Bloody Wonderland di Kristen Williams (/viewuser.php?uid=175425)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Spark of insanity ***
Capitolo 2: *** A family affair ***
Capitolo 3: *** A fake Equilibrium (I) ***
Capitolo 4: *** A fake Equilibrium (II) ***
Capitolo 5: *** A fake Equilibrium (III) ***
Capitolo 6: *** Helplessness ***
Capitolo 7: *** Usurpation ***
Capitolo 8: *** Visions and Plots ***
Capitolo 9: *** Flowers and Snow (I) ***
Capitolo 1 *** Spark of insanity ***
DISCLAIMER
Questa fan fiction non è a scopo di lucro.
Alice, James e Victoria sono di
proprietà di Stephenie Meyer (e ci mancherebbe altro!).
Le canzoni e le immagini che hanno ispirato
questa storia
sono proprietà dei rispettivi autori (vorrei vedere u.u).
L’autrice non intende commettere
alcuna violazione del
copyright.
A
chi crede
in me, mi ama così come sono e mi sta vicino nonostante le
difficoltà, senza
voltarmi mai le spalle.
A chi sperimenta e
ama il rischio al
punto da leggere il frutto delle mie fantasie notturne e dei miei
deliri “all-day-long”.
A Stephenie Meyer, senza la quale tutto questo non sarebbe stato
possibile.
A tutte quelle persone che mi ispirano ogni giorno, per un motivo o per
un
altro.
E, perché no, anche a questi adorabili esserini presi in
prestito e usciti
dalla mia mente traviata, che devono sopportare capricci, ripensamenti
e tutto
ciò che è possibile patire in quanto
personaggi letterari.
Ma
soprattutto, a tutte quelle persone meravigliosamente pazze, che vedono
un
mondo al contrario. Non permettete a nessuno di fermarvi e infrangere i
vostri
sogni.
Con
infinito
amore,
K.W.
Capitolo
1: Spark of insanity
A Jeff Dunham, la mia
dose di elettroshock preferita
Leakesville Memorial
Asylum, Leakesville, Contea di Greene, Mississippi
– Ottobre 1920
Una ragazza in una stanza buia, sola,
seduta su un letto sporco,
arrugginito e scomodo. Non ricorda nemmeno da quanto tempo non si
sentiva così
triste.
Intorno a lei, ogni tipo di rumore: urla, passi, perfino bestemmie,
prontamente
interrotte ogni volta da colpi di frusta, percosse o punizioni di altro
tipo,
che atterriscono e lasciano doloranti gli ospiti di quella che sembra
un’assurda
reggia sopraffatta dal tempo e dal dolore degli strani individui che
ospita nei
suoi appartamenti sciatti. La struttura, circondata da una natura
lussureggiante benché in stato di abbandono, accoglie entro
le sue mura ormai
da anni grida, ordini, nefandezze di ogni genere - secondo alcuni
persino
fantasmi - al punto che nessuno dei cittadini osa avvicinarvisi. Gli
alberi,
gli arbusti spuntati qua e là, l’erba a tratti
più alta e a tratti quasi
inesistente, colma di fiori come un cielo trapunto di stelle,
ingentiliscono
non poco il suo aspetto altrimenti trascurato.
“Perché
sono finita qui?” pensa fra sé e
sé la giovane donna dall’aspetto di
folletto, rimirandosi il polso destro, sul quale spicca un numero
tatuato, lo
stesso che da ben due anni, con il suo inchiostro blu scuro, ormai
leggermente
sbiadito, porta sulla sua pelle di porcellana: 41627.
Si guarda intorno. La stanza anonima, con le pareti tinte di un verde
triste e
smorto e le piastrelle bianche rovinate e sudicie, odora di chiuso, di
stantio,
talmente tanto che quella piccola creatura si sente soffocare. Sembra
quasi una
fatina intrappolata in un barattolo: spaventata, indifesa, disperata.
Riesce a percepire i movimenti di ogni singolo essere lì
intorno, isolandoli
uno per uno dal frastuono di sottofondo. I suoi sensi sono acuiti dalle
pessime
condizioni in cui vive da chissà quanto tempo.
Si raggomitola sul letto, come per proteggersi da qualcosa. Qualcosa
che la
tormenta sin da piccola e che ora è diventata la sua
condanna.
La gente le chiamava nei modi più disparati: deliri,
immaginazioni, visioni,
assurdità, maledizioni, allucinazioni.
Premonizioni sarebbe stato il termine più corretto. Glielo
diceva anche la
mamma, la sua dolce, fantastica mamma. Quante volte l’aveva
confortata, mentre
piangeva disperata e offesa dal modo in cui adulti e coetanei la
apostrofavano…
«Non
importa ciò che dice la gente là
fuori. Hai un dono diverso dagli altri e questo può
spaventare o suscitare
invidia. Ma non temere, Mary Alice, non c’è nulla
di malvagio in te. Queste tue
doti ti porteranno lontano e ti renderanno grande.»
Diceva in tono rassicurante, mentre lei, piccola, innocente e senza
tutta
questa voglia di crescere, la guardava negli occhi con aria un
po’ spaventata e
al tempo stesso si lasciava cullare dalla sua voce melodiosa e
tranquilla.
«Diventerai
alta e sempre più bella,
anno dopo anno … ma anche quando questo accadrà,
rimarrai sempre la mia piccola
dolce Alice.» Aggiungeva, con un sorriso, stringendola a
sé e continuando a
passare le mani candide e profumate di fiori tra i lunghi boccoli neri
che
amava tanto, mentre la sua amata bambina si lasciava inebriare dal
profumo
della sua pelle e dal calore delle sue coccole, sentendosi protetta al
sicuro,
quasi avesse paura che tutto questo non fosse destinato a durare per
sempre. E
non aveva tutti i torti, visto quello che accadde qualche tempo
dopo…
«Resta sempre la piccola Alice, resta sempre
Alice… » sussurra, sgranando gli
occhi, in preda al panico, mentre dei fotogrammi confusi e delle urla
di dolore
mettono in allerta i suoi sensi e inibiscono la sua
lucidità. Ripete quelle
parole cento, mille volte, fino a perderne il conto, come per
autoconvincersi.
Si tocca i capelli e prova una strana meraviglia nel sentirli corti.
Dovrebbe
essersi abituata ormai, ma quello stato di incontrollabile agitazione
le
impedisce di ragionare in maniera lineare e rapida.
“E’ vero…
l’epidemia di tifo… due mesi
fa…”
Le erano
stati tagliati dal personale del manicomio (così tutti
chiamavano il posto in
cui si trovava adesso), che l’avevano trascinata a forza in
infermeria per
controllarla e, nel caso, metterla in quarantena. Si era ribellata
più che
poteva – la sua mamma non avrebbe mai tollerato un simile
scempio – ma era
stato tutto inutile. Sotto gli occhi impietosi del direttore, un paio
di
infermieri l’avevano legata alla lettiga con spesse cinghie
di cuoio, mentre un
terzo, armato di lunghe forbici, la privava della lunga, morbida chioma
di cui
andava tanto fiera.
Tutto ad
un tratto, si catapulta fuori da quel labirinto di ricordi e fa per un
attimo
ritorno alla realtà. Un continuo brivido le scuote mente e
corpo in contrasto
con la sensazione di torpore che esso lascia dietro di sé.
Ogni frazione di
secondo è una tortura, un’agonia continua,
rinnovata e Alice ne percepisce
tutto il peso.
Inaspettatamente viene investita da una nuova sensazione. Si sente come
trascinata in un vortice, come un mulinello la cui corrente,
inarrestabile,
attira con violenza verso di sé tutto ciò che
c’è intorno. Inizia a vedere
bianco intorno a sé, il fiato corto e il corpo madido di
sudore.
Il flusso dei ricordi, una forza che conosce fin troppo bene nella sua
forma
più distruttiva, prende possesso ancora una volta della sua
mente con
prepotenza, senza neanche chiederle il permesso,
lasciandole dentro solo paura e una gran
voglia di piangere.
Altre immagini passano davanti ai suoi occhi, dapprima sbiadite, poi
via via
più nitide, come se stesse riacquistando gradualmente la
vista. Nella sua testa
si agita un turbinio di voci: quella della mamma, quella di suo padre,
imperiosa e austera, quelle degli abitanti di Biloxi…
«Ecco la
visionaria! Attenti alla
spiritata!» gridano i bambini,
fuggendo lontano da lei.
«Strega! Al rogo
la strega! Brucia, figlia
del diavolo!» incalzano in coro gli adulti, quasi
fossero a messa, guardandola
con aria torva, alcuni brandendo torce e forconi come si faceva
soltanto molti
secoli prima di allora.
«E’
soltanto pazza.» Asserisce in
risposta suo padre, per placare la folla urlante.
I bambini,
crudeli, ora compongono canzoni con gli insulti che vengono loro in
mente,
accompagnandole con sguardi crudeli e allegri balletti.
«Al riparo, ora
è arrivata! E’ Mary Alice la
spiritata!»
Un urlo
di dolore esce prepotentemente dalla sua bocca,
propagandosi in un’eco straziante nella cella vuota e nel
lungo corridoio
freddo, spoglio e polveroso, coprendo i mugolii e gli altri rumori
prodotti
dagli abitanti delle celle vicine.
Si sforza di distogliere la mente da quelle orribili sensazioni, ma
ogni suo
tentativo è ormai vano. Non resta che arrendersi e
abbandonarsi alla corrente,
sperando di sopravvivere.
Speaker's corner
Angolo dello Sproloquio
My God,
che emozione! Il primo capitolo... sono così in ansia....
Non so ancora cosa ne pensate (a parte te, piccola Seele) e penso che
mi rosicchierò i gomiti finchè non
leggerò le vostre recensioni. Sarà già
tanto se ne avrò un paio credo, non ho scritto
un'introduzione molto accattivante. Ma la dedica dovevo assolutamente
metterla (e il disclaimer pure, altrimenti zia Steph mi sgozza nel
sonno xD). Che dire, fino a qui non succede ancora molto, è
il primo capitolo in fondo. Inutile dire che da questo momento in poi
inizia un lungo, lunghiiiiissimo flashback. Ma torneremo al 1920, non
temete, anche se credo che dopo questo salto temporale enorme ci
vorrà la DeLorean. xD
Io me la
rido, ma in realtà ho una fifa blu. Non so se chiedervi di
essere clementi con i frutti della mia mente deviata o se chiedervi di
non esserlo affatto. Perciò fate un po' come vi pare. xD A
parte gli scherzi, spero davvero che questa storia vi piaccia e
soprattutto prego Iddio di finirla bene e in fretta. Il mio proposito
era di postarla solo una volta conclusa, ma ho seguito il consiglio di
Seele (grazie mia cara :*) e così eccola qui, sul vostro
schermo insieme a questo Angolo dello Sproloquio (si, credo che lo
chiamerò così ormai).
Non
temete, i prossimi capitoli saranno ben più consistenti e
più in là ci saranno anche le foto dei personaggi
principali (ebbene si, le ho trovate). Per il momento non vi dico
altro: se questa storia vi piace, non vi resta che seguirla. :)
Grazie per aver letto questo capitolo
fino alla fine e per aver sopportato anche i miei deliri.
That's all, folks! Al prossimo
capitolo!
K.W.
PS: guardate i video di Jeff Dun-ham!
E' un maledetto genio!
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Capitolo 2 *** A family affair ***
Capitolo
2: A family affair
Biloxi,
Contea di Harrison, Mississippi
Lewis
Brandon, un uomo alto e robusto dagli occhi di ghiaccio, non era
esattamente il
tipo di uomo che colpisce per la sua bellezza. Ma era un gioielliere, e
quindi
un ottimo partito che le ragazze della città non esitavano a
contendersi,
spinte anche dalle rispettive famiglie. Aveva deciso di seguire sin
dalla prima
gioventù le orme del padre, riscuotendo un discreto
successo. Lavorando con
pazienza e imparando a trattare con il pubblico aveva sviluppato
ulteriormente
quelle doti che si portava dentro già
dall’infanzia: all’apparenza mite e inadatto
all’esercizio di qualsivoglia attività
commerciale, quello scricciolo dai
capelli biondi e sempre in ordine nascondeva sotto
quell’aspetto angelico un
animo calcolatore, deciso e intraprendente, sempre teso verso ambiziosi
obiettivi. Per farla breve, aveva quello che si suole definire lo
spirito del
mercante.
A costo di
apparire impudente, era solito intromettersi negli affari del padre,
inizialmente con suo grande disappunto. Nonostante la giovane
età, il piccolo
Lewis arrivò a guadagnarsi l’ammirazione e il
rispetto di suo padre e di
numerosi avventori della gioielleria, che spesso gli chiedevano
consiglio.
Quando trattava, che fosse al mercato per comprare frutta e verdura o
tra le
mura del negozio di famiglia, si sentiva un’altra persona, la
più felice del
mondo. Aveva come una scintilla negli occhi, lo notavano tutti. Quello
era
senza dubbio il lavoro per lui. Era capace di far concludere ottimi
affari ai
clienti e di garantire al tempo stesso ricchi profitti a suo padre, che
lo
ricompensava portandolo con sé nei suoi viaggi, facendogli
scoprire così
ulteriori segreti del mestiere.
Il tempo,
però, passava per tutti e Lewis Brandon Senior non
costituiva certo
un’eccezione. Le rughe sul suo volto erano sufficientemente
profonde, i capelli
erano ormai del tutto imbiancati e il signor Brandon iniziava a sentire
il peso
degli anni. Era evidentemente giunto il momento di lasciare
l’attività nelle
mani di suo figlio, ma la cosa non generava in lui alcun sentimento
d’ansia. Un
bel giorno si recò dal notaio per sistemare tutte le
pratiche necessarie e dopo
un paio d’ore tornò a casa soddisfatto e con mille
scartoffie per le mani. Le
consegnò tutto contento a suo figlio, annunciando in modo
trionfale la cessione
dell’attività, ma senza suscitare in lui una
reazione di sorpresa. In fondo se
lo aspettava, e riteneva che fosse la scelta più giusta,
naturale e proficua da
adottare: sarebbe stato un ottimo padrone, ne erano certi tutti in
famiglia,
persino sua sorella Nancy, che avrebbe tanto voluto passare le sue
giornate tra
pietre preziose e clienti con cui chiacchierare.
Ormai il
giovane Lewis era pronto per sistemarsi e muovere i suoi primi passi da
vero
uomo. Gli mancava soltanto una donna con cui stare e mandare avanti la
stirpe.
Suo padre
glielo ripeteva da molto tempo, ma Lewis non era attirato dalle
signorine di
Biloxi, terribilmente altezzose e arriviste – il male fiuta
il male, come si
dice –, e così era arrivato alla soglia dei
vent’anni senza una ragazza da
presentare alla famiglia. Perlomeno, tuttavia, non aveva commesso il
grave
errore di rendere pubbliche le sue frequentazioni, che non erano state
altro
che semplice passatempo, un piacevole intermezzo e nulla di
più. Il che era
tanto gradito a lui quanto più spiacevole per tutte quelle
ragazze che si
ritrovavano in breve tempo con il cuore spezzato, vedendo crollare come
niente
le loro aspirazioni.
Ma le cose
cambiarono presto e Lewis si accorse che per consolidare la sua
posizione
sociale aveva bisogno non più di semplici compagnie, ma di
una moglie, una
donna di casa che gli assicurasse un’immagine rispettabile
agli occhi dei suoi
concittadini.
Un paio di
mesi dopo, e precisamente il 20 marzo 1899, il caso volle che un
cliente di
vecchia data, il signor Eugene Bell, facesse visita al negozio, dando
una vera
e propria svolta alla sua vita.
I due si
salutarono cordialmente, accomodandosi alla bella scrivania in
ciliegio, l’uno
di fronte all’altro, sulle sedie della stessa foggia del
mobile. Il sole
filtrava dalle finestre del negozio, esaltando i riflessi rossastri di
quel
legno stupendo e dando l’impressione di trovarsi
all’interno di un grande
braciere. Effettivamente, era come se si stesse accendendo un fuoco
intorno a
loro: ci si preparava a trattare. Il gioco preferito di Lewis stava
avendo
finalmente inizio, ancora una volta, con un’unica differenza:
stavolta, per sua
fortuna, Lewis avrebbe ottenuto da quell’appuntamento ben
più di quanto si
aspettasse.
«Lewie!
Quanto tempo!» gli si rivolse con affetto
quell’uomo un po’ paffuto, che lo
conosceva da quando era ancora un bambino.
«Signor
Bell, qual buon vento! Ditemi, cosa posso fare per voi oggi?»
«Caro
Lewie, confesso di essere in seria difficoltà.»
disse quello, sospirando.
«Per il
prezzo, dite? Sapete che per voi sono disposto a scendere di
molto.» aveva
risposto con enfasi, ma mantenendo un’espressione neutrale,
imperscrutabile.
«Non si
tratta di questo, mio caro amico, ma di un problema che per noi uomini
è ben
più grave.»
Per un
attimo il giovane rimase spiazzato. Aveva sbagliato, e si sentiva come
un
cacciatore che spara un colpo a vuoto. L’unica cosa che
poteva fare era cercare
di porre rimedio alla situazione.
«Chiedo
scusa per questo grave malinteso, ma a questo punto credo di non aver
ancora
capito…»
Bell non
se la prese troppo per le affermazioni azzardate di quel ragazzo. In
fondo,
conosceva i Brandon da molto tempo, anche se non in maniera
così intima. Glissò
abilmente su quell’imbarazzante equivoco e pensò
bene di parlar chiaro e di
andare dritto al punto. Di certo Lewis l’avrebbe apprezzato.
«Lewis,
siamo uomini di mondo tutti e due e noto con piacere che siete sempre
circondato da donne, ma mai che ne abbiate portata una a casa, a quanto
so. E
sapete che vi dico? Avete fatto bene! Le donne vi faranno diventare
matto. Sono
davvero difficili da accontentare, specie quando sono come la mia
signora.»
rispose, gioviale, il signor Bell, le mani grassocce e sudate giunte.
«Quindi
dovete accontentare una donna e volete farle dono di uno dei miei
gioielli,
giusto?» rispose a sua volta il giovane, sfuggendo alle
allusioni dell’amico
come poté.
«Esattamente.
Voi si che mi capite! Vedete, mia figlia compie diciannove anni oggi.
Ho
passato molto tempo a cercarle un regalo degno di questo nome, qualcosa
di
diverso dal solito… chessò, un abito su misura,
un parasole nuovo… ma nulla può
eguagliare la bellezza delle vostre creazioni, così ricche
eppure così eleganti.»
«Troppo
buono, signor Bell.» rispose, lusingato.
«E voi
troppo modesto. Siete un buon uomo, l’ho sempre detto.
Sareste perfetto per la
mia Emily. Vi ricordate di lei? »
«Non
molto, ad essere sincero. L’ho vista poche volte.»
Emily non
aveva mai attirato molto la sua attenzione a quel tempo. In
realtà, nessuno dei
suoi coetanei, femmina o maschio che fosse, aveva mai suscitato il suo
interesse. Piuttosto che giocare, infatti, preferiva rimanere in
negozio con il
padre. La cosa alla lunga aveva finito per annoiare la piccola Emily,
costringendola a non fare più visita alla gioielleria dei
Brandon. L’unica cosa
che Lewis ricordava di lei erano i suoi capelli neri e lucidi, molto
più folti
di quei pochi, biondi e fini, che aveva lui. Ancora più
indimenticabile era il
broncio che metteva su ogniqualvolta si rifiutava di uscire con lei a
giocare.
Il solo pensiero lo faceva morire dal ridere a distanza di anni.
La voce
del signor Bell lo riscosse dalle sue riflessioni.
«Mi
sentite Lewis?»
«M-ma
certo, signor Bell. Ero solo sovrappensiero.»
«Non c’è
alcun problema. Vi stavo solo chiedendo se ve la sentivate di
partecipare alla
festa che daremo stasera per Emily, sempre che per voi non sia un
problema. Mi
rendo conto di non avervi dato alcun preavviso e me ne scuso.»
«Siete
sicuro che sia il caso?»
«Assolutamente.
E poi come potrei non ripagarvi delle splendide figure che mi avete
fatto fare
in tutti questi anni? Invitarvi, come feci al tempo con i vostri
genitori, mi
sembra il minimo.»
«Non so
come ringraziarvi, signor Bell. A questo punto direi di procedere senza
ulteriori indugi nella scelta del regalo per vostra figlia.»
E così
Lewis passò tutto il pomeriggio a tirar fuori parure,
ciondoli, anelli e altre
scintillanti meraviglie, sottoponendole al giudizio del suo cliente.
Alla fine
si trovarono a dover scegliere tra una catenina d’oro con un
prezioso pendente
a forma di cuore finemente lavorato, con chissà quanti
zirconi incastonati a
formare il bordo e uno smeraldo al centro, e un filo di perle
rarissime,
semplice, elegante ma estremamente costoso e raffinato.
Decisero
di donare entrambe le collane alla festeggiata. Naturalmente, il signor
Bell
volle acquistare il filo di perle, un po’ per
l’entità del regalo che aveva in
mente per sua figlia e un po’ per non scomodare
eccessivamente il giovane
Brandon, che non aveva certo intenzione di presentarsi a mani vuote.
«Vi farò
uno sconto speciale su quella. » Concluse, mentre Bell era
tutto intento a
rimirare il pregevole manufatto ancora da impacchettare.
«Grazie
infinite. Sapete, Emily non ama le cose costose. È
un’ottima figlia, una
ragazza semplice, buona e di poche pretese. Si commuoverebbe anche se
le donassi
un fiore di campo. Ma per una volta ho voglia di esagerare. »
«È proprio
una ragazza da sposare, insomma. » Azzardò il
gioielliere, che nel frattempo
aveva ben pensato di cogliere al volo l’ennesima occasione
che il Cielo gli
offriva di metter su famiglia.
«Direi di
si. È decisamente la miglior donna che si possa trovare in
città. È anche molto
brava con le faccende di casa e canta divinamente, non farebbe altro
tutto il
giorno se potesse. È anche nel coro della chiesa. Non vi
è mai capitato di
sentirla?»
«Mi
rincresce, ma non sono mai potuto rimanere in città il fine
settimana. C’era
sempre qualcosa da fare: fiere, mostre, scambi… mio padre
era instancabile e
non pensava che al lavoro, e io non sono molto diverso da lui a quanto
sembra.
Per questo non riuscivo a recarmi così spesso in chiesa, se
non fuori città.»
«Ma siete
un bravo cristiano: generoso, onesto, devoto. Si capisce subito e Dio
vi ha
reso merito con il successo che avete avuto. Ora perdonate la fretta,
ma penso
sia il caso che vada a controllare i preparativi. Posso contare sulla
vostra
presenza stasera?»
«Senz’altro.
Ed ecco il vostro pacchetto.» rispose Lewis, gentile,
porgendogli la confezione
che aveva preparato con cura.
«Quanto vi
devo? »
«Ne
discuteremo più avanti. Questo è un esperimento.
»
L’uomo lo
guardò, allibito. «Cosa? Che tipo di
esperimento?»
«L’ho realizzata
io stesso. Non l’ho detto a nessuno ancora, ma ho intenzione
di buttarmi anche
sul commercio delle perle e nell’oreficeria. Col tempo ho
acquistato gli
strumenti necessari e finalmente ho trovato del materiale di pregio su
cui
lavorare. Questo è il primo prodotto della mia nuova
collezione, un’esclusiva
praticamente.» Rispose, soddisfatto.
«Siete
davvero un portento, lasciatevelo dire. È un oggetto di
pregevole fattura, lo
capirebbe anche un profano. Non vedo l’ora di presentarvi
alla mia Emily. Sono
certo che andrete molto d’accordo e vi ringrazierà
tantissimo per questi
splendidi doni.»
Detto
questo, si salutarono. Si sarebbero visti quella sera stessa, tra la
musica, il
buon cibo della sua casa e l’allegria di tutti i parenti e
gli amici che erano
stati invitati con largo anticipo dai Bell, che per una volta volevano
festeggiare in grande stile la loro unica figlia.
Angolo dello
Sproloquio
Ecco qui anche questo secondo capitolo. L'ho postato così
presto per darvi qualcosa in più da leggere e per portarvi
subito con me indietro nel tempo.
Da qui iniziamo a scavare davvero nel passato, parlando di Lewis
Brandon jr, il papà di Alice. Quel furbastro adesso si vanta
delle sue creazioni come un bimbo dei suoi giocattoli, e per giunta ha
rimediato un invito a una festa. Quando si dice la fortuna... Che ne
pensate di lui? E della storia? Cosa succederà secondo voi?
Su, su lasciatemi un commentino *-*
Al prossimo capitolo!
KW
|
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Capitolo 3 *** A fake Equilibrium (I) ***
hf
Capitolo
3: A fake Equilibrium (I)
Emily era
diventata una bellissima giovane donna con capelli neri avvolti in
morbidi
ricci e gli occhi color cioccolato. Aveva lineamenti finissimi, che la
facevano
sembrare più piccola della sua età, si muoveva
con estrema grazia e cantava
divinamente. Sembrava una bambola di porcellana.
“Eugene non
mentiva. È davvero bella come
dice.”
Pensò fra sé Lewis, prima di avvicinarsi a lei e
di presentarsi.
Non fu
meccanico e freddo come negli altri momenti della sua vita. Anzi, la
purezza di
quella fanciulla era disarmante e quasi subdolamente iniziò
a instillare in lui
dubbi, incertezze e nervosismo. Un rossore appena impercettibile gli
velò le
guance e entro breve iniziò anche a sudare. Si
asciugò la fronte con il suo
fazzoletto da taschino e si avvicinò, titubante.
La ragazza
si voltò e incrociò il suo sguardo poco prima che
le arrivasse di fronte. Lo
riconobbe subito e rimase estremamente sorpresa: non si aspettava di
rivederlo
dopo tanti anni. Parlò amabilmente con lui, scherzando sul
tempo in cui erano
ancora dei bambini e da allora si incontrarono mille altre volte,
finché non
ufficializzarono il loro fidanzamento: la notizia finì su
tutti i giornali
della città. Emily era follemente innamorata e per la prima
volta nella sua
vita persino Lewis sembrò mostrare gli stessi sentimenti. Il
ghiaccio che
avvolgeva il suo cuore si scioglieva col passare dei giorni, dei mesi,
degli
anni.
I due si sposarono dopo pochi mesi, con grande gioia e sorpresa di
entrambe le
famiglie e nel 1901 furono benedetti dalla nascita di una bella
bambina, Mary
Alice, uguale in tutto e per tutto a sua madre. Nel 1910, poi, il
destino volle
che Emily desse alla luce una seconda figlia, la piccola Cynthia.
Questi lieti
eventi ebbero notevole risonanza e diedero ulteriore lustro e fama al
buon nome
dei Brandon e a quello dei Bell.
I primi
godevano di una situazione economica della famiglia a dir poco ottima.
Non si poté
dire sempre lo stesso per i Bell, che dopo qualche anno si trovarono in
ristrettezze in seguito a una serie di cattivi investimenti. Lewis,
tuttavia,
sembrò appena preoccupato per le cattive condizioni in cui
versavano i suoi
suoceri, tanto da tranquillizzare la giovane moglie, ben più
angosciata di lui
da ciò che stava accadendo. Promise, infatti, che avrebbe
aiutato la famiglia
di lei lavorando più duramente e facendo qualche sacrificio.
Così
mentre Emily rimaneva a casa a svolgere i suoi compiti di moglie e di
madre,
Lewis era sempre in giro per lavoro, tutto preso da fiere, fornitori e
dal
commercio delle perle, che gli stava fruttando ancora più
denaro della sola
attività di famiglia. Per molto tempo, insomma, tutto
sembrò andare a gonfie
vele: la loro vita era assai frenetica, ma concedeva loro anche momenti
piacevoli, come le feste in famiglia, qualche evento mondano e l’andare di
tanto in tanto ad assistere alla
messa domenicale insieme.
Emily era
felice di aver trovato un marito che l’amava e la rispettava.
Lewis si era
rivelato decisamente affascinante, più maturo del ragazzino
dodicenne che aveva
lasciato tra le mura del negozio del padre. Solo un lato del suo
carattere era
rimasto lo stesso, benché mitigato dall’amore
reciproco e da anni di vita
coniugale: la sua freddezza e la conseguente difficoltà ad
esternare le sue
emozioni. Scorgeva nei suoi occhi un lampo di vitalità
diverso dal solito solo
quando parlava di lavoro e della vita agiata che sognava di condurre da
anni e
che ora riusciva a condurre a fatica, per via dell’enorme
debito dei suoceri
ancora da colmare. Tuttavia, per quanto la cosa la facesse soffrire sul
momento, si consolava dicendosi che in fondo il matrimonio era fatto
anche di
sopportazione, che il Signore le aveva donato un uomo buono e onesto e
che in
fondo amare il proprio lavoro ed essere tanto operosi per il benessere
della
famiglia non poteva essere un male.
Insomma,
non poteva proprio lamentarsi ed era giusto ricompensare un
così bravo marito
con la fedeltà e la dedizione. Fu così che quando
il signor Brandon, di ritorno
dall’ennesimo viaggio, le chiese se desiderava una domestica,
lei rifiutò
gentilmente la sua offerta.
“Mio amato
Lewis, fate così tanto per me… Abbiamo una
famiglia, voglio portarla avanti io
e non lasciare a nessun altro i miei compiti.”
Questa affermazione le procurò ulteriore stima da parte del
marito. O meglio,
questo è ciò che credeva Emily
finché una mattina di novembre, riordinando le cose del
marito, trovò una
lettera, o meglio, un insieme di lettere. Non ricordava di avergliene
scritte
così tante da quando erano fidanzati sino agli ultimi viaggi
di lavoro, anche
perché era difficile che si fermasse per molto tempo nello
stesso posto.
Lesse l’indirizzo del destinatario e notò che era
il loro attuale indirizzo.
Come era possibile? Chi mai avrebbe inviato lettere a suo marito mentre
era in
casa? Qualche amico di vecchia data forse? Un lontano parente? O forse
si
trattava di comunicazioni importanti?
Per una volta Emily peccò di curiosità e cedette
alla tentazione di scoprire il
contenuto di quelle missive scritte su carta pregiata e profumate di
una fragranza
a lei estranea. Indugiò meglio su quel particolare odore,
lasciandosi inebriare
da esso, e capì che il mittente doveva essere
necessariamente una donna. Ciò
non fece che alimentare in lei il sospetto e la sete quasi masochista
di
conoscenza. Aprì la prima busta e lesse il contenuto. Una
lettera tirò l’altra,
quasi come le ciliegie, ma il gusto che quelle parole le lasciarono in
bocca fu
tutt’altro che dolce e liquoroso.
Approfittò del fatto che le piccole fossero in
un’altra stanza con la loro istitutrice,
Mrs. Willoughby, per versare tutte le lacrime che aveva
e lasciare il dispiacere in un angolo del suo
cuore. Non ne avrebbe fatto parola neanche a Lewis. Non doveva venire a
conoscenza di quella terribile scoperta.
Angolo dello
Sproloquio
E anche questo terzo capitolo è andato. Lewis come vedete
è baciato dalla fortuna, ma pare che non se la sia meritata
poi
tanto, non credete?
Non vi anticipo nulla perchè il prossimo capitolo
sarà
decisamente più intenso. L'unico piccolo spoiler che posso
fare
riguarda il titolo. Come avrete notato c'è quel piccolo I
tra
parentesi. Ebbene, questo capitolo è il primo di un
trittico. Ho
deciso di chiamare così questi capitoli perchè
fondamentalmente ruotano tutti intorno a questa idea di famiglia che si
sgretola o che, comunque, ha qualcosa che non va. Le mie
abilità
(ma dove? XD) di photoshoppaggio hanno donato alla nostra Alice una
splendida chioma boccolosa e, nei capitoli precedenti, un nuovo look.
La verità è che Alice e Emily sono identiche. Le
ho
immaginate così un po' per le arcane vie percorse dalla mia
mente bacata e un po' per esigenze di trama. Questa somiglianza
diventerà abbastanza importante in futuro, vedrete. (nella
targhetta del secondo capitolo chiaramente la ragazza è solo
Emily, ma nei successivi c'è una forte ambiguità
tra le
due donnine in questione)
Ora vi lascio con due piccole curiosità...
1. I suddetti 3 capitoli li ho scritti con un aiuto molto speciale:
Starlight dei Muse. Le sue note hanno stimolato moltissimo la mia
produzione, non so spiegare bene il motivo. Forse perchè ero
semplicemente rilassata, in pace. Forse è stata la magia di
zia
Stephenie, chi può dirlo? Del resto anche lei li ascolta
scrivendo. Forse è proprio questo il suo segreto, la Fonte
dell'Eterna Scrittura! E senza eseguire alcun Rituale Profano (gran
bello sbattimento
per i miei adorati POTC)! Segnalerò questa scoperta alle
autorità competenti, che ricorderanno in questo giorno come
il
giorno in cui Kristen Williams ha scoperto la Fonte!
2. Commento-Crossover a parte, un ringraziamento gigante e che non
verrà mai letto va a CSI Las Vegas, da cui ho preso in
prestito
il cognome dell'istitutrice. Chi lo segue capirà al volo da
chi ho tratto ispirazione.
Prima di chiudere, una piccola domanda: cosa ne pensate delle
targhette? *-* Su, su, ditemi che sono curiosa!
Ah, dimenticavo! Grazie alle tre dolci donzelle che hanno commentato questa storia e quella
su Harry Potter (Amor31,RAB e Seele).
Bacioni!
KW
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Capitolo 4 *** A fake Equilibrium (II) ***
Capitolo
4: A fake Equilibrium (II)
Biloxi,
Casa Brandon, dicembre 1918
Alice,
come sua madre, avrebbe ricordato quel maledetto giorno per sempre.
Era
un mattino buio e freddo di dicembre. Avrebbe dovuto essere felice,
come tutti
i bambini della sua età, come la sua stessa sorellina: il
Natale era sempre più
vicino e presto avrebbero potuto pattinare sul ghiaccio insieme. Ogni
anno non
vedeva l’ora che arrivasse quel periodo.
Eppure una
sensazione di ansia e tormento le annebbiava la mente, al punto che
dovette
lasciare prima della sorella la stanza adibita a studio.
Mrs. Willoughby
quasi la fulminò con lo sguardo mentre si alzava dalla sedia.
“Miss
Alice cosa fate? “
“Perdonatemi,
Mrs. Willoughby, non mi sento molto bene quest’oggi. Possiamo
interrompere qui
la mia lezione, per favore?”
“E sia, signorina.” Rispose la donna mora e
nerboruta dopo un attimo di
silenzio. “Riguardatevi, mi raccomando. La prossima volta
dovremo lavorare un
po’ di più, d’accordo?”
“Come desiderate. Col vostro permesso ora andrei nella mia
camera.”
Dopo un breve saluto, Alice sollevò appena la gonna e si
avviò velocemente
verso la camera padronale. Aveva avuto delle visioni. Visioni orribili,
oscure. Stava sicuramente accadendo qualcosa. Da anni aveva capito di
avere
“una specie di potere” – così
lo definiva parlando fra sé e sé – e
sapeva che era bene
affidarvisi.
Aprì senza troppi riguardi la porta della stanza e
trovò la madre riversa sul
pavimento, priva di sensi. Intorno a lei, mille buste e lettere aperte.
Tra le
mani stringeva debolmente un fazzoletto, che Alice scoprì
umido di lacrime.
“Siamo forse
sommersi dai debiti?”
pensò fra
sé.
Titubante,
prese una delle lettere, tutte indirizzate a suo padre: se
c’era qualche
problema era decisa a scoprirlo e a risolverlo.
Lesse il
contenuto di quei carteggi e scoprì che era estremamente
confidenziale e che la
firma del mittente, che era possibile scoprire solo aprendole, era
sempre la stessa: Florence Baldridge all'inizio, poi soltanto Florence.
“Sarebbe
stato meglio morire di stenti che
vedere la famiglia sgretolarsi dalle fondamenta.” Disse,
dando voce ai suoi pensieri.
Guardò nuovamente sua madre e tentò di
risvegliarla. Finalmente, dopo molti
tentativi, aprì gli occhi.
“Alice…”
mormorò la donna, ancora sotto shock.
“Madre, so tutto.”
“Pazza incosciente! Se tuo padre vedesse questo disastro ci
ripudierebbe
immediatamente! Non avremmo dovuto… No, io
non avrei dovuto…” rispose, alzandosi
in piedi.
Alice
perse il controllo di fronte all’atteggiamento omertoso della
madre. “E avete
intenzione di continuare a soffrire e a farvi del male? E per
cosa?” gridò tra
le lacrime.
Mrs.
Brandon non ebbe il cuore di alzare le mani sulla figlia, né
di rimproverarla per quell'atteggiamento impertinente, un po' per
l'animo buono che aveva, un po' perché sapeva
perfettamente di essere in torto. Strinse a sé la ragazza,
scossa dai
singhiozzi.
“Lo so, è
una cosa orribile. Ma amo ancora tuo padre, Alice. Non posso cancellare
un
sentimento così forte e che dura da così tanti
anni. Forse non sono più una
buona moglie per lui, ma non posso certo finire in mezzo a una strada
per
simili inezie. Chiarirò questa situazione quanto prima e
torneremo ad essere
uniti. Ti prego, non farne parola con nessuno. Immagina cosa
succederebbe. So
che puoi farlo meglio di chiunque altro.”
Ad Alice
mancò il coraggio di replicare. Sua madre conosceva bene la
precisione e
l’intensità delle sue visioni. La ragazza sciolse
quell’abbraccio e la guardò
di sottecchi.
“Perdonatemi,
adesso mi ritiro nella mia stanza. Non mi sento molto bene.”
Sentenziò, fredda.
“Alice,
aspetta…”
“Non capisco come possiate sopportarlo.”
Borbottò, dandole le spalle.
“Lo faccio per noi. Non avremmo un futuro.”
Alice non rispose. Lasciò semplicemente la stanza,
piangendo. Continuò a farlo
anche in camera sua. Non uscì per la cena e non volle
nemmeno vedere l’amata
sorellina, Cynthia. Se l’avesse fatto, di certo non sarebbe
riuscita a tenere
per sé quell’orribile segreto. La piccola ci
rimase molto male, ma la madre la
consolò prontamente.
Il giorno
dopo il signor Brandon tornò dall’ennesimo,
stancante viaggio di lavoro. Trovò
tutta la famiglia ad accoglierlo, ma sentiva che qualcosa non andava.
Emily non
era più la stessa, sembrava quasi che sorridesse
sforzandosi, come se fingesse.
E Alice non lo abbracciò forte come al solito.
L’unica che pareva davvero
felice di vederlo era Cynthia, la cui vivacità pareva
offuscata dall’ombra
opprimente che sembrava essere scesa nei cuori delle altre donne di
casa.
Evitò di fare domande: era certo che non ne sarebbe mai
venuto a conoscenza
della ragione di quei comportamenti, né era così
interessato a scoprirla, anche perché avrebbe ricevuto in
risposta un semplice
“niente” o una cortese, traballante bugia.
Angolo dello
Sproloquio
Come
potete vedere, questo quarto capitolo è decisamente
più breve dei precedenti. Si legge molto più
rapidamente, perchè è tutto azione e i dialoghi
sono molto più veloci e concitati.
Posso già annunciarvi che il prossimo non sarà
affatto così.
E ora, una piccola curiosità su questa storia.
Per scriverla ho avuto bisogno di molte informazioni. Non ho insistito
troppo sul contesto storico, non mi pareva il caso, ma l'ho ripassato,
per cercare di immedesimarmi meglio nei personaggi. Poi ho guardato
molte, moltissime foto per ispirarmi alla moda dell'epoca e per trovare
immagini adatte per le targhette. Volevo farvi incontrare i personaggi,
farveli conoscere. Volevo che io e voi li vedessimo allo stesso modo,
per affrontare insieme questo assurdo viaggio nel tempo. Inoltre, ho
dato un'occhiata anche a dei siti su Biloxi. Il suo simbolo
è il faro e per comodità ho piazzato proprio
lì i Brandon. Del resto, non potevo non mandarli in un posto
così carino.
Il faro è stato il punto fermo da cui sono partita, poi mi
sono permessa di romanzare un po' la struttura del quartiere dove
vivevano i Brandon.
Inoltre, facendo il calcolo delle 2 Contee (il manicomio in cui ci
trovavamo insieme a Alice era posto esattamente a questa distanza), mi
sono subito imbattuta nella Contea di Greene. Per chi non lo sapesse,
nei film è Ashley Greene che interpreta Alice. Buffa
coincidenza, non trovate?
L'ho preso come un segno del destino e così ho pensato di
andare avanti, perchè evidentemente ho qualcosa da dire e
forse è giusto che io scriva di questo qualcosa.
Mi piacerebbe tanto sapere cosa ne pensate, capire che effetto vi fa
tutto questo, che impressioni avete, ma non vedo commenti oltre a
quelli di Seele e il numero delle visite cala con l'avanzare dei
capitoli. Inizio a pensare che forse dovrei interrompere questo
progetto, perchè evidentemente non piace così
tanto. Sono molto combattuta, devo ammetterlo, anche perchè
vedo tutto nero ultimamente.
Evito di annoiarvi ulteriormente e ringrazio tutti coloro che sono
arrivati fin qui.
Vi posto qui di seguito anche il link della mia storia sul fandom di
Harry Potter: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=1091288&i=1
Se vi va, date pure un'occhiata, ma leggete attentamente
l'introduzione. Non voglio spoilerarvi nulla, non me lo perdonerei mai.
Un bacione<3
KW
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Capitolo 5 *** A fake Equilibrium (III) ***
cap 5
Capitolo
5: A fake Equilibrium (III)
A sette splendide piccole
donne. Ad Amor31, Clio_96, fratrilli, moerar,
RAB 95, roxanne_789 e Seele, per aver apprezzato tanto le mie storie.
Sono lieta di annunciarvi che questo capitolo ha partecipato al concorso "C'era
una volta" di Mary Whitlock... e ha vinto il primo premio!!! :D
Emily si
divertiva sempre a raccontare alle figlie aneddoti sulla famiglia. Dopo
quel
triste giorno, però, smise di farlo. Non c’era
più molto da dire. Nel suo cuore
c’era solo desolazione.
Presto
anche il marito si accorse del suo distacco nell’esporre quei
fatti che prima
la divertivano come pochi altri passatempi al mondo.
Dopo
qualche settimana passata in questo modo, dopo molti altri viaggi, il
signor
Brandon si prese una domenica di riposo.
Febbraio
era ormai finito e fuori erano rimasti alcuni residui di neve. Era
stato un
inverno tra i più freddi degli ultimi dieci anni e ancora se
ne sentivano gli
strascichi. La famiglia era riunita intorno al focolare, che diffondeva
nella
sala lettura un piacevole tepore e una luce rossastra, che da un lato
era in
accordo con le ricche tende cremisi, mentre dall’altro
strideva in maniera
impressionante col suolo imbiancato e la temperatura pungente di quel
periodo.
Cynthia
sedeva sulle ginocchia del padre, che
le stava leggendo un libro. Mrs. Brandon e
Alice ricamavano fazzoletti, federe e coperte per il suo
corredo.
Prima o poi avrebbe dovuto trovare marito, diceva sempre suo padre.
In verità c’era lì in città
un ragazzo che sembrava interessato a lei. Era
arrivato da poco a Biloxi e non si sapeva molto di lui. Era molto
diverso da
tutti gli altri, pallido come uno spettro e con lunghi capelli castano
chiaro.
Alice non provava alcunché per lui, a parte un forte senso
di angoscia
ogniqualvolta usciva di casa. Lo trovava sempre da qualche parte,
ovunque ella
andasse, con la schiena contro il muro e le braccia conserte, intento a
fissarla, seguendone i movimenti. Di tanto in tanto chiudeva gli occhi
e
sembrava sospirare al suo passaggio. Arrossì al solo
pensiero: non sapeva
proprio come comportarsi, né aveva il coraggio di parlargli
direttamente al
fine di rendere esplicito il suo rifiuto per le attenzioni di lui.
Venne
riportata alla realtà dalla voce di Cynthia.
“Alice! Alice! Hai sentito?”
“No, piccola, cosa hai detto?”
“Non io! Papà! Papà mi leggeva una
favola! C’è un coniglio buffissimo!”
“E poi?” intervenne Mr. Brandon.
“E poi hai detto alla mamma e a Alice se si ricordavano di
quella giornata nel
bosco, vicino alla casa in campagna dei nonni, ma nessuno ha
risposto.”
“Emily, non ricordi quando Alice era sparita? Era tornata con
un coniglio
grassoccio e peloso tra le braccia. Aveva saltellato goffamente nella
sua
direzione e lei l’aveva preso con sé senza
problemi. Lo portava a fatica e per
poco non caddero entrambi. E io allora le dissi che dalla volta
seguente
l’avrei portata sempre con me a caccia. Allora, ti
ricordi?” incalzò ancora
Lewis, con una risatina di circostanza.
“Si che mi ricordo.” Rispose lei, accennando
stentatamente un sorriso.
“Ti divertiva tanto raccontare quella storia. Ridevi per ore
pensandoci. Non ti
diverte più?”
“Perdonami, ma sono estremamente concentrata e non bado molto
a quel che sento
intorno. E poi, l’ho raccontata così tante volte
questa storia che ormai le
mura di questa casa potrebbero narrarla al mio posto.”
Mr. Brandon non gradì poi molto la risposta di sua moglie.
Si, c’era davvero
qualcosa che non andava. Non aveva alternative: doveva prendere di
petto la
situazione. Fece scendere dalle sue ginocchia Cynthia e si
alzò in piedi.
“Emily, possiamo parlare di là un
momento?”
Il momento che la donna temeva di più era giunto. Quella
sarebbe stata la resa
dei conti. Tremante, non poté che acconsentire e alzarsi a
sua volta.
“Bambine,
rimanete qui, mi raccomando. Torniamo subito.” Disse,
guardando le amate
figlie.
Alice
sgranò gli occhi, terrorizzata. Cercò di
concentrarsi su entrambi, ma non
riuscì a percepire alcunché. Ignorava totalmente
cosa sarebbe accaduto di lì a
poco, qualche stanza più in là. Le decisioni di
entrambi le erano ancora del
tutto oscure. Vi erano alcune possibilità: nel peggiore dei
casi, poteva aver
perso i suoi poteri oppure tardavano a manifestarsi (del resto non
sapeva
ancora dominarli perfettamente). Oppure ancora, le decisioni di
entrambi non
erano ancora sufficientemente chiare e dunque il futuro si sarebbe reso
ancora
più imperscrutabile.
Non ebbe
modo di concentrarsi ulteriormente su quanto stava accadendo nella
stanza
adiacente a quella in cui si trovava. Cynthia aveva voglia di giocare.
Alice
partecipò, ma non così attivamente come avrebbe
dovuto: la sua mente era
altrove. Il suo cuore era lì con sua madre e temeva per la
sorte dell’intera
famiglia.
Vide tornare solo suo padre, rosso in volto
e ancora tremante. Eppure non aveva udito alcun
rumore poco prima:
doveva aver portato la mamma in una stanza più lontana della
loro camera da
letto. Guardò quello strano essere che non sembrava nemmeno
più lo stesso che
l’aveva cresciuta. Ora sedeva sulla poltrona, col respiro
affannoso e un
tremore nelle membra che non gli era proprio.
“E la mamma?” chiese Cynthia, ansiosa.
“Arriva
subito. Vero, padre?” disse Alice, anticipandolo nel
rispondere alla piccola, con
fare velatamente minaccioso, rimanendo in piedi al centro della stanza
con fare
spavaldo.
“S-si.”
Mormorò Brandon, ancora provato dalla rabbia. Si
sentì come intimorito da
quell’atteggiamento. Alice lo osservò con
attenzione. Improvvisamente, la testa
iniziò a girarle e si sentì come se un treno la
stesse investendo in pieno.
Troppe informazioni, troppo dolore per essere sopportato dalla sua
testa e dal
suo cuore. Si
sentì improvvisamente
mancare e sui suoi occhi calò il buio.
Suo padre capì immediatamente cosa stava accadendo: era
stato scoperto, spiato
nelle sue più intime e losche intenzioni.
Sapeva
benissimo che quei poteri che fino ad allora non le aveva permesso di
esercitare, adesso erano così efficaci da risultare scomodi
e pericolosi. Come
sospettava, quella ragazzina disobbediente non demordeva
benché lui la
scoraggiasse, negando o sminuendo le sue capacità.
Emily
entrò nella stanza e fu presa da sgomento nel vedere sua
figlia priva di sensi
sul pavimento.
“Portala
nella sua stanza, immediatamente.” Ordinò suo
marito con tono autoritario.
Adesso iniziava davvero a disprezzarlo. Ormai non si premurava neanche
più di
trattarla con un minimo di rispetto. Di fronte a tanta
crudeltà verso di lei e
verso la loro primogenita, Emily iniziò a pensare al
passato, rimpiangendo i
bei tempi andati, quegli anni felici in cui nessun altro aveva mai
osato
interferire e in cui lui la trattava come una dea o un oggetto di rara
bellezza.
Ma non
c’era tempo per le lacrime: ora Alice, la sua bambina, aveva
bisogno di lei. La
sollevò da terra e la tenne stretta a sé il
più possibile, trascinandola fino
alla sua stanza da letto, un po’ troppo distante dalla sala
lettura.
L’adagiò
sul letto con delicatezza e l’aiutò a riprendersi
con dei sali e dell’aceto.
Poco dopo la ragazza riprese conoscenza.
“Lasciaci
soli.” Ordinò Brandon alla moglie, che
obbedì senza discutere, senza nemmeno
guardarlo in faccia.
Ritto in
piedi davanti al capezzale della figlia, Lewis conservava ancora la sua
aria
impettita e fiera, pur rivelando una certa stizza nel suo sguardo.
“Dimmi
cosa hai visto.”
“Sapete benissimo ciò che avete fatto.
Perché dovrei ricordarvelo io?”
“Piccola insolente! Questa è
l’educazione che ti è stata impartita! Quella
sgualdrina di tua madre ti ha addestrato proprio bene vedo.”
“Sgualdrina,
semmai, sarà colei che vi ha reso quello che siete ora, un
avanzo d’uomo senza
orgoglio né dignità, mosso solo dai suoi
più bassi istinti e dal denaro. È
grazie a quest’ultimo che vi ha sfruttato, promettendovi un
erede maschio
che vi facesse da
garzone per poi
lasciargli in eredità la gioielleria di famiglia. Del resto
siete sempre stato
un mercante. Quella Florence dell’Illinois vi ha fatto stare
tra gli
intellettuali, iniziandovi ai piaceri della vita, bramando per
sé e per voi il
lusso più sfrenato. Non c’è che dire,
ve la siete scelta proprio bene.”
“Non osare
mai più rivolgerti a me in questo modo,
ragazzina!” ruggì l’uomo, indispettito
dall’irriverenza con la quale la figlia sciorinava quel mare
di verità e di
misfatti. Fece per avventarsi su di lei, ma la giovane, leggera come
una
libellula, balzò dal letto e sfuggì alle percosse
del padre.
“Vieni qui
subito. Meriti una lezione.”
“Scordatevi di picchiarmi come avete fatto con la mamma poco
fa. Guardatevi,
siete una carcassa ormai: quella donna vi sta consumando. Giorno dopo
giorno
spendete soldi su soldi, usando sempre la scusa degli interessi sul
debito dei
nonni. Mentite alla famiglia, la vostra famiglia, negando ad essa il
benessere
che merita; viaggiate ovunque vi salti in mente, scialacquando quanto
avete
risparmiato. Poi tornate qui e lavorate come un disperato, poi altre fiere… Non meritate una donna
come la
mamma e lo sapete.”
Fu allora
che Lewis perse totalmente le staffe. Si sentì come messo a
nudo e iniziò ad
urlare come un ossesso, il viso paonazzo.
“Tu starai
chiusa qui in punizione senza mangiare per almeno tre giorni! E guai a
chi ti
porterà anche solo una briciola! Deciderò io
quando sarà il caso di farti
uscire. Sarà meglio che tu mi chieda scusa per accelerare le
cose.”
Alice rimase in silenzio e lo guardò in cagnesco. Per tutta
risposta, Lewis
uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Dopo un
tempo incalcolabile, Alice sentì la porta aprirsi. Con passo
leggero, sua madre
fece il suo ingresso nella stanza, tenendo per mano la piccola Cynthia.
La
ragazza accennò un sorriso.
“Per
fortuna tuo padre si è addormentato.” Disse Emily
sottovoce, quasi avesse paura
che qualcuno sentisse.
“Papà è cattivo, vero mamma?”
aggiunse Cynthia con aria innocente.
La donna
esitò un istante, poi diede la sua risposta. “No,
amore, è solo stanco.”
“Perché ti fa male e maltratta Alice se
è stanco? Non dovrebbe dormire?”
replicò la piccolina. Incredibile quanto i bambini siano in
grado di rendere
semplici anche le cose più assurde e complicate.
“Lavora troppo, amore. Lo capirai quando sarai più
grande.” Rispose a sua volta
la giovane madre, sforzandosi di sorridere.
Alice si
rabbuiò. “Non dovrebbe
dire questo a
Cindy.” Pensò fra sé.
“Ti voglio
bene, Alice.” Disse la sorellina, abbracciandola.
“Anch’io te ne voglio Cindy. Tanto.”
Alice la
strinse più forte e fece fatica a trattenere le lacrime.
Quella situazione era
assurda: il male si era insinuato in quella casa, distruggendo tutto
ciò che di
bello vi era all’interno.
“Ora vado
a letto, Alice. È tardi. Mamma, mi accompagni?”
“Si, piccola mia, andiamo subito. Aspettami lì
sulla porta.” Rispose Emily
dolcemente.
“Alice,
hai parlato ancora delle tue visioni a tuo padre, vero?”
“Che altro dovevo fare? Vi ha picchiata, l’ho
visto!”
“Non devi
farti prendere dalla rabbia in questo modo. Controllati, tesoro, o ti
farà
digiunare ancora per molto tempo.”
“Meglio morire di fame e con dignità piuttosto che
accettare passivamente che
la famiglia venga distrutta per colpa di una biondina di facili
costumi.”
Emily assunse un’espressione di tacito dolore, sentendosi
colpevole per non
aver protetto a sufficienza il suo nido da quell’intrusione.
Aveva fallito come
madre, come donna e come moglie.
Alice si accorse dell’involontario riferimento al
comportamento di sua madre e
si scusò prontamente.
“Sapete benissimo che non ce l’ho con voi. State
seguendo l’istinto e forse è
questa l’unica cosa giusta da fare. Quelle che stanno a casa
come noi non
possono certo combattere l’autorità di un uomo,
specie se intellettuale. Quelli
fanno quel che vogliono.”
Emily sembrò riprendersi e strinse forte a sé il
suo piccolo angelo.
“Per
fortuna ho voi, madre mia, e Cynthia, e questo mi basta.”
Emily la
guardò, dolce, e le sorrise. Nei suoi occhi c’era
il calore del profondo amore che
nutriva per lei, ma anche tanto, tanto dolore.
“Qualunque cosa accada, figlia mia, io per voi ci
sarò sempre.”
Alice sgranò gli occhi: nella sua mente echeggiavano le
parole appena
pronunciate dalla madre, ma i suoi pensieri si erano spinti ben
più in là. Una
luce bianca la investì e improvvisamente venne catapultata
nel prossimo futuro.
Ormai dopo tanti anni si era abituata alla sensazione, ma non poteva
certo nascondere
la sorpresa e lo sgomento che le suscitava l’arrivo
così improvviso di quelle
visioni.
Un alone
nero avvolgeva tutto e tutti: era un presagio di morte.
Angolo dello
Sproloquio
E
anche il quinto
capitolo è qui, tutto per voi. E' ancora più
lungo del precedente (mi
è uscito così stavolta). Avrete parecchio da
leggere,
almeno. :)
E' in questo preciso momento, credo, che i personaggi iniziano ad
uscire veramente fuori. Finora mi ero dedicata solo a descrivere i
fatti così com'erano, pur parlando dei sentimenti di
ciascuno di loro; adesso, invece, si passa all'azione, alla svolta vera
e propria. Da adesso tutto prenderà una piega molto diversa.
Lewis sta uscendo allo scoperto e
Alice lo punzecchia abilmente (cosa che penso darà a tutte
voi
una gran soddisfazione). Emily non è in grado di
contrastarlo,
né di farsi vedere forte. Sembra quasi che non nutra alcun
rispetto per se stessa, vero? E' piuttosto deprimente, ma purtroppo
deve tacere per il bene di tutti.
Alice, invece, è
bella combattiva e prova grande disgusto, come penso farebbe qualunque
figlia/figlio nella sua situazione. Del resto Lewis le ha proprio
tutte: è calcolatore - si è capito dall'inizio -,
non è proprio bellissimo e per di più distrugge
la sua stupenda famiglia per dei futili capricci (che si scopriranno in
seguito ;D). Per di più ha una fortuna sfacciata, tipo
Gastone. Non vi dà l'urto di nervi? A me si.
Però, devo ammetterlo, provo un po' di pena per lui. Del
resto ho deciso io di renderlo così cattivo e mi sento un
po' in colpa. Pazienza... u.u
Cynthia non si fa notare molto, lo so, ma è estremamente
dolce. E' quasi un soprammobile, tipo quei cherubini con le guance
rosee e paffute che ti guardano dagli scaffali con i loro occhioni
lucidi e hanno la sola funzione di essere carini, coccolosi e
ornamentali, tutti da amare. *-* Ecco, è così che
immagino questa piccola bambolina del primo '900. Non la spupazzereste
anche voi? *-* Sapete, è un personaggio minore - non potevo
dare lo stesso spazio a tutti - ma è uno dei miei preferiti.
:)
Spero che anche voi amiate quanto me queste piccole creature e che
magari vi ci affezioniate.
Continuate a seguirmi, altre novità vi aspettano nel
prossimo capitolo. Fino ad allora, vi auguro di passare delle giornate
stupende. C'è un bel sole ultimamente e mi mette davvero di
buon umore. Dalle mie parti fa anche parecchio caldo e ho
già messo canottiera e shorts. >.<
A parte questi piccoli commenti molto Slice of Life, vi ringrazio
sinceramente per l'affetto che mi dimostrate. Sto notando la vostra
presenza sempre di più e ne sono tanto felice. :) Fino a
poco tempo fa ero piuttosto insicura su questa storia, temevo di aver
sbagliato tutto. Credevo che fosse stato uno sbaglio pubblicarla e
addirittura scriverla. Poi ho capito che non avrei potuto fare
altrimenti, che se non l'avessi fatto avrei perso davvero molto,
perchè non avrei avuto modo di conoscere voi e avrei
sofferto come non mai per questo.
Grazie per la vostra pazienza. Come sempre, vi saluto con infinito amore.
Sinceramente vostra,
Kristen W.
|
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Capitolo 6 *** Helplessness ***
cap 5
Capitolo
6:Helplessness
Errata Corrige e conseguente
Dedica dell'Ultimo Minuto
Alla meravigliosa Ninfea Blu,
che mi ha ricordato quanto il mio MS Word possa essere infame nel
salvataggio delle modifiche, provocando così immani
disastri. Chiedo perdono per l'equivoco sull'arma del delitto. La colpa
è della mia sbadataggine nella rilettura e di Word che
stavolta ha fatto il suo dovere per metà. Grazie per la
pazienza.
Alice
trasalì.
“Madre…”
“Alice! Alice, parlami, ti prego. Cosa hai visto?”
“Papà…”
disse, seppur con
una certa riluttanza. Le
mancava il coraggio di definire quell’uomo come suo padre.
“Cosa
faceva? Sta venendo qui?”
“No. Era con un uomo… lo stava
pagando…”
“Forse era un cliente del negozio...”
“No.” La interruppe Alice. “Era un
assassino. Il vostro assassino, madre.”
Concluse poi, con gli occhi lucidi.
Emily
contenne più che poté la sua sorpresa. Lewis era
davvero capace di tanto?
“Non preoccuparti, bambina mia. Andrà tutto bene.
Dubito che le cose possano
andare in questo modo. Insomma, ci ripenserà.”
“Non mi fido per niente di quell’uomo. Non dopo
ciò che ha fatto. In ogni caso,
state attenta. Vi manderà a comprare del pane. Ci
andrò io per voi. Non è
intenzionato ad uccidermi. Sono ancora addomesticabile
secondo lui.” Disse, indugiando su quella parola, che
lasciava trasparire la
freddezza che ancora una volta aveva imprigionato il cuore di quello
che una
volta era suo padre.
Adesso
Alice lo considerava un semplice involucro umano che custodiva dentro
di sé il
male, la devianza e il vizio e anelava ad obiettivi
tutt’altro che nobili. Le
compagnie che frequentava ultimamente erano decisamente negative e
avevano una
pessima influenza su di lui, che piano piano si era lasciato
corrompere,
perdendo di vista le priorità che aveva un tempo.
“Mamma,
andiamo? Ho sonno.” Incalzò Cynthia, senza
rendersi conto di quanto le accadeva
intorno.
Emily
acconsentì con un breve cenno del capo, poi
guardò ancora Alice.
“Domani ti
porto un bel piatto di zuppa calda, d’accordo?”
disse, prima di baciare la
figlia sulla fronte.
“Non siete
preoccupata per la vostra sorte, madre mia?”
“No, affatto. Andrà tutto bene, vedrai.”
E detto questo, le diede la buonanotte.
Il giorno
seguente le cose andarono come previsto da Alice: il padre si
alzò di buon
mattino e ricordò alla moglie che non vi era più
pane fresco in dispensa.
“Vai a
comprarlo al forno qui vicino.” Disse.
Emily
annuì, poi diede il denaro ad Alice e la fece uscire insieme
a Cynthia. La cosa
indispettì terribilmente Lewis.
“Avevo
chiesto espressamente che andassi tu a comprarlo. Lei non dovrebbe
mettere
piede fuori dalla sua stanza.”
“Suvvia, Lewis, siate buono. Permettetele di farsi perdonare
da voi.”
“Non è così che otterrà il
mio perdono.”
Dopo non molto tempo, la ragazza e la sorellina tornarono con il
paniere
carico. Alice aveva visto l’assassino, un tipo losco, che si
fingeva un mendicante.
Fuggì non appena incrociò lo sguardo di lei:
aveva capito che Emily non sarebbe
uscita quel giorno. Avrebbe potuto uccidere anche la ragazza, ma cosa
ne
sarebbe stato della piccola? A lei non poteva torcere un capello.
Lewis, a
quanto pare, non era disturbato in alcun modo da lei.
Tuttavia,
la priorità assoluta l’aveva Emily. Se per caso
Cynthia avesse avuto la
sfortuna di trovarsi al posto sbagliato, di certo non si sarebbe
addolorato
così tanto. Era un cuore morto, il suo. Non reagiva
più a nulla ormai. Non fece
né disse nulla nemmeno quando vide le sue figlie tornare con
del pane e un dolce
per lui. Si limitò a revocare la punizione di Alice, per non
suscitare proteste
nel resto della famiglia.
Appena furono sole, Emily e Alice parlarono
dell’uscita.
“L’hai
visto?”
“Si. Era dietro il palazzo dei Baker.”
Alice
raccontò a sua madre di come aveva percepito le intenzioni
di suo padre e di
quell’uomo. Lei era l’obiettivo primario e doveva
fare di tutto per evitare di
uscire.
“Non posso
chiudermi in casa per sempre. Anche perché penso che tuo
padre rinuncerà presto
ad attuare i suoi propositi.”
Le
speranze di Emily furono deluse ben presto. Passavano i giorni, le
settimane, i
mesi, e Alice continuava ad uscire al suo posto: aveva provato a
parlare con la
polizia, ma naturalmente nessuno avrebbe mai accettato di sorvegliare
una casa
solo per un presunto futuro delitto. Il capo della polizia, Charles
Milton
Potter, l’aveva presa in giro davanti a tutto il distretto
per le sue visioni e
Alice non vi aveva più fatto ritorno. Aveva capito di essere
sola e sentiva di
dover fare di tutto per impedire che sua madre uscisse.
La cosa alla
lunga esasperò Lewis, che alla fine esplose, entrando in
salotto intorno alle
dieci del mattino, mentre sua figlia era tutta intenta a disegnare sul
suo
album, da sola. Doveva prendere la situazione di petto e interrompere
quella
guerra fredda e silenziosa.
“Si può
sapere che cosa succede adesso? Perché tanta voglia di fare
le commissioni al
posto di tua madre?” chiese.
“Sapete
benissimo perché succede tutto questo.” Rispose
Alice, indifferente, mentre
osservava, rannicchiata sulla panchina del bovindo, il paesaggio fuori
dalla
finestra. Il salotto buono di casa si affacciava su un vasto giardino,
in fondo al quale
c’era una fila piuttosto rada
di abeti.
“Ah si? E cosa vede quella tua mente malata?”
“Ciò che
la vostra mente ancor più malata produce.”
Ribatté lei, senza alcun riguardo.
“Maleducata
che non sei altro!” gridò, alzando la mano destra
per schiaffeggiarla.
“Non
toccatemi, o mostrerò a tutta la città il
ritratto di quella donnaccia
dell’Illinois con cui vi accompagnate.”
“Non ho mai avuto un suo ritratto. Non ha
voluto
spedirmelo.”
“Chi vi ha
detto che io l’abbia preso dalle vostre cose?” Lo
provocò la giovane,
cercando tra i suoi
fogli il ritratto
incriminato. Lo mostrò, fiera dell’efficacia delle
sue visioni.
Lewis
rimase perplesso, ma per breve tempo. Un ghigno malvagio comparve poco
dopo sul
suo volto.
Fu un
attimo: prima la
luce bianca, poi le
immagini nere di morte. Alice vide sua madre che si preparava a varcare
la
soglia di casa. Lewis le aveva ordinato di prendere dei fiori, dicendo
che gli
altri erano in parte secchi e in parte marci.
Ad Alice
venne il capogiro, ma non vi badò. La paura era troppa:
doveva assolutamente
cambiare il corso degli eventi. Doveva fermare sua madre.
La
raggiunse appena in tempo all’ingresso. La tirò
per un braccio.
“Madre,
no! Non fatelo, vi prego!” gridò tra le lacrime.
“Alice,
stai tranquilla. Andra tutto bene.” Sussurrò,
stringendola.
“Per lui
andrà tutto bene! C’è
quell’assassino qui fuori!”
Lewis raggiunse moglie e figlia con tutta calma.
“Cosa c’è
da gridare tanto? Disturberete Cynthia. Sta studiando.”
“Fatemela
salutare, non la vedo da ore.” Chiese Emily, consapevole che
quello poteva
essere il suo ultimo desiderio.
“La
vedrete quando tornerete.”
“Lewis Brandon,
lasciate che io la veda oppure non risponderò più
di me.” Ordinò lei, che per
la prima volta in vita sua osava scavalcare
l’autorità del marito. Lo faceva
per se stessa e per le sue figlie.
L’uomo
sospirò. “E sia…” disse
sbuffando. Andò a chiamare la piccola e la portò
da sua
madre. L’aveva chiusa intenzionalmente nella sala lettura per
non farle sentire
i discorsi con sua moglie e sua figlia maggiore.
Emily la
strinse a sé forte forte, le sussurrò che le
voleva bene e la invitò a tornare
ai suoi studi. La piccola obbedì, pur trovando insolito il
comportamento della
madre.
Poi toccò
ad Alice.
“Figlia
mia adorata, non preoccuparti. Tornerò presto.”
Sussurrò.
“Madre…”
singhiozzò la ragazza “Perdonatemi… ho
fatto di tutto…”
“Lo so,
amore, lo so. Sei stata il mio angelo custode. Grazie.”
Rispose sorridendo la
donna.
Si
strinsero in un abbraccio lungo una vita, poi Emily si rialzo, fiera
come una
leonessa. Nessuno l’aveva mai vista così. Non era
da lei; era sempre stata così
materna, dolce. Nemmeno chi la conosceva bene aveva mai intravisto in
lei un
simile temperamento. Erano le sue figlie a darle tanta forza.
Guardò suo
marito negli occhi con aria di sfida. Le due iridi scure rilucevano
come
bracieri e osservavano con odio quell’uomo che era cambiato
così tanto nel giro
di pochi mesi. Era
diventato decisamente
più affascinante, ma il suo cuore, la sua anima, erano ormai
corrotti, forse
irrimediabilmente.
“So bene
ciò che mi aspetta lì fuori, non
credete. Uomo degenerato e bugiardo, dimentico del tempo i cui mi
amavate!
Avete venduto l’anima e il cuore per la promessa di un figlio
maschio.
Vergognatevi di ciò che state facendo alla nostra famiglia.
Se i nostri
genitori potessero vedere come vi siete ridotto…”
Pensò la
donna. Quanto avrebbe voluto sputargli in faccia quella lunga lista di
verità.
Per la prima volta divenne rabbiosa come mai era stata in vita sua.
“Mi
avete rovinato quest’ultimo anno, e
l’avete rovinato anche alle nostre figlie. Non vi auguro di
provare lo stesso,
perché non potreste: il
vostro cuore è
morto, è solo un pezzo di carne che potreste rivendervi al
mercato. E forse
prima o poi lo farete, perché per voi conta solo il denaro.
Tornatevene ai
vostri circoli di intellettuali, agli affari, alle trattative e alla
vita
viziosa che quella sgualdrina vi offre. Godetevela, fino a morirne. Ci
è voluto
molto, ma adesso vi disprezzo, Lewis. Se prima avevo pensato di
perdonarvi,
adesso so per certo che non lo farò mai. Addio!”
Lewis
rimase dov’era, stizzito, senza dire una parola. Quella donna
comunicava con il
suo solo sguardo. Sembrava un demonio.
Emily guardò con amore sua figlia, poi varcò la
soglia.
“No! Non
andate!” gridò la ragazza,
riportandola dentro a forza, strattonandola. Sbatté la porta
con violenza.
“Alice,
che modi sono? Lascia uscire tua madre.”
“Madre, è
lì fuori! Sempre dietro il palazzo dei Baker. Non
andate!” gridò la ragazza,
ignorando gli ordini del padre.
“Alice,
smettila di spaventare tutti con le tue fantasie, altrimenti ti
spedisco di
nuovo in camera tua.”
La ragazza
lo fulminò con lo sguardo, poi si voltò verso
l’adorata madre, che in quel
momento aveva occhi solo per lei. Accennò un sorriso.
“Resta
sempre la mia piccola Alice.” Disse, dolce come sempre, prima
di aprire la
porta e di uscire in strada quell’assolata mattina di inizio
maggio.
Passarono
tre minuti, interminabili, quasi eterni. Poi uno sparo e il clamore
della
folla.
Alice
cadde a terra in ginocchio, distrutta dal dolore, mentre suo padre,
seduto su
una sontuosa sedia, aveva atteso con indifferenza lo scorrere del
tempo,
osservando ora la stanza, ora la finissima lavorazione del suo bastone
da
passeggio, come se entrambe fossero a lui sconosciute.
Si
alzò
per osservare gli effetti del suo
complotto.
“NO! NO!”
gridò la giovane con tutto il fiato che aveva, senza
smettere di piangere.
Cynthia
corse verso l’ingresso e chiese cosa fosse successo.
Lewis, si
affacciò alla finestra, scostando le tende, imitato ben
presto da alcuni
vicini, poi uscì in casa, fintamente trafelato, per poi
scendere di corsa in
strada.
“Emily!
Emily!” gridava, mentre da lontano osservava il corpo ormai
esangue della
moglie. Tutto era andato come previsto.
Il suo
volto, rigato di lacrime bugiarde, si contraeva in espressioni di
altrettanto
falso dolore.
Chiese,
benché nelle ultime settimane l’avesse pianificata
nei minimi dettagli, la
dinamica della tragedia. I concittadini gli esposero con diligenza
quanto
avevano visto.
Gli
dissero che un mendicante l’aveva avvicinata e le chiedeva
con insistenza del
denaro. Lei
probabilmente si era
rifiutata e così l’uomo aveva estratto una pistola
e aveva esploso un colpo, ferendola a morte, per
vendicarsi. Poi era fuggito, approfittando della confusione, lasciando
la donna
in terra.
Terminato
il racconto, Lewis continuò,
meschino,
la sua messinscena, stringendo a sé il corpo privo di vita,
la cui avvenenza
sembrava quasi risaltare dopo la morte. La bellezza di Emily era fine e
delicata, non rozza e volgare come quella di Florence. Questo si
ritrovò a
pensare Lewis osservando quei lineamenti che un tempo erano stati
l’oggetto
della sua devota adorazione.
Quella
sensazione simile al pentimento, però, fu presto scacciata
dal suo cuore ormai
gelido come il marmo non appena nella sua mente si fece strada il
pensiero di
un erede maschio.
Florence
l’aveva portato diversi mesi addietro, quando la loro
passione era appena
sbocciata, da un medico che aveva studiato Darwin e la genetica, il
dottor Edward
Cohen.
Dopo una
gran raccolta di dati sul patrimonio genetico delle loro famiglie e una
lunga
serie di accuratissimi esami, il dottor Cohen aveva stabilito che per
avere
maggiori probabilità di concepire un erede maschio la cosa
migliore che Lewis
potesse fare era affidare questa sua speranza a Florence, che sarebbe
stata la
donna ideale per concepire un maschio bello e forte.
Fu così
che la loro divenne una vera e propria relazione; Florence giorno per
giorno si
era imposta sempre di più nella sua vita e così
entrambi erano arrivati alla
conclusione di sposarsi.
Ciò
comportava non pochi rischi, ma entrambi avevano molto da guadagnare da
quella
decisione.
Florence
gli aveva restituito l’antico vigore, quella forza che la
serenità perenne di
Emily aveva mitigato, e sapeva perfettamente ciò che lui
desiderava,
gliel’aveva fatto riscoprire.
Ora Lewis
si sentiva disposto a tutto, pronto a scalare anche una montagna, pur
di
costruire il suo impero.
Fu scosso
da quei pensieri dall’arrivo di alcuni uomini della polizia
che portarono via
il corpo.
Il signor
Brandon si guardò intorno, incontrando lontano dalla folla
l’espressione
d’intesa del suo complice, nascosto in un vicolo. Lo
mandò via con un cenno del
capo per permettergli di fuggire lontano dalla città.
Dall’altra
parte della strada, davanti alla porta spalancata, Alice osservava la
scena con
un misto di rabbia e disprezzo. Riservava quest’ultimo a
quello che non aveva
più il coraggio di chiamare padre e al capo della polizia,
da lui corrotto
tempo addietro, come le sue visioni le avevano suggerito. La rabbia,
invece,
era un po’ verso se stessa, per la sua impotenza di fronte a
quella situazione,
un po’ verso gli abitanti di Biloxi, che non osavano
indagare, andare oltre, e
non chiedevano nulla di più.
Dalla piazza arrivò un vento tiepido, che mosse leggermente
la veste e i
capelli di Alice. La ragazza chiuse gli occhi, facendosi investire da
quella
brezza e annusandone il profumo. Note dolci, fiorite, proprio come il
profumo
della mamma.
Non appena lo riconobbe, due lacrime gemelle rotolarono giù,
rigando il suo
volto di porcellana e seccandosi al contatto con l’aria.
Ormai era come un
castello di sabbia pericolante e quella era l’ultima onda,
quella destinata a
farlo crollare definitivamente per poi spazzarlo via senza lasciare
più
traccia.
“Mamma…” mormorò, cadendo
sulle ginocchia, come se non potesse più sopportare
nemmeno il suo peso.
Il suo
giovane, fragile cuore morì quel giorno, insieme a lei, che
ormai era puro spirito concentrato in quella brezza.
Angolo dello
Sproloquio
Che capitolo enorme o___o Sono sconvolta, non so come mi sia uscita
questa specie di Divina Commedia in miniatura.
Ma veniamo al dunque e parliamo un po' delle ultime novità
del
nostro Bloody Wonderland, perchè ce ne sono di importanti.
Come
avete visto, la nostra Emily non c'è più,
purtroppo.
Sono davvero dispiaciuta, ma non potevo certo cambiare le basi su cui
si fonda la mia storia. Questo è un fatto fondamentale, un
punto
della storia cruciale, in cui si raggiunge il massimo della tensione
emotiva. Ho voluto aprirvi nuovamente il cuore dei personaggi e al
tempo stesso farvi entrare nelle loro menti. Spero di aver reso bene
ciò che volevo trasmettervi e spero anche che il capitolo vi
sia piaciuto.
Non vedo l'ora di leggere ciò che avete da dirmi
(specialmente sulla storia del genetista, una trovata assurda - ma non
anacronistica, fortunatamente -che mi ha aiutato a legare un po' il
tutto). Mi tenete
sempre tanta compagnia con i vostri commenti e li attendo sempre con
ansia. A questo proposito, vorrei ringraziare di cuore tutti (tutte?
xD) coloro che in qualche modo seguono e apprezzano la mia storia. :)
Ora, perdonatemi, ma
corro a studiare. Gli esami si avvicinano, ahimè, e mi tocca
immergermi nuovamente nel periodo vittoriano, stavolta per motivi meno
piacevoli. Incrociate le dita per me! >.<
Tanti baci dalla vostra Kappa super-impegnata.
|
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Capitolo 7 *** Usurpation ***
cap7
Capitolo
7: Usurpation
A
Seele
Biloxi,
6 maggio 1917
I funerali
di Emily ebbero luogo nella parrocchia dove la famiglia era solita
recarsi ogni
domenica. La chiesa era gremita di gente, che era arrivata da ogni
quartiere e
occupava persino la piazzetta antistante: ogni abitante della
città aveva
qualcosa di bello da dire di quella donna.
La bara,
ancora scoperta, era sotto gli occhi di tutti e circondata da fiori. Il
transetto, nonostante le grandi dimensioni della chiesa, andava sempre
più
riducendosi, come inghiottito dalla massa di gente che vi prendeva
posto.
Il parroco
lesse alcuni brani dalle Sacre Scritture e una bellissima omelia che
aveva
scritto di suo pugno la notte precedente.
“Era una
cristiana devota, dalla fede incrollabile, moglie encomiabile e madre
esemplare. È una grave perdita per il mondo terreno. Che
morte prematura e ingiusta
per una donna così buona! Ognuno di voi, fratelli e sorelle
qui riuniti, ha
avuto l’onore e la gioia di avere almeno un suo sorriso o una
parola gentile
della nostra amata Emily Brandon, che ora ha raggiunto i suoi amati
genitori e
vive nella pace e ci osserva con occhio amorevole. Io stesso, in quanto
religioso e in quanto cristiano, ho molto da imparare da lei.
Il mio e
il vostro dolore è grande, ma ancor più grande
è la gioia del Signore Dio
nostro, che vede tornare a Sé una figlia che ha vissuto
sempre nella Sua luce.
Consolatevi, consoliamoci, dunque, perché ella ora
è nel Regno dei Cieli.
Lewis,
Alice, Cynthia, vivete seguendo il suo esempio, fatevi guidare dalla
luce di
Dio e di Suo figlio Gesù Cristo lungo il vostro cammino.
Emily è qui ed è
altrove, libera dai vincoli della corporeità, e ora
potrà seguirvi in ogni
momento delle vostre vite. Non vi ha lasciato, anzi, è
vicina a voi ora più che
mai. Ricordatelo sempre.”
Alice era
commossa dalla partecipazione di tutti. Entrando in chiesa aveva
sentito
qualche sconosciuto piangere. Sua madre aveva seminato la
bontà nei cuori di
molta gente, doveva esserne felice.
Tuttavia,
quelle belle parole e dimostrazioni d’affetto non valevano
nulla a fronte della
colpa di cui suo padre si era macchiato. Se c’era una legge,
una Provvidenza
che vendicava i giusti, quella doveva scatenare tutta la sua ferocia
contro
quel disgraziato che le aveva portato via la madre.
Da giorni
non mangiava nulla, così come sua sorella. Erano
estremamente provate entrambe.
Suo padre,
invece, tra le mura domestiche quasi non si curava di quella perdita,
mentre si
profondeva in scenate di disperazione con chiunque incontrasse o si
recasse a
fargli visita.
Alice era
disgustata da quell’atteggiamento, ma l’atmosfera
raccolta della chiesa e il
delicato momento che stava attraversando le impediva di provare
sentimenti
negativi troppo intensi.
Alla fine
della cerimonia, prima della sepoltura, vide la zia Nancy. Con lei
c’erano suo
marito, Harold Banks, e i
due figli, Ronald e Zachary.
“Lewie,
non so cosa dire. È stato tutto così improvviso.
Io e Harold abbiamo i nervi e
il cuore a pezzi. È stato come un fulmine a ciel
sereno.”
Lewis
guardò in basso, come se non fosse in grado di sostenere lo
sguardo della
sorella.
“Nan, sono
confuso anch’io.” Disse, per la prima volta con un
accenno di sincerità nella
voce.
“Se ti va,
Alice e Cindy possono stare da noi qualche volta, oppure potrei
tenertele io
quando sei via.”
“Grazie, Nan. Approfitterò senz’altro,
almeno finché la nuova istitutrice non
tornerà da Londra.”
“E Mrs. Willoughby?”
“Ho dovuto licenziarla. Preferivo avere una sola persona che
stesse tutto il
tempo con le bambine e che provvedesse alle faccende.”
Alice sgranò gli occhi: aveva già capito quale
sarebbe stata la prossima mossa
del padre. Avrebbe introdotto in casa…
“Florence
Baldridge. L’ho
conosciuta in uno dei
miei viaggi di lavoro. È una donna di grande cultura e molto
materna.” Disse
Lewis alla sorella.
Alice non
si curò delle divagazioni di suo padre. Ronald la distolse
da quei tristi
pensieri.
“Non essere
giù, Alice. Starai di più con noi. Potremmo
giocare tutti insieme.”
La ragazza si limitò ad annuire. Almeno avrebbe avuto
un’ottima scusa per stare
lontano da casa.
Le
settimane seguenti passarono nella monotonia per le giovani Brandon.
È vero, i
parenti venivano a far loro visita e spesso si fermavano per la cena o
addirittura per la notte e la zia Nancy non esitava a mantenere la
promessa
fatta, ospitando presso di sé le due nipotine, ma nulla
poteva cancellare dai
loro cuori il dolore per la perdita della madre.
Alice, più
di Cynthia, sembrava afflitta oltre ogni dire e non si dava pace,
proprio
perché sapeva.
Vestiva sempre di nero e portava il velo:
sembrava la sposa
della morte. Spesso aveva svegliato Nancy nel cuore della notte,
gridando e piangendo,
in preda agli incubi. Puntualmente la zia la consolava e la stringeva a
sé,
accarezzandole i capelli come faceva Emily. Allora la ragazza si
calmava e
riprendeva il suo sonno leggermente più tranquilla. Era
ridotta a uno straccio
ormai, la zia glielo ripeteva sempre e cercava di farla mangiare il
più
possibile.
Dopo
qualche mese, il padre fece arrivare da Londra la temutissima nuova
istitutrice, che presto sarebbe diventata ufficialmente la sua
compagna:
Florence Baldridge.
Non era
proprio una bellezza. Aveva i capelli biondi, corti e ricci e un naso
un po’
troppo importante per una donna. Quando Alice la vide da vicino per la
prima
volta osservò la sua bocca e notò che il labbro
superiore era sottilissimo,
mentre quello inferiore era decisamente più voluminoso.
Benché l’avesse già
vista nella sua mente così nitidamente da poterne disegnare
un ritratto, Alice
la guardò come se le fosse totalmente estranea. La odiava
già da molto per aver
plagiato suo padre e per aver distrutto la sua famiglia, ma ora che
l’aveva
sotto gli occhi avrebbe dato anche l’anima pur di farla
sparire. Né lei né
quello che una volta chiamava padre avevano rispetto per le mura di
quella
casa, che ancora odoravano di lei.
Alice
aveva tenuto con sé la
sua camicia da
notte e alcuni effetti personali, che toccava e annusava quando era
nella
solitudine della sua stanza, per sentire la mamma ancora vicina:
avevano quello
stesso profumo di fiori. “Non se ne è mai
andata.” Ripeteva fra sé ogni volta
che lo sentiva.
Come osava
quella donna
malvagia profanare quello
che fino a qualche mese prima era stato il tempio della loro
felicità?
Cynthia,
che era ancora piccola e aveva solo bisogno di affetto, si
avvicinò per prima a
Florence. Per l’occasione si era vestita bene e si era fatta
sistemare i
boccoli dalla zia Nancy.
“Come sei
bella!” disse quella, melliflua, vedendola correre verso di
lei.
“Mi chiamo
Cynthia. Voi siete Florence?”
“Si, sono io. E so benissimo chi sei tu. Papà mi
ha parlato tanto di voi.
Impareremo tante cose insieme.”
Lo sguardo
della donna incrociò quello di Alice.
“Tu devi
essere Alice.” Disse, cercando di instaurare un contatto che
fosse almeno
all’apparenza positivo, ignorando ogni formalità.
Formalità che la ragazza non
tardò ad esigere.
“Mary Alice, esatto. E voi dovreste
essere la nostra istitutrice.” La
corresse. Quelle parole erano come uno stiletto pronto a
pungerla e a
ferirla. Percepiva già del disprezzo nei suoi occhi. In
più, i suoi lineamenti
erano così perfetti, nonostante lo sconvolgimento per quanto
era accaduto, da
farle quasi male mentre assumevano quell’espressione torva e
minacciosa.
Accidenti, era così uguale a… No, meglio non
pensarci.
“Una
ragazza come voi non può
vestire di nero
se vuole trovare marito.” Blaterò, cercando di
colmare il silenzio imbarazzante
piombato su quella conversazione.
“Sono in lutto.” Affermò lei, senza
scomporsi.
“Per
quanto ancora intendete osservarlo? Siete pur sempre una
ragazza.”
“Credo sia una domanda un po’ troppo personale, non
credete, Miss Baldridge?”
“Mrs. Baldridge veramente.” Rispose la bionda,
stizzita. Quella ragazza non
solo era uguale a sua madre – l’aveva vista in foto
sul giornale – , ma parlava
con lo stesso tono che probabilmente avrebbe usato con lei, se fosse
stata
ancora in vita, ne era certa. Del resto la sua posizione non era delle
migliori: correva il rischio di essere definita una rovina famiglie, ma
l’avrebbe presto scongiurato. Stava mettendo Lewis molto
sotto pressione
ultimamente, affinché la sposasse e in fretta.
“Per quel che ne so, non siete sposata.”
Ribatté Alice, mettendo ulteriormente
il dito nella piaga con malcelata soddisfazione.
Florence
la guardò, offesa.
“Ma sposerete
nostro padre, vero? Così non sarà da
solo.” disse Cynthia, guardandola dal
basso e avvicinandosi alla sua gonna.
La bionda,
sfoggiando un mezzo sorriso, finto nel suo candore quanto
l’immagine melensa
che si stava costruendo intorno, non osò rispondere. Quella
ragazzina l’aveva
salvata in extremis.
Lewis fece
il suo ingresso nell’atrio con le valigie di lei tra le mani.
Aveva sentito
tutto.
“Certo che
ci sposeremo, Cindy. Più in là, però.
Io e Miss Baldridge siamo una coppia e
presto festeggeremo il nostro fidanzamento ufficiale.”
Questa frase inorgoglì ulteriormente la biondina
dell’Illinois, che adesso
guardava sorniona e soddisfatta la giovane vestita di nero.
Alice per tutta risposta guardò entrambi con aria
accigliata, poi uscì in
strada, correndo. C’era un solo posto dove si sentiva di
andare: la chiesa.
Fu lì in
meno di cinque minuti. Attraversò il sagrato, poi
aprì con delicatezza il
portone e fu investita da una leggera e fresca
corrente dal forte sentore di incenso. Lì Dio
c’era, non come in casa
sua, dove sembrava regnare il caos. Immerse nel fonte battesimale la
mano destra
e si fece il segno della croce, poi una breve genuflessione in
direzione
dell’altare. Scelse uno dei banchi e vi si
inginocchiò, raccolta in preghiera.
“Dammi la
forza, ti prego.” Sussurrava, ora ad occhi chiusi, ora
posandoli, gonfi di
lacrime, sulle immagini sacre che aveva intorno, implorando col cuore
in mano
l’ultima certezza e speranza che le era rimasta.
Angolo dello
Sproloquio
Ecco qua anche il settimo capitolo. Inizio col dire
che lo dedico a Seele, una ragazza e una scrittrice magnifica, ma
soprattutto un'amica. Ti auguro di trovare la pace che cerchi,
piccolina. Tu sai.
Ora però passiamo alla nostra Emily. So che ci state male
quanto me. Come si fa a non amarla, del resto? E come si fa a non
odiare Lewis per quello che ha combinato? So che state pregando
perché un carretto lo investa o perché qualche
altro "mendicante pazzo" lo sventri peggio di Hannibal Lecter con le
sue vittime. Ahimé, dovrete aspettare ancora un po'
perché questo signorino abbia la punizione che merita,
sempre che di punizione si possa parlare (non so ancora come risolvere
la cosa, lo confesso).
A proposito di preghiera... senza accorgermene ho creato un capitolo
con struttura ad anello: inizia e finisce in chiesa. Buffo, vero? Non
ci avevo minimamente pensato. Eppure mi piace dare questa sfumatura
alla nostra Alice. Penso che parlare del proprio credo sia qualcosa di
veramente molto intimo, personale. La fede è uno dei segreti
più belli, preziosi e importanti che si possano custodire.
Badate bene, parlo di fede in senso generale. :)
Di certo vi avrà lasciato qualche perplessità
l'omelia del parroco. Devo ammettere di non frequentare molto le
chiese, perchè amo pregare in solitudine, dove posso
concentrarmi, e non in posti affollati in cui si va soltanto per farsi
vedere dagli altri (purtroppo ne ho trovate di persone che hanno questo
atteggiamento). Per questo Alice fa ciò che, avendo
più tempo, farei io stessa. Se ne va in chiesa proprio
quando non c'è molta gente (anche se lei non sceglie
l'orario così attentamente, va lì spinta solo da
un'esigenza) e si lascia confortare da Dio. La trovo una cosa molto
toccante. Non mi sono soffermata sui dettagli stilistici della chiesa,
è vero, ma sarebbe stato troppo. Volevo che Alice avesse
tutto lo spazio, volevo che la vostra attenzione non andasse su questa
cattedrale del Mississippi, ma sulla giovane ragazza disperata che in
essa si rifugia.
Ma torniamo all'omelia. Forse vi sembrerà un po' strano
l'uso di un linguaggio così tecnico (non tutti se
lo aspettano da chi a suo dire non frequenta l'ambiente). La
verità è che so ascoltare molto, nulla di
più. :)
Questo parroco di Biloxi di cui vi ho parlato è diverso da
quelli del suo tempo e mi piace moltissimo come personaggio,
perché ha il coraggio di mostrare la sua umanità,
pronunciando parole di reale conforto e vicinanza per la famiglia,
piuttosto che riempire le orecchie di tutti con inutili prediche
moraleggianti, tutto fumo e niente arrosto. Forse è un po'
azzardato, ma mi piace così: un religioso controcorrente,
concreto e che si mette in gioco in un certo senso. Abbiamo trovato un
altro piccolo eroe di questa cittadina bigotta e perbenista (senza
offesa per la vera
Biloxi, che invece mi affascina e vorrei tanto visitare). Non vi
è già simpatico? :D
E Florence? Come la trovate? Io ho gongolato alla grande quando ho
scritto il punzecchiamento con Alice. Davvero molto divertente.
Peccato, però, che ci si metta di mezzo Cynthia a placare
gli animi, presto seguita dal paparino.
Mi scuso per questo enorme, gigantesco Sproloquio (si, con la S
maiuscola). Attendo con ansia le vostre opinioni. Mi fate sempre morire
dal ridere con i vostri insulti al "povero" Lewie.
Per farmi perdonare vi do una piccola anticipazione: Nancy e la sua
famiglia avranno una certa importanza a partire dal prossimo capitolo
(che ho già steso, ma è da ricorreggere u.u).
Ora vi lascio e vado a mettere in ordine la mia casetta, decisamente
mal ridotta a quest'ora della giornata. Poi, manco a dirlo,
darò inizio alla sessione di studio, durante la quale mi
scervellerò immaginando cosa scriverete stavolta. xD Grazie
della vostra compagnia e del vostro affetto. Spero di meritarli.
Con infinito amore,
la vostra Kappa esaurita.
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Capitolo 8 *** Visions and Plots ***
cap7
Capitolo
8: Visions and
Plots
A
una scrittrice gentile e delicata
come il fiore di cui porta il nome. A te, rarissima Ninfea Blu.
Un umido
pomeriggio assolato di fine novembre.
Le
sorelle Brandon giocavano con i loro cugini. Il parco in cui si
trovavano era
più simile a un bosco. Per loro, però, era
identico a una casa. Il terreno era coperto
da un tappeto di foglie secche ed erba. Le pareti erano gli alberi,
alcuni
spogli, altri no, tutti diversi per altezza e specie, un po’
come loro.
Alice e Ronald,
ad esempio, avevano la stessa età, ma lei era decisamente
più bassa. Zachary e
Cynthia, invece, avevano un solo anno di differenza e sembravano
fratelli, più
che cugini. Entrambi avevano dei folti boccoli biondi e le stesse
guanciotte
paffute.
I quattro cugini passarono la prima metà del pomeriggio
rincorrendosi e
giocando a nascondino, poi decisero di fermarsi su una collina per la
merenda.
Alice aveva portato con sé un paniere carico di ogni ben di
Dio: acqua, frutta,
biscotti, panini…
Alice lo
posò in terra, poi fece per sedersi, quando ad un tratto si
sentì girare la
testa e iniziò a vedere bianco intorno a sé. Vide
il piccolo Zachary correre
via, ridendo, per poi rotolare giù da uno dei fianchi della
collina. Infine,
una lapide con il suo nome sopra.
Presa da sgomento, la ragazza guardò negli occhi il
cuginetto. Gli mise le mani
sulle spalle e si chinò su di lui.
“Zac, ti prego, non muoverti per nessun motivo, o ti farai
molto male. Me lo
prometti?” disse in tono grave, gli occhi sgranati. Il
piccolo annuì,
intimorito, tremando sotto la stretta della cugina più
grande. Cynthia rimase senza
parole a fissarli.
“Questo a papà non
piacerebbe.” Pensò
fra sé la piccola, col suo visino d’angelo
contratto in un’espressione
preoccupata. “Aveva sempre detto a
Alice
di non spaventare gli altri con queste stranezze. ..“
Ronald notò la cosa e si avvicinò a
loro, distogliendoli dai loro discorsi
e pensieri.
“Alice, non spaventare mio fratello con le tue storie, per
favore. È soltanto
un bambino, sai che prende tutto sul serio.” Disse il ragazzo.
“Ronald,
ascoltami. Zac non deve allontanarsi da qui o succederanno cose molto
brutte.
Dobbiamo fare attenzione.” Insistette lei, supplichevole.
“Alice, basta con questa storia delle visioni, o lo
dirò allo zio, chiaro?”
Alice, indispettita, si sedette lontana da tutti e prese un biscotto.
Lo mangiò
in silenzio, senza rivolgere la parola a nessuno. Le parole che aveva
detto suo
cugino erano le stesse che le rivolgeva solitamente il padre
ogniqualvolta le
capitasse di vedere.
La cosa la
irritava moltissimo, anche perché avevano lo stesso tono
autoritario. Che fosse il retaggio di una sorta di orgoglio da
primogeniti maschi? La cosa le importava ben poco.
Prese una focaccina con burro e cetriolini per scacciare il senso di
debolezza
lasciato dalla rabbia e dalle sue premonizioni. Quando aveva quei flash, non essendo ancora
sufficientemente
allenata – colpa dell’ostruzionismo del padre nei
confronti del suo dono – si
sentiva spossata, priva di forze, anche perché ultimamente
le capitava di
vedere cose davvero sconvolgenti e terribili.
Ronald rassicurò suo fratello. “Tranquillo, Zac,
non c’è nulla di cui
preoccuparsi. Alice stava solo scherzando.”
Zachary sorrise e si mise a mangiare. Poi, per far dispetto al fratello
maggiore, troppo preso a lanciare occhiatacce alla cugina pestifera
– come
l’aveva chiamata poco prima, borbottando – gli rubò il suo
panino preferito, quello alla
carne secca, e corse via portandoselo dietro.
“No, Zac! Era l’ultimo! Ti prego, non portarmelo
via! Uffa, sei davvero
dispettoso!” protestò Ronald.
Alice si alzò di scatto e inseguì il ragazzino.
“Zac, ti prego! Fermati! Non
andare!”
“Tanto non mi prendi!” cantilenò il
ragazzino, correndo più veloce di lei, che
invece aveva la lunga gonna a darle intralcio.
Il piccolo Zac arrivò parecchio più avanti di
lei. Si trovò di fronte un cane,
probabilmente randagio. Il pelo nero
e
marrone, lungo e sporco di fango, lasciava appena intravedere il
garrese. La
bestia se ne stava sulle quattro zampe, feroce e famelico, attirato
dall’odore
del cibo, ed era già alto quanto Zachary.
L’animale ringhiò, feroce, avventandosi sul
bambino, che lanciò un grido di
terrore. Lo buttò a terra, incurante dei suoi tentativi di
divincolarsi; lo
azzannò, puntando subito alla gola, per poi morderlo in vari
punti, facendogli
perdere molto sangue. Lo stava letteralmente sbranando e Alice non
poté far
altro che guardare, presto raggiunta da Cynthia e Ronald, mentre
l’animale
scrollava la testa, tenendo ancora tra i denti il corpo ormai esangue
del
piccolo, coperto solo dai brandelli di quelli che prima erano i suoi
vestiti. A
terra si era formato un lago di sangue grumoso e scuro, che si mescolava alla terra. Il
corpo di Zachary era
massacrato: alcune parti erano state proprio mangiate
dall’animale, che poco
prima si era leccato le fauci, imbrattandole ancora di più
di sangue. Quella
visione raccapricciante fece urlare i tre dalla paura.
Il cane gettò lontano i resti mortali del bambino, facendolo
rotolare giù per i
fianchi della collina, tra le foglie secche. Zachary, il cui aspetto
era quasi
irriconoscibile, finì in un cespuglio di rovi.
C'erano dei cacciatori di frodo nei dintorni e il cane, spaventato
dagli spari che si udivano di tanto in tanto, fuggì via,
portandosi via il panino tenendolo tra i denti, ancora
insanguinati come il resto del muso.
Alice rimase senza fiato e Cynthia iniziò a piangere,
disperata. Ronald gridò
con un misto di rabbia e di dolore.
“ZAC! ZACHARY!”
Scese lungo il fianco della collina per soccorrere il fratello, ma
ormai non
c’era più nulla da fare.
Il corpicino era sfigurato, non c’era una parte che non fosse
stata toccata dal
cane e dalle sue fauci.
Ronald era in preda allo shock. Si chinò allungando le
braccia, graffiandosi e
pungendosi con i rovi, poi prese tra le braccia il corpo del
fratellino,
sporcandosi di sangue. Gli organi interni, ormai esposti, erano lacerati e
faticavano a stare ciascuno
nella propria sede.
Alice mise le mani davanti al viso di bambola della sua sorellina.
“Tesoro, non guardare.” Le disse, trattenendo il
suo dolore per la perdita del
cuginetto.
“Zac si è fatto male, vero?” chiese la
piccola Cynthia, che ancora non si
rendeva conto della situazione.
Alice non ebbe il coraggio di rispondere e sua sorella si
abbandonò al pianto,
preoccupata per Zachary.
“Dobbiamo avvisare papà,
subito.”
Disse Alice. Di fronte a Cynthia doveva per forza usare quella parola.
La prese per mano e la portò a casa, mentre Ronald, ancora
sconvolto, portò il
corpo del fratello a casa, senza fiatare.
“Papà!
Papà!” gridò Cynthia una volta a casa,
correndo in lacrime verso Lewis.
L’uomo la prese tra le braccia, poi guardò Alice
con aria accigliata.
“Cosa le hai fatto?”
“Papà, Alice non ha fatto niente…
Zac…” farfugliò la piccola.
“Cynthia, vai a riposarti, tesoro. Parlo io con
papà.” Intervenne Florence,
attraversando l’ingresso. Alice la fulminò con lo
sguardo.
La bambina annuì e prese la donna per mano, conducendola
verso la sua stanza,
ancora sconvolta.
“Ovunque
tu sia, ovunque tu vada succedono sempre disastri. Cosa hai fatto a
Zachary
adesso?”
“C’era un cane nel bosco…” mormorò
Alice, singhiozzando. “Zachary è…
è…”
“Morto? È questo che stai cercando di
dirmi?”
Alice annuì.
Lewis sospirò e assunse un’aria cupa e triste, pur
mantenendo un certo
contegno.
“E Ronald? Cosa ha fatto?”
Alice ci mise un po’ a rispondere.
“Ha portato il corpo a casa. Potrebbe essersi fatto male nel
prenderlo, a meno
che non l’abbia aiutato qualche cacciatore. Sarebbe meglio
far visita agli zii
immediatamente. Avranno bisogno di noi.”
“E le tue stramberie non
ti hanno
aiutata ad evitare l’incidente?”
Alice scosse la testa. Aveva imparato che non c’era da
fidarsi. L’uomo che
aveva di fronte non era altro che un fantoccio nelle mani di quella
donna
ignobile. L’unico motivo per cui era rimasto calmo
– non contando quell’ultima
provocazione – era la curiosità. Gli premeva,
infatti, conoscere la sorte di
suo nipote e nulla di più.
“Forse stai tornando sana di mente, se mai lo sei stata.
Dev’essere un segno
del cielo.” Disse, lasciando l’ingresso. Stava
andando a prepararsi nella sua
stanza per andare a far visita alla sorella.
Alice, dal canto suo, non faceva più caso ad affermazioni
come quella. Non era
la prima volta che lui la ridicolizzava in quel modo. E anche quella
sciocca
con la quale si faceva vedere ultimamente in città iniziava
a provare un certo
gusto nell’insultarla e nel rimproverarla gratuitamente. Ma
non c’era spazio
per il rancore in quel momento. Piuttosto, Alice era triste per quella
povera
anima innocente ed era ancora scossa dalle scene che aveva visto nel
parco.
Quella sera passò in modo particolarmente pesante per tutti.
La famiglia si
coricò quasi senza toccare cibo, addolorata dalle notizie
che Lewis aveva
portato. Nancy, come era prevedibile, aveva avuto un crollo di nervi.
Ronald
non parlava con nessuno, mentre Harold aveva soltanto voglia di far
fuori la
bestia che gli aveva strappato ingiustamente il suo secondogenito.
Il peggio, però, doveva ancora venire.
Alice
prima di andare a letto decise di indagare l’attuale stato
delle cose. C’era
qualcosa nell’aria che la turbava, qualcosa che –
lo sentiva – l’avrebbe
portata presto alla rovina.
Questi pensieri la tormentarono tutta la notte, anche in sogno. Ne fece
uno
particolarmente privo di senso. Sapeva che qualcuno stava tramando
contro di
lei, che qualcosa di terribile stava per accadere, ma vedeva solo
immagini
confuse e molto, moltissimo bianco dappertutto. Udiva, inoltre, rumori
indefiniti e al tempo stesso assordanti. Ad un tratto si
sentì strattonare da
qualcuno… ed eccola: un’ultima immagine, fulminea,
ma netta e precisa.
“Ronald!” mormorò, svegliandosi con gli
occhi sgranati.
Fu allora
che capì di aver ragione, di aver trovato il tassello
mancante. Tutto dipendeva
nuovamente dalle scelte di Ronald, proprio come il destino di Zachary.
Ora Alice ne era sicura: il peggio doveva ancora venire.
Angolo dello
Sproloquio
Vi
ho fatto aspettare un po', ma spero ne sia valsa la pena. Questa scena
è un po' splatter, non proprio adatta ai cuori deboli o agli
stomaci delicati. Tuttavia, era necessario sacrificare questa povera
anima innocente per far scorrere la trama e portare la situazione e i
personaggi dove volevo io. Sono certa di non essere la sola a provare
del dispiacere per la morte di Zac, ma chi conosce la storia di Alice
sa che era inevitabile. Ancora una volta vi consiglio di
visitare Twilight
Wiki per saperne di più su tutti i personaggi di Twilight (e, nel nostro caso, sulla famiglia d'origine di Alice).
Pur essendo in inglese (e quindi non proprio semplice da capire per chi non ama/sa le lingue) è davvero ben fatto e ricco di
informazioni utili. Tra l'altro ho trovato una delle prime immagini di
Breaking Dawn 2 in cui si vede Renesmee. Si vedono lei e Jacob, vicini
e la piccola ha un'aria così felice... Credo che
scriverò
una o due drabble su questa magnifica coppia.
Ma torniamo alla nostra storia... il prossimo capitolo prevede
ulteriori svolte. Credetemi, sarà terribile. Ho
già
qualche idea in mente e ho buttato giù le prime righe. Il
resto
è ancora una massa informe di idee che frulla caoticamente
nella
mia testolina.
Oltre alle anticipazioni ho alcuni fatti di grandissima importanza da
raccontare.
PUNTO PRIMO: LA
CONFESSIONE
All'inizio BW doveva durare mooooolto di meno e limitarsi a parlare di
Alice nel manicomio, sino alla sua fuga. Ci ho ripensato quasi subito,
vedendo che l'ispirazione ancora non fa i capricci, e così
ho
deciso di parlare anche dell'incontro con Jasper e dell'incontro con
Carlisle. Ambizioso come progetto, vero? Lo so, me le vado a cercare,
ma se non scrivessi anche di questa seconda parte della vita di Alice
sento che a questa storia mancherebbe qualcosa. Spero davvero di non
deludervi. Tra l'altro ho in mente una parte decisamente affascinante sul sanatorio e sul direttore. Vi stupirò! :)
PUNTO SECONDO: SOGNO
DELIRANTE, RISVEGLIO ESILARANTE
Questa non è proprio una notizia fresca (risale al 15
luglio).
Non è nemmeno interessante, quindi non so neanche
perché
ve ne sto parlando. Per me, però, è stato uno dei
sogni
più belli della mia vita. xD Per la prima volta mi
sono svegliata ridendo fino alle lacrime, seguita dalla mia mamma, che
inizialmente temeva che fossi sotto effetto di stupefacenti vari.
Questo è ciò che ho sognato...
Dovevo salire su un autobus. Fin qui, nulla di strano. Il problema
è che mi sono inspiegabilmente ritrovata a salirlo dal
fianco
(altro che prendere l'autobus "all'inglese"), cercando di entrare da
uno dei minuscoli finestrini. C'era un vento gelido e fortissimo che
cercava di spazzarmi via. Spinta dalla voglia di sopravvivere e di non
finire schiacciata sotto le ruote di questo validissimo mezzo di
trasporto pubblico (fin troppo simile, per velocità ed
altezza,
al potteriano Nottetempo), finalmente riesco a passare e mi ritrovo a
terra, sul bullonato grigio scuro. Mi alzo in piedi e squadro i
passeggeri. Capisco, non so come, che si tratta del cast di una serie (mai vista né sentita O_O)
di CSI, telefilm per il quale ho perso davvero la testa. Peccato che non conosca nessuno degli attori presenti sul bus. La cosa mi manda
in panico, perché sembrano tutti attori emergenti, emeriti
sconosciuti (ma pur sempre bellissimi e inconfondibilmente americani).
Tutti, tranne uno. Il caro Robert Pattinson. Cappotto di
panno
grigio, aria accigliata, pelle di porcellana... si, è ancora
vestito da Edward, inspiegabilmente. Ma non è questa la cosa
più strana. Il vampirico divo mi guarda mentre divora.... un Polaretto
al
limone! O__O
Inizialmente scandalizzata, lo fisso con aria ebete, poi scoppio a ridere, per la
somiglianza tra lui e il simpatico, delizioso ghiacciolino imbustato. Lui è un
po'
sconvolto, non capisce l'ilarità del momento. Allora,
indossando
le vesti di Capitan Ovvio, gli comunico con fatica, scoppiando a ridere
ogni secondo, la mia assurda teoria, nata in quella frazione di secondo, come un lampo di genialità degno di Einstein: lui e il Polaretto sono bianchicci e freddi,
praticamente gemelli separati alla nascita.
Il caro Robert scoppia a sua volta a ridere: finalmente ha capito. Credo che
l'intero autobus stesse ridendo con noi, ma non so dirlo con
certezza, perché è stato proprio allora che mi
sono
svegliata, ridendo peggio di prima. .-.
Vi prego, non prendetemi per pazza per via del sogno o del
titolo-slogan. xD
Prometto di non tediarvi ulteriormente. Anzi, per farmi perdonare vi
posto l'albero genealogico delle famiglie di BW. L'ho fatto con le mie
manine sante per spiegare alla giudice del contest a cui partecipo l'organizzazione di questa famiglia.
Un bacione grande e al prossimo capitolo (spero)!
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Capitolo 9 *** Flowers and Snow (I) ***
etichetta
Capitolo 9: Flowers
and Snow (I)
Biloxi,
Casa Brandon, 2 dicembre 1917
“Cindy cara, come ti senti ora?” chiese Florence,
sedendosi sul letto della
piccola.
“Malissimo, Florence. Per carità, portatemi altra
acqua.” Mormorò in risposta
la bambina, ancora debole per il pianto. Non aveva fatto altro tutta la
notte:
piangere e pregare. Era molto legata a Zachary e non aveva preso
affatto bene
la sua morte prematura. Gli incubi, poi, l’avevano tormentata
tutta la notte,
ogni volta che crollava anche solo per qualche minuto. Sembrava essere
cresciuta tutta in fretta, quella bimba dal volto di bambola. Fino a
qualche
giorno prima sembrava spensierata e felice, piena di vita. Adesso era
ridotta
uno straccio: pallida in volto, gli occhi gonfi e l’aspetto
sciupato. Nessuno
avrebbe mai pensato di trovarsi di fronte alla stessa bambina.
Florence, che da sempre l’aveva preferita a chiunque altro,
annuì, alzandosi e
uscendo dalla stanza. Imboccò il corridoio e
incrociò Alice, che al solito le
scatenò dentro un moto di rabbia. Era l’unica
macchia per quella che si
prospettava come l’unione perfetta, quella che
l’avrebbe portata al successo.
“Tu, piccolo demonio, porta l’acqua a tua sorella.
Sta male e ha bisogno di
riprendersi dopo la brutta nottata che ha passato.”
Alice le lanciò un’occhiata carica
d’odio.
“Ancora non capisco come faccia tuo padre a tenerti in casa.
La gente fuori
mormora, per colpa delle tue stranezze. C’è chi
dice che porti sfortuna o,
peggio, che sei tu stessa ad uccidere chi ti sta intorno. Se non
l’avessi
negato fino allo sfinimento, a quest’ora penserei che sei
stata tu ad uccidere
quella povera anima di Dio.”
“Che riposi in pace.” Aggiunse poi Florence,
sospirando e alzando gli occhi al
cielo, mentre si baciava le mani e faceva il segno della croce.
Alice se
ne andò, ignorandola. Quella donna era un concentrato di
buonismo, ipocrisia e
malvagità. Non le riusciva di sopportare il suo tono, i suoi
atteggiamenti
civettuoli e quella risatina stridula, simile a uno squittio, che
associata al
suo viso scarno la facevano somigliare in tutto e per tutto ad un topo.
Era così che l’aveva vista la prima volta, nella
sua mente, e fu così che la
vide di nuovo la prima volta che se la trovò di fronte. Era
soltanto un topo
ben vestito e con una parrucca bionda.
Non la sopportava affatto e se avesse potuto l’avrebbe
sbattuta fuori di casa
immediatamente. Ma suo padre non era più l’uomo di
un tempo. Si era fatto
affascinare da quella serpe che di sicuro l’avrebbe portato
alla rovina.
Chiuse gli occhi, dandole le spalle, e respirò
profondamente. Doveva solo
resistere. Presto avrebbe trovato un modo per andar via da quella casa.
Ormai
si era arresa: non era più possibile rimanere lì
e difendere quelle quattro
mura. Alla fine sua madre aveva ragione. Andar via, in un modo o
nell’altro,
era l’unica soluzione possibile.
“Che c’è? Neanche rispondi?
Cos’è? Hai perso la lingua?” la
provocò Florence,
destandola dai suoi pensieri.
Alice, esasperata, si voltò verso di lei e con tono acido le
rispose:
“Fareste meglio a tenere a freno la vostra. E ora, se
permettete, vado ad
occuparmi di mia sorella, cosa che invece non fate voi.”
“Piccola, maledetta insolente!” esclamò
la bionda, con stizza.
Ora che suo padre l’aveva presentata pubblicamente come la
sua nuova compagna
si era montata ancora di più la testa e, se possibile, era
diventata ancora più
insopportabile. Ogni occasione era buona per maltrattarla, darle ordini
o
insultarla, col benestare del futuro marito, naturalmente. A Cynthia,
invece,
veniva riservato tutt’altro trattamento.
“Che essere
inutile…” pensò
fra sé Alice, andando difilato in cucina
mentre nella sua testa ancora echeggiavano le parole di quella donna
che con
tanta prepotenza si era inserita nella sua vita. Vi era entrata con
forza,
sgomitando, come molti fanno quando sono circondati dalla folla, senza
alcuna
remora.
Riempì un bicchiere d’acqua e lo portò
a sua sorella con altrettanta rapidità;
il tutto, senza neanche considerare la presenza di Florence, che la
guardava
allibita e al tempo stesso furiosa. Non le piaceva essere ignorata:
Alice
l’aveva capito e ormai amava sfruttare la cosa a suo
vantaggio. Si divertiva a
vedere quell’espressione di sgomento comparire sul suo volto,
per lasciar
spazio al cipiglio severo e collerico, tipico di quando doveva
reprimere
l’istinto di metterle le mani addosso. Più di una
volta negli ultimi tempi
l’aveva vista mentre
meditava di
picchiarla, o mentre diceva a suo padre, disperata: “Quella
ragazzina danneggia
terribilmente i miei nervi, Lewis. Sono così
stanca…”
La cosa più divertente di tutte, però, era sfidarla, imitandola e
riportando parola
per parola le frasi dette da lei non più di qualche ora
prima, lasciandola di
stucco. Era il modo migliore di vendicarsi, secondo Alice. Avrebbe
voluto
tormentarla fino a farla fuggire. Lo avrebbe fatto per sua madre e per
toglierle la soddisfazione di prendere possesso della casa, della
gioielleria e
dei beni di famiglia. Purtroppo, però, col passare dei mesi
la situazione era
degenerata. L’ultima volta che Florence le aveva fatto una
sceneggiata davanti
a suo padre, lui l’aveva minacciata di sbatterla fuori di
casa.
Alice, non avendo ancora un progetto di vita preciso, non si sentiva
ancora
pronta. Il suo piano per lasciare l’odiato nido non era
ancora completo. Del
resto, era da poco che aveva deciso di lasciare che tutto cadesse in
disgrazia.
Così aveva deciso di non dire nulla che non fosse
necessario, per non dover
lasciare prematuramente la città, benché
quell’orribile donna non attendesse
altro.
***
Dopo aver dato da bere a Cynthia e averla tranquillizzata, Alice fece
per
andare in camera sua, seguita come un’ombra dalla crudele
matrigna e
istitutrice, che non l’aveva mollata un attimo quella
mattina. Chiuse la porta
con un gesto di stizza proprio davanti al suo viso, infischiandosene
della
buona educazione, lasciandola fuori e godendosi per un po’ la
quiete della sua
stanza, mentre la sentiva chiaramente brontolare e sbuffare dal
corridoio.
Si sedette sul letto, portando al petto le ginocchia e voltandosi
leggermente
verso la sua sinistra per ammirare il candore della neve che ricopriva
il
paesaggio che si estendeva fuori dalla finestra.
D’improvviso, un colpo di
vento fece aprire violentemente le imposte verso l’interno.
Era un vento
sorprendentemente leggero, ma freddo, tanto da far sentire ad Alice un
forte
pizzicore sulla pelle.
C’era solo una ragione per quell’evento semplice e
insieme straordinario.
Rimanendo seduta sul letto, annusò quell’aria
fresca quasi con avidità, stanca
dell’odore forte del profumo di Florence, che le dava alla
testa.
Odore di fiori, come immaginava.
Qualche lacrima colò spontanea dagli occhi di cioccolato
della ragazza. Era
bello poter sentire ancora la presenza di sua madre. Era
l’unico conforto che
aveva nella sua miserevole vita. Non le mancavano gli agi, ma solamente
per una
questione di formalità. Suo padre e quella che si rifiutava
di definire la sua
nuova madre le compravano ancora degli abiti dignitosi solo per dare a
tutti
l’impressione che la loro fosse una famiglia felice e sana.
L’inferno era
dentro quella casa, quando erano soltanto loro. I desideri di Alice
venivano regolarmente
soffocati. Quando chiedeva gentilmente qualcosa, le veniva puntualmente
negato.
Per questo aveva smesso da qualche mese di disegnare (tranne quando
qualche
volta Cynthia le offriva della carta e una matita). Cynthia, invece,
veniva
accontentata in tutto, ma era dalla sua parte, anche se non poteva
certo
esprimere la propria opinione o andar contro suo padre, essendo ancora
molto
piccola.
Alice lo capiva e non gliene faceva una colpa. Anzi, un po’
le invidiava l’ingenuità
e la docilità che aveva ereditato dalla madre. Simili
riflessioni le
ricordavano inevitabilmente quanto lei fosse più simile a
suo padre nel
carattere, per quanto la cosa la ripugnasse.
“Simili, non
uguali.” Si ripeteva
ogni volta, ricordandosi che lei combatteva, sì, ma per
cause giuste, per
nobili intenti che solo il padre che aveva una volta avrebbe
perseguito. Quando
era a casa, lo guardava con aria di biasimo, mentre lui era girato o
distratto.
“Guarda cosa sei diventato… dubito che questa
donnaccia rimarrà per molto al
tuo fianco. Il tempo sta passando anche per te. Ne vedrai i segni
ancora prima
degli altri, perché per quanto meschino tu sia, non
è facile convivere con le
colpe che ti porti addosso. Uccidere la mamma, prendere con te la donna
con la
quale l’hai tradita per anni, recitare una farsa per essere
ben visto in
società… Stai già pagando il tuo
debito e presto sconterai anche gli interessi.”
Questo pensò fra sé, ricordando quando
l’aveva visto qualche ora prima chino ad
attizzare il fuoco nella sala lettura. Era andato lì di buon
mattino, per
rilassarsi prima di andare a trovare nuovamente sua sorella.
Cynthia entrò in camera, bussando. Salì sul letto
di Alice, sedendosi di fronte
a lei, poi le prese le mani.
“Alice, va tutto bene?”
“Sì, piccola Cindy, benissimo.” Rispose,
esitante. “E tu come stai?”
“Meglio, grazie. Sono ancora sconvolta per la vicenda di Zac.
Mi manca tanto,
lo sai?” rispose Cynthia, ancora malconcia, abbassando lo
sguardo e arricciando
un po’ le labbra.
“Anche a me, Cindy, credimi.”
“Però ho anche paura.”
“Perché?”
“Perché sono una bambina cattiva, Alice. Lui
adesso è in cielo, ma io finirò di
certo all’inferno. Ho pensato una cosa tanto
brutta.” Piagnucolò, sporgendo
appena il labbro inferiore, con gli occhi lucidi.
“Che cosa hai pensato, tesoro? Dimmi.”
“Ho pensato che… un po’ è
stata colpa sua se
ora non c’è più. Ed è anche
colpa
di Ronald. Se solo ti avessero ascoltato…”
“Non hai pensato nulla di male, piccina. Stai tranquilla. Ma
non farti sentire
da Florence o da papà. Non voglio che sappiano.”
“Alice, ma perché indovini tante cose? Come fai? E
perché non puoi dirlo più a
nessuno? Tu non c’entri nulla, ma ho sentito dei signori al
funerale che
dicevano cattiverie su di te. Dicono che porti il malocchio, che
è colpa tua.
Avrei voluto urlargli che non è vero, che tu sei buona,
forte… dovresti
combattere e farli smettere…”
“Cindy, non so neanch’io perché indovino
le cose, come dici tu. Succede e
basta. E non voglio che nessuno sappia cosa ho detto a Ronald e Zac,
perché
tutti credono sia una cosa brutta, come hai visto. Non posso
più combattere
contro tutta questa gente. Non fanno che parlar male di me da quando
ero
piccola, quando mamma e papà non potevano sentire.”
“Ma tu l’avresti salvato!”
esclamò la piccola.
“Lo so” la interruppe Alice “ma tutti
dicono che è solo un segno di sfortuna,
lo sai. Per me a volte è anche divertente, invece.”
“Te lo prometto Alice, non lo dirò a
papà e neanche a Florence. Lo so che non
ti piace neanche un po’.”
Alice arrossì leggermente. Cynthia la conosceva meglio di
chiunque altro…
chissà perché, in quel momento aveva voglia di
abbracciarla forte, mentre
sorrideva, furbetta, compiaciuta per aver indovinato anche lei qualcosa.
L’odore di fiori, che non l’aveva più
lasciata, era sempre più persistente.
Veniva da sua sorella. Che fosse un segno?
La mamma fino ad allora non aveva mai sbagliato. Ancora una volta,
Alice le
avrebbe dato ascolto.
“Visto? Ho i poteri anch’io! Ho i poteri
anch’io!” cantilenò sottovoce.
“Ti voglio bene, Cindy.” Sussurrò,
interrompendola, e la strinse a sé.
“Anch’io Alice. Tanto.” Disse, scossa
dai singhiozzi, la piccola Cynthia,
mentre rispondeva al suo abbraccio, liberandosi ancora un po’
del dolore e
della frustrazione accumulati.
Improvvisamente, si sentì suonare alla porta.
“E’ papà… abbiamo ospiti,
Cindy.” mormorò Alice, il volto teso senza una
ragione apparente.
“Rimettiti in ordine, non vorrai farti vedere
così.” Aggiunse, più dolcemente,
sciogliendo l’abbraccio.
Cynthia
annuì e si risistemò in fretta. Era certa che
Alice avesse visto qualcosa di
brutto, ma non osò domandarle alcunché. Presto
avrebbe scoperto da sola cosa le
attendeva nell’ingresso…
Angolo dello
Sproloquio
Vi ho fatto davvero aspettare troppo per questo
nono capitolo. Lo so bene, e spero mi perdonerete.
L'ispirazione ha fatto i capricci e il tempo non è stato
altrettanto gentile con me. Sono stata presa dagli esami e dall'inizio
della scuola al punto da non avere più nemmeno 5 minuti per
scrivere. Quando finalmente avevo la fortuna di avere anche solo un po'
di quel tempo che tanto desideravo, le idee non venivano e il mio
grande progetto era andato
temporaneamente a farsi friggere, per usare un eufemismo.
Spero che abbiate ancora voglia di leggere i frutti della mia mente
depravata. Se lo farete, avrete la mia eterna gratitudine, sappiatelo.
Ma parliamo di cose serie...
Il capitolo è abbastanza fresco. Si parla un po'
più di
Cynthia e del rapporto tra le due sorelle, l'accettazione del lutto da
parte della piccola... il tutto condito da mancamenti e crolli di
nervi, strizzando un po' l'occhio alla mia adorata Jane Austen (lungi
da me l'intenzione di paragonarmi a lei). Ci volevano proprio, direi.
Pur essendo apparentemente semplice,
penso sia un capitolo interessante e ricco di spunti. E' stato un vero
piacere scriverlo. :)
Le prime righe le avevo buttate
giù tempo fa, ma il resto l'ho scritto quasi tutto
in
viaggio. Il più l'ho fatto il 25 ottobre, tornando da casa
di
un'amica, mentre ero su un tram fin troppo simile al Nottetempo. La
cosa mi ha inevitabilmente ricordato il mio buffissimo sogno su Robert
(vedete i precedenti AdS ;D) e, per
l'ennesima volta, ho pensato a voi e a quanto lavoro avessi da fare. :)
Così, durante un viaggio turbolento, tra la
velocità
folle dell'autista, le curve continue, gli "spioni" (ma
perché
tutti vogliono sbirciare mentre scrivo? ç.ç) e le
luci
che si accendevano e si spegnevano continuamente, ho scritto con la mia
grafia tremolante
qualcosa come 3 pagine di quaderno sulla mia amata Moleskine. Dovrei
comprarne una nuova, a proposito.
Insomma, che sia stato l'isolamento da mezzi pubblici o il freddo
autunnale, il capitolo prendeva forma, e più scrivevo,
più mi venivano idee, al punto che ho dovuto fermarmi e dire
"Ok, dobbiamo trovare una fine al capitolo 9, così
è
troppo lungo".
Da questo mio rush creativo, quindi, è nato anche il
capitolo 10, che è ancora in fase di perfezionamento. :)
Scommetto che vi piacerà, perché vi
farà capite
qualcosa in più di un certo personaggio... "Quale
personaggio?"
vi chiederete. Vi rispondo subito. :)
Ho
pensato fosse giusto parlarvi di Florence e della sua storia
personale nel prossimo capitolo. La odiamo tutti, credo (non
è
proprio un angioletto,
in effetti). Il problema è che scrivere di lei come una
"cattiva
per natura" mi sembrava troppo semplicistico, riduttivo. Volevo darle
veramente vita, carattere, perché non amavo che fosse solo
una
specie di fantoccio, di espediente, uno di quei personaggi dalla
presenza passeggera che si odiano e basta, come un punchball a cui si
tirano colpi che vorremmo destinare volentieri a certe persone (ho una
bella lista di "bersagli", in effetti)...
Come Lewis, doveva lasciare
il segno. In questo senso, Florence è un personaggio
più
forte di Emily, che invece era praticamente una santa. Di lei ho
detto qualcosa in meno perché volevo semplicemente che si
pensasse a lei con un nodo in gola, con nostalgia. Volevo che, leggendo
queste pagine, pensaste: "Peccato sia morta, avrei voluto conoscerla
meglio".
Volevo, in pratica, che io e voi
potessimo entrare in simbiosi il più possibile con il
personaggio di Alice, che senza sua madre si sente svuotata, persa, ma
che al tempo stesso cova un desiderio di vendetta, di
giustizia, perché ha visto spegnersi sotto i suoi occhi la
vita
di un essere innocente e assolutamente buono.
Vengono le lacrime anche
a me, a ripensarci... credetemi, scrivere della sua morte è
stato più difficile di quanto non vi abbia detto (ancora non
riesco ad
accettare la cosa). So che potrà sembrarvi patetico, ma amo
i "miei"
personaggi (o meglio, l'idea che ho voluto darvi di loro, visto che
sono stati estrapolati dal background di Twilight), ciascuno in modo
diverso. Ucciderli è come dire "Ok, oggi decido di far fuori
qualcuno".
Non è esattamente una passeggiata. Ma sorvoliamo,
altrimenti dovrò utilizzare persino la carta vetrata per
asciugare le lacrime.
Al contrario di Emily, vi dicevo, Florence è un tipetto
deciso,
capriccioso, egoista e - questa ve la concedo - assolutamente
detestabile (non ve ne eravate accorte, vero? xD). Ma, mettendomi nei
vostri panni, ho capito che non c'era
una spiegazione di fondo, qualcosa che giustificasse il suo
comportamento. Forse non ve ne fregherà niente, ma leggendo
con
attenzione la storia io stessa, da autrice (se così posso
definirmi... .-.) sentivo che questa parte non reggeva.
Mancava qualcosa perché il quadro fosse davvero completo.
Insomma, ho sfruttato i primi capitoli solo per parlarvi della vita di
Lewis ed Emily prima del matrimonio (scavando addirittura nella loro
infanzia)... una digressione anche su Florence ve la dovevo, no?
C'è ancora molto da scrivere - e leggere - sulla nostra
Alice, ma
poiché non ho scritto ancora nulla di definitivo, non mi
sento di andare oltre con le anticipazioni.
Non temete, farò in modo che il prossimo capitolo valga
l'attesa. Sarà il mio personale ringraziamento a voi che mi
seguite e mi avete fatto ritrovare l'ispirazione.
Grazie dal profondo del cuore. :)
K.
P.S.: avevo dimenticato una cosa a cui tenevo tantissimo... una specie
di piccolo sondaggio, per conoscervi meglio e per concedermi un altro
po' di momenti Slice of Life (ne avevo bisogno).
Di solito, quando scrivo, metto musica molto tranquilla o che fa parte
di una playlist (sì, ne creo qualcuna di tanto in tanto, per
aiutarmi) o delle mie "fisse" del momento. Col sottofondo giusto si fa
tutto in modo più piacevole, no? :) Per completare il
quadro,
brucio dell'incenso delle fragranze che più mi piacciono
(incenso semplice o aromatizzato alla lavanda o quello col profumo
dell'oceano, alla rosa...) e bevo dell'ottimo té
(già
d'obbligo per me nel mio "teatime". Ho un orologio biologico con
devianze goth/British.)
Questo è tutto ciò che mi serve per
scrivere/leggere/disegnare/creare... like a sir! xD
E voi? Cosa fate quando scrivete (o leggete)? Mordicchiate le matite,
guardate fuori dalla finestra, cantate coi canarini....? Ditemelo con
un commento, se vi va. E fatemi sapere che ne pensate della storia!
<3
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