Cinque amori in una FanFiction

di Strega_Mogana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Allergia all'amore (prima parte) ***
Capitolo 2: *** Allergia all'amore (seconda parte) ***
Capitolo 3: *** La mia migliore amica (prima parte) ***
Capitolo 4: *** La mia migliore amica (seconda parte) ***
Capitolo 5: *** Ritratto d'amore (prima parte) ***
Capitolo 6: *** Ritratto d'amore (seconda parte) ***
Capitolo 7: *** Guerra... Amore e... Pallavolo (prima parte) ***
Capitolo 8: *** Guerra…. Amore e…. Pallavolo (seconda parte) ***
Capitolo 9: *** Il profumo del Natale (prima parte) ***
Capitolo 10: *** Il profumo del Natale (seconda parte) ***



Capitolo 1
*** Allergia all'amore (prima parte) ***


Bene eccoci qui! Un nuovo progetto (non temete gli altri vengono assolutamente prima!) su Sailor Moon, questa volta scordatevi mostri, alieni invasori, energie planetarie e principesse della Luna. Cinque ragazze, cinque ragazzi, cinque amori. Cinque storie brevi (al massimo saranno divise in 2 parti come questa) melense e zuccherose e spero anche divertenti (ragazze siete avvertite! Ma il clima natalizio mi rende più romantica del solito!). Dedico queste storie brevi a due persone che mi stanno molto a cuore: la prima é la mia sorellona Luana (perdonami sorellona ma l’idea di queste 5 storie mi é venuta in mente leggendo le tue splendide one shot sul sigillo, non c’entrano nulla ma mi hanno ispirato un sacco!), la mia cara sorellona che é sempre presente quando sono triste e, anche se lontana, sento vicinissima a me! La seconda persona é Alessandro che legge sempre, o quasi sempre, le mie storie in anteprima e le trova belle ogni volta (non lo pago giuro! ^o^) e mi incoraggia a postare. Buona lettura, Buon Natale e Felice Anno Nuovo nel caso non dovessi postare fino a Gennaio! Un bacio e un forte abbraccio a tutti! Elena

Allergia all’amore (parte prima)



Sono un genio.
Beh non lo dico io è solo un dato di fatto.
Il mio quoziente intellettivo è superiore alla media, anzi diciamo che è il più alto della scuola se non dell’intera città.
La mia intelligenza non mi ha mai ostacolato, se non per le amicizie.
Chissà perché le persone etichettano una ragazza particolarmente intelligente come una ragazza odiosa e che si da arie.
Io non mi sono mai data arie, solo perché mi piace pranzare da sola e leggere in tranquillità non vuol dire che mi reputo superiore agli altri.
All’inizio mi sentivo sola, sfiduciata dalla gente che non mi capiva, che non voleva neppure provare a capirmi, ci avevo fatto l’abitudine alla solitudine, sembrava quasi lei la mia migliore amica, lei e i miei libri.
Un po’ patetico ora che ci ripenso...
Ma ora il giudizio degli altri è l’ultimo dei miei pensieri, ho altro a cui pensare, i miei studi, le mie ricerche e il mio futuro nella medicina.
E poi ho delle amiche, le migliori che una ragazza diciassettenne più avere. Sono sempre li per me, mi aiutano, mi sostengono, fanno il tifo per me e questo mi basta. Non importa quanti amici tu abbia l’importante è che siano sinceri e loro lo sono. A volte sono un po’ brutali ma sono sincere.
La mattina è la parte della giornata che preferisco, le luci ancora soffuse della città, il silenzio interrotto dai primi rumori mattutini, la gente mezza addormenta per strada, l’odore di caffè e brioche calde che riempie l’aria frizzante. Mi piace passeggiare per la città di mattina presto mentre vado a scuola, spesso esco prima solo per allungare la strada e passare attraverso il parco. C’è pochissima gente, qualche distinto uomo d’affari che adora il paesaggio irradiato dai primi raggi del sole proprio come me. Quando sono molto in anticipo mi siedo sulla panchina e leggo un libro oppure rimango solo lì ad immaginare il mio futuro fissando il sole che si specchia nel lago.
Mi fa stare bene… mi sento sempre in pace.
E, per qualche minuto, non sono il genio della scuola, sono solo Ami.
- Anche stamattina in anticipo. - mi volto di scatto, è Rei, l’unica delle mie quattro migliori amiche che arriva puntuale a lezione.
- Buongiorno Rei.
Si avvicina con il suo passo felpato, il passo tipico delle sacerdotesse del tempio scintoista dove lavora con il nonno o lo stesso passo che hanno i dottori nelle corsie d’ospedale durante il turno di notte.
- Ti sei fermata al parco anche oggi?
- Sì, avevo bisogno di rilassarmi un po’. Ho passato parte della notte a studiare per il compito di scienze.
- Sono certa che non avrai problemi… a differenza di qualcun altro.
Non c’è bisogno di spiegare a chi si rivolge, ridacchiamo ed andiamo in aula.
Poco prima che la campanella suoni Usagi entra di corsa in classe, affannata, in disordine e con il fiato corto.
Sorrido di fronte alla sua capacità di trasmettere gioia già di prima mattina e rivolto verso la finestra che da sul cortile.
Un paio di studenti corrono dentro ancora più in ritardo della mia amica, poggio la testa sulla mano e aspetto che arrivi la professoressa.
La giornata è stata dura e faticosa, il test era semplice da gestire, il pianto disperato di Usagi per l’ennesimo tre in inglese un po’ meno.
Non ho mai visto una ragazza prendere così tante insufficienze come lei. Eppure è sveglia, capace, non capisco perché non si mette d’impegno con la scuola.
Afferro la borsa ed esco dal bar dove ho passato il pomeriggio con le altre davanti ad una coppa di gelato alla vaniglia; avrei dovuto portarmi avanti con i compiti ma non importa, loro vengono prima, studierò stanotte tanto non sono mai stata una ragazza che dorme molto.
Ora, però, sono molto tesa e ho bisogno di svagarmi un attimo, e non c’è posto migliore della piscina della città per far sciogliere la tensione nel mio corpo.
L’acqua è il mio elemento. Lo è sempre stato fin dalla nascita, mamma dice sempre che sono nata prima del termine solo perché fuori pioveva ininterrottamente da tre giorni, avevo sentito il richiamo della pioggia ed io avevo risposto nascendo. Papà mi invia sempre dei quadri bellissimi di laghi di montagna o mari al tramonto, lui capisce come me questo legame, anche lui si sente legato a quell’elemento.
L’acqua ha la capacità i raccogliere in se tutte le mie preoccupazioni e portarle via, lontano e di non farmele più incontrare.
Quando ho un problema io so che una bella nuotata più aiutarmi a risolvere tutto.
Ora non ho un problema… ho solo bisogno di liberare la mente, di non pensare, di sentirmi una creatura marina.
Lo spogliatoio femminile è vuoto, lo è sempre a quest’ora è anche per questo motivo se vengo così tardi.
Voglio restare sola, senza interruzioni inutili, senza perdite di tempo in chicchere, questo è il mio rifugio nascosto e per ora voglio che sia solo mio.
Il mio angolo di paradiso.
Mi cambio lentamente, mi piace sentire il tessuto elasticizzato del costume sulla mia pelle chiara, è come una seconda pelle, un piccolo scudo dal freddo dell’acqua. Afferro il mio asciugamano blu ed esco fuori, non incontro nessuno fino alla vasca più grossa quella con il trampolino più alto.
Nella vasca non c’è nessuno ma sul trampolino c’è un ragazzo che non ho mai visto prima.
Alzo lo sguardo e lo vedo dritto sulla piattaforma, fissa un punto davanti a lui, sembra molto concentrato.
Mi piace vedere qualcuno tuffarsi, sono una grande nuotatrice ma i tuffi non mi riescono bene, soffro di vertigini e non è la patologia ideale per tuffarsi.
Mi appoggio al muro e lo osservo mentre alza le braccia e si mette in posizione.
I muscoli del suo torace di contraggono appena, non è un atleta professionista, non ha il fisico di uno che nuova tutti i giorni, ma non è neppure un brutto ragazzo da quel poco che posso vedere, il viso è sfuocato, è troppo lontano ed in alto e la mia miopia non mi aiuta a mettere a fuoco i tratti del suo volto. Saltella e poi si tuffa, il suo corpo fa una capriola nell’aria ed entra in acqua quasi senza fare nessuno schizzo.
Incredibile. Un tuffo da nove.
Lo vedo risalire e nuotare con grazia verso il bordo della piscina, ora vedo meglio le sue spalle larghe e i suoi lunghi capelli biondi legati assieme con un nastro nero. Si issa sulle braccia e si alza, l’acqua gli scivola sulla pelle, prende l’asciugamano nero come il suo costume e se lo mette in spalla. Si avvia verso gli spogliatoi dove ci sono io appoggiata al muro. Mi sorpassa dandomi solo un’occhiata di sfuggita, i suoi occhi sono grandi e verdi. Un’occhiata penetrante, lunga e breve nello stesso momento, sembra quasi che mi stesse aspettando.
Mi accorgo solo dopo che mi ha superato che ho trattenuto il fiato per tutto il tempo.
Sento la porta dello spogliatoio chiudersi con uno scatto e torno in me, poggio l’asciugamano sulle panchine di pietra accanto alle vetrate e mi butto in acqua. Inizio a dare una serie di bracciate veloci per riscaldarmi un poco, la mia mente inizia a svuotarsi, la giornata non sembra più così pensate come mi era sembrata prima, i problemi scivolano via come l’acqua sul mio corpo. Risalgo quando l’aria mi manca nei polmoni, riprendo fiato e scosto i capelli bagnati con un colpo deciso di testa. Resto un po’ a galla e mi guardo attorno.. nessuno... quiete... serenità... il mio modo perfetto.
A volte immagino che la mia vita si svolga tutta qua, senza libri da studiare, senza scuola, senza un futuro spaventoso, senza nulla... solo io, il mio costume e la piscina.
Ma poi penso che mi annoierei, che sentirei la mancanza delle mie amiche e dei miei amati libri.

***
Un’altra mattina in anticipo, un’altra giornata iniziata con i raggi del sole che si specchiano nel lago del parco.
Sorrido mentre l’aria, lievemente più pungente questa mattina, mi accarezza le guance come la delicata carezza di una madre affettuosa. Afferro la mia cartella e mi dirigo alla scuola, non é tardi, se tengo un buon passo arrivo pochi secondi prima che suoni la campanella.
Mi posso godere ancora un po’ questo panorama che mi toglie il fiato ogni volta, cammino fissando il lago, non molto saggio da parte mia visto che praticamente non sto guardando dove metto i piedi ma poco importa, é mattina e non c’é nessuno qui la mattina.
Come non detto, non faccio tempo a fare che pochi passi quando la mia testa cozza contro la schiena di un ragazzo.
Dalla sorpresa cado a terra pestando il sedere; in questo preciso momento mi ricordo molto Usagi.
- Mi scusi io non l’avevo vista stavo...- dio mio che imbarazzo! Stavo guardando altrove e non l’ho proprio visto. Mi alzo in fretta e pulisco la mia gonna.
Alzo la testa dal piccolo inchino che ho fatto per scusarmi e vedo due occhi verdi come l’erba in primavera scrutarmi dietro un paio di occhiali con le lenti rettangolari, proprio come i miei che tengo nella cartella e che uso quando studio per non affaticare la vista.
Conosco questo ragazzo.
E’ lo stesso che ho incontrato in piscina ieri sera.
Ora che lo vedo meglio e, soprattutto, con dei vestiti addosso mi rendo conto che non deve esser molto più grande di me, anzi, ora che ci faccio caso, indossa la divisa della mia stessa scuola.
Sorride... le sue labbra solo sottili, delicate... i denti perfetti e bianchi.
Improvvisamente ho caldo... che abbia la febbre? Eppure stavo bene stamattina...
- Non ti preoccupare succede.
Oddio ha perfino una voce calda, sensuale e vellutata.
Ho ancora più caldo... sicuramente sarà l’inizio di qualche nuovo malessere di stagione. Eppure non ricordo notizie in merito sui giornali di medicina che mamma porta a casa dall’ospedale.
Balbetto qualcosa... non riesco neppure io a capire cosa e corro via dopo aver fatto un fugace inchino.
Corro fino a scuola, entro in aula e, senza salutare nessuno, mi metto al mio banco, prendo il primo libro che mi capita in mano ed inizio a leggerlo.
Le prime due ore di letteratura straniera sono volate, le poesie italiane del rinascimento mi hanno fatto scordare il ragazzo misterioso della piscina, e nell’ora successiva di inglese ero così concentrata sulla pronuncia esatta di ogni parola che non ci avevo più pensato.
Così ora quell’incontro imbarazzante é solo un misero, sfuocato ricordo nella mia mente.
Probabilmente non lo rivedrò più.
Grazie a Dio ho ripreso il controllo del mio cervello.
La campanella dell’intervallo viene accolta dai miei compagni come l’acqua nel deserto, mi alzo e vado nel corridoio dove so che hanno appeso i risultati del test di scienze che abbiamo fatto la settimana scorsa. Fuori é un carnaio, tutti stanno cercando di vedere il proprio risultato.
Usagi già piange in un angolo, Rei e Makoto non hanno un’espressione molto allegra.
Prevedo già un’enorme coppa di gelato oggi pomeriggio al bar di Motoki.
Sto per andare al tabellone quando qualcuno mi afferra per il braccio.
- Dove credi di andare tu?
Mi volto sorpresa quando vedo una folta chioma bionda arrivarmi in faccia.
- Minako...- mormoro sconcertata levandomi i capelli dal viso – cosa c’é? Vado a vedere il mio risultato.
- Non puoi.
- Cosa?
- Non puoi. – ripete con più enfasi.
Ora anche le altre si sono accorte della mia presenza e si sono avvicinate.
- Ami devi prepararti ad un brutto colpo. – mi fa Usagi tirando su col naso.
Brutto colpo? Ho studiato per due settimane per quell’esame e non può esser andato male!
- Non é possibile...- balbetto incredula e schioccata.
- E’ accaduto. – fa Makoto mettendomi una mano sulla spalla.
- Ti staremo accanto.
Mi avvicino al tabellone, il mio corpo sembra fatto di granito tanto é pesante.
Alzo lo sguardo sull’elenco appeso in bacheca, lentamente salgo dall’ultimo, Usagi e Minako sono tra le ultime, Makoto é in un po’ più in alto mentre Rei é in mezzo alla graduatoria.
Ma il mio nome non l’ho ancora visto.
Continuo a far scorrere lo sguardo fino a quando non lo trovo... é il primo! Un sospiro di sollievo mi esce dalle labbra... perché mi hanno fatto prendere uno spavento del genere?
Sgrano gli occhi quando vedo una cosa che non é mai capitata prima.
Un ragazzo ha preso il mio stesso punteggio.
Entrambi siamo primi... questa cosa é nuova... non era mai successo nella mia carriera scolastica.
Solitamente tra me e il secondo classificato c’erano sempre un centinaio di punti di differenza anche di più.
- Yatamore Zoisite. – leggo socchiudendo gli occhi – Non l’ho mai sentito questo nome nella scuola. Minako sai chi é?
Come se avesse previsto una mossa del genere Minako estrae dalla tasca della sua gonna il taccuino marrone di cui va tanto fiera. E’ un piccolo quaderno rilegato in pelle marrone dove annota tutti i nomi dei ragazzi della scuola, suddivisi per nome, età e bellezza. Ci annota tutto quello che riesce a scoprire su quella persona e, se riesce ad uscirci, anche commenti personali.
- Yatamore Zoisite,- legge velocemente – 18 anni, appena trasferito da Osaka, i genitori sono divorziati, era il miglior studente nella scuola precedente, si é trasferito da due settimane ma viene a scuola praticamente solo da due giorni. – alza lo sguardo e sorride – Ah... é lui!
Mi volto per vedere chi é questo ragazzo così intelligente, tra tutti i miei compagni scorgo una chioma bionda che mi è famigliare, l’unico ragazzo che non conosco é proprio lo stesso che ho visto in piscina... lo stesso con cui mi sono scontrata questa mattina.
Ho di nuovo caldo.
- Non... non é possibile...- mormoro facendo un passo indietro – E’ lui...
Minako guarda me e poi il ragazzo nuovo.
- Lo conosci?
- No!- mi affretto a dire ma la mia voce doveva esser troppo alta perché lui si é volato e ora mi fissa.
Oddio... mi sento male...
- Ami stai bene?- mi chiede Usagi ma la sua voce é così lontana che a malapena riesco a sentirla.
- No... si...- mi porto una mano alla testa.
Zoisite si avvicina di un passo... sorride...
Mi gira la testa... tutto attorno a me diventa nero.
Non ricordo più nulla.

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Capitolo 2
*** Allergia all'amore (seconda parte) ***


Allergia all’amore (parte seconda)

Riapro lentamente gli occhi, il bianco accecante dell’infermeria quasi mi acceca, li richiudo un poco iniziando a ricordare perché mi trovo qui.
Ricordo che mi sono avvicinata al tabellone dei punteggi del test, ricordo Minako che mi diceva di non spaventarmi, ricordo il mio stupore quando mi sono accorta che non ero l’unica ad aver raggiunto un punteggio molto elevato. Ricordo a mala pena Minako che mi raccontava tutto quello che sapeva sul mio rivale e poi il volto di Zoisite.
Già Zoisite…
La testa torna a girarmi, mi risdraio e scuoto il capo, devo aver studiato troppo in questi giorni.
- Ami ti sei svegliata!
Usagi e le altre entrano nella piccola aula che la scuola usa come infermeria e si avvicinano al letto.
- Stai bene? – domanda Rei.
- Sei pallida. – constata Makoto.
- Tu studi troppo!- mi rimprovera Minako scuotendo il capo mestamente come se studiare fosse una punizione e non la mia passione più grande.
- Cos’é successo?- domando lievemente confusa, non credo di essermi ripresa ancora del tutto.
- Sei svenuta,- mi spiega Usagi prendendo la mano – hai visto i risultati di quello stupido test e sei svenuta. Ami tu studi veramente troppo!
- Già… il test…- mormoro con un filo di voce, ho la gola secca e mi fa male… forse ho preso un virus - Non preoccuparti Usagi. – cerco di tranquillizzare la mia amica ma non credo che il mio tono di voce sia abbastanza convincente – Stamattina non ho fatto colazione, molto probabilmente è stato solo un calo di zuccheri.
- Per fortuna. – fa una voce alla porta, alzo un poco la testa mentre le altre si voltano, Zoisite è appoggiato allo stipite di legno pitturato di arancione, sorride e guarda tutte.
Le altre si lanciano un’occhiata molto eloquente… quando si guardano in quel modo non è mai un buon segno.
- Beh..- fa Minako in tono falsamente distratto – io devo andare… ho gli allenamenti di pallavolo.
- Sì..- echeggia Makoto alzandosi dopo di lei – io devo andare a fare qualche giro di corsa nel capo di atletica.
- Io..- continua Rei seguendo le altre – devo studiare storia, Usagi tu vieni con me vero?
- Ma veramente…
- Vero? – domanda con più enfasi nella voce e lanciandole un’occhiata di fuoco.
Usagi fa un sospiro tragico e si alza a capo chino.
- Sì… vengo con te…- un altro sospiro doloroso che mi strappa un sorriso – a studiare. Ciao Ami.
Ecco ora sono sola con Zoisite e mi sento quasi nuda davanti alle sue iridi verdi.
Zoisite le guarda uscire poi si avvicina al letto e si siede sul bordo.
Perché mi manca il respiro?
- Sono sollevato che tu stia meglio.
- Sollevato? – io sono solo sollevata di non esser in piedi o le mie gambe cederebbero all’istante.
- Beh quando sei svenuta ho creduto che fosse per colpa di un possibile trauma che avevi ricevuto questa mattina quando ci siamo scontrati.
Arrossisco anche se sarebbe meglio dire che sto andando letteralmente a fuoco.
- La tua fama ti precede Ami Mizuno. – continua non notando il mio notando rossore o facendo finta di non notarlo, in entrambi i casi gli sono grata per aver cambiato discorso.
- Per… perché? – sto balbettando… o mio dio… io non balbetto mai! Che mi succede?
- A Osaka ho letto la tua relazione sulla possibilità di altre forme di vita intelligenti nell’universo. E’ sbalorditivo come le tue idee sembrano così chiare anche se non del tutto basate su delle teorie scientifiche. E’ un discorso che ho trovato molto interessante.
Sono sbalordita, nessuno aveva mai letto la mia relazione, Usagi si era addormentata alla seconda pagina, Minako e Makoto non avevano capito metà delle parole e Rei aveva solo finto di capirci qualcosa… ma, in fondo, hanno provato a leggerla e questo è quello che conta, hanno finto di capirci qualcosa, esultando di fronte alle mie teorie. Sono state molto carine… molto gentili… sono le migliori amiche che una ragazza può desiderare.
- Dove hai trovato la mia relazione?
- Sul sito internet della scuola; prima di trasferirmi qui ho fatto delle ricerche… il tuo nome spiccava a lettere cubitali, c’era scritto che sei la migliore di tutta la provincia di Tokyo e volevo leggere qualcosa di tuo.
Sorrido comprensiva, mi sarei comportata nello stesso modo pure io, fare delle ricerche per cercare di capire il luogo dove mi sarei trasferita. E’ un comportamento razionale che comprendo molto bene…
Improvvisamente mi sento nervosa, questo ragazzo sembra quasi un alieno. Non c’erto per il suo aspetto, è alto, molto bello, occhi verdi e penetranti, un sorriso perfetto, lineamenti dolci ma non femminili, che non stonano con il suo corpo muscoloso.
Proprio un bel ragazzo… una volta credevo che i bei ragazzi fossero tutti idioti narcisisti che amavano solo il loro riflesso… invece lui è molto intelligente, acuto, un gran nuotatore… e, dal modo in cui si è preoccupato per me è anche molto dolce.
È venuto in infermeria… solo per me…
Che colore c’è dopo il porpora?
No, perché sono certa che il mio viso abbia proprio quel colore ora.
- Ami stai bene?
La sua voce calda mi accarezza il cuore come le carezze affettuose e passionali di un dolce amante. Alzo lo sguardo ed incrocio i suoi occhi verdi.
Mi manca il respiro.
Il mio sguardo si allontana dal suo volto e la mia attenzione è catturata dalle lancette dell’orologio.
- O mio Dio!- urlo balzando giù dal letto e spaventando a morte il povero Zoisite.
E da quanto lo chiamo povero?
- Ami che succede?
- Sono in ritardassimo! – faccio raccattando le mie cose che, per qualche insulsa ragione, sembrano ovunque in questa piccola stanza che ora mi sembra immensa come un castello – Alle 16:00 inizio le lezioni di approfondimento nell’istituto in centro e non posso tardare!
- La Tomaka? – mi domanda lui osservandomi mentre sistemo la borsa alla bene e meglio sulle spalle – La scuola privata in centro?
- Sì, vado lì ad approfondire certe materie come l’informatica, l’inglese e alcune materie scientifiche… oooh ma io sono qui a perdere tempo con te invece devo correre! – mi infilo le scarpe e corro fuori quando lui mi ferma.
- Ti do un passaggio se ti va.
Credo che il mio cuore abbia appena mancato un colpo, mi volto per fissarlo, ha un’espressione dannatamente seria, non sta scherzando e non mi sta prendendo in giro.
- Non so se è il caso. – dico con un tono non molto convincente.
- Ci metteremo poco prometto! – sorride questo strano ragazzo mettendosi una mano sul cuore – Anch’io odio arrivare tardi a lezione… ti capisco.
E’ ufficiale, Zoisite è un alieno.
Un bellissimo alieno.
- Allora accetto molto volentieri.
Cosa? Come? Ami! Ma cosa combini? Lui può anche esser carino ed intelligente ma è comunque un estraneo, un ragazzo che consci molto poco, potrebbe rapirti e fare di te la sua schiava!
Ma è così gentile…
Scuoto il capo con forza seguendolo fuori dalla scuola e andando verso i parcheggi dove i ragazzi più grandi, solitamente, parcheggiano le moto.
Ed eccola li, una moto di grossa cilindrata, blu elettrica.
Alza il lungo sedile di pelle nera e tira fuori due caschi, uno nero per lui e uno dello stesso blu della moto per me.
Prendo il casco che mi porge e poi guardo la moto.
- Sicuro che sai guidarla?
La sua risata è soffocata dal casco che ha già indossato ma posso vedere distintamente la sua espressione divertita.
- Avanti.. non correrò troppo… sali.
Titubante mi metto a cavalcioni dietro di lui indossando il casco.
Non dovrei accettare un passaggio da un ragazzo che conosco a malapena ma non posso ceto arrivare in ritardo!
- Tieniti forte!
Circondo il suo torace muscoloso con le mie esili braccia, sento il suo respiro regolare, appoggio la guancia, o meglio la parte del casco che copre la guancia, sulla sua schiena e il suo profumo si fa strada da sotto il casco risalendo lungo le mie narici. Ha un buon odore, sa di bagnoschiuma alle erbe, caffè, cloro, libri e un dopobarba di quelli economici, di quelli che trovi a dozzine nei supermarket, quelli dall’odore forte che solitamente non sopporto ma addosso a lui, mischiato con gli altri aromi crea una miscela perfetta.
Mette in moto la motocicletta e ci dirigiamo verso la scuola.
Arriviamo all’istituto Tomaka alle 15:45.
Perfettamente puntuale come al solito.
Però questa volta avrei voluto arrivare un po’ in ritardo.
- Grazie. – gli dico con un lieve inchino dopo che gli ho restituito il suo casco.
- Di nulla. – risponde garbatamente sempre con il casco in testa – Ci si vede a scuola Ami!
Lo vedo allontanarsi a tutto gas, il suo codino biondo spunta da sotto il casco.
Sospiro ed entro nell’edificio, mi sembra cupo e vuoto… triste… perché sono scappata così?
La mia mente non riesce a razionalizzare come vorrebbe.
Forse ho veramente un calo di zuccheri.

***
Non riesco ad evitarlo.
Continuo a pensare a lui.
Ai suoi capelli, a quella strepitosa miscela di profumi, al suo fisico tonico in piscina, alla sua intelligenza.
I miei pensieri vanno a lui e la mia mente non ragiona più come al solito.
Sono distratta, un po’ smemorata, sulle nuvole.
Così non va bene.
Per questo non amo stare con i ragazzi, mi fanno perdere la concentrazione necessaria per i miei studi.
Se voglio diventare una brava dottoressa devo studiare. E io voglio diventare una brava dottoressa!
Da quel pomeriggio non ci siamo più visti, o meglio, l’ho incontrato solo un paio di volte nei corridoi, ci siamo scambiati qualche battuta veloce e poi lui doveva scappare. Forse aveva solo da studiare. O forse mi voleva evitare.
Io non lo so. So solo che mi sento uno schifo e che non studio come vorrei da qualche giorno.
Odio sentirmi in questo modo!
- Ami… Ami… sei tra di noi?
Sbatto le palpare un paio di volte mettendo a fuoco i volti delle mie amiche, siamo a casa di Rei a studiare. Anzi loro studiano mentre io mi perdo in inutili pensieri sciocchi.
- Che c’è?- dico in malo modo vedendo che tutte mi fissano come se avessi una fetta di formaggio appiccicata in faccia.
- Non ti abbiamo mai visto con la testa tra le nuvole. – fa Makoto.
- Solitamente è Usagi che dobbiamo svegliare dai suoi sogni ad occhi aperti.
- Non è vero Rei! - urla Usagi rossa in volto.
Arrossisco un attimo colta in flagrante… che imbarazzo… beccata mentre pensavo ad un ragazzo. Io Ami Mizuno che pensa ad un ragazzo! Ma fatemi il piacere!
- Dicci cosa ti preoccupa. – mi incoraggia Minako – Cosa potrebbe mai distrarre la grande Ami Mizuno dai suoi libri?
- Nulla…- mormoro poco convinta prendendo il libro di algebra e mettendolo davanti al viso aperto ad una pagina a caso – Non avevo la testa tra le nuvole… io… stavo solo riflettendo su questa equazione. – indico un punto sul foglio, non so neppure che c’è scritto.
- Ami…
- Si Makoto?
- Stai tenendo il libro alla rovescia.
Finalmente il mio cervello si decide a collaborare e mi rendo conto che effettivamente sto tenendo il libro di testo al contrario.
Scoperta subito… beh non sono mai stata brava a dire bugie.
- C’entra un ragazzo vero?- domanda Minako con l’aria di una che la sa lunga.
- Diciamo di si…- ammetto non senza vergogna, so che sono le mie migliori amiche ma mi imbarazza parlare di queste cose – Ma non è quello che pensate voi! – mi affretto a dire – Lo trovo… interessante.
- Lo sapevo!- esulta la mia amica bionda scioccando le dita – Zoisite è fortunato.
- E tu… tu cosa ne sai?
- Anche i sassi vedono quanto siete carini insieme. – echeggia Rei – Belli ed intelligenti… una splendida coppia.
Scuoto il capo… qui si parla di amore… ammetto che quel ragazzo mi piace ma solo perché è un ragazzo interessante e molto intelligente.
- State fraintendendo… - cerco di spiegare – Zoisite mi interessa solo come compagno di studi niente di più!
- A chi vuoi darla a bere?- fa Minako dandomi una lieve spintarella – Classico caso di colpo di fulmine.
Sospiro sconsolata.. Minako e le sue favole d’amore sempre con il lieto fine.
- Minako,- inizio io con il tono da dottoressa fredda ed insensibile al mondo – quante volte devo dirtelo che non ci sono prove che identifichino quello che tu chiami “colpo di fulmine”. L’amore arriva dopo un lungo periodo di conoscenza non all’improvviso è illogico.
- Anche tu sei illogica quando parli come un dizionario!- mi rimprovera lei – E sei anche un caso da manuale di allergia all’amore!
- La cosa?- fanno in coro le altre.
- Allergia all’amore. – ripete lei come una professoressa ben preparata in materia.
- Mi stai dicendo che Ami si potrebbe riempire di bolle come me quando mangio le noccioline?
- No, Usagi non è una cosa fisica ma mentale. Quando una persona particolarmente intelligente come Ami si innamora il cervello non riesce a analizzare il sentimento come vorrebbe, l’amore rende vulnerabili, un po’ svampiti e, nel caso di Ami, la sua mente si rifiuta ancora di perdere un po’ del suo rigido autocontrollo. La cura si divida in due parti: prima bisogna ammettere il sentimento, accettarlo con tutte le sue conseguenze e poi magiare tanto gelato…
- Wow Minako ma dove le hai imparate tutte queste cose?- fa Usagi visibilmente colpita.
- Stai parlando con un’esperta d’amore!
- Minako tu stai parlando di una patologia che non esiste, che non può esser analizzata ne, tanto meno, curata con una soluzione così assurda. Stai parlando di fatti impossibili, come ti ho già detto l’amore arriva con il tempo, con la conoscenza approfondita dell’altra persona, arriva dopo mesi, a volte un anno, ma non come un bambino grasso con il pannolone che ti lancia frecce nel sedere! E poi io non sono innamorata! Zoisite è un ragazzo molto intelligente, acuto, ha letto la mia relazione sulla vita nell’universo e volevo dei consigli tutto qui.
Minako alza un sopracciglio e guarda le altre con un’espressione vittoriosa sul volto.
- Visto? Rifiuta l’evidenza: allergia all’amore!
Le altre annuiscono iniziando a darmi tutti consigli che ritengono in qualche modo. utili
- Ami é normale esser spaesati.
- Se vuoi facciamo dei biscotti così puoi portaglieli.
- E io ti aiuto a mangiare il gelato!
- Usagi ma che c’entra?
- Beh... io non so nulla di relazioni amorose! Voglio fare pure io la mia parte!

***
Allergici all’amore...
Si può esser allergici ad un sentimento?
Minako può aver ragione?
Sono così razionale e analitica che non riesco ad esprimere al meglio quello che provo... sono così persa in libri e studi che ho quasi dimenticato la passione e l’istinto. Sono così atrofizzata nei miei studi che, quando il mio cuore prende il sopravvento, sono confusa, spaesata e sto male.
Allergia all’amore.
No, impossibile!
Non esiste una patologia del genere! Minako vede tutto sotto la lente rosa del romanticismo, per lei tutto si risolve con amori e baci.
Io non sono innamorata, non ci si innamora così. Di un perfetto estraneo che con cui ho parlato rare volte.
Minako ha torto!
Il centro della città é piano questo pomeriggio, sono andata via prima dalla casa di Rei con la scusa che dovevo ritirare dei testi in biblioteca per la scuola privata. In realtà volevo solo riflettere a mente lucida, volevo qualche minuto per restare da sola con i miei pensieri.
Attorno a me vedo solo coppie, sembra che tutti siano fidanzati in questi periodo! Possibile che io sia la sola che non ritiene necessario un uomo? O forse sono così presuntuosa da credere che mi basta stare sola per vivere serena?
Sospiro mentre l’ennesima coppietta a braccetto mi passa accanto, lei ride felice, o così sembra, stringe il braccio del suo ragazzo e il mio stomaco fa una capriola... forse un po’ l’invidio.
Entro nella prima libreria che vedo in strada: bene il mio ambiente naturale... qui dovrei ragionare senza interferenze dall’esterno. Afferro i miei occhiali dalla borsa e li indosso leggendo distrattamente qualche libro a caso, dai romanzi rosa a quelli di saggistica, dai libri di fotografia e quelli si storia dell’arte. Predo uno dei artbook impilati nel settore artistico e lo sfoglio, questo fotografo ha fissato nel suo obbiettivo immagini splendide come montagne e prati fioriti ma anche molte persone comuni: una donna che fa la spesa, un uomo seduto a leggere il giornale, dei bambini al parco giochi... a quest’uomo piace riprendere la gente, cattura la loro naturalità... é veramente molto bravo, sembra quasi che queste persone possano all’improvviso muoversi e parlare. Giro l’ultima pagina e mi trovo davanti una foto in bianco e nero: una coppia di anziani che si tengono per mano mentre passeggiano in un parco che non conosco, probabilmente straniero. Sorrido mentre sento il mio cuore pervaso dalla dolcezza di questa foto. Rimetto a posto il libro e torno indietro, ho deciso: devo fare qualcosa. Non voglio arrivare alla vecchiaia sola e acida, così calcolatrice e prevedibile da non aver mai conosciuto l’amore.
C’é una grande pila di libri nella sezione dei manuali, sul cartone pubblicitario alto quanto me c’é una bella donna, sembra avere la mia età ma so per certo che é una trovata pubblicitaria per vedere il libro alle donne di tutta età. Davanti a lei c’é un volume rosa pastello, con un cuore rosso in copertina, il fumetto sopra la sua testa dice: “Prima ero solo una ragazza noiosa... poi ho scoperto che amare rende unici!” . Mi incuriosisce e mi avvicino ai libri: Manuale dell’amore – Come gestire l’amore nel migliore dei modi – recita il titolo.
Un manuale per l’amore... che possa servirmi?
- Leggi libri interessanti. – fa una voce alle mie spalle.
Mi volto di scatto, é dietro di me... Zoisite é dietro di me!
Arrossisco... con quel maledetto libro rosa tra le mani.
- No, é che io... non volevo leggerlo... ero solo curiosa...
Ridacchia divertito e io mi sento ancora più stupida, ora penserà che sono una di quelle ragazze che pensa solo a trovare un buon fidanzato.
Rimetto a posto il libro molto velocemente e cerco di riprendere il controllo delle mie azioni.
Andiamo cervello dammi una mano!
- E tu cosa ci fai nella sezione di libri femminili? – gli domando con una nota divertita nella voce, nota che nasconde alla perfezione la mia vergogna.
Le sue guance si imporporano lievemente di rosso, una piccola risata mi scappa involontariamente dalle labbra, mi copro la bocca con la mano e lo fisso divertita.
- Cercavo... l’uscita...- mormora imbarazzato e si capisce che non é la verità.
- Credo che i romanzi rosa possano aiutare a rilassare la mente.
- Non leggo romanzi rosa!
Rido un po’ più forte e, anche se cerca in tutti i modi di non cedere, gli angoli delle sue labbra tremano, chiaro segno che non vuole scoppiare a ridere per darmi questa soddisfazione.
- Senti..- fa continuando a fingersi imbronciato – vado a pagare questi libri e poi ti va se beviamo un caffè?
Smetto immediatamente di ridere, sento che sono impallidita di colpo.
- Insieme?
- Beh sì... l’idea é questa.
Ora sono rossa come un pomodoro.
Non so che fare? Dirgli di no o accettare?
Cosa farebbe Minako in una situazione come questa?
Immagino la mia amica mentre si lancia verso di lui giuliva.
Ricaccio indietro un’altra ristata e annuisco.
Mi sorride... l’ho già detto che ha un bellissimo sorriso?
- Allora ci vediamo fuori, farò presto.
Lo aspetto fuori solo per poco, alle casse non c’era nessuno, arriviamo al piccolo bar e ordiniamo due caffè.
- Allora che libri hai preso?
- Qualcuno di storia rinascimentale e un thriller... per alleggerire la mente.. Adoro i gialli.
Parliamo tutto il pomeriggio seduti a questo tavolino in fondo al locale.
Entrambi amiamo i libri, l’acqua, i momenti di relax in perfetto silenzio, non siamo circondati da molti amici ma quelli che abbiamo ci bastano e sono sinceri. Mi ha raccontato il difficile rapporto tra i genitori, come abbia sofferto per la separazione ma che ora é riuscito a perdonarli entrambi e non si sente più abbandonato. Gli ho raccontato del futuro che immagino, dei miei sogni, delle mie aspirazioni.
E’ incredibile quanto ci assomigliamo in certi punti.
Si é alzato per pagare i due caffè e io rimango seduta a fissare la sua schiena alla cassa.
Mi piace.
Anzi, mi piace molto.
Minako aveva ragione su tutto.
Il mio sguardo cade nel sacchetto della libreria posta ai piedi della sua sedia, vedo i tre libri che ha comprato e poi, tra un grosso tomo e l’altro, ne vedo un quarto, piccolo, quasi invisibile confronto agli altri. Non c’é bisogno di vederlo per capire cos’é: lo stesso stupido manuale che stavo leggendo io.
Allargo il sorriso e torno a fissarlo.
Sì, siamo proprio usuali.
Entrambi allergici all’amore.
Mi tornano in mente le parole di Minako: ora devo solo magiare un gelato.

FINE

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Capitolo 3
*** La mia migliore amica (prima parte) ***


Visto il successo della storia di Ami sono un po’ preoccupata per questa. Volevo che fosse bella come la prima e spero di esserci riuscita ma non é facile inventarsi 5 storie d’amore una diversa dall’altra. Ci ho messo il cuore anche in questa mini storia comunque, spero che vi piaccia!
Buona lettura.
Elena


La mia migliore amica (prima parte)


Dio mio se è bella.
Lo è sempre stata fin da piccolina quando giocavamo insieme nel cortile del santuario con suo nonno che ci sgridava perché facevamo troppo fracasso.
Me la ricordo con quei lunghi capelli neri che le incorniciavano il viso di porcellana, con gli occhi vispi di una bambina che sapeva di avere davanti a se un grande futuro.
Allora non la vedevo certo sotto questo punto di vista, era solo una compagna di giochi, un ragazzaccio che non stava mai al suo posto, un complice perfetto per tutte le nostre ragazzate.
Ora non è più un maschiaccio, non indossa più i pantaloncini corti, non ha più le croste sulle ginocchia per le varie cadute in bicicletta, non nasconde più i suoi bellissimi capelli neri sotto un berretto da baseball alla rovescia o non porta più quelle trecce con i nastri rossi che mi divertivo tanto a tirare.
Ora é una donna, un giorno si é trasformata, l'anatroccolo un po' bruttino é diventato un cigno bellissimo, la crisalide si é trasformata in una farfalla con bellissime ali dai toni purpurei.
Rosse come il fuoco che lei consulta con così tanta devozione.
Rosso come il mio cuore che batte all'impazzata quando la vede.
Rosso come il mio amore per lei.
Ma io non sono nessuno... non sono l'uomo adatto a lei, non sono bello come tutti i ragazzi che le chiedono di uscire, non sono un genio, non sono un'atleta... io sono solo Jadeite l'invisibile.
Anzi peggio: Jadeite il migliore amico.
Sospiro pensando a tutto quello che vorrei dirle ma che mi tengo dentro da quasi un anno. Esco dal mio nascondiglio e lei mi vede, i suoi occhi si illuminano come le luci sull’albero di natale, ogni volta che mi guarda così spero sempre che il suo cuore batta forte come il mio.
- Sei in ritardo. – mi apostrofa con la sua aria imbronciata che la rende semplicemente perfetta ai miei occhi innamorati.
- Scusa, - le dico fingendomi addolorato – ma mia sorella è rimasta in bagno venti minuti stamattina. – non posso certo dirle che sono rimasto quindici minuti dietro quell’albero a fissarla come un perfetto maniaco.
- Si si…- ridacchia lei – so benissimo che non è stata tua sorella a farti arrivare tardi.
Mi blocco pietrificato. Come diavolo fa a saperlo? È così palese il mio amore per lei? Sono stato scoperto… non mi parlerà più… non mi guarderà neppure in faccia.
Sono morto.
- Scommetto che hai incontrato Mai e hai perso tempo cercando di strapparle l’ennesimo appuntamento. - continua non notando il mio viso pallido e il mio tremore.
Tiro un piccolo, impercettibile sospiro di sollievo… per poco non mi veniva un infarto. Mai è una ragazza della mia classe, molto carina e, per qualche strana ragione, Rei si è messa in testa che a me piaccia.
Se solo sapesse la verità.
- Mi hai scoperto di nuovo!- le dico con una risatina finta come il mio interesse per Mai – Ma prima o poi cederà… sono convincente.
- Oh si come no.
- Osi contraddirmi befana?
- Befana?
- Preferisci brutta racchia?
- Jadeite!
Rido, mi piace prenderla in giro… non potrò starle vicino come vorrei ma almeno posso stare con lei come amico. A volte è una situazione insostenibile, altre invece sono felice di quel poco che ho.
Arriviamo a scuola, ci salutiamo velocemente e lei va dalle sue amiche, io mi dirigo mestamente verso i miei compagni.
Credo di avere l’aria di un cane bastonato.
- Devo dire che oggi hai un muso più lungo del solito.
Ecco appunto.
- Grazie Zoisite.
- Non ti sei ancora deciso?
- Solo perché tu hai trovato una ragazza dopo due giorni che eri qua non vuol dire che tutti possono trovare l’anima gemella in mezzo ad una libreria.
- Continuo a pensare che tu non possa tenerti tutto dentro, fa male.
- Lo so. – gli rispondo con un sospiro – E’ solo che non posso rovinare tutto.
Mi mette una mano sulla spalla e mi spinge verso l’entrata.
- Andiamo Romeo… e vedrai che tutto si sistemerà.
- Devo ricordarti come sono finiti Romeo e Giulietta?

***

Mi sono accorto di amarla un pomeriggio, stavamo nel cortile del santuario come sempre, quando non é con le sue amiche chiama me per parlare, per sfogarsi o solo per prenderci un po’ in giro. Quel pomeriggio il ragazzo che frequentava da un paio di mesi l’aveva mollata, con una scusa che non aveva senso come spesso facciamo noi uomini. Lei piangeva, Usagi e le altre erano riuscite a lenire un po’ del suo dolore ma io sapevo che per rimarginare quella ferita ci sarebbero voluti mesi e notti insonni a consolarla. Lei mi raccontava di quanto fosse stupendo questo ragazzo e di quanto fosse stata stupida lei a non tenerselo stretto.
Per me era un idiota.
L’aveva piantata per un’altra, una stupida oca che pensava solo al trucco e agli abiti attillati. L’aveva lasciata solo perché Rei si era rifiutata di fare l’amore con lui, solo perché credeva che non erano ancora pronti per quel passo così importante, solo perché sapeva che il loro rapporto non era così profondo.
Piangeva quel pomeriggio rimproverandosi che i suoi pensieri erano antiquati, stupidi tabù che aveva ereditato dal nonno.
L’avevo consolata dicendole che il suo ragionamento era giusto, che per quello c’era tempo e che se lui non la capiva era solo un’idiota che usciva con lei solo per il suo corpo.
É stata dura ma alla fine aveva capito.
Sono tornato a casa distrutto dalla rabbia, dalla sete di vendetta, dalla voglia di fargliela pagare.
L’ho picchiato... quel ragazzo idiota che aveva solo osato sfiorare la mia migliore amica, l’ho aspettato una sera fuori dalla palestra dove si allenava. E, anche se sapevo che poteva ammazzarmi solo con un pugno, gli ho detto che doveva scusarsi con Rei, doveva dirle che era stato un idiota e che non la meritava.
E’ scoppiato a ridere e io non ci ho visto più, mi sono scaraventato su di lui e l’ho preso a pugni, non so dove ho trovato la forza per picchiarlo in quel modo, non ho mai amato la violenza ma quello se lo meritava proprio.
Quando sono tornato a casa, sotto lo scroscio dell’acqua bollente, mi sono chiesto perché mi sono comportato in quel modo ignobile, picchiare una persona non era mai la soluzione del problema.
E li ho capito.
Io amavo Rei Hino.
Non potevo vederla soffrire, perché se il suo cuore piangeva anche il mio piangeva, se lei soffriva io provavo dolore, se lei era felice io lo ero con lei.
Quando ho capito i miei sentimenti mi sono sentito un idiota a non capirlo prima.
Così é iniziato l’incubo.
Ho sempre saputo che tra di noi non poteva esserci altro che una bellissima amicizia; Rei ha sempre sostenuto che era così affezionata al nostro rapporto proprio perché anomalo, non aveva mai creduto nell’amicizia tra uomo e donna. Per questo non mi sono mai fatto avanti, so per certo che non capirebbe, che scapperebbe via, che non riuscirà mai più a vedermi come sono ora.
Solo il suo migliore amico.
La mia maledizione e la mia più grande gioia.
A volte vorrei non esser proprio nessuno.
A volte vorrei solo dimenticarmi di lei.
Per lei sono solo il consigliere, la spalla su cui piangere, l’amico con sui confidarsi. Non sono il ragazzo di cui innamorarsi, non sono l’uomo perfetto che potrebbe renderla felice. Sono come Usagi e le altre ai suoi occhi, solo che sono un uomo invece che una donna.
Tutto ciò é maledettamente doloroso.
Dovrei dirglielo, dovrei trovare il coraggio e fare il primo passo. Ma non sono mai stato un uomo coraggioso, sono un vile, un cretino e pure un illuso.
Io non sarò mai il ragazzo che fa battere il cuore a Rei, io sono e resterò sempre il suo maledetto migliore amico.
Sospiro mentre la campanella segna l’inizio della pausa pranzo, afferro il mio pasto da sotto il banco e mi dirigo verso il cortile dove mi aspettano gli altri.
Mi siedo ai piedi dell’albero dove i miei amici si sono messi a mangiare, le altre sono un po’ pi in là. Ami sta leggendo un libro, probabilmente ripassa, Usagi e Minako stanno guardando avidamente il pranzo che Makoto ha appena tirato fuori dalla cartella e Rei sta fissando Usagi con quell’aria che conosco fin troppo bene, tra poco scoppierà me lo sento.
- Usagi ma non puoi mangiare il tuo pranzo tranquilla?
- Sei solo invidiosa Rei, io magio ma non ingrasso!
- Ah é così? Sbaglio o hai dovuto comprare i pantaloni di una misura più grande?
- Sono cresciuta!
- In larghezza!
- Non perdono tempo quelle due. – ridacchia Zoisite scartando dalla carta trasparente il suo panino al cotto e formaggio.
- Già. – gli rispondo senza neppure voltarmi a guardarlo.
- Perché non dici e Rei di esser più elastica con Usagi?
- Perché conosco Rei e so già che non mi darebbe retta.
- Convincila.
- Come se fosse una passeggiata e poi l’avrai capito anche tu: quelle due litigano fin dalle prime luci dell’alba ma si vogliono bene.
- Sì, Ami me lo dice in continuazione. – biascica il mio amico mentre mangia il panino.
Conosco Zoisite da qualche anno, i nostri padri lavano per la stessa società, sono stato io a consigliargli questa scuola quando mi ha detto che doveva trasferirsi da Osaka. Lui sa tutto del mio amore per Rei, l’ha visto nascere e crescere con le sue devastanti conseguenze.
Sospiro togliendo, non senza difficoltà, lo sguardo da quell’angelo e osservo il mio pranzo o quello che mia madre chiama tale, non é mai stata una brava cuoca.
- Ehi Zoisite... mi dai metà del tuo panino?

***
Aspetto.
La mia vita é una continua attesa degli eventi.
Non ho abbastanza fegato per prendere in mano le redini del mio destino.
Io attendo che questo faccia la sua apparizione, forse é pigrizia, forse solo terrore che il futuro non sia così felice come ognuno spera.
Sono un codardo.
Un codardo che non merita la donna che ama.
Rei arriva di corsa, stranamente questo pomeriggio é in ritardo.
- Scusa...- ansima piegandosi lievemente in avanti e poggiando le mani sulle ginocchia – ma il nonno non lasciava stare delle ragazze. Quel vecchio con gli ormoni in subbuglio!
Faccio un lieve sorriso tirato spostando lo sguardo dalla sua camicetta che si é lievemente aperta quando si é chinata per riprendere fiato.
- Jadeite stai bene? Hai uno strano colorito... sei tutto rosso. Non é che hai la febbre?
Sento la sua mano fresca sopra la mia fronte bollente... non ho la febbre ma sto male ugualmente.
- Tu scotti! – sbotta togliendo la mano dal mio viso – Stai male Jadeite perché hai accettato di vedermi ugualmente?
- Non sto male. – spiego – Ho solo molto caldo.
Il suo sopracciglio destro si alza, chiaro segno che non mi crede.
- A Novembre? – dice con quel tono acido che usa solo con Usagi.
- Non posso avere caldo a Novembre?- ribatto incrociando le braccia al petto.
Alza le spalle e mi prende per mano.
- Andiamo in centro, testone. – mi prende in giro trascinandomi verso la stazione dei pullman.
Odio questi pomeriggi, li odio e li amo.
Lei é così vicina me, mi basterebbe allungare la mano e prenderla, afferrarla e dirle quanto il mio amore per lei sia grande, basterebbe così poco ma so già che rovinerei tutto. Un’amicizia di anni buttata all’aria da due secondi da incosciente. Però é così difficile restarle accanto e non saperla mia, sapere che per lei sarò solo l’amico. E’ così difficile tenersi tutto dentro, far finta di niente, sorridere quando mi confessa una nuova cotta fingere di essere felice per lei quando dentro ribollo di rabbia e gelosia.
Ma, dall’altra parte, sono felice di quel poco che ricevo, se non avessi questi pomeriggi con lei morirei dentro.
Quindi non mi resta altro che fingere, come ho fatto nell’ultimo anno.
Recitare ed aspettare che le cose cambino.
Molto probabilmente impazzirò, finirò come quei barboni che girano per strada nei film americani dove dormono nei cartoni, mangiano ai rifugi e parlano agli altri del loro grande amore perduto.
Sì... finirò così pure io.
- Ti piace?
Mi guardo attorno disorientato, ero così immerso nel mio patetico futuro da barbone che non mi sono neppure reso conto che sono salito sul pullman, che sono sceso in centro che Rei sta guardando le vetrine dei negozi. Indica una gonna corta nera, con quella starebbe d’incanto, metterebbe in risalto le sue gambe perfette, di quel lieve rosa che non tutte le donne possono vantare.
- Allora ti piace? – mi ridomanda impaziente.
Sì, metterebbe in mostra il suo fisico mozzafiato.
- No, hai le cosce come due tronchi d’albero... non ti starebbe bene.
Mi arriva un pugno sul braccio, rido come un perfetto bastardo e sospiro: sono proprio un’idiota.
- Sei un’idiota. – sbuffa lei fingendosi arrabbiata.
- Lo so.
- Non capisco perché ti comporti così. – fa lei improvvisamente seria.
- Rei ci siamo sempre comportarti così.
- Non è vero... prima eri cattivo ma non... non così...
Perfetto, un altro tassello per il mio mega puzzle d’idiozie.
- Scusami... io... sono solo molto pensieroso.
- E’ da un po’ che sei strano Jadeite, ho fatto finta di nulla ma sento che tu stai male. Lo sai che percepisco le emozioni altrui
Già.. lei capisce tutti, tranne me.
- E’ successo qualcosa a scuola?
- No.
- Con i tuoi amici?
- No.
- A casa?
Sospiro scocciato, odio quando mi martella con le sue domande.
- No Rei.
- Mai?
- No, dannazione Rei no! – grido arrabbiato.
Si blocca ferita dalla mia ira senza nessuna ragione apparente.
- Non c’é bisogno di arrabbiarsi.
Non ci riesco... un anno che soffro.
- Sai é incredibile, dici sempre di capire le persone ma non hai mai capito me. Il tuo migliore amico.
- Tu non mi parli mai,- cerca di scusarsi – sei così enigmatico su quello che ti porti dentro.
- Se solo ti fermassi un attimo, riusciresti a capire quello mi da il tormento.
Si avvicina e mi mette una mano sulla spalla.
- Cosa ti da il tormento?
Chiudo gli occhi e respiro piano.
Ora il mondo cadrà in pezzi.
- Sei tu Rei.
Sgrana gli occhi e fa un passo indietro non capisco se é sorpresa o solo terribilmente spaventata.
- Jadeite...
- Ti amo. – le dico semplicemente.
Rei scuote un poco la testa, si volta e scappa via.
Ora é solo il mio cuore che é andato in pezzi.

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Capitolo 4
*** La mia migliore amica (seconda parte) ***


La mia migliore amica (seconda parte)


Ho rovinato tutto.
Sono solo non mi vorrà più vedere ma non vorrà neppure ascoltare le mie parole.
Sono un emerito cretino, un’idiota, uno stupido, un illuso, un povero deficiente.
Lei é scappata e il mio cuore si é spezzato. Sapevo quello che sarebbe successo, l’avevo sospettato ma vederla fuggire via da me, dai miei sentimenti, dal mio amore, era più doloroso di quanto immaginassi.
Mi sento un imbecille, anzi peggio... ho detto la frase più importate della mia vita nel modo sbagliato e nel momento meno opportuno.
Si può esser più cretini di così?
L’avevo immaginato come un momento romantico, noi due che parliamo abbracciati come al solito, io che le confesso i miei sentimenti e poi la bacio, delicatamente ma con tutto il mio cuore.
Invece glil’ho detto come se quello che provo fosse una punizione, come se il mio amore per lei fosse una cosa orribile e le davo la colpa se stavo così male. Ci credo che é scappata, l’avrei fatto pure io.
Idiota, idiota, idiota!
Sbatto la testa contro il cuscino del letto, sono un imbranato, che cosa stavo pensando quel pomeriggio? Cosa credevo? Che mi avrebbe confessato anche lei i suoi sentimenti per me?
Forse un po’ sì, ci speravo...
O forse volevo solo mettere una parola fine a questa tortura. Ora che lei mi odia posso mettermi finalmente l’animo in pace. Basta dubbi o incertezze, basata false speranze: Rei non mi ha mai amato. Fa male ma é la pura verità.
Ed ora devo trovare il coraggio di andare avanti, di non fermarmi, di vivere anche senza il mio angelo accanto.
Ma, ancora per un po’, voglio crogiolarmi nel mio dolore.
Sento il ciabattare di mia mamma nel corridoio, anche se c'é al moquette fa sempre rumore, mi copro la testa col cuscino e aspetto che entri... lei entra sembra senza bussare, senza chiedere, entra e basta come ogni madre impicciona.
- Jadeite...- l'immagino mentre fa capolino nella stanza, non esco da qua da tre giorni ormai.
Sto troppo male.
- Jadeite tesoro? - sento la sua mano piccola e perennemente gelata appoggiarsi sulla mia schiena sotto le coperte, non so se ha capito perché sto male, ma se fossi semplicemente influenzato Rei sarebbe arrivata subito con brodini e bevande ricostituenti. Visto che Rei non mi palerà per il resto della mia inutile vita forse anche mia madre capirà perché sto tanto male.
- Cosa c'é mamma?- dico fingendomi addormentato con il naso chiuso e un po' di tosse.
- C'é qui qualcuno per te.
La vedo sorridere, forse la mia pena é finita. Magari é Rei che viene qui per chiarire la situazione, per discutere e trovare assieme un metodo per riparare al mio pasticcio.
Mamma esce lasciando la porta aperta, mi siedo sul letto e cerco di sistemarmi al meglio, non voglio sembrare trasandato o peggio, non voglio che lei mi veda disperarmi come un poppante. Ho ancora la mia dignità da salvare.
Quando vedo l'ombra sul pavimento del corridoio mi sento quasi male, la mia gola diventa secca all'improvviso e il cuore sembra schizzarmi via dal petto. Mi mordo un labbro, se non mi do una calmata potrei saltare giù dal letto e correre verso di lei.
Finalmente qualcuno fa capolino e i miei sogni si sciolgono come neve al sole.
E' Zoisite.
- Ah..- dico dispiaciuto chinando il capo e stringendo la stoffa della trapunta - sei solo tu.
- Beh non mi aspettavo i fuochi d'artificio,- sentenzia lui chiudendo le porta alle sue spalle - ma almeno potevi fingere di esser felice di vedermi.
- No é che io... si pensavo...
- Che fossi Rei giusto?
Annuisco tornando a sdraiarmi.
- Sono stato un pazzo! Come ho potuto dirle che l'amo in quel modo così stupido!
- Queste sono le conseguenze per esserti tenuto tutto dentro per così tanto tempo.
- Ti prego Zoisite non iniziare... - sbuffo mettendomi di lato e dandogli le spalle - sei venuto qui per farmi sentire ancora più in colpa?
- No, sono venuto qui per portarti i compiti e per vedere in che stato ti eri conciato in questi tre giorni.
- Bene, grazie...- mormoro poco convinto - ora vai io starò bene.
- Oh no!- lo sento dire con convinzione - Sono qui anche per sbatterti giù da quel letto! Ora ti sei abbastanza lasciato andare... credo che tu possa tornare alla vita normale.
- Vita normale?- ridacchio poco divertito - Non potrò più tornare alla vita di prima... l'ho persa Zoisite, per sempre. Tu cosa faresti se Ami ti lasciasse?
Sento che si siede a lato del letto e che mi mette una mano sulla spalla come mia madre, la sua é calda però e grande almeno il doppio.
- Starei a pezzi...- dice con un sussurro appena udibile - e tu saresti qui al mio posto. A dirmi che devo riprendere in mano la mia vita. Neppure tu vuoi questo... devi alzarti Jadeite e sfidare la sorte. Basta aspettare che qualcosa cambi, inizia a cambiare tu.
Forse ha ragione, sono rimasto troppo in questo letto a piangermi addosso.
Sospiro, un po' rassegnato e un po' deciso a riprendere in mano questa soluzione che sembra irrisolvibile, mi volto e sorrido al mio amico.
- Grazie Zoisite.
Mi sorride di rimando e mi da qualche pacca sulla spalla.
- Come prima cosa però laviamoci i denti.

***
Non mi ero mai accorto quanto fosse lunga la strada che va a scuola, l’ho sempre fatta con Rei e mi sembrava ogni mattina più breve. Ora è fredda, buia e, soprattutto, interminabile. Ho tutto il tempo per preoccuparmi di quello che dirò se ci incontreremo nel giardino o nei corridoi, ho avuto gli incubi tutta la notte con lei mi rideva del mio amore, che se ne andava con un altro, che non mi rivolgeva più la parola.
Vorrei solo voltarmi e tornare a casa. Al sicuro nel mio letto.
Ma non posso, l’ho promesso a Zoisite e anche a me stesso.
Sarei entrato a scuola a testa alta. L’avrei affrontata e le avrei parlato se me lo avesse concesso.
- Che cosa? – ho urlato talmente forte che tutti si sono voltati a fissarmi.
- Mi dispiace. – ripete Usagi tristemente – Ma Rei non viene a scuola da tre giorni… abbiamo provato ad andare nel santuario ma suo nonno è ci ha detto che è in ritiro spirituale o qualcosa del genere.
- Ci ha spiegato,- prende la parola Ami – che è normale per una sacerdotessa come lei partire e stare via per qualche giorno in completa solitudine e silenzio.
- Dice che serve alle sacerdotesse del fuoco per ricaricare l’energia vitale, per purificare l’anima e cose del genere. – finisce Makoto comprensiva.
So benissimo quello che Rei sta facendo ora, non è la prima volta che lo fa ma, solitamente, è una procedura estiva. Rei non starebbe via da scuola per un ritiro in solitudine e silenzio, lo farebbe solo se qualcosa la turbasse molto. E lo so che quel qualcosa sono io.
- Ha detto sarebbe stata via?
- No, - risponde Minako che mi fissa con uno sguardo poco amichevole – ha detto che l’ha vista molto abbattuta e affaticata. Probabilmente due settimane… forse fino a Natale.
No, non posso aspettare così tanto.
- Cosa le hai fatto?- mi domanda improvvisamente Minako – Lo so che c’entri tu… cosa le hai detto ancora di cattivo?
- Nulla. – sbuffo andando alla finestra – Almeno io credo che non sia nulla di cattivo… ma lei non deve averla presa bene.
- Qualunque cosa sia, - continua Makoto – Rei non parla con noi da tre giorni, è partita all’improvviso.
- E noi siamo preoccupate. – finisce Usagi.
- Jadeite. – mi dice Ami avvicinandosi – Qualunque cosa tu abbia detto a Rei, - e io so benissimo che loro sanno quello che le ho detto – Sono certa che non l’abbia spaventata ma solo confusa. Noi non possiamo aiutarla ora… non fino a quando non si aprirà con noi. Ma tu puoi andare e cercare di sistemare le cose.
- Non mi farà neppure parlare. – dico sfiduciato – Non vorrà neppure vedermi.
- Non puoi saperlo fino a quando non andrai da lei.

****
Alla fine mi hanno convinto, no so ancora come, ma mi hanno convinto.
Ho preso il mio zaino, ho messo qualche indumento di ricambio e ho preso il primo treno per il monte Fuji, con un po’ di fortuna arriverò al tempio per sera.
In quel tempio ci sono andato una sola volta, per prendere Rei dopo uno dei suoi raduni spirituali, lo fa una volta all’anno, solitamente in estate quando la scuola non è un grosso problema o in primavera quando la natura sboccia con colori sgargianti e profumi inebrianti.
Ora è inverno e il paesaggio fuori dal finestrino è grigio e tetro, scommetto che il santuario incute paura in questo periodo.
Mentre il panorama monotono delle campagne gelate mi passa davanti agli occhi velocemente, penso a tutto quello che mi hanno detto le ragazze e a quello che dovrei dire a Rei appena la vedo.
Non so come comportarmi, non so neppure se sto facendo la cosa giusta. So solo che non potevo aspettare fino a Natale. Dovevo parlare con lei e dovevo farlo subito.
Su un quadernetto che mi sono portato ho buttato giù i punti salienti del mio discorso: chiedere scusa, dare le mie motivazioni, chiedere scusa di nuovo, chiederle di darmi una seconda opportunità, scusarmi per il mio stupido comportamento, domandarle se possiamo almeno tornare amici e fine con delle scuse.
Forse mi scuso troppo…
Forse troppo poco.
Chiudo il quaderno con decisione e lo butto nello zaino sotto i vestiti e qualche merenda, al diavolo la lista. Improvviserò… non sono bravo ma devo dirle quello che il mio cuore sente e poi si vedrà.
Il treno si ferma verso le cinque del pomeriggio, fuori è già notte, l’aria è fredda e profuma di pino selvatico, mi sistemo meglio la sciarpa davanti alla bocca e lo zaino sulle spalle e vado alla prima stazione degli autobus che trovo, dopo qualche domanda mi dicono che il bus che porta vicino al tempio è il numero 45. Fortunatamente non c’è fila per i biglietti, pago e salgo sul pullman, mi sistemo sul seggiolino verde e attendo che parta.
Arrivo ai piedi di una piccola collina, il tempio è in cima ad una lunga scalinata, immerso nel bosco. Non ricordavo un paesaggio tanto inquietante, sono venuto in estate, in pieno giorno, quando gli alberi erano vivi. Qui ora è buio, la scalinata sembra non avere fine, dopo un centinaio di scalini viene immersa in una nebbia fitta che rende gli alberi spogli e nere ombre minacciose.
Arrivo alla fine, poggio lo zaino per terra e suono la campana d’ottone scolorito con la corda che pende sfiorando il terreno.
La donna che viene ad aprirmi avrà cinquant’anni, i capelli sono lunghi come quelli di Rei ma sono grigi, indossa la veste rossa e bianca tipica delle sacerdotesse scintoiste.
- Cosa posso fare per voi? – mi chiede con un tono gentile, la sua voce è calda, mi trasmette fiducia, sento quasi che potrei sedermi con lei e confessarle tutto quello che ho fatto nella mia vita. Questa è una donna che ha scelto la vita in monastero, io so che Rei non vuole quel futuro, lei vuole fare carriera, vuole diventare importante, rispettata, ma forse anche questa donna un tempo voleva fare la manager. Il solo pensiero che Rei potrebbe diventare così mi fa rabbrividire.
- Dovrei vedere una persona che si trova nel vostro tempio. Rei Hino.
- Rei è qui per purificare il suo spirito e per aumentare le sue capacità sensoriali di sacerdotessa del fuoco. Non può vedere nessuno e non può parlare fino a quando non sarà lei a decidere di sciogliere il voto che la lega a questo posto.
Mi aspettavo questa risposta ma ho come l’impressione che la donna me lo dica solo perché è il suo dovere e non perché crede che ciò faccia bene a Rei o alle sue qualità di sacerdotessa del tempio.
- E’ molto importante…- tento di spiegarle, o, almeno di farle un po’ pena – non posso aspettare… se non le parlo non potrà mai capire.
Un lampo illumina lo sguardo un po’ offuscato della donna, ora posso notare i suoi occhi azzurri, talmente chiari da sembrare grigi.
- Tu sei Jaedite.
Soddalzo appena, come fa questa a sapere il mio nome?
- Mi scusi ma come…
- Capisco subito quando una ragazza non è qui per il suo spirito. Rei è venuta qui perché aveva bisogno di un posto dove riflettere e pensare senza intromissioni esterne, l’ho lasciata fare perché sembrava che ne avesse un estremo bisogno. Un giorno ha sussurrato una parola, la prima dopo quattro giorno di assoluto silenzio. Io tuo nome giovanotto. L’unica parola che ha sussurrato è stato il tuo nome.
Un fremito mi colpisce. Forse tutto non è perduto come temevo.
- Ti lascio entrare, - il sorriso sul suo volto spiana appena le rughe che ha sul viso – ma se Rei non ti vuole parlare dovrai tornare a casa e aspettare che sia lei a venire da te.
Annuisco accettando le sue condizioni. La seguo per gli immensi giardini giapponesi del tempio, vedo laghetti con carpe grosse come gatti, uccelliere per uccelli di ogni genere, fontane e giardini zen, perfino una piccola sporgenza rocciosa dove alcune sacerdotesse fanno meditazione.
Rei è seduta su una panchina di pietra bianca, mi da le spalle ma sembrerebbe china su un libro. La donna si volta e mi fa un altro lieve sorriso, se ne va senza dirmi più nulla, lasciando che sia io a parlare per primo.
L’osservo ancora per qualche minuto, non so cosa dirle, ho il terrore che possa cacciarmi via con il suo fastidioso silenzio. La mia gamba si muove senza il mio comando, faccio un passo verso di lei… un altro… un altro ancora… ormai sono vicinissimo.
- Rei. – sussurro appena il suo nome, nel silenzio che regna in questo posto sembra quasi che io abbia urlato.
Il libro che sta leggendo le cade di mano, scatta in piedi e si volta. Il suo sguardo è incredulo, stupito, forse anche vagamente felice, apre la bocca per parlare, forse per dire il mio nome ma si ricorda del suo voto e resta zitta tornado a chiudere la bocca.
Sospiro… per un attimo ci avevo creduto.
- Parlo io per primo, - le dico stupendo perfino me delle mie parole – sono stato uno sciocco a dirtelo in quel modo, urlando, facendolo sembrare un dolore, ma ti amo da un anno Rei. Un anno che io ti sono vicino più di un amico ma meno di un fidanzato… io non ce la facevo più e sono esploso. Sai che non sono bravo in queste cose, che sono impacciato, timido, riservato, non volevo feriti né, tanto meno, perdere la tua amicizia che è ciò che ho di più caro al mondo. Ma non posso più vederti uscire con altri ragazzi e fingere che tutto vada bene. Io ti amo… ma ho deciso che rispetterò qualsiasi cosa tu decisa. Se non vuoi più vedermi sparirò, se vuoi che torniamo solo amici farò questo sforzo, tutto per di vederti felice. Dovevo vederti, dovevo parlati, dovevo farti capire. – continua a non parlare abbasso lo sguardo sull’erba chiudo gli occhi in attesa - Rei.. ti prego di qualcosa…
Non dice nulla, è rimasta qui a fissarmi con quegli occhi bellissimi lucidi da possibili lacrime che sono certo non saranno mai per me.
Sospiro, forse ha bisogno di più tempo.
- Come vuoi. – le dico voltandomi pronto per tornare in città con la coda tra le gambe – Ci vediamo quando torni se vorrai.
- Idiota…
Mi volto lentamente... non so se esser felice che mi abbia rivolto la parola o arrabbiato perché quell’unica parola é un insulto.
E' dietro di me, mi fissa con il suo sguardo deciso e autoritario che terrorizza molti ma che io so esser solo una corazza che la protegge dal mondo esterno. Rei sa esser tanto forte quanto sono grandi le sue debolezze.
- Ti sei tenuto dentro tutto questo per un anno? - mi domanda indignata come se le avessi detto un'enorme bugia.
- Rei ma cosa...
- Ora tocca a me parlare. - mi interrompe bruscamente.
Deglutisco rumorosamente... Rei non aveva mai usato quel tono di voce con me. Torna a sedersi sulla panchina e indica il posto accanto, mi avvicino piano, temendo una qualche punizione dalle sacerdotesse più anziane, e mi siedo accanto a lei. Sento il suo profumo, il suo dolce profumo reso ancora più delicato dal gelo invernale.
- Quando mi hai detto che mi amavi sono entrata in panico. - dichiara arrossendo appena osservando i piedi che spuntano sotto la veste - Non capivo come era potuto succedere, prima di dici che sono grasse e poi che mi ami. Ero confusa... e molto spaventata. Sono tornata a casa di corsa, ho pianto tanto perché credevo che la nostra amicizia fosse compromessa per sempre, non avremmo più parlato come un tempo, non avremmo più discusso come fratello e sorella. Tutto era perduto, eri il mio punto di riferimento Jaedite, la mia vita era anche basata sul fatto che tu ci saresti sempre stato, in qualsiasi occasione. Quando ho capito che non sarebbe accaduto mi sono sentita persa... ed incredibilmente sola. Poi ho capito una cosa importante.
Non potevo immaginare quello che Rei avevaha provato, mi sento un verme per averle fatto tanto male, ma voglio che il discorso arrivi fino alla fine.
- Cos'hai capito Rei?
- Che alla fine ti ho sempre amato pure io... solo che non lo capivo, credevo che fosse un'amicizia profonda invece avevo superato quel confine da molto tempo.
Il cuore mi martella nel petto, la gola é secca, la testa mi gira: Rei mi ama... Rei mi ha detto che mi ama.
- Perché sei venuta qui?- le chiedo quasi con tono disperato - Se anche tu mi ami, perché sei scappata in questo posto.
Sorride lievemente alzando il capo e fissandomi, ora non ha più lo sguardo determinato, le sue difese sono crollate, vedo l'amore che prova per me e puro terrore.
- Ero terrorizzata. - spiega dando conferma alle mie paure.
- E di cosa?
- E' stupido.. ma quando ho capito che ti amavo invece di scemare la paura é triplicata. Ho avuto paura della tua reazione dopo che sono scappata in quel modo e poi avevo paura di avere un ragazzo.
- Ma tu dici sempre che ti senti sola, che hai bisogno d'affetto e che non vuoi più uscire solo con ragazze!
- A parole tutto é più semplice, - confessa lei timidamente - dici che vuoi una cosa ma quando questa ti si presenta davanti agli occhi non osi allungare la mano perché hai paura che una cosa bella diventi brutta. Tu lo sai quanto ho sofferto per le storie d'amore Jaedite e non sopportavo l'idea che tra di noi potesse succedere la stessa cosa. In più... mi ero così abituata ad esser sola che non mi sentivo pronta a dividere il mio spazio con qualcun altro. - sospirò frustata mettendosi le mani tra i capelli - E' complicato... non so spiegarlo meglio di così, sembra una cosa stupida ma posso assicurati che non lo é affatto!
Sorrido la mia Rei é tornata alla carica, la timidezza é stata surclassata dalla sua forza.
- Cosa c'é di divertente? - mi chiede indispettita - Io ti confesso i miei timori e tu ridi?
- Hai ragione, - le dico accarezzandole una guancia fredda per l'aria invernale - non c'é nulla di divertente.
Sorride e poggia le sue mani sul mio viso, sono gelate ma mai nessun tocco mi é sembrato più dolce.
- Ti amo Rei.
Allarga il sorriso e si avvicina di più.
- Baciami testone.

FINE

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Capitolo 5
*** Ritratto d'amore (prima parte) ***


L'ispirazione é arrivata ieri sera come un fulmine a ciel sereno, questa storia ha un tono più amaro rispetto alle altre. Sono felice che le prime due vi siano piaciute molto, ci ho messo veramente tutta me stessa, in quella di Rei ci sono perfino le mie paure ^_^". Ora vi lascio alla lettura della prima parte della terza mini storia... Aspetto numerosi commenti!

Ritratto d’amore (prima parte)

La stazione é fredda e vuota, aspetto il mio amico e la sua ragazza da dieci minuti ma non arrivano.

* Din Don *
Attenzione il treno in arrivo dal monte Fusji é in ritardo di 15 minuti.


Perfetto... un altro quarto d'ora al gelo. Predo il pacchetto di sigarette che ho nel taschino interno del giubbotto e me ne metto una tra le labbra. Con l’angolo della bocca scosto con uno sbuffo un riccio castano che mi é caduto davanti al viso e prendo l'accendino. Maledetti capelli... un giorno mi deciderò a tagliarli a zero. Osservo la punta arancione della sigaretta che si accende ed aspiro la prima boccata di fumo. Che porcheria... dovrei decidermi anche a smettere di fumare una buona volta. Rimetto a posto l'accendino e mi appoggio mollemente allo sportello della mia macchina nera, alcune ragazze mi passano accanto, mi guardano per poi ridacchiare tra loro. Non é una novità... so di fare questo effetto.
Abbasso appena gli occhiali da sole con le lenti scure che porto praticamente sempre, lascio che vedano i miei occhi verdi, lancio un lieve sorriso e li risistemo con un dito tornando a fissare la stazione vuota e triste.
So perfettamente di risultare presuntuoso e molto arrogante, uno dei miei peggiori difetti: sapere di esser bello e sfruttare questa mia qualità al massimo, spesso facendolo diventare un lato negativo della mia persona. Una volta non ero certo così, quando andavo al liceo ero un ragazzo come gli altri, con una vita tranquilla, amici fidati, la ragazza con cui facevo coppia fissa da oltre un anno, ero un ragazzo come gli altri, amalgamato alla perfezione con il resto dei liceali presenti. Ma poi si cresce, si va all'università, si vede un mondo differente, ci si crede più grandi. All'improvviso ti senti superiore, i tuoi amici sono troppo infantili anche se hanno solo un anno in meno di te, la tua ragazza é sono una bambina al confronto con le belle donne universitarie, ti rendi conto che non sei più uno dei tanti ma sei tu che, a volte, vieni fissato dalle tue compagne di corso.
Tutto cambia, la tua vita viene drasticamente distrutta e ne inizi un'altra sotto un falso te stesso. All'inizio inebriato da quel mondo adulto che conoscevi appena e poi disgustato per quell'uomo superficiale che sei diventato in poco tempo ma, ormai, così radicalmente cambiato che non puoi più tornare indietro.
Oooh non do colpa alla società se mi sono ridotto in questo stato, la colpa é stata mia che non ho avuto abbastanza palle per restare com'ero, mi sono lasciato trascinare, mi sono fatto prendere, riassettare come il mondo mi vuole e sono rimasto lì fermo, con il mio nuovo io. Bello, perfetto, splendente ma falso e del tutto lontano dalla realtà. Io non ho fatto nulla per fermare questi ingranaggi, mi sono lasciato schiacciare ed ora sopporto le conseguenze.
Finalmente il treno arriva in stazione, si ferma con un fischio acuto, scendono poche persone, per di più uomini d'affari di ritorno ad una qualche riunione, vedo subito il mio amico e la sua ragazza, sono i più giovani; impossibile non riconoscerli.
La ragazza, che poi é una delle migliori amiche della mia ex, si blocca non appena mi vede e mi lancia una delle sue occhiatacce di cui va tanto fiera. So benissimo di non esserle simpatico. Il mio amico si ferma, guarda lei, poi me, alza gli occhi al cielo e iniziano a parlottare piano. Non c'è neppure bisogno di chiedersi il perché. Lei gesticola, sembra furiosa, lui tenta di convincerla a salire in macchina con me... inutile so già che non la convincerà. Quando finalmente decido di andarmene si avvicinano, lei continua a fissarmi, le labbra strette tra così forte da diventare bianche. Vuole insultarmi, vuole prendermi a pugni e si trattiene per non ferire il suo fidanzato.
- Scusaci per il ritardo Nephrite.
- Avevano dato l'annuncio Jaedite, non preoccuparti. - mi tolgo gli occhiali e guardo con finto divertimento la ragazza - Ciao Rei.
Mormora qualcosa di incomprensibile ma sono certo che qualsiasi fosse la frase finiva con la parola bastardo.
- Grazie per esserci venuto a prendere anche se con così poco preavviso.
- Non preoccuparti, - lo rassicuro aprendo lo sportello della macchina - non ero impegnato.
Ci avviamo verso il tempio scintoista dove Rei abita col nonno, lo ricordo molto bene con quel suo grande piazzale, gli alberi che proteggono la sua sacralità, la quiete, il tempio immenso, silenzioso.
Una volta ci andavo spesso.
Ora é solo un fugace quanto indistinto ricordo.
Ogni tanto guardo velocemente Rei dallo specchietto retrovisore, continua a fissarmi con quello sguardo di ghiaccio, non mi meraviglierei se stesse lanciando piccole maledizioni contro la mia persona. Me le meriterei proprio.
Per cortesia, e per rompere questo silenzio insopportabile, chiedo al mio amico com’é andato il viaggio.
Jaedite é felice, lo capisco dal modo in cui si muove, dal sorriso, dal suo entusiasmo che mette in qualsiasi cosa dica.
Un po’ lo invidio... un tempo credo di esser stato così anch’io.
Un tempo che mi sembra lontano anni luce, un’altra vita... eppure sono passati solo sei mesi. Sei mesi da quando sono cambiato in questo modo, da quando ho salutato definitivamente il Nephrite del liceo. Sei mesi in cui sono diventato lo stronzo superficiale arrogante che sono ora.
In parole povere: un povero decelebrato.
Ci fermiamo davanti alla lunga scalinata che porta al tempio, Jaedite e Rei scendono dalla macchina, lei neppure mi saluta, sale direttamente le scale senza dire una sola parola. Il mio amico si affaccia al finestrino, ha un’espressione mortificata in volto.
- Mi dispiace per il suo comportamento.
- Solidarietà femminile. – gli rispondo con una buona dose di sarcasmo, un sarcasmo che usavo poco fino a qualche tempo fa, ora mi é indispensabile come l’aria se non voglio morire sotto questa maschera – Non mi aspettavo nulla di più.
- Mi dispiace lo stesso.
- E’ colpa mia.
- Se tu provassi...
- E’ inutile che mi ripeti le stesse cose Jaedite. – gli dico smorzando la sua paternale sul nascere – E’ tardi. Lo sai anche tu.
- Ma...
- Ve bene così. Ora scusami ma ho un sacco di cose da fare. – mento in maniera così convincente che mi faccio quasi schifo.
Non mi risponde, sa che é inutile tornare su certi argomenti con me, segue la sua ragazza su per le scale e io accelero tornando nel mio appartamento vicino all'università.
I miei genitori sono partiti poco prima che io entrassi all'università, due geologi alla ricerca di tesori e società estinte perdute, volevano che li seguissi ma io volevo restare qui, come se in questa città ci fosse ancora qualcosa, o qualcuno, che mi lega. Apro la porta di casa, poggio distrattamente le chiavi sulla mensola al muro e mi tolgo la giacca. L'appartamento é nella penombra, non mi serve la luce sono uno dei pochi che riesce a vedere anche di notte, appendo la giacca sull'appendiabiti e vado verso la cucina, nell'angolo del salotto, quello vicino alla grande porta finestra che da sul piccolo balcone c'é il cavalletto che uso per dipingere e una tela bianca. La stessa tela bianca che é ferma su quel cavalletto da sei mesi... mi piange il cuore ogni volta che la vedo e poi ribollisco di rabbia, non capisco perché in facoltà riesco a dipingere di tutto e qui no. Nella mia casa, il posto dove un tempo regnava la mia ispirazione.
Forse é proprio questo il problema: la mia ispirazione non c'é più. L'ho buttata via come se fosse una cosa vecchia, inutile.
La verità è che sono un patetico fallito.

***

Intingo le setole del pennello nel colore verde smeraldo, il suo colore preferito, lo stesso intenso verde dei suoi grandi occhi spalancati sul mondo.
Dicono che gli occhi siano lo specchio dell'anima, beh i suoi trasmettevano solo purezza, gentilezza e dolcezza. Qualità che ho sempre amato ma che ho rinnegato e non mi ricordo più neppure il perché.
Sento che qualcuno mi fissa alle spalle, sono gli altri miei compagni di corso, probabilmente fissano il quadro e non me.
Scommetto che loro lo trovano bello.
- Nephrite é bellissimo. - cinguetta un'oca dietro le mie spalle.
Mi fermo a contemplare il mio dipinto, solitamente quando dipingo ho un'immagine fissa nella testa, un'immagine che non se ne va fino a quando non l'avrò impressa sulla tela. Ho dipinto un bosco, fitto ma non cupo, é irradiato dai raggi del sole, vedo un ruscello in fondo a quelle che sembrano betulle, muschio morbido che ricopre il terreno, scoiattoli sui rami e una donna. In fondo al mio bosco c'é una figura che indossa una lunga veste sui torni caldi del marrone, lo stesso marrone dei tronchi d'albero e un mantello color del muschio, non sorride, ha gli occhi tristi, sembra sofferente, come se qualcuno le avesse spezzato il cuore.
Gli occhi versi come le foglie degli alberi, i capelli legati in un’alta coda, quelle labbra morbide...
Conosco bene quella donna.
- Nephrite...- continua quella fastidiosa ragazza - é un elfo del bosco?
- No,- dico bruscamente alzandomi in piedi ed immergendo il pennello nel vasetto con l'acqua - é la Regina del bosco... e questo quadro é orribile.
Mi tolgo il grembiule bianco che uso in aula per non sporcarmi, predo la mia giacca e me ne vado.
Dipingere era sempre stato il mio sogno, fin da piccolo, fin da quando ho memoria.
Volevo far vedere al mondo quanto fossi bravo con il pennello in mano, volevo dimostrare che anch'io potevo fare cose meravigliose come i grandi pittori del nostro mondo.
A volte volevo solo lasciare il segno in questa società.
Poi la mia passione più grande era diventata la mia migliore amica, la mia arma per far sognare la ragazza che mi faceva battere il cuore.
Esco dall’università, il freddo mi fa rabbrividire ma non voglio prendere l’autobus, è pieno di gente, c’é cattivo odore e non riesco neppure a muovermi.
Alzo il bavero della giacca per coprirmi meglio il collo e mi avvio verso il centro, magari vedere un po’ di persone mi farà bene.
Si iniziano a vedere i primi accenni del Natale, le vetrine iniziano a fare pubblicità, le strane si illuminano, la gente sembra quasi più felice.
Questo é il mio primo Natale senza di lei.
Non avrei mai immaginato che potesse mancarmi in questo modo. Anzi avrei dovuto immaginarlo, ma ero troppo preso dal mio egoismo per capirlo.
Affondo ancora di più le mani nelle tasche della giacca, fa un freddo cane ma fingo che non mi interessi. Lentamente, un piede davanti all'altro fingendo che quello che mi sta attorno desti la mia attenzione, osservo rapidamente le vetrine, lancio brevi occhiate alle persone che mi sorpassano o che mi camminano accanto, le coppiette felici che si tengono per mano o a braccetto, le coppie anziane che passeggiano guardandosi teneramente anche dopo anni di matrimonio, bambini con le mamme che cercando il regalo perfetto per il padre e io che passeggio solo, di malo umore, maledicendo tutto, tutti e, soprattutto, me stesso.
Mi maledico per averla persa, la donna più bella e favolosa che avessi mai visto in tutta la mia vita, perfetta, un raro fiore di bosco che sboccia nel fitto della foresta attraverso le avversità ma sono per esser più profumato e bello, di quella bellezza che quando la vedi non puoi più farne a meno.
Improvvisamente mi arriva alle orecchie una risata, mi blocco, in mezzo alla via pedonale del centro. Conosco questa risata, la conosco molto bene... una volta rideva così solo... solo con me.
I miei passi iniziano a diventare più veloci, più veloci... sempre di più... alla fine sto correndo... in direzione di quella risata, quella risata cristallina che non sentivo più da troppi lunghi e lugubri mesi.
Svolto l’angolo e mi blocco con il fiatone.
E la vedo.
Bellissima, indossa un lungo cappotto di lana nera, i bottoni sono aperti mostrando i suoi pantaloni blu scuro e il maglione a V che mette in mostra le sue curve generose. Sorride… sembra felice… forse perché accanto a lei c’è un altro. Un ragazzo più grande forse anche di me, alto e biondo, si guardano, si sorridono, si tengono per mano.
Stringo le mani a pugno, talmente forte che mi si intorpidiscono, digrigno in denti mentre sento il mare imperioso della gelosia che mi travolge l’anima. Improvvisamente lei si ferma, come se avesse sentito il mio sguardo su di lei. Si sblocca… le sue labbra si muovono, è troppo distante e non riesco a sentirla ma so che mi ha chiamato, che ha detto il mio nome. Anche quel ragazzo si ferma, quel ragazzo odioso che sta tenendo per mano la mia donna, o quella che un tempo era la mia donna.
Una liceale.. ha solo diciassette anni eppure sembra una donna.
Sono stato proprio un cretino a non vederlo prima.
Mi avvicino di un passo, forse non dovrei farlo, non ne ho il diritto… ma se non lo faccio lo rimpiangerò per il resto della mia vita. Mi avvicino ancora, loro non si sono mossi, continuano a fissarmi, ancora un passo, un altro e sono proprio davanti a loro.
- Ciao Makoto. – dico con un tono di voce deciso, più deciso di quello che sono in realtà.
- Cosa ci fai qui?- mi domanda bruscamente, mi guarda come se fossi il più brutto degli insetti e so di esserlo realmente ai suoi occhi.
- Possiamo parlare un momento?
Scuote un attimo la testa, si mordicchia un labbro, lo fa sempre quando è indecisa… mi mancavano questi piccoli dettagli.
- Motoki, - dice voltandosi verso il damerino biondo che vorrei solo disintegrare a suon di pugni – poi aspettarmi al bar? Ti raggiungo subito.
Motoki… che nome ridicolo.
- Sei sicura?- le domanda osservandomi con aria di sfida.
- Sì, vai pure.
Le da un bacio sulla guancia, devo fare un enorme sforzo per non prenderlo a calci nel sedere. Si allontana non senza avermi lanciato un’altra occhiata maligna. Lo seguo con lo sguardo fino a quando non entra nel locale e poi mi volto per vedere Makoto, ha richiuso il cappotto come se si sentisse improvvisamente nuda.
- Allora, - fa sbuffando – cosa ci fai qui?
- Siamo in un paese libero.
- Non hai lezione a quest’ora?
- E tu come fai a sapere quando ho lezione?
Arrossisce un attimo e scosta un ciuffo castano da davanti il volto.
Siamo sempre stati così simili.
- Chi è il tuo amico?- le chiedo facendo un cenno col capo al locale.
- Non sono affari tuoi Nephrite.
- Era solo legittima curiosità.
Mi lancia occhiata decisa.
- Il mio fidanzato. – dichiara con orgoglio.
Ecco ora il mio stomaco ha appena subito un doppio pugno, dovevo immaginarlo, dovevo prevederlo… mi sono scavato la fossa con le mie mani.
- Non mi avevi detto una volta che i biondi non ti piacevano?
- Motoki è gentile, dolce, premuroso e, soprattutto, non mi ritiene una bambina.
Ecco il terzo pugno.
- Makoto io…
- No! – mi blocca quasi urlando in mezzo alla strada – Tu mi hai lasciato, tu hai preferito vivere la tua nuova stupida vita senza di me e ora io vivo la mia nuova vita…- fa una breve pausa e i suoi occhi mandano scintille - …senza di te. – si stringe ancora un po’ nel cappotto – Addio Nephrite.
Mi sorpassa e cammina veloce verso il locale.
Il quarto pugno mi mette KO, affondo di nuovo le mani nelle tasche e me ne torno a casa.
Mi sento uno schifo... proprio come il mio quadro.

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Capitolo 6
*** Ritratto d'amore (seconda parte) ***


Ritratto d’amore (seconda parte)



Ho il morale a terra, entro in casa strisciando i piedi come i bambini pigri, mi tolgo la giacca e la lascio cadere sul pavimento.
Sapevo che prima o poi l’avrei rivista e sapevo che non sarebbe rimasta a piangere per me per sempre... sapevo tutto questo eppure non ero pronto a quello scontro.
La sua rabbia, quel gelo nei suoi occhi e poi Motoki... già quel ragazzo biondo con cui si é fidanzata.
Ed ecco la familiare, quanto agghiacciante, gelosia che mi rode lo stomaco. Ma non dovrei esser geloso, l’ho lasciata io, io le ho detto che avevo bisogno di una donna più matura, io le ho detto che volevo ricominciare da capo senza di lei.
Non la biasimo se mi odia con tutte le sue forze.
Mi siedo pesantemente sul divano in salotto, sono stanco di tutto questo schifo che mi circonda, stanco della persona orribile che sono diventato, stanco di queste persone che mi acclamano come un giovane talento quando io mi sento solo un mendicante che vive ai margini delle strade facendo qualche ritratto in cambio di pochi yen.
Sono molto stanco.
I miei occhi si chiudono per qualche istante sul mondo, qui, nel mio sogno, posso tornare indietro nel tempo, quando io e Makoto stavamo assieme, quando eravamo felici, quando lei mi osservava mentre dipingevo facendo un gran fracasso. Solitamente per gli artisti il rumore non é altro che fonte di distrazione, per me i rumori che faceva Makoto quando stava in casa erano una dolce musica. Mi aiutavano a concentrarmi, forse erano proprio loro la mia fonte di ispirazione... una fonte che non avrò mai più. Sento che sto per assopirmi quando il telefono suona facendomi fare un salto. Mi alzo riluttante, non voglio sentire nessuno, voglio sono tornare a dormire e sognare la mia Makoto.
- Pronto?
- Nephrite Nakazumi?
- Sì, sono io.
- Sono Kitano Horoschi.
- Il direttore della galleria d'arte?
- Esatto... ho visto qualche suo quadro e vorrei esporli nella mostra che si terrà il prossimo week end. E' incentrata sui pittori emergenti, i giovani talenti del giorno d'oggi.
La mia presa sulla cornetta aumenta.
- Chi le ha dato i miei lavori?
- Il rettore della facoltà. - spiega l'altro - Li ha visti tramite il suo professore ed entrambi dicono che ha un enorme talento e dopo aver visto di persona i suoi lavori non posso che dargli ragione.
Sento il cuore balzarmi nel petto. Mi mordo un labbro... é un piccolo passo verso il mio grande sogno: lavorare come pittore acclamato.
Allora perché non sono felice?
- Sig. Nakazumi é ancora in linea?
- Sì. - rispondo fissando il mio riflesso allo specchio posto sopra il telefono - Accetto molto volentieri la sua proposta. E' un'opportunità unica.
- Perfetto. Allora vorrei vederla domani mattina nel mio studio per discutere di alcuni particolari e per decidere quali tele mettere in mostra.
- Benissimo. A domani allora.
Riaggancio con un sospiro, dovrei esultare, dovrei gridare dalla gioia. Invece resto qui davanti al telefono a fissare la mia immagine.
Un’immagine che mi fa schifo.
Se Makoto fosse qui avrebbe saltato per tutta la casa, mi avrebbe abbracciato, baciato e preparato un gustoso pranzetto per festeggiare.
Mi manca tutto questo.
Mi manca lei.
Afferro la cornetta e compongo il numero di una persona che so potrà aiutarmi in questo caso.
- Pronto?
- Jaedite...- dico con un filo di voce - ho bisogno di un favore.

***
La mostra é un gran successo, negli ultimi due giorni sono entrate centinaia di persone. Curiosi, critici d'arte, appassionati e molti collezionisti.
Ho avuto molte proposte anche se le tele appese non sono c'erto le migliori. A dire il vero io le vedo sotto quest'ottica, per gli altri sono favolosi. Ma se vedessero i quadri che dipingevo quando c'era la mia Makoto si renderebbero conto dell'enorme differenza.
Mi aggiro tra le persone presenti nelle varie sale, ho cercato di non farmi notare, non ho voglia di discutere con l'ennesimo riccone che stila il valore delle mie opere quando sarò morto o un vecchio che finge di conoscere la pittura quando é palese che non sa riconoscere un Picasso che un Monet.
Osservo i volti delle persone quando fissano le tele, sono meravigliati, le pupille si allargano, le labbra si incurvano in un lieve sorriso compiaciuto, il viso si illumina. E' questo che mi spinge a continuare, è questo quello che voglio trasmettere alle persone: la mia passione, la mia gioia. Ma i quadri che sono appesi ora rispecchiano solo il mio dolore la mia solitudine.
Peccato che nessuno lo capisca.
Le porte automatiche si aprono ed ecco che entra l'ennesima coppietta.
Il mio stomaco fa una capriola: sono loro. Makoto e quel Motoki.
Si tengono a braccetto, l'espressione sul volto del ragazzo é di chiaro disinteresse, non capisce quello che vede, non vuole neppure capirlo. Invece Makoto guarda curiosa, attenta, annuisce o scuote il capo se il dipinto non le piace.
Si fermano davanti al primo dei miei quadri... é un panorama al tramonto.
Mi avvicino di qualche metro, quel tanto che serve per sentire i loro discorsi. Non voglio disturbarli, non voglio neppure che lei mi veda, vorrei solo che fosse un po' orgogliosa di me.
- Questo quadro é molto bello. - dice Mokoti usando il tipico tono che usano le persone che si fingono di saperne sull'argomento quando invece non ne sanno un fico secco - Tutti questi colori caldi.... passione, amore, sentimenti. Il pittore deve esser proprio innamorato.
Makoto socchiude appena le palpebre, la vedo deglutire silenziosamente mentre una mano stringe la borsetta: ha riconosciuto il mio lavoro.
- Nephrite...- mormora mentre il suo viso si illumina - questo quadro l'ha fatto lui.
Motoki si avvicina un po’ di più al dipinto.
- Non vedo la firma. Come fai a dire che é suo?
- Riconosco il suo lavoro e non firma nell'angolo. - afferma sicura indicando il centro del dipinto - Lui firma qui... un piccolo trifoglio.
- E' vero...- fa quell'odioso uomo - perché il trifoglio? Non é il quadrifoglio che porta fortuna?
- Lui odia i luoghi comuni. - spiega con una nota divertita nella sua dolce voce - Mi ricordo che veniva a scuola con i calzini viola di Venerdì 17 e che passava sotto le scale solo per dimostrare che non accadeva nulla. Una volta aveva perfino un gatto nero per casa... ma poi ha dovuto darlo via perché non poteva prendersi cura di lui. E' un anticonformista... o, almeno, lo era.
Sospiro dandole ragione, un tempo non mi interessava cosa pensava la gente di me, ero solo Nephrite: il ragazzo che amava dipingere. Ora sono solo Nephrite: il pittore fasullo.
- Assurdo. - borbotta con un tono quasi indignato Motoki - I pittori sono sempre strani...
- Io lo trovavo divertente. - il suo sguardo si perde nel dipinto, i suoi occhi diventano improvvisamente tristi - Nephrite non usa mai i colori caldi... lui li trova tristi, cupi. Questo quadro non esprime passione o amore... ma solo sofferenza e dolore.
Mi allontano, vederli assieme fa troppo male, posso quasi sentire il mio cuore sanguinare.
Vado verso l'ultimo dipinto che ho fatto, quello della dama in mezzo al bosco. Come ho detto a quella scocciatrice all'università é la Regina del bosco che ho dipinto, la mia Regina: é così ho intitolato il quadro.
Di certo non uno dei migliori.
Ma, secondo il direttore della galleria, ogni artista non trova belli i propri quadri.
Guardo attentamente i lineamenti della donna, forse avrei preferito vedere Makoto triste, sofferente, mi avrebbe dato un po' di speranza.
- Quella donna é molto triste. - fa una voce alle mie spalle.
- Già. - rispondo senza voltarmi.
- Perché?
- Perché qualcuno le ha spezzato il cuore.
- Allora posso capire il suo dolore.
Accetto l'ennesima pugnalata, so di meritarla, e non ribatto. Mi volto per fissarla negli occhi, quegli occhi verdi che mi ricordano il bosco del mio quadro.
- Mi chiamavi Regina del bosco quando mi dedicavo alle piante. - sussurra lei, ha lo sguardo perso oltre la mia spalla, sta fissando la tela.
- Pensavo a te quando l'ho dipinto.
Sorride arrossendo come un'adolescente spostando lo sguardo su di me.
E' così dannatamente desiderabile che provo l'impulso irrefrenabile di baciarla. Ma riesco a trattenermi se rammendo a me stesso che é qui con quel suo insulso fidanzato.
- Sono contento che tu sia venuta.
- Jaedite mi ha detto che eri stato scelto per questa mostra... é il tuo sogno che si avvera. Mi ero ripromessa che ci sarei stata anch'io... nel bene o nel male.
Devo ricordarmi di fare un grande regalo a Jaedite.
- Dov'é il tuo fidanzato? - con uno sforzo disumano l'ultima parola mi esce con un tono quasi normale senza trapelare il disprezzo che provo per quel ragazzo.
Makoto si mordicchia un labbro e ancora una volta lotto contro me stesso per non afferrarla e baciarla con trasporto.
- Sta pendendo da bere.
- Allora é meglio se mi allontano, - le dico anche se vorrei solo restare qui - non ho voglia di litigare in questo posto.
Con uno sforzo incredibile riesco a passarle accanto senza neppure sfiorarla, mi allontano sempre più veloce o rischierei d'impazzire.
- Devo saperlo Nephrite...- mi urla alle spalle e, dall'urgenza che sento nel suo tono di voce, capisco che è importante - te ne sei mai pentito?
Mi blocco colto alla sprovvista da questa domanda, credo che si stia tormentando da quando l'ho lasciata. Volto solo il capo, so di avere un'espressione triste sul volto.
- Me ne pento ogni giorno Makoto.
Torno sui miei passi, non ho detto quella cosa per farmi perdonare, o per farle provare pietà, ho solo detto la verità. Mi sono pentito di quello che avevo fatto già la mattina seguente ma, ormai, era troppo tardi.
Esco dalla galleria d'arte il mio dovere l'ho già fatto e me ne torno a casa, mi sono tolto un peso, volevo che Makoto capisse quando mi dispiace per il mio comportamento, volevo che sapesse che non l’ho dimenticata, che l’amo ancora e che mi sono pentito amaramente di quello che ho fatto. Ora l’ho fatto e mi sento meglio, mi sento quasi pronto ad affrontare il mondo con la mia vera personalità. Un lieve sorriso mi incurva le labbra. Il primo dopo varie settimane.

***

Ho ricevuto molte proposte, molti inviti a feste rinomate, gente che mi commissiona dipinti per abbellire i loro ricchi salotti. Tutte offerte generose, tutte occasioni che un artista come me non può certo farsi sfuggire. Ma la mia tela in casa continua a restare vuota, i miei dipinti sono solo macchie di colore che esprimono la mia angoscia, la mia solitudine, il mio dolore e nessuno riesce a capirlo.
Finisco di sistemare qualche tela che il direttore della galleria vuole portare vicino ad Osaka e mi siedo pesantemente sul divano. Sono distrutto, ora mi faccio una doccia calda e vado a letto. Quando decido di alzarmi il campanello della porta suona. Sbuffo passandomi una mano tra i folti ricci che ricoprono la mia testa, qualcuno mi finisce davanti agli occhi. Apro la porta spazientito e il respiro mi si ferma in gola.
- Ciao. – dice lei timidamente guardando i piedi che stanno tormentato il pavimento del pianerottolo – Posso entrare?
Annuisco senza dire parola, sono troppo sorpreso di vederla qui.
Entra piano, imbarazzata, come se non conoscesse questa casa a memoria, si toglie le scarpe dal basso tacco nere e le sistema in un angolo accanto alle mie.
Viste così sembrano le scarpe di una coppia sposata.
- E’ successo qualcosa?- le chiedo confuso.
- No. – risponde guardandosi attorno – Che confusione c’è qua dentro.
- Sì… beh stavo sistemando alcune tele che andranno in una galleria d’arte a Osaka, per una mostra.
- Andrai anche tu?
- No… ho degli esami e non se non li passo ora dovrò aspettare troppo per il prossimo appello. Voglio darli subito mi sento preparato.
Annuisce come se non si aspettasse altro da me.
- Makoto…- dico improvvisamente timido di fronte a lei – perché sei qui?
- Volevo parlarti.
- Di cosa?
- Di noi.
Deglutisco anche se ho la gola arida come il deserto. Non credevo che potesse esserci ancora un noi.
- E… e Motoki?
- Lui non è il mio ragazzo. – confessa con un sorriso sforzato – Quando siamo venuti alla galleria era la nostra seconda uscita. Sono uscita con lui perché ero stufa di piangere nella mia stanza come una stupida… ti ho detto che era il mio fidanzato solo per non farmi vedere debole e per ferirti. O almeno speravo che ti ferisse un po’.
Sento il mio cuore che si alleggerisce, è il sollievo che ha preso il posto del dolore che albergava nel mio cuore. Makoto non ha un altro fidanzato, lei ama ancora me ne sono certo e, magari, possiamo ricominciare.
- Ascolta Nephrite, - dice seriamente voltandosi a guardarmi – ci ho pensato tutta la notte… quello che mi hai detto alla galleria è vero? Ti sei pentito di avermi lasciato?
- Sì, - confermo avvicinandosi a lei – ho capito subito che avevo fatto un enorme sbaglio ma il dolore che ti avevo causato era così forte che ero certo che non mi avresti mai perdonato. Così sono andato avanti ma non è stato facile. Ho sofferto molto anch’io Makoto.
- Quindi tu… tu mi ami ancora?
- Con tutta l’anima. – mi avvicino ancora di un passo, vorrei tanto stringerla forte tra le mie braccia ma forse non accetterebbe il mio gesto – E tu?- le chiedo con voce tremante – Tu mi ami ancora Makoto?
Resta in silenzio per lunghissimi attimi, l’unico rumore che sento è il sordo battito accelerato del mio cuore.
- Sì, Nephrite ti amo ancora ma non è così facile. Non è l’amore che manca ma la fiducia e questa non si può riacquistare da un giorno all’altro.
- Lo so Makoto… ma sono pronto a fare qualsiasi cosa per riconquistare la tua fiducia. Basta solo che tu mi dia ancora una speranza.
Mi fissa quasi incredula, non credo che mi abbia mai visto così determinato in qualcosa, ma voglio farle capire che non farò lo stesso essere due volte. L’ho persa già una volta e non accadrà più. Makoto è la mia anima gemella e non posso farla scappare.
- Forse possiamo riprovare…- dice con un sorriso dolcissimo avvicinandosi a me – piano piano… un passo alla volta… se è destino che dobbiamo stare insieme tutto si aggiusterà.
Il suo sorriso è più luminoso ora, sorride a me, quello splendido sorriso è diretto a me. Non credevo che l’avrei rivisto.
- Sono d’accordo. – le rispondo e posso capire dalla sua espressione che ho un sorriso simile al suo.
Ora siamo vicinissimi, le nostre a mani si sfiorano. Siamo come due ragazzi che si toccano la prima volta. Poggio la mia mano sulla sua guancia e un dolce tepore riscalda il mio cuore che era rimasto freddo fino ad adesso.
- Sono stato uno stupido. – mormoro osservando ogni linea del suo viso perfetto.
Poggia due dita sulle mie labbra e si stringe a me.
- Ti prego basta… non parliamone più.
- Come vuoi tu. – le dico stringendola al mio petto come facevo un tempo.
Le sollevo delicatamente il viso, i suoi occhi sono lucidi, una lacrima solitaria scende sulle sue guance, l’asciugo con il pollice e mi chino per baciarla. Le nostre labbra si incontrano lentamente, un bacio delicato anche se traspare la passione repressa in questi mesi di separazione ma non voglio rovinare questo momento magico, non voglio metterle fretta, non voglio rovinare tutto di nuovo. Non so quanto dura questo bacio, forse troppo, forse troppo poco, ho assaporato la sua bocca come non facevo da una vita, il suo sapore dolce è come il nettare pregiato, il suo profumo la più inebriante essenza. Ci stacchiamo riluttanti e senza fiato, lei sorride compiaciuta.
- Devo andare ora.
Annuisco e la libero dal mio abbraccio, vorrei tenerla qui con me ma so che non è ancora il momento.
- Ti chiamo stasera. - le dico.
- Va bene… le altre mi aspettano alla sala giochi.
La vedo entrare nell’ascensore e resto a fissare le porte anche quando si sono chiuse. Rientro nel mio appartamento e mi guardo attorno, ora sempre tutto più luminoso. Sorrido e mi siedo davanti alla tela, prendo il tubetto del blu e ne metto una goccia sulla tavolozza, immergo il pennello e nella mia mente appare nitida l’immagine di un mare di notte, un cielo stellato, la spiaggia bianca e la tonda luna che rispende sull’acqua e sulla sabbia. Inizio a lavorare con trasporto, con una passione che non avevo più da mesi. Voglio che il quadro sia finito quando Makoto tornerà.

FINE

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Capitolo 7
*** Guerra... Amore e... Pallavolo (prima parte) ***


Guerra…. Amore e…. Pallavolo (prima parte)



- Mia! – Yumi fa qualche passo indietro, alza le mani e fa un palleggio passando la palla a Naru: l’alzatrice.
- Minako tua!
Osservo bene la palla che si alza, calcolo i tempi velocemente. Destra... sinistra.. destra... mi do un piccolo slancio, salto e alzo il braccio destro pronto a colpire. Istantaneamente trovo il punto più debole della difesa avversaria. La palla si avvicina e con tutte le mie forze tiro proprio in quel punto, la palla sfreccia veloce e potente, supera il loro debole muro e cade sul linoleum grigio topo che ricopre il pavimento della palestra, cado a terra molleggiandomi sulle gambe per attutire il debole colpo, mi volto e faccio il segno della vittoria alle mie compagne.
Abbiamo vinto.
Purtroppo é solo una normalissima partita di allenamento. Se fossimo nel campionato potevamo arrivare anche prime ma, disgraziatamente, le ragazze veramente brave sono poche e non raggiungevamo il numero minino per inscriverci. Le altre ragazze della squadra abbassano il capo demoralizzate, sono nuove ed inesperte, ci vorrà del tempo.
- Non prendetevela, - cerco di rassicurarle con un sorriso d’incoraggiamento – siete state brave, questa volta avete quasi vinto un set.
- Grazie capitano.
Sbuffo scostando la mia lunga frangia bionda dagli occhi.
- Quante volte devo dirti Hitomi che non devi chiamarmi capitano. Basta Minako.
- Come vuoi tu capi… Minako!
Sospiro nascondendo un sorriso, in realtà mi piace esser chiamata capitano, il mio ego si gonfia come un palloncino ogni volta che impartisco un comando o richiamo qualcuno.
Sono vanitosa non c’è che dire, non molto ma quanto basta per sentirmi euforica ogni volta che finisco un allenamento.
Le mie compagne vanno ai bordi del campo dove hanno le bottigliette d’acqua o gli integratori, io resto qui con in mano questa sfera bianca che mi ha stregato fin dalla prima volta che la vidi. Avevo sei anni, ancora me lo ricordo, ero nel cortine della scuola elementare, dove andavo io c’erano le scuole medie unite a quelle dei più piccini, un pomeriggio, durante l’intervallo, avevo visto delle ragazze giocare a pallavolo. Io ero troppo piccola per giocare con loro ma quello che stavano facendo era bellissimo, all’inizio l’avevo scambiata per una danza con un pallone poi capii che era sport. Lo sport più bello ed appagante del mondo. Corro in fondo al campo e faccio rimbalzare la palla un paio di volte.
- Attenzione! – urlo prendendo bene le misure.
Lancio il pallone in alto, inizio a correre e salto per battere, il mio colpo è deciso e ben mirato, la vedo sfrecciare verso il bersaglio, una scia bianca in mezzo al campo, quando la porta della palestra si apre, entra una figura e ferma la mia poderosa battuta.
Non c’è neppure bisogno di chiedersi chi sia… so benissimo che l’unico che può fermare le mie battute è:
- Sai devi migliorare la forza poppante. – fa l’Odioso guardandomi con aria di sfida dal suo metro e ottanta d’altezza. Se non fosse arrogante, presuntuoso, meschino e sfacciato sarebbe un bellissimo ragazzo con quei lunghi capelli argentati, gli occhi grigi e i lineamenti perfetti.
- Ehi vecchio!- urlo pestando un piede a terra – Ti ho già detto che devi cambiare palestra per allenare la tua squadra di schiappe.
- Prima di tutto. – fa lui facendo rimbalzare la palla a terra – Ho solo due anni in più di te, perciò non sono vecchio e in secondo luogo, bambina, ti ho già spiegato che questa palestra è la più vicina alla maggior parte di noi.
- Ridammi la palla orco! – grido fuori di me – Non sono ancora le cinque!
- Te la sei cercata. – fa lui con un ghigno beffardo.
Intuisco al volo quello che vuole fare e corro in mezzo al campo, ginocchia piegate e mani pronte a ricevere. Lui lancia la palla in alto, vicino alla rete, vuole schiacciare… lo vedo saltare e io faccio qualche passo indietro, quando arriva in prossimità della palla, il bastardo, la tocca leggermente facendola arrivare nell’altra metà del campo filo alla rete.
Una finta bastardo!
Mi slancio in avanti col pugno teso cercando di prenderla, ma mi sono mossa troppo in ritardo, manco la palla e mi sbuccio un ginocchio grazie alla ginocchiera che si è spostata durante la scivolata.
Fantastico… bella figuraccia!
Mi rialzo facendo finta di niente, lui ridacchia compiaciuto, odioso uomo!
- Il tuo avversario bara sempre Minako… ricordalo.
- Grazie per l’ennesima perla di saggezza non richiesta Kunzite! – sbotto frustata prendendo l’asciugamano di spugna bianca e mettendolo sul ginocchio.
- Andiamo é solo un graffietto.
- Sei anche infermiere ora?- gli chiedo sarcastica alzandomi - Sei fastidioso come una mosca!
- Beh nemmeno tu mi sei molto simpatica.
Gli faccio la linguaccia prima di andarmene verso lo spogliatoio, la porta chiusa attutisce i suoni ma sento le palle che rimbalzano, i salti e i fischi che la gomma delle scarpe da ginnastica fanno contro il linoleum della palestra.
Entro nello spogliatoio, le mie compagne si sono già spogliate e sono sotto la doccia, il vapore caldo esce dalla porta semiaperta, mi spoglio velocemente, afferro il telo giallo e me lo lego attorno ai seni entrando nei bagni.
- Kunzite é veramente un ottimo giocatore. - fa Yumi mentre si massaggia i lunghi capelli mori con il balsamo alle erbe.
- Io lo trovo così sexy.
Le altre escono ridacchiando mentre ripensano ai pantaloncini attillati di Kunzite che gli mettevano in evidenza il suo sedere.
Io resto perplessa sotto la doccia. Faccio molta fatica a trovare Kunzite vagamente interessante come ragazzo, é arrogante e molto pieno di se, caratteristiche che rendono insignificanti anche l'uomo più bello del mondo. Il che é strano detto da una che trova attraenti anche i sassi.
Esco dalla doccia e mi riavvolgo nel morbido panno di spugna, le altre sono del tutto pronte, mi salutano con un caloroso sorriso ed escono.
In fin dei conti non sono vere e proprie amiche, sono solo compagne di gioco, ragazze con passo due ore del pomeriggio il Martedì e il Giovedì. Le mie vere amiche sono altre e mi bastano. Anzi Usagi, a volte, fa per tre.
Mi metto la borsa viola che uso per pallavolo in spalla e mi dirigo all'uscita, salgo gli scalini che portano alle gradinate degli spettatori e all'ingresso, lancio velocemente un'occhiata ai ragazzi che si stanno allenando. Sono quindici in totale, uno più bravo dell'altro, tutti universitari e la maggior parte compagni di corso di Kunzite alla facoltà di Lettere e Filosofia Straniere. Incredibile come un ragazzo antipatico come lui possa trovare interessante la letteratura e la poesia. Stanno facendo una partita amichevole, vedere una squadra maschile di pallavolo é decisamente diverso che vederne una femminile, sono tutti molto concentrati sulla partita, quando segnano non esultano come noi ma si danno solo una pacca sulla spalla.
Roba da maschi...
Kunzite sta per effettuare il servizio, effettivamente non é un brutto ragazzo.
Minako? Ma cosa vai a pensare? Tu hai già un ragazzo!
E' vero, anzi a dire il vero non é proprio il mio ragazzo ma spero che presto lo diventi.
- Ehi mocciosa!- urla Kunzite dal campo - Hai deciso di vedere come si gioca veramente a pallavolo?
Mi desto dal mi sogno rosa e zuccheroso e mi volto verso di lui, mi sta fissando da bordo campo, ansima appena con il viso rosso e sudato.
- Allora?- mi incita vedendo che non dico nulla.
- No, - rispondo a tono - speravo che ti facessi male.
Detto questo esco dalla palestra con un sorrisino vittorioso.

***


Il Sabato é arrivato veloce questa settimana, presto vedrò Alan, il ragazzo con cui esco da quasi un mese. Mi piace molto, é sveglio, molto dolce, forse troppo serio per una ragazza come me ma é appunto la sua maturità e la sua compostezza che mi hanno attratto la prima volta. Senza contare che ha un fisico niente male.
Mi guardo allo specchio quella ventina di volte che mi servono per decidere cosa indossare, mi trucco appena per non sembrare una di quelle ragazze che non esce di casa se non ha un dito di fondo tinta in faccia e mi reco al parco dove Alan mi aspetta sotto il gazebo delle rose. E’ il posto dove ci siamo scambiati il primo romanticissimo bacio, sono certa che vorrà chiedermi di esser la sua ragazza.
Esco, come al solito, in ritardo da casa e mi metto a correre, svolto l'angolo e per poco non vado a sbattere contro Makoto.
- Ehi che fretta!- ridacchia lei.
- Tu che ci fai qui?- le domando curiosa come al solito. A volte dovrei mordermi la lingua – Casa tua é dall’altra parte della città!
Diventa rossa e inizia a guardarsi attorno.
- Beh ecco... io...
Sorrido sorniona, ora noto anche un piccolo segno azzurro sul lobo del suo orecchio.
- Ah! - rido pulendo via la vernice fresca - Sei stata da Nephrite... effettivamente abita qui vicino.
- Stava dipingendo quando sono arrivata...- afferma diventando rossa come un peperone - non si stacca da quella tela da due giorni... e ha il frigo vuoto. Sto andando a fare un po' di spesa.
- Che brava mogliettina che sei. – la prendo in giro scompigliandole i capelli castani.
- Smettila...- sorride imbarazzata - tu invece? Pomeriggio romantico?
- Oooh lo spero proprio! - guardo l'orologio e strabuzzo gli occhi - Sono in ritardo.
- Salutami Alan!- mi urla alle spalle.
- Senz'altro! - le rispondo correndo un poco all'indietro.
Makoto é fortunata, a dire il vero tutte le mie amiche sono fortunate, solo Usagi é rimasta senza fidanzato ma sembra che la cosa non le interessi. Tutte abbiamo trovato un bravo ragazzo che ci ama e che farebbe tutto per noi.
Non vedo l'ora di vedere Alan.
Arrivo trafelata ed ansimante al gazebo, Alan é elegantemente appoggiato alla colonna bianca che mette ancora più in risalto i suoi capelli pel di carota, sul viso da bambino innocente ha qualche lentiggine, due occhi verdi che attirano subito l’attenzione in contrasto con i capelli rosso fuoco.
E’ splendido ... ed é tutto mio.
- Scusa... per... il... ritardo... - ansimo avvicinandomi a lui per dargli un lieve bacio a fior di labbra.
Sposta il viso di lato così il mio bacio arriva sulla sua guancia.
Non é un bel segno.
Un sopracciglio si alza mentre lui si allontana un passo.
- Alan. – dico calma, molto più calma di quello che sono in realtà – Cosa c’é?
- Dobbiamo parlare. – dice serio, troppo serio per i miei gusti.
- Ti ascolto. – gli dico appoggiandomi alla ringhiera di legno bianco.
- Ho riflettuto a lungo in questa settimana Minako... credo che noi non dobbiamo più uscire assieme.
Sgrano gli occhi un attimo parando il colpo appena subito, dovevo immaginarlo, dovevo prevederlo, invece ero così presa che avevo già fantasticato su una possibile cena con le mie amiche e i loro fidanzati.
Ora so fin troppo bene quello che mi dirà, conosco la procedura.
Per prima cosa dirà che non siamo fatti l’uno per l’altra.
- Non siamo fatti l’uno per l’altra Minako.
Poi che io sono troppo esuberante e che lui mi tapperebbe solo le ali.
- Sei una creatura libera, con me soffocheresti e basta.
Dirà che non mi merita.
- Io non merito un angelo come te.
Che ha bisogno di stare solo per riflettere.
- Ho bisogno di tempo per capire me stesso.
E concluderà con la frase che più odio al mondo.
- Possiamo restare amici.
Vorrei gridare, vorrei piangere, vorrei solo tornare indietro nel tempo e far in modo che questo non accada. Il mio cuore piange, si è appena rotto in mille pezzi, grida vendetta, grida di prenderlo a calci e frantumargli uno stinco.
Invece sorrido, faccio finta di nulla come sempre, tutto va alla grande, anche se la mia vita va a rotoli.
- Ti capisco Alan.
Invece no, non lo capisco affatto.
- Forse hai ragione. Non siamo fatti per stare assieme.
Invece siamo perfetti.
- Tu sei calmo e pacato e io sono impulsiva ed esuberante.
Ci completiamo idiota... perché non te ne accorgi?
- Forse é meglio se restiamo solo amici.
Non voglio vederti neppure in fotografia.
Lo sento sospirare rilassato, io, invece, sono tesa come la corda di un violino.
- Credevo che non avresti capito. – mi dice con un sorriso fiducioso.
Sorrido anch’io, bugiarda perfino con me stessa.
- Ora devo andare Minako... scusami...- si volta e corre via lasciandomi sola in questo posto che ha visto l’inizio e la fine di questa breve storia.
Forse è meglio così... allora perché mi sento tanto male?
Sono stata scaricata di nuovo, é il terzo che scappa in due mesi. Cos’ho di tanto strano? Perché faccio così paura? Forse mi ritengono stupida, superficiale, troppo impulsiva. Non lo so... so solo che scappano tutti dopo qualche settimana. Mi siedo su un’altalena e mi dondolo un poco pensando a quando sono stata stupida, credevo sul serio di aver trovato la persona giusta, un ragazzo d’amare. In fondo cerco solo un po’ d’amore, un po’ attenzioni: é chiedere troppo?
Non lo so, so solo che non posso esser come le altre.
Chiudo gli occhi impedendo alle lacrime di scendere, ho ancora una dignità, un mio orgoglio e non permetterò ad un cretino dai capelli rossi di pestare la mia dignità solo perché non gli ho permesso di mettermi le mani addosso. Un sospiro mi scappa dalle labbra, ora dovrò recitare la parte della ragazza che sa vivere anche senza un ragazzo, la ragazza allegra che non soffre se viene lasciata senza una valida scusa. Dovrò esser allegra, vitale e quando mi chiederanno se sto bene, dovrò rispondere con un sorriso e una battuta di spirito.
Non so se questa volta se la posso fare.
Ma non sono brava a parlare dei miei problemi amorosi, do buoni consigli ma non riesco mai a metterli in pratica come dovrei.
Per questo spesso risulto superficiale.
Ma non lo sono, in realtà soffro dentro, per conto mio, il mio dolore é solo mio... mio e di nessun altro.
Mi alzo dall’altalena e mi avvio verso casa, voglio buttarmi sul letto e piangere sola, nella mia stanza, dove il mio dolore non é esposto ad occhi indiscreti.
Entro nella mia stanza e sospiro poggiando la schiena alla porta bianca.
Sono così depressa...
Artemis mi si avvicina miagolando, vede che ho l’aria di una che é stata appena mollata e si struscia sulle mie caviglie, un tenero tentativo di consolarmi.
- Quanto vorrei che tu sapessi parlare Artemis. – sospiro prendendolo in braccio.
Miagola facendo delle forti fusa, già mi sento un po’ meglio.
- Grazie. – mormoro baciandolo sulla testolina bianca – Va un po’ meglio. Alan é un’idiota.
Miagola di nuovo come se volesse darmi ragione, lo riposo a terra e prendo la mia borsa viola.
- C’é solo un posto che può tirarmi su di morale.

***

Arrivo alla palestra quasi di corsa, ho voglia di sfogarmi e sono una buona dose di schiacciate al muro può aiutarmi a dimenticare e smaltire la rabbia che ho in corpo.
Purtroppo per me qualcuno ha avuto la mia stessa idea, la palestra é aperta il sabato pomeriggio ma non ci viene mai nessuno, questa volta le luci sono accese e si sente chiaramente qualcuno che sta usando un pallone. Entro quasi timidamente, non voglio disturbare durante un allenamento ma, dal rumore che sento, c’é solo una persona in palestra.
Probabilmente qualcuno come me.
Mi avvicino e spalanco la bocca sorpresa.
E’ Kunzite.
Si sta allenando da solo, fa una serie di schiacciate alla rete, dietro di lui il cesto con tutti i palloni é quasi vuoto, mentre gli altri sono nell’altra metà del campo. Da quanto é sudato deduco che sia qui da almeno due ore.
La porta sbatte alle mie spalle, lui si ferma e alza lo sguardo.
- Ehi poppante,- la sua voce echeggia in tutta la palestra – che ci fai qui?
- Potrei chiederti la stessa cosa vecchio. – rispondo a tono stringendo le mani a pugno. Non ho voglia di litigare anche con lui oggi.
- Vieni giù! – mi invita con un ampio gesto della mano.
Riluttante ma agguerrita scendo, lui si avvicina con una palla sotto braccio.
- Come mai qui a quest’ora? – domanda di nuovo con un lieve sorriso che non riesco a capire se é denigratorio o sincero – Solitamente il Sabato non lo dedichi al ragazzo?
- Non sono affari tuoi!- ribatto infastidita, lui non ha nessun diritto di investigare sugli affari miei.
- Sei più acida del solito,- dice mettendo il pallone nel cesto ed andando a raccattare gli altri – deve esser stato un pomeriggio d’inferno.
- Tu che ci fai qui?- gli chiedo sorvolando sull’ultima frecciatina.
- Ho avuto una settimana piena di esami, avevo della tensione da scaricare.
- Da quanto sei qui?
- Che ore sono?
- Le cinque.
- Due ore più o meno.
- Wow...- mormoro visibilmente colpita – la tua vita sociale deve proprio fare schifo se passi il Sabato pomeriggio qui dentro a fare schiacciate a rete.
Strabuzza gli occhi un attimo di fronte all’ennesima battuta acida, credeva sul serio che fossi impressionata dal suo patetico allenamento?
- Vatti a cambiare. – mi ordina in malo modo.
- Come scusa?
- Se sei qui per allenarti vatti a cambiare. Ti alzo qualche palla così mi alleno con i palleggi.
- Ma tu...
- Ti ho detto che sono qui da due ore, non che il mio allenamento é finito. Ti vai a cambiare o no?
Obbedisco ma non capisco se il suo tono era scocciato, arrabbiato o solo stanco. Mi cambio e torno in palestra, Kunzite sta seduto su una panchina di legno a bordo campo, beve dalla bottiglia d’acqua mentre legge un libricino nero.
- Non avevi detto di aver finito gli esami?
- So che può risultarti strano – sbuffa chiudendo il libro di scatto – ma a certa gente piace leggere qualcosa di diverso dai manga.
Arrossisco appena, il suo sguardo é così penetrante che mi sento quasi nuda davanti a lui. Devo fare uno sforzo immenso per non cercare di coprirmi.
- Pronta?
Mi sistemo i capelli legandoli con il nastro rosso che ho sempre in borsa.
- Pronta.
Iniziamo con una serie di passaggi, devo dire che mi sento meglio, ogni volta che colpisco forte la palla é come se stessi dando un pugno sulla faccia di Alan. La mia rabbia sta diminuendo, l’unica cosa sarà il mio orgoglio che ci metterà un po’ a guarire del tutto.
Passiamo alle schiacciate a rete, Kunzite fa l’alzatore e io l’attaccante. Dopo un paio di passaggi veloci si ferma.
- Devi farle più tese, la traiettoria é troppo prevedibile, i difensori te le pareranno tutte.
- Quando vorrò un tuo parere Kunzite te lo chiederò. Ora limitati ad alzare.
- Volevo solo darti una mano.
- Guarda che sono molto più brava di te!
Alza un sopracciglio scettico e ghigna.
- Tu credi?
Mi sto mettendo nei guai... mi sto mettendo nei guai... mi sto mettendo nei guai...
- Scommettiamo?
Ecco... mi sono appena messa nei guai.
- Va bene,- fa lui con un sorriso sornione – una partita. La tua squadra contro la mia. Se tu vinci ti prometto che cercherò una palestra altrove dove fare gli allenamenti.
- E se vinci tu? – gli chiedo diffidente.
- Se vinco io, tu dovrai venire a tutte le nostre partite fino alla fine del campionato, dovrai fare il tifo per noi vestita da ragazza pon-pon.
Spalanco al bocca sorpresa... questo é meschino! Per un attimo mi vedo in minigonna bianca, top verde e pon-pon alla mano mentre sillabo il nome di Kunzite. Rabbrividisco solo al pensiero. Ma, dall’altra parte, la possibilità di non vederlo più mi alletta troppo.
- Accetto! – dico di slancio allungando la mano per suggellare il patto.
- Bene. – ridacchia stringendomi la mano – Facciamo il primo Sabato di Dicembre?
- Perfetto.
- Ora devo andare. – fa mentre prende le sue cose da bordo campo – Non vedo l’ora di vederti agitare i pon-pon.
- Non canterei vittoria così in fretta Kunzite!- gli urlo dietro le spalle – Ride bene chi ride primo!
La porta si chiude dietro di lui ma sento chiaramente che ride più forte.
Forse ho sbagliato proverbio...

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Capitolo 8
*** Guerra…. Amore e…. Pallavolo (seconda parte) ***


Guerra…. Amore e…. Pallavolo (seconda parte)


- Che cosa?- grida Naru in mezzo al campo, pugni sui fianchi, gambe lievemente divaricate e uno sguardo che lancia scintille. Non mi stupirei se da un momento all'altro le uscisse del fumo dalle narici dilatate... dio mio, sembra un drago.
- Minako come hai potuto programmare una partita senza prima consultarci?
- Andiamo ragazze é solo un'amichevole.
- Un'amichevole contro una squadra di ragazzi universitari. - precisa Yumi con un tono che mi piace poco.
- Non stiamo a vedere questi dettagli insignificanti.
- Dettagli insignificanti? Minako ci faranno a pezzi, faremo una figuraccia mostruosa e rideranno di noi per i prossimi sei mesi.
- Non diciamo sciocchezze, - ridacchio poco convinta - non lo faranno per sei mesi... magari per qualche settimana. - dico più a bassa voce ma loro mi hanno sentito lo stesso.
- Minako! - urlano in coro.
- Va bene, va bene mi dispiace! - sbuffo spazientita - Ma in fondo voi non ci rimettete nulla se perdiamo, é solo una stupida scommessa. Andiamo ragazze che vi costa? E poi non son così forti come sembra.
- Va bene. - sbuffa Kaori la nostra battitrice migliore, bella quanto brava. Le sue labbra sottili formano un lieve cuore quando sorride, lo sguardo penetrante, la pelle chiara e il caschetto moro sbarazzino le danno un aria da cattiva ragazza che fa impazzire tutti. Invece Kaori é dolce, molto romantica e simpaticissima, a volte credo che indossi una maschera solo per non restare ferita dalle lame affilate della vita, un po' come me.
Abbiamo fatto un duro allenamento, siamo state brave, precise, concentrate, forse non siamo del tutto perdute. Forse nel mio futuro non ci sono pon pon e stupide gonnelline. Ma ora la mia fantomatica grinta é svanita nel momento in cui Motoki mi ha messo questo frappè alla vaniglia davanti agli occhi.
Forse é meglio se inizio a cercare un paio di pon pon.
Chi volevo prendere in giro? Sono ragazzi universitari, sono grandi, molto più forti di noi e noi siamo solo un branco di ragazzine che si divertono con un pallone.
Sono morta.
Sospiro sconsolata, lo sguardo perso oltre la finestra del locale tra le persone che accalcano il marciapiede, il mento appoggiato alla mano e mille pensieri che mi frullano in testa.
Non siamo pronte, non siamo forti... Kunzite si prenderà gioco di me per i prossimo vent'anni. Perché sono così dannatamente impulsiva?
- Avrei un paio di maledizioni pronte...- fa improvvisamente Rei meditabonda - potrei provarle.
- Potremmo fargli un agguato di notte e riempirlo di botte.
- Makoto la violenza non é mai la soluzione migliore.
- Ami ha ragione. - biascica Usagi con il cucchino del gelato in bocca - Picchiarlo non risolve il problema di Minako.
Mi volto verso di loro, tutte hanno un'espressione molto concentrata in volto, le mie dita stuzzicano la cannuccia rossa facendola girare nel denso liquido bianco.
- Perché volete picchiare Kunzite?
Si voltano a guardarmi, Usagi ha ancora il cucchiaino in bocca, Rei tiene la razza a mezz'aria, Makoto lascia cadere nel te freddo la cannuccia e Ami appoggia il suo succo sul tavolo.
- Kunzite?- ripete Makoto sorpresa.
- Minako...- continua Rei e sembra quasi imbarazzata mentre poggia la tazzina del caffé sul tavolo - noi non stavamo parlando di Kunzite.
- Ah no?- domando e sono veramente confusa.
- Come sarebbe a dire?- grida Usagi strappandosi il cucchiaino dalla bocca - Noi stiamo parlando di quel lurido verme schifoso, vigliacco, imbecille che ti ha spezzato il cuore.
- Eh?
- Minako... stiamo parlando di Alan. - chiarisce Ami con un sorriso.
E' vero... ero così presa da questa storia della scommessa che non mi sono dimenticata che Alan mi ha mollato.
Sono proprio una stupida.
- Perché il tuo primo pensiero é stato Kunzite?- mi domanda Makoto con un sorriso furbo.
- Chi? Io?- ribatto con aria indifferente.
- Non fare la finta tonta!- fa Usagi avvicinandosi a me con la sedia - Dicci come mai stavi pensando così intensamente a Kunzite.
Improvvisamente mi sento avvampare.
- Minako...- continua Rei e credo che se non fosse così affollato il bar si sarebbe già messa a calcioni sul tavolo avvicinandosi a me per indagare meglio - ci stai nascondendo qualcosa?
- Andiamo...- fa Ami e lei é l'unica che non mi sta circondando - sai che di noi puoi fidarti.
- Beh ecco...
- Allora?- chiedono in coro come un branco di bambine.
Sospiro e mi metto a raccontare tutta la storia della scommessa, magari loro trovano una soluzione al mio problema.

***
La città è confusa, caotica, rumorosa, disordinata e puzzolente.
Ma io non la cambierei con niente al mondo, non è la prima volta che passeggio per il centro senza una meta immersa nei miei pazzi pensieri.
Cerco di pensare a Alan, al motivo che lo ha spinto a lasciarmi, alle mie amiche che vogliono gonfiarlo di botte, forse dovrei avvertirlo o forse mi dovrei solo farmi i fatti miei.
E Alan non è più affare mio.
Una giovane coppietta mi oltrepassa, lei mi da una lieve spinta, forse non mi ha visto… è così concentrata sul suo fidanzato che non gliene frega niente dei passanti che passeggiano tranquillamente.
Sento il mio stomaco fare una capriola.. sono un po’ invidiosa.
Rivedo me stessa e alcuni degli ultimi ragazzi con cui sono uscita, non credo di aver mai avuto uno sguardo così quando stavo con loro.
Forse il mio destino è quello di restare perennemente da sola.
In fondo un fidanzato non farebbe che intralciare i miei sogni, non riuscirei a diventare un vero idol se ho un ragazzo geloso e possessivo tra i piedi.
Sì, forse è meglio così.
Allora perché non mi sento meglio?
Mi fermo alla gelateria deserta, come Usagi adoro il gelato in qualsiasi stagione.
Banana e cioccolato… il mio preferito.
Le altre rabbrividiscono per questo accostamento.
Entro nel locale, la ragazza che di solito serve è seduta su uno sgabello, legge distrattamente una rivista. Do un’occhiata veloce, l’ho già letta. C’è un articolo del mio cantante preferito… beh… uno dei tanti.
La ragazza, che può avere un paio d’anni in più di me, alza lo sguardo, fa un orecchio alla pagina che stava leggendo e rimette via la rivista.
- Posso esserle utile?
- Un cono banana e cioccolato.
Peccato che non sia stata io a parlare.
Mi volto e sbuffo immediatamente.
- C’ero prima io!
- Sì, la lei sta guardando me. – ribatte l’Odioso con un sogghigno maligno – Quindi ora tocca me.
- E perché hai preso i miei stessi gusti?
- Non sono affari tuoi. – dice allungando il braccio sopra la mia testa senza troppe difficoltà e prendendo il cono che le ragazza gli porge.
Arrogante pallone gonfiato bastardo!
- Lei signorina?- mi domanda alle spalle la commessa – Cosa desidera?
Non le rispondo neppure ed esco dalla gelateria senza il mio amato cono gelato, quel verme mi ha fatto passare l’appetito.
- Aspettami Minako!- mi urla alle spalle correndomi dietro.
- Kunzite vattene via.... non ho voglia di parlare anche con te. Non sono dell’umore giusto.
- Andiamo… non voglio litigare.
- No?
- No, voglio solo sapere se ti stai allenando con i pon pon.
Mi blocco furiosa, il solo vederlo mi manda in bestia.
- Ti odio Kunzite! Ti odio con tutto il cuo…
Mi blocco non perché mi sento in colpa per quello che sto per dirgli, non perché non so che insulto lanciarli ma perché mi sta baciando.
All’improvviso, inaspettatamente, senza darmi il tempo do capire, senza un minimo di esitazione, senza un po’ di corteggiamento.
Mi sta baciando e basta.
E’ un bacio vorace, eccitante, esaltante, mi gira la testa, sento le gambe molli, lui deve essersene accorto perché mi stringe al suo petto con il braccio libero, la sua mano si apre sulla mia schiena, la sua pelle è calda, il suo tocco forte ma non mi fa male. Le mie mani si posano sul suo torace, è ampio, muscoloso ma non troppo.
La sua bocca sa di gelato al cioccolato e banana e sento ancora il dentifricio che ha usato prima di uscire, la sua lingua inizia una danza sensuale con la mia ed ora sì che non capisco più nulla.
Nessuno mi ha mai baciato così. Nessuno ci ha mai messo tutta questa passione e desiderio, è come se volesse farlo da tanto tempo. I nostri denti si incontrano un istante e allora torno in me.
Lui è Kunzite.
Io sto baciando Kunzite.
Il mio nemico numero uno.
Mi stacco da lui in fretta. Ora mi vergogno, sento che sono arrossita, apro gli occhi e lo fisso con un misto di disgusto ed eccitazione.
- Ma cosa ti salta in mente? – urlo con quel poco di fiato che mi è rimasto nei polmoni.
- Ti ho baciato. – risponde lui con una semplicità così sorprendente che è come se gli avessi chiesto dove si trova l’edicola più vicina.
- Come diavolo ti sei permesso?
- Non mi sembra che tu ti sia tirata indietro. – si passa lentamente la lingua sulle labbra, la stessa lingua che prima stava esplorando la mia bocca. Dio vorrei poterla assaggiare di nuovo… ma cosa dico? – Lucidalabbra alle more. – fa dopo qualche minuto prima di dare un’altra leccata a quel dannato cono gelato – Buono… ma preferisco di gran lunga quello alle fragole.
Serro la mascella irritata ma sento che sto arrossendo ancora di più.
- Sei un maleducato, arrogante, presuntuoso, vanitoso pallone gonfiato Kunzite! – grido come un’invasata in mezzo alla strada, alcuni passanti si sono girati per guardaci ma non ci bado.
Afferro il suo cono e glielo rovescio sulla testa premendo bene, in modo che il gelato si impasti con i suoi amati capelli.
- Ti odio!- grido infine prima di voltarmi e correre via.
Lo sento gridare alle mie spalle, ma sono così infuriata, così umiliata, così confusa che no sento nulla, a parte il mio cuore che batte all’impazzata e il respiro corto nei polmoni.
Perché l’ho baciato? Perché mi sono lasciata andare in quel modo? Perché mi sento così stupida e vulnerabile? Perché piango?
Entro in camera e chiudo la porta alle spalle, mi appoggio con la schiena la muro e lentamente scendo fino al pavimento, come le mie lacrime che scorrono sulle mie guance e cadono sul maglione arancione. Mi siedo e raccolgo le gambe al petto singhiozzando più forte.
Artemis mi raggiunge con il suo passo felpato, vede che sono turbata, si struscia sulle mie caviglie e miagola cercando di attirare la mia attenzione.
- Oh Artemis..- piagnucolo accarezzandolo sulla testolina pelosa – Kunzite a fatto una cosa terribile.
Ma è proprio vero? Insomma un bel ragazzo, arrogante ma sicuramente molto dolce quando vuole, mi ha appena baciato e io come l’ho ringraziato? Spiaccicandogli il cono gelato in testa.
La sua immagine mi si materializza davanti, lui con quel cono gelato che gli spunta tra i capelli.
Inizio a ridacchiare, poi sempre più forte, fino a quando non scoppio a ridere. Il bello che è sto anche piangendo.
Allora è vero quello che dicono in giro di me… sono veramente pazza.
Mi sdraio sul tappeto morbido della mia stanza, Artemis sale sul mio torace, si rannicchia e inizia a fare le fusa.
Le lacrime continuano a scendere, ma questa volta bagnano il pavimento e non il mio maglione.
Il bacio di Kunzite significava qualcosa? O voleva solo soddisfare una sua stupida voglia maschilista?
E io? Ho risposto in un modo che non avevano mai fatto, con una passione e un desiderio che, sono certa, non ho mai provato per un altro ragazzo.
Quell’uomo mi fa imbestialire. Me devo dire che è un baciatore nato.
Il mio stomaco ha un lieve crampo quando riaffiorano in me le sublimi sensazioni che ho provato mentre rispondevo a quel bacio infuocato.
Senza quasi accorgermene la punta della mia lingua sfiora le mie labbra rosse, lievemente infiammate.
Sanno ancora di banana e cioccolato.
Mi asciugo le lacrime con la manica di lana e sospiro chiudendo gli occhi.
Forse lui mi piace… è plausibile. Non sono sempre io quella che dico che gli opposti di attraggono? Che la rabbia è solo un eccitante preliminare prima della passione?
Non lo so… so solo che nel cassetto della scrivania ho un lucidalabbra alla fragola. Forse lo metterò la prossima volta che lo incontro.

***
La data della partita è finalmente, o sfortunatamente, arrivata.
Non ho più visto Kunzite dal giorno dell’incidente.
Credo che sia molto adirato con me. E non ha neppure tutti i torti.
Ho riflettuto molto sull’incidente e sono giunta alla conclusione che sono stata troppo impulsiva. Purtroppo l’impulsività è il mio unico difetto.



Ok, ok è uno dei miei tanti difetti.
Entro in palestra completamente distrutta emotivamente, Kunzite non si è più fatto vivo in palestra né per gli allenamenti né il sabato come faceva spesso, sono certa che mi stia evitando.
- Sei in ritardo! – mi sgrida Naru visibilmente arrabbiata – Siamo qui per te ricordatelo!
Annuisco in silenzio e butto a terra il mio borsone, mi cambio lentamente, quasi volessi ritardare il più possibile questa ennesima umiliazione.
Oppure non voglio farmi vedere da lui?
Mah… probabilmente tutte e due le cose.
Entriamo in palestra e solo ora mi accorgo che gli spalti non sono vuoti come avevo immaginato. Da una parte si vedono un gruppo di ragazzi universitari, sicuramente amici e compagni della squadra maschile mentre dall’altro ci sono le mie amiche e le compagne di classe della mia squadra. Appena ci vedono iniziano a sbracciarsi e a fare il tifo mentre gli altri restano in pacato silenzio e le fissano disgustati.
Roba da intellettuale..
Loro hanno il potere di ricaricarmi. Sento l’adrenalina scorrermi nelle vene, il mio cuore batte forte e sono quasi certa di poter vincere oggi contro l’Odioso.
L’Odioso che mi ha baciato.
Il mio stomaco fa l’ennesima capriola.
Mi mordo un labbro e mi giro, finalmente, per guardarlo.
Kunzite è seduto in panchina, indossa i consueti pantaloncini corti azzurri e la maglietta blu con il suo numero: il 3.
Proprio come il mio.
A volte i casi della vita ti giocano scherzi stupidi.
Prima il gelato.. poi il numero.
Si sta legando i capelli in una coda improvvisata intanto parla con un suo compagno, probabilmente sullo schema da seguire in campo.
Sento delle grida più forti e mi volto verso gli spalti, è un gruppo di ragazze dell’età di Kunzite, solo che, invece di esser pacate come le altre, sono elettrizzate, lo chiamano e sventolano dei palloncini con su il suo nome scritto con un pennarello dorato.
Patetico… semplicemente patetico.
Allora perché sono un po’ gelosa?
Mi volto di nuovo verso di lui, Kunzite si è alzato e guarda verso gli spalti, sorride ma si capisce lontano un chilometro che è un sorriso di cortesia.
Ma sembra che alle sue giovani fans non interessi, ridacchiano tra di loro come adolescenti arrapate.
E la mia gelosia aumenta maledizione.
Si volta verso di me ora e io volto subito al testa da un’altra parte ma sono certa che abbia capito che lo stavo fissando. Non è stupido.
Sento che l’arbitro, per l’occasione è stato chiamato il professore della mia scuola, imparziale e molto severo, mi chiama con una fischiata, anzi chiama tutti e due i capitani. Io e Kunzite ci avviciniamo, solo la rete ci separa ora.
- Tre set, - fa l’arbitro – siate veloci e non fatevi male. – tira fuori una moneta e mi guarda – Testa o croce?
- Testa. – rispondo senza esitazione.
La monetina spicca il volo, fa un giro sopra le nostre teste e scende sul palmo aperto del professore.
Testa.
Buon inizio.
Prendo la palla e mi sistemo nel campo alla battuta. Per non farmi prendere al panico immagino che tutti i ragazzi universitari davanti a me siano la squadra di ragazze più scarsa del mondo. L’esperimento funziona per qualche secondo, vedo Kunzite in gonnellina e con dei fiocchetti rosa sulla testa, ma poi tutto torna com’era prima. Sei stangoni di un metro e ottanta contro sei ragazzine liceali.
Ho come l’impressione che finiremo a pezzi.
L’arbitro fischia la battuta, faccio al qualche passo indietro, osservo bene il campo e certo di visualizzare il punto più debole in ricezione, ma Kunzite è un mostro nel ricevere le mie portentose battute ed è proprio in seconda fila. Tento di non farci caso, lancio la palla, corro e salto andandola a colpire poco dopo in una delle mie battute migliori. La palla sfreccia velocissima, sfiora appena la rete e scende in picchiata proprio sulle braccia protese del mio nemico.
Il nemico che mi ha baciato.
La riceve senza troppi problemi, l’Odioso.
Alzata, schiacciata, muro. Punto.
1 – 0 per loro.
Le stridule oche universitarie urlano il nome di Kunzite come se fossero ad un concerto rock.
Vorrei poter infilare loro in bocca uno si quei mostruosi palloncini.
Ma siamo solo all’inizio, tra una battuta, una schiacciata, un muro e una ricezione il set finisce così in fretta che non me ne sono quasi accorta.
25 – 10 per loro.
Accidenti!
Cambiamo il campo, le mie compagne sono demoralizzate come se non si aspettassero altro, le altre cercano di incitarmi dagli spalti ma io sono del tutto insensibile al mondo esterno.
Sono le urla di quelle maledette oche…
- Emmmh Minako… - mormora Kaori imbarazzata.
- Che c’è? – sibilo furiosa lanciandole uno sguardo che non credo sia molto amichevole.
- Ti hanno lasciato questi. – e mi porge due pon pon verdi e argento e un bigliettino scritto dal bastardo “Ne avrai bisogno”.
Li afferrò irritata, vedo rosso, sono furiosa e li lancio verso di loro facendo la linguaccia a quello che forse è la persona più arrogante dell’intero Giappone.
Quell’arrogante che mi ha baciato.
Mi mordo un labbro cercando di non perdere il controllo, quel bacio… e ora questo… allora voleva solo prendersi gioco di me. Probabilmente dopo deve aver chiamato i suoi compagni di corso per bere una birra e ridere dell’ennesima ragazza caduta tra le sue braccia.
Mi sento così stupida…
Lui si volta per guardarmi, vede e pon pon a terra e i suoi sopraccigli si piegano verso il basso come se fosse perplesso. Lo vedo che chiama un suo amico e gli indica quei cosi maledetti. Stanno parlando animatamente… forse li voleva di un colore diverso.
Inizia il secondo set, ora sono piena di rabbia, di cieca vendetta, voglio fagliela pagare per quello stupido scherzo e voglio che quelle galline starnazzanti stiano zitte!
Non so se per un caso, un gesto maldestro ma sta di fatto che la mia prima ricezione la prendo male sul braccio, il pallone si alza e va nelle tribune proprio sopra le teste di quelle ragazze che tanto odio.
Mi scuso dando la colpa alla ricezione sbagliata, ma forse un po’ l’ho fatto apposta. Mi ero accorta dell’errore fin da quando mi sono messa in posizione per riceverla; allora perché non unire l’utile alla vendetta?
Un momento… forse il proverbio non diceva proprio così…
Vabbeh ci penserò dopo.
La seconda battuta la prendo bene, veloce e precisa, l’alzatrice mi alza una palla fantastica e schiaccio senza problemi.
Peccato che Kunzite la blocca con un muro altissimo.
Grazie al cielo le mie compagne sono pronte ad un simile affronto, ricevono la palla a filo della rete e danno un’altra occasione alle mie schiacciate di fare un punto.
Kunzite la riceve.
Inizia così una seri di passaggi tra me e lui sempre più veloci, sempre più forti.
Alzata, ricezione, schiacciata, muro.
Alzata, ricezione, schiacciata, muro.
Alzata, ricezione, schiacciata, muro.
Tutti restano ammutoliti, ci guardano come se fossimo gli unici a giocare in quel campo.
In effetti siamo gli unici a giocare in questo campo. Ormai sono dieci minuti che alziamo, riceviamo, schiacciamo e muriamo la palla dell’altro.
Sono sfinita.
- Adesso basta! – Naru grida facendosi sentire da tutti.
Tutti si fermano, tutti si ammutoliscono, perfino e io e Kunzite ci blocchiamo con il fiatone.
La palla rotola in mezzo al campo indisturbata, sembra che nessuno la noti.
- Naru ma che ti prede! – le chiedo indignata per il suo comportamento strano.
- Sono io che dovrei chiederlo a te!- urla con un viso rosso e contratto in una smorfia.
Credo di non averla mai vista così.
- State giocando solo voi due! Se avete qualche problema da risolvere fatelo da soli e non coinvolgete noi!
Vedo le altre che annuiscono vivacemente e anche i compagni di Kunzite sembrano pensarla allo stesso modo.
- Noi ce ne andiamo. – fa un ragazzo della squadra avversaria – Veditela tu con la ragazzina, visto che non vuoi il nostro aiuto.
- Ragazzina a chi?- gli urlo contro e solo ora mi sento conto che è il ragazzo che Kunzite ha chiamato quando ha visto i pon pon.
Uno dopo l’altro se ne vanno tutti verso lo spogliatoio e perfino i ragazzi sugli spalti se ne sono andati annoiati da quello partita strana.
Ben presto restiamo solo noi due nella palestra silenziosa e deserta.
- E’ tutta colpa tua!- gli grido sedendomi a gambe incrociate sul pavimento – Dovevi ricevere sempre tu?
Passa sotto al rete e mi raggiunge sedendosi davanti a me.
Volto il viso dall’altra parte con fare offeso.
- Tra i due io dovrei esser quello offeso. – dichiara lui con una punta di ilarità nella sua voce sensuale.
Il bacio mi torna in mente, il mio stomaco si contrae e mi mordo all’istante un labbro per non cadere in tentazione e baciarlo di nuovo… è così dannatamente vicino.
- Perché l’hai fatto?- gli domando con un filo di voce – Perché mi hai baciato?
- Volevo trovare un modo per farti chiudere quella bocca insolente.
Ecco, lo sapevo, non posso crederci di aver anche solo sperato per un secondo che quel baci significasse qualcosa. Invece l’ho fatto, un veloce secondo dove ho creduto che un ragazzo come Kunzite potesse provare qualcosa per me. Un secondo umiliante per il mio orgoglio.
Mi sento ferita, colpita molto più da quella frase che dal discorsetto insignificante di Alan.
- Minako…- lo sento avvicinarsi a me e poggiare la sua grande mano sulla mia spalla piccola e fragile, vorrei che quella mano mi accarezzasse come ha fatto l’altra volta durante il bacio – ti ho baciato perché volevo che stessi zitta un secondo ma poi… quando hai risposto io… - è titubante, è imbarazzato… non l’ho mai visto così, la sua voce trema leggermente come se stesse trovando le parole giuste – io ho capito che forse non ti ho baciato solo per quello. Forse lo volevo fare e basta… senza scuse stupide.
Sorrido appena sempre con il viso rivolto dall’altra parte.
- E quegli stupidi pon pon?- domando decisa e non cadere di nuovo nella sua rete alla prima farse carina.
- Quello è stato un mio compagno di squadra.. non gli ho detto io di mettere quei cosi. Non l’avrei mai fatto, non dopo quello che ho capito con quel bacio. Mi dispiace.
Ora mi volto, non so perché ma le sue scuse mi sembrano sincere… reali.
- Farai ancora l’odioso quando mi vedrai?
Alza un sopracciglio e le sue bellissime, invitanti labbra si incurvano in un sorriso malizioso.
- Un pochino…
- Bene. – gli rispondo avvicinandomi appena a lui, non sopporterei di vederlo dolce e melenso in continuazione.
- Questo vuol dire che posso baciarti di nuovo?
Si avvicina e mi libera i capelli dal nastro.
- Molto meglio…- fa dandogli vita con una mano.
Le sue dita che scivolano tra i miei capelli è una sensazione paradisiaca che non avevo mai provato.
- Non hai risposto alla mia domanda. – continua lui fissandomi così intensamente da farmi arrossire.
- Non ti resta che provare Kunzite.
Sorride ancora di più e sposta il suo sguardo sulle mie labbra.
- Quello è lucidalabbra?
Sorrido, un sorriso vero, malizioso ma anche tanto dolce.
- Alla fragola.
Poi ci sono solo le sue labbra.

FINE

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Capitolo 9
*** Il profumo del Natale (prima parte) ***


Il profumo del Natale (prima parte)



Esser bambini.
Esser sempre bambini.
Non crescere mai, non cambiare, restare con la mente ingenua, tanti sogni e occhi sgranati su tutto quello che il mondo ti propone.
Invece si cresce.
Tutto cambia.
Il mondo non diventa più quel posto meraviglioso che credevi da piccolo. Sei costretto a diventare grande, diventi più consapevole di quello che ti gira attorno ed immediatamente torni a desiderare l’infanzia, per periodo dove la tua massima preoccupazione era il colore del vestito che deve indossare la tua bellissima bambola nuova che ti ha regalato papà.
Crescere vuol dire staccarsi dalla fantasia, vedere la realtà cruda che hai davanti agli occhi tutti i giorni, vuol dire prendersi delle responsabilità che non vuoi, che non hai mai voluto.
Ma ci sono molti lati positivi nel diventare grandi. Si diventa indipendenti, si conoscono persone speciali che possono vivere con te il tumulto dell’adolescenza dove non sei né grande né piccola, dove non sai se i ragazzi ti guardano perché gli piaci o solo perché non capiscono cosa siano le due piccole sporgenze che si intravedono sotto la camicetta. Crescere vuol dire anche sopravvivere alle amiche gelose, ai compagni che allungano solo le mani, ai brutti voti, ai professori severi.
A volte vuol dire solo imparare ad amare.
Quando ero piccola avevo paura di crescere, avevo paura di diventare come zia Kioko, bellissima e sempre maltrattata dagli uomini che amava. Mi ricordo quando piombava di notte a casa nostra, io ero piccina, eppure mi ricordo il suo viso rigato dal trucco colato per via delle calde lacrime, ricordo il suo straziante dolore, i suoi pianti isterici perché l’uomo che riteneva il più dolce del mondo aveva preferito al compagnia di un’altra. Ricordo che stavo seduta sui gradini che portano in cucina, a sentire mia madre che le preparava una tazza di tisana calda e la consolava dicendole che l’uomo giusto sarebbe arrivato prima o poi. Una volta mi sono avvicinata alla cucina, ho sbirciato dentro e avevo visto Kioko piangere sul tavolo, la testa appoggiata sulle braccia conserte, i suoi bellissimi capelli biondi, che io ho ereditato, sparsi sul tavolo come una cascata luminosa, la schiena scossa dai singhiozzi e mia madre accanto, con un braccio appoggiato sulle sue spalle, cercava di consolarla, di darle forza ma era chiaro che non credeva neppure lei a quelle parole.
Le stesse parole da anni.
Ero tornata in camera mia tremante, avevo undici anni, piccola eppure consapevole che stavo inevitabilmente crescendo, che dovevo abbandonare l’infanzia e buttarmi nel mondo dei miei genitori, di mio fratello e di zia Kioko.
E io non volevo finire come lei.
Mi ero coperta con il lenzuolo fin sopra la testa, tappandomi le orecchie con le mani continuando a ripetere a me stessa che non sarei mai innamorata, che non avrei permesso a nessun uomo di farmi piangere in quel modo. Non so quante volte l’ho ripetuta quella frase, ma so che erano tante… erano come un incantesimo. Un incantesimo di protezione.
Un pensiero profondo per una bambina di undici anni ora che ci penso.
Ma alla fine sono cresciuta ugualmente, ho trovato amiche fidate, la mia famiglia sta bene e zia Kioko continua la sua personale caccia all’uomo ideale. Solo che non viene più a piangere nel cuore della notte a casa nostra.
Forse si è rassegnata.
Per quanto riguarda il cuore… beh ci sono state un paio di storielle con dei miei compagni di scuola ma nulla di più, qualche bacio ma mai andata oltre.
In fondo crescere non è così brutto come temevo.
Anche se c’è un periodo dell’anno dove torno bambina, dove tutto torna dove deve stare. E il Natale, il periodo dell’anno che preferisco, con le vetrice colorate, le strade illuminate, perfino la gente è più serena, più disposta a lasciarsi andare. Ed è in questo periodo che io torno bambina, che i miei sogni hanno il sopravvento, che i miei timori sul futuro svaniscono come neve al sole.
Un profondo e lento sospiro mi riporta alla drastica realtà, sbatto le palpebre e vedo il mio riflesso nella vetro della finestra, sento un altro sospiro e mi volto è Minako che fissa incantata il tavolo rotondo del bar dove siamo sedute tutte quante.
- Ancora preoccupata per il regalo di Natale?- le chiede Rei sorseggiando quello che, se non ricordo male, è un succo d’arancia.
- Parli tu che sei certa sul regalo! – sbuffa la mia amica bionda con la testa appoggiata sul tavolo – Il tuo ragazzo lo conosci da una vita! Io e Kunzite siamo insieme da poche settimane… come faccio a sapere quello che gli piace o meno?
- Giocate entrambi a pallavolo no?- fa Ami che ha la risposta giusta a portata di mano in qualsiasi situazione – Puoi regalargli qualcosa per giocare.
Un lampo si accende negl’occhi di Minako.
- Ami sei un genio! Devo scappare! – si alza e corre via.
Restiamo in quattro, ci guardiamo in faccia e scoppiamo a ridere contemporaneamente, Minako è famosa per queste fughe improvvise.
Makoto si asciuga gli occhi, quegl’occhi verdi che le ho sempre invidiato, oltre alla sua bravura nel cucinare.
- Oddio è tardissimo. – si alza e si spolvera i pantaloni color muschio – Nephrite mi aspetta in centro… vuole fare un po’ di compere.
La vedo allontanarsi velocemente, canticchia come una sposa felice. Credo che non manchi proprio molto a quel momento, quando ci saremo diplomate Makoto sarà la prima a portare all’altare il suo ragazzo, in fin dei conti vivono quasi insieme ormai.
Poco dopo arrivano anche Zoisite e Jadeite portandosi via Ami e Rei.
Resto così da sola, come di norma nell’ultimo periodo. Osservo i bicchieri e i piattini vuoti accanto a me e sospiro sconsolata.
Le invidio un po’.
Mi appoggio allo schienale della poltroncina imbottita su cui sono seduta e torno a sospirare.
Lo faccio spesso in questi giorni.
Una mano entra nel mio campo visivo, prende un piatto, poi un altro e lo posa sopra il primo, prende un bicchiere, una tazzina e crea un’improbabile pila di stoviglie.
Se dovessi camminare io con quella torre in mano sarebbe già a terra in frantumi.
Non alzo lo sguardo perché so a chi appartiene quella mano.
Quella fantastica mano.
- Ti hanno lasciato sola anche oggi eh?- mi domanda con quel tono dolce e io mi chiedo sempre come faccio a non svenire ogni volta che mi parla.
- Già. – rispondo cercando di sembrare solida, una donna tutta d’un pezzo.
Non resisto alla tentazione di guardarlo, di ammirare il suo bellissimo viso e alzo gli occhi. Percorro la linea del suo braccio, salgo sfiorandogli appena il petto, la spalla, il collo, il mento coperto da un filo impercettibile di barba, le labbra perfette, il naso ed incontro le due pozze blu che ha al posto degli occhi, potrei immergermi in quello sguardo per ore, sono profondi come l’oceano e dolci come una ciambella.
Vorrei tanto che mi guardasse non solo come una bambina ma anche come una donna che può amare. Che può amarLO.
- Dovresti trovare anche tu un fidanzato.
Sorrido e torno a concentrarmi sul mio gelato mangiato solo a metà.
- Ci sto lavorando.
Sento che mi sta sorridendo e io mi volto a fissare fuori dalla vetrata, la realtà è che non potrei osservarlo mentre lavora, l’ho già fatto altre volte e sempre ero sul punto di cedere, di gettarmi tra le sue braccia mandando al diavolo quel briciolo di autocontrollo e dignità che mi è rimasto. Torno a massacrare questa povera coppa gelato che non ha fatto nulla di male, mescolo i gusti creando una poltiglia marroncina che ha ben poco di appetitoso.
Mamoru lavora da Motoki quando l’università e l’ospedale glielo permettono, un comportamento molto maturo e responsabile.
Lo ammiro molto per questo.
Lo ammiro per molte cose.
Lascio i soldi sul tavolo, mi imbacucco bene nel mio cappotto di lana bianca, mi sistemo la sciarpa e i guanti rosa e vi volto verso di lui. Sta servendo del caffè ad un cliente, sorrido appena sapendo bene che presto si accorgerà che sto uscendo. Alza lo sguardo e si volta verso di me, è come se sentisse che sto per andarmene o forse sono solo io che voglio pensarla in questo modo. Mi fa un lieve cenno col capo e io ricambio prima che il freddo pungente dell’inverno mi colpisca il viso.
Affondo si più il capo nella sciarpa cercando un vago calore che so che non arriverà prima di cinque minuti.
Il cielo è grigio con varie striature di bianco che promettono solo neve e altro freddo. Sarebbe bello passeggiare per le vie della città con un ragazzo come Mamoru accanto. Camminare piano, assaporare i profumi che il mondo offre solo durante il Natale mentre i primi magici fiocchi di neve scendono dal cielo.
Sì, sarebbe proprio bello.

***
Quando ero piccolo non vedo l’ora di crescere.
Di prendere in mano la mia vita, di decidere da solo dove andare e con chi stare.
Fin dal giorno dell’incidente, quando i miei genitori sono morti, io non ho più avuto la possibilità di parlare con la mia voce. C’erano sempre altri a parlare per me, avvocati, assistenti sociali, amici dei miei genitori che neppure ricordo e famiglie adottive. Non ho potuto dire la mia, decidere con che famiglia stare, chi amare, chi chiamare mamma e papà.
Mai.
Nelle lunghe serate estive, quando faceva abbastanza caldo da non lasciarti dormire la notte, io immaginavo di volare lontano, in un posto dove avrei potuto esser chi volevo e quando volevo. Immaginavo il mio futuro, un futuro che potevo scegliermi da solo.
E, compiuti i diciotto anni, me ne sono andato di casa.
Dall’ennesima casa che mal vedeva quel ragazzo solitario sempre con la testa tra i libri.
Ho fatto i lavori più umili per entrare all’università e ho studiato molto per ricevere quella borsa di studio.
Volevo crescere per starmene per conto mio, per afferrare la mia vita con entrambe le mani e guardare gli altri che hanno sempre scelto per me e urlargli: Guardate! Non sono il moccioso decelerato che avete sempre creduto! Ho un cervello e sono capace di usarlo.
Ma dopo essermene andato da casa, dopo aver passato l’esame d’ammissione all’università a pieni voti, dopo aver trovato una casa decente e dopo aver ricevuto la borsa di studio, quella magra consolazione non mi serviva più.
Serio, diligente, responsabile, freddo, distaccato, questi sono solo alcuni degli aspetti del mio carattere. Motoki dice che sono un uomo di granito, che dovrei esser più ingenuo, più fiducioso verso gli altri.
Forse ha ragione.
Forse no.
Forse non sono mai stato un vero bambino, forse il mio passato, il mio traumatico passato, ha cancellato in me quell’innocenza fanciullesca che c’è in ogni bimbo. Forse sono diventato uomo troppo presto, così presto che ero un uomo in un corpo da bambino.
Per questo ho sempre voluto crescere e diventare un uomo.
Per questo un po’ invidio Usagi.
Il suo approccio al mondo, quell’espressione innocente da ragazzina che ogni tanto ha, quei suoi occhi sempre fiduciosi e la sua innata capacità di credere nelle persone.
Mi piacerebbe, anche solo per una volta, provare quello che prova lei quando osserva le persone che la circondano. Mi piacerebbe lasciarmi andare, fingere, anche solo per un’ora, di non avere responsabilità, di non aver pensieri, di esser tornato a quando ero piccino.
Ma non ci riuscirei, non ne sono capace, io sono questo e non posso certo cambiare.
Fisso le ragazze da dietro il bancone, questo grembiule mi fa sembrare ridicolo ma aiutare Motoki è un po’ il mio ringraziamento per essermi amico anche quando sono decisamente insopportabile. Il chi vuol dire spesso in quest’ultimo periodo.
Parlottano tra di loro, poi Minako prende ed esce come una furia facendo ridere altre. Continuo a servire ai tavoli giusto il tempo necessario per vedere anche le altre uscire con i rispettivi fidanzati.
Finisco di sistemare il tavolo, Usagi è seduta da sola come accade spesso in queste ultime settimane, sospira guardando fuori dalla finestra.
Vorrei sapere quali pensieri affollano quella testolina buffa.
Mi avvicino a tavolo e inizio a pulire, so che mi ha visto ma non si volta.
- Ti hanno lasciato sola anche oggi eh?
- Già. – risponde malcelando il suo disappunto per la situazione.
Si volta verso di me e io resto folgorato, il sole brilla alle sue spalle, la luce l’avvolge come una coperta dorata, i lunghi capelli brillano come oro puro, gli occhi sono due immensi zaffiri luminosi, mi sorride e il mio cervello, il cervello di cui vado tanto fiero, diventa una pappetta informe.
- Dovresti trovare anche tu un fidanzato.
Dio mio che farse idiota!
Non dovrei dire queste cose ad una ragazza.
Ma non sono mai stato bravo nelle relazioni tra uomo e donna.
Credo che diventerò uno di quei medici così freddi distaccati da lasciare solo un paziente in studio dopo avergli dato una brutta notizia, già mi vedo che porgo un pacchetto di fazzoletti all’ennesimo malato terminale e poi esco con la patetica scusa di un’urgenza, lasciandolo solo con il proprio dolore.
Forse Motoki ha ragione quando dice che sono di granito.
Intanto il sorriso di Usagi si è affievolito anche se non vuole farmelo notare.
- Ci sto lavorando.
Vorrei consolarla ma non so proprio da che parte si inizia così pulisco il tavolo e torno al mio lavoro.
Usagi resta seduta ancora qualche minuto poi si alza e si mette il cappotto. Mi saluta con un cenno di mano e io alzo solo il capo impegnato come sono con questi clienti.
Esce dal bar, affonda di più le mani in tasca e affossa il capo tra le spalle cercando un po’ di colore.
Mi immagino al suo fianco, cercando quell’innocenza che lei può darmi, scaldandola con il mio corpo.
Sì… sarebbe bello.

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Capitolo 10
*** Il profumo del Natale (seconda parte) ***


Il profumo del Natale (seconda parte)



- Non sono la donna adatta lui. – dico demoralizzata mentre prendo un biscotto dal tavolino di Rei.
Tecnicamente saremmo qui per studiare ma, come al solito, i nostri problemi personali riescono a prendere il sopravvento sulla nostra voglia di studiare.
Beh… non è che ci voglia poi molto.
- Dovresti smetterla di buttarti giù. – mi incoraggia Minako sfogliando a caso le pagine di una rivista che ha tirato fuori dalla borsa insieme al libro di storia e geografia.
- Ha ragione. – fa Makoto che sposta lo sguardo dall’equazione di matematica, al quaderno di Ami per copiare, alla rivista di Minako dove c’è un articolo sul suo cantate preferito – Se non gli confessi i tuoi sentimenti non potrai mai saperlo.
- Se gli confesso i miei sentimenti l’unica reazione che posso aspettarmi è una sonora risata in faccia. – mormoro scarabocchiando un angolo del mio quaderno di scienze dove dovrei rispondere a delle stupide domande sull’atomo, gli ioni o qualcosa del genere.
- Non puoi esserne certa..- dice Ami senza staccare gli occhi dal libro di informatica avanzata – in fondo, da quello che sappiamo, lui non ha un ragazza fissa.
Mi mordo un labbro, è vero Mamoru non ha mai accennato ad una ragazza e non l’abbiamo mai visto accanto a qualcuno di diverso da Motoki. Eppure è un bellissimo ragazzo, perché non è circondato da bellissime donne?
Che sia… oddio… che sia… no, non riesco neppure a dirlo!
Scuoto la testa scacciando questo orribile pensiero e sospiro, una mano delicata e dalle lunga dita si posa sulla mia spalla.
- Non angustiarti, - mi sussurra Rei con un tono dolce, un tono che usa raramente con me – è meglio sapere subito quello che prova Mamoru invece che fantasticare inutilmente no?
- Rei…- mormoro ingoiando l’ultimo pezzetto del biscotto al cioccolato – quando sei così dolce mi fai paura.
- Usagi ha ragione. – mi da corda Minako con voce tremante – Sembri posseduta da uno spirito che ti rende dolce… e mielosa… - finge di rabbrividire quando un cuscino la prende in pieno viso.
- Non sei divertente Minako!- urla Rei con il fumo che le esce anche dalle orecchie.
Ecco ora è la solita Rei, la preferisco in questa versione.
Minako afferra il cuscino e lo lancia verso la mia amica mora che si abbassa giusto in tempo così da finire in faccia a Makoto.
- Io cosa c’entro! – urla lei afferrando il cucino e tarandolo verso Minako che lo devia con una mano finendo in testa a Ami.
- Io voglio solo studiare!- grida l’altra prenderlo e tirandolo verso Makoto ma sbaglia mira e prende me in faccia.
- Ehi è colpa di Rei! – ribatto io rispondendo con un’altra cucinata e prendendo Rei.
E’ così che il nostro pomeriggio di studio è finito in una nuvola di piume.

***
- Non sono l’uomo adatto a lei. – sospiro tristemente mentre osservo incantato il liquido scuro nella mia tazza.
- Perché dici questo? – mi chiede Motoki appoggiato al bancone, oggi non ha bisogno di me e posso comportarmi come un cliente normale.
- Lei è vitale, allegra, istintiva.
- E tu sei un pignolo, musone, razionale.
- Grazie tante Motoki. – ribatto lievemente stizzito.
- Prego… dico solo la verità. – ridacchia lui divertito.
- Non mi sei d’aiuto!
- Andiamo Mamoru, all’università sei circondato da bellissime ragazze e quante volte sei uscito con loro?
- Non mi ricordo. – mento io girando il caffè nella tazza.
- Te lo ricordo io: tre volte. Sei uscito solo con tre razze e solo per una piccola uscita finita male.
- Allora?
- Allora sei talmente innamorato di Usagi che qualsiasi ragazza con cui esci la trovi noiosa o stupida. – si avvicina al mio viso continuando a tenere quell’aria da uomo che la sa lunga in fatto di donne anche se, a dire il vero, è conciato peggio di me – Devi dirglielo.
Si allontana dal mio viso e va a prendere le ordinazioni di due ragazze che sono appena entrate nel locale.
Forse ha ragione, dovrei dire ad Usagi i miei sentimenti, il massimo che può capitare è che non voglia uscire con me.
E se poi non vuole più vedermi?
No… non posso rischiare tanto, i pomeriggi al bar dove parliamo è tutto quello che ho. Non posso perdere queste occasioni di starle accanto.
Soffrirò ancora per un po’… è meglio così.
Osservo Motoki che serve le due ragazze, probabilmente hanno la stessa età di Usagi e delle sue amiche, sorridono e parlano tra i loro, sembrano felici, hanno una luce intensa negl’occhi.
- Stavo pensando… - continua il mio amico tornando al bancone – un modo perfetto per far capire ad Usagi che ti piace è farle un regalo a Natale. Non trovi?
- Non mi piace il Natale. – rispondo bevendo un sorso di caffè ormai disgustosamente freddo.
- Sei impossibile! – sbuffa contrariato prendendo la mia tazza vuota ed inserendola nella lavastoviglie.
- Lo so.
Sento la porta che si apre alle mie spalle e una folata gelida mi raggiunge sulle schiena.
- Ciao a tutti! –una voce cristallina, felice, limpida come il canto di un angelo.
Sorrido, non posso farne a meno e mi volto.
E’ appena entrata, imbacuccata nel suo cappotto, il capellino rosa calato fin quasi sugli occhi, le sciarpa le copre la bocca sottile che vorrei tanto baciare e le mani guantate reggono una decina di borse dei più svariati negozi. Cammina spedita fino al bancone, poggia a terra i suoi acquisti e si toglie il cappello. I suoi bellissimi capelli sono elettrici e si alzano appena mentre cerca con una mano di sistemarli mentre con l’altra si libera la bocca dalla sciarpa.
Come fa una ragazza esser così dannatamente seducente e sensuale anche solo mentre si toglie una sciarpa?
Dio mio… ora l’afferro e la bacio.
- Mamma mia Usagi. – fa Motoki affacciandosi dal bancone per vedere tutti i pacchetti che ha messo a terra – Hai dato fondo a tutti i tuoi risparmi?
- Più o meno…- sorride lei poggiando il capello, la sciarpa e i guanti sullo sgabello accanto al mio e slacciandosi i bottoni del suo lungo cappotto bianco uno dopo l’altro. Osservo le sue dita perfette mentre accarezzano il bottone lucido, poi lo fa passare per l’asola, passando al successivo.
Quanto invidio quei bottoni.
- Quando arriva il Natale non riesco a darmi un freno e faccio shopping selvaggio. Quest’anno poi ho trovato tutti i regali per le mie amiche in tempo record! Così mi sono fatta qualche regalino.
Non presto neppure attenzione alle sue parole, il cappotto si apre davanti ai miei occhi e la sua figura snella avvolta in un maglioncino rosa corto e un paio di semplici jeans blu scuri, mi riempie la vita togliendomi il respiro.
Credo che dovrò farmi un lunga doccia gelata quando torno a casa.

***
Mi sta fissando, lo sento, è impossibile non capirlo, sento la mia pelle che va a fuoco sotto i suoi occhi ma faccio finta di niente. So di aver attirato la sua attenzione, questi vestiti mi fanno sembrare più grande e mettono in risalto la mia figura che non è poi così male nonostante tutto quello che mangio.
Mi siedo accanto a lui, posando sulle gambe il mio cappotto.
- Sei sola?- mi chiede Motoki, l’unico che sta parlando fin ora.
- Sì, Minako si sta allenando con Kunzite, Ami e Zoisite vogliono portarsi avanti con i compiti delle vacanze, Rei e Jadeite hanno deciso di fare compere per conto loro, Nephrite si sta preparando per degli esami che deve dare a gennaio e Makoto è al supermercato a fare la spesa perché vuole cucinargli i suoi piatti preferiti. – mi mordo la lingua e abbasso il capo – Scusami Motoki… me n’ero scordata.
Lui sorride e fa un cenno con la mano.
- E’ acqua passata, - tenta di rassicurami – sapevo che Makoto lo amava ancora, non mi ero mai fatto troppe illusioni. Va bene così Usagi… veramente. Lei è felice e a me basta.
Sorrido di rimando a Motoki, so che gli era costato tanto dire a Makoto quello che provava, ormai da parecchi mesi, e so anche che non deve esser stato facile vedere la donna che ami tornare con il ragazzo che l’aveva fatta soffrire tanto. Ma Makoto è un donna forte e Nephrite ha capito quello che aveva perso. Sono innamorati più di prima, talmente tanto che fanno venire la nausea anche a Minako.
- Stai con i tuoi genitori il giorno di Natale? – mi chiede Motoki passandomi una tazza e versandoci dentro della densa e calda cioccolata.
Mi avvicino alla tazza e annuso estasiata il suo dolce profumo.
- Sì, volevano andare dai nonni ma hanno preferito passarlo in casa. Panna per favore.- chiedo porgendogli la tazza.
Il mio amico biondo sorride e mi mette la panna nella tazza.
- E tu?- chiedo prima si immergere il cucchiaino nella soffice nuvoletta di zucchero che galleggia sulla mia cioccolata.
- Chiudo il bar un paio di giorni e vado dai miei in montagna, c’è anche mia sorella che è appena tornata da un viaggio studio in Francia. Passerò due giorni a sciare.
Ho finito i discorsi che potevo fare con Motoki, afferro quella briciola di coraggio che ho e mi volto verso Mamoru.
- E tu Mamoru? – domando con un filo di voce.
- Sono di turno in ospedale. – dichiara distaccato.
- Ma è il giorno di Natale.
- La gente si ammala anche a Natale Usagi. E poi il Natale è giorno come un altro. – si alza e si avvia verso il bagno.
Mi volto verso Motoki che è sorpreso quanto me.
- Solitamente non passa con te il Natale?
- Sì, ma quest’anno ha preferito fare il turno in ospedale che venire a cena da me. Lo sai che Mamoru è sempre stato molto suscettibile sul Natale e le altre feste.
Annuisco tornando a concentrami sulla mia cioccolata quasi finita, so che Mamoru ha avuto un’infanzia difficile. Forse sono stata io ad essere poco delicata nel fargli quella domanda.
- Non ti preoccupare. – mi tranquillizza Motoki con un sorriso – Vedrai che quanto torna dal bagno si scuserà per il suo comportamento. Fa il burbero ma sotto sotto è un pezzo di pane.
Come se fosse stato chiamato a gran voce Mamoru esce dal bagno e torna da noi.
- Scusami Usagi. – dice con un sospiro – Non dovevo esser così burbero.
Mi volto verso Motoki che mi fa l’occhiolino e torna al suo lavoro.
- Non importa. – rispondo con un filo di voce alzandomi ed infilandomi il cappotto – Sono stata io poco delicata, dovevo farmi i fatti miei.
Mi sistemo la sciarpa e il cappello e prendo le buste.
- Ti do una mano. – fa lui anticipandomi e prendendo alcune buste.
Sorrido e annuisco.
- Grazie.

***
Quel suo sorriso e quella piccola parola mi hanno riempito il cuore di gioia. Mi sono comportato veramente da stupido. In bagno mi sono guardato allo specchio e mi sono dato del cretino, lei voleva solo esser gentile e io ho grugnito qualche parola come un orso.
Ma ora voglio rimediare.
Il freddo ci ha attaccato appena fuori dal bar, vorrei poter mettere un braccio intorno alle sue spalle e avvicinarla al mio corpo per scaldarla ma questi pacchi sono d’impiccio, senza contare che, probabilmente, mi tirerebbe un ceffone.
La osservo con la coda dell’occhio, Usagi si guarda attorno con un sorriso fanciullesco da mettermi allegria. Sembra una bambina che osserva il mondo per la prima volta. Si ferma a contemplare le vetrine addobbate, alza lo sguardo per vedere le luci natalizie sulle strade, saluta tutti quelli che incontra e ha anche fatto un’offerta ad un Babbo Natale che sta raccogliendo fondi per l’ospedale.
- Il Natale ti piace molto a quanto pare. – sorrido mentre lei è qualche passo avanti a me, saltella come una bambina e io non posso che adorarla sotto questo aspetto.
- Sì,- ammette arrossendo un poco – è il periodo dell’anno che preferisco.- si ferma un attimo come se stesse riflettendo se continuare o meno - Perché a te non piace?
Alzo le spalle come se non sapessi la risposta quando, invece, la conosco bene.
Il Natale è per le persone che hanno una famiglia… e io non ho una famiglia.
- Le strade sono affollate, la gente accalca i negozi, i prezzi aumentano e poi non sopporto l’idea che bisogna esser più buoni solo in questo periodo. Une persona è buona a prescindere dal mese, lo è sempre.
Si volta verso di me, i suoi occhi sono così luminosi che quasi mi manca il respiro.
- E’ solo una festa Mamoru… un giorno per esser felici. Un giorno per tornare bambini.
- Sono cresciuto molto in fretta Usagi, - ecco che torna il tono freddo e distaccato, purtroppo quando si parla della mia famiglia mi chiudo a riccio – non voglio tornare bambino.
- Peccato. – fa lei tornado a guardare la strada davanti a lei – Ti perdi molte cose.
- Tipo?
Sorride di nuovo.
- La luce dorata che avvolge la città, il calore che hanno i visi delle persone serene, l’amore che fluttua nell’aria e quel profumo che ha il mondo.
- Che profumo?
- E’ difficile da spiegare… è misto di carta da regali, abeti, frutta secca, cibo e un sacco di altre cose che non so spiegare. E’ un aroma che si sprigiona solo i primi di dicembre fino al giorno di Natale. Solitamente sono i bambini che lo sentono ma anche gli adulti se solo riuscissero a ricordare com’era bello quando si era piccoli.
- L’unico odore che sento è quello dei tubi di scappamento, della metropolitana e delle fogne mal gestite della città.
- Ecco…- fa lei dispiaciuta – non puoi capire.
- Mi dispiace. – le dico amareggiato – Non sono la persona adatta per capire queste cose.
- No..- mormora stringendo le borse – forse no…
Il mio cuore piange nel sentire queste parole, forse è vero che sono troppo freddo per una come lei. Lei ha bisogno di un uomo che sappia renderla felice, io non ne sono capace, non so darle quello che merita.
Mi sento morire dentro.

***
Mi sento morire dentro.
Mamoru e io siamo così diversi… abbiamo pensieri opposti.
Non è destino.
Non è proprio destino.
- Stai bene Usagi? – alzo lo sguardo dal piatto che mamma mi ha messa davanti agli occhi.
- Sì, mamma, - le rispondo con un lieve sorriso – sono solo molto stanca. Ho camminato parecchio oggi.
- Cara mangia qualcosa e poi vai a riposare. – mi sorride con il tono dolce tipico delle madri, deve esser di buon umore questa sera, solitamente quando vede che spendo così tanto mi fa una ramanzina lunga delle ore. Invece questa sera ha solo arricciato un po’ il naso e poi non ha detto nulla.
Strano… molto, molto strano.
Devo avere un’espressione così orribile da far pena perfino a lei.
Mangio appena, qualche boccone masticato velocemente ed ingurgitato ancor più velocemente. Sistemo i miei piatti e vado in camera mia, sento mio padre che si avvicina a mamma sussurrandole qualcosa come: “Magari ha l’influenza… non ha toccato cibo”
Mi chiudo la porta alle spalle e sospiro, i miei acquisti sono sparsi sul letto, solitamente li impacchetto subito, è una delle parti che preferisco. Immagino sempre la faccia di chi lo riceve mentre rompe il nastro e strappa la carta colorata ma questa sera non ho voglia di immaginare visi sorridenti e sguardi lucidi.
No, stasera voglio solo buttarmi a letto e dimenticare il momento esatto in cui il mio cuore si è spaccato a metà.
- Usagi…- è mia madre dall’altra parte della porta – Usagi…
- Che c’è mamma? – domando accendendo la luce della lampada sulla scrivania.
- Una telefonata per te.
Il mio cuore sussulta un attimo.
- E’ Minako. – continua quasi timorosa.
Il mio cuore torna a battere normale, deluso dall’ennesima illusione.
Apro la porta e prendo il telefono che mamma mi porge, ero così concentrata sui miei problemi che non l’ho neppure sentito suonare.
Torno nella mia camera e mi siedo alla scrivania.
- Pronto?
- Finalmente ti ho trovato è tutto il giorno che ti stavo cercando! Motoki mi ha detto che ti ho perso per un soffio.
- Perdonami ma ero molto stanca e sono tornata a casa piuttosto presto. – tento di scusarmi guardando distrattamente il fumetto metà letto che ho tra i vari libri di scuola.
- Hai fatto compere?
- Sì, ho speso quasi tutti i miei risparmi e tu?
- Sto cercando di convincere Kunzite a regalarmi un maglioncino che abbiamo visto oggi in un negozio dopo gli allenamenti. Io invece ho trovato il regalo perfetto per lui…
- Perfetto. – mormoro poco convinta sfogliando le pagine a casaccio osservando solo qualche figura.
Minako sta zitta qualche secondo e poi sospira.
- Cos’è successo Usagi? – mi domanda.
Mi mordo un labbro per non scoppiare a piangere.
- Nulla.
- Non mentire…
- Minako io… - sento un bip nella comunicazione e mi fermo – Minako scusa ho un’altra chiamata, resta in linea.
- Certo.
Schiaccio il pulsante per chiudere la conversazione con Minako e schiaccio l’altro per aprire la seconda chiamata.
- Pronto?
Nessuna parola, si sente solo il rumore del traffico.
- Pronto?
Ancora nulla, solo il rumore del traffico.
Sbuffo contrariata, sto per chiudere quando sento una voce maschile dall’altra parte.
- Usagi…
Il mio stomaco si contrae in uno spasmo, il mio cuore inizia a battere all’impazzata, riconosco quella voce… io… io la conosco…
Ho ancora il ricevitore in mano, attaccato al mio orecchio ma la mia mente è altrove, lontano mille miglia da qui è con…
- Mamoru? – mormoro con un filo di voce.
- Scusami se ti chiamo a quest’ora ma ho dovuto chiamare altri sei numeri prima di trovare casa tua.
Sorrido, la mano libera sta arricciando uno dei miei codini.
- Volevo parlarti. – continua con un tono di voce che non li ho mai sentito.
- Resta un attimo in linea. – gli dico riprendendo la telefonata con Minako.
- Era ora..- fa lei scocciata.
- Ti chiamo domani. – le dico senza darle nessuna spiegazione.
Sento che si lamenta dall’altra parte ma io non ci bado e chiudo la comunicazione riprendendo immediatamente la telefonata con Mamoru.
- Eccomi.
- La tua camera da sulla strada?
- Come?
- La tua camera da sulla strada?
- Sì, perché?
- Affacciati.
- Mamoru ma cosa…
- Usagi affacciati.
Mi alzo dalla sedia e vado alla finestra, sposto appena la tendina e mi viene quasi un colpo.
Mamoru è in mezzo alla strada, sta guardando giusto nella mia posizione con il cellulare in mano, apro la finestra e mi affaccio senza badare al freddo.
Dio mio se è bello…

***
Dio mio se è bella…
- Cosa ci fai qui?- mi domanda sempre al cellulare per evitare di urlare in mezzo alla strada.
Già… bella domanda, cosa ci faccio qui?
Devo dirle che, appena ci siamo separati, sono entrato in un cabina telefonica a sfogliare l’elenco degli abbonati solo per trovare il suo numero e il suo indirizzo? Devo dirle che è tutta la sera che corro da una parte all’altra della città solo per trovare cosa sua? Devo dirle tutto questo? Non lo so, non so neppure perché l’ho fatto. Forse volevo solo farle sapere che ci tengo a lei, che non importa se siamo differenti, che sono proprio queste differenze a renderla speciale ai miei occhi. Posso dirle che non posso più nascondere quello che provo?
Non lo so… per ora posso solo dirle:
- Mi dispiace Usagi.
Anche se lontana posso vedere i suoi occhi socchiudersi un momento.
- Per cosa Mamoru?
- Per esser stato così gelido oggi e per averti dato della bambina, anche se non in modo diretto.
- Non importa. – sussurra lei chinando appena il capo – Non è colpa tua.
- Invece sì,- ribatto deciso – sono stato insensibile.
Qualcosa di piccolo e candido mi passa davanti agli occhi, una… due… tre volte… alzo il capo e vedo i primi fiocchi di neve scendere flaccidi sulla terra, fanno strane spirali nel cielo prima di posarsi sull’asfalto e poi sciogliersi in pochi attimi. Torno a guardare Usagi, la mia vista è perfetta, la piccola, dolce, innocente creatura che amo ha alzato anche lei il capo e cerca di raccogliere i fiocchi di neve con la punta della lingua.
Un sorriso mi increspa le labbra e, con quella soave visione, pronuncio una frase che mi tengo dentro da mesi.
- Vuoi uscire con me?
Chiude la bocca e mi fissa.
- Cosa?
- Usagi...- parlo piano scandendo bene ogni singola parola – vuoi uscire con me?
- Uscita uscita?
Ridacchio divertito e annuisco:
- Un appuntamento Usagi. – specifico con un sorriso mentre i fiocchi candidi si incastrano tra i miei capelli – Io, te e una cenetta. Allora, vuoi uscire con me?
- Sì. – una sillaba sola, detta con un filo di voce tremante ma che ha la capacità di alleggerirmi il cuore.
- Ti passo a prendere domani sera alle sette. Va bene?
- Benissimo. – conferma lei con un sorriso luminoso come la luna piena.
- A domani allora.
- Ciao Mamoru.
Chiudiamo la telefonata, resto a fissarla fino a quando non rientra nella sua stanza sicuramente congelata. Affondo la mani nella tasca dei pantaloni e mi dirigo con passo svelto verso casa. Nevica più forte ora, i fiocchi sembrano grandi batuffoli di bambagia che cadono dal cielo, la neve inizia a rimanere sulle strade imbiancando i marciapiedi e i miei vestiti.
Mi blocco all’improvviso e alzo la testa, i fiocchi scendono sul mio viso baciandomi la pelle accaldata dopo quella telefonata con il mio angelo. Tiro fuori la lingua come un bambino dell’asilo, un fiocco gelato mi si posa sulla punta sciogliendosi all’istante, assaporo quel sapore dolce e mi pulisco il viso con le mani calde. Torno a camminare ma faccio solo pochi passi che un dolce profumo giunge al mio naso, un profumo che non ho mai sentito ma che, in qualche modo, mi è famigliare. Una fragranza che mi riporta indietro di anni, quando ancora ero bambino.
Non c’è bisogno di chiedersi a lungo che cos’è: è il profumo del Natale.

FINE


Siamo giunti alla conclusione anche di questa FF.
A tutte voi che volevate un finale con un bacio mi dispiace ma il finale aperto mi piace di più, rende meglio l’idea e, comunque, è sempre un finale a lieto fine.
Spero che vi abbia emozionato anche questa parte.
Ora posso dedicarmi anima e corpo all’ultima storia in sospeso che ho di Sailor Moon, il capitolo è quasi finito quindi, se tutto va bene, dovrei postarlo presto.
Grazie per aver letto e commentato, grazie per avermi sopportato e grazie per avermi sempre sostenuto!
Vi voglio bene!
Baci
Elena

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