Bloody Wonderland

di Kristen Williams
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Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Spark of insanity ***
Capitolo 2: *** A family affair ***
Capitolo 3: *** A fake Equilibrium (I) ***
Capitolo 4: *** A fake Equilibrium (II) ***
Capitolo 5: *** A fake Equilibrium (III) ***
Capitolo 6: *** Helplessness ***
Capitolo 7: *** Usurpation ***
Capitolo 8: *** Visions and Plots ***
Capitolo 9: *** Flowers and Snow (I) ***



Capitolo 1
*** Spark of insanity ***


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DISCLAIMER
Questa fan fiction non è a scopo di lucro.

Alice, James e Victoria sono di proprietà di Stephenie Meyer (e ci mancherebbe altro!).

Le canzoni e le immagini che hanno ispirato questa storia sono proprietà dei rispettivi autori (vorrei vedere u.u).

L’autrice non intende commettere alcuna violazione del copyright.

 

 

 

A chi crede in me, mi ama così come sono e mi sta vicino nonostante le difficoltà, senza voltarmi mai le spalle.
A chi sperimenta  e ama il rischio al punto da leggere il frutto delle mie fantasie notturne e dei miei deliri “all-day-long”.
A Stephenie Meyer, senza la quale tutto questo non sarebbe stato possibile.
A tutte quelle persone che mi ispirano ogni giorno, per un motivo o per un altro.
E, perché no, anche a questi adorabili esserini presi in prestito e usciti dalla mia mente traviata, che devono sopportare capricci, ripensamenti e tutto ciò che è possibile patire in quanto  personaggi letterari.

Ma soprattutto, a tutte quelle persone meravigliosamente pazze, che vedono un mondo al contrario. Non permettete a nessuno di fermarvi e infrangere i vostri sogni.

Con infinito amore,

K.W.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 1: Spark of insanity

A Jeff Dunham, la mia dose di elettroshock preferita

 

Leakesville Memorial Asylum, Leakesville, Contea di Greene, Mississippi – Ottobre 1920

 

Una ragazza in una stanza buia, sola, seduta su un letto sporco, arrugginito e scomodo. Non ricorda nemmeno da quanto tempo non si sentiva così triste.
Intorno a lei, ogni tipo di rumore: urla, passi, perfino bestemmie, prontamente interrotte ogni volta da colpi di frusta, percosse o punizioni di altro tipo, che atterriscono e lasciano doloranti gli ospiti di quella che sembra un’assurda reggia sopraffatta dal tempo e dal dolore degli strani individui che ospita nei suoi appartamenti sciatti. La struttura, circondata da una natura lussureggiante benché in stato di abbandono, accoglie entro le sue mura ormai da anni grida, ordini, nefandezze di ogni genere - secondo alcuni persino fantasmi - al punto che nessuno dei cittadini osa avvicinarvisi. Gli alberi, gli arbusti spuntati qua e là, l’erba a tratti più alta e a tratti quasi inesistente, colma di fiori come un cielo trapunto di stelle, ingentiliscono non poco il suo aspetto altrimenti trascurato.
 “Perché sono finita qui?” pensa fra sé e sé la giovane donna dall’aspetto di folletto, rimirandosi il polso destro, sul quale spicca un numero tatuato, lo stesso che da ben due anni, con il suo inchiostro blu scuro, ormai leggermente sbiadito, porta sulla sua pelle di porcellana: 41627.
Si guarda intorno. La stanza anonima, con le pareti tinte di un verde triste e smorto e le piastrelle bianche rovinate e sudicie, odora di chiuso, di stantio, talmente tanto che quella piccola creatura si sente soffocare. Sembra quasi una fatina intrappolata in un barattolo: spaventata, indifesa, disperata.
Riesce a percepire i movimenti di ogni singolo essere lì intorno, isolandoli uno per uno dal frastuono di sottofondo. I suoi sensi sono acuiti dalle pessime condizioni in cui vive da chissà quanto tempo.
Si raggomitola sul letto, come per proteggersi da qualcosa. Qualcosa che la tormenta sin da piccola e che ora è diventata la sua condanna.
La gente le chiamava nei modi più disparati: deliri, immaginazioni, visioni, assurdità, maledizioni, allucinazioni.
Premonizioni sarebbe stato il termine più corretto. Glielo diceva anche la mamma, la sua dolce, fantastica mamma. Quante volte l’aveva confortata, mentre piangeva disperata e offesa dal modo in cui adulti e coetanei la apostrofavano…


«Non importa ciò che dice la gente là fuori. Hai un dono diverso dagli altri e questo può spaventare o suscitare invidia. Ma non temere, Mary Alice, non c’è nulla di malvagio in te. Queste tue doti ti porteranno lontano e ti renderanno grande.» Diceva in tono rassicurante, mentre lei, piccola, innocente e senza tutta questa voglia di crescere, la guardava negli occhi con aria un po’ spaventata e al tempo stesso si lasciava cullare dalla sua voce melodiosa e tranquilla.
«Diventerai alta e sempre più bella, anno dopo anno … ma anche quando questo accadrà, rimarrai sempre la mia piccola dolce Alice.» Aggiungeva, con un sorriso, stringendola a sé e continuando a passare le mani candide e profumate di fiori tra i lunghi boccoli neri che amava tanto, mentre la sua amata bambina si lasciava inebriare dal profumo della sua pelle e dal calore delle sue coccole, sentendosi protetta al sicuro, quasi avesse paura che tutto questo non fosse destinato a durare per sempre. E non aveva tutti i torti, visto quello che accadde qualche tempo dopo…


«Resta sempre la piccola Alice, resta sempre Alice… » sussurra, sgranando gli occhi, in preda al panico, mentre dei fotogrammi confusi e delle urla di dolore mettono in allerta i suoi sensi e inibiscono la sua lucidità. Ripete quelle parole cento, mille volte, fino a perderne il conto, come per autoconvincersi.
Si tocca i capelli e prova una strana meraviglia nel sentirli corti. Dovrebbe essersi abituata ormai, ma quello stato di incontrollabile agitazione le impedisce di ragionare in maniera lineare e rapida.

“E’ vero… l’epidemia di tifo… due mesi fa…”

Le erano stati tagliati dal personale del manicomio (così tutti chiamavano il posto in cui si trovava adesso), che l’avevano trascinata a forza in infermeria per controllarla e, nel caso, metterla in quarantena. Si era ribellata più che poteva – la sua mamma non avrebbe mai tollerato un simile scempio – ma era stato tutto inutile. Sotto gli occhi impietosi del direttore, un paio di infermieri l’avevano legata alla lettiga con spesse cinghie di cuoio, mentre un terzo, armato di lunghe forbici, la privava della lunga, morbida chioma di cui andava tanto fiera.

Tutto ad un tratto, si catapulta fuori da quel labirinto di ricordi e fa per un attimo ritorno alla realtà. Un continuo brivido le scuote mente e corpo in contrasto con la sensazione di torpore che esso lascia dietro di sé. Ogni frazione di secondo è una tortura, un’agonia continua, rinnovata e Alice ne percepisce tutto il peso.
Inaspettatamente viene investita da una nuova sensazione. Si sente come trascinata in un vortice, come un mulinello la cui corrente, inarrestabile, attira con violenza verso di sé tutto ciò che c’è intorno. Inizia a vedere bianco intorno a sé, il fiato corto e il corpo madido di sudore.
Il flusso dei ricordi, una forza che conosce fin troppo bene nella sua forma più distruttiva, prende possesso ancora una volta della sua mente con prepotenza, senza neanche chiederle il permesso,  lasciandole dentro solo paura e una gran voglia di piangere.
Altre immagini passano davanti ai suoi occhi, dapprima sbiadite, poi via via più nitide, come se stesse riacquistando gradualmente la vista. Nella sua testa si agita un turbinio di voci: quella della mamma, quella di suo padre, imperiosa e austera, quelle degli abitanti di Biloxi…

«Ecco la visionaria! Attenti  alla spiritata!» gridano i bambini, fuggendo lontano da lei.

«Strega! Al rogo la strega! Brucia, figlia del diavolo!» incalzano in coro gli adulti, quasi fossero a messa, guardandola con aria torva, alcuni brandendo torce e forconi come si faceva soltanto molti secoli prima di allora.

«E’ soltanto pazza.» Asserisce in risposta suo padre, per placare la folla urlante.

I bambini, crudeli, ora compongono canzoni con gli insulti che vengono loro in mente, accompagnandole con sguardi crudeli e allegri balletti.

«Al riparo, ora è arrivata! E’ Mary Alice la spiritata!»

Un urlo di dolore esce prepotentemente dalla sua bocca, propagandosi in un’eco straziante nella cella vuota e nel lungo corridoio freddo, spoglio e polveroso, coprendo i mugolii e gli altri rumori prodotti dagli abitanti delle celle vicine.
Si sforza di distogliere la mente da quelle orribili sensazioni, ma ogni suo tentativo è ormai vano. Non resta che arrendersi e abbandonarsi alla corrente, sperando di sopravvivere.

Speaker's corner Angolo dello Sproloquio

My God, che emozione! Il primo capitolo... sono così in ansia.... Non so ancora cosa ne pensate (a parte te, piccola Seele) e penso che mi rosicchierò i gomiti finchè non leggerò le vostre recensioni. Sarà già tanto se ne avrò un paio credo, non ho scritto un'introduzione molto accattivante. Ma la dedica dovevo assolutamente metterla (e il disclaimer pure, altrimenti zia Steph mi sgozza nel sonno xD). Che dire, fino a qui non succede ancora molto, è il primo capitolo in fondo. Inutile dire che da questo momento in poi inizia un lungo, lunghiiiiissimo flashback. Ma torneremo al 1920, non temete, anche se credo che dopo questo salto temporale enorme ci vorrà la DeLorean. xD

Io me la rido, ma in realtà ho una fifa blu. Non so se chiedervi di essere clementi con i frutti della mia mente deviata o se chiedervi di non esserlo affatto. Perciò fate un po' come vi pare. xD A parte gli scherzi, spero davvero che questa storia vi piaccia e soprattutto prego Iddio di finirla bene e in fretta. Il mio proposito era di postarla solo una volta conclusa, ma ho seguito il consiglio di Seele (grazie mia cara :*) e così eccola qui, sul vostro schermo insieme a questo Angolo dello Sproloquio (si, credo che lo chiamerò così ormai).

Non temete, i prossimi capitoli saranno ben più consistenti e più in là ci saranno anche le foto dei personaggi principali (ebbene si, le ho trovate). Per il momento non vi dico altro: se questa storia vi piace, non vi resta che seguirla. :)

Grazie per aver letto questo capitolo fino alla fine e per aver sopportato anche i miei deliri.

That's all, folks! Al prossimo capitolo!

K.W.

PS: guardate i video di Jeff Dun-ham! E' un maledetto genio!

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Capitolo 2
*** A family affair ***


Capitolo 2: A family affair

 

Biloxi, Contea di Harrison, Mississippi

Lewis Brandon, un uomo alto e robusto dagli occhi di ghiaccio, non era esattamente il tipo di uomo che colpisce per la sua bellezza. Ma era un gioielliere, e quindi un ottimo partito che le ragazze della città non esitavano a contendersi, spinte anche dalle rispettive famiglie. Aveva deciso di seguire sin dalla prima gioventù le orme del padre, riscuotendo un discreto successo. Lavorando con pazienza e imparando a trattare con il pubblico aveva sviluppato ulteriormente quelle doti che si portava dentro già dall’infanzia: all’apparenza mite e inadatto all’esercizio di qualsivoglia attività commerciale, quello scricciolo dai capelli biondi e sempre in ordine nascondeva sotto quell’aspetto angelico un animo calcolatore, deciso e intraprendente, sempre teso verso ambiziosi obiettivi. Per farla breve, aveva quello che si suole definire lo spirito del mercante.

A costo di apparire impudente, era solito intromettersi negli affari del padre, inizialmente con suo grande disappunto. Nonostante la giovane età, il piccolo Lewis arrivò a guadagnarsi l’ammirazione e il rispetto di suo padre e di numerosi avventori della gioielleria, che spesso gli chiedevano consiglio. Quando trattava, che fosse al mercato per comprare frutta e verdura o tra le mura del negozio di famiglia, si sentiva un’altra persona, la più felice del mondo. Aveva come una scintilla negli occhi, lo notavano tutti. Quello era senza dubbio il lavoro per lui. Era capace di far concludere ottimi affari ai clienti e di garantire al tempo stesso ricchi profitti a suo padre, che lo ricompensava portandolo con sé nei suoi viaggi, facendogli scoprire così ulteriori segreti del mestiere.

Il tempo, però, passava per tutti e Lewis Brandon Senior non costituiva certo un’eccezione. Le rughe sul suo volto erano sufficientemente profonde, i capelli erano ormai del tutto imbiancati e il signor Brandon iniziava a sentire il peso degli anni. Era evidentemente giunto il momento di lasciare l’attività nelle mani di suo figlio, ma la cosa non generava in lui alcun sentimento d’ansia. Un bel giorno si recò dal notaio per sistemare tutte le pratiche necessarie e dopo un paio d’ore tornò a casa soddisfatto e con mille scartoffie per le mani. Le consegnò tutto contento a suo figlio, annunciando in modo trionfale la cessione dell’attività, ma senza suscitare in lui una reazione di sorpresa. In fondo se lo aspettava, e riteneva che fosse la scelta più giusta, naturale e proficua da adottare: sarebbe stato un ottimo padrone, ne erano certi tutti in famiglia, persino sua sorella Nancy, che avrebbe tanto voluto passare le sue giornate tra pietre preziose e clienti con cui chiacchierare.

Ormai il giovane Lewis era pronto per sistemarsi e muovere i suoi primi passi da vero uomo. Gli mancava soltanto una donna con cui stare e mandare avanti la stirpe.

Suo padre glielo ripeteva da molto tempo, ma Lewis non era attirato dalle signorine di Biloxi, terribilmente altezzose e arriviste – il male fiuta il male, come si dice –, e così era arrivato alla soglia dei vent’anni senza una ragazza da presentare alla famiglia. Perlomeno, tuttavia, non aveva commesso il grave errore di rendere pubbliche le sue frequentazioni, che non erano state altro che semplice passatempo, un piacevole intermezzo e nulla di più. Il che era tanto gradito a lui quanto più spiacevole per tutte quelle ragazze che si ritrovavano in breve tempo con il cuore spezzato, vedendo crollare come niente le loro aspirazioni.

Ma le cose cambiarono presto e Lewis si accorse che per consolidare la sua posizione sociale aveva bisogno non più di semplici compagnie, ma di una moglie, una donna di casa che gli assicurasse un’immagine rispettabile agli occhi dei suoi concittadini.

Un paio di mesi dopo, e precisamente il 20 marzo 1899, il caso volle che un cliente di vecchia data, il signor Eugene Bell, facesse visita al negozio, dando una vera e propria svolta alla sua vita.

I due si salutarono cordialmente, accomodandosi alla bella scrivania in ciliegio, l’uno di fronte all’altro, sulle sedie della stessa foggia del mobile. Il sole filtrava dalle finestre del negozio, esaltando i riflessi rossastri di quel legno stupendo e dando l’impressione di trovarsi all’interno di un grande braciere. Effettivamente, era come se si stesse accendendo un fuoco intorno a loro: ci si preparava a trattare. Il gioco preferito di Lewis stava avendo finalmente inizio, ancora una volta, con un’unica differenza: stavolta, per sua fortuna, Lewis avrebbe ottenuto da quell’appuntamento ben più di quanto si aspettasse.

«Lewie! Quanto tempo!» gli si rivolse con affetto quell’uomo un po’ paffuto, che lo conosceva da quando era ancora un bambino.

«Signor Bell, qual buon vento! Ditemi, cosa posso fare per voi oggi?»

«Caro Lewie, confesso di essere in seria difficoltà.» disse quello, sospirando.

«Per il prezzo, dite? Sapete che per voi sono disposto a scendere di molto.» aveva risposto con enfasi, ma mantenendo un’espressione neutrale, imperscrutabile.

«Non si tratta di questo, mio caro amico, ma di un problema che per noi uomini è ben più grave.»

Per un attimo il giovane rimase spiazzato. Aveva sbagliato, e si sentiva come un cacciatore che spara un colpo a vuoto. L’unica cosa che poteva fare era cercare di porre rimedio alla situazione.

«Chiedo scusa per questo grave malinteso, ma a questo punto credo di non aver ancora capito…»

Bell non se la prese troppo per le affermazioni azzardate di quel ragazzo. In fondo, conosceva i Brandon da molto tempo, anche se non in maniera così intima. Glissò abilmente su quell’imbarazzante equivoco e pensò bene di parlar chiaro e di andare dritto al punto. Di certo Lewis l’avrebbe apprezzato.

«Lewis, siamo uomini di mondo tutti e due e noto con piacere che siete sempre circondato da donne, ma mai che ne abbiate portata una a casa, a quanto so. E sapete che vi dico? Avete fatto bene! Le donne vi faranno diventare matto. Sono davvero difficili da accontentare, specie quando sono come la mia signora.» rispose, gioviale, il signor Bell, le mani grassocce e sudate giunte.

«Quindi dovete accontentare una donna e volete farle dono di uno dei miei gioielli, giusto?» rispose a sua volta il giovane, sfuggendo alle allusioni dell’amico come poté.

«Esattamente. Voi si che mi capite! Vedete, mia figlia compie diciannove anni oggi. Ho passato molto tempo a cercarle un regalo degno di questo nome, qualcosa di diverso dal solito… chessò, un abito su misura, un parasole nuovo… ma nulla può eguagliare la bellezza delle vostre creazioni, così ricche eppure così eleganti.»

«Troppo buono, signor Bell.» rispose, lusingato.

«E voi troppo modesto. Siete un buon uomo, l’ho sempre detto. Sareste perfetto per la mia Emily. Vi ricordate di lei? »

«Non molto, ad essere sincero. L’ho vista poche volte.»

Emily non aveva mai attirato molto la sua attenzione a quel tempo. In realtà, nessuno dei suoi coetanei, femmina o maschio che fosse, aveva mai suscitato il suo interesse. Piuttosto che giocare, infatti, preferiva rimanere in negozio con il padre. La cosa alla lunga aveva finito per annoiare la piccola Emily, costringendola a non fare più visita alla gioielleria dei Brandon. L’unica cosa che Lewis ricordava di lei erano i suoi capelli neri e lucidi, molto più folti di quei pochi, biondi e fini, che aveva lui. Ancora più indimenticabile era il broncio che metteva su ogniqualvolta si rifiutava di uscire con lei a giocare. Il solo pensiero lo faceva morire dal ridere a distanza di anni.

La voce del signor Bell lo riscosse dalle sue riflessioni.

«Mi sentite Lewis?»

«M-ma certo, signor Bell. Ero solo sovrappensiero.»

«Non c’è alcun problema. Vi stavo solo chiedendo se ve la sentivate di partecipare alla festa che daremo stasera per Emily, sempre che per voi non sia un problema. Mi rendo conto di non avervi dato alcun preavviso e me ne scuso.»

«Siete sicuro che sia il caso?»

«Assolutamente. E poi come potrei non ripagarvi delle splendide figure che mi avete fatto fare in tutti questi anni? Invitarvi, come feci al tempo con i vostri genitori, mi sembra il minimo.»

«Non so come ringraziarvi, signor Bell. A questo punto direi di procedere senza ulteriori indugi nella scelta del regalo per vostra figlia.»

E così Lewis passò tutto il pomeriggio a tirar fuori parure, ciondoli, anelli e altre scintillanti meraviglie, sottoponendole al giudizio del suo cliente.

 

Alla fine si trovarono a dover scegliere tra una catenina d’oro con un prezioso pendente a forma di cuore finemente lavorato, con chissà quanti zirconi incastonati a formare il bordo e uno smeraldo al centro, e un filo di perle rarissime, semplice, elegante ma estremamente costoso e raffinato.

Decisero di donare entrambe le collane alla festeggiata. Naturalmente, il signor Bell volle acquistare il filo di perle, un po’ per l’entità del regalo che aveva in mente per sua figlia e un po’ per non scomodare eccessivamente il giovane Brandon, che non aveva certo intenzione di presentarsi a mani vuote.

«Vi farò uno sconto speciale su quella. » Concluse, mentre Bell era tutto intento a rimirare il pregevole manufatto ancora da impacchettare.

«Grazie infinite. Sapete, Emily non ama le cose costose. È un’ottima figlia, una ragazza semplice, buona e di poche pretese. Si commuoverebbe anche se le donassi un fiore di campo. Ma per una volta ho voglia di esagerare. »

«È proprio una ragazza da sposare, insomma. » Azzardò il gioielliere, che nel frattempo aveva ben pensato di cogliere al volo l’ennesima occasione che il Cielo gli offriva di metter su famiglia.

«Direi di si. È decisamente la miglior donna che si possa trovare in città. È anche molto brava con le faccende di casa e canta divinamente, non farebbe altro tutto il giorno se potesse. È anche nel coro della chiesa. Non vi è mai capitato di sentirla?»

«Mi rincresce, ma non sono mai potuto rimanere in città il fine settimana. C’era sempre qualcosa da fare: fiere, mostre, scambi… mio padre era instancabile e non pensava che al lavoro, e io non sono molto diverso da lui a quanto sembra. Per questo non riuscivo a recarmi così spesso in chiesa, se non fuori città.»

«Ma siete un bravo cristiano: generoso, onesto, devoto. Si capisce subito e Dio vi ha reso merito con il successo che avete avuto. Ora perdonate la fretta, ma penso sia il caso che vada a controllare i preparativi. Posso contare sulla vostra presenza stasera?»

«Senz’altro. Ed ecco il vostro pacchetto.» rispose Lewis, gentile, porgendogli la confezione che aveva preparato con cura.

«Quanto vi devo? »

«Ne discuteremo più avanti. Questo è un esperimento. »

L’uomo lo guardò, allibito. «Cosa? Che tipo di esperimento?»

«L’ho realizzata io stesso. Non l’ho detto a nessuno ancora, ma ho intenzione di buttarmi anche sul commercio delle perle e nell’oreficeria. Col tempo ho acquistato gli strumenti necessari e finalmente ho trovato del materiale di pregio su cui lavorare. Questo è il primo prodotto della mia nuova collezione, un’esclusiva praticamente.» Rispose, soddisfatto.

«Siete davvero un portento, lasciatevelo dire. È un oggetto di pregevole fattura, lo capirebbe anche un profano. Non vedo l’ora di presentarvi alla mia Emily. Sono certo che andrete molto d’accordo e vi ringrazierà tantissimo per questi splendidi doni.»

Detto questo, si salutarono. Si sarebbero visti quella sera stessa, tra la musica, il buon cibo della sua casa e l’allegria di tutti i parenti e gli amici che erano stati invitati con largo anticipo dai Bell, che per una volta volevano festeggiare in grande stile la loro unica figlia.

Angolo dello Sproloquio
Ecco qui anche questo secondo capitolo. L'ho postato così presto per darvi qualcosa in più da leggere e per portarvi subito con me indietro nel tempo.
Da qui iniziamo a scavare davvero nel passato, parlando di Lewis Brandon jr, il papà di Alice. Quel furbastro adesso si vanta delle sue creazioni come un bimbo dei suoi giocattoli, e per giunta ha rimediato un invito a una festa. Quando si dice la fortuna... Che ne pensate di lui? E della storia? Cosa succederà secondo voi? Su, su lasciatemi un commentino *-*
Al prossimo capitolo!

KW

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Capitolo 3
*** A fake Equilibrium (I) ***


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Capitolo 3: A fake Equilibrium (I)

 

 

Emily era diventata una bellissima giovane donna con capelli neri avvolti in morbidi ricci e gli occhi color cioccolato. Aveva lineamenti finissimi, che la facevano sembrare più piccola della sua età, si muoveva con estrema grazia e cantava divinamente. Sembrava una bambola di porcellana.

“Eugene non mentiva. È davvero bella come dice.” Pensò fra sé Lewis, prima di avvicinarsi a lei e di presentarsi.

Non fu meccanico e freddo come negli altri momenti della sua vita. Anzi, la purezza di quella fanciulla era disarmante e quasi subdolamente iniziò a instillare in lui dubbi, incertezze e nervosismo. Un rossore appena impercettibile gli velò le guance e entro breve iniziò anche a sudare. Si asciugò la fronte con il suo fazzoletto da taschino e si avvicinò, titubante.

La ragazza si voltò e incrociò il suo sguardo poco prima che le arrivasse di fronte. Lo riconobbe subito e rimase estremamente sorpresa: non si aspettava di rivederlo dopo tanti anni. Parlò amabilmente con lui, scherzando sul tempo in cui erano ancora dei bambini e da allora si incontrarono mille altre volte, finché non ufficializzarono il loro fidanzamento: la notizia finì su tutti i giornali della città. Emily era follemente innamorata e per la prima volta nella sua vita persino Lewis sembrò mostrare gli stessi sentimenti. Il ghiaccio che avvolgeva il suo cuore si scioglieva col passare dei giorni, dei mesi, degli anni.
I due si sposarono dopo pochi mesi, con grande gioia e sorpresa di entrambe le famiglie e nel 1901 furono benedetti dalla nascita di una bella bambina, Mary Alice, uguale in tutto e per tutto a sua madre. Nel 1910, poi, il destino volle che Emily desse alla luce una seconda figlia, la piccola Cynthia. Questi lieti eventi ebbero notevole risonanza e diedero ulteriore lustro e fama al buon nome dei Brandon e a quello dei Bell.

I primi godevano di una situazione economica della famiglia a dir poco ottima. Non si poté dire sempre lo stesso per i Bell, che dopo qualche anno si trovarono in ristrettezze in seguito a una serie di cattivi investimenti. Lewis, tuttavia, sembrò appena preoccupato per le cattive condizioni in cui versavano i suoi suoceri, tanto da tranquillizzare la giovane moglie, ben più angosciata di lui da ciò che stava accadendo. Promise, infatti, che avrebbe aiutato la famiglia di lei lavorando più duramente e facendo qualche sacrificio.

Così mentre Emily rimaneva a casa a svolgere i suoi compiti di moglie e di madre, Lewis era sempre in giro per lavoro, tutto preso da fiere, fornitori e dal commercio delle perle, che gli stava fruttando ancora più denaro della sola attività di famiglia. Per molto tempo, insomma, tutto sembrò andare a gonfie vele: la loro vita era assai frenetica, ma concedeva loro anche momenti piacevoli, come le feste in famiglia, qualche evento mondano  e l’andare di tanto in tanto ad assistere alla messa domenicale insieme.

Emily era felice di aver trovato un marito che l’amava e la rispettava. Lewis si era rivelato decisamente affascinante, più maturo del ragazzino dodicenne che aveva lasciato tra le mura del negozio del padre. Solo un lato del suo carattere era rimasto lo stesso, benché mitigato dall’amore reciproco e da anni di vita coniugale: la sua freddezza e la conseguente difficoltà ad esternare le sue emozioni. Scorgeva nei suoi occhi un lampo di vitalità diverso dal solito solo quando parlava di lavoro e della vita agiata che sognava di condurre da anni e che ora riusciva a condurre a fatica, per via dell’enorme debito dei suoceri ancora da colmare. Tuttavia, per quanto la cosa la facesse soffrire sul momento, si consolava dicendosi che in fondo il matrimonio era fatto anche di sopportazione, che il Signore le aveva donato un uomo buono e onesto e che in fondo amare il proprio lavoro ed essere tanto operosi per il benessere della famiglia non poteva essere un male.

Insomma, non poteva proprio lamentarsi ed era giusto ricompensare un così bravo marito con la fedeltà e la dedizione. Fu così che quando il signor Brandon, di ritorno dall’ennesimo viaggio, le chiese se desiderava una domestica, lei rifiutò gentilmente la sua offerta.

“Mio amato Lewis, fate così tanto per me… Abbiamo una famiglia, voglio portarla avanti io e non lasciare a nessun altro i miei compiti.”
Questa affermazione le procurò ulteriore stima da parte del marito.  O meglio, questo è ciò che credeva Emily finché una mattina di novembre, riordinando le cose del marito, trovò una lettera, o meglio, un insieme di lettere. Non ricordava di avergliene scritte così tante da quando erano fidanzati sino agli ultimi viaggi di lavoro, anche perché era difficile che si fermasse per molto tempo nello stesso posto.
Lesse l’indirizzo del destinatario e notò che era il loro attuale indirizzo. Come era possibile? Chi mai avrebbe inviato lettere a suo marito mentre era in casa? Qualche amico di vecchia data forse? Un lontano parente? O forse si trattava di comunicazioni importanti?
Per una volta Emily peccò di curiosità e cedette alla tentazione di scoprire il contenuto di quelle missive scritte su carta pregiata e profumate di una fragranza a lei estranea. Indugiò meglio su quel particolare odore, lasciandosi inebriare da esso, e capì che il mittente doveva essere necessariamente una donna. Ciò non fece che alimentare in lei il sospetto e la sete quasi masochista di conoscenza. Aprì la prima busta e lesse il contenuto. Una lettera tirò l’altra, quasi come le ciliegie, ma il gusto che quelle parole le lasciarono in bocca fu tutt’altro che dolce e liquoroso.
Approfittò del fatto che le piccole fossero in un’altra stanza con la loro istitutrice, Mrs. Willoughby, per versare tutte le lacrime che aveva  e lasciare il dispiacere in un angolo del suo cuore. Non ne avrebbe fatto parola neanche a Lewis. Non doveva venire a conoscenza di quella terribile scoperta.

Angolo dello Sproloquio
E anche questo terzo capitolo è andato. Lewis come vedete è baciato dalla fortuna, ma pare che non se la sia meritata poi tanto, non credete?
Non vi anticipo nulla perchè il prossimo capitolo sarà decisamente più intenso. L'unico piccolo spoiler che posso fare riguarda il titolo. Come avrete notato c'è quel piccolo I tra parentesi. Ebbene, questo capitolo è il primo di un trittico. Ho deciso di chiamare così questi capitoli perchè fondamentalmente ruotano tutti intorno a questa idea di famiglia che si sgretola o che, comunque, ha qualcosa che non va. Le mie abilità (ma dove? XD) di photoshoppaggio hanno donato alla nostra Alice una splendida chioma boccolosa e, nei capitoli precedenti, un nuovo look. La verità è che Alice e Emily sono identiche. Le ho immaginate così un po' per le arcane vie percorse dalla mia mente bacata e un po' per esigenze di trama. Questa somiglianza diventerà abbastanza importante in futuro, vedrete. (nella targhetta del secondo capitolo chiaramente la ragazza è solo Emily, ma nei successivi c'è una forte ambiguità tra le due donnine in questione)
Ora vi lascio con due piccole curiosità...
1. I suddetti 3 capitoli li ho scritti con un aiuto molto speciale: Starlight dei Muse. Le sue note hanno stimolato moltissimo la mia produzione, non so spiegare bene il motivo. Forse perchè ero semplicemente rilassata, in pace. Forse è stata la magia di zia Stephenie, chi può dirlo? Del resto anche lei li ascolta scrivendo. Forse è proprio questo il suo segreto, la Fonte dell'Eterna Scrittura! E senza eseguire alcun Rituale Profano (gran bello sbattimento per i miei adorati POTC)! Segnalerò questa scoperta alle autorità competenti, che ricorderanno in questo giorno come il giorno in cui Kristen Williams ha scoperto la Fonte!
2. Commento-Crossover a parte, un ringraziamento gigante e che non verrà mai letto va a CSI Las Vegas, da cui ho preso in prestito il cognome dell'istitutrice. Chi lo segue capirà al volo da chi ho tratto ispirazione.
Prima di chiudere, una piccola domanda: cosa ne pensate delle targhette? *-* Su, su, ditemi che sono curiosa!
Ah, dimenticavo! Grazie alle tre dolci donzelle che hanno commentato questa storia e quella su Harry Potter (Amor31,RAB e Seele).
Bacioni!

KW

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Capitolo 4
*** A fake Equilibrium (II) ***


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Capitolo 4: A fake Equilibrium (II)

 

 

 

Biloxi, Casa Brandon, dicembre 1918

Alice, come sua madre, avrebbe ricordato quel maledetto giorno per sempre.

Era un mattino buio e freddo di dicembre. Avrebbe dovuto essere felice, come tutti i bambini della sua età, come la sua stessa sorellina: il Natale era sempre più vicino e presto avrebbero potuto pattinare sul ghiaccio insieme. Ogni anno non vedeva l’ora che arrivasse quel periodo.

Eppure una sensazione di ansia e tormento le annebbiava la mente, al punto che dovette lasciare prima della sorella la stanza adibita a studio.

Mrs. Willoughby quasi la fulminò con lo sguardo mentre si alzava dalla sedia.

“Miss Alice cosa fate? “

“Perdonatemi, Mrs. Willoughby, non mi sento molto bene quest’oggi. Possiamo interrompere qui la mia lezione, per favore?”
“E sia, signorina.” Rispose la donna mora e nerboruta dopo un attimo di silenzio. “Riguardatevi, mi raccomando. La prossima volta dovremo lavorare un po’ di più, d’accordo?”
“Come desiderate. Col vostro permesso ora andrei nella mia camera.”
Dopo un breve saluto, Alice sollevò appena la gonna e si avviò velocemente verso la camera padronale. Aveva avuto delle visioni. Visioni orribili, oscure. Stava sicuramente accadendo qualcosa. Da anni aveva capito di avere “una specie di potere” – così lo definiva parlando fra sé e sé – e sapeva che era bene affidarvisi.
Aprì senza troppi riguardi la porta della stanza e trovò la madre riversa sul pavimento, priva di sensi. Intorno a lei, mille buste e lettere aperte. Tra le mani stringeva debolmente un fazzoletto, che Alice scoprì umido di lacrime.

“Siamo forse sommersi dai debiti?” pensò fra sé.

Titubante, prese una delle lettere, tutte indirizzate a suo padre: se c’era qualche problema era decisa a scoprirlo e a risolverlo.

Lesse il contenuto di quei carteggi e scoprì che era estremamente confidenziale e che la firma del mittente, che era possibile scoprire solo aprendole, era sempre la stessa: Florence Baldridge all'inizio, poi soltanto Florence.

“Sarebbe stato meglio morire di stenti che vedere la famiglia sgretolarsi dalle fondamenta.” Disse, dando voce ai suoi pensieri.
Guardò nuovamente sua madre e tentò di risvegliarla. Finalmente, dopo molti tentativi, aprì gli occhi.

“Alice…” mormorò la donna, ancora sotto shock.
“Madre, so tutto.”
“Pazza incosciente! Se tuo padre vedesse questo disastro ci ripudierebbe immediatamente! Non avremmo dovuto… No, io non avrei dovuto…” rispose, alzandosi in piedi.

Alice perse il controllo di fronte all’atteggiamento omertoso della madre. “E avete intenzione di continuare a soffrire e a farvi del male? E per cosa?” gridò tra le lacrime.

Mrs. Brandon non ebbe il cuore di alzare le mani sulla figlia, né di rimproverarla per quell'atteggiamento impertinente, un po' per l'animo buono che aveva, un po' perché sapeva perfettamente di essere in torto. Strinse a sé la ragazza, scossa dai singhiozzi.

“Lo so, è una cosa orribile. Ma amo ancora tuo padre, Alice. Non posso cancellare un sentimento così forte e che dura da così tanti anni. Forse non sono più una buona moglie per lui, ma non posso certo finire in mezzo a una strada per simili inezie. Chiarirò questa situazione quanto prima e torneremo ad essere uniti. Ti prego, non farne parola con nessuno. Immagina cosa succederebbe. So che puoi farlo meglio di chiunque altro.”

Ad Alice mancò il coraggio di replicare. Sua madre conosceva bene la precisione e l’intensità delle sue visioni. La ragazza sciolse quell’abbraccio e la guardò di sottecchi.

“Perdonatemi, adesso mi ritiro nella mia stanza. Non mi sento molto bene.” Sentenziò, fredda.

“Alice, aspetta…”
“Non capisco come possiate sopportarlo.” Borbottò, dandole le spalle.
“Lo faccio per noi. Non avremmo un futuro.”
Alice non rispose. Lasciò semplicemente la stanza, piangendo. Continuò a farlo anche in camera sua. Non uscì per la cena e non volle nemmeno vedere l’amata sorellina, Cynthia. Se l’avesse fatto, di certo non sarebbe riuscita a tenere per sé quell’orribile segreto. La piccola ci rimase molto male, ma la madre la consolò prontamente.

 

Il giorno dopo il signor Brandon tornò dall’ennesimo, stancante viaggio di lavoro. Trovò tutta la famiglia ad accoglierlo, ma sentiva che qualcosa non andava. Emily non era più la stessa, sembrava quasi che sorridesse sforzandosi, come se fingesse. E Alice non lo abbracciò forte come al solito. L’unica che pareva davvero felice di vederlo era Cynthia, la cui vivacità pareva offuscata dall’ombra opprimente che sembrava essere scesa nei cuori delle altre donne di casa.
Evitò di fare domande: era certo che non ne sarebbe mai venuto a conoscenza della ragione di quei comportamenti, né era così interessato a scoprirla, anche perché avrebbe ricevuto in risposta un semplice “niente” o una cortese, traballante bugia.

Angolo dello Sproloquio

Come potete vedere, questo quarto capitolo è decisamente più breve dei precedenti. Si legge molto più rapidamente, perchè è tutto azione e i dialoghi sono molto più veloci e concitati.
Posso già annunciarvi che il prossimo non sarà affatto così.
E ora, una piccola curiosità su questa storia.
Per scriverla ho avuto bisogno di molte informazioni. Non ho insistito troppo sul contesto storico, non mi pareva il caso, ma l'ho ripassato, per cercare di immedesimarmi meglio nei personaggi. Poi ho guardato molte, moltissime foto per ispirarmi alla moda dell'epoca e per trovare immagini adatte per le targhette. Volevo farvi incontrare i personaggi, farveli conoscere. Volevo che io e voi li vedessimo allo stesso modo, per affrontare insieme questo assurdo viaggio nel tempo. Inoltre, ho dato un'occhiata anche a dei siti su Biloxi. Il suo simbolo è il faro e per comodità ho piazzato proprio lì i Brandon. Del resto, non potevo non mandarli in un posto così carino.
Il faro è stato il punto fermo da cui sono partita, poi mi sono permessa di romanzare un po' la struttura del quartiere dove vivevano i Brandon.
Inoltre, facendo il calcolo delle 2 Contee (il manicomio in cui ci trovavamo insieme a Alice era posto esattamente a questa distanza), mi sono subito imbattuta nella Contea di Greene. Per chi non lo sapesse, nei film è Ashley Greene che interpreta Alice. Buffa coincidenza, non trovate?
L'ho preso come un segno del destino e così ho pensato di andare avanti, perchè evidentemente ho qualcosa da dire e forse è giusto che io scriva di questo qualcosa.
Mi piacerebbe tanto sapere cosa ne pensate, capire che effetto vi fa tutto questo, che impressioni avete, ma non vedo commenti oltre a quelli di Seele e il numero delle visite cala con l'avanzare dei capitoli. Inizio a pensare che forse dovrei interrompere questo progetto, perchè evidentemente non piace così tanto. Sono molto combattuta, devo ammetterlo, anche perchè vedo tutto nero ultimamente.
Evito di annoiarvi ulteriormente e ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui.
Vi posto qui di seguito anche il link della mia storia sul fandom di Harry Potter: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=1091288&i=1
Se vi va, date pure un'occhiata, ma leggete attentamente l'introduzione. Non voglio spoilerarvi nulla, non me lo perdonerei mai.
Un bacione<3

KW

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Capitolo 5
*** A fake Equilibrium (III) ***


cap 5

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Capitolo 5: A fake Equilibrium (III)

A sette splendide piccole donne. Ad Amor31, Clio_96, fratrilli, moerar,
RAB 95, roxanne_789 e Seele, per aver apprezzato tanto le mie storie.




Sono lieta di annunciarvi che questo capitolo ha partecipato al concorso "C'era una volta" di Mary Whitlock... e ha vinto il primo premio!!! :D

Emily si divertiva sempre a raccontare alle figlie aneddoti sulla famiglia. Dopo quel triste giorno, però, smise di farlo. Non c’era più molto da dire. Nel suo cuore c’era solo desolazione.
Presto anche il marito si accorse del suo distacco nell’esporre quei fatti che prima la divertivano come pochi altri passatempi al mondo.
Dopo qualche settimana passata in questo modo, dopo molti altri viaggi, il signor Brandon si prese una domenica di riposo.
Febbraio era ormai finito e fuori erano rimasti alcuni residui di neve. Era stato un inverno tra i più freddi degli ultimi dieci anni e ancora se ne sentivano gli strascichi. La famiglia era riunita intorno al focolare, che diffondeva nella sala lettura un piacevole tepore e una luce rossastra, che da un lato era in accordo con le ricche tende cremisi, mentre dall’altro strideva in maniera impressionante col suolo imbiancato e la temperatura pungente di quel periodo.
Cynthia sedeva sulle ginocchia del padre, che le stava leggendo un libro. Mrs. Brandon e Alice ricamavano fazzoletti, federe e coperte per il suo corredo. Prima o poi avrebbe dovuto trovare marito, diceva sempre suo padre.
In verità c’era lì in città un ragazzo che sembrava interessato a lei. Era arrivato da poco a Biloxi e non si sapeva molto di lui. Era molto diverso da tutti gli altri, pallido come uno spettro e con lunghi capelli castano chiaro. Alice non provava alcunché per lui, a parte un forte senso di angoscia ogniqualvolta usciva di casa. Lo trovava sempre da qualche parte, ovunque ella andasse, con la schiena contro il muro e le braccia conserte, intento a fissarla, seguendone i movimenti. Di tanto in tanto chiudeva gli occhi e sembrava sospirare al suo passaggio. Arrossì al solo pensiero: non sapeva proprio come comportarsi, né aveva il coraggio di parlargli direttamente al fine di rendere esplicito il suo rifiuto per le attenzioni di lui.
Venne riportata alla realtà dalla voce di Cynthia.
“Alice! Alice! Hai sentito?”
“No, piccola, cosa hai detto?”
“Non io! Papà! Papà mi leggeva una favola! C’è un coniglio buffissimo!”
“E poi?” intervenne Mr. Brandon.
“E poi hai detto alla mamma e a Alice se si ricordavano di quella giornata nel bosco, vicino alla casa in campagna dei nonni, ma nessuno ha risposto.”
“Emily, non ricordi quando Alice era sparita? Era tornata con un coniglio grassoccio e peloso tra le braccia. Aveva saltellato goffamente nella sua direzione e lei l’aveva preso con sé senza problemi. Lo portava a fatica e per poco non caddero entrambi. E io allora le dissi che dalla volta seguente l’avrei portata sempre con me a caccia. Allora, ti ricordi?” incalzò ancora Lewis, con una risatina di circostanza.
“Si che mi ricordo.” Rispose lei, accennando stentatamente un sorriso.
“Ti divertiva tanto raccontare quella storia. Ridevi per ore pensandoci. Non ti diverte più?”
“Perdonami, ma sono estremamente concentrata e non bado molto a quel che sento intorno. E poi, l’ho raccontata così tante volte questa storia che ormai le mura di questa casa potrebbero narrarla al mio posto.”
Mr. Brandon non gradì poi molto la risposta di sua moglie. Si, c’era davvero qualcosa che non andava. Non aveva alternative: doveva prendere di petto la situazione. Fece scendere dalle sue ginocchia Cynthia e si alzò in piedi.
“Emily, possiamo parlare di là un momento?”
Il momento che la donna temeva di più era giunto. Quella sarebbe stata la resa dei conti. Tremante, non poté che acconsentire e alzarsi a sua volta.
“Bambine, rimanete qui, mi raccomando. Torniamo subito.” Disse, guardando le amate figlie.

Alice sgranò gli occhi, terrorizzata. Cercò di concentrarsi su entrambi, ma non riuscì a percepire alcunché. Ignorava totalmente cosa sarebbe accaduto di lì a poco, qualche stanza più in là. Le decisioni di entrambi le erano ancora del tutto oscure. Vi erano alcune possibilità: nel peggiore dei casi, poteva aver perso i suoi poteri oppure tardavano a manifestarsi (del resto non sapeva ancora dominarli perfettamente). Oppure ancora, le decisioni di entrambi non erano ancora sufficientemente chiare e dunque il futuro si sarebbe reso ancora più imperscrutabile.
Non ebbe modo di concentrarsi ulteriormente su quanto stava accadendo nella stanza adiacente a quella in cui si trovava. Cynthia aveva voglia di giocare. Alice partecipò, ma non così attivamente come avrebbe dovuto: la sua mente era altrove. Il suo cuore era lì con sua madre e temeva per la sorte dell’intera famiglia.
Vide tornare solo suo padre, rosso in volto e ancora tremante. Eppure non aveva udito alcun rumore poco prima: doveva aver portato la mamma in una stanza più lontana della loro camera da letto. Guardò quello strano essere che non sembrava nemmeno più lo stesso che l’aveva cresciuta. Ora sedeva sulla poltrona, col respiro affannoso e un tremore nelle membra che non gli era proprio.
“E la mamma?” chiese Cynthia, ansiosa.
“Arriva subito. Vero, padre?” disse Alice, anticipandolo nel rispondere alla piccola, con fare velatamente minaccioso, rimanendo in piedi al centro della stanza con fare spavaldo.
“S-si.” Mormorò Brandon, ancora provato dalla rabbia. Si sentì come intimorito da quell’atteggiamento. Alice lo osservò con attenzione. Improvvisamente, la testa iniziò a girarle e si sentì come se un treno la stesse investendo in pieno. Troppe informazioni, troppo dolore per essere sopportato dalla sua testa e dal suo cuore. Si sentì improvvisamente mancare e sui suoi occhi calò il buio.
Suo padre capì immediatamente cosa stava accadendo: era stato scoperto, spiato nelle sue più intime e losche intenzioni.
Sapeva benissimo che quei poteri che fino ad allora non le aveva permesso di esercitare, adesso erano così efficaci da risultare scomodi e pericolosi. Come sospettava, quella ragazzina disobbediente non demordeva benché lui la scoraggiasse, negando o sminuendo le sue capacità.

Emily entrò nella stanza e fu presa da sgomento nel vedere sua figlia priva di sensi sul pavimento.
“Portala nella sua stanza, immediatamente.” Ordinò suo marito con tono autoritario.
Adesso iniziava davvero a disprezzarlo. Ormai non si premurava neanche più di trattarla con un minimo di rispetto. Di fronte a tanta crudeltà verso di lei e verso la loro primogenita, Emily iniziò a pensare al passato, rimpiangendo i bei tempi andati, quegli anni felici in cui nessun altro aveva mai osato interferire e in cui lui la trattava come una dea o un oggetto di rara bellezza.
Ma non c’era tempo per le lacrime: ora Alice, la sua bambina, aveva bisogno di lei. La sollevò da terra e la tenne stretta a sé il più possibile, trascinandola fino alla sua stanza da letto, un po’ troppo distante dalla sala lettura.
L’adagiò sul letto con delicatezza e l’aiutò a riprendersi con dei sali e dell’aceto. Poco dopo la ragazza riprese conoscenza.
“Lasciaci soli.” Ordinò Brandon alla moglie, che obbedì senza discutere, senza nemmeno guardarlo in faccia.
Ritto in piedi davanti al capezzale della figlia, Lewis conservava ancora la sua aria impettita e fiera, pur rivelando una certa stizza nel suo sguardo.
“Dimmi cosa hai visto.”
“Sapete benissimo ciò che avete fatto. Perché dovrei ricordarvelo io?”
“Piccola insolente! Questa è l’educazione che ti è stata impartita! Quella sgualdrina di tua madre ti ha addestrato proprio bene vedo.”
“Sgualdrina, semmai, sarà colei che vi ha reso quello che siete ora, un avanzo d’uomo senza orgoglio né dignità, mosso solo dai suoi più bassi istinti e dal denaro. È grazie a quest’ultimo che vi ha sfruttato, promettendovi un erede maschio che vi facesse da garzone per poi lasciargli in eredità la gioielleria di famiglia. Del resto siete sempre stato un mercante. Quella Florence dell’Illinois vi ha fatto stare tra gli intellettuali, iniziandovi ai piaceri della vita, bramando per sé e per voi il lusso più sfrenato. Non c’è che dire, ve la siete scelta proprio bene.”
“Non osare mai più rivolgerti a me in questo modo, ragazzina!” ruggì l’uomo, indispettito dall’irriverenza con la quale la figlia sciorinava quel mare di verità e di misfatti. Fece per avventarsi su di lei, ma la giovane, leggera come una libellula, balzò dal letto e sfuggì alle percosse del padre.
“Vieni qui subito. Meriti una lezione.”
“Scordatevi di picchiarmi come avete fatto con la mamma poco fa. Guardatevi, siete una carcassa ormai: quella donna vi sta consumando. Giorno dopo giorno spendete soldi su soldi, usando sempre la scusa degli interessi sul debito dei nonni. Mentite alla famiglia, la vostra famiglia, negando ad essa il benessere che merita; viaggiate ovunque vi salti in mente, scialacquando quanto avete risparmiato. Poi tornate qui e lavorate come un disperato, poi altre fiere… Non meritate una donna come la mamma e lo sapete.”
Fu allora che Lewis perse totalmente le staffe. Si sentì come messo a nudo e iniziò ad urlare come un ossesso, il viso paonazzo.
“Tu starai chiusa qui in punizione senza mangiare per almeno tre giorni! E guai a chi ti porterà anche solo una briciola! Deciderò io quando sarà il caso di farti uscire. Sarà meglio che tu mi chieda scusa per accelerare le cose.”
Alice rimase in silenzio e lo guardò in cagnesco. Per tutta risposta, Lewis uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Dopo un tempo incalcolabile, Alice sentì la porta aprirsi. Con passo leggero, sua madre fece il suo ingresso nella stanza, tenendo per mano la piccola Cynthia. La ragazza accennò un sorriso.
“Per fortuna tuo padre si è addormentato.” Disse Emily sottovoce, quasi avesse paura che qualcuno sentisse.
“Papà è cattivo, vero mamma?” aggiunse Cynthia con aria innocente.
La donna esitò un istante, poi diede la sua risposta. “No, amore, è solo stanco.”
“Perché ti fa male e maltratta Alice se è stanco? Non dovrebbe dormire?” replicò la piccolina. Incredibile quanto i bambini siano in grado di rendere semplici anche le cose più assurde e complicate.
“Lavora troppo, amore. Lo capirai quando sarai più grande.” Rispose a sua volta la giovane madre, sforzandosi di sorridere.
Alice si rabbuiò. “Non dovrebbe dire questo a Cindy.” Pensò fra sé.
“Ti voglio bene, Alice.” Disse la sorellina, abbracciandola.
“Anch’io te ne voglio Cindy. Tanto.”
Alice la strinse più forte e fece fatica a trattenere le lacrime. Quella situazione era assurda: il male si era insinuato in quella casa, distruggendo tutto ciò che di bello vi era all’interno.
“Ora vado a letto, Alice. È tardi. Mamma, mi accompagni?”
“Si, piccola mia, andiamo subito. Aspettami lì sulla porta.” Rispose Emily dolcemente.
“Alice, hai parlato ancora delle tue visioni a tuo padre, vero?”
“Che altro dovevo fare? Vi ha picchiata, l’ho visto!”
“Non devi farti prendere dalla rabbia in questo modo. Controllati, tesoro, o ti farà digiunare ancora per molto tempo.”
“Meglio morire di fame e con dignità piuttosto che accettare passivamente che la famiglia venga distrutta per colpa di una biondina di facili costumi.”
Emily assunse un’espressione di tacito dolore, sentendosi colpevole per non aver protetto a sufficienza il suo nido da quell’intrusione. Aveva fallito come madre, come donna e come moglie.
Alice si accorse dell’involontario riferimento al comportamento di sua madre e si scusò prontamente.
“Sapete benissimo che non ce l’ho con voi. State seguendo l’istinto e forse è questa l’unica cosa giusta da fare. Quelle che stanno a casa come noi non possono certo combattere l’autorità di un uomo, specie se intellettuale. Quelli fanno quel che vogliono.”
Emily sembrò riprendersi e strinse forte a sé il suo piccolo angelo.
“Per fortuna ho voi, madre mia, e Cynthia, e questo mi basta.”
Emily la guardò, dolce, e le sorrise. Nei suoi occhi c’era il calore del profondo amore che nutriva per lei, ma anche tanto, tanto dolore.
“Qualunque cosa accada, figlia mia, io per voi ci sarò sempre.”
Alice sgranò gli occhi: nella sua mente echeggiavano le parole appena pronunciate dalla madre, ma i suoi pensieri si erano spinti ben più in là. Una luce bianca la investì e improvvisamente venne catapultata nel prossimo futuro. Ormai dopo tanti anni si era abituata alla sensazione, ma non poteva certo nascondere la sorpresa e lo sgomento che le suscitava l’arrivo così improvviso di quelle visioni.
Un alone nero avvolgeva tutto e tutti: era un presagio di morte.





Angolo dello Sproloquio

E anche il quinto capitolo è qui, tutto per voi. E' ancora più lungo del precedente (mi è uscito così stavolta). Avrete parecchio da leggere, almeno. :)
E' in questo preciso momento, credo, che i personaggi iniziano ad uscire veramente fuori. Finora mi ero dedicata solo a descrivere i fatti così com'erano, pur parlando dei sentimenti di ciascuno di loro; adesso, invece, si passa all'azione, alla svolta vera e propria. Da adesso tutto prenderà una piega molto diversa.
Lewis sta uscendo allo scoperto e Alice lo punzecchia abilmente (cosa che penso darà a tutte voi una gran soddisfazione). Emily non è in grado di contrastarlo, né di farsi vedere forte. Sembra quasi che non nutra alcun rispetto per se stessa, vero? E' piuttosto deprimente, ma purtroppo deve tacere per il bene di tutti.

Alice, invece, è bella combattiva e prova grande disgusto, come penso farebbe qualunque figlia/figlio nella sua situazione. Del resto Lewis le ha proprio tutte: è calcolatore - si è capito dall'inizio -, non è proprio bellissimo e per di più distrugge la sua stupenda famiglia per dei futili capricci (che si scopriranno in seguito ;D). Per di più ha una fortuna sfacciata, tipo Gastone. Non vi dà l'urto di nervi? A me si. Però, devo ammetterlo, provo un po' di pena per lui. Del resto ho deciso io di renderlo così cattivo e mi sento un po' in colpa. Pazienza... u.u
Cynthia non si fa notare molto, lo so, ma è estremamente dolce. E' quasi un soprammobile, tipo quei cherubini con le guance rosee e paffute che ti guardano dagli scaffali con i loro occhioni lucidi e hanno la sola funzione di essere carini, coccolosi e ornamentali, tutti da amare. *-* Ecco, è così che immagino questa piccola bambolina del primo '900. Non la spupazzereste anche voi? *-* Sapete, è un personaggio minore - non potevo dare lo stesso spazio a tutti - ma è uno dei miei preferiti. :)
Spero che anche voi amiate quanto me queste piccole creature e che magari vi ci affezioniate.
Continuate a seguirmi, altre novità vi aspettano nel prossimo capitolo. Fino ad allora, vi auguro di passare delle giornate stupende. C'è un bel sole ultimamente e mi mette davvero di buon umore. Dalle mie parti fa anche parecchio caldo e ho già messo canottiera e shorts. >.<
A parte questi piccoli commenti molto Slice of Life, vi ringrazio sinceramente per l'affetto che mi dimostrate. Sto notando la vostra presenza sempre di più e ne sono tanto felice. :) Fino a poco tempo fa ero piuttosto insicura su questa storia, temevo di aver sbagliato tutto. Credevo che fosse stato uno sbaglio pubblicarla e addirittura scriverla. Poi ho capito che non avrei potuto fare altrimenti, che se non l'avessi fatto avrei perso davvero molto, perchè non avrei avuto modo di conoscere voi e avrei sofferto come non mai per questo.
Grazie per la vostra pazienza. Come sempre, vi saluto con infinito amore.

Sinceramente vostra,

Kristen W.

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Capitolo 6
*** Helplessness ***


cap 5

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Capitolo 6:Helplessness

Errata Corrige e conseguente Dedica dell'Ultimo Minuto

Alla meravigliosa Ninfea Blu, che mi ha ricordato quanto il mio MS Word possa essere infame nel salvataggio delle modifiche, provocando così immani disastri. Chiedo perdono per l'equivoco sull'arma del delitto. La colpa è della mia sbadataggine nella rilettura e di Word che stavolta ha fatto il suo dovere per metà. Grazie per la pazienza.

Alice trasalì.
“Madre…”
“Alice! Alice, parlami, ti prego. Cosa hai visto?”
Papà…” disse, seppur con una certa riluttanza. Le mancava il coraggio di definire quell’uomo come suo padre.
“Cosa faceva? Sta venendo qui?”
“No. Era con un uomo… lo stava pagando…”
“Forse era un cliente del negozio...”
“No.” La interruppe Alice. “Era un assassino. Il vostro assassino, madre.” Concluse poi, con gli occhi lucidi.
Emily contenne più che poté la sua sorpresa. Lewis era davvero capace di tanto?
“Non preoccuparti, bambina mia. Andrà tutto bene. Dubito che le cose possano andare in questo modo. Insomma, ci ripenserà.”
“Non mi fido per niente di quell’uomo. Non dopo ciò che ha fatto. In ogni caso, state attenta. Vi manderà a comprare del pane. Ci andrò io per voi. Non è intenzionato ad uccidermi. Sono ancora addomesticabile secondo lui.” Disse, indugiando su quella parola, che lasciava trasparire la freddezza che ancora una volta aveva imprigionato il cuore di quello che una volta era suo padre.
Adesso Alice lo considerava un semplice involucro umano che custodiva dentro di sé il male, la devianza e il vizio e anelava ad obiettivi tutt’altro che nobili. Le compagnie che frequentava ultimamente erano decisamente negative e avevano una pessima influenza su di lui, che piano piano si era lasciato corrompere, perdendo di vista le priorità che aveva un tempo.
“Mamma, andiamo? Ho sonno.” Incalzò Cynthia, senza rendersi conto di quanto le accadeva intorno.
Emily acconsentì con un breve cenno del capo, poi guardò ancora Alice.
“Domani ti porto un bel piatto di zuppa calda, d’accordo?” disse, prima di baciare la figlia sulla fronte.
“Non siete preoccupata per la vostra sorte, madre mia?”
“No, affatto. Andrà tutto bene, vedrai.”
E detto questo, le diede la buonanotte.

Il giorno seguente le cose andarono come previsto da Alice: il padre si alzò di buon mattino e ricordò alla moglie che non vi era più pane fresco in dispensa.
“Vai a comprarlo al forno qui vicino.” Disse.
Emily annuì, poi diede il denaro ad Alice e la fece uscire insieme a Cynthia. La cosa indispettì terribilmente Lewis.
“Avevo chiesto espressamente che andassi tu a comprarlo. Lei non dovrebbe mettere piede fuori dalla sua stanza.”
“Suvvia, Lewis, siate buono. Permettetele di farsi perdonare da voi.”
“Non è così che otterrà il mio perdono.”
Dopo non molto tempo, la ragazza e la sorellina tornarono con il paniere carico. Alice aveva visto l’assassino, un tipo losco, che si fingeva un mendicante. Fuggì non appena incrociò lo sguardo di lei: aveva capito che Emily non sarebbe uscita quel giorno. Avrebbe potuto uccidere anche la ragazza, ma cosa ne sarebbe stato della piccola? A lei non poteva torcere un capello. Lewis, a quanto pare, non era disturbato in alcun modo da lei.
Tuttavia, la priorità assoluta l’aveva Emily. Se per caso Cynthia avesse avuto la sfortuna di trovarsi al posto sbagliato, di certo non si sarebbe addolorato così tanto. Era un cuore morto, il suo. Non reagiva più a nulla ormai. Non fece né disse nulla nemmeno quando vide le sue figlie tornare con del pane e un dolce per lui. Si limitò a revocare la punizione di Alice, per non suscitare proteste nel resto della famiglia.

Appena furono sole, Emily e Alice parlarono dell’uscita.
“L’hai visto?”
“Si. Era dietro il palazzo dei Baker.”
Alice raccontò a sua madre di come aveva percepito le intenzioni di suo padre e di quell’uomo. Lei era l’obiettivo primario e doveva fare di tutto per evitare di uscire.
“Non posso chiudermi in casa per sempre. Anche perché penso che tuo padre rinuncerà presto ad attuare i suoi propositi.”

Le speranze di Emily furono deluse ben presto. Passavano i giorni, le settimane, i mesi, e Alice continuava ad uscire al suo posto: aveva provato a parlare con la polizia, ma naturalmente nessuno avrebbe mai accettato di sorvegliare una casa solo per un presunto futuro delitto. Il capo della polizia, Charles Milton Potter, l’aveva presa in giro davanti a tutto il distretto per le sue visioni e Alice non vi aveva più fatto ritorno. Aveva capito di essere sola e sentiva di dover fare di tutto per impedire che sua madre uscisse.
La cosa alla lunga esasperò Lewis, che alla fine esplose, entrando in salotto intorno alle dieci del mattino, mentre sua figlia era tutta intenta a disegnare sul suo album, da sola. Doveva prendere la situazione di petto e interrompere quella guerra fredda e silenziosa.
“Si può sapere che cosa succede adesso? Perché tanta voglia di fare le commissioni al posto di tua madre?” chiese.
“Sapete benissimo perché succede tutto questo.” Rispose Alice, indifferente, mentre osservava, rannicchiata sulla panchina del bovindo, il paesaggio fuori dalla finestra. Il salotto buono di casa si affacciava su un vasto giardino, in fondo al quale c’era una fila piuttosto rada di abeti.
“Ah si? E cosa vede quella tua mente malata?”
“Ciò che la vostra mente ancor più malata produce.” Ribatté lei, senza alcun riguardo.
“Maleducata che non sei altro!” gridò, alzando la mano destra per schiaffeggiarla.
“Non toccatemi, o mostrerò a tutta la città il ritratto di quella donnaccia dell’Illinois con cui vi accompagnate.”

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“Non ho mai avuto un suo ritratto. Non ha voluto spedirmelo.”
“Chi vi ha detto che io l’abbia preso dalle vostre cose?” Lo provocò la giovane, cercando tra i suoi fogli il ritratto incriminato. Lo mostrò, fiera dell’efficacia delle sue visioni.
Lewis rimase perplesso, ma per breve tempo. Un ghigno malvagio comparve poco dopo sul suo volto.
Fu un attimo: prima la luce bianca, poi le immagini nere di morte. Alice vide sua madre che si preparava a varcare la soglia di casa. Lewis le aveva ordinato di prendere dei fiori, dicendo che gli altri erano in parte secchi e in parte marci.
Ad Alice venne il capogiro, ma non vi badò. La paura era troppa: doveva assolutamente cambiare il corso degli eventi. Doveva fermare sua madre.
La raggiunse appena in tempo all’ingresso. La tirò per un braccio.
“Madre, no! Non fatelo, vi prego!” gridò tra le lacrime.
“Alice, stai tranquilla. Andra tutto bene.” Sussurrò, stringendola.
“Per lui andrà tutto bene! C’è quell’assassino qui fuori!”
Lewis raggiunse moglie e figlia con tutta calma.
“Cosa c’è da gridare tanto? Disturberete Cynthia. Sta studiando.”
“Fatemela salutare, non la vedo da ore.” Chiese Emily, consapevole che quello poteva essere il suo ultimo desiderio.
“La vedrete quando tornerete.”
“Lewis Brandon, lasciate che io la veda oppure non risponderò più di me.” Ordinò lei, che per la prima volta in vita sua osava scavalcare l’autorità del marito. Lo faceva per se stessa e per le sue figlie.
L’uomo sospirò. “E sia…” disse sbuffando. Andò a chiamare la piccola e la portò da sua madre. L’aveva chiusa intenzionalmente nella sala lettura per non farle sentire i discorsi con sua moglie e sua figlia maggiore.
Emily la strinse a sé forte forte, le sussurrò che le voleva bene e la invitò a tornare ai suoi studi. La piccola obbedì, pur trovando insolito il comportamento della madre.
Poi toccò ad Alice.
“Figlia mia adorata, non preoccuparti. Tornerò presto.” Sussurrò.
“Madre…” singhiozzò la ragazza “Perdonatemi… ho fatto di tutto…”
“Lo so, amore, lo so. Sei stata il mio angelo custode. Grazie.” Rispose sorridendo la donna.
Si strinsero in un abbraccio lungo una vita, poi Emily si rialzo, fiera come una leonessa. Nessuno l’aveva mai vista così. Non era da lei; era sempre stata così materna, dolce. Nemmeno chi la conosceva bene aveva mai intravisto in lei un simile temperamento. Erano le sue figlie a darle tanta forza.
Guardò suo marito negli occhi con aria di sfida. Le due iridi scure rilucevano come bracieri e osservavano con odio quell’uomo che era cambiato così tanto nel giro di pochi mesi. Era diventato decisamente più affascinante, ma il suo cuore, la sua anima, erano ormai corrotti, forse irrimediabilmente.

“So bene ciò che mi aspetta lì fuori, non credete. Uomo degenerato e bugiardo, dimentico del tempo i cui mi amavate! Avete venduto l’anima e il cuore per la promessa di un figlio maschio. Vergognatevi di ciò che state facendo alla nostra famiglia. Se i nostri genitori potessero vedere come vi siete ridotto…”
Pensò la donna. Quanto avrebbe voluto sputargli in faccia quella lunga lista di verità. Per la prima volta divenne rabbiosa come mai era stata in vita sua.
“Mi avete rovinato quest’ultimo anno, e l’avete rovinato anche alle nostre figlie. Non vi auguro di provare lo stesso, perché non potreste: il vostro cuore è morto, è solo un pezzo di carne che potreste rivendervi al mercato. E forse prima o poi lo farete, perché per voi conta solo il denaro. Tornatevene ai vostri circoli di intellettuali, agli affari, alle trattative e alla vita viziosa che quella sgualdrina vi offre. Godetevela, fino a morirne. Ci è voluto molto, ma adesso vi disprezzo, Lewis. Se prima avevo pensato di perdonarvi, adesso so per certo che non lo farò mai. Addio!”

Lewis rimase dov’era, stizzito, senza dire una parola. Quella donna comunicava con il suo solo sguardo. Sembrava un demonio.
Emily guardò con amore sua figlia, poi varcò la soglia.
“No! Non andate!” gridò la ragazza, riportandola dentro a forza, strattonandola. Sbatté la porta con violenza.
“Alice, che modi sono? Lascia uscire tua madre.”
“Madre, è lì fuori! Sempre dietro il palazzo dei Baker. Non andate!” gridò la ragazza, ignorando gli ordini del padre.
“Alice, smettila di spaventare tutti con le tue fantasie, altrimenti ti spedisco di nuovo in camera tua.”
La ragazza lo fulminò con lo sguardo, poi si voltò verso l’adorata madre, che in quel momento aveva occhi solo per lei. Accennò un sorriso.
“Resta sempre la mia piccola Alice.” Disse, dolce come sempre, prima di aprire la porta e di uscire in strada quell’assolata mattina di inizio maggio.
Passarono tre minuti, interminabili, quasi eterni. Poi uno sparo e il clamore della folla.
Alice cadde a terra in ginocchio, distrutta dal dolore, mentre suo padre, seduto su una sontuosa sedia, aveva atteso con indifferenza lo scorrere del tempo, osservando ora la stanza, ora la finissima lavorazione del suo bastone da passeggio, come se entrambe fossero a lui sconosciute.

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Si alzò per osservare gli effetti del suo complotto.
“NO! NO!” gridò la giovane con tutto il fiato che aveva, senza smettere di piangere.
Cynthia corse verso l’ingresso e chiese cosa fosse successo.
Lewis, si affacciò alla finestra, scostando le tende, imitato ben presto da alcuni vicini, poi uscì in casa, fintamente trafelato, per poi scendere di corsa in strada.
“Emily! Emily!” gridava, mentre da lontano osservava il corpo ormai esangue della moglie. Tutto era andato come previsto.
Il suo volto, rigato di lacrime bugiarde, si contraeva in espressioni di altrettanto falso dolore.
Chiese, benché nelle ultime settimane l’avesse pianificata nei minimi dettagli, la dinamica della tragedia. I concittadini gli esposero con diligenza quanto avevano visto.
Gli dissero che un mendicante l’aveva avvicinata e le chiedeva con insistenza del denaro. Lei probabilmente si era rifiutata e così l’uomo aveva estratto una pistola e aveva esploso un colpo, ferendola a morte, per vendicarsi. Poi era fuggito, approfittando della confusione, lasciando la donna in terra.
Terminato il racconto, Lewis continuò, meschino, la sua messinscena, stringendo a sé il corpo privo di vita, la cui avvenenza sembrava quasi risaltare dopo la morte. La bellezza di Emily era fine e delicata, non rozza e volgare come quella di Florence. Questo si ritrovò a pensare Lewis osservando quei lineamenti che un tempo erano stati l’oggetto della sua devota adorazione.
Quella sensazione simile al pentimento, però, fu presto scacciata dal suo cuore ormai gelido come il marmo non appena nella sua mente si fece strada il pensiero di un erede maschio.
Florence l’aveva portato diversi mesi addietro, quando la loro passione era appena sbocciata, da un medico che aveva studiato Darwin e la genetica, il dottor Edward Cohen.
Dopo una gran raccolta di dati sul patrimonio genetico delle loro famiglie e una lunga serie di accuratissimi esami, il dottor Cohen aveva stabilito che per avere maggiori probabilità di concepire un erede maschio la cosa migliore che Lewis potesse fare era affidare questa sua speranza a Florence, che sarebbe stata la donna ideale per concepire un maschio bello e forte.
Fu così che la loro divenne una vera e propria relazione; Florence giorno per giorno si era imposta sempre di più nella sua vita e così entrambi erano arrivati alla conclusione di sposarsi.
Ciò comportava non pochi rischi, ma entrambi avevano molto da guadagnare da quella decisione.
Florence gli aveva restituito l’antico vigore, quella forza che la serenità perenne di Emily aveva mitigato, e sapeva perfettamente ciò che lui desiderava, gliel’aveva fatto riscoprire.
Ora Lewis si sentiva disposto a tutto, pronto a scalare anche una montagna, pur di costruire il suo impero.
Fu scosso da quei pensieri dall’arrivo di alcuni uomini della polizia che portarono via il corpo.
Il signor Brandon si guardò intorno, incontrando lontano dalla folla l’espressione d’intesa del suo complice, nascosto in un vicolo. Lo mandò via con un cenno del capo per permettergli di fuggire lontano dalla città.
Dall’altra parte della strada, davanti alla porta spalancata, Alice osservava la scena con un misto di rabbia e disprezzo. Riservava quest’ultimo a quello che non aveva più il coraggio di chiamare padre e al capo della polizia, da lui corrotto tempo addietro, come le sue visioni le avevano suggerito. La rabbia, invece, era un po’ verso se stessa, per la sua impotenza di fronte a quella situazione, un po’ verso gli abitanti di Biloxi, che non osavano indagare, andare oltre, e non chiedevano nulla di più.
Dalla piazza arrivò un vento tiepido, che mosse leggermente la veste e i capelli di Alice. La ragazza chiuse gli occhi, facendosi investire da quella brezza e annusandone il profumo. Note dolci, fiorite, proprio come il profumo della mamma.
Non appena lo riconobbe, due lacrime gemelle rotolarono giù, rigando il suo volto di porcellana e seccandosi al contatto con l’aria. Ormai era come un castello di sabbia pericolante e quella era l’ultima onda, quella destinata a farlo crollare definitivamente per poi spazzarlo via senza lasciare più traccia.
“Mamma…” mormorò, cadendo sulle ginocchia, come se non potesse più sopportare nemmeno il suo peso.

Il suo giovane, fragile cuore morì quel giorno, insieme a lei, che ormai era puro spirito concentrato in quella brezza.


Angolo dello Sproloquio

Che capitolo enorme o___o Sono sconvolta, non so come mi sia uscita questa specie di Divina Commedia in miniatura.
Ma veniamo al dunque e parliamo un po' delle ultime novità del nostro Bloody Wonderland, perchè ce ne sono di importanti. Come avete visto, la nostra Emily non c'è più, purtroppo. Sono davvero dispiaciuta, ma non potevo certo cambiare le basi su cui si fonda la mia storia. Questo è un fatto fondamentale, un punto della storia cruciale, in cui si raggiunge il massimo della tensione emotiva. Ho voluto aprirvi nuovamente il cuore dei personaggi e al tempo stesso farvi entrare nelle loro menti. Spero di aver reso bene ciò che volevo trasmettervi e spero anche che il capitolo vi sia piaciuto.
Non vedo l'ora di leggere ciò che avete da dirmi (specialmente sulla storia del genetista, una trovata assurda - ma non anacronistica, fortunatamente -che mi ha aiutato a legare un po' il tutto). Mi tenete sempre tanta compagnia con i vostri commenti e li attendo sempre con ansia. A questo proposito, vorrei ringraziare di cuore tutti (tutte? xD) coloro che in qualche modo seguono e apprezzano la mia storia. :)
Ora, perdonatemi, ma corro a studiare. Gli esami si avvicinano, ahimè, e mi tocca immergermi nuovamente nel periodo vittoriano, stavolta per motivi meno piacevoli. Incrociate le dita per me! >.<
Tanti baci dalla vostra Kappa super-impegnata.

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Capitolo 7
*** Usurpation ***


cap7
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Capitolo 7: Usurpation

 

 

A Seele

Biloxi, 6 maggio 1917

 

 

I funerali di Emily ebbero luogo nella parrocchia dove la famiglia era solita recarsi ogni domenica. La chiesa era gremita di gente, che era arrivata da ogni quartiere e occupava persino la piazzetta antistante: ogni abitante della città aveva qualcosa di bello da dire di quella donna.
La bara, ancora scoperta, era sotto gli occhi di tutti e circondata da fiori. Il transetto, nonostante le grandi dimensioni della chiesa, andava sempre più riducendosi, come inghiottito dalla massa di gente che vi prendeva posto.
Il parroco lesse alcuni brani dalle Sacre Scritture e una bellissima omelia che aveva scritto di suo pugno la notte precedente.
“Era una cristiana devota, dalla fede incrollabile, moglie encomiabile e madre esemplare. È una grave perdita per il mondo terreno. Che morte prematura e ingiusta per una donna così buona! Ognuno di voi, fratelli e sorelle qui riuniti, ha avuto l’onore e la gioia di avere almeno un suo sorriso o una parola gentile della nostra amata Emily Brandon, che ora ha raggiunto i suoi amati genitori e vive nella pace e ci osserva con occhio amorevole. Io stesso, in quanto religioso e in quanto cristiano, ho molto da imparare da lei.

Il mio e il vostro dolore è grande, ma ancor più grande è la gioia del Signore Dio nostro, che vede tornare a Sé una figlia che ha vissuto sempre nella Sua luce. Consolatevi, consoliamoci, dunque, perché ella ora è nel Regno dei Cieli.
Lewis, Alice, Cynthia, vivete seguendo il suo esempio, fatevi guidare dalla luce di Dio e di Suo figlio Gesù Cristo lungo il vostro cammino. Emily è qui ed è altrove, libera dai vincoli della corporeità, e ora potrà seguirvi in ogni momento delle vostre vite. Non vi ha lasciato, anzi, è vicina a voi ora più che mai. Ricordatelo sempre.”
Alice era commossa dalla partecipazione di tutti. Entrando in chiesa aveva sentito qualche sconosciuto piangere. Sua madre aveva seminato la bontà nei cuori di molta gente, doveva esserne felice.
Tuttavia, quelle belle parole e dimostrazioni d’affetto non valevano nulla a fronte della colpa di cui suo padre si era macchiato. Se c’era una legge, una Provvidenza che vendicava i giusti, quella doveva scatenare tutta la sua ferocia contro quel disgraziato che le aveva portato via la madre.
Da giorni non mangiava nulla, così come sua sorella. Erano estremamente provate entrambe.
Suo padre, invece, tra le mura domestiche quasi non si curava di quella perdita, mentre si profondeva in scenate di disperazione con chiunque incontrasse o si recasse a fargli visita.
Alice era disgustata da quell’atteggiamento, ma l’atmosfera raccolta della chiesa e il delicato momento che stava attraversando le impediva di provare sentimenti negativi troppo intensi.
Alla fine della cerimonia, prima della sepoltura, vide la zia Nancy. Con lei c’erano suo marito, Harold Banks, e i due figli, Ronald e Zachary.
“Lewie, non so cosa dire. È stato tutto così improvviso. Io e Harold abbiamo i nervi e il cuore a pezzi. È stato come un fulmine a ciel sereno.”
Lewis guardò in basso, come se non fosse in grado di sostenere lo sguardo della sorella.
“Nan, sono confuso anch’io.” Disse, per la prima volta con un accenno di sincerità nella voce.
“Se ti va, Alice e Cindy possono stare da noi qualche volta, oppure potrei tenertele io quando sei via.”
“Grazie, Nan. Approfitterò senz’altro, almeno finché la nuova istitutrice non tornerà da Londra.”
“E Mrs. Willoughby?”
“Ho dovuto licenziarla. Preferivo avere una sola persona che stesse tutto il tempo con le bambine e che provvedesse alle faccende.”
Alice sgranò gli occhi: aveva già capito quale sarebbe stata la prossima mossa del padre. Avrebbe introdotto in casa…
“Florence Baldridge.  L’ho conosciuta in uno dei miei viaggi di lavoro. È una donna di grande cultura e molto materna.” Disse Lewis alla sorella.
Alice non si curò delle divagazioni di suo padre. Ronald la distolse da quei tristi pensieri.
“Non essere giù, Alice. Starai di più con noi. Potremmo giocare tutti insieme.”
La ragazza si limitò ad annuire. Almeno avrebbe avuto un’ottima scusa per stare lontano da casa.

 

Le settimane seguenti passarono nella monotonia per le giovani Brandon. È vero, i parenti venivano a far loro visita e spesso si fermavano per la cena o addirittura per la notte e la zia Nancy non esitava a mantenere la promessa fatta, ospitando presso di sé le due nipotine, ma nulla poteva cancellare dai loro cuori il dolore per la perdita della madre.
Alice, più di Cynthia, sembrava afflitta oltre ogni dire e non si dava pace, proprio perché sapeva. Vestiva sempre di nero e portava il velo: sembrava la sposa della morte. Spesso aveva svegliato Nancy nel cuore della notte, gridando e piangendo, in preda agli incubi. Puntualmente la zia la consolava e la stringeva a sé, accarezzandole i capelli come faceva Emily. Allora la ragazza si calmava e riprendeva il suo sonno leggermente più tranquilla. Era ridotta a uno straccio ormai, la zia glielo ripeteva sempre e cercava di farla mangiare il più possibile.

 

Dopo qualche mese, il padre fece arrivare da Londra la temutissima nuova istitutrice, che presto sarebbe diventata ufficialmente la sua compagna: Florence Baldridge.
Non era proprio una bellezza. Aveva i capelli biondi, corti e ricci e un naso un po’ troppo importante per una donna. Quando Alice la vide da vicino per la prima volta osservò la sua bocca e notò che il labbro superiore era sottilissimo, mentre quello inferiore era decisamente più voluminoso. Benché l’avesse già vista nella sua mente così nitidamente da poterne disegnare un ritratto, Alice la guardò come se le fosse totalmente estranea. La odiava già da molto per aver plagiato suo padre e per aver distrutto la sua famiglia, ma ora che l’aveva sotto gli occhi avrebbe dato anche l’anima pur di farla sparire. Né lei né quello che una volta chiamava padre avevano rispetto per le mura di quella casa, che ancora odoravano di lei.
Alice aveva tenuto con sé  la sua camicia da notte e alcuni effetti personali, che toccava e annusava quando era nella solitudine della sua stanza, per sentire la mamma ancora vicina: avevano quello stesso profumo di fiori. “Non se ne è mai andata.” Ripeteva fra sé ogni volta che lo sentiva.
Come osava  quella donna malvagia profanare quello che fino a qualche mese prima era stato il tempio della loro felicità?
Cynthia, che era ancora piccola e aveva solo bisogno di affetto, si avvicinò per prima a Florence. Per l’occasione si era vestita bene e si era fatta sistemare i boccoli dalla zia Nancy.
“Come sei bella!” disse quella, melliflua, vedendola correre verso di lei.
“Mi chiamo Cynthia. Voi siete Florence?”
“Si, sono io. E so benissimo chi sei tu. Papà mi ha parlato tanto di voi. Impareremo tante cose insieme.”
Lo sguardo della donna incrociò quello di Alice.
“Tu devi essere Alice.” Disse, cercando di instaurare un contatto che fosse almeno all’apparenza positivo, ignorando ogni formalità. Formalità che la ragazza non tardò ad esigere.
“Mary Alice, esatto. E voi dovreste essere la nostra istitutrice.” La  corresse. Quelle parole erano come uno stiletto pronto a pungerla e a ferirla. Percepiva già del disprezzo nei suoi occhi. In più, i suoi lineamenti erano così perfetti, nonostante lo sconvolgimento per quanto era accaduto, da farle quasi male mentre assumevano quell’espressione torva e minacciosa. Accidenti, era così uguale a… No, meglio non pensarci.
“Una ragazza come voi non può  vestire di nero se vuole trovare marito.” Blaterò, cercando di colmare il silenzio imbarazzante piombato su quella conversazione.
“Sono in lutto.” Affermò lei, senza scomporsi.
“Per quanto ancora intendete osservarlo? Siete pur sempre una ragazza.”
“Credo sia una domanda un po’ troppo personale, non credete, Miss Baldridge?”
“Mrs. Baldridge veramente.” Rispose la bionda, stizzita. Quella ragazza non solo era uguale a sua madre – l’aveva vista in foto sul giornale – , ma parlava con lo stesso tono che probabilmente avrebbe usato con lei, se fosse stata ancora in vita, ne era certa. Del resto la sua posizione non era delle migliori: correva il rischio di essere definita una rovina famiglie, ma l’avrebbe presto scongiurato. Stava mettendo Lewis molto sotto pressione ultimamente, affinché la sposasse e in fretta.
“Per quel che ne so, non siete sposata.” Ribatté Alice, mettendo ulteriormente il dito nella piaga con malcelata soddisfazione.
Florence la guardò, offesa.
“Ma sposerete nostro padre, vero? Così non sarà da solo.” disse Cynthia, guardandola dal basso e avvicinandosi alla sua gonna.
La bionda, sfoggiando un mezzo sorriso, finto nel suo candore quanto l’immagine melensa che si stava costruendo intorno, non osò rispondere. Quella ragazzina l’aveva salvata in extremis.
Lewis fece il suo ingresso nell’atrio con le valigie di lei tra le mani. Aveva sentito tutto.
“Certo che ci sposeremo, Cindy. Più in là, però. Io e Miss Baldridge siamo una coppia e presto festeggeremo il nostro fidanzamento ufficiale.”
Questa frase inorgoglì ulteriormente la biondina dell’Illinois, che adesso guardava sorniona e soddisfatta la giovane vestita di nero.
Alice per tutta risposta guardò entrambi con aria accigliata, poi uscì in strada, correndo. C’era un solo posto dove si sentiva di andare: la chiesa.
Fu lì in meno di cinque minuti. Attraversò il sagrato, poi aprì con delicatezza il portone e fu investita da una leggera e fresca corrente dal forte sentore di incenso. Lì Dio c’era, non come in casa sua, dove sembrava regnare il caos. Immerse nel fonte battesimale la mano destra e si fece il segno della croce, poi una breve genuflessione in direzione dell’altare. Scelse uno dei banchi e vi si inginocchiò, raccolta in preghiera.
“Dammi la forza, ti prego.” Sussurrava, ora ad occhi chiusi, ora posandoli, gonfi di lacrime, sulle immagini sacre che aveva intorno, implorando col cuore in mano l’ultima certezza e speranza che le era rimasta.

 

 

 

Angolo dello Sproloquio

Ecco qua anche il settimo capitolo. Inizio col dire che lo dedico a Seele, una ragazza e una scrittrice magnifica, ma soprattutto un'amica. Ti auguro di trovare la pace che cerchi, piccolina. Tu sai.
Ora però passiamo alla nostra Emily. So che ci state male quanto me. Come si fa a non amarla, del resto? E come si fa a non odiare Lewis per quello che ha combinato? So che state pregando perché un carretto lo investa o perché qualche altro "mendicante pazzo" lo sventri peggio di Hannibal Lecter con le sue vittime. Ahimé, dovrete aspettare ancora un po' perché questo signorino abbia la punizione che merita, sempre che di punizione si possa parlare (non so ancora come risolvere la cosa, lo confesso).
A proposito di preghiera... senza accorgermene ho creato un capitolo con struttura ad anello: inizia e finisce in chiesa. Buffo, vero? Non ci avevo minimamente pensato. Eppure mi piace dare questa sfumatura alla nostra Alice. Penso che parlare del proprio credo sia qualcosa di veramente molto intimo, personale. La fede è uno dei segreti più belli, preziosi e importanti che si possano custodire. Badate bene, parlo di fede in senso generale. :)
Di certo vi avrà lasciato qualche perplessità l'omelia del parroco. Devo ammettere di non frequentare molto le chiese, perchè amo pregare in solitudine, dove posso concentrarmi, e non in posti affollati in cui si va soltanto per farsi vedere dagli altri (purtroppo ne ho trovate di persone che hanno questo atteggiamento). Per questo Alice fa ciò che, avendo più tempo, farei io stessa. Se ne va in chiesa proprio quando non c'è molta gente (anche se lei non sceglie l'orario così attentamente, va lì spinta solo da un'esigenza) e si lascia confortare da Dio. La trovo una cosa molto toccante. Non mi sono soffermata sui dettagli stilistici della chiesa, è vero, ma sarebbe stato troppo. Volevo che Alice avesse tutto lo spazio, volevo che la vostra attenzione non andasse su questa cattedrale del Mississippi, ma sulla giovane ragazza disperata che in essa si rifugia.
Ma torniamo all'omelia. Forse vi sembrerà un po' strano l'uso di  un linguaggio così tecnico (non tutti se lo aspettano da chi a suo dire non frequenta l'ambiente). La verità è che so ascoltare molto, nulla di più. :)
Questo parroco di Biloxi di cui vi ho parlato è diverso da quelli del suo tempo e mi piace moltissimo come personaggio, perché ha il coraggio di mostrare la sua umanità, pronunciando parole di reale conforto e vicinanza per la famiglia, piuttosto che riempire le orecchie di tutti con inutili prediche moraleggianti, tutto fumo e niente arrosto. Forse è un po' azzardato, ma mi piace così: un religioso controcorrente, concreto e che si mette in gioco in un certo senso. Abbiamo trovato un altro piccolo eroe di questa cittadina bigotta e perbenista (senza offesa per la vera Biloxi, che invece mi affascina e vorrei tanto visitare). Non vi è già simpatico? :D
E Florence? Come la trovate? Io ho gongolato alla grande quando ho scritto il punzecchiamento con Alice. Davvero molto divertente. Peccato, però, che ci si metta di mezzo Cynthia a placare gli animi, presto seguita dal paparino.
Mi scuso per questo enorme, gigantesco Sproloquio (si, con la S maiuscola). Attendo con ansia le vostre opinioni. Mi fate sempre morire dal ridere con i vostri insulti al "povero" Lewie.
Per farmi perdonare vi do una piccola anticipazione: Nancy e la sua famiglia avranno una certa importanza a partire dal prossimo capitolo (che ho già steso, ma è da ricorreggere u.u).
Ora vi lascio e vado a mettere in ordine la mia casetta, decisamente mal ridotta a quest'ora della giornata. Poi, manco a dirlo, darò inizio alla sessione di studio, durante la quale mi scervellerò immaginando cosa scriverete stavolta. xD Grazie della vostra compagnia e del vostro affetto. Spero di meritarli.
Con infinito amore,

la vostra Kappa esaurita.

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Capitolo 8
*** Visions and Plots ***


cap7

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Capitolo 8: Visions and Plots

 

A una scrittrice gentile e delicata come il fiore di cui porta il nome. A te, rarissima Ninfea Blu.

 

Un umido pomeriggio assolato di fine novembre.  Le sorelle Brandon giocavano con i loro cugini. Il parco in cui si trovavano era più simile a un bosco. Per loro, però, era identico a una casa. Il terreno era coperto da un tappeto di foglie secche ed erba. Le pareti erano gli alberi, alcuni spogli, altri no, tutti diversi per altezza e specie, un po’ come loro.
Alice e Ronald, ad esempio, avevano la stessa età, ma lei era decisamente più bassa. Zachary e Cynthia, invece, avevano un solo anno di differenza e sembravano fratelli, più che cugini. Entrambi avevano dei folti boccoli biondi e le stesse guanciotte paffute.
I quattro cugini passarono la prima metà del pomeriggio rincorrendosi e giocando a nascondino, poi decisero di fermarsi su una collina per la merenda. Alice aveva portato con sé un paniere carico di ogni ben di Dio: acqua, frutta, biscotti, panini…
Alice lo posò in terra, poi fece per sedersi, quando ad un tratto si sentì girare la testa e iniziò a vedere bianco intorno a sé. Vide il piccolo Zachary correre via, ridendo, per poi rotolare giù da uno dei fianchi della collina. Infine, una lapide con il suo nome sopra.
Presa da sgomento, la ragazza guardò negli occhi il cuginetto. Gli mise le mani sulle spalle e si chinò su di lui.
“Zac, ti prego, non muoverti per nessun motivo, o ti farai molto male. Me lo prometti?” disse in tono grave, gli occhi sgranati. Il piccolo annuì, intimorito, tremando sotto la stretta della cugina più grande. Cynthia rimase senza parole a fissarli.
“Questo a papà non piacerebbe.” Pensò fra sé la piccola, col suo visino d’angelo contratto in un’espressione preoccupata. “Aveva sempre detto a Alice di non spaventare gli altri con queste stranezze. ..“
Ronald notò la cosa e si avvicinò a loro, distogliendoli dai loro discorsi e pensieri.
“Alice, non spaventare mio fratello con le tue storie, per favore. È soltanto un bambino, sai che prende tutto sul serio.” Disse il ragazzo.
“Ronald, ascoltami. Zac non deve allontanarsi da qui o succederanno cose molto brutte. Dobbiamo fare attenzione.” Insistette lei, supplichevole.
“Alice, basta con questa storia delle visioni, o lo dirò allo zio, chiaro?”
Alice, indispettita, si sedette lontana da tutti e prese un biscotto. Lo mangiò in silenzio, senza rivolgere la parola a nessuno. Le parole che aveva detto suo cugino erano le stesse che le rivolgeva solitamente il padre ogniqualvolta le capitasse di vedere. La cosa la irritava moltissimo, anche perché avevano lo stesso tono autoritario. Che fosse il retaggio di una sorta di orgoglio da primogeniti maschi? La cosa le importava ben poco. Prese una focaccina con burro e cetriolini per scacciare il senso di debolezza lasciato dalla rabbia e dalle sue premonizioni. Quando aveva quei flash, non essendo ancora sufficientemente allenata – colpa dell’ostruzionismo del padre nei confronti del suo dono – si sentiva spossata, priva di forze, anche perché ultimamente le capitava di vedere cose davvero sconvolgenti e terribili.
Ronald rassicurò suo fratello. “Tranquillo, Zac, non c’è nulla di cui preoccuparsi. Alice stava solo scherzando.”
Zachary sorrise e si mise a mangiare. Poi, per far dispetto al fratello maggiore, troppo preso a lanciare occhiatacce alla cugina pestifera – come l’aveva chiamata poco prima, borbottando –  gli rubò il suo panino preferito, quello alla carne secca, e corse via portandoselo dietro.
“No, Zac! Era l’ultimo! Ti prego, non portarmelo via! Uffa, sei davvero dispettoso!” protestò Ronald.
Alice si alzò di scatto e inseguì il ragazzino. “Zac, ti prego! Fermati! Non andare!”
“Tanto non mi prendi!” cantilenò il ragazzino, correndo più veloce di lei, che invece aveva la lunga gonna a darle intralcio.
Il piccolo Zac arrivò parecchio più avanti di lei. Si trovò di fronte un cane, probabilmente randagio. Il pelo  nero e marrone, lungo e sporco di fango, lasciava appena intravedere il garrese. La bestia se ne stava sulle quattro zampe, feroce e famelico, attirato dall’odore del cibo, ed era già alto quanto  Zachary. L’animale ringhiò, feroce, avventandosi sul bambino, che lanciò un grido di terrore. Lo buttò a terra, incurante dei suoi tentativi di divincolarsi; lo azzannò, puntando subito alla gola, per poi morderlo in vari punti, facendogli perdere molto sangue. Lo stava letteralmente sbranando e Alice non poté far altro che guardare, presto raggiunta da Cynthia e Ronald, mentre l’animale scrollava la testa, tenendo ancora tra i denti il corpo ormai esangue del piccolo, coperto solo dai brandelli di quelli che prima erano i suoi vestiti. A terra si era formato un lago di sangue grumoso e scuro, che si  mescolava alla terra. Il corpo di Zachary era massacrato: alcune parti erano state proprio mangiate dall’animale, che poco prima si era leccato le fauci, imbrattandole ancora di più di sangue. Quella visione raccapricciante fece urlare i tre dalla paura.
Il cane gettò lontano i resti mortali del bambino, facendolo rotolare giù per i fianchi della collina, tra le foglie secche. Zachary, il cui aspetto era quasi irriconoscibile, finì in un cespuglio di rovi.
C'erano dei cacciatori di frodo nei dintorni e il cane, spaventato dagli spari che si udivano di tanto in tanto, fuggì via, portandosi via il panino tenendolo tra i denti, ancora insanguinati come il resto del muso.
Alice rimase senza fiato e Cynthia iniziò a piangere, disperata. Ronald gridò con un misto di rabbia e di dolore.
“ZAC! ZACHARY!”
Scese lungo il fianco della collina per soccorrere il fratello, ma ormai non c’era più nulla da fare.
Il corpicino era sfigurato, non c’era una parte che non fosse stata toccata dal cane e dalle sue fauci.
Ronald era in preda allo shock. Si chinò allungando le braccia, graffiandosi e pungendosi con i rovi, poi prese tra le braccia il corpo del fratellino, sporcandosi di sangue. Gli organi interni, ormai esposti,  erano lacerati e faticavano a stare ciascuno nella propria sede.
Alice mise le mani davanti al viso di bambola della sua sorellina.
“Tesoro, non guardare.” Le disse, trattenendo il suo dolore per la perdita del cuginetto.
“Zac si è fatto male, vero?” chiese la piccola Cynthia, che ancora non si rendeva conto della situazione.
Alice non ebbe il coraggio di rispondere e sua sorella si abbandonò al pianto, preoccupata per Zachary.
“Dobbiamo avvisare papà, subito.” Disse Alice. Di fronte a Cynthia doveva per forza usare quella parola.
La prese per mano e la portò a casa, mentre Ronald, ancora sconvolto, portò il corpo del fratello a casa, senza fiatare.

“Papà! Papà!” gridò Cynthia una volta a casa, correndo in lacrime verso Lewis.
L’uomo la prese tra le braccia, poi guardò Alice con aria accigliata.
“Cosa le hai fatto?”
“Papà, Alice non ha fatto niente… Zac…” farfugliò la piccola.
“Cynthia, vai a riposarti, tesoro. Parlo io con papà.” Intervenne Florence, attraversando l’ingresso. Alice la fulminò con lo sguardo.
La bambina annuì e prese la donna per mano, conducendola verso la sua stanza, ancora sconvolta.
“Ovunque tu sia, ovunque tu vada succedono sempre disastri. Cosa hai fatto a Zachary adesso?”
“C’era un cane nel bosco…”  mormorò Alice, singhiozzando. “Zachary è… è…”
“Morto? È questo che stai cercando di dirmi?”
Alice annuì.
Lewis sospirò e assunse un’aria cupa e triste, pur mantenendo un certo contegno.
“E Ronald? Cosa ha fatto?”
Alice ci mise un po’ a rispondere.
“Ha portato il corpo a casa. Potrebbe essersi fatto male nel prenderlo, a meno che non l’abbia aiutato qualche cacciatore. Sarebbe meglio far visita agli zii immediatamente. Avranno bisogno di noi.”
“E le tue stramberie non ti hanno aiutata ad evitare l’incidente?”
Alice scosse la testa. Aveva imparato che non c’era da fidarsi. L’uomo che aveva di fronte non era altro che un fantoccio nelle mani di quella donna ignobile. L’unico motivo per cui era rimasto calmo – non contando quell’ultima provocazione – era la curiosità. Gli premeva, infatti, conoscere la sorte di suo nipote e nulla di più.
“Forse stai tornando sana di mente, se mai lo sei stata. Dev’essere un segno del cielo.” Disse, lasciando l’ingresso. Stava andando a prepararsi nella sua stanza per andare a far visita alla sorella.
Alice, dal canto suo, non faceva più caso ad affermazioni come quella. Non era la prima volta che lui la ridicolizzava in quel modo. E anche quella sciocca con la quale si faceva vedere ultimamente in città iniziava a provare un certo gusto nell’insultarla e nel rimproverarla gratuitamente. Ma non c’era spazio per il rancore in quel momento. Piuttosto, Alice era triste per quella povera anima innocente ed era ancora scossa dalle scene che aveva visto nel parco.


Quella sera passò in modo particolarmente pesante per tutti. La famiglia si coricò quasi senza toccare cibo, addolorata dalle notizie che Lewis aveva portato. Nancy, come era prevedibile, aveva avuto un crollo di nervi. Ronald non parlava con nessuno, mentre Harold aveva soltanto voglia di far fuori la bestia che gli aveva strappato ingiustamente il suo secondogenito.
Il peggio, però, doveva ancora venire.
Alice prima di andare a letto decise di indagare l’attuale stato delle cose. C’era qualcosa nell’aria che la turbava, qualcosa che – lo sentiva – l’avrebbe portata presto alla rovina.
Questi pensieri la tormentarono tutta la notte, anche in sogno. Ne fece uno particolarmente privo di senso. Sapeva che qualcuno stava tramando contro di lei, che qualcosa di terribile stava per accadere, ma vedeva solo immagini confuse e molto, moltissimo bianco dappertutto. Udiva, inoltre, rumori indefiniti e al tempo stesso assordanti. Ad un tratto si sentì strattonare da qualcuno… ed eccola: un’ultima immagine, fulminea, ma netta e precisa.
“Ronald!” mormorò, svegliandosi con gli occhi sgranati.
Fu allora che capì di aver ragione, di aver trovato il tassello mancante. Tutto dipendeva nuovamente dalle scelte di Ronald, proprio come il destino di Zachary.
Ora Alice ne era sicura: il peggio doveva ancora venire.

 

 

Angolo dello Sproloquio

Vi ho fatto aspettare un po', ma spero ne sia valsa la pena. Questa scena è un po' splatter, non proprio adatta ai cuori deboli o agli stomaci delicati. Tuttavia, era necessario sacrificare questa povera anima innocente per far scorrere la trama e portare la situazione e i personaggi dove volevo io. Sono certa di non essere la sola a provare del dispiacere per la morte di Zac, ma chi conosce la storia di Alice sa che era inevitabile. Ancora una volta vi consiglio di visitare Twilight Wiki per saperne di più su tutti i personaggi di Twilight (e, nel nostro caso, sulla famiglia d'origine di Alice). Pur essendo in inglese (e quindi non proprio semplice da capire per chi non ama/sa le lingue) è davvero ben fatto e ricco di informazioni utili. Tra l'altro ho trovato una delle prime immagini di Breaking Dawn 2 in cui si vede Renesmee. Si vedono lei e Jacob, vicini e la piccola ha un'aria così felice... Credo che scriverò una o due drabble su questa magnifica coppia.
Ma torniamo alla nostra storia... il prossimo capitolo prevede ulteriori svolte. Credetemi, sarà terribile. Ho già qualche idea in mente e ho buttato giù le prime righe. Il resto è ancora una massa informe di idee che frulla caoticamente nella mia testolina.
Oltre alle anticipazioni ho alcuni fatti di grandissima importanza da raccontare.

PUNTO PRIMO: LA CONFESSIONE
All'inizio BW doveva durare mooooolto di meno e limitarsi a parlare di Alice nel manicomio, sino alla sua fuga. Ci ho ripensato quasi subito, vedendo che l'ispirazione ancora non fa i capricci, e così ho deciso di parlare anche dell'incontro con Jasper e dell'incontro con Carlisle. Ambizioso come progetto, vero? Lo so, me le vado a cercare, ma se non scrivessi anche di questa seconda parte della vita di Alice sento che a questa storia mancherebbe qualcosa. Spero davvero di non deludervi. Tra l'altro ho in mente una parte decisamente affascinante sul sanatorio e sul direttore. Vi stupirò! :)

PUNTO SECONDO: SOGNO DELIRANTE, RISVEGLIO ESILARANTE
Questa non è proprio una notizia fresca (risale al 15 luglio). Non è nemmeno interessante, quindi non so neanche perché ve ne sto parlando. Per me, però, è stato uno dei sogni più belli della mia vita. xD Per la prima volta mi sono svegliata ridendo fino alle lacrime, seguita dalla mia mamma, che inizialmente temeva che fossi sotto effetto di stupefacenti vari.
Questo è ciò che ho sognato...
Dovevo salire su un autobus. Fin qui, nulla di strano. Il problema è che mi sono inspiegabilmente ritrovata a salirlo dal fianco (altro che prendere l'autobus "all'inglese"), cercando di entrare da uno dei minuscoli finestrini. C'era un vento gelido e fortissimo che cercava di spazzarmi via. Spinta dalla voglia di sopravvivere e di non finire schiacciata sotto le ruote di questo validissimo mezzo di trasporto pubblico (fin troppo simile, per velocità ed altezza, al potteriano Nottetempo), finalmente riesco a passare e mi ritrovo a terra, sul bullonato grigio scuro. Mi alzo in piedi e squadro  i passeggeri. Capisco, non so come, che si tratta del cast di una serie (mai vista né sentita O_O) di CSI, telefilm per il quale ho perso davvero la testa. Peccato che non conosca nessuno degli attori presenti sul bus. La cosa mi manda in panico, perché sembrano tutti attori emergenti, emeriti sconosciuti (ma pur sempre bellissimi e inconfondibilmente americani).  Tutti, tranne uno. Il caro Robert Pattinson. Cappotto di panno grigio, aria accigliata, pelle di porcellana... si, è ancora vestito da Edward, inspiegabilmente. Ma non è questa la cosa più strana. Il vampirico divo mi guarda mentre divora.... un Polaretto al limone! O__O
Inizialmente scandalizzata, lo fisso con aria ebete, poi scoppio a ridere, per la somiglianza tra lui e il simpatico, delizioso ghiacciolino imbustato. Lui è un po' sconvolto, non capisce l'ilarità del momento. Allora, indossando le vesti di Capitan Ovvio, gli comunico con fatica, scoppiando a ridere ogni secondo, la mia assurda teoria, nata in quella frazione di secondo, come un lampo di genialità degno di Einstein: lui e il Polaretto sono bianchicci e freddi, praticamente gemelli separati alla nascita.
Il caro Robert scoppia a sua volta a ridere: finalmente ha capito. Credo che l'intero autobus stesse ridendo con noi, ma non so dirlo con certezza, perché è stato proprio allora che mi sono svegliata, ridendo peggio di prima. .-.
Vi prego, non prendetemi per pazza per via del sogno o del titolo-slogan. xD
Prometto di non tediarvi ulteriormente. Anzi, per farmi perdonare vi posto l'albero genealogico delle famiglie di BW. L'ho fatto con le mie manine sante per spiegare alla giudice del contest a cui partecipo l'organizzazione di questa famiglia.
Un bacione grande e al prossimo capitolo (spero)!

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Capitolo 9
*** Flowers and Snow (I) ***


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Capitolo 9: Flowers and Snow (I)

 

 

Biloxi, Casa Brandon, 2 dicembre 1917


“Cindy cara, come ti senti ora?” chiese Florence, sedendosi sul letto della piccola.
“Malissimo, Florence. Per carità, portatemi altra acqua.” Mormorò in risposta la bambina, ancora debole per il pianto. Non aveva fatto altro tutta la notte: piangere e pregare. Era molto legata a Zachary e non aveva preso affatto bene la sua morte prematura. Gli incubi, poi, l’avevano tormentata tutta la notte, ogni volta che crollava anche solo per qualche minuto. Sembrava essere cresciuta tutta in fretta, quella bimba dal volto di bambola. Fino a qualche giorno prima sembrava spensierata e felice, piena di vita. Adesso era ridotta uno straccio: pallida in volto, gli occhi gonfi e l’aspetto sciupato. Nessuno avrebbe mai pensato di trovarsi di fronte alla stessa bambina.
Florence, che da sempre l’aveva preferita a chiunque altro, annuì, alzandosi e uscendo dalla stanza. Imboccò il corridoio e incrociò Alice, che al solito le scatenò dentro un moto di rabbia. Era l’unica macchia per quella che si prospettava come l’unione perfetta, quella che l’avrebbe portata al successo.
“Tu, piccolo demonio, porta l’acqua a tua sorella. Sta male e ha bisogno di riprendersi dopo la brutta nottata che ha passato.”
Alice le lanciò un’occhiata carica d’odio.
“Ancora non capisco come faccia tuo padre a tenerti in casa. La gente fuori mormora, per colpa delle tue stranezze. C’è chi dice che porti sfortuna o, peggio, che sei tu stessa ad uccidere chi ti sta intorno. Se non l’avessi negato fino allo sfinimento, a quest’ora penserei che sei stata tu ad uccidere quella povera anima di Dio.”
“Che riposi in pace.” Aggiunse poi Florence, sospirando e alzando gli occhi al cielo, mentre si baciava le mani e faceva il segno della croce.

Alice se ne andò, ignorandola. Quella donna era un concentrato di buonismo, ipocrisia e malvagità. Non le riusciva di sopportare il suo tono, i suoi atteggiamenti civettuoli e quella risatina stridula, simile a uno squittio, che associata al suo viso scarno la facevano somigliare in tutto e per tutto ad un topo.
Era così che l’aveva vista la prima volta, nella sua mente, e fu così che la vide di nuovo la prima volta che se la trovò di fronte. Era soltanto un topo ben vestito e con una parrucca bionda.
Non la sopportava affatto e se avesse potuto l’avrebbe sbattuta fuori di casa immediatamente. Ma suo padre non era più l’uomo di un tempo. Si era fatto affascinare da quella serpe che di sicuro l’avrebbe portato alla rovina.
Chiuse gli occhi, dandole le spalle, e respirò profondamente. Doveva solo resistere. Presto avrebbe trovato un modo per andar via da quella casa. Ormai si era arresa: non era più possibile rimanere lì e difendere quelle quattro mura. Alla fine sua madre aveva ragione. Andar via, in un modo o nell’altro, era l’unica soluzione possibile.
“Che c’è? Neanche rispondi? Cos’è? Hai perso la lingua?” la provocò Florence, destandola dai suoi pensieri.
Alice, esasperata, si voltò verso di lei e con tono acido le rispose:
“Fareste meglio a tenere a freno la vostra. E ora, se permettete, vado ad occuparmi di mia sorella, cosa che invece non fate voi.”
“Piccola, maledetta insolente!” esclamò la bionda, con stizza.
Ora che suo padre l’aveva presentata pubblicamente come la sua nuova compagna si era montata ancora di più la testa e, se possibile, era diventata ancora più insopportabile. Ogni occasione era buona per maltrattarla, darle ordini o insultarla, col benestare del futuro marito, naturalmente. A Cynthia, invece, veniva riservato tutt’altro trattamento.
“Che essere inutile…”  pensò fra sé Alice, andando difilato in cucina mentre nella sua testa ancora echeggiavano le parole di quella donna che con tanta prepotenza si era inserita nella sua vita. Vi era entrata con forza, sgomitando, come molti fanno quando sono circondati dalla folla, senza alcuna remora.
Riempì un bicchiere d’acqua e lo portò a sua sorella con altrettanta rapidità; il tutto, senza neanche considerare la presenza di Florence, che la guardava allibita e al tempo stesso furiosa. Non le piaceva essere ignorata: Alice l’aveva capito e ormai amava sfruttare la cosa a suo vantaggio. Si divertiva a vedere quell’espressione di sgomento comparire sul suo volto, per lasciar spazio al cipiglio severo e collerico, tipico di quando doveva reprimere l’istinto di metterle le mani addosso. Più di una volta negli ultimi tempi l’aveva vista mentre meditava di picchiarla, o mentre diceva a suo padre, disperata: “Quella ragazzina danneggia terribilmente i miei nervi, Lewis. Sono così stanca…”
La cosa più divertente di tutte, però,  era sfidarla, imitandola e riportando parola per parola le frasi dette da lei non più di qualche ora prima, lasciandola di stucco. Era il modo migliore di vendicarsi, secondo Alice. Avrebbe voluto tormentarla fino a farla fuggire. Lo avrebbe fatto per sua madre e per toglierle la soddisfazione di prendere possesso della casa, della gioielleria e dei beni di famiglia. Purtroppo, però, col passare dei mesi la situazione era degenerata. L’ultima volta che Florence le aveva fatto una sceneggiata davanti a suo padre, lui l’aveva minacciata di sbatterla fuori di casa.
Alice, non avendo ancora un progetto di vita preciso, non si sentiva ancora pronta. Il suo piano per lasciare l’odiato nido non era ancora completo. Del resto, era da poco che aveva deciso di lasciare che tutto cadesse in disgrazia. Così aveva deciso di non dire nulla che non fosse necessario, per non dover lasciare prematuramente la città, benché quell’orribile donna non attendesse altro.

 

***


Dopo aver dato da bere a Cynthia e averla tranquillizzata, Alice fece per andare in camera sua, seguita come un’ombra dalla crudele matrigna e istitutrice, che non l’aveva mollata un attimo quella mattina. Chiuse la porta con un gesto di stizza proprio davanti al suo viso, infischiandosene della buona educazione, lasciandola fuori e godendosi per un po’ la quiete della sua stanza, mentre la sentiva chiaramente brontolare e sbuffare dal corridoio.
Si sedette sul letto, portando al petto le ginocchia e voltandosi leggermente verso la sua sinistra per ammirare il candore della neve che ricopriva il paesaggio che si estendeva fuori dalla finestra. D’improvviso, un colpo di vento fece aprire violentemente le imposte verso l’interno. Era un vento sorprendentemente leggero, ma freddo, tanto da far sentire ad Alice un forte pizzicore sulla pelle.
C’era solo una ragione per quell’evento semplice e insieme straordinario.
Rimanendo seduta sul letto, annusò quell’aria fresca quasi con avidità, stanca dell’odore forte del profumo di Florence, che le dava alla testa.
Odore di fiori, come immaginava.
Qualche lacrima colò spontanea dagli occhi di cioccolato della ragazza. Era bello poter sentire ancora la presenza di sua madre. Era l’unico conforto che aveva nella sua miserevole vita. Non le mancavano gli agi, ma solamente per una questione di formalità. Suo padre e quella che si rifiutava di definire la sua nuova madre le compravano ancora degli abiti dignitosi solo per dare a tutti l’impressione che la loro fosse una famiglia felice e sana. L’inferno era dentro quella casa, quando erano soltanto loro. I desideri di Alice venivano regolarmente soffocati. Quando chiedeva gentilmente qualcosa, le veniva puntualmente negato. Per questo aveva smesso da qualche mese di disegnare (tranne quando qualche volta Cynthia le offriva della carta e una matita). Cynthia, invece, veniva accontentata in tutto, ma era dalla sua parte, anche se non poteva certo esprimere la propria opinione o andar contro suo padre, essendo ancora molto piccola.
Alice lo capiva e non gliene faceva una colpa. Anzi, un po’ le invidiava l’ingenuità e la docilità che aveva ereditato dalla madre. Simili riflessioni le ricordavano inevitabilmente quanto lei fosse più simile a suo padre nel carattere, per quanto la cosa la ripugnasse.
Simili, non uguali.” Si ripeteva ogni volta, ricordandosi che lei combatteva, sì, ma per cause giuste, per nobili intenti che solo il padre che aveva una volta avrebbe perseguito. Quando era a casa, lo guardava con aria di biasimo, mentre lui era girato o distratto.
“Guarda cosa sei diventato… dubito che questa donnaccia rimarrà per molto al tuo fianco. Il tempo sta passando anche per te. Ne vedrai i segni ancora prima degli altri, perché per quanto meschino tu sia, non è facile convivere con le colpe che ti porti addosso. Uccidere la mamma, prendere con te la donna con la quale l’hai tradita per anni, recitare una farsa per essere ben visto in società… Stai già pagando il tuo debito e presto sconterai anche gli interessi.”
Questo pensò fra sé, ricordando quando l’aveva visto qualche ora prima chino ad attizzare il fuoco nella sala lettura. Era andato lì di buon mattino, per rilassarsi prima di andare a trovare nuovamente sua sorella.
Cynthia entrò in camera, bussando. Salì sul letto di Alice, sedendosi di fronte a lei, poi le prese le mani.
“Alice, va tutto bene?”
“Sì, piccola Cindy, benissimo.” Rispose, esitante. “E tu come stai?”
“Meglio, grazie. Sono ancora sconvolta per la vicenda di Zac. Mi manca tanto, lo sai?” rispose Cynthia, ancora malconcia, abbassando lo sguardo e arricciando un po’ le labbra.
“Anche a me, Cindy, credimi.”
“Però ho anche paura.”
“Perché?”
“Perché sono una bambina cattiva, Alice. Lui adesso è in cielo, ma io finirò di certo all’inferno. Ho pensato una cosa tanto brutta.” Piagnucolò, sporgendo appena il labbro inferiore, con gli occhi lucidi.
“Che cosa hai pensato, tesoro? Dimmi.”
“Ho pensato che… un po’ è stata colpa sua se ora non c’è più. Ed è anche colpa di Ronald. Se solo ti avessero ascoltato…”
“Non hai pensato nulla di male, piccina. Stai tranquilla. Ma non farti sentire da Florence o da papà. Non voglio che sappiano.”
“Alice, ma perché indovini tante cose? Come fai? E perché non puoi dirlo più a nessuno? Tu non c’entri nulla, ma ho sentito dei signori al funerale che dicevano cattiverie su di te. Dicono che porti il malocchio, che è colpa tua. Avrei voluto urlargli che non è vero, che tu sei buona, forte… dovresti combattere e farli smettere…”
“Cindy, non so neanch’io perché indovino le cose, come dici tu. Succede e basta. E non voglio che nessuno sappia cosa ho detto a Ronald e Zac, perché tutti credono sia una cosa brutta, come hai visto. Non posso più combattere contro tutta questa gente. Non fanno che parlar male di me da quando ero piccola, quando mamma e papà non potevano sentire.”
“Ma tu l’avresti salvato!” esclamò la piccola.
“Lo so” la interruppe Alice “ma tutti dicono che è solo un segno di sfortuna, lo sai. Per me a volte è anche divertente, invece.”
“Te lo prometto Alice, non lo dirò a papà e neanche a Florence. Lo so che non ti piace neanche un po’.”
Alice arrossì leggermente. Cynthia la conosceva meglio di chiunque altro… chissà perché, in quel momento aveva voglia di abbracciarla forte, mentre sorrideva, furbetta, compiaciuta per aver indovinato anche lei qualcosa.
L’odore di fiori, che non l’aveva più lasciata, era sempre più persistente. Veniva da sua sorella. Che fosse un segno?
La mamma fino ad allora non aveva mai sbagliato. Ancora una volta, Alice le avrebbe dato ascolto.
“Visto? Ho i poteri anch’io! Ho i poteri anch’io!” cantilenò sottovoce.
“Ti voglio bene, Cindy.” Sussurrò, interrompendola, e la strinse a sé.
“Anch’io Alice. Tanto.” Disse, scossa dai singhiozzi, la piccola Cynthia, mentre rispondeva al suo abbraccio, liberandosi ancora un po’ del dolore e della frustrazione accumulati.
Improvvisamente, si sentì suonare alla porta.
“E’ papà… abbiamo ospiti, Cindy.” mormorò Alice, il volto teso senza una ragione apparente.
“Rimettiti in ordine, non vorrai farti vedere così.” Aggiunse, più dolcemente, sciogliendo l’abbraccio.

Cynthia annuì e si risistemò in fretta. Era certa che Alice avesse visto qualcosa di brutto, ma non osò domandarle alcunché. Presto avrebbe scoperto da sola cosa le attendeva nell’ingresso…



Angolo dello Sproloquio

Vi ho fatto davvero aspettare troppo per questo nono capitolo. Lo so bene, e spero mi perdonerete.
L'ispirazione ha fatto i capricci e il tempo non è stato altrettanto gentile con me. Sono stata presa dagli esami e dall'inizio della scuola al punto da non avere più nemmeno 5 minuti per scrivere. Quando finalmente avevo la fortuna di avere anche solo un po' di quel tempo che tanto desideravo, le idee non venivano e il mio grande progetto era andato temporaneamente a farsi friggere, per usare un eufemismo.
Spero che abbiate ancora voglia di leggere i frutti della mia mente depravata. Se lo farete, avrete la mia eterna gratitudine, sappiatelo.
Ma parliamo di cose serie...
Il capitolo è abbastanza fresco. Si parla un po' più di Cynthia e del rapporto tra le due sorelle, l'accettazione del lutto da parte della piccola... il tutto condito da mancamenti e crolli di nervi, strizzando un po' l'occhio alla mia adorata Jane Austen (lungi da me l'intenzione di paragonarmi a lei). Ci volevano proprio, direi. Pur essendo apparentemente semplice, penso sia un capitolo interessante e ricco di spunti. E' stato un vero piacere scriverlo. :)
Le prime righe le avevo buttate giù tempo fa, ma il resto l'ho scritto quasi tutto in viaggio. Il più l'ho fatto il 25 ottobre, tornando da casa di un'amica, mentre ero su un tram fin troppo simile al Nottetempo. La cosa mi ha inevitabilmente ricordato il mio buffissimo sogno su Robert (vedete i precedenti AdS ;D) e, per l'ennesima volta, ho pensato a voi e a quanto lavoro avessi da fare. :) Così, durante un viaggio turbolento, tra la velocità folle dell'autista, le curve continue, gli "spioni" (ma perché tutti vogliono sbirciare mentre scrivo? ç.ç) e le luci che si accendevano e si spegnevano continuamente, ho scritto con la mia grafia tremolante qualcosa come 3 pagine di quaderno sulla mia amata Moleskine. Dovrei comprarne una nuova, a proposito.
Insomma, che sia stato l'isolamento da mezzi pubblici o il freddo autunnale, il capitolo prendeva forma, e più scrivevo, più mi venivano idee, al punto che ho dovuto fermarmi e dire "Ok, dobbiamo trovare una fine al capitolo 9, così è troppo lungo".
Da questo mio rush creativo, quindi, è nato anche il capitolo 10, che è ancora in fase di perfezionamento. :)
Scommetto che vi piacerà, perché vi farà capite qualcosa in più di un certo personaggio... "Quale personaggio?" vi chiederete. Vi rispondo subito. :)

Ho pensato fosse giusto parlarvi di Florence e della sua storia personale nel prossimo capitolo. La odiamo tutti, credo (non è proprio un angioletto, in effetti). Il problema è che scrivere di lei come una "cattiva per natura" mi sembrava troppo semplicistico, riduttivo. Volevo darle veramente vita, carattere, perché non amavo che fosse solo una specie di fantoccio, di espediente, uno di quei personaggi dalla presenza passeggera che si odiano e basta, come un punchball a cui si tirano colpi che vorremmo destinare volentieri a certe persone (ho una bella lista di "bersagli", in effetti)... 
Come Lewis, doveva lasciare il segno. In questo senso, Florence è un personaggio più forte di Emily, che invece era praticamente una santa. Di lei ho detto qualcosa in meno perché volevo semplicemente che si pensasse a lei con un nodo in gola, con nostalgia. Volevo che, leggendo queste pagine, pensaste: "Peccato sia morta, avrei voluto conoscerla meglio".
Volevo, in pratica, che io e voi potessimo entrare in simbiosi il più possibile con il personaggio di Alice, che senza sua madre si sente svuotata, persa, ma che al tempo stesso cova un desiderio di vendetta, di giustizia, perché ha visto spegnersi sotto i suoi occhi la vita di un essere innocente e assolutamente buono.
Vengono le lacrime anche a me, a ripensarci... credetemi, scrivere della sua morte è stato più difficile di quanto non vi abbia detto (ancora non riesco ad accettare la cosa). So che potrà sembrarvi patetico, ma amo i "miei" personaggi (o meglio, l'idea che ho voluto darvi di loro, visto che sono stati estrapolati dal background di Twilight), ciascuno in modo diverso. Ucciderli è come dire "Ok, oggi decido di far fuori qualcuno". Non è esattamente una passeggiata.
Ma sorvoliamo, altrimenti dovrò utilizzare persino la carta vetrata per asciugare le lacrime.
Al contrario di Emily, vi dicevo, Florence è un tipetto deciso, capriccioso, egoista e - questa ve la concedo - assolutamente detestabile (non ve ne eravate accorte, vero? xD). Ma, mettendomi nei vostri panni, ho capito che non c'era una spiegazione di fondo, qualcosa che giustificasse il suo comportamento. Forse non ve ne fregherà niente, ma leggendo con attenzione la storia io stessa, da autrice (se così posso definirmi... .-.) sentivo che questa parte non reggeva. Mancava qualcosa perché il quadro fosse davvero completo. Insomma, ho sfruttato i primi capitoli solo per parlarvi della vita di Lewis ed Emily prima del matrimonio (scavando addirittura nella loro infanzia)... una digressione anche su Florence ve la dovevo, no?
C'è ancora molto da scrivere - e leggere - sulla nostra Alice, ma poiché non ho scritto ancora nulla di definitivo, non mi sento di andare oltre con le anticipazioni.
Non temete, farò in modo che il prossimo capitolo valga l'attesa. Sarà il mio personale ringraziamento a voi che mi seguite e mi avete fatto ritrovare l'ispirazione.
Grazie dal profondo del cuore. :)

K.


P.S.: avevo dimenticato una cosa a cui tenevo tantissimo... una specie di piccolo sondaggio, per conoscervi meglio e per concedermi un altro po' di momenti Slice of Life (ne avevo bisogno). 
Di solito, quando scrivo, metto musica molto tranquilla o che fa parte di una playlist (sì, ne creo qualcuna di tanto in tanto, per aiutarmi) o delle mie "fisse" del momento. Col sottofondo giusto si fa tutto in modo più piacevole, no? :) Per completare il quadro, brucio dell'incenso delle fragranze che più mi piacciono (incenso semplice o aromatizzato alla lavanda o quello col profumo dell'oceano, alla rosa...) e bevo dell'ottimo té (già d'obbligo per me nel mio "teatime". Ho un orologio biologico con devianze goth/British.)
Questo è tutto ciò che mi serve per scrivere/leggere/disegnare/creare... like a sir! xD
E voi? Cosa fate quando scrivete (o leggete)? Mordicchiate le matite, guardate fuori dalla finestra, cantate coi canarini....? Ditemelo con un commento, se vi va. E fatemi sapere che ne pensate della storia! <3

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