con le dita, cercando di capire cosa dica la ragazza della cassa -e cosa, soprattutto, abbia da ridacchiare-, ma riuscendo a pagare e capire il minimo indispensabile. Certo, olandese ed islandese hanno una radice comune, ma è comunque abbastanza complicato esprimersi.

“Sei praticamente olandese.” commenta, ammirato, Ned, mentre si dirigono verso i pattini.

Lui lo fissa, perplesso, poi torna all'argomento precedente, senza commentare questo. Era un complimento?

“Thialf. Vorrei sapere cos'è saltato in testa a chi ha dato il nome a questo posto...” ribatte semplicemente, scuotendo la testa, ma decisamente di buon umore. Può sentirsi più a casa di così?

“Uhm, se non sbaglio è il nome di una divinità della corsa?”

Scuote ancora la testa e restando a guardarlo mentre litiga con i pattini. A tratti gli ricorda Dan, anche se è molto meno scemo.

“Þjálfi è uno dei servitori di Þórr. E sì, effettivamente nell'Edda deve correre. Útgarða-Loki gli fa sfidare il pensiero stesso. Ovviamente perde la corsa, ma solo per pochissimo.” riassume, con l'espressione di ammirazione che assume ogni volta che gli capita di parlare del proprio poema nazionale, il proprio orgoglio.

L'olandese lo fissa dall'alto, leggermente perplesso, essendo riuscito a trovare un certo equilibrio sui pattini e lo segue, chiedendosi se non abbia per caso esagerato. Quando parla dell'Edda tende a farsi trasportare dall'entusiasmo.

“Credevo che l'islandese fosse più violento, visti tutti quei segni e i nomi dei vulcani.” commenta infine Jan, facendolo ridacchiare.

“Tutti lo credono.”

“Invece è bello.”

Arrossisce per il complimento inaspettato -nemmeno parlasse di lui!- e si lancia sulla pista per non farsi vedere, salvo sentire un tonfo alle proprie spalle e ritrovarsi a fissare l'olandese a gambe all'aria.

“Tutto ok?” chiede, vedendolo abbastanza dolorante e tendendogli una mano per farlo rialzare. Salvo poi assistere a cinque minuti buoni di cadute nella medesima posizione prima di riuscire finalmente a rimettersi in piedi.

Islanda cerca, cerca davvero, di non ridere, ma l'espressione dell'altro è troppo buffa, imbronciata e stizzita com'è.

“Non ridere.” borbotta lui, appoggiandosi alla ringhiera a bordo pista e strisciando i piedi con le gambe rigide, fissandole con una faccia perplessa.

“Non sai pattinare?” domanda Eirik, stupito, guardando quel movimento tanto buffo. Stupito perché è stato lui a portarlo lì e di certo non si aspettava che non sapesse stare in piedi sul ghiaccio.

“Credevo fosse meno difficile.” biascica Olanda, distogliendo lo sguardo verso gli altri pattinatori, imbarazzato. Che un adulto grande e grosso come lui possa imbarazzarsi in quel modo gli sembra impossibile, ma tant'è.

Ridacchia a sue spese, porgendogli la mano e pattinando all'indietro, trascinandolo e facendolo scivolare lentamente. Con la sua postura rigida sembra un grosso orso sulla banchisa.

Gli stringe la mano come se quella potesse veramente impedirgli di cadere. Ma da un dirupo, non sul ghiaccio.

Lo trova quasi tenero.

“Rilassati, piega le gambe e fai come se camminassi.” gli consiglia, prendendogli anche l'altra mano per non sbilanciarlo troppo da un solo lato. Ci manca solo che cadano entrambi. In quel caso sembrerebbero orsi ubriachi, altro che!

“Non credo di poter veramente fare tutte quelle cose insieme.” borbotta Ned, quasi imbronciato.

Lo fa ridere un'altra volta, perché il suo imbarazzo, legato alla sua apparenza burbera da teppista, lo diverte decisamente troppo e finiscono per battibeccare come bambini per un'ipotetica offesa alla virilità olandese.

Ci vuole circa un'ora per far capire all'uomo il concetto di 'sollevare i piedi per non sembrare un vecchio orso polare pigro' e alla fine riesce a mettere in fila qualche passo, tra i continui tonfi, rendendolo felice come un bambino, mentre scivola sul ghiaccio, goffamente, accanto ad un islandese fiero di sé.


“A cosa pensi?”

La domanda di Jan lo fa sobbalzare, tanto è preso dal corso dei ricordi. Fissa prima lui e poi la tazza di cioccolata ormai tiepida, la panna quasi intoccata tristemente afflosciata su se stessa.

Si affretta a darle il colpo di grazia, mangiandola in due rapide cucchiaiate, sorseggiando poi la bevanda.

“Pensavo...” mormora, quando posa la tazza. A cosa, di preciso? Ha cominciato a ricordare l'ultima -ed unica- volta in cui ha insegnato a qualcuno a pattinare, per poi perdersi in dettagli insignificanti, come la lunghezza ed il colore dei capelli di lei ed il modo in cui essi avevano l'abitudine di arruffarsi e soffocarlo durante la notte, quando dormivano insieme.

Ricordi insignificanti, quelli, che gli lasciano un retrogusto amaro, ma non il solito soffocato dolore. Essere lontano dai luoghi che hanno generato quelle immagini è davvero un bene, allora.

“L'unica persona a cui abbia mai insegnato a pattinare era la mia ragazza. Quindi è un po' strano ripensarci, dopo tutto questo tempo.” mormora, giocando con il cucchiaino. “È passato un bel po' da quando mi ha lasciato, ma ogni tanto qualcosa me la fa ricordare.”

Solleva leggermente lo sguardo verso l'olandese, quasi vergognandosi per quella confidenza, ma è sollevato quando non vede né scherno né pietà.

“È normale. Cioè, io... Non mi è mai successo, ecco, però a volte mi capita di sentire la mancanza di qualcuno, semplicemente guardando qualcosa o tornando in un posto. Mi viene subito voglia di chiamare e dire di raggiungermi.” ribatte quello, annuendo.

Non è proprio la stessa cosa, ma apprezza l'appoggio morale, nonostante lo veda un po' abbattuto. Soffre forse di solitudine?

“Quando trascorri cento anni con una persona finisci per riempirti di ricordi, per qualunque cosa, anche minima.” aggiunge Eirik, mordicchiando il cucchiaino.

“Per qualche motivo non ti vedo impegnarti per tutto quel tempo.” ammette l'altro, irritandolo un po'. Deve accorgersene, perché si affretta a precisare: “Sembri troppo giovane.”

E la cosa gli fa scattare il sopracciglio.

"Guarda che ho il doppio dei tuoi anni."

Jan sembra stupito e boccheggia un momento, prima di assumere nuovamente la solita espressione da teppista.

“Ma sembri più giovane, quindi è legittimo pensarlo.” borbotta, nervoso.

“Ah! Non te l'aspettavi, eh?!” chiede l'islandese, sembrando un ragazzino esaltato e provando così l'affermazione di Ned, che lo fissa da sopra il proprio bicchiere vuoto di birra, indecifrabile. “Lo ammetto. Ma è molto interessante.”

Per qualche motivo, il suo sorriso gli provoca un brivido.

Ma non è affatto una brutta sensazione.


Quattro tazze di caffè dopo, che corrisponde all'incirca ad un'ora e mezza di tempo umano, la discussione si è spostata sulla musica. Ovviamente non concordano. Trascorrono il tempo a non concordare e questo su qualsiasi cosa.

Eirik ama la musica classica. Non si direbbe, vista l'aria scombinata che ha assunto a causa del caffè, si direbbe più un tipo da jazz, a questo punto, esattamente come Jan. Il fiocco dell'islandese, con cui Eirik ha giocato quarantacinque minuti buoni, rischiando di fermarsi la circolazione nelle mani, è ora legato intorno al polso dell'altro, dopo che gli è stato da lui confiscato dopo uno strano sguardo alle mani incastrate.

Ora esibisce un bel fiocco al polso, che Islanda stesso ha fatto, sostenendo che, se proprio voleva quel nastro, allora doveva anche legarlo, altrimenti non ci sarebbe stato gusto.

“Sei un tipo poco raccomandabile.” commenta, la voce resa leggermente altalenante nel tono a causa dell'agitazione da caffeina. “Il jazz è adatto, è il genere che ascolta l'uomo a cui non presenteresti mai tua figlia.” cita, non ricordandosi da dove, rimaneggiando il tutto.

L'olandese sembra offeso, smettendo di giocare con il fiocco. “Non mi presenteresti a tua figlia? Mi sento una guida incompresa e sottopagata.”

Per un attimo si chiede se, per caso, Dan non lo paghi per davvero per seguirlo ed assicurarsi che si diverta, poi scuote la testa, trovandolo assurdo.

“Le mie figlie ti mangerebbero vivo, temo.” commenta, con un'alzata di spalle.

“Chi è che è poco raccomandabile?” ribatte Jan, leggermente inquieto.

“Ma è nella loro natura, sono vulcani. Tu invece hai quell'aria da teppista, con i capelli stupidi e quelle sopracciglia che... Che disgrazia farti sposare...” sospira, con aria disperata. Come se dovesse veramente trovargli moglie.

“Vuol dire che tu non mi sposeresti?” chiede l'olandese, apparentemente offeso. Le sue reazioni, nonostante, sì, effettivamente tentare di ragionare sotto caffeina non è l'idea più brillante del mondo, lo confondono parecchio, ma è abbastanza poco lucido da seguitare nella discussione.

“Jan, non so come dirtelo, ma non hai abbastanza seno.” vaneggia quello, intossicato dal caffè, con aria mortalmente seria.

Ned scoppia a ridere. Sembra si sia trattenuto fino a quel momento.

“Eirik, Eirik, devi bere caffè più spesso, sei divertente!” esclama, prima di controllare l'ora. “Riesci ad alzarti? Se non partiamo ora non saremo mai ad Amsterdam in orario...”

La sorpresa! Lo segue il più rapidamente possibile verso il parcheggio, divertendolo, probabilmente. Dice ancora qualcosa a proposito del caffè, ma, nell'esatto momento in cui si siede in quella macchina per nani, si addormenta.

Sì, il caffè ha uno strano effetto sul suo organismo, decisamente.


“Ehy, non vorrai mica farti prendere in braccio...”

Apre gli occhi, sentendo male ovunque, chiedendosi dove sia, cosa ci faccia in quelle scatola da scarpe -ah, no, è un'auto, ha anche i finestrini- e perché sia finito proprio lì, prima di ricordarsi che si è addormentato di colpo e vergognarsi come un cane.

“Ah! No!” scatta e fa per alzarsi, ma prende un colpo in testa, rannicchiandosi immediatamente per soffrire in silenzio. Sente una mano estranea farsi largo tra i capelli e stupidamente si sente meglio. Deve aver battuto la testa molto forte.

Si volta dolorosamente verso di lui e mormora: “La sorpresa?”

All'olandese sfugge una risatina, probabilmente perché ha un'espressione talmente assonnata da risultare buffo. Si imbroncia leggermente, ma aspetta una risposta e l'altro se ne accorge.

“Non sei stanco?”

Scuote la testa, anche se si farebbe volentieri portare in braccio fino al letto. E magari farsi sistemare anche le coperte addosso. Quello sarebbe indubbiamente comodo.

“Uhm... Facciamo così. Cena e verso le sette e mezza mi dici...” inizia Ned, subito interrotto.

“Sto bene, non sono stanco... Ci vediamo per quell'ora.” mormora Islanda, scendendo dall'auto. Sta chiudendo la portiera, quando l'olandese gli blocca un polso, facendolo sussultare.

“Hai degli abiti eleganti?” chiede, sorprendendolo. Non lo vorrà per caso portare a corte, no? Annuisce ed è immediatamente liberato, prima di restare a guardare, come inebetito, l'auto che se ne va'.

Sbaglia a pensare di averlo visto arrossire?

E perché, poi, fa tanto caldo?


Gli abiti eleganti gli piacciono. In famiglia hanno tutti un certo amore per le camicie e pensa di aver ereditato quel bisogno di apparire al meglio in ogni situazione un po' da tutti. Non è proprio narcisismo, perché ormai si tratta di movimenti automatici, quelli con cui sceglie le camicie migliori ed i vestiti più adatti alla circostanza, lo fa veramente... per far capire alle persone che ci si mette d'impegno, per incontrarle.

Questo ragionamento è davvero poco chiaro, ma ogni volta che ci riflette, all'incirca la conclusione è sempre la stessa.

Si guarda allo specchio, imbarazzato, cercando ancora di capire che occasione sia, quella e se sia il caso o meno di abbottonarsi fino in cima e mettersi un papillon. Fosse una riunione, un ricevimento... forse sarebbe meno agitato.

Jan non ha parlato di altre persone, vero? Sono soli?

Lancia un'occhiata all'orologio e decide che è tempo di uscire, visto che mancano solo una decina di minuti all'appunta... mento. Oh Thor. No, ma intendeva... un luogo ed un'ora prefissati, come dal medico, non di certo un appuntamento tra...

Si affretta verso la Museumsplein, sentendosi il viso rossissimo e cercando di calmarsi.

Aiuta poco la chiamata in entrata da parte di Dan. Maledice il cosmo intero e risponde, cercando di non balbettare.

“Ci chiedevamo come avessi trascorso la giornata!” esclama, tutto contento. Quell'entusiasmo gli dice a cosa si riferisca quel 'noi' ancor prima di porsi consciamente la domanda.

“Saluta Nor.” ribatte, sentendo nascere un sorriso sulle labbra. Sarà anche strano, ma non può che essere contento quando sa che sono insieme.

“Ti saluta anche lui. Con la mano.” ribatte il danese, ironico, prima di lasciarsi andare a svariati versi di dolore che fanno da sottofondo alla vendetta norvegese. “Ahi! Ahi! Nor, sono al telefono con Eirik, insomma!” protesta, ridacchiando ed il ragazzo riesce ad immaginarsi perfettamente il fratello che si calma ed appoggia il mento sul braccio di Dan, guardandolo dal basso.

A volte quei due lo preoccupano.

“Sono andato a pattinare... è stato bello, ma ho dovuto insegnare a Jan...” racconta, sforzandosi di sembrare scocciato ed accelerando il passo quando vede che ore sono.

“È stato difficile?” chiede l'altro, ridacchiando. Probabilmente ha un'idea abbastanza precisa di quanto sia goffo l'olandese.

“Non hai idea.” risponde, divertito, immettendosi nella folla serale del Museumsplein. I musei chiudono e sembra che abbiano ospitato più persone di quelle che effettivamente potrebbero.

“Ah! Non sei in albergo?”

“No, ho un appuntamento sulla...” inizia, senza possibilità di replicare, perché dal ricevitore proviene un discreto urlo, mescolato ad un borbottio basso in cui riconosce un 'bravo Eirik, bravo' che un po' lo inquieta.

Possibile che nessuno capisca il senso della parola appuntamento?

“Ti lasciamo al tuo appuntamento, allora, noi riprendiamo il nostro.”

“Nei tuoi sogni.”

“Sei cattivo, Nowu.”

E con questo, la telefonata termina, probabilmente interrotta da uno dei due che ha schiacciato il tasto sbagliato... e non vuole sapere il resto.

Resta con il telefono in mano, basito, per qualche secondo, prima di sentirsi picchiettare sulla spalla e voltarsi, per ritrovarsi di fronte l'olandese, con un bel sorriso sul volto, vestito di tutto punto.

Resta a guardarlo per un po', mentre la testa gli dice che, sì, obiettivamente è un bell'uomo, soprattutto con i capelli che gli ricadono sugli occhi, ma che i crampi alla pancia non sono una reazione tanto normale. Ribatte sottolineando come sia tutta colpa sua, salvo poi rendersi conto del monologo mentale e vergognarsene molto.

“Sei... diverso.” commenta, indicandolo.

Lo vede sussultare e poi distogliere lo sguardo. “Ero in ritardo e non ho sistemato i capelli.”

Si nota, ha un ciuffo perfettamente dritto in testa. Si alza sulle punte per sistemarlo e si riabbassa con estrema lentezza, come un ladro colto sul fatto, quando si accorge del gesto.

Non era quello che intendeva, comunque.

“Mhm... questa sorpresa?” chiede, scrollando la testa e guardando altrove. La folla li sta guardando? Che imbarazzo...

“Di qua.” risponde semplicemente, porgendogli il braccio ed aspettando che si appenda... no, ma è serio? Non è mica la sua dama... Resta due buoni minuti a fissare quel braccio e, vedendo che l'altro non sembra desistere, si arrende ed afferra il suo polsino tra indice e pollice, sperando che non chieda nulla di imbarazzante.

Le sorprese lo mettono a disagio. Non sa perché, ma sapere che qualcuno prepara qualcosa di nascosto, aspettandosi una reazione positiva, lo manda in crisi. Deve sembrare felice per forza? E se la sua espressione deludesse l'altro? No, non gli piacciono le sorprese...

Ma quando arrivano di fronte al palazzo e legge i manifesti appesi fuori si dice che, in fondo, non sono così male.

“Ti piace Schubert?” chiede l'olandese, un po' nervoso.

Gli risponde con un sorriso ed annuisce, prendendolo per il polso e trascinandolo dentro alla sala da concerto, al settimo cielo.

Il finale perfetto per quella giornata... come avrebbe potuto immaginarlo?




Angolino dell'autrice


Qui potete trovare foto e spiegazioni per il capitolo.

Mi scuso moltissimo per il mancato aggiornamento, ma ho esami/vita/condizioni psicofisiche che mi rallentano parecchio nella rilettura... spero che il capitolo vi sia piaciuto, comunque <3 Da qui in poi saranno piuttosto lunghetti, spero non vi dispiaccia, ma devono succedere molte cose in pochissimo tempo!

Fatemi sapere cosa ne pensate tramite una recensione o un breve commento sulla mia pagina di Facebook, grazie per la lettura!

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Capitolo 5
*** Donderdag // Giovedì ***


Si sveglia contento, nonostante la stanchezza accumulata il giorno prima renda il risveglio un po' traumatico.

Si dice che non gli importa, perché il giorno prima è stato particolarmente divertente. Ed ha amato il modo in cui è terminato. La sala da concerti era meravigliosa e l'acustica praticamente perfetta. Ha fantasticato sulle probabilità di suonarci, per poi concentrarsi soltanto sulla musica.

Cosa più che positiva, Jan non sembra detestare la musica classica, al contrario di ciò che pensava... è uscito anche lui dal teatro con il sorriso sulle labbra.

E, nonostante la stanchezza, hanno passato un po' di tempo seduti sul muretto che delimita il laghetto della Museumplein, a parlare, semplicemente.

Sta diventando sempre più facile comunicare, anche se sembrano tanto diversi... non può che esserne contento.

Si sveglia di buon umore, quindi, pensando a cosa potrebbe dirgli in seguito, parlando di sé, di quello che gli piace, di quello che pensa. Quando si accorge di non pensare affatto a cosa vedranno, concentrandosi invece sull'olandese, arrossisce e si da' dell'idiota.

In fondo, è lì solo per fare il turista, no?


L'incontro è decisamente imbarazzante. Se potesse si metterebbe a gridare non appena l'olandese gli mostra il fiocco che sembra appena stirato, facendogli ricordare che gliel'ha lasciato intorno al polso quando sono tornati dalla pista di pattinaggio.

L'apoteosi dell'imbarazzo, quando desidera soltanto fuggire, però, è quando l'olandese gli tira su il colletto della camicia e si impegna a fargli un fiocco, con una destrezza che non si sarebbe aspettato, ma comunque protraendo il contatto troppo per non andare nel panico.

Per fortuna non abbastanza da esprimere direttamente quel panico con un grido soffocato, in pieno stile piccola aquila appena nata. In poco tempo Jan torna a distanza di sicurezza ed il ragazzo si calma.

"Oggi andremo in uno dei miei posti preferiti."

Sta per dirgli che ha detto questo praticamente di tutto -pista di pattinaggio a parte-, ma il suo entusiasmo sembra genuino e lui non può fare a meno di sorridere e seguirlo, contando i suoi sbadigli. Ah, sembra che non abbia una buona resistenza!

Stanco?” chiede, seguendolo attraverso la folla. “Avremmo dovuto rimandare a questo pomeriggio, forse.”

L'olandese scuote la testa. “Oggi pomeriggio non sarebbe stato possibile, devo lavorare.”

Rallenta, depresso, chiedendosi se, per caso, le scene con il caffè del pomeriggio prima non l'abbiano spaventato. Rallenta così tanto da restare un po' indietro, così che Jan si volta con espressione confusa. Lo raggiunge in fretta, cercando di far finta di niente.

Credevo saresti stato contento che mi togliessi dai piedi per mezza giornata, puoi girare liberamente la città...” commenta, meritandosi uno strano sguardo dell'islandese, tra il ferito e deluso. La sua espressione diventa ancora più confusa.

A dire il vero, lui stesso non capisce cosa gli sia preso, non è offeso perché la guida lo abbandonerà per un pomeriggio, non pensa che sia una città pericolosa ed esplorarla da solo è qualcosa che non gli dispiacerebbe. Però... però lo stesso un po' del suo entusiasmo -che già è minimo, all'apparenza- si spegne, senza un motivo.

O forse solo perché l'olandese è una persona interessante, che gli piacerebbe conoscere meglio.


Cerca di fare finta di nulla, seguendolo fino alla fermata del tram, ma entrambi sono molto silenziosi. Ad Islanda sembra che quei dieci minuti siano eterni, ma si distrae guardando dal finestrino. I treni e i loro simili hanno sempre avuto un certo fascino, per lui.

Ricorda perfettamente la prima volta che è salito su un treno.

Era un ragazzino minuto, accanto ad un imponente Danimarca, sottomesso, ma fiero della propria cultura, abbastanza da sopravvivere nonostante gli inverni rigidi e la fuga del proprio popolo verso luoghi più ospitali.

Immaturo, nonostante l'età, il desiderio di indipendenza lo portava ad essere assolutamente contrario a qualunque cosa proponesse o facesse la Nazione che lo governava, come un adolescente. Solo dopo anni -quasi un secolo, a dire il vero- ha capito che Eirik e Islanda sono due parti separate della sua esistenza. Convivono, hanno bisogno l'una dell'altra, ma non approvare Danimarca non significa dover rifiutare per forza Matt.

Ma all'epoca non aveva voglia di ascoltare, era orgoglioso anche per ringraziare dei gesti della persona Matt, che cercava in tutti i modi di riparare il loro rapporto, seppure con un equilibrio mentale appeso ad un filo. Per questo aveva trattenuto l'emozione di quel viaggio fino a Parigi, si era sforzato di apparire annoiato davanti ad una città davvero bella. Ama viaggiare proprio per quell'episodio. Non è pronto a confessarlo al danese, per il momento lo ammette solo a se stesso e, conoscendosi, quello è già un traguardo.

A distoglierlo da quei pensieri ci pensa la mano di Jan, posata sulla spalla, che lo richiama fuori dal mondo malinconico dei motori a vapore, riportandolo ad Amsterdam ed avvertendolo che sono arrivati. Lo segue ancora in silenzio, a breve distanza. è molto presto, eppure le persone si fanno via a via più numerose.

Pare che non sia il posto preferito soltanto di Jan.

Non impiega molto a capire di cosa si tratti, perché è immediatamente investito da un profumo meraviglioso. Fiori. Ovunque, di ogni colore e forma, tutto intorno a loro. Sì, deve ammetterlo, è un luogo piacevole.

Un mercato dei fiori.

Lancia un'occhiata divertita al proprio accompagnatore, con un sopracciglio comicamente sollevato. Questo è il suo posto preferito? Davvero? Pare che l'olandese nasconda -sotto l'atteggiamento da teppista svogliato- una parte tenera.

Tu. E i fiori.” commenta, causando confusione nell'altro. “Scusami se non lo trovo un hobby da te. Virile.” aggiunge, sghignazzando ed avvicinandosi ad un banco pieno di semi e bulbi.

Non è il tipo da fiori. A dire il vero, tra un'educazione 'vichinga' ed il clima rigido, ha sempre pensato che coltivare fiori fosse roba da donne. O anche coltivare in generale. Immagina l'olandese con un fazzoletto in testa, chino sui fiori e gli viene da ridere.

Si trattiene soltanto perché non ne ha l'abitudine. E vuole anche evitare di rimanere a piedi, abbandonato nel mercato da uno Jan incazzato.

Virile? E cosa c'entra? A me piace.” ribatte con sicurezza lui, che lo segue, senza perderlo un momento di vista. Sembra sia abituato a quel tipo di obiezione, ma, anche se lo capisce, in realtà ancora si chiede come sia possibile.

Certo, nessuno crede mai che i ricami della tovaglia che usa nelle occasioni speciali siano opera di Svezia, ma lui è un caso a parte...

...e no, con questo non intende dire che è normale che ami il ricamo perché è gay. Anche Nor lo è, ma in qualsiasi faccenda -fosse anche fare una lavatrice- il fratello fallisce miseramente. E poi, non è il tipo di persona che ragiona per stereotipi.

Tutto quello che pensa vedendo lo svedese ricamare è che, un giorno, finirà per dover indossare dei fondi di bottiglia per vederci, ma ormai ha tanto l'abitudine ai suoi passatempi quasi femminili da non pensare ad altro. Bé, c'è sempre quella domanda insistente su come mani così grandi possano fare gesti così precisi, ma per quella si accontenta di studiarlo per ore mentre fa finta di leggere un libro.

Ha un che di affascinante, un omone del genere che riesce a fare cose così piccole e delicate.

Quindi non è una questione di stereotipo... è genuinamente sorpreso ed ha un senso dell'umorismo distorto. A maggior ragione quando la persona che tenta di impressionare gli interessa e non capisce come sia possibile.

"Non ti piacciono i fiori?" chiede all'improvviso l'olandese, facendolo sobbalzare, perso com'era tra i pensieri.

Si ferma a pensarci seriamente per almeno dieci secondi e, per tutto quel tempo, l'altro si accontenta di fissarlo con un bulbo in mano, perplesso dal suo perdersi.

Non è che non gli piacciano, ma... insomma, gli sono indifferenti? Preferisce attività meno faticose del giardinaggio, soprattutto se si tratta di fiori. Non ha mai pensato di far crescere dei fiori nella piccola serra che ha a casa. A dire il vero... è inutilizzata da tempo, perché di coltivare fragole ed altri frutti se ne occupava Lei.

"Non sono bravo ad occuparmi di esseri viventi." conclude, senza particolare tono di voce, ma, più ci pensa e più quella cosa lo deprime un poco. Fin da piccolo ha avuto grossi problemi a rapportarsi con gli altri. Non ha aiutato il voler testardamente seguire le orme di Nor, sembrare freddo ed irraggiungibile.

Certo, poi in altre situazioni è molto più spontaneo, però... ci vogliono anni per guadagnarsi la sua fiducia. Si considera un caso disperato.

"Non sono d'accordo." ribatte l'olandese, voltandosi per scegliere altri bulbi e facendoli impacchettare. Eirik pensa che siano per lui, per cui è sorpreso quando Jan si volta per porgergli il sacchetto, lo guarda, sembra voler dire qualcosa e si volta rapidamente verso l'anziana donna che si occupa della bancarella, facendola ridacchiare.

Che cosa si stanno dicendo? Cerca di allungarsi verso di loro, ma hanno assunto un tono cospiratorio e non li capisce.

Non dura molto, comunque, perché dopo pochissimo Olanda è di nuovo rivolto a lui e gli appunta al maglioncino un tulipano.

Resta a guardare la sua manovra, incrociando gli occhi sul fiore e cercando poi aiuto nella signora, che ridacchia e sospira. Che cos...?!

Jan? Quale parte della mia frase non ti era chiara? Ucciderò tutti questi bulbi, lo so.” protesta, indicando il sacchetto di carta.

Scommetto che non succederà.” ribatte l'altro, divertito, prima di portarlo nuovamente fuori dalla folla che via a via sta scemando. “Il mercato dei fiori è una tappa obbligata.” aggiunge, come a giustificarsi, sedendosi nuovamente alla fermata del tram.

Decide di lasciar stare, dicendosi che è un peccato che un bel regalo debba morire per mano propria. Forse può provare ad occuparsene. Forse può starsene a notte fonda a cercare su internet come non uccidere dei tulipani.

L'espressione soddisfatta dell'olandese è troppo simile a quella di Dan per non valere un tentativo. E, più per ricordo di quello, è perché ricorda cosa significa deludere quell'espressione che ci pensa un po', seguendo meccanicamente Jan nel tram.

Sì, può provarci. Anche se l'ultima volta che ha tentato di salvare qualcosa con internet si è rivelata disastrosa. Ci saranno sicuramente meno persone che gli suggeriranno di mangiarsi il bulbo, almeno.

Jan?” lo chiama, rendendosi conto -ed assumendo un colorito vermiglio, per questo- che non serve attirare la sua attenzione, perché l'ha già completamente. Esita, poi sospira.

Come se gli leggesse nel pensiero, l'altro gli si siede accanto, approfittando del fatto che il tram è vuoto.

Non ti arrabbierai se moriranno?” chiede, tenendo tra le dita il sacchetto e facendoci un buco, nervosamente.

L'olandese lo guarda semplicemente, divertito e scuote la testa. Per qualche motivo ha l'impressione che non stia mentendo. Forse l'importante era soltanto fare il gesto. Che sopravvivano o meno... insomma...

La mano che lo afferra per il braccio e lo trascina fuori dal tram, facendolo camminare ancora per un po', fino a giungere in un parco.

Gli cammina dietro, con occhi enormi, sorpreso che possa esserci un parco di quelle dimensioni in mezzo ad una città. Attraversano un ponte in legno come pensava esistessero solo nelle fiabe -ma forse l'insieme di verde, acqua e ponte lo trae in inganno- e finalmente Jan si ferma in un punto, non lontano da una serie di chioschi di cibi e bevande tipiche, ma piuttosto nascosto dagli altri.

Ci sono parecchie persone, nel parco, ma sono ben celati e sembrano comunque non fare caso a loro.

Si siede nell'erba accanto all'olandese, composto ed un po' a disagio per il silenzio ed andando ancora di più in imbarazzo quando alcune persone li fissano, per fortuna solo per poco tempo. Abbassa la testa per guardare la busta e si mette a leggere le istruzioni per approfittare della presenza di Jan per chiedere eventuali delucidazioni.

I tulipani sono fiori eleganti e dai colori brillanti. Sono i primi a fiorire in primavera.

Belli e romantici, i tulipani sono ideali per ogni occasione, ma, in particolare, per quelle più romantiche. I tulipani di colore rosso, ad esempio, sono quelli più significativi e significano amore vero ed eterno.

Sbarra gli occhi e gira rigidamente la testa verso l'olandese, che sembra molto concentrato sul filo d'erba che ha tra le dita. Si volta di nuovo verso il sacchetto, tentando di reprimere il pensiero che sta ridendo di lui e, nel frattempo, gli causa qualche anomalia, impedendogli di pensare lucidamente.

Non è sicuramente un messaggio. si ripete, scuotendo la testa.

Piantare i tulipani: hanno bisogno di molta luce e vanno piantati con la parte allungata verso l'alto, in Ottobre.

"C-com'è che ti piacciono i tulipani?" sbotta, talmente all'improvviso da farlo sobbalzare, segno che probabilmente si stava addormentando. O forse no. Da quando è diventato così agitato in sua presenza?

L'olandese alza lo sguardo, fissandolo come se avesse appena detto la cosa più stupida del mondo. O, almeno, così si ritrova a pensare, dandosi dello stupido.

"A te non piacciono?" chiede invece con naturalezza. "Non avrei dovuto comprare quei bulbi, ho capito. Posso portarli a casa e..." comincia, interrotto immediatamente dalla sua voce che pronuncia un no così fermo da sorprendere persino se stesso.

Jan gli fa un sorriso sincero e al povero Islanda sembra quasi che il cuore smetta di battere. Il che sarebbe stupido. E pericoloso, ma tant'è, gli sembra di non avere molto controllo del proprio corpo e dei propri pensieri, da quando è in quella terra sconosciuta.

No.” ripete, con più calma, stringendo il sacchetto. "Grazie." borbotta, posandolo accanto a sé ed appoggiandosi ai palmi, con la testa rivolta al cielo, per perdersi in quel blu limpido. Peccato sprecare una giornata del genere.

Non è il tipo da sole. Soffre terribilmente il caldo, ma, ogni tanto, giornate come quelle, limpide e serene, in un posto così bello e calmo, fanno un immenso piacere. Vorrebbe un libro, ma ha solo la guida turistica in tasca e quell'esiguo manuale sulla cura ai tulipani, da leggere.

Dove siamo?” chiede, ritrovando l'olandese ad occhi chiusi, sdraiato sull'erba e facendo un piccolo sorriso. Poca resistenza, eh? Chissà come arriverà al lavoro!

Si sente in colpa a fargli fare tutta quella fatica. Sospira e lo spinge con la mano per svegliarlo di nuovo.

Vuoi andare a casa? A che ora devi essere in ufficio?”

Jan scuote la testa, rimettendosi seduto e reprimendo uno sbadiglio. Che testa dura!

Volevo fare un giro del Vondelpark e prendere qualcosa da mangiare... Devo essere lì per l'una.” spiega, un po' controvoglia, dopo uno sguardo insistente dell'islandese, che sospira per l'ennesima volta.

Non mi sembri in grado di farmi visitare il posto. Possiamo mangiare qui.”

L'olandese esita, giocherellando con un nuovo filo d'erba. "Sono una pessima guida." commenta, lanciando il filo ed appoggiandosi al tronco dell'albero dietro di sé. Sembra pensare a lungo ed Islanda, che lo vede muoversi solo di sfuggita, essendo tornato a guardare il cielo, pensa che si sia di nuovo addormentato.

Conosco un buon ristorante. Ti va' di andarci stasera?” propone, dal nulla, facendolo voltare all'indietro quasi di colpo, stupito.

Prima i fiori e poi... è una specie di appuntamento, quello?

Apre la bocca per rispondere, rimettendosi seduto decentemente ed arretrando fino all'albero. Possono condividerlo senza problemi e senza essere troppo vicini e almeno può evitarsi un torcicollo epico.

Se mi porti fuori stasera rischi di addormentarti nel piatto.” commenta, leggermente divertito, notando come i suoi occhi fatichino a stare aperti. Ma quanti anni ha, otto? Ha bisogno di dodici ore di sonno come i gatti.

Potrei dirti qualsiasi cosa, Jan, stai attento.” lo rimprovera con un sorriso, prima di sospirare e tirare fuori la guida, cercando il Vondelpark nell'indice ed andando a leggere quello che dice. Niente di esaltante. Un parco. Le persone vengono a leggere e fissare gli altri in modo inquietante come la vecchietta che si è messa a lavorare a maglia su una panchina proprio di fronte a dove sono seduti ed ogni tanto ridacchia da sola.

Qualsiasi cosa dica la guida, lo sa, sarebbe mille volte più interessante se detta dall'uomo che sente a mano a mano appoggiarsi alla sua spalla e lottare contro il sonno. Ormai nessun posto in quella città è interessante senza quella guida particolare.

Sospira e si mette a cercare posti da visitare senza di lui, posti che magari potrebbero annoiarlo o non sarebbero visitabili con l'olandese accanto a metterlo a disagio. Oh, ma ora è perfettamente a proprio agio, com'è possibile? Forse perché l'altro dorme?

Mette un segno al Ketelhuis e scorre ancora per cercare qualcosa da fare. Forse dovrebbe prendere una bicicletta e perdersi volontariamente in quel intreccio di vie? Uhm, Dan si lamenta sempre del suo modo di girare in bicicletta e forse non è il caso. Sarebbe meglio avere qualcuno a fermare la propria impulsività alla guida.

Ketelhuis sia, allora. Anche se la guida parla di non specificati film d'autore. Se li farà bastare, in mancanza di libri in una lingua comprensibile.

L'olandese accanto a sé si agita e crolla di lato, ormai addormentato -un bambino!-, rischiando di cadere sull'erba. Sbuffa -ed è più una risata soffocata, la propria-, attutendo la caduta, ma bloccandosi quando l'altro si sistema sulle sue ginocchia, facendo un sospiro soddisfatto.

Bastardo.” sibila, lanciando un'occhiata preoccupata alla vecchietta stalker e lasciandosi sfuggire un gemito di disapprovazione davanti al suo discreto e silenzioso applauso.

Il mondo intero complotta per farlo imbarazzare.

Nonostante questo, però, sorride quando infila le dita tra i capelli dell'olandese, approfittando del suo sonno per accarezzarlo.


Il peggio è che Jan non si stupisce neppure un po' della posizione in cui si sveglia, uno sguardo di fuoco pronto a disapprovare il suo lungo pisolino. Islanda ha avuto il tempo per impararsi tutta la guida a memoria ed è ad un passo da lanciargliela in testa di taglio, tanto per aggiungere un'altra cicatrice alla fronte.

Le due ore di sonno profondo da Biancaneve -ed Eirik nota con profonda soddisfazione che quel nomignolo riesce ad imbarazzare un uomo di oltre un metro ed ottanta- sono quasi perdonate dopo che l'olandese gli fa fare il giro di tutti i chioschi, comprando per ognuno qualcosa di tipico, ma, in particolare, cinque o sei tipi diversi di aringa.

Dopo quello, potrebbe perdonarlo, se non finisse con il guardare l'ora per l'ennesima volta, decretando di essere in ritardo e doverlo lasciare alla sua libertà provvisoria.

A nulla valgono le proteste mentali del ragazzo. Nessuno le sente, in ogni caso.

Passa l'intero pomeriggio a non capire nulla di quello che succede sullo schermo, convinto com'era che non fosse poi così traumatico il passaggio da una lingua all'altra.

Bé, si sbagliava. E le sei ore che lo separano da quell'appuntamento -non si può definire in altro modo, soprattutto quando Jan gli invia un messaggio che usa proprio quel termine- sembrano interminabili.


Continua a camminare di fronte al palazzo, nervoso, le mani in tasca e qualcosa che gli pizzica orribilmente la schiena.

Si porta la mano dietro, sbarrando gli occhi quando incontra l'etichetta della camicia, staccandola e voltandosi di nuovo verso l'entrata. Ritrovandosi, di fatto, a dieci centimetri dall'olandese.

Quasi grida per la sorpresa, sventolando il cartoncino e cercando di infilarlo in tasca, facendola invece cadere.

Non volevo spaventarti.” si scusa Jan, raccogliendolo e buttandolo nella spazzatura, avvicinandoglisi per spezzare il pezzettino di plastica con i denti.

Certa di trattenere un brivido nel sentirlo respirare sulla nuca, ma è già tanto non andare in iperventilazione. Per fortuna quella vicinanza non dura troppo e può riprendere a respirare normalmente dopo pochissimo.

Cos'hai fatto senza il vecchio tra i piedi?” chiede l'olandese, guidandolo verso -spera- una fermata del tram. La camminata avanti ed indietro l'ha ucciso. Forse anche emotivamente, troppo nervosismo in così poco tempo.

Sono andato in un cineclub a guardarmi la programmazione della giornata.” risponde, vergognandosi, improvvisamente, perché ha l'impressione di essersi rovinato la giornata. Ma per lui non è stato un pomeriggio libero da Jan... è stato un pomeriggio in solitudine quando non ne aveva assolutamente bisogno.

Avresti dovuto dirmelo, ti avrei accompagnato un altro giorno ed avrei tradotto.”

Sì, certo, sussurrandomi all'orecchio per tutte le cinque ore.” ribatte, sarcastico. Gli basta una rapida occhiata all'olandese per rendersi conto che è dannatamente serio.
“...che tram dobbiamo prendere?” chiede, senza sapere esattamente cosa stia dicendo e controllando nelle tasche di avere il telefono.

Oh, perfetto, l'ha dimenticato. E non ha avvertito. Come minimo Dan chiamerà la NASA.

Il quarantotto... tutto bene?”

Annuisce, odiandosi per aver dimenticato in quel modo qualcosa di così vitale.

Ho lasciato il telefono in camera.”

Ne avrai bisogno?”

Per il taxi, forse...” azzarda, cercando di guardarlo negli occhi il meno possibile.

Ti accompagno fino all'albergo, non preoccuparti.”

No, Jan, non capisci, ora mi sto preoccupando.


Il ristorante è... non sa che cosa pensare per prima. Sì, forse che il ristorante è una nave. Oppure che il posto sembra deserto, all'esterno, con solo il rumore dell'acqua. O ancora che è una diavolo di nave che galleggia sull'acqua ed è un ristorante.

È il ristorante più figo che abbia mai visto. Gli importa poco che non ne abbia visti poi tanti o cose del genere. Già da subito, nonostante il viaggio silenzioso, lo adora ed è grato a Jan per averlo portato in un posto del genere.

Figurarsi quando scopre che sono in uno dei posti migliori, da cui possono ammirare le luci della città da una parte e del porto dall'altra.

Il menu non è dei migliori e di sicuro non è tipicamente olandese, ma è decisamente troppo impegnato a guardarsi intorno per notarlo.

Jan gli lascia il tempo di abituarsi a quella meraviglia, senza parlare, ordinando solo per entrambi come hanno pattuito durante il viaggio ed osservandolo per il resto del tempo.

Ci mette un po' ad accorgersene, ma, stranamente, si sente abbastanza a proprio agio da non nascondersi o rispondergli male. Lo guarda a propria volta, cercando di ignorare la candela accesa tra loro -è solo per far luce- e facendo un sorriso timido.

Grazie. È veramente un bel posto, Jan. ”

Olanda annuisce e all'islandese sembra, all'improvviso, che sia lui quello in imbarazzo.

Uhm. Oggi ho visto una locandina. Un posto che si chiama...” si ferma a pensare, cercando di visualizzare l'entrata del cineclub. “Sì, ecco, Bimhuis! Lo conosci? Pensavo che potremmo andarci, fanno musica jazz e visto che ti piace... bé, voglio ricambiare!” esclama, mentre il sorriso timido scompare.

Jan ha un'espressione indecifrabile sul volto. Non sa se può essere tradotta con rabbia o stupore o qualcosa di più positivo, ma è abbastanza per farlo tacere.

Resta in silenzio, inquieto. Ha detto qualcosa di sbagliato? L'ha offeso? Non ha capito quello che gli piace o ha frainteso?

Che c'è?” sbotta, sembrando, involontariamente, stizzito.

L'olandese sembra rendersi conto del silenzio calato su entrambi e si riscuote.

Pensavo... sei molto più complesso di quello che pensassi. Alle riunioni sei sempre così composto ed imperscrutabile da sembrare un clone di tuo fratello.” spiega, giocherellando con il bicchiere.

Un commento del genere dovrebbe, di norma, non piacergli molto. Con gli sforzi che fa per somigliargli, quell'affermazione dovrebbe irritarlo. Invece gli fa piacere.

Siete profondamente diversi.” aggiunge Jan, con un sorriso compiaciuto. “Mi aspettavo una settimana di tortura, dalla quale mi sarei dovuto riprendere con un mese di terapia.”

Mio fratello non è così pessimo. È solo particolare.”

Particolarmente bravo ad uccidere l'autostima degli altri.”

Ehy! Non è affatto vero!” protesta, nonostante sappia che l'olandese ha perfettamente ragione.

Vuoi dire che non si divertirebbe a demolire ogni minima cosa?”

Si ferma, prima di rispondere, scoppiando a ridere ed ammettendo la sconfitta.

Assolutamente. Però dentro di sé farebbe un sacco di complimenti... finirebbe anche per comprare libri pieni di foto di Amsterdam perché sarebbe troppo orgoglioso per scattarle lui stesso ed ammettere che la città lo interessa.” gli spiega, con un sorriso.

Jan sbatte più volte le palpebre, chiedendosi probabilmente come diavolo funzioni Nor, poi scuote la testa, prende il bicchiere e lo fa tintinnare contro il suo.

Per fortuna hai una personalità più interessante e comprensibile.”


Parlano in continuazione, al ritorno. Forse per l'alcol, forse perché sono finalmente in confidenza, hanno finalmente trovato quel qualcosa che li sbloccasse, è come se si conoscessero da secoli.

A più riprese ha voglia di prendergli la mano e tenerla semplicemente, stupendosi del gesto, ma è abbastanza lucido da dirsi che non è il caso.

Questo, ovviamente, prima che l'olandese gli passi un braccio intorno alle spalle, avvicinandoselo con tutta la naturalezza del mondo.

Il distacco è imbarazzante come l'incontro della mattina. Quasi. L'alcol aiuta, ma resta sempre la sensazione di essere bloccati l'uno di fronte all'altro da venti minuti, tirando fuori argomenti fuori dal mondo per trattenersi a vicenda.

È una sensazione che lo scalda a livello del viso e del petto in modi diversi, ma per nulla spiacevoli.

È stata... una bella serata, Jan.” riesce a balbettare, strappandogli un sorriso.

Grazie.” mormora l'olandese, apparentemente nelle sue stesse condizioni.

Si allontana di un passo, ma l'altro lo segue, aprendo la bocca per dire qualcos'altro, ma ripensandoci quasi subito.

Ha il cuore nelle orecchie. O nella gola.

Lo sente in quindici punti diversi, è normale? È così che si sentono gli eroi di Hyrule? A che diavolo sta pensando?

Più a nulla, all'improvviso. Ecco, perché Jan decide di fare l'unica cosa possibile. Un bacio, diverso dal cliché, sulla fronte, ma Islanda si considera soddisfatto per quel lungo bacio tenero.

E scoprire che gli basta davvero, per coronare una serata perfetta, lo fa sorridere a lungo, mentre saluta con la mano Olanda e corre in albergo.


Quando torna in camera, butta giacca e scarpe alla rinfusa, sdraiandosi poi sul letto, esausto ma felice.

Nel buio della stanza il telefono emette una luce bianca, facendogli ricordare che l'ha dimenticato e prendendolo. Trenta chiamate senza risposta.

Crederà che Jan mi abbia venduto al mercato nero.” sussurra, ad occhi sbarrati, dando una rapida occhiata all'orologio che segna le due e trenta.

Decide che è meglio chiamare, ben conscio che Den non stia dormendo, perennemente preoccupato com'è del proprio figlioletto adorato.

Come volevasi dimostrare: basta un solo squillo per sentire la sua voce preoccupata che pronuncia il suo nome.

Non sono stato venduto.” taglia subito, con un minuscolo sorriso.

Non avevo nessuna intenzione di vendere tuo fratello per ricomprarti.” ribatte il danese, stizzito e, probabilmente, anche molto offeso. Di sicuro deve essersi preoccupato a morte.

Figurati. Come se non sapessi che saresti venuto a prendermi con l'ascia tra i denti, due mitra nelle mani ed una fascia a tenerti quei capelli stupidi.” lancia, con un sorrisetto, immaginando la scena.

Tu frequenti troppo Peter.” borbotta il danese ed Eirik se lo immagina benissimo incrociare le braccia, imbronciato. “E i miei capelli non sono stupidi, Norge Secondo. Sei invidioso perché i tuoi non sono belli come i miei.”

Ridacchia, rendendosi conto che, sì, a volte gli viene naturale assumere in modo esagerato gesti e modi di comportarsi del fratello, non è solo imitazione.

Sono andato a cena fuori e poi mi ha...” no, cosa stai dicendo? Devi parlare di un'ipotetica lei, giustificarti con lei! “L'ho accompagnata a casa.” si corregge.

Come la chiama, ora? Non è bravo a mentire, non si ricorda mai quello che racconta.

Che principe!” lo punzecchia Dan, divertito, facendolo arrossire. Principe? Ancora con questa storia? “E poi? Non racconti nient'altro? C'è stato qualcosa?”

Ok, il lato comare del danese gli mancava. Certo, ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma tant'è.

Cerca di non morire soffocato per la domanda, ricordandosi la scena del bacio -sulla fronte, poi! Perché si agita tanto?!- da trenta angolazioni diverse. Fosse uno scontro frontale tra due automobili lo capirebbe anche, ma un bacio?

Mi ha detto che vorrebbe venire a trovarmi e che l'Islanda gl... le sembra meravigliosa, una terra magica.” balbetta, tentando inutilmente per non considerarli complimenti personali.

Vuol dire che continuerete a vedervi dopo, è una buona cosa.” ribatte il danese e lo sente chiaramente più rilassato, sinceramente contento.

Non osa immaginare la sua faccia, se solo sapesse la verità.

Ha detto che assaggerebbe l'hákarl.” aggiunge, entusiasta.

Un momento di pausa, poi il suono distinto del danese che deglutisce.

Le hai detto che cos'è?”

Ovvio.”

Questa volta non c'è nessuna pausa ed il tono è dannatamente serio.

Sposala. È perdutamente innamorata.”

Scoppia a ridere, nonostante l'imbarazzo di quella bugia. Non pensa che Dan sarebbe tanto entusiasta, sapendo di chi si tratta.

Pabbi?”

Silenzio. Da parte propria, solo il battito furioso del cuore, come dieci minuti prima. Di paura o di emozione? Non riesce a capirlo. Ma è un notevole passo in avanti e lascia al danese un momento per riprendersi.

Tu credi nelle relazioni a distanza?” aggiunge, tremendamente serio.

Ne ho una che dorme nel mio letto. E spero lo faccia per altri cento anni, almeno.”



Note dell'autrice

Dopo questa, ci vediamo tra due mesi <3

Vado all'estero fino (spero) metà settembre e mi sarà quasi impossibile aggiornare. Se ho tempo, però, non escludo un nuovo capitolo la settimana prossima o quelle successive, ma è ancora troppo presto per dirlo, quindi, per sicurezza, sono in hiatus fino al mio ritorno!

Grazie per le recensioni, mi fanno davvero piacere, anche se non rispondo a tutti subito, a volte sono poco ispirata :3

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Capitolo 6
*** Vrijdag ***


La zona in cui lo sta portando non lo rassicura neppure un po', neppure con il sole che splende ed il cielo azzurro sopra le loro teste. Non importa che non abbia assolutamente fatto accenno a dove sono diretti, se ne sta rendendo conto perfettamente.

Giusto dietro il Dam, ecco che cominciano a delinearsi palazzi tradizionali, dall'architettura tipica, come casette di marzapane altissime, allungate verso l'alto -non osa neppure immaginare quanto possano essere ripide le scale, all'interno!- e vetrine.

Cerca di protestare, ma non gli viene in mente nulla di convincente. Quella è una parte della città che ha imparato ad amare in quei pochi giorni trascorsi lì? Deve far finta di nulla, mostrarsi entusiasta come per ogni altra cosa?

Sono in pieno quartiere rosso e l'islandese è a disagio. Un disagio che si traduce presto nel non riuscire a guardare attraverso quei vetri trasparenti, non imbarazzato, soltanto amareggiato da quell'esposizione. Merce. Come se si trattasse di macellerie una dietro l'altra, gli mette addosso un senso di tristezza che non sa come spiegare alla sua guida, non senza passare per pudico.

La prostituzione, in Islanda, è vietata. Non ci sono strip-club, neppure. Personalmente non è attratto da quelle cose, anche se conosce il sesso e lo considera ciò che di più normale possa esistere. Ma... La prostituzione è tutt'altra cosa.

"Jan." la voce gli esce autoritaria, alza la testa, finalmente, ruotando il polso che l'olandese gli sta tenendo per guidarlo e riuscendo ad afferrargli la mano. "Non sono qui per questo, portami via."

Ancora una voce decisa, nonostante il disagio, quella sensazione opprimente...

"Questa è Amsterdam. Dipinti, fiori, canali, prostitute... il Quartiere Rosso fa parte della città, come tutti gli altri. A dire il vero fa già parte di altri quartieri, quindi non c'è nessuna ragione per saltare la visita." risponde Jan, come se si aspettasse quella protesta, come se si fosse già preparato.

Questa è Amsterdam. Può non volerci pensare? Può voler ignorare quell'aspetto che non gli piace, passando il pomeriggio a camminare lungo un canale o andare a mangiare qualcosa di tipico?

Serra la mandibola, lasciando andare la mano dell'olandese ed incrociando le braccia al petto.

"Non mi interessa. Non sono qui per questo. Non andrò a prostitute, non mi farò d'erba fino a star male. Non sono quel tipo di persona, non posso accettarlo." resta fermo nella propria posizione, contento di essere così deciso da, forse, farlo vacillare.

Ma non è così. A Jan non sembra importare. Perché sbuffa e posa lo sguardo su una vetrina, con uno sguardo semplicemente stizzito, come se non ci fosse nessuno, dentro.

"Avanti, è come andare a Parigi e non passare mezza giornata a Disneyland! E poi, non avevo nessuna intenzione di portarti a donne, sei abbastanza adulto per trovartene una! Volevo portarti al museo del sesso. Molti turisti vanno semplicemente lì, senza per forza passare da loro..." ribatte Olanda, come se fosse la cosa più normale del mondo. Ma non lo è. Non per l'islandese, che cerca ancora di capacitarsi di come possa essere freddo, quando invece, anche conoscendolo da così poco, quell'uomo dai capelli impossibili gli ha sempre trasmesso uno strano calore, come l'affetto di una persona conosciuta da tempo.

La mattinata era cominciata bene, almeno. Timidamente l'aveva salutato avvicinandosi a lui più del consentito, azzardandosi a tenergli la mano quando aveva cominciato a piovere e si erano rifugiati in un caffè tipico a bere qualcosa di caldo.

Bruine Café. Luoghi in cui bere una birra o qualcosa di caldo per togliersi il gelo della pioggia dalle ossa, rumorosi, pieni di discorsi iniziati e lasciati in sospeso, di lunghi racconti.

Si è ripromesso di tornare in uno di quei luoghi, si è ripromesso di tornare ad Amsterdam, semplicemente, perché sta bene, lì, perché ci sono così tante cose, ancora, sulla guida, cose che Jan forse non ritiene necessarie, cose poco importanti, da non fare se si resta soltanto una settimana.

È l'ennesima cosa che non ha avuto il tempo di gustare, non più di tanto, non come avrebbe voluto. Perché avrebbe trascorso l'intera giornata ad ascoltare l'olandese che descriveva i primi posti come quello, parlandogli di navi cariche di spezie e pirati.

Una cosa che vuole fare, che ha segnato in una lista mentale, un motivo per tornare.

Andare in bicicletta, prendere un battello e farsi trasportare da qualche parte, leggere in uno dei parchi, vedere un vero mulino a vento... tutte cose che vuole fare davvero, tornare ed avere sempre una scusa, qualcosa da raccontare ritrovando l'olandese.

Eirik ha l'impressione che quella semplice cotta -se così si può definire, lo trova leggermente infantile, per un uomo della sua età- per Jan sia già incontrollabile. Non gli importa. Non gli importa se sta diventando importante, ai propri occhi, incontrare quel verde e vederlo allegro, entusiasta nel mostrargli nuovi luoghi, di raccontare altro. Non gli importa davvero, perché è rilassato, perché si sente bene, dopo mesi trascorsi a soffrire in silenzio per qualcosa che non esiste più, che forse non è mai esistito, che è morto da tempo.

Per questo fa improvvisamente male, sapere che l'olandese insisterà, continuerà con il suo programma anche se quel luogo gli mette i brividi, anche se non vuole andare, Eirik, né continuare a vedere intorno a sé così tante persone a cui non importa.

Per questo è furioso, perché si sente stupido ad aver creduto così tanto in qualcosa, senza tener conto delle parti in ombra.

"Davvero paragoneresti questo posto a Disneyland?" chiede, già sconfitto, domandandosi che diavolo dovrà raccontare a Danimarca, la sera. Ah, sicuramente non importerà neppure a lui, è una cosa normale, come andare a visitare un'attrazione turistica qualsiasi.

"Bé, non è altrettanto divertente, ma fa parte di me."

Le parole dell'olandese hanno un effetto bizzarro in lui. Non sono dette a caso, perché, alzando la testa, quello che vede nei suoi occhi non gli piace affatto. L'accusa non è neppure tanto velata, è proprio lì, nelle parole e nello sguardo.

Una parte di lui. Se non l'accetta, allora quello che sta nascendo -lo sentono entrambi, almeno? oppure è un modo soltanto per convincerlo a seguirlo?- non ha nessun senso.

Infuriato, cammina senza una parola, seguendolo. Spera sia soddisfatto. Poteva essere una buona giornata e quell'idiota... quello...

Per la prima volta in tanto tempo si sente di nuovo come se ci fosse un masso sopra al suo petto.


Il museo è su tre piani ed è esattamente come se lo immaginava. Immagini falliche ovunque, immagini pornografiche, macchine bizzarre che sembrano più strumenti di tortura che altro, tutto ciò che dovrebbe stuzzicare l'immaginazione di un uomo, ma che lo lascia perplesso, perché è infuriato, ben deciso ad uscire da quel posto con un'espressione talmente disgustata da fargli pentire persino di aver pensato di aprirlo, quel genere di museo.

Non lo tiene più per mano, non lo guarda neppure, nonostante l'olandese cerchi di spiegare che, ecco, ad esempio, quello è il modello in cera del bigliettaio di un teatro erotico. Non gli importa. Donne con le gambe aperte, nubi di turisti pronti a farsi foto mentre sono dominati da una statua, legati a chissà quale struttura. Non riesce a smettere di sfregare i denti tra loro, furioso.

Che gli dia del frigido, anche, non gli interessa.

Si siede su uno dei funghetti di una stanza completamente dipinta nello stile che si userebbe per un asilo. Disneyland. Gli torna in mente quel posto che ha citato, ma questo è completamente privo di senso, sessualizzato, il piccolo televisore che trasmette porno. Resta a guardare le immagini, sperando che il mal di testa causato da quel continuo digrignare passi, ma sa che è una causa persa.

Sospira e si tiene la testa tra le mani, scompigliandosi i capelli e tornando a guardare il televisore.

L'olandese gli si siede accanto. Lo riconosce senza guardare, riconosce i pantaloni che ha fissato per quasi tutta la visita, gli occhi bassi nel suo ostinarsi a non guardare quasi nulla, riconosce la mano che ha stretto al mattino, sentendosi bene, una sensazione che sembra persa.

"Non ti piace, eh? Possiamo uscire, se vuoi."

Non riesce a crederci, pensando sia una specie di scherzo o una prova. Se ora si mettesse a saltellare, sicuramente l'altro finirebbe per dirgli che hanno ancora dieci piani da fare, pieni di ogni oggetto che rappresenti un pene esistente al mondo.

"Figurati, sei tu la guida." ribatte, aspro, guardandosi le mani e chiedendosi se possa dargli degli schiaffoni belli forti, all'infinito.

Sciaf-sciaf-sciaf.

Almeno per dieci minuti, se non all'infinito. Teme che alla lunga potrebbe avere male alle mani.


La luce è andata via, il cielo invernale già scuro, ma appena usciti da quel luogo sono subito investiti da una luce rossa, proveniente da ogni angolo della strada. Le insegne accecano l'islandese, peggiorando il suo mal di testa e malumore.

È in quel momento non proprio propizio che Olanda allunga le dita per sfiorargli una mano. In un altro momento avrebbe accettato di buon grado quel gesto di pace, ma non riesce a fermarsi quando la mano, la propria, si allontana di scatto, come se l'uomo scottasse.

Non si rende subito conto di averlo ferito. Jan cammina e lui lo segue, ancora una volta fisso sulle sue gambe. Sembra aver fretta ed Islanda capisce di nuovo, dopo poco, dove stiano andando.

L'albergo.

È il penultimo giorno che trascorre ad Amsterdam ed è arrabbiato, deluso, non capisce cosa non vada nel proprio accompagnatore. Andava tutto bene, si stavano avvicinando ed eccoli lì, neppure capaci di guardarsi in faccia.

Eirik è spaventato. Ha paura che l'olandese si volti e gli rinfacci ogni singolo giorno, ogni singolo minuto, che gli dica che sta facendo orari strani al lavoro, che gli sta dedicando il proprio tempo e che, nonostante quello, Eirik sia comunque una compagnia terribile, qualcuno che non si desidera veder tornare con una scusa qualsiasi.

Si ferma, le luci tornate chiare e normali, il respiro affannato perché stavano praticamente correndo e Jan si allontana sempre di più. Abbassa la testa per non vederlo, portandosi le braccia intorno al corpo, come se all'improvviso avesse freddo.

Perché? Andava tutto bene, tutto era così dannatamente perfetto che non è riuscito a darsi un limite, a dirsi che, no, non avrebbe provato un tale sconvolgimento per quell'olandese così bizzarro, sì, in alcuni aspetti della personalità, eppure così in sintonia, così...

“Jan!”

L'olandese si blocca, la voce dell'altro che ha fatto girare le teste di parecchi passanti, forse non per il volume, forse solo per il tono. È abbastanza da ridargli la forza di raggiungerlo in fretta, rendendosi conto soltanto dopo del gesto, ma non avendo tempo per vergognarsene.

“Jan.” ripete, improvvisamente insicuro mentre allunga una mano verso di lui e gli afferra la camicia, nella schiena, troppo spaventato da quello che potrebbe dire o fare per guardarlo in faccia, terrorizzato dall'idea di vedere nei suoi occhi disprezzo o, peggio, delusione.

“Tu non sei questo.” sussurra, abbassando la testa per posare la fronte sulle mani, un pretesto, solo un pretesto, per sentire ancora quel profumo di fiori e tabacco. Se fosse l'ultima volta in cui gli è permesso essere tanto vicino, allora vuole conservare un ricordo, almeno uno, per quanto fuggevole possa essere.

“Fa parte di me e ti disgusta.”

Sei diretto, terribilmente diretto...

Senza giri di parole, quella verità pronunciata senza edulcorarla in alcun modo lo ferisce a propria volta. Solo allora capisce. Capisce che ha voluto mostrargli questo all'ultimo, anche se ne ha parlato molte volte, perché, ogni volta, Islanda ha espresso ribrezzo verso quell'aspetto.

È crudele per entrambi. Crudele averlo trascinato fino a quel punto, fino al suo aggrapparsi come se temesse di vederlo scomparire in una nuvola di fumo; crudele è Eirik, perché quella verità non può smentirla in nessun modo.

È nella natura dell'olandese mostrarsi per quello che è senza pensare, come è istintivo per l'islandese nascondersi, avere paura di qualsiasi sentimento le persone intorno a lui possano lanciargli contro.

“Tu non...” perde le parole, perché ripetere la stessa frase finirebbe per ferire di nuovo entrambi.

Jan non è quello. Non è solo fumo. Non è solo quel commercio.

Ma quei due aspetti fanno parte di lui, sfaccettature del suo essere, accanto alla bellezza di tutto il resto. Quell'odio violento verso di esse è un odio verso di lui, qualcosa che non esisterebbe, se fossero semplicemente umani, ma Eirik sembra esserselo dimenticato per qualche giorno, questo.

Non può mettere da parte quell'aspetto, non sarebbe sincero.

Lascia la sua camicia, a fatica, facendo un passo indietro, abbassando la testa ancora una volta.

“Buonanotte, Jan.” riesce a dire, prima di fuggire verso l'albergo, di corsa, senza voltarsi indietro.


Si dice che è semplicemente folle stare così male dopo così poco tempo trascorso insieme.

Eppure, per la prima volta da quando è in quella città, Eirik si scopre incapace di addormentarsi, la testa affollata di se e ma, ipotesi che sembrano volerlo prendere in giro, come le ombre grigie ed inafferrabili che si inseguono sul soffitto.

Fumo.

Era solo fumo.

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Capitolo 7
*** Zaterdag // Sabato ***


Sabato.

Quindici ore prima.



Non si può dire che si affretti verso la Museumplein, il giorno dopo. No, forse cammina molto più rapidamente di quanto faccia di solito, ma, in fondo, è solo perché non vuole perdersi quell'ultimo giorno insieme... ad Amsterdam, ad Amsterdam! Che siano insieme c'entra poco.

Vuole scusarsi, anche. Forse. No, non vuole, eppure...

Eppure vedere i capelli sparati in aria dell'olandese gli fa lanciare un sospiro di sollievo, di quelli davvero sollevati, come se si rendesse conto, all'improvviso, di quanto stesse pensando e ripensando al modo in cui si erano separati il giorno prima.

"Ehy." lo saluta timidamente, comparendogli davanti, le mani dietro la schiena, il viso arrossato, consapevole finalmente di quanto lo imbarazzi e, nel contempo, lo renda felice e stranamente entusiasta, stargli accanto.

"Sei in anticipo."

Ah, quello uccide tutti i tentativi di sorridere in cui si stava impegnando, perché l'olandese non lo guarda affatto, sembra, invece, perso da qualche parte nella folla. Si imbroncia leggermente, prima di pensare che se lo merita, perché non si è comportato per niente bene.

Ma da lì ad ammetterlo ad alta voce...

Aggrotta le sopracciglia e sospira.

"Anche tu." riesce a dire, finalmente, chiedendosi se anche lui, per caso, veda quel giorno come lo vede Islanda, non solo un tentativo di scusarsi -Jan non gli deve nessuna scusa- ma... un'ultima occasione per parlare, per conoscersi, per...

Scuote la testa e poi l'abbassa, fino a fissarsi con interesse le scarpe.

Ok, ha rovinato tutto con il proprio atteggiamento. Non sarebbe la prima volta. Insomma, ha sempre avuto qualche problema ad esprimersi, finendo inevitabilmente per dire il contrario di quello che pensa.

L'unica a sopportarlo, in quell'aspetto, l'unica ad avere la pazienza di cogliere il suo lato nascosto... bé, si vede che alla fine ha ceduto.

Forse sarebbe il caso di andare avanti, no? Non ha senso trascinarsi dietro quella storia, nonostante sia stata, lei, l'unica persona con cui sia riuscito a mostrare una parte che è più fragile, delicata, ma più vera.

Forse è destinata a rimanere così, lontana o vicina che sia.

Ed è in quel momento, tra mille pensieri negativi, che un coniglietto bianco entra nel suo campo visivo.

Fa un piccolo sussulto, sorpreso, chinando la testa di lato come per seguire l'orientamento del musetto, osservando la bocca ad x e gli occhietti neri senza capire, prima di allungare una mano verso il vestitino da marinaio per sfregare tra indice e pollice la stoffa.

Ha già visto quei conigli. Li ha visti sicuramente su una cartolina e poi... ah, vero! Il quaderno di appunti di Giappone è sempre pieno di adesivi con questo coniglietto! Ah, ma perché glielo sta mostrando? È decisamente adorabile.

Ad Eirik piacciono moltissimo i pupazzi. Per forza di cose non ne ha mai avuti quando era piccolo, aveva solo Mr Puffin per giocare -ed è sempre stato molto faticoso giocare con qualcosa che insisteva nel volergli fare un nido tra i capelli- ma Dan gli ha regalato un Teddy Bear quando ne è cominciata la produzione, quasi per scherzo e da lì non ha smesso di collezionare animaletti di peluche, seppur in segreto.

Ed un coniglio così carino, poi! Ha un debole per quegli animali!

“Si chiama Nijntje, è tua.” mormora l'olandese, allungandogli ulteriormente l'animale imbottito. Alza lo sguardo, sorpreso, ma Jan non lo sta guardando, apparentemente interessato ad una biglietteria.

“Nin... Nin-she?” ripete, confuso, rendendosi conto che un gruppetto di turisti li sta fissando in modo bizzarro. Che cosa vogliono? Quello è soltanto un souvenir -non è giapponese! è olandese!- e glielo sta regalando per.... Perché glielo regala?

Finalmente si volta e nota il suo imbarazzo. Sembra imbarazzarsi anche lui, ma è difficile dirlo quando gli occhi cercano disperatamente un punto da guardare e finiscono inevitabilmente per annegare nel verde.

Apre la bocca per dire qualcosa, ma le parole si perdono, per entrambi, almeno finché l'olandese non interrompe il contatto e gli volta le spalle.

“Ninshe.” lo sente ripetere, con un tono di voce quasi divertito. Gonfia le guance, Islanda, colpito sul vivo perché si rende conto di essere preso in giro.

Hnoðri í norðri verður að veðri þótt síðar verði!” sbotta, seguendolo nella folla e facendolo scoppiare a ridere.

“E che cosa dovrebbe voler dire?” chiede l'olandese, guardandolo affiancarglisi e sembrando più rilassato, come se le incomprensioni del giorno prima non fossero mai esistite.

“Una nuvoletta a nord prima o poi diventa un temporale.” gli risponde, a due passi dal gonfiare il petto dalla fierezza. “Dovresti impararlo, potrebbe tornarti utile in futuro!”

L'olandese lo fissa, poi ride di nuovo, contrastando di nuovo il suo umore abituale, quell'aria cupa che l'ha accompagnato il giorno prima. È come se si fosse liberato da un peso, come se stesse meglio, all'improvviso.

“Stai cercando soltanto un modo per potermi prendere in giro a vita.” insinua, senza nessun tono di accusa, però, sussultando quando la mano dell'islandese arriva ad intrecciarsi con la sua, senza nessun tipo di avvertimento.

Eirik arrossisce, ma non lascia andare. È l'ultimo giorno e Jan ha deciso che quella ferita che gli ha procurato non deve importare. Non può far altro che cercare un modo per farla guarire del tutto.

“Jan, andiamo alla Condomerie!” esclama, lasciando la propria dignità da qualche parte sulla Museumplein, uccisa sul colpo da quella spavalderia. E poco ci manca che anche l'olandese finisca a farle compagnia, perché si ferma di colpo e tenta di guardarlo, anche se, ovviamente, l'altro fugge dal suo sguardo indagatore il più possibile.

“Sei... Stai bene?” chiede, perplesso e forse un po' colpito. Eirik ringrazia che non abbia pensato fosse una proposta indecente. È quasi sicuro che l'olandese pensi che abbia preso qualche pasticca strana, però. “Volevo chiederti cosa... cosa volessi fare, ma questo...”

È riuscito a rompere Jan? Davvero ci vuole così poco -entusiasmo, niente di più?- per farlo imbarazzare?

“Voglio comprare dei preservativi ridicoli per mio fratello.” spiega, cercando di non arrivare a sfumature di rosso troppo accese, anche se ne deve aver sperimentate almeno una cinquantina.

Cinquanta sfumature di rosso, un'autobiografia. Si sorprende per aver pensato di scrivere un libro sulla propria esperienza ad Amsterdam, soprattutto con un titolo così idiota, ma, in fondo, è così entusiasta dal fatto che non dovrà vedere uno Jan demoralizzato per tutta la giornata che non potrebbe importargli di meno della propria imbarazzante fantasia.

Jan assume un'espressione indecifrabile, forse pensando semplicemente a quanto desideri vedere qualcosa che non sia una faccia vuota sul norvegese, forse tramando già il peggio, ma anche quello dura pochissimo, perché sembra decidersi e lo conduce per le vie attraversate il giorno prima per portarlo in quel negozio.

Ok, forse non è proprio stata una buona idea. Ma Eirik non si fa alcun problema con il sesso normale, è quello a pagamento che lo turba parecchio, quindi bastano un paio di minuti per ritrovarsi davanti ai preservativi dalle forme più strane e riderne con il proprio accompagnatore.

Cerca di non notare tutte le coppiette intorno a loro, davvero, ha voglia di passare una giornata tranquilla, un ultimissimo giorno in quella città che tanto l'ha affascinato. Senza pensare che stringe così tanto la mano di Jan perché non vorrebbe andarsene mai.



Escono dal negozio con gli occhi brillanti e le guance rosse, avendo riso troppo mentre la commessa impacchettava un preservativo-salmone ed uno a forma di riccio di mare, immaginando le facce imbarazzate delle persone alle quali vuole regalarli.

L'idea che quelli che a lungo ha considerato come i propri genitori -e ancora è così- facciano sesso l'ha sempre imbarazzato, fin dal primo momento in cui i due si sono messi in testa di fargli il discorso. E non doveva arrivare al piano della cucina che avevano allora quando li ha sorpresi, con conseguente trauma. Ma ha finito con l'accettarlo, a patto di non assistervi -cosa molto facile, peraltro, visto che i due non sono più due giovani vichinghi infoiati che approfittano di ogni superficie piana disponibile-, ormai abituato ai rumori del letto o anche solo quell'idea che, in un modo o nell'altro, quei due si amano ed è più che naturale che facciano... l'amore. Non sesso, ecco.

Almeno si amano, no? È quello che, alla fine, importa di più, quello che gli ha fatto dimenticare ogni imbarazzo.

Si lascia guidare ancora per le strade della città, fiducioso, allacciato con sicurezza alla mano dell'olandese, sentendosi così bene da chiedersi cosa diavolo l'abbia portato ad addormentarsi stritolando il cuscino, la sera prima.

Jan lo porta davanti a quello che sembra un gigantesco distributore automatico. Febo, c'è scritto ed altre persone lo stanno utilizzando come se non fosse la cosa più...? Lo fissa, perplesso, ricordandosi della buonissima cena al ristorante e decidendo di fidarsi dei suoi gusti. Cerca di non pensare che quelle cose potrebbero essere lì da millenni e contenere versioni cristallizzate ed in miniatura del pianeta Terra.

Forse dovrebbe smettere di pensare troppo.

Osserva il funzionamento dell'apparecchio ed afferra il piattino con il cibo, quando l'olandese glielo porge, sentendolo caldo e sorprendendosi parecchio.

Kroketten. Sono una specialità, devi mangiarle prima di andare via o non mi perdonerò mai.” asserisce, quasi solenne. Dev'essere serio. Prova tutti i tipi di kroketten che gli porge, mangiando mentre camminano ancora, come se avessero fretta di vedere tutto quanto si fossero lasciati sfuggire. Il che ha ben poco senso, per Jan, che ha a disposizione quella bella città ogni giorno, in ogni momento.

Lo invidia ed è un sentimento strano, quello. Ama il proprio paese, ma Amsterdam è particolare, ha quasi qualcosa di magico.

“Cosa vorresti fare?” chiede Olanda, finendo l'ultima krokett e porgendogli un tovagliolo.

Eirik ci pensa seriamente, ma non gli viene in mente nulla che non sia passeggiare ancora e cercare di assorbire il più possibile l'aria della città.

Camminano lungo il canale, in silenzio per lasciargli modo di scegliere e non riesce a pensare. Vorrebbe dirgli di tornare ancora al Red Light District, in modo da recuperare la figuraccia del giorno prima, ma non riuscirebbe a mentire. Non riuscirebbe a farselo piacere e rovinerebbe anche quell'ultimo giorno insieme.

“Vorrei vedere il più possibile, sapere il più possibile.” finisce col dire, adocchiando un battello e chiedendosi se quello sia un buon modo per farlo. Sicuramente non rischiano di stancarsi, ma quello è davvero il problema minore.

Jan sorride, prendendogli di nuovo la mano e all'islandese viene in mente che potrebbe essere la prima volta che è lui ad iniziare quel gesto.



Gli piace navigare. Che sia nell'immenso oceano o solo per un paio d'ore lungo un fiume, è rilassante sentire il rumore dell'acqua, il suo dondolio particolare, soprattutto quando non c'è quasi nessuno a disturbare quelle sensazioni.

E, di sicuro, avere un olandese accanto che si premura di raccontargli dettagli e spiegargli il perché di certi aspetti della città, non è un disturbo.

“Le case sono così alte perché un tempo le tasse si pagavano in base alla larghezza della facciata...” dal nulla, ad esempio. Ad Eirik non dispiace avere tutte quelle notizie, non quando è così affascinato dalle storie e da quella voce.

Non quando ancora stringe la sua mano, non lasciandola neppure quando gesticola anche con quella, per indicare qualcosa. Si appoggia alla sua spalla, osservando bene tutte le facciate, ascoltandolo, soprattutto.

“Voi olandesi siete tirchi.” commenta casualmente.

“Siamo pratici e teniamo a non sprecare troppi soldi.” si difende l'altra nazione, con un tono di voce leggermente offeso che lo fa sorridere. “Io non so nulla degli islandesi per ribattere, non è affatto equilibrato!”

Quella protesta gli fa alzare la testa dalla posizione comoda in cui si trovava fino ad un momento prima, per osservarlo.

Gli ha parlato di sé in parecchie occasioni.

Gli ha detto che cosa gli piace fare in inverno, quando sono andati a pattinare. Gli ha raccontato delle giornate trascorse davanti al camino, con una tazza di cioccolata calda in mano ed un buon libro e Jan gli ha chiesto se non si sentisse mai solo.

Allora ha mentito, dicendogli che la realtà del libro bastava, quando sa perfettamente che leggere davanti al camino, fianco a fianco con qualcuno, commentare ad alta voce certi passaggi, dividere una liquirizia ed il calore, sono molto più piacevoli, come sensazioni.

“Si chiama Hajnòwka.” sussurra, chiudendo gli occhi e sospirando.

Si allontana un poco, sempre stringendogli la mano e si sofferma sulle case, sulla calma di alcune vie, paragonate a quelle frequentate dai turisti, per lasciare che la mente vaghi.

“Ci siamo incontrati casualmente, perché suo padre ha deciso, in un lampo di genio, che una Nazione così lontana ed inaccessibile fosse la migliore per ospitarla, lontana dalla guerra. È una città polacca, con la stessa parlantina, lo stesso amore per il rosa. A volte sembra stupida, ma il più delle volte è così dolce da far male.” racconta, abbassando gli occhi verso le mani intrecciate e non sentendo troppo male.

Nessun rimpianto, allora?

“Non sono il ragazzo perfetto, anche se lei lo diceva sempre, ho finito per fare degli errori, la trovavo troppo bella, troppo preziosa, troppo lontana dal mondo per non esserne ferita. Ho finito per venerarla e lei è andata via con qualcuno che la trattava come una persona e non una statua di cristallo. A ripensarci è così logico che mi sembra assurdo aver sofferto così tanto.”

Non ne ha mai parlato in quel modo chiaro, neppure con Lukas. Forse perché fino a quel viaggio non se n'era reso conto, c'era in lui soltanto un senso di inadeguatezza dovuto al tradimento e rimaneva cieco davanti ai propri difetti.

Ma li vede tutti, ora, vede gli errori e pensa che non vuole perseverare in essi. Vuole essere felice.

Jan non gli risponde, non cambia discorso, si accontenta soltanto di portarselo al petto, stringendolo con un braccio, come se volesse nasconderlo da qualcosa.

Lo ringrazia a bassa voce, abbandonandosi con una guancia sul suo petto, a guardar scorrere Amsterdam lungo il canale, sentendo battere il cuore dell'olandese.

Amsterdam è anche quello: il suo cuore. Ed averlo capito rende tutto fin troppo chiaro.



Sotto al ponte, l'acqua scorre senza quasi un suono, le luci che vi si riflettono lo fanno sembrare una distesa di pietre preziose ed Islanda si dice che forse sta esagerando con i paragoni colti. Hanno trascorso una giornata meravigliosa, però, una settimana intera, anzi, a scoprire quella città che ormai sente di adorare, non ci sono molti motivi per fingersi indifferenti ad uno spettacolo del genere.

Si sporge leggermente, guardando l'acqua fino al punto in cui diventa scura, sentendo l'uomo accanto a lui tendersi ed affrettandosi a tornare con le ginocchia sulla panchina, poggiando la guancia a alle braccia incrociate e guardando il flusso di persone della strada accanto. “C'è sempre tanto rumore, qui.” commenta, socchiudendo gli occhi. “Sei fastidioso.”

Non è vero, gli piace, gli piace tanto. Il fiume, le persone, le lingue differenti che si mescolano fino a creare un borbottio incomprensibile, una di quelle cose che fanno sentire a casa anche a centinaia di chilometri di distanza da essa.

L'Islanda non è quella che si dice una meta turistica molto apprezzata. Sì, i paesaggi sono pubblicizzati come meravigliosi in molte parti del globo, ma le persone davvero disposte a visitarli dal vivo non sono molte.

“Fastidioso?” ripete l'olandese, facendolo voltare per il tono di voce, forse perplesso, forse offeso. Non vuole offenderlo o insultarlo, ha solo un modo di parlare che... argh. Si appoggia con la guancia dall'altra parte, guardandolo fumare e chiedendosi quanto ci vorrà a togliere l'odore del fumo della pipa dai vestiti. Spera che vada via prima che il fratello si decida a fargli visita.

Allo stesso tempo, però... non ha tutta questa fretta di cancellare l'unica cosa che gli rimarrà di lui.

Ironico, vero? Fumo. Soltanto fumo, qualcosa che non si può afferrare, come la vera natura di quell'uomo così complicato, come qualcosa che non potrà mai avere.

“Fastidioso. Ma non in senso negativo.” gli spiega, facendo un breve sorriso. “È una bella città questa. i canali, i musei, il verde... è triste che ci siano persone che vengono qui per il sesso o la droga.” continua, sospirando e chiudendo gli occhi, sentendo che le gambe si stanno leggermente addormentando per la posizione, ma desiderando più di tutto poter guardare quel fiume, di acqua e di persone, che scorre intorno a lui.

“I concerti, i quadri, la musica per strada, il riflesso delle stelle nell'acqua... è una città che fa venir voglia di innamorarsi.” sussurra, affrettandosi a spostare lo sguardo verso il cielo, senza notare molte stelle, però, viste le luci del ponte. Non importa, gli basta distrarsi.

Jan tossisce, segno che quello che ha detto è davvero strano come credeva. Non è una cosa che si può dire così, a cuor leggero.

Però Eirik sa di non avere nulla da perdere, in fondo, quindi può essere profondo e mostrare un lato che difficilmente emerge con qualcuno con cui ha così poca confidenza. Magie di Amsterdam, forse.

“È la prima volta che qualcuno mi dice una cosa del genere.” ammette Olanda, sorpreso. La sua voce ha un tono strano, ma l'islandese lo ignora, dicendosi che è probabilmente colpa del fumo che gli è andato di traverso. Forse.

Ma voltandosi per guardarlo nota un leggero rossore e non può fare a meno di replicare allo stesso modo, facendo un microscopico sorriso, altrettanto imbarazzato

“Oh, ma è bella.” ripete Islanda, annuendo e tornando a sedersi normalmente. “Davvero. Prostitute e droga a parte, non ha nulla da invidiare a Parigi o Roma...” aggiunge, appoggiando i gomiti alle gambe ed intrecciando le dita tra loro, giocandovi nervosamente. Sospira ancora, rendendosi conto che essere sinceri ed aperti è davvero un problema, per lui.

“O forse sono solo io a vederla così.” ammette, volgendo lo sguardo sui passanti. Nessuno presta attenzione a loro, per fortuna, ma Eirik è enormemente imbarazzato lo stesso, perché quello sembra un ponte da innamorati. Ci sono parecchie coppie a passeggio. Ed alcune sono da voltastomaco, ma è un discorso a parte.

Sente l'olandese accanto ed ha paura a voltarsi, perché voltarsi significherebbe guardarlo ancora, rendersi conto di essere attratto da lui per l'ennesima volta e maledirsi perché non c'è più tempo per restare lì, è il momento di salutarsi, quello, la sera prima la partenza, come nei peggiori cliché. Nei film che Nor guarda di nascosto -pensando che nessuno l'abbia mai scoperto, tra l'altro- è una di quelle situazioni in cui tutto è possibile.

Nella realtà è ben diverso. La realtà è piena di aspettative, paure e consapevolezza che non succederà nulla.

“Grazie.” mormora Jan, semplicemente. Quella è la realtà. Nessun bacio sul ponte degli innamorati. L'ultima sera insieme e basta. “Mi andrò a vantare con gli italiani e il francese.”

Gli viene da ridere e fa l'errore di voltarsi, rimanendo ipnotizzato, gli occhi fissi in quel verde surreale che lo affascina da giorni, le dita che si flettono per tendersi ed afferrarlo. Le blocca, quasi desiderando sedercisi sopra. Ma si accorgerebbe di quel gesto, gli chiederebbe qualcosa a cui non vuole rispondere.

“Ti prenderanno in giro.” ribatte, a voce bassa, quasi non riuscisse più a formare le parole come vorrebbe. E, in parte, è decisamente vero.

“Dirò che è tutta colpa tua. Mi hai illuso che la mia capitale fosse romantica e io ci ho creduto.”

Strano... sembra che anche lui abbia lo stesso problema. Cos'è quell'improvviso ammutinamento delle corde vocali?

“Lo credo veramente.”

Dannatamente serio, le dita che si liberano e si posano sulla sua cicatrice, scivolando poi lungo la tempia, lo zigomo, il mento. Lo tiene, tremando, il pollice sulle sue labbra per un secondo.

Quando Jan si avvicina, chiude gli occhi e sospira, andandogli incontro per lasciare che il bacio avvenga.

Il resto della notte è un turbinare confuso di eccitazione e paura, misto alla consapevolezza che tutto finirà l'indomani e che, per questo, Islanda vuole ogni cosa, senza badare alle conseguenze.



Se la lista delle cose che avrebbe voluto fare una volta tornato ad Amsterdam fosse esistita per più di una settimana, se avesse avuto il tempo di riordinarla, il primo posto sarebbe stato sicuramente occupato da un altro bacio sul Magere Brug.


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Capitolo 8
*** í vorið ***



Seduto ad aspettare il proprio volo -ci vogliono cinque ore per tornare a casa, non l'ha mai desiderato più che in quel momento- Islanda si sente immensamente triste.

Guarda la valigia finché non gli bruciano gli occhi e tutti i dolci che sta letteralmente inglobando non lo aiutano per niente a sollevarsi il morale.

Ha cambiato volo all'ultimo minuto, evitando di prendere quello da tre ore, solo per avere l'illusione di stare ancora un po' lì con lui. Allo stesso tempo, ha evitato di incrociarlo in aeroporto. Ha pensato che, se mai avesse deciso di andarlo a salutare -a questo punto gli sembrerebbe un miracolo- avrebbe pensato fosse partito prima e si sarebbe arreso all'evidenza che, sì, anche Eirík considerava la serata precedente un errore.

Torna a fissare la valigia, ricordandosi che dentro c'è una Miffy scelta con cura da lui e la cosa non lo solleva neppure un po' dal suo stato malinconico e depresso. No, vorrebbe tirar fuori il pupazzo e stringerlo, per consolarsi.

No, non è viziato, non è infantile. Sa incassare un rifiuto, se si tratta della solita notte di sesso che può proporre ad una ragazza carina incrociata al bar. Non è... non è affatto questione di sesso.

Il telefono vibra in tasca e lo tira fuori, sospirando quando legge sul display il nome del danese. Non ha voglia di rispondere. Assurdo, perché il telefono è acceso soltanto per ricevere una sua chiamata, sperando davvero che Jan non lo chiami... e, nel contempo, desiderando solo questo.

Manda un sms per comunicargli che è vivo, che sta bene e che non può rispondere al telefono e spegne, senza aspettare una risposta.

Se ne pentirà sicuramente quando, arrivato a casa, troverà un coro di messaggi da parte del fratello e Dan, in un numero non inferiore a venti, tutti pieni di preoccupazione per il suo stato di salute. A volte gli capita di ritrovarsi a pensare che quei due siano davvero fatti l'uno per l'altro, nonostante le differenze.

Non riesce a star fermo sulla sedia scomoda e decide di alzarsi, lasciandosi la sedia scomoda alle spalle e cercando di distrarsi andando ad osservare la vetrina lì accanto, quella in cui sono sistemati modellini di aerei e... un'altra Miffy. Con una divisa da hostess, adorabile, ma che riesce a stringergli qualcosa dentro, pesando come un macigno.

Non è stata una grande idea rimanere lì. Tutto gli ricorda cosa ha vinto e perso in così poco tempo. Tutto, alla fine, anche la sua decisione di rimanere ancora un po', contribuisce a sbeffeggiarlo nel momento in cui pensa che non importa quanto voglia illudersi di poter avere una parte di lui in quel modo, l'ha perso.



A primavera.


È un bacio umido a svegliarlo. Gli si posa sulla guancia come un petalo, seguito da una risatina.

Si guarda intorno, confuso, cercando di capire dove si trovi ed incontra gli occhi verdi della ragazza, il suo sorriso luminoso, la carezza che gli fa, quasi scherzosamente, sulla fronte.

Si è addormentato con la testa sulle sue gambe?

Stanco per il viaggio, eh?” mormora lei, non smettendo di sorridere.

Cerca di ricambiare, ma è ancora un po' confuso. Si mette a sedere e si guarda intorno, respirando piano come per riconoscere il luogo anche dai profumi nell'aria.

Vondelpark?” chiede, facendola ridere.

Qualcuno ha dormito fin troppo bene!” esclama lei, coprendosi le labbra con la mano. “Per tua informazione: siamo ad Amsterdam da ieri sera, perché me ne parli così tanto da sembrare una di quelle fan di Giappone che si vestono tutte colorate e gridano quando vedono i cartoni!” spiega, ma Eirík sa benissimo perché e come sono arrivati fino lì.

Il parco gli ricorda troppe cose. Ha voglia di mangiare un'Hollandse Nieuwe, all'improvviso, ma sa che gli farebbe male. Ecco, si è precluso un ulteriore piacere della vita.

Hajnòwka lo fissa, incuriosita, per poi mordergli il naso, scatenando un movimento di protesta nell'islandese, che finisce per spingerla nell'erba, ridacchiando.


Parlano un linguaggio tutto loro e le persone nel ristorante si fermano a fissarli più volte, un po' per la voce allegra di Haj, un po' perché le lingue in cui si esprimono sono talmente diverse che sembra impossibile riuscire a passare da una all'altra con tanta semplicità.

Eirík lo sa. Oh, se lo sa. L'islandese sarà anche difficile, ma ha impiegato più della ragazza per riuscire a parlare correttamente il polacco.

Ed è probabile che il suo cominciare facendogli ripetere la filastrocca del dannato scarafaggio di Szczebrzeszyn che sussurra tra le canne -unico punto di interesse della città, visto che è proprio famosa per questo- non abbia accelerato il processo di apprendimento.

Lei, poi, aveva anche osato lamentarsi per la poca utilità del dire sono andato per fiordi, al che ovviamente aveva risposto che sapere delle canne dello scarafaggio non era molto più interessante e ne era seguita un'infinita discussione sulle rispettive lingue.

Allora erano discussioni meno delicate, accese, ma scherzose... allora erano semplicemente amici.


La mano della polacca è stretta intorno alla sua, mentre lo guida controcorrente attraverso la folla di persone che escono dal concerto, per recuperare la borsa che stava dimenticando. Una folla disomogenea di persone e parole, una folla che sembra tutta uguale, però, al ragazzo.

Il concerto era bellissimo. L'acustica perfetta come ricordava, le note che lo fanno tremare come la prima volta. Neppure ad Haj piace molto la musica classica, ma fa un'eccezione per Chopin. Dopotutto, è una Łukasiewicz.

Eppure... questa malinconia, questa tristezza... ha l'impressione di essersi svuotato all'improvviso, come se avesse un buco nero nel petto, che assorbe energia ma non da' nulla in cambio e che cresce ogni secondo di più.

Jan. Dire che non ci ha più pensato, da quel giorno in aeroporto di due anni prima, è una bugia enorme. Basta guardare i tulipani che ha in giardino o le Nijntjie che ha cominciato a collezionare per pensarci. Un viaggio che cambia la vita, Eirík l'ha fatto.

Ma non ha avuto il coraggio necessario a cambiarla del tutto ed è rimasto in una sorta di limbo, come qualcuno che sì, ha una famiglia, persone da amare... ma ha perso quell'occasione che avrebbe illuminato ogni cosa.

Per quello, incontrando quel verde familiare, si blocca. La mente che gli dice che è impossibile e, allo stesso tempo, gli supplica di cercarlo ancora, di dare una conferma al cuore che ha smesso di battere per almeno tre secondi.

Jan.

Ci vogliono alcuni lunghi istanti, prima di ritrovarsi di nuovo a quegli occhi. Il taglio da gatto, il verde irreale... solo in quel momento sembra che la mente si decida finalmente a fare il collegamento con la ragazza che gli sta accanto.

Potrebbero essere fratello e sorella, pensa stupidamente, dandosi dell'idiota subito dopo.

Sono solo simili, in fondo, c'è un abisso tra di loro.

Eirík?” lo chiama lei, confusa, ma non riesce a distogliere lo sguardo, la mente invasa dai se e dai ma. Ammettere tutto, all'aeroporto, non dover stringere quel pupazzo per tutto il viaggio di ritorno, pregando le lacrime di starsene al loro posto, per non cedere al rimorso... Allungare una mano verso di lui, adesso, dire il nome che gli sta esplodendo in testa...

Stringe la mano della polacca, abbassando gli occhi e tornando a guardarla. Ma lei sta fissando l'uomo dagli occhi così simili ai propri, senza animosità, solo incuriosita.

Esita. La sua mano si tende, poi si solleva, ma è nascosta dalla folla che li separa. Vede gli occhi verdi dell'uomo posarsi nei propri ancora una volta e non sa cosa fare. Vorrebbe mettersi a gridare cose senza senso, ma non ne ha la forza.

Correre verso di lui e baciarlo, soltanto questo. Stringerlo così forte da fargli male, non lasciarlo andare e non giustificarsi con la paura di esser trascinato via dalla folla.

Ma non può. Non dopo tutto quel silenzio. Non se non c'è stato nulla a parte un bacio infinito ed una delusione.

Eirík.”

Non è sicuro di sentirlo, ma le sue labbra si muovono per pronunciarlo. Fa un passo in avanti, prima di sentire una risatina allegra accanto a lui.

Si volta verso la polacca, che sta ancora ridacchiando, confuso -e, in parte, ferito- dalla sua reazione. Ok, è una Łukasiewicz -ed un'Arlovskaya, quindi è ancora peggio- quindi certe reazioni incomprensibili, folli, a volte stupide, fanno parte della sua stessa natura. Però non si aspettava che...

Bé, certo, se lui non dice nulla, di certo le cose non può intuirle da sola. Non gli legge ancora nel pensiero.

Scemo.” commenta semplicemente, spingendolo verso l'olandese. Riesce a reagire soltanto quando si trovano l'uno davanti all'altro, il cuore nelle orecchie, le mani della ragazza a bloccarlo. Si appoggia alla sua spalla, facendolo ondeggiare.

Ti lascio con il tuo amico! Augurami buona fortuna per la borsa!” esclama lei, saltellando via.

Ma...?! Cos...?!

Resta a fissarla finché non si perde nella folla, basito, prima di tornare a guardare... i bottoni della giacca elegante di Olanda. Allunga le dita e ne sfiora uno, senza quasi accorgersene, prima di ritirare la mano, come se si fosse scottato.

Westwood.”

Alza gli occhi, sorpreso, incontrando lo sguardo perplesso di Jan.

Se ti interessa tanto la mia giacca, è un completo Westwood.” chiarisce, ma l'islandese, se possibile, è ancora più confuso di prima.

Non mi interessa.” ribatte, allontanandosi di un passo. È incredibilmente confuso, come se quello fosse un sogno. Jan non è cambiato. Stesse sopracciglia strane che gli danno un'aria arcigna, stessi occhi meravigliosi, stesse labbra che...

Dici che la tua ragazza tornerà presto?” chiede, costringendolo a distogliere lo sguardo.

Non è la mia ragazza.” riesce a rispondere, con le mani che tremano.

Hanno deciso di non riprovare.

Sì, l'ex ragazzo di Haj -quello nuovo, quello per cui l'ha lasciato, quello che ha quasi sposato- è un bastardo di prima categoria. L'ha lasciata sull'altare e, anche volendo, l'unica cosa che è riuscita a fare è stata tornare da Eirík per un abbraccio.

Ma hanno deciso di convivere come fratello e sorella e a nessuno dei due sembra importare di stare insieme in quel senso.

La notizia passa sul viso dell'olandese in un momento: c'è un muoversi delle sopracciglia, leggermente aggrottate, una smorfia sulle labbra, una luce sorpresa negli occhi verdi.

Sto per baciarti.”

No.” la risposta è secca, diretta, come Eirík si aspetterebbe da Olanda, non da se stesso. Ma gli anni sono trascorsi e, nonostante abbia coltivato quell'amore sui ricordi, sa anche quanto possa far male farsi prendere dal sentimento e ritrovarsi a stringere fumo.

Jan arretra di un passo, il sorrisetto divertito che si spegne, l'incomprensione che tinge i suoi occhi. Deve spiegare, ma non sa se ha le parole. Lui gli posa una mano sul braccio e quella parte sembra bruciare, all'improvviso.

Perché è un contatto così desiderato. Più di un bacio, più dell'amore che ha soffocato nel petto, un semplice tocco lo sconvolge. Sembra fargli capire che sono veramente insieme, che non è un sogno, che...

Non voglio che mi baci per poi far finta di niente. Non voglio rimanere solo ancora a chiedermi cos'abbia sbagliato, non...” questa volta è l'olandese a posargli un dito sulle labbra, un passo di nuovo verso di lui, la mandibola contratta, la mano che trema.

Islanda ha paura che sia rabbia. Ha paura, perché una reazione nervosa riuscirebbe a spezzargli di nuovo il cuore.

Invece l'olandese lo avvolge di slancio, come avrebbe dovuto fare vedendolo, come sarebbe stato più giusto minuti prima. Vorrebbe protestare, ma si rende conto di quanto imbarazzante sia stato, di quanto, incontrarsi due anni dopo, possa averli bloccati.

Ho aspettato che tornassi ed ho finito per pensare che mi avessi dimenticato. Ma mi sei mancato. È assurdo, ma non importa, mi sei mancato.” mormora, tenendolo intrappolato e non allentando la presa neppure quando sente l'islandese appoggiarsi a lui.

Sa ancora di tabacco. Sa ancora di spezie e liquirizia ed Eirík vorrebbe piangere ed urlare per quanto si sente debole, perché sa che non andrà bene, non andrà bene per niente, sarà deluso e litigheranno, lo manderà via, andrà via.

Eppure sembra non importare quando riesce a ricambiare quell'abbraccio, le dita che stringono forte la stoffa della sua giacca elegante e nessuna voce protesta per quella disperazione, la felicità di tornare lì e trovarci un futuro.

Ci sono tante parti di Amsterdam che voglio conoscere. Sei stato crudele a negarmele.” borbotta, ad occhi chiusi, il vociare della folla intorno a loro ben lontano, come se fossero in una bolla protettiva e poco importa se l'illusione ogni tanto si spezza quando qualcuno li scontra.

Ricorda di aver pensato una cosa meravigliosa, bloccato in uno dei suoi rari abbracci. Ricorda di aver pensato ad Amsterdam come al suo cuore. Vuole passare più tempo possibile a conoscere entrambi.

E tu sei freddo e sfuggente, ma voglio conoscere Reykjavík.” confessa l'olandese ed Eirík riesce a sentirlo sorridere.

Non può fare a meno di imitarlo, avvolto tra le sue braccia, in pace, dicendosi che probabilmente non imparerà mai a pronunciarlo bene, ma che vale la pena di provare ad insegnarglielo.



Note dell'autrice


I due scioglilingua sono:

I Szczebrzeszyn z tego słynie.

Ég kom við hjá Nirði niðri í norðfirði nyrðri.


Grazie per aver seguito fino alla fine questa storia, spero che vi abbia fatto venir voglia di visitare Amsterdam o shippare questi due. Questa storia rappresenta una sorta di epilogo finale, se voleste leggerlo.

Amsterdam è giunta alla fine, ma potete portarla avanti e farne parte, oltre a vincere un po' di cose a tema! Per sapere come, andate qui.

Se volete seguirmi ancora, invece e parlottare in compagnia, c'è la mia pagina Facebook gestita insieme a ViolaNera.

Alla prossima!

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