Odeon

di Mann
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Passi pesanti, i suoi, quelli del grosso Karl, guerriero della tribù Tallah, la più forte e temuta della sua razza.
Si, Karl era di razza Gorlot, un Gorlottiano, un uomo-scimmia, alto quasi due metri e mezzo, muscoloso, ma soprattutto terrificante. Molte persone provavano paura solo a guardarlo, tanto era grosso e imponente.
Era completamente nudo, portava solo dei pantaloni larghi e comodi, di colore verde scuro. Per il resto, i peli argentei e color marrone lo riscaldavano.
Dietro di lui lo inseguivano dei cacciatori, cinque in tutto. Karl avrebbe potuto sconfiggerli subito, ma non sapendo il numero preciso dei suoi inseguitori, continuava a correre, smuovendo il pelo e col fiatone in gola.
Non poteva continuare così, prima o poi lo avrebbero preso, torturato e venduto come schiavo. Il suo onore e la sua reputazione erano a rischio.
Continuò a correre per ancora una trentina di secondi, poi, finalmente, svoltò a destra. Gli inseguitori fecero altrettanto, ma in quella fitta boscaglia dove si trovavano, Karl divenne invisibile.
 < Dov’è finito? > fece uno dei cacciatori.
 < Questo è il suo habitat naturale, non possiamo prenderlo! > aggiunse un altro che subito ricevette un coltello dritto nel cuore, lanciato dal cacciatore che pareva essere il capo del gruppetto.
 < Quel Gorlottiano vale la bellezza di due milioni di ori! Io non me lo faccio scappare nemmeno per sogno, intesi? > sentenziò.
 < Ma non ci riusciremo mai! > rispose un quarto.
 < Vuoi fare la fine di Estacar? > chiese il capo al quarto cacciatore. Quest’ultimo abbassò lo sguardo, osservando Estacar, col coltello nel petto, sdraiato a terra e sanguinante.
Karl era sopra di loro, accovacciato su un ramo, finalmente li osservava.
Erano in quattro, cinque contando il morto.
Il primo ad aver parlato era biondo, bello, affascinante; il capo del gruppo invece era un uomo di bell’aspetto, col viso sfregiato da una cicatrice, alto  e accattivante; il quarto a parlare invece era piuttosto brutto, pelato, naso ricurvo e gobbo, alto e grosso, muscoloso.
L’unico a non aver parlato non era umano. Portava i capelli verdi, il volto bianco e ricoperto da macchie viola. Indossava un elmo rosso con delle rientranze nere, l’armatura anch’essa rossa, con il braccio sinistro, il guanto destro e le scarpe neri; la mano sinistra, visibile, pareva essere stata creata apposta per poter nuotare meglio, di colore verde e, infine, anche lui aveva una coda, anch’essa verde.
Karl si buttò giù dall’albero.
 < Attento! > parlò quello brutto, indicando lo scimmione e avvertendo il giovane biondo. Questo alzò la testa e i duecentosessanta chili di Karl gli schiacciarono le spalle.
Il ragazzo morì sul colpo e il Gorlottiano, indenne.
 < Bastardo! > urlò il cacciatore brutto.
 < No, Gun! > il capo lo avvertì, ma appena Gun sfoderò l’enorme spadone con un movimento fluido, Karl gli scivolò sui piedi, facendolo cadere a terra e, subito dopo, una frustata con la coda sul suo volto lo fece svenire.
Ora Karl era faccia a faccia col capo.
I due si stavano fissando, Karl con sguardo furioso, l’altro invece sembrava divertito, con un sorrisetto maligno in faccia mentre osservava lo scimmione. Quest’ultimo stava muovendo nervosamente la coda, segno che avvertiva del pericolo, ma non nel cacciatore che aveva davanti, bensì in quell’individuo che se ne era rimasto in disparte ad osservare la scena.
Karl prese la prima parola:
 < Chi siete? > ma l’altro, di tutta risposta scoppiò a ridere. Ma non una risata divertita; una risata maligna, crudele, pazza.
 < Che cazzo ti ridi? > il cacciatore smise di ridere ed estrasse una pistola, puntandola verso lo scimmione. Karl vide il movimento e subito cercò riparo, ma…
 < Fermati, o farai una brutta fine > Karl si fermò, nonostante la sua stazza, un proiettile ben piazzato avrebbe potuto togliergli la vita.
 < Mani dietro la testa, Karl >
 < Come conosci il mio nome? >
 < Non sei nella posizione di fare domande, credo! > rispose secco il capo cacciatore. Quindi, rivolto all’altro individuo:
 < Tu, vieni qui > quello strano cacciatore in un primo momento rimase a guardare, poi obbedì. Ma nel frattempo Karl aveva escogitato un piano e pian pianino stava avvicinando la coda al cacciatore.
 < Devo fare qualcosa? > chiese stranamente il misterioso individuo.
 < Si, tienilo d’occhio >
 < Non credo che ce ne sia bisogno…ormai sei finito. >
 < Cosa…? >
Il cacciatore che era rimasto in disparte aveva visto la coda di Karl, che fece scattare verso la pistola, stritolando il polso dell’altro. Un sonoro “crack” seguito da un urlo di dolore.
Il capo cacciatore si inginocchiò, lasciando la presa dell’arma, e Karl gli tirò una ginocchiata allo sterno, facendolo cadere a terra, quindi una pedata in faccia, poi una marea di pugni fino alla morte del suo aggressore.
Tutto ciò davanti agli occhi del quinto cacciatore. Karl si alzò dal morto, ansimando per la fatica ma continuando a guardare dritto negli occhi l’ultima persona.
 < Perché non sei intervenuto? > ci fu un attimo di silenzio nel quale lo scimmione provava un grande senso di paura di fronte a quell’essere molto più basso di lui ma con lo sguardo profondo.
Il tempo passava, Karl ora respirava regolarmente e l’ultimo cacciatore continuava a fissarlo, ma ancora non aveva risposto. Il Gorlottiano allora ripropose la domanda:
 < Perché non sei intervenuto? > questa volta passarono una decina di secondi, poi la risposta tanto attesa.
 < Perché tu non mi interessi. > diretto e conciso. Così aveva risposto l’individuo tenendo le braccia conserte.
 < Come ti chiami? > chiese Karl.
 < Ti interessa davvero? > lo scimmione non rispose subito, non sapendo cosa dire.
Passarono i minuti, i due si erano seduti uno di fronte all’altro, senza dire una parola.
Una strana situazione, ma quel cacciatore era troppo curioso per venir lasciato in mezzo alla foresta. Ancora una volta, Karl  domandò:
 < Perché non sei intervenuto? >
 < Oh, io sono intervenuto eccome! > Karl ragionò. In effetti aveva distratto il capo affinché riuscisse a rompergli le ossa del polso.
 < Mi hai salvato… >
 < Esatto. > ancora una volta passarono una decina di secondi.
 < Perché? >
 < Come ti chiami? > domandò invece il cacciatore, senza rispondere al Gorlottiano.
 < Karl, tu? >
I due si fissarono, quasi con sguardo di sfida, con i cuori che battevano all’impazzata. Karl con la voce nervosa mentre l’altro che riusciva a mantenere la calma. Finalmente rispose.
 < Il mio nome è Pigos… >

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
Àkos.
Un ragazzo di diciannove anni estroverso e generoso. Alto all’incirca un metro e novanta, più della media, magro e prestante. Estroverso, impulsivo, audace, allegro. Queste sono le caratteristiche che lo distinguono.
Àkos non era un ragazzo normale. Aveva una dote che nessun’altro aveva, una possibilità di potersi difendere qualsivoglia senza avere armi, ma semplicemente il proprio braccio.
 < Uuuuh! Che caldo! > esclamò
 < Sai com’e…siamo nel deserto! Non fa mica freddo! >
Àkos era assieme ad una ragazza di altezza normale, attraente e ben delineata, seria ma allo stesso tempo simpatica, razionale.
Il suo nome era Jackie.
Stavano in viaggio da ben due anni, a vivere come avventurieri,  innamorati l’uno dell’altra, insieme per l’eternità. Questo era il loro sogno da ragazzi ammaliati dalla perfida Dea dell’amore: Tela.
 < Chiariscimi le idee…perché siamo nel deserto? > chiese il giovane.
 < Ma proprio non ci arrivi? Siamo partiti da Silae, la città delle dune, e per arrivare a Ku dobbiamo attraversare il deserto e raggiungere il bosco del vento > gli spiegò Jackie.
 < Intendi quel bosco che cresce sulla sabbia e che poi diventa terra? >
 < Proprio quello! >
I due continuarono a camminare, scambiandosi qualche parola ogni tanto giusto per non addormentarsi lungo la strada deserta, dove nessuno avrebbe potuto soccorrerli.
 < Pff…CHE PALLE! >
 < Caro, lo hai già detto… >
 < E io lo ridico! Va bene? >
 < Come sei scontroso! >
 < Si, scontroso. Io! Ma vedi se uno… >
Questa lunga camminata stava durando davvero tanto.
Jackie camminava davanti ad Àkos, con l’arco sulle spalle e un turbante in testa per coprirsi dalla sabbia e dal sole. Lui invece diceva che non avrebbe mai ceduto, che il caldo e l’ambiente circostante non gli avrebbero mai fatto nulla.
Tutto finché non vide qualcosa di strano in lontananza, in mezzo a due dune.
Era un grande edificio rettangolare, col nome della struttura sopra le porte dell’ingresso.
 < Jackie, guarda! Un Carrefour! > esclamò il ragazzo.
 < Un che? > domandò sbigottita la ragazza, dopo quel nome nuovo.
 < Un Carrefour! È scritto su quel grosso edificio là, lo vedi? >
 < Àkos, mi sa che hai le allucinazioni…io non vedo niente! > infatti la ragazza stava scrutando l’area circostante, ma niente intravedevano i suoi occhi, niente che fosse simile alla descrizione povera del ragazzo: “è scritto su quel grosso edificio là, lo vedi?”
 < Ma va, allucinazioni! Sei tu orba! Quel coso enorme con la scritta rossa e rettangolare! Come fai a non vederlo? > Jackie si stava irritando.
 < Senti io non vedo niente! >
 < Ma è lì! >
 < HAI LE ALLUCINAZIONI, CAPITO?! >
 < NON PROVARE AD URLARMI CONTRO! >
 < AH SI? SE NO CHE MI FAI? >
Ma proprio nel bel mezzo di questo litigio, con tanto di urla, un forte rumore provenì da sotto la sabbia. Pareva essere una sorta di ruggito, un verso, probabilmente di qualcosa di grosso.
 < Cos’è stato? > chiede Àkos, preoccupato.
 < Non ne ho idea > quando Jackie smise di parlare, sotto terra ci furono altri versi, questa volta più forti, più vicini…
 < Spostati, Jackie! > la ragazza fece come le venne consigliato, nascondendosi dietro al moroso e dove stava prima lei, comparve un enorme bestia nera, con un pungiglione e due grossa chele. Uno scorpione.
 < Oh cazzo… > esclamò lui. Jackie estrasse l’arco e subito incoccò una freccia, puntandola verso la bocca della bestia. Questa parlò.
 < Avete disturbato il mio riposo, con le vostra urla e i vostri schiamazzi… > la sua voce era grave, tenebrosa, cupa e furibonda.
 < Ah! Ma guarda! Uno scorpione gigante che sa parlare? Questa si che è nuova! > commentò Àkos
 < Non provocarlo, tesoro > gli consigliò Jackie
 < Pagherai per le tue insolenze, ragazzo. > lo minacciò la bestia.
 < Ah si? E come? >
 < Non provocarlo! > gli ricordò
 < Col sangue. > terminò la bestia.
Àkos sorrise.
 < No, amore… >
 < Vieni a prendermi! > sfidò la bestia Àkos.
Questa si mosse verso il ragazzo, tentando di tranciarlo di netto, ma Àkos saltò, evitando il colpo, e il suo braccio sinistro si trasformò nella sua arma.
Una sbarra dalla quale uscivano due spuntoni affilati come lame e uno in mezzo piatto e tagliente, simile a un cacciavite. Il suo braccio, la sua arma.
Mentre era a mezz’aria la bestia tentò di trafiggerlo con il pungiglione, ma la freccia della ragazza, arrivata proprio nel momento giusto, impedì che ciò avvenisse.
 < Maledetta ragazzina! > la provocò lo scorpione.
 < Sta zitto, ciccio bello! > Àkos scese a terra, atterrando sulla testa del grande scorpione. Conficcò il tridente nelle carni della bestia e dalla testa cominciò a correre verso la coda, tenendo il braccio nella corazza del mostro. Giunto al pungiglione, il giovane tolse il tridente dallo scorpione, ma come conseguenza, gli separò la coda dal resto del corpo.
Il mostro urlò per il dolore, si dimenava, stava scavando per tornarsene sotto la sabbia: aveva capito che sarebbe morto. Ma Jackie, impavida, gli si avvicinò, gli mise una piede sulla testa e, mirando con l’arco stava per ucciderlo prima che scappasse.
 < Se lo farai, ragazzina, i miei fratelli e le mie sorelle non avranno pietà con te ne con quello sbruffone… >
Ma a Jackie non importava. Scoccò la freccia. Il mostro se ne andò dal mondo dei vivi con un urlo straziante e assordante, udibile anche dalle viscere della terra.
I due si guardarono.
 < È finita? > chiese lei.
 < A quanto pare > concluse Àkos.
Ma altre urla, simili all’ultima appena udita, si fecero eco nell’immenso deserto che li circondava. Ecco che  da dietro delle dune comparvero almeno una decida di altri scorpioni, taluni più grandi, taluni più piccoli. Li stavano circondando.
I due fidanzati stavano spalla a spalla, tenendo d’occhio ognuno cinque scorpioni. Tuttavia, dieci è un numero piccolo, no?
Altri sette scorpioni uscirono da sotto la sabbia, più vicini, più grossi, più cattivi.
Ma non era ancora finita.
I due sentirono degli spostamenti proprio sotto i loro piedi. Si spostarono e dopo poco, uno spettacolo terribile si presentò davanti ai loro occhi. Era un pungiglione gigante, alto una cinquanta metri, enorme.
 < Oh… >commentò semplicemente il ragazzo < immagina cosa c’è sotto > ironico, nonostante la situazione
 < Amore…è finita > ammise lei, piangente < è tutta colpa mia, non avrei dovuto uccidere quel coso! >
 < Ma no! Suvvia! Vuoi scommettere che non ci accade nulla? >
Jackie guardò il suo uomo esterrefatta, sbalordita. Riusciva a stare calmo nonostante circondato da diciassette mostri giganti e un pungiglione largo sei metri e alto cinquanta.
Àkos parlò:
 < Gentili Insettoni! O quello che siete! Lasciatemi dire: noi non abbiamo fatto niente, è stato il vostro compagno ad averci offeso e provocato! Quindi non abbiamo motivo di combattere anche con voi e non vogliamo! >
Ma uno scorpione, con la solita voce grave lo interruppe:
 < Silenzio, umano! Julhinghar era uno scontroso e irritabile, ma era un nostro fratello! Perirete per questo! >
 < Suvvia, andiamo! >
 < Attaccateli! > ordinò il mostro.
Uno degli scorpioni dietro fece un salto strabiliante, raggiungendo il centro di quello scontro. Stava per atterrare sul ragazzo.
 < Eh no, bello mio! >
Àkos venne incontro allo scorpione, trasformando il tridente in uno spuntone conico, trapassando lo scorpione che morì sul colpo per pura fortuna.
Le bestie iniziarono a ringhiare.
 < ATTACCATELI! > urlò sonoramente lo scorpione. Tutti i piccoli saltarono addosso ai due, tutti i grandi si avvicinavano minacciosamente, persino il pungiglione gigante stava precipitando su di essi a strapiombo.
 < Jackie… >
 < Si? >
 < Ti amo… >
 < Anche io! >
I due si inginocchiarono abbracciandosi e chiudendosi gli occhi, ormai incontro alla morte, assieme e uniti per sempre.
Ma qualcosa accadde all’improvviso.
Un lampo di luce chiara, biancastra, trapassò il cielo. Era come un cilindro infinito, fino agli astri più remoti. Quell’energia svanì e al suo posto comparve un paladino.
Aveva lo sguardo serio, i capelli neri e un’armatura con un lupo inciso sopra. Aveva creato una barriera sacra che respinse i mostri, persino il grande pungiglione.
Ma non uccise le bestie, meritavano di vivere.
Si ritirarono, tutte quante, nascondendosi sotto terra. Il pungiglione scese per ultimo.
 < Avvicinatevi a me… > ordinò il paladino. I due obbedirono, si avvicinarono. Questo li toccò, il re degli scorpioni comparve proprio sotto di loro, con le fauci aperte, pronti a ingoiarli come se fossero dei moscerini. Era enorme, una bestia colossale, divina. Ma per fortuna che c’era quel cavaliere, che all’ultimo, con un altro lampo sacro, li fece scomparire nel nulla, lasciando la bestia senza cibo e a stomaco vuoto.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 
 Capitolo 3
 
La lunga colonna di luce cadde dal cielo, atterrando al centro di una piazza molto trafficata da cittadini e soldati.
Àkos, Jackie e il misterioso cavaliere erano comparsi da quella luce; si erano forse teletrasportati? Pochi attimi prima si trovavano nel deserto, circondati da mostri giganteschi, ed ora si trovavano in un centro abitato, con tutti gli occhi fissati su di loro.
Il paladino iniziò a camminare. Sguardo serio e imponente.
I due giovani, come d'istinto, lo seguirono.
Attraversarono la grande piazza: ai lati c'erano molti bar e negozi, al centro una grande fontana maestosa con una statua del Dio del mare. Forse si trovavano in una città marittima, pensò Àkos.
Dopo la piazza entrarono in una via, anch'essa piena di persone, queste però sembravano essere meno interessate al fascio di luce apparso poco prima dal cielo.
 < Ehi, si può sapere dove stiamo andando? > si decise, impaziente, il ragazzo, un po' irritato per questo fare silenzioso del guerriero.
 < All'ambasciata >, rispose questo.
Àkos fece per intervenire, ma la ragazza lo anticipò, guardandolo come per rimproverarlo. D'altronde aveva appena salvato le loro vite.
Ancora cinque minuti di camminata e i tre raggiunsero un'altra colonna di luce. Questa volta non saliva fino al cielo, ma si fermava su una struttura volante, raggiungibile solo da questo strano ascensore luminoso e cilindrico.
 < Ma allora, > iniziò Àkos alla vista della piazza volante
 < Siamo nella capitale > concluse Jackie. I due si guardarono, poi si girarono verso il soldato che li aveva fatti passare avanti.
 < Entrate nella luce > ordinò. I due ragazzi fecero come imposto, e una volta entrati si ritrovarono in un'altra piazza, piena di nobili e soldati. Era l'isola delle ambasciate.
In effetti era proprio un'isola. Era una roccia magnetica sospesa in aria, ora mantenuta da un congegno artificiale. Su di essa erano state fondate tutte le ambasciate dei vari popoli di tutto il pianeta.
Subito dopo loro dall'ascensore, perché era un ascensore, alla fin dei conti, comparve il guerriero, con la sua armatura luccicante per la luce del sole che picchiava su di essa.
 < Venite > disse ancora.
I due furono obbligati a seguirlo.
Attorno a loro altri cavalieri iniziarono ad accompagnarli, diretti verso una struttura che pareva essere un tribunale. Infatti così era.
Una volta entrati videro l'ambasciatore umano e un ambasciatore con una coda da scorpione e la pelle corazzata. Apparentemente aveva la forma di un essere umano, ma gli occhi e la pelle, e quella coda soprattutto, lo facevano sembrare come una trasformazione o simile.
Tutti si fermarono, ma il loro salvatore continuò a camminare al seguito dei due giovani.
Ci fu un momento di tensione.
Fu l'ambasciatore umano a rompere il ghiaccio.
 < Così siete voi i due ragazzi del deserto? >
I giovani rimasero un po' di stucco. Cosa avevano fatto? Com'era possibile che da un momento all'altro si ritrovarono nel bel mezzo di questioni politiche? Cosa poteva essere se no? Per forza qualcosa di politico!
 < Immagino di si > accennò Jackie.
 < Voi due avete infranto l'articolo trentanove del trattato di Scipyon > fece con tono pimpante l'uomo.
 < Sarebbe? > chiese Àkos.
 < Matarak, vuoi dare tu una risposta? > disse l'ambasciatore al guerriero che li aveva salvati e portati in quella sorta di tribunale.
 < Si, signore. Articolo trentanove del trattato di Scipyon: gli umani e gli Scipy sono legati tra di loro attraverso un legame politico, militare ed economico affinché si garantisca un equilibrio pacifico tra le due potenze col principale obbiettivo di creare un regno che abbia il monopolio su tutto il pianeta. Si appresta quindi a non infliggere offese di alcun tipo agli appartenenti delle diverse razze. > ripeté a memoria il cavaliere, come se sapesse ogni legge a memoria.
 < Grazie Matarak > ringraziò l'ambasciatore < voi due avete avete infranto questa legge uccidendo due Scipy non più di venti minuti fa. Cosa avete da dire in vostra difesa? > i due rimasero allibiti dal dire dell'ambasciatore. In più non capivano molto di cosa stessero parlando, o perlomeno Àkos.
 < Innanzitutto voglio sapere cosa cavolo è uno Scipy! > intervenne stupidamente il ragazzo. L'altro ambasciatore, quello non umano, rispose.
 < Io sono uno Scipy. Gli Scipy sono degli esseri coscienti che vivono prevalentemente nel sottosuolo delle grandi distese desertiche. Noi Scipy potremmo sembrare per voi come degli scorpioni giganti e solo alcuni, tra i più anziani, riescono a trasformarsi in un essere umanoide, come me. > spiegò lo Scipy. < Io sono Scipyon > completò alla fine.
Jackie fu impulsiva. Non volle riflettere e subito cercò di aggrapparsi a un vetro per uscire al più presto da quella situazione.
  < Quindi saremmo dei criminali, adesso? Quei mostri ci hanno attaccato! Noi eravamo buoni buoni mentre attraversavamo il deserto e poi è comparso quel... COSO scarafaggioso! >
 < Era uno scorpione, cara >
 < Non mi interessa cos'era! A me interessa che per colpa di un mostro che voleva mangiarmi ora sono qui, accusata di aver infranto due volte un articolo di un trattato inventato al momento! >
 < Come puoi parlare così?! Ragazzina insolente! > intervenne l'ambasciatore umano, < Ricordati che sei di fronte all'ambasciatore Scipyon e all'ambasciatore Uomo! >
 < Siamo innocenti! >
 < No! Questa cosa per me è sufficiente! Siete condannati a tre anni di prigionia per aver infranto l'articolo trentanove del trattato di Scypion e per offesa agli ambasciatori e al popolo Scypion! > sentenziò Uomo, l'ambasciatore umano.
 < Cosa? Ma non potete! > intervenne, finalmente, Àkos,
 < Oh, si che posso! >
 < No, signore, non potete. Secondo l'articolo ottantasei della costituzione umana solo un giudice legale e penale può condannare, a sua discrezione, un accusato di un crimine! > disse impressionando tutti Matarak
 < Come osi? Sei un cospiratore, forse?! >
 < No, signore! Non tradirei mai l'ordine dei paladini! >
 < Si, invece! Uomini! Portateli tutti nelle segrete! >
 < Non ci riuscirete, signore > Matarak, paladino quindi,  estrasse il grande martello da guerra che aveva sulle spalle. Un paladino, con lo spadone sguainato, gli si avvicinò, caricandolo e pronto a colpirlo. Matarak schivò il fendente del paladino, subito dopo gli sbattè in testa una martellata tanto forte da farlo svenire. Poi allungò il palmo verso l'entrata del tribunale.
 < Tuh! > urlò, e dalla sua mano aperta uscì un lampo sacro, un cannone di energia che allontanò gli altri paladini e sfondò il portone d'accesso alla struttura.
 < Seguitemi! > consigliò il paladino, quindi i tre si diressero fuori dalla struttura e, ancora una volta si teletrasportarono attraverso quel grosso palo di luce cilindrico in direzione del cielo.
I tre scomparvero, rinnegati ormai in quasi tutto il pianeta.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
< Ricercati! > esclamò Àkos < Siamo ricercati! >
< E abbassa la voce, stupido! > ordinò Jackie, strappando i tre fogli con le loro facce stampate su di essi. Le taglie erano piuttosto alte: Àkos  valeva diecimila monete, Jackie ottomila, mentre Matark aveva una somma spropositata, trecentomila.
Al paladina non faceva né caldo né freddo, era frustato però, e si vedeva.
< meglio non dare nell’occhio… > affermò Matarak.
< Dovremmo cambiarci i vestiti > accentò il giovane.
< Io non posso separarmi dalla mia armatura >
< Perché? > chiese Àkos.
Gli rispiste Jackie < Un paladino è un guerriero che vive per combattere contro il male, spicca nell’onore, nella fama e nella generosità, sempre a disposizione per chi è in difficoltà. Un paladino vive in simbiosi con la sua armatura e la sua arma: non può starne troppo tempo senza > Spiegò al giovane < se studiassi lo sapresti già >
< È così palloso studiare >
< Per te tutto è palloso! > disse Jackie, togliendosi il mantello e dandolo al guerriero < Tieni, almeno puoi coprirla >
Il paladino afferrò il tessuto < Grazie… > posandoselo sulle spalle < andiamo in taverna, si è fatto tardi > consigliò.
I due ragazzi seguirono il guerriero tutto imbacuccato per nascondere la sua identità.
< A proposito, dove siamo? > domandò Àkos . La ragazza si mise una mano sul volto, disperata.
< Sono circa le dieci di sera, abbiamo camminato per quattro ore, dovremmo essere alla cittadina di Terra > disse Matarak aprendo la porta della taverna.
Era piuttosto tranquillo come posto, silenzioso, a parte il solito luogo dove stava il tipico gruppetto di ubriaconi.
Ai tavoli c’erano molte persone, ognuna per i fatti propri, tra cui anche un vecchio che raccontava una storia a un bambino.
< Buonasera! > salutò il cameriere.
< Per tre > chiese Matarak.
Il cameriere li condusse ad un tavolo vuoto, apparecchiato per quattro. I tre si sedettero e ordinarono da bere, osservando ogni presente nella sala. Tutta gente tranquilla e “normale”, un posto molto carino e accogliente e con bella gente. Ma c’erano due individui, incappucciati. Uno grosso, enorme, che dava le spalle ai tre, l’altro, col volto incappucciato, fissava Àkos, dritto negli occhi, quasi volessero spaventarlo. Àkos distolse lo sguardo, ora rivolto al paladino.
< Come hai detto di chiamarti? > gli domandò con un tono di voce estremamente basso, come se non volesse farsi sentire nemmeno dall’orecchio più raffinato.
< Non l’ho detto… > rispose col medesimo tono < Sai quanto ci impiega un’informazione a diffondersi su tutto il pianeta? > domandò questa volta Matarak.
< No. >
< Sette ore. Ne sono già passate quattro da quando siamo fuggiti dalla capitale, quindi noi siamo ricercati su più della metà del pianeta, ormai. > disse il guerriero con voce ancora più lieve, quasi un bisbiglio, tanto che i due giovani dovettero inclinarsi verso di lui per ascoltare ciò che diceva.
Jackie estrasse un foglio e una penna da una sua tasca, porgendoli al paladino cosicché potesse scrivere il suo nome sul foglio.
Matarak scrisse, poi diede a Jackie la penna e, coperto, porse il foglio al ragazzo. Àkos voltò la carta e lesse senza dire una parola.
 
Matarak Gambus Valdès,
generale supremo dell’ordine paladino
dei lupi della steppa

Àkos pose il foglio alla sua ragazza, affinché anch’essa possa leggere la presentazione del paladino.
< Tu sai i nostri nomi? > Chiese dunque Jackie, vedendo arrivare il cameriere con le tre birre.
< Si, li so. > rispose Matarak.
Passarono all’incirca una trentina di minuti, i tre avevano finito la bevanda e si erano conosciuti meglio. Beh, si può dire che ora potevano chiamarsi per nome.
< Sentite, so che sono stato io a mettervi in questo pasticcio, ma credo che ci conviene rimanere uniti > propose Matarak, guardando alternativamente Àkos e Jackie, prima a destra e poi a sinistra.
< Sono d’accordo > concluse lei, mentre Àkos annuì muovendo la testa su e giù.
< Però… > iniziò a dire il ragazzo.
< Che cosa? > domandò perplesso il paladino.
< Ci sono due tipi, qua, che non promettono nulla di buono. Alla tua sinistra. > Matarak si voltò e vede l’omone che gli dava le spalle e l’altro che guardava il volto di Àkos mentre giocherellava con un orologio da tasca.
< Quello lì mi sta fissando da quando siamo arrivati >
< Andiamo, Dunque > propose il guerriero. Si alzò, al seguito dei due ragazzi. Raggiunsero il bancone e pagarono. Il cassiere si girò e andò in una stanza riservata al personale per prendere i soldi che mancavano per il resto.
< Siate il più naturali possibili > li avvertì, ma Àkos si accorse che i due uomini misteriosi li stavano seguendo e mentre i tre aspettavano alla cassa gli altri erano usciti dalla taverna.
< Senti, quelli sono usciti > disse il giovane, abassa voce.
< Calmati ragazzo… magari sono semplici passanti >
< Non ne sono così sicuro! > ma arrivò la cassiera a dare i soldi al paladino a zittire definitivamente la conversazione. I tre ringraziarono e uscirono. La strada era deserta per la tarda ora.
< Visto? Se ne stavano semplicemente andando > disse risoluto e soddisfatto, Matarak, che subito dopo si avviò a destra, inconsapevole che quattro occhi li stavano osservando, nascosti nell’ombra della notte, come se facessero parte di quel buio profondo.
I tre ricercati, incappucciati, continuarono dritti per trecento metri, poi svoltarono a destra, poi a sinistra, altri cento metri, e quegli occhi rimanevano fissati su di loro. Ma poi distolsero lo sguado.
< La guardia cittadina > Matarak avvertì i due ragazzi che la pattuglia di mantenimento stava girando proprio lì, su quella strada. I tre entrarono in un vicolo buio, nascosti nell’ombra e appiattiti al muro, osservando i soldati passanti.
< Chi sono? > domandò Àkos. Jackie si mise un’altra volta la mano in faccia, come un gesto di disperazione. Ma era stufa di spiegare ogni volta qualcosa al moroso. Così parlò Matarak:
< Sono la guardia cittadina. Pattugliano le strade delle città sotto controllo della capitale. Le chiamano “Pattuglie di Mantenimento dell’Ordine”, o semplicemente “Pattuglia di mantenimento”. Sono addestrati al combattimento veramente bene, e cacciano i fuorilegge… >
< Quindi noi? >
< Esatto > Il trio distolse lo sguardo dalla pattuglia, entrando nel cuore del vicolo, evitando la pattuglia.
Ma ecco che i quattro occhi li stavano di nuovo fissando, ora però erano faccia a faccia.
Da un lato Matarak, Àkos e Jackie, dall’altro i due individui della taverna.
Quello grosso era coperto da un grande mantello, incappucciato com’era non gli si vedeva la faccia, mentre dell’altro, che si era tolto il cappotto, si vedeva un’armatura rossa e nera, scuriti i colori per il buio. Una cosa che però era ben visibile erano gli occhi rossi e luccicanti che poco prima, in taverna, fissavano Àkos. Il possessore di quegli occhi parlò:
< Non abbiamo cattive intenzioni >
< Come no! > esclamò il ragazzo che li aveva riconosciuti. Stava preparandosi a colpirli, ma Matarak lo anticipò e alzò una mano, riuscendo a calmarlo.
< Sappiamo chi siete. >   continuò a dire, indicando con una torcia che aveva in mano il muro. Accese la torcia e illuminò i volantini coi volti dei tre ricercati. Spense la torcia e lasciò parlare il Paladino.
< E voi chi siete? >
< Il mio nome è Pigos, salvo fuorilegge che stanno nel giusto > si presentò Pigos < e questo è Karl. >
< Quindi quello sarebbe un criminale? Cosa ha fatto? > fece scontroso Àkos. L’omone gli ringhiò contro, irritato dal dire del giovane.
< Karl è stato condannato per genocidio >
< Genocidio? > chiese perplessa Jackie. Il suo tono pareva essere quello di una persona che non capisce cosa sta succedendo, terrorizzata e preoccupata. Si, preoccupata per il suo amato. Lo conosceva troppo bene per sapere che avrebbe fatto qualcosa di avventato.
< Ho sterminato un villaggio di contadini > disse, secco, con voce grave e cupa, intensa.
I presenti non vollero approfondire l’argomento, forse perché tutti avevano capito che non era il momento. Ma l’esuberanza di Àkos, come Jackie temeva, gli fece fare la mossa sbagliata.
< CAZZATE! > trasformò il braccio in uno spuntone conico, avventandosi su Karl.
Scattò, preso da un’ira incontrollabile e inspiegabile, emozione che un ragazzo immaturo come lui non poteva comprende a pieno.
Ma quando Àkos  fu al punto di colpire Karl, quest’ultimo si scansò, tirando una ginocchiata allo stomaco del giovane, mostrando la zampa pelosa.
Àkos cadde a terra, inginocchiato. Il suo braccio tornò come prima, alla normalità, e il ragazzo si mise a lamentarsi.
< Pezzo di merda… > insultò Àkos, ma una mano gli afferrò la spalla prima che potesse imprecare ancora.
< Àkos non sa quello che fa. Ti poniamo le nostre scuse, Gorlottiano >
Karl rinchò, Jackie rimase sorpresa da quella verità ed Àkos, fregandosene, fissò dal basso l’uomo scimmia.
< Che intenzioni Hai? > continuò Matarak, verso quell’individuo con l’armatura rossa.
< Come detto prima, io salvo fuorilegge nel giusto. Ci sono troppe guardie per scappare, e anche se ci riusciste, al confine della città, ci sono un centinaio di paladini come minimo… >
< Quindi? >
< Io conosco ogni sottopassaggio di questa città >
Matarak rimase in silenzio. Doveva decidere: tentare di scappare da soli, rischiando la vita, oppure unirsi a Pigos.
Ma chi può sapere che l’uomo macchiato di viola in volto, non lavorava per l’ordine dei paladini, portandoli davanti ai soldati? Ma qualcosa invitava  Matarak ad accettare, qualcosa di più forte di lui, come sei il suo interlocutore lo stesse convincendo con quello sguardo agghiacciante. Non si fidava, ma sapeva perfettamente che era la cosa giusta da fare.
< Veniamo con voi > 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
Il gruppo era adesso composto da cinque persone, tre umani, un gorlottiano e Pigos, che sarebbe potuto essere il miscuglio tra tutte le razze tranquillamente. Coda, branchie, mani palmate, macchie viola in volto, fisico squadrato.
Un essere davvero misterioso.
 
Ma a nessuno importava qualcosa. A Odeon le atrocità ci sono sempre state e non hanno mai avuto termine. Pigos, agli occhi di Jackie, era la dimostrazione che l’essere umano era la razza più spregevole sul pianeta.
Tutti i suoi pensieri portavano alla conclusione che quell’uomo, Pigos, fosse stato maltrattato per anni, magari usato come cavia per esperimenti.
Un prigioniero di guerra, un bandito catturato, un lavoratore onesto imbrogliato.
Lei era l’unica che aveva paura di lui…
Le fogne poi non sono il massimo per vedere la gente com’è. Si vede tutto più brutto, maleodorante, sporco, come le fogne stesse.
Ci erano arrivati attraverso un tombino lungo la strada. La pattuglia di mantenimento aveva appena girato l’angolo, così raggiunsero la strada verso la libertà, per quanto fosse ripugnante.
I cinque erano in fila in ordine di altezza. Il perché lo sapeva solo Pigos, primo della fila.
Lo seguiva Jackie, poi Àkos e Matarak. In fondo camminava rannicchiato Karl, troppo alto per il soffitto delle fognature.
 Pigos impugnava la torcia con la quale aveva illuminato il manifesto nel vicolo. Faceva luce nei condotti, gli altri si arrangiavano con altre tecniche, come magie o altro, mostrando tutto ciò che non era sicuramente bello da vedere, ma sicuramente sgradevole al contatto fisico, come una pantegana grande quanto il martello di Matarak, morta, che galleggiava sull’acqua.
< Ma da qui ci bevono? > chiese Àkos schifato.
< Chi? >  rispose Pigos
< Gli abitanti di Terra! Voglio dire, qua tutto è morto e marcio! Non sono avvelenate queste acque? >
< Lo sono > annuì il paladino, facendo un cenno col capo, ma talmente fine che nemmeno il gorlottiano dietro riuscì a notarlo.
< Comunque dove stiamo andando? Fuori? > intervenne Jackie
< No, naturalmente > la risposta di Pigos sorprese tutti < Andiamo da un mio amico > terminò.
< Nelle fogne? >
< Su, non essere schizzinosa! > parlò Àkos < Alla fine è solo un po’ di acqua e merda, nulla di cui preoccuparsi! No?! >
< Piantatela! > ordinò Karl, che riuscì finalmente a stare in piedi eretto, senza doversi piegare da qualche parte per non toccare le pareti dei tunnel < Dove andiamo adesso? > disse rivolto a Pigos.
Erano in una piccola piazzetta leggermente più alta dei cunicoli delle fognature di Terra. La piazza si diramava in tre strade, una centrale e due ai lati. Un incrocio di tunnel.
Tutti guardavano Pigos, aspettando una risposta, ma quando arrivò non furono molto contenti.
< Non mi ricordo >
< Bene! E allora cosa facciamo? Lo Sapevo! Non dovevamo fidarci di te! > disse Àkos che stava già perdendo la pazienza. Matarak gli mise ancora una mano sulla spalla, e quello subito si calmò. Forse il tocco di un paladino tranquillizza subito le persone, pensò Jackie.
< Beh, ci dividiamo. Jackie con Karl, io con Àkos e te… > indicando Matarak < … beh, sei grande e grosso, ce la fai a raggiungere la fine del tunnel da solo? >
< Nulla di complicato > rispose l’altro.
< Perfetto! >
< E cosa dovremmo fare? > domandò Karl con tono calmo e pacato, simile a quello del paladino
< Giusta osservazione! Dunque, dovete trovare il mio amico! Si chiama Grunch, è un ratto verde che cammina su due zampe, si porta sempre un bastone da passeggio quando va in giro, è alto più o meno un metro e mezzo e puzza in maniera terrificante > ci fu un attimo d’imbarazzo dopo quella descrizione.
< Insomma, peggio del buco del culo di un elefante! E che dovremmo fare dopo averlo trovato? > domandò sfacciato il giovane, Àkos.
< Tornate in dietro. Fra un’ora ci vediamo qua, d’accordo? > i restanti quattro fecero un cenno col capo < Benissimo. A un’ora da adesso! > si voltò ed entrò nel corridoio centrale, seguito da Àkos, in quello di sinistra Karl e Jackie, e nel restante il paladino.
 
 
 
Per quanta luce passasse dai tombini della strada, nelle fognature c’era troppo buio.
Jackie si fermò, protetta dal gorlottiano dietro di lei. Alzò il pugno ad altezza del suo viso, lo baciò e ci soffiò sopra.
< Che stai facendo? > chiese Karl, ma la ragazza non rispose, e la sua mano di carnagione abbronzata divenne improvvisamente pallida, chiara, per poi tornare al suo colorito originale.
Aprì il pugno e da esso uscì una sfera di luce. Magia. Un’arte meravigliosa, rispettata e ammirata sull’intero pianeta, difficilissima da apprendere, ma nel sangue di ogni essere.
< Brava. > commentò lo scimmione. Almeno adesso si riusciva a vedere bene la galleria.
< È un incantesimo basilare, non c’è da fare complimenti! > rispose sorridendo lei, ma a Karl non fece differenza la sua reazione. Rimase zitto, così  Jackie s’incamminò.
Stare con quel gorlottiano era un inferno. Enorme, silenzioso e pericoloso. Aveva fatto un genocidio, non poteva essere sicura della sua fedeltà.
Ma comunque sempre meglio che rimanere soli, come diceva sempre il suo ragazzo.
Il loro tunnel era tutto dritto, con grate ai lati per far passare l’acqua, ognuna distante decine di metri dall’altra. Percorsero quella galleria per venti minuti, venti minuti coi piedi nell’acqua, topi morti ai lati del tunnel e altrettanti topi, più grandi, che mangiavano quelli morti. Un tratto di strada lo percorsero con l’acqua alla vita. O meglio, così era per Jackie, mentre Karl si bagnava fino al ginocchio. Tornarono a “sporcarsi” solo i piedi, con gran piacere della ragazza. Continuarono a camminare, dritti, senza più problemi particolari, finché, però, raggiunsero uno strapiombo.
Già. Uno strapiombo alla fine delle fogne.
< Cos’è sta puzza? > domandò la ragazza
< Grunch? >
< Può darsi, ma dove? >
< Non puoi illuminare la sala? Almeno vediamo dove siamo, questa fiaccola fa pochissimo. > il suo era un timbro grave, svogliato e tranquillo.
Jackie non rispose. Afferrò l’arco, quindi una freccia. Fece gli stessi gesti che aveva fatto prima. Baciò la punta della freccia, poi ci soffiò sopra e un’altra luce comparve sulla punta della freccia.
Incoccò quest’ultima, tese la corda al massimo, finché non scoccò l’asta.
La freccia percorse tutta la sala. Non c’era pavimento, solo vuoto per terra; di fronte a loro, una quindicina di metri, una parete che gli bloccava la strada, dove s’incastrò la luce.
Tuttavia i Lati non furono rimasti illuminati e da essi numerosi versi e ruggiti minacciarono la luce.
< Spegnete quella luce! > urlò una voce acuta e rauca, seguita da un’altra ancora più stridula.
< Lasciateci dormire! > alcuni pianti, urla, tormenti.
< Che cosa sono? Non li vedo! > chiese a bassa voce Jackie.
< Non puoi fare più luce?! > Karl si stava innervosendo.
< Si, ma dopo potrei perdere tutte le mie energie, non mi reggerei in piedi! >
< Ti porto indietro io >
Jackie lo guardò esterrefatta. O forse era solo curiosa. Fece un passo avanti, quasi al limite dello strapiombo. Tese le braccia verso la freccia. Lentamente la luce al muro si avvicinò alla ragazza fermandosi però a metà della sala.
La giovane congiunse i palmi come in segno di preghiera, chiuse gli occhi e disse alcune parole. Stava davvero pregando. Quando riaprì  gli occhi la luce esplose, illuminando adesso tutto.
Soffitta, strapiombo, mura e le pareti, dalle quale provenivano quelle grida.
< AAAH! SPEGNI LA LUCE!!! > erano degli esseri  ripugnanti.
Piccoli uomini. Incollati alle pareti laterali, nudi, viscidi, luccicanti. Denti aguzzi, unghie acuminate, capelli lunghi ma pochi, giusto una decina. Ma niente topi. Soltanto qualche centinaio di quegli esseri, in fondo allo strapiombo e ai lati dell’enorme sala.
Jackie per lo shock e la stanchezza svenne.
Karl l’afferrò, osservando con sguardo serio quegli esseri che urlavano.
< SPEGNI! Aaaaaah, brucio!!! La luce! > tanti lamenti e adesso alcuni si stavano avvicinando al gorlottiano incappucciato, minacciosi. Piangevano e ringhiavano contro lo scimmione.
Troppo rumore, Karl non resisteva.
Due di quegli esseri lo assalirono alle spalle, lacerandogli il mantello con le unghie.
Il bestione fece cadere a terra Jeckie, tentando di afferrare i due mostriciattoli. Ci riuscì. Li teneva saldi per le teste, che con forza fece scontrare, facendoli cadere nel precipizio, ma poi altri di essi lo afferrarono e gli tolsero il mantello.
A questo punto Karl Ruggì. Un boato fortissimo. Si era messo su quattro zampe, come un gorilla. Alcuni caddero dalle pareti, altri urlarono per il rumore.  Quelli dietro di lui rimasero paralizzati, e quando questo si girò, scapparono.
Lacrime, lamenti e pianti. Stavano rannicchiati con le mani sopra la testa per la paura.
Il gorlottiano afferrò Jackie e la mise in spalla, tornando indietro con la luce che aveva creato all’inizio del tunnel.
Quei mostri, quando si spense la luce nella sala, poco dopo quella che aveva con se Karl, smisero di lamentarsi, e nelle fognature tornò il solo rumore dell’acqua che scorre.
 
 
 
Pigos e Àkos avevano appena esplorato tutta la galleria quando sentirono il ruggito di Karl. Erano in un vicolo cieco, l’ultimo che avevano trovato, ma di Grunch nessuna traccia.
< Cos’è stato? >
< Karl >
< Cosa?! >
< Si è incazzato >
< Caspita >
< Torniamo indietro >
Pigos stava davanti al giovane. Lui aveva la torcia e lui doveva fare luce. Seguirono la strada del vicolo, quindi  girarono a sinistra per due volte.
Ancora dritto, in silenzio, superando alcuni tunnel che Pigos si ricordava fossero vicoli ciechi.
Se la galleria di Karl e Jackie era praticamente un’autostrada, la loro era invece un labirinto.
Camminavano, zitti, non perché non avevano da parlare, ma perché Àkos odiava a morte Pigos.
< Almeno sai dove stai andando? > chiese il ragazzo.
< Non ti fidi? >
< No, per niente! > un forte rumore spezzò quel silenzio, seguito da una specie di terremoto < E ora che succede? >
< Pff, che femminuccia! Non ti preoccupare e seguimi! >
< Cosa? >
< Seguimi! > ridisse l’uomo dall’armatura rossa
< No, cosa mi hai detto? > Pigos sospirò e si voltò, tenendo la torcia immobile.
< Femminuccia? > domandò facendo un’espressione del volto come per prenderlo in giro
< T’ammazzo! > Il braccio di Àkos  si trasformò in una spada.
Saltò addosso a Pigos, tentando di trafiggerlo con la punta della lama.
Ma l’altro era più svelto. Si spostò a lato, e gli tirò un pugno dritto in faccia, facendolo andare a sbattere contro il muro, poi estrasse uno dei suoi coltelli e glielo portò alla gola.
<  Can che abbaia non morde…è proprio vero questo proverbio! > Pigos tolse il coltello dalla gola del giovane e spense la luce, quindi si allontanò.
Àkos rimase un attimo fermo, a respirare e a massaggiarsi il mento, colpito dal pugno dell’uomo. La spada tornò ad essere un braccio. Si appoggiò al muro. Sentiva solo i passi del compagno nell’acqua. Ciak, Ciak, Ciak…
< Pigos? >
< Muoviti femminuccia! > Pigos accese la luce per far vedere dove si trovava rispetto al ragazzo, e poi se ne andò.
 
 
 
Matarak impugnò il martello.
Sbatté la base dell’arma tre volte sul terreno, delicatamente, ma comunque tre tocchi sicuri.
Dal martello nacquero tre luci della stessa dimensione di quella di Jackie, solo più luminose.
Queste danzavano. Si muovevano su e giù, a destra e a sinistra. Una girava attorno al paladino, ornando la sua armatura di un luccichio spettacolare, colorando le pareti con i colori della corazza; un’altra andava in avanscoperta, illuminando la strada, e la terza stava dietro, semplicemente per far   ancora più luce.
All’inizio la sua galleria era una normalissima fognatura, ma poi l’acqua smise di scorrere e adesso il paladino si trovava in una specie di struttura sotterranea. Il pavimento era piastrellato, così come le pareti e il soffitto. Piastrelle arancioni, corridoi corti e con pochi incroci, varie sale, collegate da porte. Una era più grande rispetto alle altre, e all’interno c’erano un paio di vasi, un comodino e un armadio. Una era più piccola ed era completamente nuda, a parte tre pila di legna messe agli angoli; un’altra ancora era un po’ più piccola della principale ma più grande della seconda, e pareva esserci un letto.
Matarak non ci impiegò molto a capire che si trovava all’interno di una casa.
< C’è qualcuno? > il paladino parlava all’aria. Chiedeva, ma nessun rumore rispose.
< C’è qualcuno? > ripropose la domanda, ma adesso, anziché il silenzio di prima, sentì un rumore di zampette camminare dietro di sé.
Si girò di scatto, ma non vide nulla, solo la sua luce che fluttuava felice nell’aria.
< In qualità di Comandante supremo ti ordino di mostrarti! >
Matarak ordinò a qualunque cosa avesse camminato di uscire fuori dal suo nascondiglio. Ma nella stanza da letto, dove si trovava, nessuno arrivò.
Strinse il martello con forza, quindi entrò nella sala principale dalla porta che aveva lasciato aperto. Lanciò una delle tre luci nella stanza vuota e una nella camera da letto.
Nel tragitto la luce illumino anche un angolo della sala principale che era rimasto nella penombra, mostrando una creatura pelosa, nera, su due piedi e con occhi rossi. Aveva solo due  enormi incisivi e delle zampette con unghie.
< Da quello che mi pare aver sentito dire, il comandante supremo Matarak Gambus Valdès è un ricercato > parlò la creatura che si mostrò completamente. Era un ratto enorme e parlava. Puzzava da morire e non prometteva nulla di buono.
< Come fai a saperlo? > domandò il paladino
< Anche nelle fogne arrivano informazioni, non lo sapevi? >ammise il ratto che incominciò a camminare intorno a Matarak. Questo seguiva le sue mosse, stringendo il martello.
< Sei tu Grunch? > il ratto scoppiò a ridere.
< Grunch? Quello squilibrato? Ahah! Mi offendi, credevo che i paladini devono essere sempre cordiali! >
< Come hai detto tu, ora sono un ricercato >
< Già già! > Il topo smise di camminare, fissando il suo nemico < Sai, a noi non piace avere estranei in casa nostra >
< Noi? > il topo iniziò a ridere. Una risata malvagia, estremamente divertita, e mentre rideva altri quattro ratti entrarono da dove era entrato Matarak, su quattro zampe, poi si alzarono in piedi anche gli altri.
< Credo che nonostante la tua forza non riuscirai a contrastare cinque di noi >
< Pazzo, chi sei? >
< Questo… > il ratto nero si appiattì a terra < … non ha importanza. > scattò, correndo verso Matarak.
Gli altri topi lo imitarono, e uno dopo l’altro si aggrapparono al paladino, mordevano la sua armatura, cercando di bucarla, mentre il ratto nero tentava di graffiargli il volto. Ma proprio mentre questo stava tentando di ferire Matarak, tutti  udirono il ruggito di Karl, bloccando l’azione d’attacco.
< Cos’è stato?! >
Matarak approfittò dell’occasione. I ratti erano distratti. Con un mano afferrò per la nuca uno dei topi, lanciandolo verso quello nero. Gli altri tre ripresero l’attacco: uno riuscì a bucargli uno schiniere, passando anche la cotta di maglia sotto ma ferendo solo in superficie il paladino.
Gli altri due cercavano di ferirgli il braccio. Uno di questi cercò di arrampicarsi lungo il braccio per poi aggrapparsi al busto di Matarak. Ci riuscì, iniziando a sferrare fendenti con le sue unghie al collo dell’umano.
< Tu sarai il primo a morire! > la luce che stava in camera da letto lo raggiunse, entrando in bocca al topo.
< Cosa credi di fare con una lu… > la sua voce stridula fu bloccata dall’esplosione della fiaccola che gli era entrata nello stomaco.
Adesso l’armatura di Matarak era sporca di sangue. Rimanevano quattro topi da uccidere. I due che erano riusciti a rimanere attaccati alla sua corazza vennero respinti dall’onda d’urto provocata dall’esplosione. Così la luce della sala vuota entrò in bocca al ratto che lo aveva morso alla gamba, facendo esplodere anche lui.
Ancora tre. Finalmente era libero e poteva utilizzare il suo martello. Con un calcio gettò il ratto che gli stava al braccio in un angolino della sala e con la base dell’arma gli trafisse lo stomaco. Erano rimasti il ratto nero e quello che era stato lanciato subito dopo l’urlo di Karl.
< Non male, ma adesso ci mettiamo di impegno > commentò quello nero. Assieme corsero contro Matarak e alla fine saltarono. Il paladino respinse con l’asta del martello quello nero, facendolo cadere a terra e spezzandogli un incisivo, mentre afferrò per il collo l’altro, che scagliò contrò il muro, incastrandolo nella parete. Afferrò il martello con entrambe le mani e colpì con gran forza il corpicino del ratto al muro. Il colpo era talmente forte che le intere fognature tremarono. Al ratto uscirono gli occhi dalle orbita, le ossa gli si spezzarono, tutte, e di lui rimase solo una poltiglia per terra.
Matarak guardò l’ultimo cadavere, per poi voltarsi di scatto verso il ratto nero. Guardava impietrito la scena, a terra. Aveva una zampa rotta e non poteva più camminare o correre
< Ti prego… > il paladino si avvicinava < Ti prego… pietà! >
Ma i suoi lamenti non raggiungevano i timpani del paladino.
Lo afferrò per la coda e, con passo veloce e scattante, tornò indietro.
< Sai dov’è Grunch? >
< S-si…>
< Ottimo, allora puoi essere utile. >
 
 
Da quando i cinque si divisero erano passate all’incirca tre quarti d’ora. Nella piazzetta dove si erano separati ora si trovavano Karl , in piedi che bisbigliava qualcosa a Pigos, di fronte a lui e Àkos, seduto, che teneva Jackie al suo fianco, moribonda. Aveva ripreso i sensi, ma non riusciva ancora a comprendere cosa stava succedendo attorno.
Era il prezzo da pagare per chi usa la magia oltre i propri limiti.
Àkos alzò lo sguardo verso Karl.
< Le sanguinano le orecchie > gli disse con tono calmo, ma in realtà stava soltanto cercare di sopprimere la rabbia.
Karl non rispose, non gliene importava nulla. Continuava a parlare con Pigos. Di cosa, nessuno lo ha mai saputo.
< Le sanguinano le orecchie > nessuna risposta < Hey, scimmione, dico a te! >
Karl si girò
< Che vuoi? >
< Le sanguinano le orecchie >
< Sarà stato il mio urlo > intuì Karl
< Sta male! >
< Starà meglio, non è nulla di grave > cercò di calmarlo Karl, semplicemente perché non aveva la minima voglia di sentire la voce fastidiosa del ragazzo.
Àkos non rispose. Guardò male il gorlottiano e basta.
I quattro aspettavano.
Karl e Pigos continuarono a parlare, mentre il giovane cercava di riportare sul mondo dei vivi la ragazza che guardava a bocca aperta il vuoto.
All’improvviso sentirono una voce.
< Ti prego, lasciami la coda, fa male! >
< Anche a me fa male dove mi ha morso il tuo amico, ma non faccio tante lagne! > era la voce di Matarak quella che avevano appena sentito pronunciare.
< Ho una gamba spezzata! >
< Ho l’armatura sporca di budella! >
< Lasciami! >
< E va bene… vuoi che ti lasci? > chiese ironico il paladino
< Si! >
< Sia! >
Matarak si preparò a effettuare un lungo lancio.
< Che fai? > chiese preoccupato il ratto nero
< Ti lascio andare! > il paladino scagliò il topo contro il muro della piazzetta, raggiungendolo subito dopo.
Il gruppo si era finalmente riunito. I quattro avevano ascoltato la scena divertiti, a parte Jackie, che non capiva cosa stava succedendo. Aveva solo molta più paura.
Tutti guardarono il ratto.
< È lui Grunch? > chiese Karl
< No, Grunch è verde, questo è nero > negò Pigos
< Cavolo, che buon osservatore! > rispose il ratto
< Dice di sapere dov’è il tuo amico > annuì Matarak
< Ecco perché lo hai catturato, complimenti! Ma perché hai l’armatura sporca di sangue? >
< Lasciamo perdere >
< Come preferisci… > tornò a parlare Pigos < Come ti chiami? >
< Skipt > rispose il ratto.
< Skipt… Sai dirmi dov’è Grunch? >
Skipt deglutì, quindi mosse il muso su e giù come per rispondere si. Era terrorizzato.
< Dov’è? >
Lentamente, il topo aprì la bocca. Guardava Pigos, ma non parlava. Alzò la zampetta sana, indicando il tunnel dal quale erano giunti lui e Matarak, per poi spostare lo sguardo proprio sulla galleria.
Gli altri lo imitarono, osservando una figura in penombra.
Era alta quasi il doppio di Skipt. Aveva il pelo verde, un bastone d’acero in mano, una veste di un verde più chiaro che gli copriva il busto ma non le zampe.
< Grunch? > domandò Pigos alla figura.
Ci fu un attimo di silenzio, quando poi la figura si mise a ridere.
< Eheheheh! Cosa posso fare per un vecchio amico? > la figura si mostrò
Era un ratto dal volto ripugnante.
Il muso allungato e appuntito, gli occhi a palla, i denti erano pochi ma appuntiti, la bocca piccola. Era estremamente sproporzionato.
< Ci serve il tuo aiuto >
< Lo avevo intuito! > la voce era rauca, graffiata, acuta e squillante. C’è da sottolineare che faceva una puzza terrificante e che quando parlava aveva la S piuttosto pronunciata. E sputava.
< Prima di tutto, vorrei sapere se puoi aiutare questa ragazza > Era Pigos a Parlare.
Grunch si avvicinò a Jackie, che lo guardava con sguardo inebetito.
La osservò curioso, chinando il capo prima a destra e poi a sinistra. Era talmente piegato che cadde nella pozzetta d’acqua.
Àkos strozzò una risata, Matarak mantenne la calma e Karl… beh, Karl non prese molto bene la cosa.
< E dovrebbe aiutarci? Avanti, è più goffo di un elefante! >
< Ma perché siete fissati che Grunch è un elefante? Fidatevi di me! >
Àkos e Karl si scambiarono un’occhiata divertita. La prima e forse ultima di tutta la loro vita.
< Portate più rispetto per chi è anziano! > Grunch si alzò in piedi, aiutandosi col bastone < Cosa le è successo a questa povera ragazza? >
< Ha usato troppo la sua magia > rispose Karl
< Pff. Novellina ! > commentò il ratto gigante < Prestate attenzione a Skipt, altrimenti quello scappa! > affermò sputando. Mentre gli altri tenevano d’occhio Skipt, Grunch alzò il bastone, posandolo delicatamente in testa alla giovane donna. Poi tolse il contatto e iniziò ad agitare l’appoggio. Tre giri in senso orario e una polverina quasi invisibile cadde in testa a lei, per poi scomparire.
< Ho finito! > affermò soddisfatto la pantegana.
< Non è cambiato niente! > protestò scocciato Àkos.
Grunch schioccò le dita di fronte a Jackie e questa chiuse la bocca. Si guardò attorno e iniziò a capire cosa stava succedendo. Il suo sguardo si posò sulla figura di Grunch. Si tappò il naso e si appoggiò sulla spalla del moroso
< Che puzza! > si lamentò lei.
Grunch annusò l’aria, disgustato.
< È vero, c’è puzza! > commentò  < Ragazzi che avete fatto qua dentro? >
Gli altri non risposero, guardandolo sbalorditi.
< Che c’è? > Grunch tornò ad annusare < Veramente, cos’è sta puzza?! Oh, sono io! > finalmente se ne accorse, iniziando a camminare avanti e indietro per la piazzetta, scusandosi per la sua maleducazione.
< Dai Grunch, seriamente, ci serve una mano! > lo fermò Pigos
< Ve l’ho data! >
< Ci serve un’altra cosa. >
< Cosa volete ancora da me? >
< Siamo ricercati, dobbiamo uscire da Terra attraverso le fognature. >
< E allora? Non sai trovare la strada di casa da solo? > domandò piuttosto scocciato, sputando a ogni S.
Gruch guardò, con la stessa faccia che aveva poco prima Jackie, Pigos, sbuffando subito dopo.
< Levati > rivoltò a Karl.
Lo scimmione si spostò, lasciando spazio alla pantegana. Col bastone toccò il muro, della piazzetta e subito dopo questo si aprì, mostrando un varco ai cinque. Una quarta galleria nascosta, che con buone probabilità portava al di fuori di Terra.
< Sempre dritto > disse Grunch, spostandosi di lato, aiutandosi col bastone.
< Grazie > disse Pigos
< Se, se… >
Pigos entrò per primo nel tunnel, seguito da Karl, Jackie, Àkos e infine Matarak, che ringraziò a sua volta.
Dopo poco i cinque scomparvero nel buio e nella piazza erano rimasti solo Grunch e Skipt.
Il ratto verde curò la zampa di quello nero, che poco dopo riuscì ad alzarsi in piedi.
< Non li segui? > disse Skipt
< Perché dovrei? >
< Quello strano, con la coda e i capelli verdi… è il tuo unico amico di cui parli tanto? >
< Si, è lui. Ma non vuol dire che devo seguirli >
< Non devi. Puoi > ammise Skipt, allontanandosi da Grunch. < Sappi però che adesso che ti ho trovato non ti darò tregua. Ti dico di scappare perché mi hai guarito. Altrimenti non ti voglio dire che fine farai > così anche Skipt scomparve alla vista di Grunch.
Quest’ultimo rimase un attimo a riflettere. Anzi, troppo poco tempo per riflettere. Ha fatto una scelta che era ovvia, ovvero seguire il gruppetto di Pigos. Guardò il tunnel.
< Hey, aspettatemi! >

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 
                                             Capitolo 6
 
 Quella lunga galleria li portò fuori dalle fognature.
Erano usciti da una specie di grotta, non molto lontana dalle mura della cittadina di Terra. Potevano persino notare i paladini che facevano la ronda lungo la strada. Erano a centinaia.
Matarak riuscì a riconoscere tutte le casate dei paladini che difendevano quella città: tre in tutto.
Le Rose Scarlatte, le più temibili. Cinquanta paladine, tutte femmine, conosciute come le migliori combattenti di tutta Odeon. Erano famose soprattutto per aver combattuto da sole un intero esercito in una ormai remota guerra. Ma nessuno poteva sapere quanto Matarak di quanto fossero corrotte e pericolose;
I Terrori dal Cielo. La casata col maggior numero di paladini, contando più di ottocento reclute. Non venivano considerati molto pericolosi, non quanto venivano presi in giro, comunque. Si distinguevano dalle armature bianchissime, perché dovevano imitare la luce del sole che ti acceca. Le loro fila erano composte da molti novellini, ma appena ci si poteva scontrare con un paladino di grado intermedio si riuscivano a trovare numerose differenze tra i veterani e i neo entrati;
Infine Le Rose Nere, la casata opposta alle Rose Scarlatte. Se le  ultime erano importanti ma corrotte, Le Rose Nere erano effimere ma tra le più oneste.  Uomini e donne che avevano donato la loro anima alla tenebra per proteggere chi è più debole. La loro armatura era nera, con incise sopra delle rose che, in base al grado, avevano un certo numero di petali. Quasi tutti avevano i capelli neri e lunghi, la pelle o molto scura o estremamente pallida e gli occhi rossi.
Matarak guardava. Le Rose Scarlatte e Le Rose Nere stavano sempre assieme. Ma non capiva il perché. Non voleva capire il perché.
Ipotizzava di tutto. Potevano essere in “simbiosi” in qualche modo, magari semplicemente una doveva contenere l’altra. Eppure negli ultimi anni sono sempre stati in conflitto.
Solo ora aveva inteso il perché, ma non poteva svelarlo a nessuno.
< Poveri Terrori dal Cielo > bisbigliò a se stesso, spostando lo sguardo sui suoi compagni che lo stavano precedendo.
Quando iniziò a incamminarsi dalla grotta uscì Grunch.
< Che ci fai qui? > gli chiese guardandolo dall’alto al basso.
Il ratto rimase un attimo a riprendere fiato, poi rispose.
< Posso venire con voi? > domandò con quella voce rauca e stridula, sputando.
Matarak pensò.
< Sei un guaritore, giusto? >
< Oh, più di un guaritore! Io sono uno stregone a tutti gli effetti! >
< Ma davvero? > domandò con tono ironico.
Grunch capì che Matarak non gli credeva così schioccò le dita tre volte, e dal topino che era divenne un mostro enorme.
Lentamente, le sue zampe si ingrandivano, i vestiti si strappavano, i denti si allungavano, diventando un ratto grande il doppio di Karl.
< Cosa sei veramente, bestia? > Matarak impugnò il martello, ma quando si mise in posizione per attaccare, il mostro svanì.
Si guardò attorno. In un primo momento non vide nessuno, ma poi al posto del mostro si trovava Grunch, che lo fissava.
< Ora ci credi? > gli domandò spavaldo.
< Era un’illusione? >
< Esatto. > Matarak, rinfoderò il martello. Sospirò.
< Credo che gli altri non avranno niente da ridire > così si incamminò.
< Ottimo! > era molto contento.
Almeno lì aveva la protezione di qualcuno.
< Aspetta un attimo però > disse al paladino. Questo si fermò, osservando lo stregone che gli si avvicinava con quel bastone in modo buffo e goffo.
Grunch osservò la ferita che aveva alla gamba, studiandola per vedere se aveva qualche problema particolare. Faceva buio, quindi non si vedeva moltissimo.
Iniziò a muovere il bastone in piccoli giri antiorari per poi farlo oscillare a destra e a sinistra imitando il movimento delle corde quando vengono pizzicate.
< Cosa fai? > gli chiese il paladino.
< Ti curo la ferita, prima che ti venga un’infezione >
Matarak rimase in silenzio. Questione di pochi secondi, ma intanto gli altri si allontanavano.
< Fatto >
Il Paladino provò a camminare.
Prima un passo. Non gli faceva male.
Ora un altro. Un altro, un altro. Si fermò.
< Grazie > Grunch lo sorpasso, cercando di raggiungere gli altri quattro.
< Dovere! >
 
 
Camminarono per un paio di ore.
Riuscivano ancora a vedere le luci dei fuochi dei paladini, sulla mura e fuori, mentre il loro falò era ben nascosto, inoltre il fumo era invisibile, grazie alla magia di Grunch. Si stava rivelando più utile di quanto ci si potesse aspettare.
Il gruppetto, ormai di sei persone, si era accampato accanto a un fiume, che portava in direzione di Terra.
Non era molto sicuro, ma Pigos era certo che di lì i paladini non sarebbero mai passati.
Erano seduti attorno al fuoco, per riscaldarsi, fatta eccezione di Karl, che se ne stava seduto su una roccia coi piedi nell’acqua.
C’era un silenzio imbarazzante e fu Jackie a rompere il ghiaccio.
< Così, sei un mago? > domandò a Grunch.
< Stregone > la rimbeccò l’altro.
< Scusami… >
< C’è una bella differenza, lo sai? > continuò nonostante le scuse di Jackie.
< Piantala! > fece furibondo Àkos.
Quel tentativo di parlare non andò molto bene, e Jackie pensò che fu colpa sua. Ma quella ragazza non si faceva perdere d’animo.
< E… Dove hai imparato? > continuò a chiedere.
< Da solo, qua e là >
< Come sarebbe? > domandò stupita.
< Vuol dire che non ho avuto insegnanti! Sono autonomo io! > affermò sputando a ogni S < Tu invece? >
< Io? Ma io non sono uno stregone >
< Beh, prima sei svenuta per aver usato troppo la tua magia, o almeno così mi ha detto Pigos >  Disse spostando un attimo lo sguardo sull’ultimo nominato.
< Alla scuola di Sion > rispose la giovane.
< Hum… brutto posto quello >
< Perché dici questo? >
< Quanti anni ti fanno aspettare prima di insegnarti la magia? >
< Nessuno, inizi da subito! >
< Parlo di magia vera! Tu sapresti riprodurre questo fuoco con lo sguardo? >
Jackie rimase un attimo in silenzio.
< Non saprei >
< No, non riesci! A Sion ti insegnano per due anni la storia e le varie culture di tutta Odeon, intanto ti fanno imparare qualche magia che apparentemente non serve a nulla. La magia che si utilizza per difendersi e per difendere gli altri la insegnano solo dal terzo anno che vai in quella scuola >
< Questo perché la magia può anche far male! >
< E tu credi che gli insegnanti non sappiano fermare un novellino che usa la magia per far del male? >
Tutti si zittirono. Grunch la pensava così e così doveva essere. Non accettava scuse o altro.
Jackie non se ne importò, e dopo poco tornò a parlare.
< Tu sai ogni incantesimo? >
< Si, quasi tutti. Anche se sono specializzato in illusioni. Sai cosa vuol dire? >
< Si, credo. Porti le persone nel mondo dell’oblio e le fai vedere ciò che vuoi. >
< Posso anche far credere alle persone che non riescono a fare determinate cose, come vedere, sentire, pensare. Posso comandare le menti, far fare alla gente quello che voglio senza che mi dica nulla. Questo. > terminata la spiegazione  Grunch si alzò da terra < Io ho sonno > così si sdraiò poco più in là. Non avevano tende o coperte, così dovevano dormire all’aperto, ma non era un problema, dato che non faceva freddo.
Gli altri rimasero a parlare, ma non per molto. Dopo poco tutti erano a dormire.
< Karl, tu che fai? > Chiese Pigos.
< Faccio la guardia > Pigos fece spallucce, quindi se ne andò a dormire.
 
 
Si svegliarono alle prime luci dell’alba, che in quel periodo arrivavano attorno alle sette e mezza.
Il primo a svegliarsi fu Pigos, che notò  Àkos, seduto su una pietra e appoggiato ad un albero. Aveva fatto cambio con Karl a fare il turno, cosa che lo aveva stupito molto.
< Buongiorno! > disse il ragazzo dopo essersi accorto di Pigos. Si era tolto l’armatura e l’elmo per dormire.
La notte non riusciva a vederlo bene, ma adesso gli era chiara la sua corporatura.
Indossava dei pantaloni simili a quelli di Karl mentre al petto si stava mettendo una maglia aderente.
Riuscì a notare che sul fianco sinistro aveva una grande macchia viola, dalla quale seguivano le altre macchie del medesimo colore che salivano sul petto, sul collo e infine sul volto. Sul fianco destro, invece, aveva tanti cerchi rossi dal diametro di mezzo centimetro.
Non gli chiese nulla, anche se fremesse dal desiderio di sapere.
< Ciao. > gli rispose dopo essersi messo la maglia.
< Scusami per il mio comportamento di ieri sera > Pigos mosse la testa a destra e a sinistra come si fa per dire no.
< Non devi scusarti. >
< Ancora non riesco a capire perché fai questo. >
< Cosa? >
< Questo. Salvi i fuorilegge nel giusto, dici. Karl cosa ha fatto? Se ha davvero ucciso tante persone quante dice di aver fatto, allora non è nel giusto. >
< È quello che fanno sapere alla gente. Non credere che io e lui ci conosciamo da tanto tempo. Ci siamo incontrati un mese fa, in circostanze non molto gradevoli. Ed ora sono l’unica persona di cui si fida, perché lo proteggo. >
< Si, ma lo ha fatto o no questo genocidio? >
< Si, lo ha fatto. >
< Ma allora non è nel giusto! >
< Neanche tu lo sei, se uccidere anche per difendersi è contro la legge. >
Àkos  non domandò, osservando gli altri che si svegliavano.
< Buongiorno > Salutò Matarak. Subito si alzò in piedi, prese la cotta di maglia e la indossò, e poi lo stesso procedimento con l’armatura.
Col rumore che faceva svegliò Jackie e Grunch, il quale si lamentò perché voleva ancora dormire.
Karl si svegliò per ultimo. Quando aprì gli occhi gli altri stavano preparando la colazione. Il fuoco lo ottenevano dal bastone di Grunch che faceva da accendino.
Uova e pane, cotti su una pentola di Jackie piuttosto piccola.
< Da dove le avete prese? > chiese il gorlottiano.
< Grunch > disse la ragazza. < È buono, mangia > fece allo scimmione, porgendogli la fetta di pane con sopra l’uovo.
< Tu non mangi? >
< Ho già mangiato. > rispose la ragazza sorridendo.
< Grazie. >
Matarak non mangiò, bensì andò in avanscoperta, assieme al ragazzo, verso nord, come gli aveva detto Pigos.
Quando tornarono il gruppo aveva finito di mangiare ed erano circa le otto di mattina. Si incamminarono, con Matarak e Àkos davanti e Karl dietro.
< Ma dove stiamo andando precisamente? > chiese Grunch.
< Yle! > affermò Pigos.
Yle era una delle città più importanti di Odeon. Era situata nel lontano e artico Nord, dove pochi si avventuravano. Ma dovevano andarci, per essere sicuri che non avrebbero avuto problemi. Lì le leggi della capitale non avevano alcun effetto, infatti era il covo di numerosi vandali, assassini e briganti. Tutta gente messa male con la società.
Yle vantava comunque di una prestigiosa armata di Berserker. Uomini che combattevano basandosi sulla forza, la rabbia e la crudeltà.
Più erano in difficoltà più erano divertiti, più erano divertiti più erano arrabbiati, più erano arrabbiati più erano crudeli e più erano crudeli più erano motivati a sconfiggere gli eserciti nemici.
Tuttavia erano anche i migliori compagni che si potessero avere.
Così erano diretti a Yle, la città dei Berserker.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


                                                                                  Capitolo 7
 
 
Le alte montagne erano pervase da una calma indescrivibile, da un silenzio che pareva essere rumoroso, da ricordi di battaglie e sangue, che ora era scomparso.
Le grandi guerre dei Berserker.
Nessuna sconfitta, solo vittorie, tra quelle montagne tanto belle quanto pericolose.
Makus e Olaf  erano seduti in cima a una delle tanti torri che delimitavano il confine della regione di Yle, omonima alla capitale.
Un giorno come gli altri passato a sorvegliare il nulla, ad annusare la puzza delle proprie ascelle, ad ascoltare solo il vento che fischiava tra le vette innevate.
< Mi serve una donna! > urlò Olaf.
Makus non rispose, annuì soltanto.
Erano passati due mesi da quando iniziarono il turno di guardia all’avamposto meridionale di Yle, e le altre sentinelle non si facevano ancora vedere, anche se la cosa non stupiva né l’uno ne l’altro: si sa che il punto debole, come la forza, dei Berserker era la disorganizzazione.
< Non ne posso più! Io vado! > esclamò Olaf
< Dove vuoi andare? > domandò Makus con un tono di voce tra l’ironico e lo scocciato.
< A bere una birra! Yle non è lontana se ci fai caso. Ma dove sono finite le mie accette? >
< Qua! > rispose Makus, ora annoiato, alzando da sotto la sedia le due accette affilate e ancora sporche di sangue secco sulle lame. Olaf le afferrò, incastrandole al cinturone dell’armatura.
< Tu vuoi venire? >
< No, aspetto. >
< Sei di un’allegria! Divertiti ogni tanto! Oppure incazzati! >
< Mi hai mai visto incazzato? >
< No! >
< E allora non sai come sono, quindi non rompere il cazzo. > Makus disse quelle parole con una faccia disgustata e infastidita, continuando a fissare la strada della montagna.
< Così mi piaci! > urlò ancora Olaf, ridendo. Scese dalle scale della torre e in poco tempo si era già incamminato verso il niente.
< Yle è dall’altra parte! > gli urlò Makus.
< Lo so! Vado in avanscoperta! > rispose l’altro.
< Ma che vuoi scoprire? Idiota. > mormorò.
Makus era solo, in cima a una torre e in mezzo alle montagne, mentre il vento si stava alzando, vento che poco dopo divenne una bufera di neve. Entrò nella torre suddivisa in tre piani.
Chiuse lo sportello che separava la cima dell’avamposto dalla stanza del terzo piano.
Era estremamente piccola: due letti quasi appiccicati, un piccolo armadio, un tavolo con due sedie e una finestra.
Sul tavolo c’erano due piatti, delle carte, una candela e un pacchetto di fiammiferi.
Ne accese uno, così illuminò la stanza con la candela, mentre guardava al di fuori del vetro della finestra, seduto, davanti a quella fiaccola che accendeva sulla pelle grigia di Makus un’emozione, dei ricordi malinconici.
Osservava. Scrutava l’orizzonte, ma non faceva caso a cosa vedeva, assorto nei suoi più lontani ricordi.
 
< A Makus, che è appena diventato papà! > Urlò Olaf
< A MAKUS!!! > i Berserker brindavano nel cuore della notte, in una delle più grandi taverne di Yle, attendendo con ansia la grande battaglia che la mattina dopo avrebbero combattuto.
Il giovane uomo arrossì, un po’ per l’alcool che si era scolato poco prima, un po’ perché in quel momento era al centro dell’attenzione.
< Makus! > Lo richiamò il re
< Si, signore? > rispose al richiamo il soldato, tenendo la birra ben stretta.
< Credo che ti tocca un discorso! > affermò il re.
< Cosa? >
< SI! Discorso, discorso, discorso!!! > urlavano i compagni.
< Ma non so cosa dire! >
< Su, non farti pregare! > Olaf lo afferrò per il braccio e lo portò al centro della sala.
Makus non sapeva cosa dire, deglutendo per l’emozione. Tutti erano fermi, in silenzio, pronti ad ascoltare le parole del guerriero.
< Ehm… Uomini!  Oggi è un grande giorno! >
< SI!!! > urlarono
< Oggi, mi è giunta notizia che mio figlio è nato! Quando l’ho saputo mi sono venute le lacrime agli occhi. E domani piangerò ancora, perché subito dovrò separarmi da lui per andare in battaglia. >
Silenzio.
< Ma almeno so, che domani, fuori da Yle, combatterò con qualcun altro che mi è caro. Uomini valorosi e sempre incazzati, ma comunque degli ottimi amici! Come Olaf Squartafiamme, > allungò il braccio verso l’amico e quello gli si buttò addosso, ridendo.
< Come Kurt detto il Beone! >
< Sii! > urlò Kurt alzando i quattro boccali di birra che aveva in entrambe le mani.
< Come Tauro il Distruttore! >
< Sii! > Tauro alzò il pugno al cielo
< Come tutti voi altri che mi avete affiancato in questi lunghi trent’anni da quando sono nato, amici d’infanzia! >
< Sii! > urlarono tutti in coro.
< Domani combatteremo assieme, fianco a fianco. Lo faremo per proteggere le nostre mogli e i nostri figli, e lo faremo col cuore e con la rabbia e la furia che dormono in noi! >
< Viva Makus!!! > Urlò Kurt. Gli altri lo imitarono, ma Makus fece segno di smettere e di nuovo silenzio.
< Non lo faremo solo per la patria, per la libertà. Noi combatteremo anche per Ratos, il nostro glorioso re! >
< Urrà Ratos! Urrà Makus! Urrà Yle! > urlò Olaf, e tutti si misero a gridare per la gioia, festeggiando prima della grande battaglia.
La mattina dopo i Berserker si preparavano a partire per combattere, salutando mogli e figli.
Makus più degli altri. Baciò la sua amata sulle labbra, fini e dolci, per poi salutare il figlio neonato, baciandolo sulla fronte. Dormiva beato, inconsapevole che il padre avrebbe rischiato di non tornare a casa la sera.
Attimi di malinconia e pianti. Ma le donne di Yle erano forti e se si mettevano a piangere smettevano subito, perché dovevano dimostrare audacia e autocontrollo.
Così, la spaventosa armata di Berserker si incamminò, diretta al luogo fissato per la battaglia dai generali di entrambe le fazioni.
La terribile battaglia della valle del potere, tra Berserker e Gorlot, questo si ricordava Makus.
I soldati Gorlottiani attendevano con ansia i tamburi e i flauti dell’armata di Yle.
Ogni singola scimmia fissava l’orizzonte, le collinette della valle, le pozze fangose per la pioggia che incombeva quel pomeriggio, attendendo i Berserker.
E quando la brezza portava il profumo dell’erba bagnata, quando i fulmini e i tuoni squarciarono il cielo, Karl, generale gorlottiano, vide in lontananza un uomo.
Non riusciva a distinguere i colori, per il buio e per la distanza, ma aveva capelli e barba lunga, due accette impugnate e la corazza luccicante.
Quest’uomo fissava i grandissimi Gorlot, finché non si mise a urlare e subito dopo a correre, seguito dall’intera armata di Berserker che comparve alle sue spalle.
Correvano, i diecimila soldati di Yle, urlando come matti.
Il caos più totale.
Ognuno impugnava l’arma che preferiva, alcuni cavalcavano orsi, altri cavalli, anche se pochi, altri ancora tigri. I più veloci restavano a piedi e alcuni sembravano ubriachi. Un centinaio rimase dietro alle fila.
Improvvisamente tutti si fermarono, ansimando.
Karl e gli altri generali ordinarono di prepararsi all’impatto.
Ma nessuno si muoveva più. Nell’aria si sentivano solo le potentissime urla dei Berserker e i tuoni dei fulmini. Poi anche le urla cessarono.
Nessuno se lo sarebbe aspettato, ma quella fu l’unica volta che l’armata di Yle utilizzò un po’ di ragione.
I cento uomini rimasti indietro, in cima alle colline, guidati da Makus, erano tutti tiratori scelti.
Agli ordini di Makus, i soldati crearono attorno alle loro braccia degli spuntoni di ghiaccio, puntandoli al cielo, diretti ai soldati gorlottiani.
Un urlo, fortissimo. Cento stalattiti ghiacciate salirono nell’aria, per poi cadere sui Gorlot, uccidendone in un numero spropositato.
E mentre le lame di ghiaccio cadevano dal cielo, i Berserker cominciarono a correre.
L’impatto fu mortale per i Gorlot.
Ogni soldato di Yle combatteva come se avesse energia illimitata.
Tauro, uccideva numerosi gorlottiani con la sua enorme Claymore.
Kurt, alto quanto le scimmie giganti, scagliava fendenti con la gigantesca mazza chiodata.
Nonostante le dimensioni, i Gorlot non riuscivano a fare nulla.
E quando pochissimi Berserker morirono e la battaglia sembrava finita, ecco che alle spalle dei cento uomini di Makus comparvero i veri soldati gorlottiani.
Cinquecento Gorlot completamente armati e difesi dalle famose armature di oricalco che indossavano i soldati d’elite gorlottiani.
Makus se ne accorse in tempo, riuscendo a ordinare la ritirata.
Ma per quanto i Berserker potessero essere veloci, i gorlottiani li avevano già accerchiati.
L’armata di Yle cercò di raggiungere il gruppetto di Makus, ma quando arrivarono erano sopravvissuti solo in una ventina.
Makus combatteva con tutto se stesso.
Il suo braccio destro impugnava una spada di ghiaccio, quello sinistro era invece ricoperto da uno spuntone.
Un gorlottiano gli saltò addosso.
Schivo il suo attacco, riuscendo in qualche modo a trapassare l’armatura di oricalco e uccidere l’uomo scimmia.
Ne aveva uccisi pochi, rispetto a quello che avevano fatto i suoi nemici.
Tai Kong, generale dei Gorlot, lo colse alle spalle, afferrandolo per la testa e buttandolo a terra.
Solo ora Makus si era accorto che dei cento uomini che gli erano stati affidati lui era l’unico sopravvissuto.
< Uccidetelo, non voglio sporcarmi le mani > disse con tono altezzoso Tai Kong.
Due gorlottiani gli si avvicinarono minacciosi, impugnando delle alabarde.
Uno lo teneva fermo per i piedi, l’altro lo stava per trafiggere con la punta della lancia.
< Ho servito Yle fino alla morte, non ho paura di voi! > urlò Makus, chiudendo gli occhi.
Mollò la spada, scagliando subito dopo lo spuntone al cielo, come per chiedere aiuto.
Makus gridò, spalancando gli occhi.
Il gorlottiano che lo teneva si spaventò e subito dopo un’accetta si piantò nell’occhio dell’altro.
Olaf impugnò con entrambe le mani l’altra accetta, decapitando il secondo gorlottiano.
< La tua morte è ancora lontana, amico mio! Devi ancora passare un giorno con tuo figlio! > disse Olaf.
Subito dopo di lui arrivarono Kurt, Tauro e il re, Ratos, che gli porse la mano per aiutarlo ad alzarsi.
Ratos impugnava uno spadone a due mani, simile a quello di Tauro. Lo alzò al cielo.
< Alla vittoria!!! > tutti i Berserker attaccarono i Gorlot, nella furia più totale.
 
Makus tornò al mondo reale. Aveva smesso di ricordare il giorno in cui numerosi fratelli morirono.
E a stuprare i suoi pensieri furono delle figure in lontananza. Erano piccole.
Il Berserker aprì la finestra, appoggiando il braccio destro sul bordo.
Una stalattite affilata si creò attorno ad esso, creando l’arma a distanza degli uomini di Yle. Guardò nel mirino dell’armatura, posizionato sul braccio, prima dello spuntone.
Fissò quelle figure, ingrandite, e in mezzo alla bufera notò Olaf, seguito da un ratto con un bastone, due giovani, un uomo col volto molto pronunciato e uno dai capelli verdi.
Si calmò, ma poi arrivò anche la grande figura dell’uomo scimmia, Karl.
Non ci aveva combattuto faccia a faccia, ma il sangue ghiacciato iniziò a bollire.
Continuò a mirare alla testa di Karl.
Era agitato, non sapeva cosa fare.
Gli mancava pochissimo al pensiero di lanciare la lama di ghiaccio, ma Olaf che muoveva le mani verso di lui nel codice Berserker lo fermò.
Le muoveva a croce romana, tenendo i palmi aperti, e quello che significava fece stupire Makus: amici.
Non ci impiegarono molto a raggiungere la torre, forse perché era l’unico riparo presente dalla bufera e volevano arrivare il prima possibile.
Makus aprì la porta al primo piano, facendo entrare il gruppo e Olaf.
Li guardò tutti, curioso, con sguardo serio, chiedendosi chi fossero per far si che Olaf li accolga all’avamposto meridionale.
< Chi sono? > chiese Makus
< Fuorilegge! > esclamò ad alta voce Olaf.
< Abbiamo già abbastanza feccia a Yle, non credi? >
< Questi sono bravi, fidati. Porta qualcosa da bere agli ospiti, da bravo >
Makus, scocciato, salì le scale, raggiungendo il secondo piano che fungeva da dispensa.
Quando tornò dagli altri li vide seduti e comodi attorno a un tavolino, su due divani.
< Abbiamo birra e vino. Se non vi va bene arrangiatevi. >
< Non essere scortese Makus! >
Makus si sedette
< C’è un gorlottiano e devo dargli da bere, pretendi pure che sia educato? >
< La guerra è finita, amico mio, e l’abbiamo vinta. Ora, meglio non ricordare il passato, giusto? >
Karl deglutì. Era la prima volta che Pigos lo vedeva così teso.
< Come vi chiamate? > domandò Makus fissandoli col suo sguardo agghiacciante.
Uno dopo l’altro si presentarono.
< Àkos, da Tropico. >
< Jackie, da Sion. >
< Matarak, dalla capitale. >
< Grunch, dalle fogne! >
< Pigos. >
< Karl. >
Al Berserker non interessava veramente sapere il nome dei suoi “ospiti”, se non quello di Karl, che quando sentì, si alzò in piedi, rovesciando una bottiglia di vino.
< Ma dai! > si lamentò Olaf.
Makus fissò Karl dritto negli occhi, come se volesse metterlo in guardia e che tra i due non  sarà scorso mai buon sangue.
Si voltò e noncurante salì le scale, scomparendo dalla vista degli altri sette presenti.
< Perdonatelo, ma è uno molto malinconico > spiegò Olaf versando vino o birra nei bicchieri di tutti.
< Lui come si chiama? > domandò Àkos.
< Makus Rout. È un capitano, quindi è molto orgoglioso. La presenza di Karl dovrebbe averlo infastidito. >
< Perché a te non faccio questo effetto? > chiese il gorlottiano.
Olaf si mise a bere, pensando a cosa rispondere. Per lui durante la guerra era soltanto un nemico, mentre in quella torre era solo un ospite e al di fuori di essa, il nulla.
< Semplicemente per il fatto che non siamo più in guerra. Io ti ho visto, generale, mentre combattevi contro i miei compagni che uno dopo l’altro uccidevi. Ma questa è la guerra, non esistono né buoni né cattivi. Semplicemente combattiamo per due cose differenti, quindi la tua presenza non mi fa nulla. > spiegò, continuando a bere come se non assumesse alcolici da un’eternità.
< Piuttosto, mi stupisco come facciate a essere ricercati. Insomma, tu sei un paladino? > chiese a Matarak.
< Si, ma credo che ora mi abbiano già tolto la nomina. > rispose l’altro.
< Capisco. >
< Scusa una cosa: quando ti sei presentato hai detto che ti chiami Squartafiamme. Perché? > chiese Àkos.
< Perché io riesco a tagliare il fuoco. >
< In che senso? >
< Nel senso che taglio il fuoco! > urlò entusiasta Olaf. < Vuoi una dimostrazione? >
< No, ti credo! >
< Come vuoi. Quali sono le vostre intenzioni? >
< Vogliamo andare a Yle. > rispose Pigos.
Olaf si versò un’altra dose di birra nel boccale.
< Hum, e come mai? >
< Cerchiamo rifugio. C’è una taglia sulle nostre teste. >
< Ahah! Classico! Beh, se volete rifugio, Yle richiede manodopera, lavoro. E poi non so quanto possa essere sicuro per voi andare fin là. Insomma, a parte il paladino non sembrate nulla di particolarmente pericoloso! >
< Hey, non giudicare dalle apparenze! > protestò Grunch picchiettando il pavimento con il bastone.
< Tu, proprio! AHAHAHAH! > Olaf scoppiò a ridere, divertito, prendendoli anche in giro per la loro situazione, ma poi si riprese e tornò a parlare < Quanto siete spassosi! Beh, le vostre taglie sono alte? > domandò asciugandosi una lacrimuccia.
< Tutti assieme raggiungiamo quasi due milioni e mezzo di ori. >
Olaf rimase a bocca aperta, con la lunga barba dorata che si immergeva nella birra. Era rimasto così di stucco che non si accorgeva della sensazione di bagnato.
Deglutì, quindi, per bere, si tolse la barba dal boccale involontariamente, sorseggiando birra e peli assieme.
< Ehm… allora credo che Yle non sia un posto per voi. > sentenziò il Berserker.
< E perché? > domandò Jackie.
Olaf stava per rispondere alla domanda pertinente della ragazza, ma prima che riuscisse ad aprire bocca Makus comparve dalla tromba delle scale.
< Una taglia vale su tutto il pianeta. Yle è piena di rinnegati come voi, se scoprono quanto valete non ci metteranno molto a mettervi le mani addosso. Se riusciranno a portarvi in qualsiasi regione che non sia Yle e a rinchiudervi, loro diventeranno smisuratamente ricchi e liberi da ogni colpa commessa. > Il suo tono era serio, cupo, tagliente come un rasoio. Dopo le sue parole tutto sembrò più silenzioso: il vento al di fuori della porta si calmò improvvisamente, le finestre che sbattevano ora erano ferme, immobili, e la poca luce che c’era sembrava aver paura del capitano, illuminandogli solo il corpo, ma del volto nulla si riusciva a intravedere.
Mentre Makus gli osservava e viceversa, durante quel silenzio tombale, delle urla strapparono la calma da ogni anima presente nell’avamposto.
Quelle voci gridavano il nome di Makus e Olaf. Quest’ultimo uscì dalla porta principale, estraendo un’accetta.
< Chi sono? > chiese Makus.
< Forse sono il cambio. > intuì il Berserker.
Makus rimase all’interno della torre, mentre Olaf faceva la guardia alla porta cercando di riconoscere quelle figure.
Muovevano le mani a croce romana, coi palmi aperti, per comunicare di non preoccuparsi, che erano amici.
Non ci impiegarono molto a raggiungere l’avamposto, e quando Olaf li riconobbe fece un baccano indescrivibile.
< Tiberius! >
Una delle due sentinelle gli urlò contro, come per salutarlo, e il Berserker fece altrettanto.
< Seriani! Ogni giorno più bella! > le fece i complimenti Olaf.
Tiberius era l’allievo prediletto di Makus, che al giovane pareva quasi un padre. Ma il capitano non adorava così tanto i suoi uomini. Li considerava solo merce. Merce pronta a venire uccisa. Ma non fu sempre così. Prima li riteneva dei fratelli, prima della grande battaglia nella valle del potere. Da allora il carattere di Makus cambiò radicalmente.
Seriani era invece una delle Berserker più temuta. Incredibilmente bella e affascinante, rovinava la sua meraviglia con la natura rude dei soldati di Yle. Era la sorella di Olaf. O meglio. La cugina, figlia della zia che morì durante il parto e dello zio che morì in battaglia, fu adottata dalla madre di Olaf, crescendola come figlia.
< Siete qui per darci il cambio? > domandò Makus.
< Non proprio, no. > affermò Tiberius < Ratos convoca i migliori Berserker nella regione di tornare a Yle. >
< Si! Guerra?!? > chiese entusiasta Olaf.
< I fuorilegge hanno organizzato una rivolta. La provincia di Runkarth è già stata conquistata. > disse Seriani.
Makus rimase in silenzio e Olaf si mise a guardarlo accigliandosi il volto.
< Quanti morti? > chiese soltanto il capitano.
< Tanti. > rispose secco il suo allievo.
< Ho chiesto quanti morti?! > si adirò Makus.
< Scusi signore, so solo che ci sono tanti morti, non so quanti di preciso. >
Makus gli si avvicino, tirandogli una forte sberla e subito dopo un calcio al busto, buttandolo a terra.
< Impara la disciplina ragazzo! > dicendo questo si incamminò.
Seriani aiutò l’amico ad alzarsi dopo che questo rimase a lungo a guardare il superiore.
Olaf fece segno agli altri di uscire dalla torre, così, uno dopo l’altro, l’intero gruppo si mostrò agli occhi dei Berserker.
< E questi chi sono? > chiese Seriani.
< Viandanti. Li portiamo ad Yle. > mentì Olaf sull’identità del gruppo.
Tiberius annuì col capo, quindi fece segno di raggiungere Makus.
< Io sto qua… qualcuno deve pur rimanere a fare la guardia… > commentò Olaf. Avrebbe voluto combattere anche lui, ma conoscendo l’orgoglio di Makus, sapeva che non avrebbe potuto far nulla per andare al posto suo.
< No. Ratos ha esplicitamente detto di lasciare sguarnito l’avamposto meridionale. Voi due siete troppo importanti per l’armata, la torre verrà rinforzata al più presto, non preoccuparti. > lo tirò su di morale. Così anche Olaf, entusiasta e contento, quasi fosse un bambino, sbarrò l’entrata della torre, seguendo gli altri che già si erano incamminati.
Perciò, i quattro Berserker si dirigevano ad Yle con passo piuttosto calmo nonostante la temperatura glaciale e pericoli dietro ogni albero o pianta. Abitudine, asseriva Olaf.
Questo, poco dopo la partenza, li aveva avvertiti che, nel caso dei banditi li avessero attaccato, loro non dovevano muovere un dito. Anche se uno dei Berserker rischiava di morire, loro dovevano guardare e lasciar fare ai quattro di Yle.
E così fu.
A metà strada dei rinnegati fecero un’imboscata al gruppo.
Erano piuttosto numerosi, forse una banda di briganti, pensò Jackie.
Erano in una ventina, tutti pronti a scagliarsi sul gruppo di dieci, di cui solo quattro combattevano.
Il primo bandito si buttò letteralmente contro Seriani. La donna schivò il fendente accasciandosi a terra, estraendo l’enorme spada dal fodera sulla schiena. Il bandito tentò di colpirla di nuovo, ma Seriani gli tagliò una gamba prima che l’altro potesse finire di effettuare il colpo. Cadde a terra, venendo subito dopo trafitto al ventre dalla lama della donna, che urlava, per darsi carica e per il gusto di uccidere.
< Raggruppatevi! > disse Makus al paladino che poi riferì l’ordine agli altri.
I sei rimasero spalla a spalla a guardare i Berserker che combattevano.
Erano estremamente abili e le loro urla li spaventavano.
Non lasciavano in vita nessuno.
Makus per la scocciatura combatteva peggio del solito.
Incassava molti colpi, ma nulla di grave: solo pugni e calci.
Un rinnegato più alto e robusto gli tirò un pugno dritto al volto, facendolo indietreggiare.
< Non dovevi. > Makus gli si avvicinò repentinamente. Le sue unghie divennero più lunghe e affilate, trasformandosi in ghiaccio. Il capitano lo bucò con tutte e cinque le lame della mano. Nulla di che, infatti il brigante stava già per allontanarlo, ma improvvisamente sentì qualcosa allo stomaco.
Un dolore atroce. Poco dopo non riuscì quasi più a respirare. Aveva il busto completamente ghiacciato. Gridò per il dolore, finché non divenne una statua di ghiaccio.
Come Makus tolse la mano dal suo stomaco, il bandito si sgretolò e cadde a terra.
Tiberius combatteva come al solito, spada e spuntone di ghiaccio, armi consigliate per i tiratori di Yle. Schivava ogni attacco, mentre i suoi andavano tutti a segno.
Olaf era il più pericoloso agli occhi dei banditi. Sembrava farsi ferire apposta, e più perdeva quel sangue violaceo dalle sue ferite più lui era divertito.
Uno gli saltò addosso, lacerandogli il braccio destro. Olaf gli urlò nell’orecchio, quindi lo scagliò per terra e subito dopo gli conficcò l’accetta sinistra allo sterno.
Raccolse l’arma, intanto un altro lo colse al fianco. Il Berserker riuscì a deviare il colpo della lancia, spezzandola. Piantò la stessa accetta al piede del bandito, che urlò. Gli strappo dalle mani il legno spezzato e mentre urlava glielo ficcò in bocca talmente forte che gli bucò la carne, trapassandogli la testa.
Ancora una volta Olaf dava dimostrazione della sua crudeltà in battaglia.
Erano rimasti cinque banditi in vita, tutti di fronte a Olaf.
Gli altri presenti osservavano, alcuni disgustati, come Àkos, Grunch e Jackie, altri rimasero indifferenti, quali Matarak e Pigos, mentre i tre Berserker ridevano.
< Perché? Perché ridete?!? > chiese spaventato Karl. Lui era l’unico a conoscenza di cosa sapevano fare quei soldati, li aveva combattuti.
< Guardati la scena! > Urlò Tiberius.
Olaf stava parlando.
< Avanti! Avete paura? Siete cinque contro uno, non riuscite a fermarmi? >
I rinnegati non sapevano cosa fare. Ritirarsi o continuare a combattere?
Ogni sano di mente avrebbe scelto la prima ipotesi. Due stavano infatti indietreggiando, ma nonostante l’orrore Grunch era curioso di vedere cosa avrebbe fatto Olaf, voleva sapere le sue vere potenzialità.
Effettuò un incantesimo, picchiettando il bastone a terra, e poco dopo i cinque banditi furono presi da un’irrefrenabile voglia di combattere.
 In tre gli corsero contro con l’intenzione di colpirlo tutti assieme.
< Ahahah! > rise Olaf < Non potete fare nulla contro di me! Io ho il ghiaccio nel sangue! >
Dette queste parole, tre spuntoni di ghiaccio uscirono dalla neve sotto ai loro piedi, impalandoli tutti e tre.
Gli altri due osservarono la scena rimanendo dietro le quinte, ma ora il sipario era libero solo per loro e per la loro morte.
Il primo tentò con un tondo della spada a decapitare Olaf.
< Banale! > il Berserker bloccò la lama con l’accetta. Gli tirò una testata, facendolo barcollare all’indietro.
Il nordico gli si avvicino. Le sue accette si ricoprirono di ghiaccio affilatissimo. Gridò, così con un’accetta lo taglio orizzontalmente, alla vita, e subito dopo verticalmente.
Due tagli perfetti. Il bandito era diviso in quattro parti simmetriche.
L’ultimo brigante sarebbe scappato se non fosse per la magia del ratto, e così andò incontro alla morte.
Anche lui come il suo predecessore tentò di decapitare l’avversario.
< Siete noiosi, un po’ di fantasia! > si lamentò Olaf, che gli tirò un calcio alla rotula, rompendogli la gamba.
Il bandito urlò per il dolore, cadendo in ginocchio. Il Berserker piantò le accette al suolo, afferrando la testa del brigante. Gli gridò contro, spalancandogli gli occhi.
Gli ci volle un piccolo movimento delle braccia a spezzargli l’osso del collo.
Venti contro quattro.
I Berserker erano ancora in piedi.
Olaf raccolse le sue armi, attendendo che il gruppo lo raggiunse.
Makus gli mise una mano sulla spalla, dicendogli qualcosa, e Olaf scoppiò a ridere, divertito e sporco di sangue.
Mancò poco a raggiungere le porte di Yle. I Berserker gridavano e ridevano per la gioia di aver combattuto e ucciso qualcuno, mentre gli altri rimasero in silenzio.
Ecco, finalmente le gigantesche mura di Yle si mostravano davanti ai dieci.
< Siamo arrivati! > Gridò Olaf.
< Chi? > chiese una voce dietro alle immense porte.
< Tua madre! > rispose ridendo Olaf.
Le porte si aprirono e il gruppo entrò nella città.

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