Agglomeration

di Silver Pard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Domestic Debate ***
Capitolo 2: *** Protocols ***
Capitolo 3: *** Hooves. Horn. Sparkle. ***
Capitolo 4: *** as old and as true as the sky ***
Capitolo 5: *** Narrative Causality ***
Capitolo 6: *** The Old Chestnut ***
Capitolo 7: *** A Very Different Sort of Unicorn ***



Capitolo 1
*** Domestic Debate ***


Nota della traduttrice: Di quest’autrice ho una storia estremamente creepy su Sherlock che non riuscirò a finire praticamente mai, I suppose. Comunque sia, nel frattempo, comincio questa raccolta di fic che vanno dal breve al molto breve, a tema abbastanza vario ma sostanzialmente leggere. E in certi casi molto lol. Aggiungerò avvertimenti man mano che ce ne sarà la necessità.
I “prompt” originali pensavo di tenerli in inglese, dal momento che non sono la cosa più importante… non c’è una ragione precisa, per cui se a qualcuno dà fastidio posso anche tradurli. L’aggiornamento sarà… non lo so ancora, ma ehi, tanto fino alla prossima stagione c’è tempo.
Ciao :)

Nota dell’autrice: Era questione di cancellare o postare qualcosa, e ho tirato una monetina. Dal momento che sono incapace di arrivare a un compromesso tra le due alternative, invece di scorrere le mie storie cliccando cancella, ho deciso di provare a trovare tutte fic scritte per il meme di Sherlock che avevo dimenticato. Perciò, si parte con le più vecchie (diciamo).



Prompt: John and Sherlock at a crime scene where the victim has been decapitated, and Sherlock asks Lestrade if he can have the head after the case is solved, which starts an argument between John and Sherlock about getting a new head when they still have to old one in the fridge. With everyone else at the crime scene just watching them in horror.



Domestic Debate ~ Dibattito Domestico






« No » dice John.

« Ma- »

« No » ripete John, in un tono che palesemente non ha visto la luce del giorno dai tempi dell’Afghanistan, un tono da “dio-mi-è-testimone-se-non-obbidisci-subito-ai-miei-ordini-ti-apro-il-culo.” Donovan si rilassa appena. Lestrade sa che il meglio sta per venire. « Sherlock, abbiamo già una testa mozzata, ricordi? È in frigo. »

All’apparenza, Lestrade è l’unico che si aspettava una cosa del genere. Stranamente, molte persone credono ancora che John sia sano di mente, nonostante sia il coinquilino volontario di Sherlock Holmes e scriva post sugli omicidi sul suo blog.

« Sì, ma quella serve per un esperimento completamente diverso! »

« Non abbiamo dove metterla! »

« Non fate sul serio » interviene Anderson debolmente. Nessuno se lo fila neanche di striscio.

« Il tavolo della cucina » ribatte Sherlock trionfante.

« È già ricoperto dei tuoi esperimenti chimici. Non voglio tornare a casa e scoprire che sei inavvertitamente riuscito a creare uno zombie. »

« John, non essere ridicolo » sbuffa lui. « Nessuna delle sostanze con cui sto attualmente lavorando potrebbe mai suscitare una reazione nella carne morta che non sia, forse, la distruzione. Senza contare che, uno zombie dotato solo di testa? Non sarebbe terrificante, sarebbe patetico. »

« Io in quella cucina ci preparo da mangiare! » John si tira i capelli con un’aria esasperata. Gli agenti sembrano vagamente nauseati e completamente atterriti dalle sue priorità.

« Ma se c’è un ristorante cinese a due passi! »

« Dovremmo conservarlo per forza al fresco, altrimenti – tu stai pensando di metterlo sul caminetto, dii la verità. »

« Ma io ho bisogno di misurare il tasso di decomposizione a temperatura ambiente! Empiricamente! »

« Tu vuoi soltanto che la carne marcisca per poter avere un altro Yorick. »

« Mi manca il mio teschio » ammette Sherlock. L’espressione sul suo viso si avvicina molto a un broncio. « Mi annoio quando non ci sei, e parlare ad alta voce da solo è da pazzi. »

« Perché parlare con un teschio è tutta un’altra cosa. »

« Sì » conferma Sherlock, apparentemente ignaro del sarcasmo che trapelava da quelle parole.

Lestrade fa un colpo di tosse. John fa segno di aver riconosciuto il suo tentativo di attirare la loro attenzione, mantenendo lo sguardo truce su Sherlock. Sherlock non è ancora riuscito a cancellare le sue innate buone maniere, ma si sta prodigando per il loro smantellamento graduale, attento. Per esempio, i convenevoli sono diventati irrilevanti e superflui.

« Non mi pare di avervi mai dato il permesso di prendere la testa. »

Sherlock si volta e porta finalmente la sua totale attenzione su Lestrade. « Ma Lestrade- »

« Quel tizio avrà una famiglia, Sherlock. Qualcuno che vorrà seppellirlo. Probabilmente con la testa dov’è. »

« Dettagli! Irrilevante! È morto, che importa se marcisce sottoterra con la testa oppure no? »

Si ferma. Tutti lo fissano, in attesa che recepisca il messaggio. Lui guarda John. « … Ho sbagliato di nuovo? »

« Un po’ » risponde lui, gentilmente.

« Pensavo ci stessi lavorando » dice Donovan seccamente. « Che facesse parte della tua duplice funzione di traduttore-sherlockiano e umanizzatore-sherlockiano. »

« Credo che stia funzionando al contrario » commenta Anderson.

Sherlock sospira. « Beh, se non posso avere la testa, noi ce ne andiamo. Vieni, John. »

« Ma Sherlock, l’omici- »

« Non vi ho dato abbastanza indizi? Se non riuscite a risolverlo entro cinque ore, vi mando un sms. »

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Capitolo 2
*** Protocols ***


NdT: Se posso darvi un consiglio spassionato, trovo che le storie siano talvolta più efficaci senza leggere il prompt, o magari leggendolo alla fine.
Tuttavia, vista la presenza di capitoli che toccano vette di wtf affascinanti, senza contare i cross-over con cose che magari non tutti conoscono, lascerò il formato così com’è.
Ai temerari la scelta, insomma :)

NdA: … Ché poi gran parte di quest’idea è finita in A Brief Account. C’è un motivo per cui l’avevo originariamente chiamata solo “Yay, Crack!” (… Ovvero che sono pessima con i titoli e non avrei mai pensato di ammetterlo.)



Prompt: 28 Days Later style zombie apocalypse? John is in his element but Sherlock thinks the whole thing is a bit of a nuisance.



Protocols ~ Protocolli






« Beh, ma non è corretto » dice Sherlock, e si accuccia dietro John evitando giusto in tempo un braccio impazzito.

John spara al cadavere che tenta sventurato di zampettare fuori dalla vasca. « Non è tipico, no. »

« Sarò viziato io? » si domanda l’altro. « Per tutti quegli anni di cadaveri che restavano immobili mentre ci facevo esperimenti? »

« No, quello è lo stato tipico e naturale delle cose » gli assicura John. « Questa l’aberrazione. »

« Sei sicuro? Mi duole fartelo presente, ma ho appena guardato fuori- »

« Oh mio Dio » dice John, superandolo di corsa e fissando lo sguardo fuori dalla finestra.

« Non è poi così male » butta lì Sherlock, più perché ha il vago sospetto di dover dire qualcosa di confortante che perché abbia una qualche idea del perché qualcuno possa aver bisogno di conforto. « Più che altro una seccatura, davvero, anche se non penso potremo mangiare da China Dynasty molto presto. »

« Non sono gli zombie che mi turbano. Mi sono appena accorto di aver disatteso i miei protocolli. »

« Prego? » chiede Sherlock. John lo traduce con: quand’è che hai cominciato a parlare mycroftese? Sapevo che avrei dovuto essere più fermo sui rapimenti casuali quando ne avevo l’opportunità.

« Ci troviamo in un’apocalisse zombie » spiega vivacemente lui. « Non mi dirai che non ti eri preparato per l’eventualità? »

« … Tu sì? »

« Certo che sì. Ma stranamente ho finito per usare più proiettili sulla gente che ha provato ad ammazzarti che sui cadaveri tornati in vita, e mi ci sono talmente abituato che non ho pensato a rimpiazzarli. »

« Un peccato davvero » commenta Sherlock in tono mite. « Lo sai che c’è qualcosa che ci sta artigliando la porta? »

« È tutto a posto. Ho imparato anche altre cose nell’esercito. Comunque dov’è che avevi messo quella spada dal caso del Banchiere Cieco? »

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Capitolo 3
*** Hooves. Horn. Sparkle. ***


Prompt: So, we’ve had unicorn!Sherlock. And zombie invasion. But not in the same fic. GO GO GO


Hooves. Horn. Sparkle. ~ Zoccoli. Corno. Sbriluccichio.






Gli zombie se li aspettava, John. Per gli zombie si era preparato, John. Per gli zombie accatastava scorte da quando aveva circa otto anni, John.

Nulla, tuttavia, l’aveva preparato a questo.

« Un unicorno » disse flebilmente.

Sherlock annuì, con un’aria spiccatamente indifferente all’incapacità di John di assimilare un fatto tanto marginale. Spiccatamente non-equina, pure.

« Ho bisogno di bere » decise John.

Sherlock parve alquanto scocciato. La sua pelle aveva un che di… iridescente. John provò a dirsi che era l’adrenalina, ma persino accerchiato dalla morte in Afghanistan non aveva mai avuto allucinazioni di sbriluccichii.

« No » si corresse, quasi a malincuore. « Se bevo non posso occuparmi degli zombie. » Si fermò. « Ma se bevo, questa conversazione avrà molto ma molto più senso… »

Sherlock assunse quell’espressione che dentro di sé John denominava “questo qui, comunque ti sia fatto questa ridicola idea, non è affatto un broncio.” John lo ignorò.

Gli zombie stavano bene, a John. Gli zombie tutti se li aspettavano. Gli unicorni non altrettanto. E così, se da una parte John era un po’ rattristato all’idea di perdere gli zombie, c’era davvero soltanto una conclusione da trarre-

« Dev’essere un sogno » disse, e si sentì meglio.

Il nient’affatto-broncio divenne ancora più simile a un broncio. « Non è quello che hai detto quando hanno iniziato a levarsi gli zombie. Hai pensato che fosse tutto perfettamente nella norma » notò Sherlock, il tono irritato. « Non hai pensato fosse un sogno nemmeno quando la BBC ha trasmesso quel filmato di Sua Maestà che li decimava con un fucile. »

« Già, ma ho sempre segretamente sospettato che la Regina fosse capace di spaccare culi a destra e manca in una maniera epica e raffinata. Non ho mai sospettato, né segretamente né altro, che il mio coinquilino potesse essere una creatura mitologica associata a… alle… vergini… e ai cuori… e… » La mitologia non era mai stata il punto forte di John. « … e agli arcobaleni. »

« Adesso mi stai confondendo con un gay pride. Smettila. »

« Beh, ma sbriluccichi. È roba gay forte, e l’esperienza me lo conferma: Mister Mistoffelees, Edward Cullen… »

« Sinceramente, solo perché un uomo è capace di una danza estremamente impegnativa dal punto di vista fisico… Vogliamo parlare dell’Edinburgh Tattoo? »

John dovette dargli ragione. Provò a ignorare il sospetto germogliante che Sherlock stesse alludendo di sapere della partecipazione di John alla Danza delle Spade. Per la quale andava necessariamente chiarito quanto fosse difficile, altrimenti sembrava una cosa… non-scozzese. « E la scusa per Edward Cullen? »

« Non c’è scusa per Edward Cullen » disse Sherlock cupamente.

John annuì. Non avrebbe mai perdonato Harry per avergli inflitto quei libri e poi i film – oh, quanto era impietoso Dio, con lui. A proposito di sorelle… « Aspetta. Fermo. Mycroft non può essere un… capito, no? »

« Certo che è un unicorno » replicò Sherlock, visibilmente offeso. « Hai forse dimenticato il piccolo dettaglio che è mio fratello? »

« Ma Mycroft non può essere un unicorno! » sputacchiò John. « Gli unicorni sono, sono beh, dolcezza, luce, arcobaleni… »

« Ci risiamo con gli arcobaleni- »

« Mycroft uccide la gente! Un secolo fa avrebbe potuto istigare una guerra e uccidere milioni di persone per il prezzo del tè, e potrebbe ancora oggi, non saprei- »

« Nella mia forma corretta » spiegò Sherlock rigidamente, « ho un corno al centro della fronte. Non serve ad appenderci ghirlande di margherite. »

« … » disse John.

« Tra l’altro, John, hai mai avuto in cura un uomo che ha ricevuto un calcio in testa da un cavallo? No, perché tendono a finire all’obitorio, dove sono più utili alla mia occupazione. »

Gli zombie decisero finalmente di essere stati ignorati abbastanza dai pasti mobili e rantolarono con veemenza per riaffermare la proprio presenza.

John li guardò di sfuggita, poi, rivolto a Sherlock, inarcò un sopracciglio. « Sei più pericoloso così o nella forma di unicorno? » 

« Zoccoli. Corno. Sbriluccichio » disse Sherlock. « Di questi mi occupo io. »






NdA: … Eh già. Non ero ubriaca quando l’ho scritta. Non ho scuse.

NdT: Tutti hanno una scusa. Tranne Edward Cullen.
Also: dichiaro ufficialmente aperta la campagna per l’aggiunta dell’avvertimento “Unicorno” su EFP.

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Capitolo 4
*** as old and as true as the sky ***


NdA: … Tutti devono fare una fic Were!Watson (nota: were=abbreviativo di werewolf, lupo mannaro) prima o poi. Questa è la mia versione e le resto fedele.



Prompt: We’ve had a couple of werewolf John fics, and, well, I’d like some more - maybe looking more at the way his lupine behaviours come out. Like, we’ve had a pack!prompt, so maybe more with territoriality (maybe him being embarrassed that he has the urge to mark his place on things?) and how restless he becomes at the full moon - how blood at crime scenes sets off urges in him - how he placates the urge to hunt and fight.



as old and as true as the sky ~ tanto vecchio e tanto vero quanto il cielo






John non ha un calendario dove segnare i clcli lunari; non gli serve. Li percepisce dal prurito sotto la pelle dove il lupo si dimena, dal modo in cui comincia a ripercorrere i confini dell’appartamento. Prova a fermarsi, a immobilizzarsi, ma il prurito di impazienza del lupo è troppo forte, e le pareti sono di colpo troppo vicine.

(ora)

Per il lupo, l’appartamento è la loro tana, e non gradisce essere costretto a starci dentro come un cucciolo, quando fuori ci sono la caccia ad attenderlo e un territorio a cui fare da guardia.

Alla luna piena, tutto è-

Il lupo è intenso, perché per il lupo è più importante l’ora, non il dopo. Ora è il momento per cacciare, ora il suo territorio va marcato e difeso, ora.

Tutto è molto più forte alla luna piena. Istinti che John ha imparato a placare o accettare o a cui si è adattato sono improvvisamente irrefrenabili.

(questa è la Legge della Giungla, e il Lupo che la seguirà potrà prosperare)

Il lupo parla molto, a modo suo, ma solo alla luna piena John si sente veramente come se tutti parlassero una lingua straniera, aspettandosi che lui li capisca. O forse è lui a parlare in una lingua straniera, e a chiedersi perché loro non ascoltino.

La goccia sono le piccole cose. Li guarda negli occhi e subito loro li abbassano e li distolgono, ma poi continuano a comportarsi come se fossero ancora al comando. Allora li guarda di nuovo negli occhi, il lupo irritato e impaziente, e di nuovo, loro li abbassano o li distolgono, mostrano di sapere che lui è più forte, si mettono sotto di lui nell’ordine delle cose, e il lupo arretra, compiaciuto, e quelli continuano ancora con i loro “mi stai ascoltando, sono io che comando qui, non puoi farlo-”

John sorride a bocca chiusa in questi giorni, perché alla creatura si rizzano i peli del collo quando tutti le fanno vedere i denti. Aggressione, circondato, non-branco, dice il lupo.

Risata, sorrisi, ritrovo, vicino-estraneo-branco, dice John. Si irrigidisce e si mette sulla difensiva e: « Proprio non sei capace con i ritrovi sociali, eh? » commenta Lesrtade benevolmente, comprandogli un altro drink e dicendogli che è stato troppo a lungo accanto a Sherlock.

Reclina la testa all’indietro quando Sherlock è arrabbiato e frustrato, gli mostra la gola, ma non basta a tranquillizzarlo come dovrebbe secondo il lupo, non lo calma, non gli fa smettere di ringhiare e sbottare contro l’aria vuota.

È frustrante oltre ogni dire, essere improvvisamente bloccati in una lingua che nessun altro capisce.

(ma il Lupo che l’infrange deve morire)

Il peggio è quando passano da una scena del crimine. Un omicidio. Molti crimini vengono commessi quando la luna è alta, la lingua si palesa: lunaticus, lunatico.

Lunatico, John annusa un cadavere e invece di femmina, in salute, nel fiore degli anni, drogata a morte, principio di decomposizione non sente altro che preda, carogna. Gli ci vuole molto più tempo del dovuto per districare gli odori, per essere in grado di sentire il profumo di qualcosa che non sia il cibo.

John è ben nutrito; il lupo è ben nutrito. Ma a volte nel frigo non c’è cibo, ma teste mozzate. John è nauseato dall’idea che sia una carogna, e al lupo non piace l’odore dei prodotti chimici, e tanto trova sia marcita da troppi mesi perché valga la pena mangiarla; poi però vanno a una scena del crimine, e c’è carne per terra, anche se odora di deodorante e sapone e crema da barba e alcol e sesso non è che carne, e il lupo ha sempre fame nelle notti di luna piena.

John non odia il lupo. Ha il suo modo di vedere le cose così come John ha il suo, e il più delle volte è il lupo a scuotere il capo e a storcere il muso dal disgusto. Il lupo lo rende più veloce, più forte, gli presta i suoi sensi e la sua prospettiva unica. Non può permettersi di odiare se stesso, e il lupo adesso è parte di lui.

Però.

Nelle notti di luna piena John corre, quella corsa regolare ad ampie falcate che ingurgita miglia e miglia. Nelle notti di luna piena John perlustra il suo territorio, con cura, metodicamente, ed è davvero meglio non pensare a cosa potrebbe fare se vi trovasse mai una creatura in grado di sfidarlo.

(New Scotland Yard non è di John, tecnicamente. Ci sono lupi nella forza di polizia, è il loro territorio, ma John ci fa comunque un giro veloce, per sicurezza. Per Lestrade ex-compagno branco/originale/non proprio branco – e per Sally. Anche per Lestrade, visto che è proprietà di Sally. Sebbene il lupo sia del parere che potrebbe trovarsi un compagno di gran lunga migliore, la scelta è della femmina, e se non è alpha lei non lo è nessuno.)

Canta alla luna e gli risponde sempre un coro di improperi, fa una melodia bellissima, la canzone della città, e a volte la suona, e a volte caccia (e la microcriminalità è diminuita nella loro zona, il che è un po’ preoccupante per la soglia della noia di Sherlock). Lui non pensa, non proprio, lui… Nelle notti di luna piena lui è, e se questo lui è il lupo o l’uomo o un qualcosa che comprende entrambi, non importa.

Quando si avvicina all’appartamento verso l’alba, trova sempre Sherlock ad aspettarlo, anche se lui finge di non essersi mosso dalla sera prima coma se John non capisse dagli odori che così non è.

Lo saluta con un mormorio sommesso, gli spinge le dita nel colletto. Lui salta sul divano e si stiracchia accanto a lui, benché non ci sia spazio e il calore del suo corpo unito alla pelliccia renda probabilmente soffocante la sua presenza nei giorni d’estate.

Mio, dice il lupo, chiudendo gli occhi, confortato dal calore e dal profumo e dal battito cardiaco di Sherlock. branco e compagno e mio.

Sherlock
, dice John, ma il significato non cambia.






Nota della traduttrice: dove trovate “lunaticus” e “lunatico,” in inglese era “[…] lunaticus, moonstruck. Moonstruck, John sniffs at a corpse […]” “Moonstruck,” simpatico vocabolo, che letteralmente si potrebbe tradurre come “colpito dalla luna,” significa però matto, pazzo.
In mancanza di alternative, ho lasciato direttamente “lunatico,” che purtroppo ha una connotazione molto più leggera dei suoi apparenti corrispettivi inglesi.

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Capitolo 5
*** Narrative Causality ***


NdT: Stavolta, si tratta di un cross-over, con qualcosa che io sfortunatamente non conosco: Mondo Disco, secondo wikipedia “un mondo immaginario in cui è ambientata una popolare serie di romanzi fantasy umoristici scritti dall'autore britannico Terry Pratchett.”
Mi scuso di eventuali errori dovuti a questo :S

NdA:
Il Prompt è tutto lì.
… “usa come titolo la prima cosa che ti viene in mente” colpisce ancora!



Prompt: Sherlock/Discworld.



Narrative Causality ~ Causalità Narrativa






[In cui Stamford recita una parte poco riconosciuta e Mycroft presume che le leggi della gravità siano leggi per tutti gli altri.]

Il bar era uno di quei posti in cui Sherlock preferiva passare sotto falso nome. Era uno di quei posti che sembrava usare un falso nome. Probabilmente a piena ragione.

Entrò comunque, perché aveva scoperto che se entravi in un posto con l’aria di uno che è a casa sua, la gente ti trattava come se lo fossi.

Aveva ragione. Per amor di precisione, raramente si sbagliava, ma era sempre bello consolidare una teoria.

Stamford, seduto in un angolo a guardare una piccola figura blu al bancone tracannare qualcosa che avrebbe dovuto essere tenuto alla larga dal fuoco, pensò, come faceva sempre quando vedeva Sherlock Holmes, ma come fa?

« Sherlock » salutò, sapendo che la sua padronanza dei convenevoli sociali non si spingeva molto lontano e considerava il “salve” una parola seccante e superflua che non era certo fosse assolutamente essenziale al linguaggio. « Come se la passa Mycroft ultimamente? »

Stamford chiedeva sempre di Mycroft perché Sherlock faceva la faccia di uno che ha appena mangiato una cosa estremamente aspra. Era una cosa meschina, certo, ma con Sherlock Holmes o questo o niente, e lo Sguardo di Disgusto riusciva a farti accettare più di buon grado una conversazione con un tizio che ti insultava ogni cinque secondi.

« Sta come sempre » rispose Sherlock in tono irritabile. « Si chiude in biblioteca, e alterna il non far niente al picchiare le leggi della realtà con un ombrello. »

« Vorrai dire bastone? » domandò Stamford con un’espressione di pura non-innocenza.

Sherlock gli recapitò uno sguardo che diceva: “ho capito cosa stai facendo e ti renderò la vita molto difficile. Ma starò comunque al gioco perché non verrò battuto dal tuo piccolo cervello primitivo e dai suoi tentativi di farmi irritare.” Straordinario, il numero di parole che si potevano condensare in un mero stringersi degli occhi. « Mycroft preferisce l’ombrello. »

Come facevano tutti quando lo diceva, Stamford chiese doverosamente: « Ma come si può essere maghi senza bastoni? »

(In effetti, era l’ottava volta che porgeva la doverosa domanda. Ancora non aveva perso il suo smalto. Così come le mutevoli risposte di Sherlock, peraltro.)

« Si può e con assai più eleganza, a sentire Mycroft. A parte questo – lui è un mago. Impiega la maggior parte del suo tempo a tentare di evitare di fare cose che somiglino remotamente alla magia. »

Non era probabilmente conveniente, pensò Stamford, accennare al fatto che era convinto di aver visto una volta il fratello Holmes maggiore saltare gioiosamente dal tetto dell’Università usando l’ombrello per galleggiare giù, passando fluidamente da una planata nell’aria a una falcata tronfiamente divertita a terra.

I fratelli Holmes, non per dire, erano un po’ Strambi.

« Allora » riprese Sherlock bruscamente, avendo apparentemente adempito alla sua quota percepita di convenevoli sociali, « perché esattamente mi hai chiesto di incontrarci qui. »

Sherlock Holmes aveva questo, rifletté Stamford. Anche quando qualcosa avrebbe dovuto suonare come un quesito, c’era una ragguardevole assenza di punto di domanda. Era come se stesse cercando di concederti l’illusione che non sapesse esattamente ciò a cui stavi pensando, ma veniva osteggiato da una punteggiatura erronea. Era che proprio non riusciva a far sentire di non sapere a cosa stavi pensando.

« Beh » iniziò. « Ti ricordi che avevi preso di mira quel posto di Baker Street, ma avevi bisogno di qualcun altro per pagare l’affitto? » Non notò quanto fosse improbabile che quella fosse la vera ragione – il vestiario di Sherlock era di quelli che tossivano e mormoravano “soldi” con un fare estremamente discreto e raffinato che garantiva di non passare inosservato. « Ho un vecchio amico che pure sta cercando un posto. »

Dette un’altra occhiata alla piccola figura blu, sapendo che Sherlock sarebbe giunto alle necessarie conclusioni.

« Un Nac Mac Feegle » disse Sherlock perplesso. Per la prima volta da che si conoscevano, sembrava spiazzato. Stamford abbracciò gelosamente la sensazione di compiacimento che lo colse. Okay, era sua solo per procura, davvero, ma aveva comunque fatto sbattere le palpebre a Sherlock Holmes come se avesse visto un troll ballare il tip tap.

« Lui è un po’ diverso » spiegò Stamford, sapendo che questo era tutto ciò di cui aveva bisogno per siglare l’accordo. « Ti ricordi quella storia dei klatchiani? Il piccolo John laggiù si è arruolato e- » Stamford abbassò la voce. « -ha perso il suo accento. Non parlarne, non gli piace che glielo si ricordi. »

« Yer tryin’ ta say ah’m saft or summat? Yer gettin’ chibbed fer that! »

« … Pensavo avessi detto che aveva perso il suo accento? » chiese Sherlock, guardando la creatura fatata sventolare una bottiglia vuota contro un troll.

« Psicosomatico » Stamford fece spallucce. « Sorge una lite e si ricorda perfettamente, ma giorno per giorno? Povero stronzo, non può neanche lamentarsene strillando. È talmente depresso che non riesce manco a cercarsi liti, sono loro che devono andarlo a cercare. Una tragedia, ti dico. Va’ avanti, parlagli. Vedrai. »

Sherlock si alzò e si avviò da questi. “Arrivederci,” evidentemente, era per le altre persone. Stamford si versò un drink e si congratulò con se stesso per l’ottimo lavoro. Non era ancora sicuro di cosa stesse macchinando Mycroft, ma una combinazione di Nac Mac Feegle e Sherlock Holmes non poteva che sfociare nell’esilarante.






Altra nota: La frase che non ho tradotto è in scozzese, e significa più o meno “stai cercando di dire che sono debole? Verrai accoltellato per questo!”
Non so come si siano comportati i traduttori italiani né se ci fossero effettivamente frasi del genere nei libri, perciò ho preferito lasciarlo così. Gh.

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Capitolo 6
*** The Old Chestnut ***


NdT: … Questa raccolta mi fa sentire sempre più ignorante xD Stavolta c’è un crossover tra Good Omens (in italiano: “Buona Apocalisse a tutti!”, scritto a quattro mani da Terry Pratchett e Neil Gaiman), Harry Potter e Sherlock. Cioè. Dov’è il Dottore.
“The Old Chestnut” significa letteralmente “la vecchia castagna,” ma “a old chestnut” è un’espressione idiomatica che indica quelle battute trite e ritrite che non fanno più ridere nessuno. Vecchie come il cucco, something like that.
Non ho letto Good Omens e mi scuso di eventuali errori di traduzione. *aggiunge tremila libri alla to-do-list estiva*

NdA: Questa storia segna la prima (ma certamente non ultima) apparizione di Crowley in questa raccolta – io vi avevo avvisati. Questo è il mio cervello… *scuote la testa*



Prompt: Sherlock Holmes, Sirius Black and Crowley walk into a bar.



The Old Chestnut






I tre uomini nell’angolo del pub erano tutti magri (in un caso, sull’orlo dell’inedia), bruni (con capelli che spaziavano da tagli alla moda a riccioli-che-non-vedono-un-paio-di-forbici-dalla-Thatcher), e accigliati. Se vi avessero detto che uno di loro era un demone, probabilmente non avreste indovinato quale.

(Tuttavia a nessuno avrebbe stupito la presenza di un demone là dentro. The Old Chesnut – era uno di quei posti che si piazzava il nome in lettere di metallo sproporzionate sulla facciata dell’edificio; di conseguenza la prima “t” a un certo punto era stata rubata, e l’accento locale aveva fatto sì che rimanesse perduta – uno di quei posti con le storie (fabbricate) così. Comunque sia, il demone era un cliente fisso.)

Crowley guardava in cagnesco Sherlock Holmes, che ne era ignaro. Ignaro. Il più grande detective del mondo un paio di palle.

Sherlock Holmes studiò la clientela, e non ne rimase folgorato. Stava presumibilmente anche considerando come usare la sua conoscenza contro la suddetta clientela rea dell’orrendo crimine di non essere interessante.

Sirius Black si schiarì la gola. « Un altro giro, signori? »

Crowley diresse lo sguardo torvo verso l’altro uomo. « Black. Non puoi pagare. Non sai nemmeno maneggiare la valuta. »

« Sono tutti pezzettini di carta » disse Sirius, senza l’ombra di vergogna. « Insomma, che differenza c’è? A me paiono tutti uguali. »

« Manchi di spirito di osservazione » tirò su col naso Sherlock; era il peggior insulto che si potesse ricevere, per quanto gli riguardava. Crowley era di parere molto diverso. Aveva causato una guerra l’ultima volta che aveva usato il suo peggior insulto. Mycroft se ne era spiaciuto molto.

(Mycroft stava decisamente dalla parte di Crowley.)

« Ma dai » strascicò Crowley. « Senti, Black, ci sono dei numeri negli angoli. Non è così difficile. Ormai non si parla più in pre-decimali. Si sono pure sbarazzati del mezzo penny nell’84! Allora, quanti pence ci vogliono per fare una sterlina? »

Non poteva continuare ad accampare scuse per non pagare al suo giro, che diamine! … Anche se Holmes aveva da bere gratis perché aveva sistemato una piccola seccatura al barista qualche anno prima, e Crowley addebitava quello che prendeva all’Inferno.

Dopo un lungo momento di riflessione, Sirius si arrese con un’alzata di spalle. « Boh. »

Maghi. Davvero, il riconoscimento ufficiale che aveva ricevuto per aver (accidentalmente) creato lo Statuto di Segretezza non compensava l’inconveniente di dover avere a che fare con la loro cultura impantanata. Era un bene che i maghi fossero ancora più bravi a crearsi problemi da soli degli ordinari esseri umani, perché se Crowley fosse stato costretto a interagire con un’intera sottocultura dello stesso stampo di Sirius Black a intervalli regolari, si sarebbe scorporato.

« Cento, idiota » spiegò Crowley con un sospiro. « Prima erano duecentoquaranta, con dodici pence che facevano uno scellino, e venti scellini che facevano una sterlina. Ti rendi conto di quanto ti è più facile ora? »

Il mago alzò ancora le spalle. « Non vedo perché non possiamo semplicemente bere al Paiolo Magico. »

Crowley si strinse il lembo di pelle tra le sopracciglia. « Perché certi di noi ricordano ciò di cui Sherlock è capace con una lente di ingrandimento, quattro falci, un pacco di carte da gioco e un Horklump, e non vogliono il bis. »

« Allora non è perché sono ricercato per omicidio di massa? » chiese Sirius, più o meno con la stessa aria innocente di Aziraphale di quando Crowley esigeva di sapere che fine avesse fatto l’ultimo pasticcino che aveva visto con assoluta certezza sul piatto quando aveva cambiato stanza cinque minuti prima.

Sherlock grugnì sommessamente dal suo angolo, da dove stava analizzando i diversi tipi di sporco sulle varie scarpe degli avventori del bar. Crowley fece un gesto sbrigativo con la mano. « Quanti zellini ci vogliono per fare un galeone? » domandò, tornando alla conversazione precedente.

« Quattrocentonovantatré » rispose prontamente Sirius. « È diverso. »

« No che porca puttana non lo è » insistette Crowley.

« Signori » intervenne Sherlock in tono irritato, a corto di campioni di sporco. « Avete intenzione di battibeccare sui tassi di cambio o beviamo? »

« Qualcuno è scazzato » ghignò Sirius. « Che c’è, il ragazzo non te lo dà? »

La realtà non tendeva a riassestarsi ai desideri di Sherlock come faceva con Crowley, e pertanto la sua occhiata truce non poteva davvero ucciderlo, ma Sirius rabbrividì lo stesso.

« Oh, ma Sirius » disse Crowley estasiato, il bicchiere prima vuoto d’improvviso colmo di un’assai stupito Cabernet Sauvignon, « Si dice collega, vero, Sherlock? »

L’espressione di Sherlock si tramutò da “spero che tu muoia di una miserevole morte in un fosso” in “ti ucciderò con un cucchiaio e userò il tuo cuore come ornamento decorativo.”

« Oh, colpo basso » Sirius sussultò, scuotendo la testa con fare commiserevole.

« John è un caro amico e non ha importanza come sceglie di farsi chiamare – dobbiamo forse aggiungere alla discussione la tua dubbia relazione con la tua controparte? Sono certo che l’Inferno sarebbe lieto di sapere tutto fin nei minimi dettagli. »

« Ogni volta che penso che abbiamo toccato il fondo, ecco che le cose si fanno sempre più cattive » commentò Sirius rivolto a nessuno, in un tono di profonda ammirazione.

« Non so di che parli » ribatté Crowley mitemente. « E se non la pianti con questa storia, neanche tu lo saprai. »

« Ehi, ehi, pensavo avessimo stabilito che non potevamo usare incantesimi della memoria sull’unico babbano! »

« In particolar modo quando è uno dei pochi umani ad usare il cervello? Sì. Ma Sirius, ti ricordi quella volta in- »

« … Sì? »

« -quando tu- »

« … Sì. »

« -e poi lui- »

« Oh Merlino. »

« -e ti sei svegliato una settimana dopo con una patata- »

« Aargh! »

« Esattamente. Poi non è che lui non riesca a dedurre tutto quello che è successo per riapparirti il mese dopo come se nulla fosse successo. »

« Alquanto scorretto da parte vostra usare la magia, però » commentò Sherlock, tiepido.

« No che non lo è » controbatté Sirius, di colpo dall’altro lato del dibattito, riacquisita la memoria di Quella Volta. « Fosse un altro babbano qualsiasi, forse, ma tu – per il cappello cencioso di Merlino, che cosa gli hai fatto a quei Mangiamorte? »

« Abbiamo chiacchierato. »

« Uno di loro è stato trovato in un monastero! »

« Si è messo a parlare con Aziraphale » intuì Crowley. Il suo sorriso era piuttosto… aguzzo. « Il che è barare. Sono così orgoglioso. »

« E due di loro non potranno mai più usare le braccia, nemmeno con la magia » continuò Sirius, ignaro.

« Beh, vedi, John ha questo piccolo problema con i terroristi. Gli piace vederli fuori uso in via permanente. »

« E per non parlare del quarto che – beh. Per quello ancora devo capire come ci sei riuscito. »

“Mycroft?” composero le labbra di Crowley.

La faccia di Sherlock assunse vagamente i tratti di un gatto che pensava di avere trovato dell’erba gatta e poi si rendeva conto di essere incappato nella buccia di un’arancia. Mycroft.

« Ma basta parlare di guerra! Ci sono compleanni imminenti? »

Crowley si scambiò uno Sguardo con Sherlock. « Io non sono mai nato, Sherlock pensa che i convenevoli sociali siano per i deboli e non è che tu possa andartene a ballare per strada senza ritrovarti dietro un trenino di poliziotti – scusa, auror. »

« Cercavo solo di risollevare il morale » si difese Sirius con vivace indifferenza allo Sguardo.

« Perché beviamo con lui? » chiese Crowley a Sherlock.

« Ti ha fatto conoscere il miglior whiskey incendiario di Londra. »

« Giusto, giusto. »

« E poi hai fatto una scommessa con Aziraphale. »

« Chi ti ha detto – fermo. Lascia perdere. »

« Uomini, ho il bicchiere vuoto! Ho il bicchiere vuoto! »

Non c’era che sperare che Aziraphale si stesse divertendo quasi quanto Crowley, a questo punto…





« No, Mycroft, insisto. Il mondo può andare avanti senza di te per dieci minuti mentre ti gusti questo panfrutto. »

« Sono a dieta, Aziraphale, devo proprio- »

« Cheesecake ai mirtilli? »

« Oh, d’accordo. »

« Deliziato di sentirtelo dire, mio caro. Tè, John? »

« Molto gentile. »

« E tu, Remus? »

« No, grazie. Devo ancora finire questo scone. »

Aziraphale fece loro un sorriso raggiante.

Apparentemente incapaci di trattenersi, loro ricambiarono il sorriso.

Erano davvero brutte, le cose a cui lui e Mycroft dovevano ricorrere per procurarsi il tempo per queste piccole chiacchierate.

(Mycroft stava decisamente dalla parte di Aziraphale.)

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Capitolo 7
*** A Very Different Sort of Unicorn ***


NdT: … weeeeeeeiiiiiird.

NdA: … e questo è il mio cervello sul meme di Sherlock.



Prompt: Sherlock is a unicorn. John is a fairy. They’re in love.
(Non c’era nel prompt vero e proprio, ma sempre detto dall’OP (giuro): I would love you forever if you managed to do it seriously. But crack is also awesome :D, e in risposta a una domanda su una fata alla Tinkerbell/Campanellino contro una fata alla Fae: TINKERBELL. OMG TINKERBELL.
A seguire: conigli!



A Very Different Sort of Unicorn ~ Un tipo di unicorno molto diverso






« Ti amo » disse John.

L’unicorno grugnì, scrollando il capo. « Lo so » sbottò, con nella voce qualcosa che somigliava a pazienza irritata. « Lo sanno tutti. La tua specie non può avere per la testa più di un’emozione forte alla volta. »

« No » ribatté John, con scatti indignati delle ali. L’unicorno scosse la testa e la luccicante polvere di fata lo fece starnutire. « Stavolta è diverso. »

« Tutti pensano sempre “stavolta è diverso” quando quel qualcosa riguarda loro » replicò l’unicorno. « Non è mai così. È incredibilmente monotono. »

John si rabbuiò e finse di non averlo sentito.

« Comunque John che razza di nome è per una fata? » chiese pigramente l’unicorno.

John provò a tenersi saldo al suo pensiero, perché era un bel pensiero e andava detto, ma si distraeva facilmente, come tutti quelli della sua specie. « Un ottimo nome » rispose tutto fiero, illuminandosi di rosa per l’orgoglio e il piacere. « Lo sai quanto teniamo ai nostri nomi. Che gli umani a volte cercano di imprigionarci. Devono usare il nostro nome per tenerci, e pensano sempre a cose come “Seme di mostarda” e “Fior di pisello” e “Campanellino,” che sono le cose giuste, e non gli viene mai in mente un “John.” »

« Gli unicorni non hanno nomi » disse l’unicorno, gli occhi indecifrabili.

« Allora come fate a distinguervi? Come fanno tutti gli altri a sapere che tu sei quell’unicorno e non quell’altro? »

« Tu sai chi sono » osservò l’unicorno. « Anche se non ho un nome. »

« È perché ti amo » spiegò John, e tornare all’idea di cui aveva provato a parlare prima gli restituì tutta la tonante emozione che talvolta pareva troppa per il suo minuscolo corpo.

« Vero » concesse l’unicorno.

« Tu sei – permaloso e solitario e irritabile e molto intelligente e non molto saggio » disse John dopo un istante, in un linguaggio umano, perché il linguaggio delle fate teneva conto di chi o di cosa si apostrofasse, e lui non poteva parlare con gli unicorni – figurarsi il suo unicorno – in tutta onestà. Poteva essere sincero, certo – non poteva mentire – ma erano due cose molto diverse. « Ti riconoscerei ovunque, e – e così pure gli altri, immagino. Tu sei un tipo di unicorno molto diverso. »

« Grazie » fu la secca risposta dell’unicorno. « Questo sì che è un complimento. »

« L’avevo pensato » ammise John, dandogli una pacca sul corno, lasciando un’impronta dorata scintillante. « So quanto ti sta antipatico tuo fratello. »

« Gli unicorni di solito sono solitari, sai. Alcuni di noi sono piuttosto selvaggi. »

« Tu sei piuttosto pazzo » disse affettuosamente John, e non accennò a come non era più tanto sicuro di star seguendo la conversazione.

« Sì, suppongo di sì. Fa vedere le cose con grande chiarezza, la follia. Per questo non la si può non apprezzare. » La normalità è così monotona.

« Tu vedi tutto » ribatté John, ed era la verità, ma non tutta la verità, e questo era quanto poteva essere detto nel linguaggio delle fate che suonava come le campane. Ciò che John voleva dire, ma per il quale avrebbe avuto bisogno di una lingua umana, era: “Tu vedi tutto con tale chiarezza che c’è sempre qualcosa che ti sfugge.”

« Siamo solitari, che per noi è molto diverso dal sentirsi soli » spiegò l’unicorno, che poteva stare dietro a una conversazione dai molteplici fili, a differenza di una fata.

John aggrottò la fronte. « Ma tu ti senti solo. »

« Io sono un tipo di unicorno molto diverso. »

« Sì » disse John, e sorrise radioso. Essendo una fata, era molto bravo a carpire la differenza tra ciò che veniva detto e ciò che si intendeva. E quando l’unicorno diceva “io sono un tipo di unicorno molto diverso,” John capiva che ciò che intendeva era “gli altri unicorni non si sentono come me.” « Così come io sono qui. Con te. »

L’altro annuì, e fece un sorriso da unicorno che racchiudeva qualcosa della tenerezza mortale.

Le fate come John, che potevano stare nel palmo di una mano umana, possono avere per la testa solo un’emozione forte alla volta. Quando si arrabbiano, la loro furia non può essere placata se non con la distruzione di ciò che l’ha scatenata. Quando si rattristano, nulla può consolarle se non trovare l’altro estremo, e quando amano-

Ti amo, non disse John, le mani intrecciate alla criniera dell’unicorno. Ti amo tutto il tempo, c’è quando sono felice perché è ciò che mi rende felice, c’è quando sono triste perché mi ferisce a tal punto; ogni emozione che provo si può ricollegare a questo, c’è quando sogno, quando sono sveglio. E tu sei un unicorno.

Gli unicorni non erano come le fate. Gli unicorni non erano come nulla che non fosse un unicorno.

Gli unicorni erano veri immortali e l’Amore era una cosa mortale.

Però.

John guardò l’unicorno, che parlava così svelto e così rapido che nessuno avrebbe mai creduto che gli ci volesse un’eternità per dire tutto quello che voleva dire, e che prendeva nota di ogni cosa con i suoi occhi grigi di metallo, così diversi dagli occhi di ogni altro unicorno.

Ma tu sei un tipo di unicorno molto diverso.

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