Capitolo
2
Charlie
Brown
Non ricordo
se in un film o in un libro, ma una volta l’attore Robin Williams disse che il
Creatore ci aveva dotati di un organo riproduttivo e di un cervello e,
purtroppo, sangue sufficiente a farli funzionare solo uno alla volta. In poche
parole se avessi ragionato con il pene, quella mattina mi sarei svegliato con
Sakura accanto, invece mi svegliai con un forte mai di testa. Troppo sangue al
cervello.
Dopo una
decina di sbadigli mi decisi ad aprire l’acqua della doccia e, preso il rasoio,
mi chiusi dentro per la sciacquata mattutina. Senza barba ribelle, lavato e
profumato mi presentai al lavoro con il preciso intento di non essere
disturbato per tutto il resto della mattinata. Oramai l’attività era in moto e
teoricamente potevo anche saltare un giorno o due di ufficio, me lo meritavo
dopo tutto l’impegno che avevo messo per garantire un’apertura puntuale, eppure
sapevo che i miei superiori di Hong Kong non me lo avrebbero permesso quindi,
durante la videoconferenza giornaliera, non lo chiesi nemmeno. Ricevetti i
complimenti quotidiani per il buon lavoro svolto fino a quel momento e terminai
il programma.
Il sorriso
di Yuko fece capolino nel mio ufficio con una tazza fumante di caffè. Il suo fu
il primo curriculum che mi capitò tra le mani e fu anche la prima persona con
la quale pranzai in città, prima avevo sempre mangiato da solo finché non la
presi con l’azienda, mi consigliò i posti migliori nelle vicinanze. Fu il suo
sorriso a convincermi, era piena di vita e portava sempre con se una spilla del
nastro rosa, simbolo che aveva sconfitto un cancro al seno, non le ho mai
chiesto niente ma penso che fosse quello il motivo della sua gioia permanente.
Tra di noi
c’era parecchia sintonia e dopo il lavoro non era raro andare a cena insieme- o
anche solo a passeggiare, stare tutto il giorno seduti ti pietrifica le
ginocchia - più di una volta. Si può dire che stessi bene in sua compagnia,
forse per il fatto che, a differenza di un’altra mia conoscenza, non mi aveva
chiesto di andarci a letto il secondo giorno.
«La vedo
stanco questa mattina.» La sua voce mi ridestò in quanto mi stavo per appisolare.
Tutta colpa di Sakura: passai la notte in un bagno di sudore tra sogni poco
casti, un miscuglio di incubi e citazioni grottesche, in più il mal di testa
martellava incessante.
«Vorrai
dire “più stanco del solito”.» Cercai di sorridere e sembrare lucido mentre
assaporavo il caffè bollente. «Non ho avuto una notte tanto tranquilla,
aggiungerei per niente.»
«Si tratta
di una donna?» Lo chiese con un virgola di invidia e feci finta di non
accorgermene.
«Incubi…»
Il telefono della scrivania di Yuko mi salvò da una conversazione indesiderata,
restai solo con il caffè, il mio tessssssoro! Non ricordo di averne mai bevuto
così tanto come in quel periodo, ho rischiato di diventarne dipendente, così
come lo ero per le sigarette. Infatti mi venne voglia di uscire a fumare non
appena terminai la tazzina.
«Shaoran!»
Tomoyo. Lei la riconobbi all’instante, esplose il mio nome come se volesse
assordare tutti quelli che erano in strada, tanto che spense la fiamma
dell’accendino. Non era cambiata molto, a differenza della cugina, anche le sue
forme si erano ammorbidite con la crescita ed era diventata molto alta,
praticamente quanto me.
«Buongiorno,
sigaretta?»
«Grazie!»
Ne prese una dal pacchetto e le porsi la fiamma del mio accendino. «Accidenti a
te: erano tre giorni che non fumavo, sto cercando di smettere.»
«Bastava
dire “no, grazie”.»
«Lo so ma
mi rilassano, soprattutto in questo periodo…comunque, come vanno le cose? Vedo
che l’attività è tranquilla, inoltre Sakura mi ha raccontato della cena
superlusso di ieri notte.» Se la ridacchiava sotto i baffi.
«Ti ha
raccontato ogni particolare?»
«Ovvio,
però non ho ancora deciso se etichettarti come idiota o gentiluomo.» Non ho mai
capito come facesse a dire ogni singola frase con lo stesso beato sorriso.
Sembrava un agnello pronto al macello. «In ogni caso, mi ha confessato che era
tesissima all’idea di averti così vicino e che sei stato davvero gentile, è
molto felice di averti rivisto.»
Tesissima?
Una persona tesa non si getta su di un'altra persona gridando di andarci a
letto, ma questi sono punti di vista. Vidi che gettò la sigaretta ancora prima
che arrivasse a metà, era il momento che fossi io a chiedere qualcosa: «A te
come vanno le cose?»
«Mi sono
laureata e gestisco l’azienda di mia madre, quella di giocatoli, inoltre ho
voluto aprire una divisione per i film ed i cartoni animati, abbiamo fatto
alcuni corti istruttivi per le scuole ed adesso sto producendo un film, mi
sarebbe piaciuto girarlo di persona ma non ho la stessa bravura del regista. Se
vuoi, quando sarà terminato potrei farti avere un biglietto per la prima,
magari riesce a venire anche Sakura.»
Sakura,
Sakura, Sakura, si finisce sempre col nominarla, stava cominciando ad annoiarmi
quel nome.
«Ti ha per
caso detto che sta con qualcuno?» Come volevasi dimostrare, sempre a parlare di
lei, perché Tomoyo se ne uscisse con quella domanda non lo so ma non potei che
rispondere con ciò che mi aveva detto la notte prima.
«Non stanno
insieme ma sono molto intimi, è da quasi nove mesi che non fanno altro che
andare a letto. E’ un po’ brutto messo in questi termini ma è così. Lei non
vuole questa situazione e più volte mi ha raccontato come ha provato a cercare
qualcosa di più. Escono insieme ma non si sfiorano nemmeno, non si danno la
mano, non si baciano, si chiamano per cognome come degli sconosciuti. Dopo un
po’ ci fai l’abitudine e lo vedi come una variante di ciò che pensi sia
l’amore, ne rimani intrappolato.»
Le mie mani
cominciarono a sudare: non volevo sapere i fatti privati di Sakura, mi facevano
male.
«Capisci?
Sakura ti ha chiesto di stare con lei perché stava cercando conferma.»
«Su che
cosa?»
«Sul fatto se
possa essere considerata amore la sua situazione attuale. Ti vuole bene, non
smetterà mai di volertene, è per questo che avrebbe voluto…»
«Ti ha
detto lei di dirmi tutte queste cose?» Avevo deciso che era abbastanza.
«No ma…»
«Allora non
continuare, ti prego, non ne ho il diritto ma mi fa male.»
«Lo so…»
«Allora
smettila!»
Tomoyo
parve sconvolta ma il sorriso tornò sul suo volto in poco tempo: «Comunque,
basta parlare di Sakura, sono passata in zona per chiederti un preventivo,
vorrei farti entrare nel mio campo, faresti molti buoni affari.»
Rimasi
disorientato, un contratto così grosso avrebbe figurato sul mio curriculum con
l’inchiostro dorato, era una di quelle occasioni che capitano una sola volta.
«Entriamo
in ufficio e parliamone, che ne dici?»
«Preferisco
parlane in un bar con calma, da amici, quando hai il giorno libero? Non voglio
rubarti tempo.»
«Nessun
problema ma se proprio vuoi, ho libero il mercoledì sera.»
«Davvero?
Fantastico, allora che ne dici di incontrarci alle 18, davanti al negozio della
Apple? Vestiti per la serata, se fai il bravo e le offerte mi convincono di
porto a cena fuori.»
Sorrise e
la lasciai andare. Ebbi paura, pareva che mi stesse chiedendo di uscire con lei
piuttosto di un semplice preventivo, non mi andava di incasinarmi ancora di
più.
Come
concordato mi feci trovare all’ora stabilita davanti alle vetrate della Apple a
Shibuya. Mi accesi la sigaretta dell’attesa, come da tradizione, ed alzai di un
tacca il volume del mio lettore mp3. Rimasi ad attendere per alcuni minuti
finché non passò una siluette che conoscevo a memoria, di colpo risentii quel
sapore sulle mie labbra e quasi non ci credevo, Sakura era davanti a me in
tutta la sua bellezza - in quel periodo pensavo che diventasse più bella di
giorno in giorno – e la sua espressione pareva più sorpresa della mia.
Arrossimmo contemporaneamente ma non riuscimmo a distogliere lo sguardo l’uno
dall’altra.
«Che cosa
ci fai qui?» La prima domanda fu sua.
«Sto aspettando
Tomoyo, dobbiamo parlare di un possibile contratto tra la sua azienda e la mia
davanti ad un caffè. E tu? Stai andando al lavoro?»
«No, anche io
dovrei incontrarmi con Tomoyo, dobbiamo prendere un frappé insieme.»
Ci
guardammo per alcuni secondi e dovemmo trattenere una risata. Tomoyo ci aveva
fregati, era riuscita ad organizzare un appuntamento tra me e Sakura, a nostra
insaputa, non si sarebbe di certo fatta viva e ne ottenemmo conferma quando
Sakura ricevette un messaggio da parte della cugina: “Divertitevi!”
«La uccido!
Riesce sempre nei suoi piani malvagi.» Ovvio che non era credibile mentre
minacciava un telefonino, era troppo buffa; quel suo sorriso: da quando avevo
capito di provare sentimenti diversi nei suoi confronti mi ero sempre incantato
in quel sorriso che solo lei era in grado di mostrare. Era diverso, era
qualcosa di inspiegabilmente bello, era il suo e basta, era quello che ogni
persona vorrebbe suscitare in chi ama.
Scaraventò
il suo apparecchio nella borsetta e si sistemò i capelli: «Io voglio comunque il
frappé!» Lo disse come un capriccio che invoglia alla tenerezza, non potei che
accontentarla e mi feci accompagnare nel suo locale di fiducia, d’altronde non
conoscevo la zona e non potevo di certo fare da cicerone; entrammo e ci sedemmo
nell’unico tavolo libero in zona non fumatori - lo fece apposta! – ci raggiunse
in poco tempo una cameriera e prese le nostre ordinazioni.
Ricordo che
restammo in silenzio per svariati minuti e passò tutto il tempo a smanettare
con il telefonino, stava di sicuro inviando maledizioni su maledizioni per
messaggio alla cugina.
«Spero che
Tomoyo non ti abbia scombussolato i programmi.»
«Tranquillo.»
Non alzò lo sguardo. «Avevo la serata libera e non avrei fatto altro che
dormire, solita routine.»
Annuii e ci
furono altri interminabili minuti di silenzio finché non ci vennero servite le
nostre ordinazioni ed il viso di Sakura si illuminò come quello di una bambina
in un negozio di giocatoli. Lo finì nello stesso tempo che impiegai io per
zuccherare e gustarmi il caffè – e già mi veniva voglia di fumare – sembrò più
tranquilla e rilassata, si stravaccò sulla sedia e mi sorrise.
«Siccome
sono una gentil dama, lascerò offrire a te, dopotutto devi sdebitarti per la
cena a base di cheeseburger e patatine fritte dell’altro giorno.»
«Hai
ragione.» Mi rilassai anche io. «Però è stata una cena troppo elevata, con il
caviale avresti risparmiato.» Riuscii a strapparle un altro sorriso.
Ci furono
alcuni secondi di altro imbarazzante silenzio finché una bustina di zucchero
non si infranse sul mio naso, la colpevole nascose la mano e fece la gnorri.
«Ma guarda,
piovono bustine di zucchero.» Stetti al gioco.
«Quello di
canna per giunta, il più fastidioso, è un fenomeno che si può osservare solo
nei locali al chiuso. Propongo di rifugiarci all’aperto, dove non ci possono
colpire!»
Ci alzammo
e pagai le ordinazioni. Il tempo era cambiato e si stava annuvolando in modo minaccioso,
la seguii lungo la via, ci trovammo in mezzo a centinaia di persone nella zona
dei locali e dei negozi più famosi. Migliaia di rumori e brusii ci accolsero
sui marciapiedi mentre ci fermavamo di vetrina in vetrina per commentare
orrendi vestiti, utilissimi cellulari, dolci e cibi buonissimi. Comprai della
frutta secca in una bancarella ambulante e la divisi con lei. Camminammo a
lungo e finalmente parlammo, parlammo e parlammo di milioni di cose, sembrava
che gli argomenti non finissero mai.
«Si, mio
padre è tornato in Italia, è docente all’Università di Napoli, sembra proprio
che abbia fatto buona impressione quella volta.» Ci sedemmo su di una panchina
per riposare i piedi. Ormai era calato il buio e le luci al neon facevano
brillare ogni angolo delle strade, di li a poco i negozi avrebbero chiuso e la
gente si sarebbe riversata nei locali. «Divido un appartamento con due mie
colleghe di lavoro, ci consideriamo sorelle; mio fratello naturale invece, è
rimasto a Tomoeda, dopo la laurea è stato assunto da una piccola azienda che si
occupa di spedizioni nell’area di Tokio, è il responsabile delle relazioni con
i clienti. E tua cugina, invece?»
«A dir la verità
non la sento da parecchio tempo, lavora come interprete all’aeroporto di Hong
Kong, aiuta i turisti e i lavoratori delle compagnie estere ad orientarsi. Una
specie di hostess, ma di terra.»
Per la
prima volta dopo due ore ininterrotte restammo in silenzio. Nessuno dei due
riusciva a staccare gli occhi da quelli dell’altro e parve come se l’intera
città si fosse ammutolita di colpo. Sorridevo perché ero contento di aver
passato un po’ di tempo con la vecchia Sakura, quella che conoscevo bene,
quella che ricordavo nei miei bei ricordi, non so perché anche lei stesse
sorridendo ma speravo si fosse ricordata di qualche istante bello passato
insieme.
Un grosso
energumeno ci piazzò davanti alla faccia due volantini coloratissimi e se ne andò.
Bastardo!
«Interessante.»
Sakura lesse attentamente il volantino. «”Vieni a divertiti con il nuovissimo
LaserTag, a pochi passi dalla New Tokyo Tower, se batti il record ti offriamo
la cena”.»
«Scordatelo.»
Non avevo alcuna voglia di sudare i vestiti nuovi.
«Hai paura
che io ti possa battere?»
«La psicologia
inversa con me non attacca.»
«Giusto!
Infatti è un ordine.» Si alzò e corse verso il bordo del marciapiede
nell’intento di fermare il taxi che stava sopraggiungendo in quel momento. Il
mezzo si dovette fermare con un lungo stridio di freni e gomme, la portiera si
aprì in automatico e Sakura si sedette, restai sulla panchina ad osservarla per
alcuni secondi. Il giorno dopo sarei dovuto andare al lavoro, ci sarebbe stata
la videoconferenza, indossavo i vestiti nuovi. Al diavolo!
Salii sul
taxi e presi posto accanto a Sakura, porgemmo il volantino all’autista e fece
cenno con la testa di aver capito.
Ovviamente
dovetti pagare io la corsa! Vabbè, facciamo i gentiluomo, mi dissi.
«Una
partita per due.» Sakura porse i soldi alla ragazza della cassa all’ingresso.
Sembrava facile ma dovemmo compilare un modulo di iscrizione e pagare per una
tessera annuale, che sarebbe servita come assicurazione medica, fortunatamente
la prima partita era inclusa nell’iscrizione. Ci fecero entrare in una stanza
piena di otaku ed altri mocciosi per farci vedere un video sulle modalità di
gioco.
Due
squadre…blablabla…colpire solo pettorina ed arma rigorosamente impugnata a due
mani…blablabla…non si corre…blablabla…non si salta…blablabla…non ci si sdraia
in terra…blablabla…vietato il contatto fisico…blablabla.
Finalmente si
aprì una secondo porta ed entrammo in una stanza con le armature pronte per
essere indossate, quasi svogliatamente indossai la pettorina rossa e con la
coda dell’occhio notai Sakura indossare quella verde.
«Fai sul
serio?»
«Ti voglio
bene, mio caro Li, ma in guerra non ci sono regole.»
Sakura,
perché devi pronunciare queste frasi? Mi uccidi!
«Va bene,
allora nasconditi per bene, perché non avrai scampo.» Impugnai l’arma cercando
di sembrare un perfetto Rambo, penso di essere sembrato al quanto ridicolo.
Finalmente
si aprì la porta dell’arena ed ogni squadra marciò verso la rispettiva base.
Caricammo le armi e ci sparpagliammo; lo devo ammette: era una figata, ostacoli
di ogni genere, luci nere, vernice riflettente, musica a tutto volume, fumo e
luci stroboscopiche. L’adrenalina era compresa nel prezzo!
Impugnai
l’arma e mi avventurai con altri due compagni alla ricerca della base nemica.
Una pettorina verde fece capolino da una finestrella in un ostacolo, era Sakura,
sparò tre colpi e tutti e tre andarono a segno. Eravamo fuori dal gioco per
dieci secondi e ci nascondemmo finché le nostre armature non smisero di
vibrare.
Di li a
poco fu un bagno di sudore. Laser da ogni angolo e fessura, grida, risate,
bestemmie, qualcuno infrangeva le regole e correva incurante del pericolo,
incrociai più volte Sakura e in qualche occasione riuscii anche a colpirla, il
resto delle volte mi abbatteva lei, aveva una mira incredibile. Il primo punto
per la squadra riuscii a farlo proprio io e ritornai vittorioso alla mia base
per ricaricare l’arma. Mi attendeva Sakura, nascosta dietro un angolo, mi tirò
per un braccio e mi eliminò: «Mi vendicherò!»
Ed è quello
che fece, conquistò la nostra base non una, ma per ben tre volte, incurante del
pericolo e dei nostri colpi. Fortuna che in squadra avevo dei giocatori esperti
e recuperammo in poco tempo.
Alla fine
vincemmo 110 a 89.
Sakura era
rossissima in viso, sperava di battere il grande Li Shaorang. Sudati come dei
pugili ci dirigemmo con le squadre alla cassa per ritirare le pagelle
personali. Nonostante la mia squadra avesse vinto, avevo fatto il minor numero
di punti, ero il peggiore della squadra rossa. Sakura invece fu la migliore
della verde e non solo, infranse anche il record vincendo la cena. Lo so che a
raccontarlo sembra pazzesco ma uscimmo di li con un buono per una cena gratis,
per due persone.
«Basta
volerlo!» Fu la spiegazione semplice della sorridente sconfitta ma vincitrice.
«Peccato solo che il buono sia valido solo per il ristorante dall’altra parte
della strada.»
Il
ristorante in questione era una kebaberia, semideserta per giunta, consegnammo
il buono e prendemmo posto su un divano pieno di cuscini.
«Mi piace
questo locale, penso che ci porterò Tomoyo uno di questi giorni.»
«Sei ancora
arrabbiata con lei?»
Dopo quella
mia domanda si zittì per alcuni secondi ma poco dopo mi mostrò uno di quei suoi
sorrisi spensierati. Di quelli di cui ho parlato prima, quelli che ti fanno
innamorare di una persona: «Non posso esserlo, hai fatto compagnia, grazie
della serata.»
Ci
portarono due lattine di birra e ne stappai una. Alzammo i bicchieri che avevo
riempito: «Alla vittoria della squadra rossa ed un po’ anche alla squadra verde
che offre la cena.»
«Camppai!»
Non nascondo
che a cena era ottima e la birra entrò in circolo velocemente. Ridemmo svariate
volte, soprattutto dopo il quinto bicchiere, non eravamo di certo i clienti più
silenziosi del locale e più volte ci fecero capire di aver alzato troppo il
volume della voce.
Ordinammo
del thé tradizionale, che non era incluso nel buono, e ce ne andammo con la
pancia gonfia, sembravamo due Tanuki di guardia al tempio, identici alle
statue.
La serata
era finita, mi doleva il cuore ma Sakura sembrava al quanto assonnata. Chiamai
un taxi e chiesi di portarmi al mio appartamento che, a detta di lei, era più
vicina del suo. Durante il viaggiò si addormentò sulla mia spalla e non posso
nascondere che mi fece molto piacere, era davvero bella quando dormiva,
nonostante perdesse bava dalla bocca.
L’auto si
fermò sotto il mio palazzo e cercai di svegliarla, almeno per salutarla.
Niente. Non
apriva gli occhi, solo mugugni. Le diedi degli scossoni più volte e provai a
chiamarla altrettante volte, le feci il solletico, la pizzicai, niente.
«Senta,
così non la lascia, la porti con se.» Seppur scorbutico, il tassista aveva
ragione. Pagai e la presi in braccio, che altro potevo fare se non e metterla a
nanna? Con fatica aprii la porta di casa e la portai subito in camera da letto,
per quella notte mi sarei accontentato del divano, le tolsi le scarpe e la
coprii con il lenzuolo, la borsa ai piedi del letto e la lasciai la luce del
bagno accesa per farla orientare nel caso si fosse svegliata.
Dopo aver
socchiuso la porta mi diressi nel soggiorno, finalmente tolsi la camicia e la
gettai sulla sedia della cucina, via le scarpe e via la cintura, a causa della
partita al laser tag ero sudatissimo. Era il momento di provare il divano e
devo ammettere che non era male una volta trovata la posizione ideale.
Verso le
quattro del mattino mi svegliai perché mi dava fastidio la luce che proveniva
dalla cucina. Mi alzai assonnato e trovai Sakura seduta che beveva.
«Compri la
mia stessa marca di succo di frutta, e russi.»
«Come
stai?» Nonostante stesse finendo il mio succo per la colazione versai un
bicchiere e sorseggiai anch’io.
«Bene ma
non riuscivo a dormire, il tuo letto è troppo grande per una sola persona.»
Defcon 3! Allarme giallo! Allarme giallo! Possibilità di attacco!
«Se vuoi
cambiare con il divano non hai che da chiedere.»
«Tomoyo ha
ragione: non sei cambiato, sei rimasto il solito credulone ingenuo.»
«Ehi, piano
con gli insulti! Ti ricordo che sei ospite, non si tratta così il padrone di
casa.» Ero consapevole che lo diceva in modo scherzoso.
«Mi fa
piacere che tu sia rimasto tale.»
Defcon 2! Allarme rosso! Allarme rosso! Massima
cautela!
«Penso che
tu non abbia ancora smaltito la birra, o il kebab, o tutti e due; comunque
dovresti dormirci su, torna a dormire, a che ora vuoi la sveglia?»
«Sei davvero gentile.»
«E’ il minimo.»
«Scusa per
come mi sono comportata la volta scorsa. Devo esserti sembrata una ninfomane,
sono stata una stupida.»
DEFCON 1! Ripeto: DEFCON 1! ALLARME BIANCO!
ALLARME BIANCO! SIAMO SOTTO ATTACCO, OGNI OPERATORE CONVERGA LA PROPRIA OPERATIVITÀ SUL PROGETTO “DIFESA DA
DISCORSO IMBARAZZANTE”.
«Condividerai
sicuramente l’idea che non sia il momento migliore per parlare di queste cose.
L’ora, l’alcool, la bella giornata, il fatto che ti trovi in una casa non tua…per
favore, vai a dormire!»
«Infatti,
sto andando via!»
Non avevo
notato la borsa di Sakura fino a quel momento, si trovava ai piedi del tavolo
e, osservando bene la proprietaria, notai che si era data una risciacquata al
viso e una sistemata ai capelli.
«Alle
quattro di mattina pensi di trovare un taxi disposto a portarti dall’altra
parte della città?»
«Basta
pagare.» Si alzò in piedi e si diede una sistemata ai vestiti. «Grazie della
serata, sono stata davvero bene. Spero che sia stato lo stesso per te.»
L’accompagnai
alla porta e la aprii da perfetto gentiluomo, non potevo di certo trattenerla
contro la sua volontà, è reato. Si diede un’altra sistemata ai capelli e mi
sorrise, bastarda!
«Ciao!»
«Buon
viaggio.»
«Sei uno
stupido.» Lasciò cadere la borsetta e si mise in punta di piedi per far toccare
le sue labbra con le mie. Fu un bacio breve ma quanto bastava per sentirne il
sapore. Raccolse di nuovo la borsetta e varcò la soglia.
Fanculo,
non poteva baciarmi e scappare come se niente fosse.
Allungai il
braccio e dopo avergli preso il polso la riportai in casa chiudendo la porta.
Restai disorientato da me stesso, non mi credevo capace di una reazione del
genere, speravo solo di non averle fatto male. Cominciai a camminare per la
stanza come uno scemo. Non sapevo che dire, che fare, come potevo giustificare
quel gesto? Non riuscivo nemmeno a guardarla negli occhi.
Ad un certo
punto la vidi allontanarsi, scomparve in camera da letto e la sentii entrare in
bagno. Dannazione, dovevo averle fatto male sul serio, che idiota.
Mi
precipitai nella stanza ed attesi che uscisse dal bagno.
«Ti ho
fatto male?»
«Tu sei
nato per farmi male.»
Eccolo lì
il fattaccio! La presi tra le braccia e si lasciò baciare. Sapeva ancora di
succo di frutta, era buona, non riuscivo a smettere di baciarla. Mi morse le
labbra, sembrava volermele strappare via finché non mi prese il viso tra le
mani. Avrei voluto dire un oceano di cose ma non ne usciva nemmeno una, in quel
momento sembravano tutte frasi inutili, superflue.
Perché
tutti i baci che avevo ricevuto fino a quel momento sembravano così stupidi,
così senza senso, fuori luogo? Mi parve che solo lei aveva il diritto di mordermi
le labbra a quel modo.
Nemmeno io
so’ come ci ritrovammo sul letto, me ne accorsi solo quando imprecai nel
cercare di slacciarle il reggiseno, fortunatamente mi diede una mano e potei
ammirare il seno, baciarlo, appoggiare l’orecchio e sentire il suo cuore che
batteva come una caldaia pronta ad esplodere. La volevo, non mi importava di
nient’altro e quando mi accolse dentro di se mi diede il bacio più bello della
mia vita, non ne ricevetti mai più così delicati. Mi sembrava di essere a casa,
come se quello fosse il mio posto riservato, tutte le altre volte che avevo
fatto l’amore erano niente, era come se era quello l’amore giusto, era così che
doveva essere, era lì che dovevo stare.
«Non l’ho
mai fatto senza preservativo.» La sua voce sussurrata nell’orecchio mi fece
trasalire. Non ci avevo pensato, non ne avevo nemmeno in casa. «No, no, no. Non
uscire! E’ giusto, mi fido di te.»
«Sono
sicuro di non avere malattie ma…».
«Mi basta
sapere questo! Prendo la pillola, per regolarizzare il ciclo, ma non me la sono
mai sentita di farlo senza prima, è te che stavo aspettando.»
«Sicura di
non essere ubriaca?»
«Sei tu che
non mi hai lasciato andare a casa, ora devi darti da fare.»
Ricordo
ogni secondo di quella notte. Fu come recuperare tutto il tempo perso. Non
voleva che uscissi, voleva che restassi dentro di lei il più possibile, come se
avesse paura che da un momento all’altro mi rivestissi e andassi via senza
farmi vivo per anni ed anni. Ero stato un idiota a non farmi sentire per tutto
quel tempo. La baciai e la ribaciai a più non posso, finimmo col piangere tutti
e due ma non ci fermammo, come detto prima, sembrava che dovessimo recuperare
il tempo perso, andavamo veloci, il più veloce possibile. Il tempo era poco e
il sole stava già sorgendo.
Non mi
lasciò mai uscire, mi ripeteva che ero suo, che non dovevo andare via, mi
voleva tutto per se, che dovevo darle tutto ciò che era mio, che lo voleva.
L’accontentai anche se avevo paura di pentirmene in futuro, in quel momento
però, non potevo non continuare ad innamorarmi di lei secondo dopo secondo.
«Non sono
capace di dirti che ti amo.» Mi gelò il sangue ma fui comprensivo.
«Nemmeno io
sono capace di dire quelle parole.» Era la verità.
«Allora
promettiamo di non dircelo mai.» Sorrise e mi baciò sul naso, era bellissima,
stupenda. Non riuscivo a non sbirciare e mi incantai nell’osservare ogni
centimetro del suo corpo nudo. Ci coprimmo con un lenzuolo e presi sonno quasi
subito, non prima di averla cinta con le braccia, ora che era lì con me, non
potevo permetterle di scappare.
Defcon 5! Allarme blu! Tempo di pace.