come cambiare il corso delle stelle

di alegargano1
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1: i draghi ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2: un nuovo mondo e un lieto evento ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3: figliol prodigo ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4: una luce nelle tenebre ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5: titolo di cavaliere ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 6: In viaggio ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1: i draghi ***


                   

CAPITOLO 1
I DRAGHI

Molto tempo fa quando sulla terra si estendeva ancora il sacro romano impero di Carlo magno, una stirpe antica e potente camminava su di essa, una razza che era già antica quando l’uomo fece la sua timida comparsa e con cui l’uomo aveva convissuto fin da allora, ma e risaputo purtroppo l’uomo è stolto e avido e non riesce ancora a comprendere che esistono forze nettamente superiori a lui, per questo quando Carlo magno esalò il suo ultimo respiro e il suo regno venne diviso fra i suoi due figli, questi spinti dall’avidità di costruire un regno ancora più grande e fiorente di quello guidato da loro padre, fecero l’errore di voler affrontare questa razza per derubarla delle sue ricchezze e si misero alla guida di un esercito di proporzioni smisurate, viaggiarono per giorni finche non giunsero dinnanzi al valico di un immensa catena montuosa, che proteggeva una valle ove quella razza risiedeva da secoli e secoli, l’esercito entrò con prepotenza in quel luogo e si ritrovò al cospetto delle creature che lo abitavano, creature maestose, che incutevano timore con la loro sola presenza, dalle forme e dimensioni più disparate,differivano perfino nei loro colori, ma erano tutti accomunati dalle medesime caratteristiche una livrea reptilea dura come il più puro dei diamanti e gli occhi anch’essi di un rettile ma rossi come il sangue appena versato, c’era un solo nome per definire quelle creature e la loro specie, erano i draghi, l’esercito li conosceva bene li avevano visti sulle vecchie pergamene dove erano riportate testimonianze della loro immensa saggezza, sui tomi antichi dove erano descritti come creature invincibili troppo potenti perche un uomo potesse riuscire a contrastarli e li avevano persino visti qualche volta sorvolare un colle in lontananza, e proprio per questo motivo ognuno di loro era consapevole che non sarebbe sopravvissuto alla battaglia, ma i due re diedero l’ordine di attaccare e dovettero obbedire, si scatenò così una feroce battaglia, in poche ore l’esercito degli uomini venne decimato sembrava finita ma improvvisamente un ruggito di incredibile intensità squarcio il cielo interrompendo all’istante la battaglia.
Una figura stava osservando la battaglia che infuriava davanti ai suoi occhi nonostante la sua gente stesse uscendo indenne dal combattimento decise ugualmente di intervenire spiegò le sue possenti ali e si librò in volo per poi atterrare nel centro esatto del campo di battaglia e con un ruggito dall’incommensurabile potenza interrompere all’istante quell’inutile spargimento di sangue poi fece spaziare il suo sguardo su entrambe le fazioni per poi prendere la parola e dire, ”Perche offendete non solo questo luogo sacro, ma anche i miei vecchi occhi stanchi con questa insensata violenza?”a quelle parole i due re si avvicinarono all’immensa figura che si ergeva loro davanti non potendo fare a meno di rimanere interdetti a fissarla era un drago enorme molto più grande degli altri, infatti se un comune drago superava all’incirca di quindici volte un uomo questo era circa tre volte più grande, il suo corpo poteva ricordare un elefante per come le sue massicce zampe sostenevano quell’enorme mole, a questo si aggiungevano un collo e una coda molto lunghi ma eleganti, che rendevano quella creatura ancor più austera, di quanto già non fosse, la testa poi era affusolata e compatta e adornata da una corona di corna, il tutto ricoperto da una livrea bianca come la luna, in pesante contrasto con i suoi occhi rossi, ciò era più che sufficiente a incutere timore in qualsiasi creatura, ma i due re non si lasciarono impressionare e giunti al cospetto del grande drago il maggiore dei due avanzo di un passo e prese parola dicendo, “Siamo qui per te dragone” quello li guardo sorpreso e chiese, “Cosa vorreste voi da me?” poi fu il minore a parlare e disse “Siamo qui per appropriarci di ciò che voi draghi custodite le leggende parlano di un tesoro incommensurabile che farebbe apparire le ricchezze di cento imperatori come fossero il contenuto della borsa di un mendicante e con quelle ricchezze noi potremmo divenire invincibili i nostri regni non avrebbero più bisogno di tasse e potremmo prosperare e il salario per i nostri eserciti sarà assicurato per almeno 100 anni” il dragone li guardò quelle parole lo avevano scosso, non poteva credere che avessero attaccato la sua terra e la sua gente sacrificando migliaia di loro simili in una lotta inutile e persa in partenza per avere che cosa poi quelle inutili cianfrusaglie a cui loro facevano la guardia era disgustato e adirato da quel comportamento ma il suo sguardo non fece una piega si limito a fissare quei due sciocchi umani per poi dire, “Se e solo questo ciò che volete fate pure prendete tutto quello che volete finche riuscirete a portarne ma poi dovrete andarvene e non farvi mai più vedere in questo luogo” ma quelli non sembravano intenzionati ad andarsene poiché, il maggiore si fece nuovamente avanti estraendo la spada e dicendo, “Non ancora c’è un'altra cosa che vogliamo una cosa che solo tu puoi consegnarci una magia antica come il firmamento da cui venite e potente quasi quanto voi che l’avete generata e non lasceremo questo luogo senza di essa” a quelle parole il drago parve realizzare di cosa stessero parlando quegli umani e preso da un moto di collera scaravento quel arrogante omuncolo al suolo bloccandolo con una zampata fissandolo con degli occhi così colmi di odio e rabbia da farlo raggelare sul posto poi parlò e disse “Tu non avrai mai nulla del genere da me ciò di cui parli non è cosa per cui gli uomini siano pronti o che possano comprendere o ancor di più gestire, ascolta il mio avvertimento vattene dalla mia terra e non tornare mai più altrimenti ti schiaccerò con tanta violenza da liquefarti le membra” quello non sembrò neanche prendere in considerazione l’idea di arrendersi diede l’ordine di attaccare ma prima che potesse concludere la frase un rumore orribile ammorbò l’aria e quando il drago rialzo la zampa del corpo del uomo non era rimasto nulla se non una informe poltiglia rossa a quella vista gli umani si immobilizzarono in preda al terrore per un soldato morire in battaglia era all’ordine del giorno ma veder morire un re lasciava il segno il primo a scuotersi da quel torpore fu il re rimasto, posò il suo sguardo colmo di odio sul drago e gli inveì contro dicendo, “Tu orrendo demonio mi ai portato via mio fratello che tu sia maledetto sappi che non troverò pace finché non avrò la tua testa su una picca in bella mostra sulle mura del mio castello oggi me ne andrò ma un giorno vi uccideremo tutti dovessi anche impiegarci 100 vite”, detto questo ordino la ritirata per tornare a casa.
Quella sera i draghi si riunirono per decidere il da farsi, tutti confabulavano fra loro, ma al arrivo del grande drago tutto cadde nel silenzio, poiché questi prese la parola dicendo, “Oggi siamo stati messi di fronte alla prova evidente, che gli umani ormai non sono più in grado di distinguere cosa sia giusto e cosa sbagliato quindi, ritengo che sia giunto il momento di prendere una decisione, cosa fare di loro e di questo mondo” a quelle parole i presenti ripresero a parlare avanzando ogni genere di proposta, ma il grande drago non ne accettò nessuna, gli umani avevano sbagliato ma accanirsi su di loro sarebbe stato uno sbaglio anche peggiore, ma ad un tratto una voce si levò sopra quella degli altri draghi, che rivolgendosi al grande drago disse, “Padre, io propongo di abbandonare questa terra e gli umani che la abitano,poiché essi non sono degni della nostra presenza”, a quelle parole scese il silenzio più totale, che perdurò a lungo, finche il grande drago non prese nuovamente parola e disse, “Approvo la tua idea figlio mio e dirò di più, dato che  gli umani ci hanno aggrediti per derubarci della nostra più antica reliquia, noi useremo proprio quella per andarcene e avere un  luogo dove poter vivere in pace” a quelle parole tutti i draghi lanciarono versi di approvazione e dopo ciò si disposero in cerchio e cominciarono a recitare una formula in una lingua così antica che solo loro ormai la ricordavano, continuarono per ore e infine un fascio di luce si alzò dalla cima della montagna più alta della catena che proteggeva la loro vallata e discese in mezzo a loro e la formula recitata dai draghi mutò all’istante, e la luce cominciò a cambiare colore dopo colore per poi divenire un turbinio indistinto color dell’arcobaleno, ed esplodere infine in un abbagliante manifestazione di energia quando la luce scomparve la vallata era deserta ed dei draghi non c’era più traccia e sulla terra non se ne seppe più nulla                                                           

                      

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2: un nuovo mondo e un lieto evento ***


CAPITOLO 2

UN NUOVO MONDO E UN LIETO EVENTO

Quando i draghi scomparvero dal mondo degli uomini, si ritrovarono nel nulla più assoluto, ovunque si potesse volgere lo sguardo non cera null’altro che un buio vuoto e desolato, tutti vennero presi dallo sconforto, e iniziarono a rimpiangere il mondo degli uomini, allora il grande drago prese la parola e disse “Fratelli miei ascoltatemi, comprendo che questo non è ciò che vi aspettavate quando abbiamo lasciato il mondo degli uomini, ma questo luogo non deve intimorirvi, tutt’altro rappresenta per ognuno di noi la possibilità di ricominciare da capo in un mondo che sia nostro sin dall’inizio, poiché saremo noi a farlo iniziare” così i draghi rincuorati dalle parole del loro condottiero, decisero che da quel nulla, con la potenza loro e della loro reliquia  avrebbero creato un nuovo mondo, e così avvenne, inizialmente si estese un cielo infinito, illuminato da mille sfumature di rosa e arancio che si mescolavano tra loro quasi a fondersi in un tutt’uno, che sostituì il buio assoluto che regnava in quel luogo, in seguito venne riempito quel vuoto senza fine, dapprima il prodigio generò solo un isola sospesa in mezzo a quel cielo luminoso, un isola paradisiaca dove i draghi decisero di porre la loro nuova dimora, e col passare degli anni l’incanto cominciò a prendere forma, e a generare un'altra isola e poi un'altra e un'altra ancora e col andar del tempo sempre più isole ognuna con forme, dimensioni e paesaggi differenti, andarono a posizionarsi nella vastità di quel luogo ormai meraviglioso, la varietà di luoghi era incredibile, si passava da interi continenti di pianure verdeggianti a piccole isole dove dominava una tundra ghiacciata, sembrava tutto perfetto, il mondo sembrava ormai aver preso la sua forma definitiva, ma quel nuovo mondo era ancora molto giovane, e l’incantesimo usato dai draghi troppo potente, questo causò qualcosa che nemmeno i draghi stessi avevano lontanamente creduto possibile, quel mondo cominciò a generare creature, dapprima apparve ogni varietà di animale che fosse presente anche nel mondo degli uomini, poi fecero la loro comparsa esseri, apparsi fino ad allora solo nei miti e nelle favole, infine apparvero sette popoli propri solo di quel mondo:

I signori delle belve, creature selvagge nate dalla terra, dai tratti animaleschi, che avevano posto la loro dimora nelle foreste, dove si erano riuniti in grandi tribù nomadi, vivendo allo stato di natura liberi e felici, in comunione con tutti gli animali.

I dominatori dei vulcani, esseri nati dal fuoco delle viscere della terra, che vollero abitare i territori più caldi di quel mondo, dove si organizzarono in comunità di artigiani esperti nella metallurgia, erano esseri dotati di una forza straordinaria, e ciò li rese in grado di modellare il metallo a mani nude, e sfruttarono questa loro abilita per costruire delle vere e proprie città di ferro e acciaio, dove risiedere in tutta tranquillità.

I saggi del acqua, entità emerse dal profondo degli abissi del mare, e che nel mare avevano posto la loro dimora, costruendo città sommerse dove poter vivere in pace, discutendo di medicina e filosofia, e questo li rese in grado di sviluppare una conoscenza sul corpo e sull’ anima tale da poter guarire qualsiasi male potesse colpire qualsiasi creatura divenendo un importante punto di riferimento per tutte le creature senzienti che abitavano quel mondo.

I veggenti delle nubi, nati dal soffio del vento, abitavano nei chenion, dove il vento soffiava impetuoso, e sulle loro pareti costruirono le loro abitazioni, che solo loro che potevano librarsi nell’aria leggeri come piume senza essere spazzati via dalle bufere potevano raggiungere e usare, la loro voglia di conoscere li rese onniscienti, e tramite delle reliquie di loro fabbricazione divennero in grado di venire a conoscenza di qualunque cosa volessero, divenendo gli occhi e le orecchie dei draghi e dei potenti che li assoldavano per conoscere i movimenti della mano del destino.

Gli spettro cantori, venuti dall’ombra delle montagne erano nomadi solitari, e rappresentavano la manifestazione stessa della conoscenza arcana che consisteva nel comprendere e conoscere qualunque: incantesimo, stregoneria o sortilegio che fosse ed erano esperti nell’utilizzo dello stesso arcanorum l’inestinguibile scintilla racchiusa in ogni essere vivente che consentiva di usare la magia stessa per questo erano preziosi consiglieri per le creature che come loro erano capaci di comprendere e usare la magia.

I paladini draconici, esseri straordinari nati sulle montagne più alte, esperti guerrieri, in grado di maneggiare qualunque arma volessero, il primo fra i sette popoli ad apparire sul nuovo mondo, e per questo venivano ammirati da tutti gli altri popoli, vivevano in comunità feudali, organizzate in un modo a dir poco impeccabile, i paladini erano le creature più vicine di ogni altra ai draghi e li servivano al meglio come protettori dei loro nidi e i draghi avevano loro concesso in premio un arcanorum più grande di ogni altro.

I ragni del wharp, su questo popolo le notizie si persero in fretta, fino a sparire, l’unica ancora certa era che fossero nati dal buio profondo delle caverne, ma nulla di più poiché non emergevano mai dal loro regno sotterraneo.

Così passarono gli anni i secoli e poi un millennio, in questo tempo il grande drago che aveva condotto i suoi compagni in quel mondo, era spirato, e ora suo figlio era il nuovo grande drago, e ora allo scadere del millennio, stava per nascere un nuovo dragone, che sarebbe stato l’erede del attuale grande drago alla sua morte, ma al contrario degli altri draghi i grandi draghi non nascevano dalle uova, ma dalle ossa dei precedenti grandi draghi, ciò lo rendeva un evento rarissimo, e così stava avvenendo ora per quel nascituro, alla cui nascita stavano assistendo tutte le creature più potenti del nuovo mondo, le ossa crearono una piccola sfera di energia pura più luminosa di quella che aveva generato tutti gli altri grandi draghi, e la sfera cominciò a danzare nel cielo leggera come un petalo di rosa, per poi precipitare al suolo con una violenza inaudita, causando un enorme esplosione di luce, che quando svanì, lasciò intravedere qualcosa che lasciò tutti i presenti impietriti dalla sorpresa, e dall’impossibilità di accettare ciò che avevano di fronte.             
    

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3: figliol prodigo ***


CAPITOLO 3
FIGLIOL PRODIGO

Tutti i presenti guardavano con enorme sgomento la scena di fronte a loro, la luce nel dissolversi, aveva lasciato il posto ad un uovo color della pece e ad una creaturina che aveva cominciato a piangere non appena l’ultimo bagliore di luce era scomparso, era un esserino dall’aspetto estremamente fragile, piccolo anche per un neonato, aveva la pelle rosea, e la testa era come ricoperta da un leggero strato di lanugine di un rosso acceso come il fuoco di un incendio.

Tutti erano esterrefatti, non c’era alcun dubbio, quell’essere così piccolo era un umano, un vociare incessante e concitato si alzò dalla folla, erano tutti shoccati, ma fra tutti quello  più sconcertato era il dragone bianco, che osservava quell’essere con un misto di disgusto, ripugnanza e orrore, non riusciva ad accettare che il suo erede, suo figlio, fosse un volgare essere umano, mentre lo osservava, il suo sguardo mutò dal disgusto all’odio, per poi andare a posarlo su un gruppo di paladini draconici, e rivolgersi a questi ultimi dicendo, “Vi ordino di portare via questo abominio dalla mia vista” quelli si avvicinarono con cautela, per non incorrere nelle ire stimolate più che a sufficienza dell’immenso rettile, e uno di loro prese la parola e disse, “Signore porteremo via l’umano, ma cosa ne facciamo di quell’uovo” il drago poso il suo sguardo scarlatto sull’oggetto indicato, poi disse, “Gettatelo in un fosso, ove la luce non possa mai raggiungerlo, affinché non ne nasca un altro essere ripugnante come questo umano”, i paladini presero l’uovo e lo portarono via da quel luogo, allora il drago fisso il piccolo dinanzi a se, per poi rivolgersi a chiunque lo stesse ascoltando fra la folla, e dire, “Uccidetelo” ma una voce si levò al di sopra delle altre, e disse, “Fermi”,  dopo quelle parole al dragone si avvicinò una donna, appartenente anch’essa alla stirpe dei paladini draconici, una bellissima donna con lunghi capelli biondi come il grano al sole, la corporatura esile, che nascondeva una tempra d’acciaio che niente e nessuno avrebbero mai potuto piegare, aveva un viso perfetto, che sembrava essere stato fatto per appartenere ad un angelo, chi l’avesse vista avrebbe detto che sembrava un sogno che aveva preso corpo, ma chi la conosceva sapeva bene che quel suo aspetto, nascondeva in realtà una leonessa, una fiera guerriera, implacabile, indomabile, vincitrice di migliaia di battaglie, solo il suo nome per il nemico era un presagio di morte, il dragone la guardò un istante, come sorpreso di vederla al suo cospetto, e rivolgendole un occhiata disse “Cosa vuoi da me, Maria della folgore” la paladina gli rivolse uno sguardo eloquente e poi disse, “Vorrei che lei risparmiasse questa creatura, è un innocente, e non merita di essere giudicato per le azioni dei suoi simili, la prego lo lasci vivere” il drago assottigliò lo sguardo rendendo i suoi occhi di serpente ancora più minacciosi, era furibondo, mai uno dei suoi sudditi era stato tanto sfrontato, come osava quella donna, anche solo pensare di fargli una simile richiesta, a lui che aveva visto con i suoi occhi quanto fossero ripugnanti gli esseri umani, no non poteva accettarlo, la fulminò con uno sguardo, per poi sputare parole cariche d’odio dicendo, “Come ti permetti, di chiedermi di essere clemente verso quell’ abominio, MAI, non concederò mai il perdono alla sua immonda specie, e per dare la prova definitiva della mia decisione, osserva mentre il fuoco divora il suo corpo”, e con queste ultime parole volse la testa verso il bambino, per poi soffiare su di lui un mare di fiamme, ma queste non lo raggiunsero mai, Maria si frappose fra esse e il piccolo, e con un colpo di spada, riuscì a fendere quel muro di fuoco disperdendolo, per poi chinarsi, e prendere in braccio il neonato, stringendolo amorevolmente, il piccolo smise di piangere non appena si trovo nel caldo abbraccio rassicurante della donna, facendo uno sbadiglio sereno, per poi cadere in un sonno profondo, tutti i presenti erano impietriti, mai nessuno aveva osato sfidare i draghi e meno che mai il grande drago, poi Maria parlò e disse “Lei signore è un essere ripugnante, come può desiderare la morte di una creatura innocente, e vostro figlio, sangue del vostro sangue, come può essere così crudele” il drago bianco punto nel vivo diede le spalle alla guerriera, ma rivolgendosi comunque a lei disse, “Porta via con te quell’essere, ma ricordati donna, oggi ti sei fatta un terribile nemico, e un giorno o l’altro finirò quello che ho iniziato oggi, e certo non potrai fuggire in eterno, perché ovunque tu vada sarai sempre nel mio mondo, e io potrò trovarti sempre e comunque”, la signora della folgore gli lanciò un ultima occhiata carica di sfida, per poi andarsene da quel luogo, con ancora il piccolo stretto fra le braccia, lasciando i presenti ancora sconcertati dagli avvenimenti appena avvenuti.

Quella sera, i draghi si riunirono in un consiglio, il primo dopo mille anni di pace nel nuovo mondo, dovevano parlare degli eventi di quella mattina, dovevano stabilire come e quando intervenire per risolvere quella situazione, che avrebbe potuto minare e forse distruggere la pace di quel mondo, che loro avevano tanto faticato ad istituire, il primo ha parlare, fu un drago dalle squame azzurre simile al grande drago ma dalla strutture molto più sottile che disse, “Io chiedo che Maria della folgore, venga punita per l’affronto che ci ha arrecato, e che venga rinchiusa nelle galere dei minotauri, fino a nuovo ordine e l’umano con lei”, il dragone bianco volse lo sguardo sul suo piccolo fratello, e disse, “No l’umano DEVE essere eliminato, ho comprometterà la nostra pace”, i draghi allora tacquero, la decisione del loro signore era incontrovertibile, e quella decisione era Maria della folgore in catenene e l’umano in una fossa.

Maria era tornata al suo castello, e stava amorevolmente accudendo quel piccolo, che a lei era parso così indifeso e bisognoso di aiuto, non sapeva cosa l’avesse spinta ad agire in quel modo, lei che era una guerriera d’incredibile ferocia, che aveva passato la vita sul campo di battaglia, ora non poteva fare a meno, di stringere a se quel fagottino così tenero, che era impossibile non volergli bene, aveva già constatato che era un grandissimo mangione, e un gran dormiglione, ne era certa, in qualche modo, le era stata data la possibilità di fare qualcosa che andava al di la della sua stessa comprensione, ma sapeva altrettanto bene che i draghi non l’avrebbero lasciata impunita a lungo, doveva andarsene, ma il dragone bianco aveva ragione, non c’era luogo dove avrebbe potuto nascondersi in quel mondo, prima o poi l’avrebbero trovata, e in quell’istante, ebbe un lampo di genio, era vero, ovunque fosse andata in quel mondo, l’avrebbero trovata, ma quello non era l’unico mondo, e si ritrovò a pensare, -il mondo degli umani, come ho fatto a essere così sciocca da non pensarci, se qui non posso fuggire, andrò dove loro non possono seguirmi- dopo questo pensiero, raccolse tutte le ricchezze che il castello racchiudeva, ori, preziosi, sete, arazzi, quadri, e tutto ciò che avesse anche un minimo valore, e lo portò sulla torre più alta del castello, poi trono nella camera dove il piccolo dormiva beatamente e presolo in braccio porto li anche lui, dalla torre lo spettacolo era a dir poco incantevole, il cielo del mattino, al momento dell’aurora, quando la luce tornava a illuminare il mondo, e quando la notte e il giorno furono a metà fra l’uno e l’atro, lei recitò una formula, e davanti a lei apparve una grande porta luminosa  che fece sparire tutto ciò che in quel momento si trovava sulla cima della torre trasportandolo nel mondo degli esseri umani.

(6 anni dopo)

Un bambino stava correndo euforico per le vie del paese, era appena uscito da scuola, e doveva assolutamente arrivare a casa il prima possibile, doveva fare una sorpresa, correva a perdifiato, e quando finalmente arrivo davanti alla porta di casa, busso forte, e quando la porta si aprì, si trovò davanti una bellissima donna, con gli occhi di smeraldo, che lo fissava sorpresa e sconcertata che disse “Albert che ci fai qui, avresti dovuto aspettarmi all’ uscita” il bambino allargò un sorriso un po’ sdentato, e tiro fuori da dietro la schiena un fiore tutto bianco, dicendo “Buon compleanno mamma, ti voglio taaaaaaaaanto bene” mentre parlava gli occhi verde bosco del bambino si erano illuminati, e la donna commossa l’aveva abbracciato dicendo “Grazie piccolo mio anch’io ti voglio bene” gli diede un bacione sulla guancia e gli scompigliò i capelli di quel particolare castano rossiccio così scuro da sembrare nero poi disse “Ora vieni dentro che festeggiamo” e così si chiusero la porta alle spalle, festeggiarono e giocarono per tutto il giorno, fino alla sera quando per il piccolo Albert era arrivata l’ora di andare a dormire, e come al solito, il piccolo fece la sua richiesta dicendo “Mamma mi racconti la storia del cavaliere lucente” e la madre lo accontentò, anche quella notte e prese a dire “Tanto tempo fa, viveva un potente guerriero, vestito di un armatura scintillante, costui era un puro di cuore, nobile, valoroso, e generoso e seguiva solo ciò che era giusto per il suo cuore proteggeva i deboli e chi da solo non poteva perché ... ” la signora della folgore si fermò, Albert si era addormentato profondamente, e ormai dormiva della grossa, la donna diede un bacio sulla fronte al figlio, pensando che il giorno in cui l’aveva preso con se, era stato il più bello della sua vita.

(10 anni dopo)

Quel giorno avrebbe dovuto essere normale, e sembrava esserlo, ma per qualche ragione, Albert era molto nervoso, nei suoi sedici anni di vita, ormai aveva imparato a riconoscere a pelle una brutta giornata, e quella sarebbe stata pessima, ma era ormai tardo pomeriggio, e ancora non era successo niente, questo l’aveva spinto ad abbassare la guardia, fu un grosso errore, era uscito a fare delle commissioni, e come al solito era passato vicino a un vecchio cantiere, che era li fin da quando era bambino, ormai abbandonato per qualche ragione, e il palazzo in costruzione era stato lasciato a metà, lo guardò un istante non capendo perche fosse stato lasciato in quello stato, incuriosito volle andare a dare un occhiata, era passato di li centinaia di volte, e ora voleva capire cosa poteva nascondersi la in mezzo che aveva fatto interrompere i lavori, si addentrò li in mezzo fra macchinari in disuso e ferraglia arrugginita, e in un angolo che sembrava più abbandonato degli altri e nascosto alla vista, Albert si avvicino di più e rimase sbalordito, li in mezzo c’era un tronco d’albero, e nel tronco era conficcata una spada, lunga, sottile, perfettamente lavorata e estremamente bella a vedersi, come attirato da una forza misteriosa, Albert si avvicinò sempre di più, e quando fu a un passo da essa, per un soffio non rimase di sasso, sull’elsa dell’arma c’era chiaramente inciso il nome di sua madre, perché, cosa centrava sua madre con quella cosa, la guardo meglio, e il suo sguardo si fermo sul tronco dove e conficcata, anche li c’era incisa una parola, ma non riusciva a capirla, si concentrò e poi la pronuncio ad alta voce dicendo, “Hucshiver” poco dopo, la terra tremò, il cielo si oscuro, e il cantiere intorno a lui scomparve di colpo, lasciando solo la spada e il tronco davanti a lui, poi il cielo si squarciò in un vortice circolare e una colonna di luce lo inghiottì lascando in quel luogo solo la spada e il tronco.                                         

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4: una luce nelle tenebre ***


CAPITOLO 4
UNA LUCE NELLE TENEBRE

Albert si era appena svegliato in mezzo a un prato immenso, era confuso, disorientato, e aveva un gran male alla testa, e proprio quel dolore gli diede la certezza di non stare sognando, e che per quanto incredibile, ciò che vedeva era reale, si alzò a fatica da terra, rimettendosi in piedi per quanto gli era concesso, quando si fu accertato, che le gambe avevano ancora la facoltà di sostenerlo,  prese a camminare, nel tentativo di riprendersi da quell’orribile sensazione di stordimento, e quando ebbe recuperato un minimo di lucidità, cercò di capire dove fosse finito, ma senza successo, non c’era nulla del genere sulla Terra, a cominciare dal cielo, con quelle strane sfumature di rosa e arancio, che si mescolavano tra loro quasi a formare un quadro astrattista, sotto quel cielo così luminoso, quel posto, sembrava essere immerso in un atmosfera tutta sua, ma una cosa sconvolse Albert, ovunque facesse spaziare lo sguardo, su quel cielo così bello, non riusciva a vedere il sole, e quel pensiero lo scosse, – Com’è possibile tutto questo? – si chiese, e l’agghiacciante risposta, lo colpì come un fulmine a ciel sereno, il sole non si vedeva, perche non c’era, questa era la prova definitiva, ora ne era certo, era finito in un altro mondo – Ma che cosa vado a pensare questa si che è un idea assurda – già ma che altra spiegazione poteva esserci, distolse lo sguardo, sapendo che se avesse continuato a pensarci, sarebbe impazzito più in fratta di quanto già non stesse facendo, cerco di capire dove fosse guardando il territorio, nella speranza di comprendere anche tutti gli altri inspiegabili fenomeni, ma fu inutile, non c’era alcun punto di riferimento, nient’altro che un mare d’erba che si estendeva per miglia e miglia, interrotto solo da qualche roccia che faceva capolino in quel prato, Albert non sapeva cosa pensare, credeva di stare impazzendo, una miriade di pensieri presero a sciamargli in testa, aumentando la sua confusione, ma tutto venne cancellato da una visione che lo lasciò impietrito ed incredulo, un ombra gigantesca gli era passata sopra la testa, e quando alzò lo sguardo per capire cosa fosse, il fiato gli si mozzo in gola, alla vista di una fenice, era una creatura meravigliosa, l’aspetto e la fierezza di una gigantesca aquila, dalle penne color dell’oro, che sprigionavano fiamme ardenti, che lambivano per intero il corpo del mistico volatile, Albert a quella vista si lasciò sfuggire un grido di stupore, e un nuovo pensiero gli attraversò la mente, -Questo e davvero incredibile –, prese a camminare seguendo la direzione del volatile, certo che così facendo, sarebbe arrivato in un luogo straordinario, ma si rese conto di aver fatto un errore madornale, la creatura era troppo veloce per lui, e dopo averla inseguita per ore, era stremato, e il mal di testa stava per fargli perdere i sensi, mentre la fenice aveva cominciato a volare sempre più in alto, fino a sparire fra le nuvole, come fosse spaventata da qualcosa, ma cosa poteva spaventare una creatura come quella, la risposta non tardò ad arrivare, una freccia trapasso l’aria, facendo risuonare il fischio violento del vento, seguita da una seconda, e poi una terza, e una quarta freccia, Albert fece appena in tempo a trovare riparo dietro una roccia poco distante, che vide centinaia, forse migliaia di frecce piombare al suolo, durò pochi istanti, ma fu terribile, e il mal di testa che non faceva che aumentare, non faceva che peggiorare la situazione, rimase fermo ancora qualche minuto, per accertarsi di essere al sicuro, ma quando fece per muoversi, una nuova fitta alla testa, più forte delle altre, lo privò delle ultime energie rimastegli, fece per muoversi, per chiedere aiuto, ma era troppo debole, lo stress, la stanchezza, e il cerchio di dolore che gli aveva stretto la testa in una morsa, stavano avendo la meglio, e alla fine prevalsero, l’ultimo suono che udì prima di perdere i sensi, fu il rumore degli zoccoli dei cavalli al trotto.


Una ragazza stava camminando per i corridoi del suo castello, aveva appena finito i suoi studi per quel giorno, e ora stava andando nelle sue stanze a riposare, ma qualcosa attirò la sua attenzione, una luce che filtrava prepotente da una finestra, presa da un improvvisa curiosità, la ragazza volle vedere di cosa si trattasse, e spalancata la finestra, si ritrovò ad ammirare una bellissima fenice, la ragazza era rimasta incantata a guardare quella creatura, era molto raro, che quei volatili si spingessero così a ovest, rispetto ai loro territori abituali, mentre guardava rapita la creatura, un suono la riscosse dai suoi pensieri, il suono delle frecce che trapassavano l’aria, come era prevedibile il volatile fuggi spaventato, rifugiandosi oltre le nuvole, mentre le frecce cadevano come pioggia, la ragazza rimase a guardare quello scenario, contrariata, infastidita, e delusa dal comportamento della sua gente, nei confronti delle “creature inferiori” come le definivano quei pomposi e boriosi vecchiacci che costituivano la classe nobiliare, rimase ancora un istante a scrutare il paesaggio fuori dalla finestra, e in quel momento vide qualcosa che la pietrifico, a circa seicento metri dal castello, c’era qualcuno accasciato a terra, doveva essere rimasto coinvolto in quella pioggia di frecce, la ragazza non ci penso due volte, doveva fare qualcosa, forse era ancora vivo, corse subito nelle scuderie, e prese il cavallo più veloce che ci fosse, lo preparò in pochi istanti, e partì a tutta velocità, quando fu sul posto, vide subito che quello riverso a terra era un ragazzo, gli si avvicinò per controllare come stesse, non sembrava essere ferito, ma era terribilmente pallido, ed aveva un evidente bisogno di cure, fece per sollevarlo, ma si rese subito conto, che era un impresa tutt’altro che facile, il ragazzo era decisamente più alto di lei, e aveva almeno il doppio della sua stazza, ma alla fine, riuscì a caricarlo sul cavallo, e a portarlo al castello, quando varcò il portone principale chiamo subito dei servi dicendo, “Venite presto questo ragazzo ha bisogno di aiuto”, i servi accorsero subito, e con loro il medico di corte, quest’ultimo, si avvicinò al ragazzo, e dopo un attenta analisi, si rivolse alla ragazza e disse con fare rassicurante, “Non si preoccupi vostra altezza, non è nulla di grave, ha solo subito un cambio troppo repentino della pressione, ed evidentemente, non essendoci abituato, e non essendo riuscito ad adattarsi alla pari con esso, il suo organismo ha ceduto, in più, la nostra montagna è molto alta, e l’aria rarefatta di queste cime non gli è di certo stata d’aiuto, ma non è nulla, che non si possa guarire con un po’ di riposo e un piccolo ricostituente”, il medico prese un sacchetto, da cui estrasse una pastiglia di forma sferica, che fece ingerire ad Albert, questi lentamente cominciò a riacquistare un colorito più salutare, senza pero dare alcun segno, di riprendere i sensi, il medico parve non dare peso alla cosa, e rivolgendosi nuovamente alla ragazza, disse “Mi raccomando ora ha bisogno di riposo, informatemi non appena si sveglia”, dopo che il medico se ne fu andato, la ragazza si rivolse alla servitù, dando disposizioni, sulla sistemazione da assegnare al ragazzo ancora incosciente, ma il rumore del pesante portone del castello, che si apriva con un tonfo sordo, la distolse dal suo intento, attirando la sua attenzione su un corteo, che in quel momento stava facendo il suo ingresso nella piazza, otto cavalli dal manto nero lucente, che trainavano una carrozza di alabastro, così bianca da accecare, seguita da due cavalieri, che portavano ognuno una grande bandiera con il vessillo della sua casata, e al seguito di questi, una piccola guarnigione di soldati, disposti a proteggere la carrozza, la ragazza era nervosa, sapeva già di chi si trattava, e sapeva che non avrebbe preso bene la presenza di uno straniero al castello, si avvicinò con cautela alla carrozza, attorno alla quale un gruppo di servi si stava affaccendando per accogliere il suo occupante, e quando il cocchiere aprì la porta del mezzo, da questo uscì un ragazzo, vestito con abiti di un eleganza sopraffina, che mettevano in mostra tutta la sua regalità, fierezza e raffinatezza, era alto, e il suo fisico snello e atletico faceva risaltare in modo ancora maggiore la sua nobiltà, aveva gli occhi di un profondo color ruggine, e dei folti capelli neri come il carbone, questi si avvicinò alla ragazza, e le rivolse un sorriso appena accennato, per poi dire “Ciao sorellina, e bello rivederti, mi sei mancata, allora come te la sei cavata in mia assenza?” la ragazza si soffermò un istante a pensare ad una risposta, erano passati quattro giorni da quando era partito, e lei li aveva passati da sola, ad annoiarsi, dovendo amministrare il castello e il regno, l’unica cosa interessante che le era capitata, era stato il passaggio di quella fenice, e il ritrovamento di quel ragazzo, sospirò impercettibilmente, per poi accennare un sorriso e dire “Non è stato così male, credo di essere stata piuttosto brava a gestire le cose qui” non le piaceva mentire, ma cos’altro poteva fare, non poteva certo dire a suo fratello, che avrebbe voluto andarsene il più lontano possibile da li, che si sentiva soffocare da quella vita fin troppo piena di regole e divieti, o che lo stesso castello, ormai le sembrava più una prigione che un abitazione, scosse la testa, come a scacciare quei pensieri, ora aveva altre priorità, doveva trovare il modo di distrarre suo fratello, per non fargli scoprire il ragazzo, o sarebbe stato un disastro, fece un altro sospiro, per poi rivolgersi al fratello e dire “Che cosa ti va di fare ora che sei tornato” quello la guardo un istante, notando subito che c’era qualcosa che non andava, ma non stette a indagare, non volendo rovinare quello che doveva essere un momento di pace, così fece semplicemente un sorriso e disse “Che ne pensi di prendere i grifoni e fare un giro intorno alle torri sarà divertente” la ragazza rimase colpita da quella frase, suo fratello, Eduard 3°, detto “il grande fulmine blu”, l’uomo più bacchettone e attaccato alle regole dell’universo, aveva appena proposto un attività divertente, non volle fare domande su un evento così prodigioso, decise quindi di assecondarlo e basta, così i due si allontanarono, in piena tranquillità, scherzando come in quel castello non succedeva da fin troppo tempo.

Eduard si era sempre considerato un tipo paziente, anzi era convinto di esserlo, ma in quel momento, quella sua convinzione stava per crollare, era appena tornato da una missione diplomatica in regno vicino, dove un branco di vecchi matusa lo aveva tediato fino allo sfinimento,  e  non gli avevano dato nemmeno il tempo di distendere i nervi, che i suoi consiglieri lo avevano praticamente sequestrato, e ora lo stavano facendo ammattire con i protocolli, per le rotte commerciali con i giganti, per la miseria, li aveva scritti lui quei protocolli, li conosceva a memoria, non potevano lasciarlo in pace per un giorno, sapeva che era importante mantenere l’ordine, ma avrebbe almeno voluto poter stare in pace, anche solo per poco, e proprio in quel momento, uno dei consiglieri richiamò la sua attenzione dicendo, “Mi scusi signore ma e necessario rivedere questo passaggio, del documento questa non è una buona zona per gli scambi, il territorio e sotto la giurisdizione dei veggenti delle nubi e loro non vedono di buon occhio le intrusioni nei loro territori” sentendo quelle parole Eduard dovette usare tutto il suo autocontrollo per non avventarsi su quell’idiota, e sbraitargli contro, proprio sotto richiesta dei consiglieri, era partito verso la più vicina città dei veggenti, proprio per stabilire un accordo con loro, sulla libertà di transito, e ora venivano a dirgli che i veggenti non vedevano di buon occhio gli stranieri, Eduard si alzò dalla sua poltrona e dopo aver rivolto uno sguardo ben poco rassicurante ai consiglieri disse “La riunione e aggiornata signori, riprenderemo domani, quando avrò recuperato le energie perdute in viaggio, ora vi ordino di congedarvi” detto questo, attese che tutti i consiglieri se ne fossero andati, per poi uscire dallo studio, e cominciare a vagare per il castello, senza una meta precisa, continuò a camminare per diversi minuti, nel tentativo di distendere i nervi, finché, non vide sua sorella, uscire da una delle stanze per gli ospiti, evidentemente preoccupata per qualcosa, questo lo insospettì, e decise di indagare, si avvicinò di soppiatto, arrivandole alle spalle, per poi attirare la sua attenzione dicendo “Dimmi sorella, cosa stavi facendo in quella stanza”, la ragazza si sentì gelare il sangue per lo spavento, e per la consapevolezza di essere stata scoperta, mentire sarebbe stato inutile, così si rassegnò alle inevitabili conseguenze, e si preparò alla sicura punizione che sarebbe venuta subito dopo, si avvicinò sommessamente alla porta della stanza dove Albert stava ancora riposando, e dopo averla aperta si scostò per far si che Eduard potesse entrarvi, quest’ultimo, si avvicinò al letto di Albert, e gli scoccò un occhiata di profondo disprezzo, per poi urlare “Guardie, guardie, venite qui immediatamente”, a quell’ appello, subito un manipolo di guardie accorse sul luogo, chiedendo cosa fosse successo, e il giovane signore, indicò il ragazzo incosciente dicendo, “Gettatelo nelle segrete e avvisatemi non appena si sveglia” quando le guardie se ne furono andate, si volto verso la ragazza e guardandola con astio disse “E per quanto riguarda te, … dato che ti sei prodigata tanto per aiutarlo, sarai tu a portargli pane e acqua quando si sarà svegliato” e con queste parole se ne andò lasciando da sola la ragazza con il morale sotto i piedi.

La prima cosa che Albert notò una volta sveglio, fu che il luogo dove si trovava era incredibilmente freddo e buio, ovunque volgesse lo sguardo non vedeva altro che tenebre, e ogni minuto che passava sentiva il freddo che gli si infilava fin dentro le ossa, si stava sentendo male di nuovo, e quel tipo che era venuto a rompergli le scatole, accusandolo di essere una spia ho peggio ancora un invasore gli dava davvero su i nervi, ma nella situazione in cui si trovava, poteva fare ben poco, era incatenato alla parete, i bracciali delle manette gli stavano segando i polsi, e il suo stomaco non faceva che brontolare da un ora a quella parte, attese a lungo che venisse qualcuno con cui avere un minimo di conversazione, anche solo per farsi dire “zitto prigioniero”, ma a quanto pare si erano del tutto dimenticati di lui, e come aveva già fatto più e più volte in quelle ore, lanciò un urlo frustrato al vuoto, ricevendo in cambio solo il gelido e tetro silenzio del nulla, ma d’un tratto, il silenzio venne rotto da una voce, una voce femminile per giunta, dal tono armonico e cristallino, che disse, “Eccomi sto arrivando”, Albert si rimise subito in piedi, dopotutto se stava per ricevere la visita di una ragazza, doveva darsi un contegno, per quanto si potesse avere del contegno in una segreta, ma quando la porta si aprì, desiderò ardentemente non averlo fatto, era come se sulle sue gambe si fosse abbattuta un ascia, non riusciva più a sentirle, anzi in quel momento non riusciva più a sentire niente, aveva perso del tutto la cognizione di se stesso, e del mondo circostante, il respiro gli si era fermato in gola, e i suoi pensieri avevano perso qualunque senso logico, la creatura che aveva di fronte, era … era … a dir poco meravigliosa, era una ragazza graziosamente minuta, dalla corporatura esile, anche se evidentemente atletica, anche le sue forme erano delicate, ma non toglievano nulla alla sua grazia e bellezza, la carnagione rosea ne faceva risaltare i capelli, di un rosso estremamente scuro, quasi innaturale, corti fino alle spalle, e appena un po mossi, quella piccola cascata scarlatta, faceva da cornice a un viso anglico, decorato da due gemme indaco, occhi stupendi, di un blu unico nel suo genere, nel guardarli, sembrava di immergersi in un oceano senza fondo, che ti cullava dolcemente, invogliandoti a sprofondare per l’eternità, Albert si riscosse dai suoi pensieri, dopo essere rimasto fermo per un tempo indefinito, si rivolse alla ragazza, riuscendo a biascicare solo un salve, per poi sedersi su richiesta di lei, questa lo guardo un istante, sconcertata da quello strano comportamento, quando era entrata lo aveva trovato in  piedi, questo era un buon segno, voleva dire che si era ripreso perfettamente, ma la preoccupava quell’ espressione con cui la stava fissando, sembrava fosse rimasto pietrificato, ma si rilassò subito quando lo sentì parlare, gli chiese di sedersi, per poi porgergli un piatto di minestra fumante, era riuscita a portarla fin li di nascosto, senza farsi notare da nessuno, ma quando gliela diede, non seppe se sorridere o rimanere sconcertata, il ragazzo si era avventato su quel piattino, come un lupo famelico, a digiuno da giorni e in meno di un minuto de aveva divorata più di metà, Albert, alzo solo un istante lo sguardo dal piatto, e vedendo l’espressione della ragazza una voce gli scatto in testa dicendo -ABBI UN PO DI CONTEGNO DEFICIENTE TI RICORDO CHE SEI IN PRESENZA DI UNA FANCIULLA- preso dall’imbarazzo, Albert continuo a mangiare in modo più normale, e quando ebbe finito, si rivolse alla ragazza dicendo “Ti ringrazio, sei stata gentile a portarmi da mangiare ... hem piacere di conoscerti, il mio nome è Albert e tu sei?” la ragazza fece un sorriso, e a quella vista Albert si sentì mancare, per poi riprendersi, quando la ragazza disse “Il piacere è mio Albert il mio nome è Irene” Albert era rimasto incantato, ma grazie a chi sa quale forza, riuscì a riprendere il controllo di se, e a usufruire di un minimo di lucidità, per capire che non era il momento, si fece più serio, e poi chiese, “Dimmi Irene dove mi trovo esattamente che posto è questo” Irene si rattristò un po’ ma aveva il diritto di sapere lo guardò e disse “Ti trovi nelle segrete del mio castello, … per ordine di mio fratello, lui ritiene che la presenza di estranei al castello sia dannosa, a meno che non sia strettamente necessaria” Albert fece un sorriso, a meta fra l’infastidito e il divertito, per poi dire “Quindi quel damerino impomatato che mi ha praticamente dato il buon giorno condannandomi all’ergastolo era tuo fratello … però, devo dire che  tu hai un concetto migliore di ospitalità”, non che Albert non fosse arrabbiato, ma certo non poteva prendersela con lei che non centrava niente, fece un grande sorriso, caldo, solare che ti faceva star bene, irradiando un allegria contagiosa, e Irene ne rimase colpita, tanto che anche lei si lasciò sfuggire un sorriso, per poi dire, “Albert, ti prometto che ti farò uscire da qui, farò cambiare idea a mio fratello e tu sarai libero” e con queste parole, se ne andò, lasciando un Albert ancora sorpreso da quelle ultime parole, era davvero una ragazza incredibile, aveva letteralmente portato una luce in quel luogo di tenebre, e ora si stava prodigando per restituirgli anche la libertà, era ufficiale si era perdutamente innamorato della bella Irene.                                                                                                                                              
                   

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 5: titolo di cavaliere ***


CAPITOLO 5

TITOLO DI CAVALIERE

Era trascorsa una settimana da quando Albert era arrivato in quello strano mondo ed era stato rinchiuso in quella cella.

Ormai la sua pazienza era giunta al limite, l’unica cosa che rendeva quell’esperienza più sopportabile, erano le costanti e puntuali visite di Irene, con cui in quella settimana era riuscito ad instaurare un bel rapporto di amicizia.

Ogni giorno all’ora dei pasti, la ragazza gli portava notizie sui suoi tentativi per farlo liberare, e poi passavano il tempo chiacchierando allegramente, Albert aspettava con impazienza anche quel giorno la visita di Irene ma quando la porta della cella si aprì, la libertà divenne l’ultimo dei suoi pensieri.

Edward era nervoso, il giorno prima aveva sorpreso Irene a uscire di soppiatto dalle cucine, e dopo un breve interrogatorio ai domestici aveva ottenuto informazioni che lo avevano infastidito non poco.

Irene aveva disubbidito al suo preciso ordine di fornire al prigioniero solo pane e acqua per sfamarsi, e come se ciò non bastasse non mostrava nessun rispetto per la sua autorità, stava cercando un modo per liberare il suddetto prigioniero senza dover chiedere il suo consenso.

Non poteva permetterlo, tutti nel regno dovevano riconoscere la sua autorità e Irene non faceva eccezione, per questo ora aveva deciso di eliminare il motivo per cui la sua cara sorellina si stava prodigando tanto.

Edward era di fronte ad Albert e lo scrutava con fare minaccioso, poi gli si rivolse dicendo “La tua permanenza in questa cella sta per finire” a quelle parole Albert fece un grande sorriso e preso dall’euforia si rivolse al nulla e disse “Si Irene sei grandiosa lo sapevo che ce l’avresti fatta” poi si rivolse al suo interlocutore dicendo “Allora per quando e prevista la mia scarcerazione?” Edward fece un sorriso strafottente e disse “Per domani a mezzogiorno quando saranno terminati i preparativi per la tua esecuzione”.

Albert era sconvolto, dopo quelle parole era rimasto immobile, senza riuscire a fare nemmeno un fiato, mentre Edward se n’era già andato richiudendo la cella, senza nemmeno aspettare una razione del prigioniero.

Irene era diretta nelle segrete per far visita ad Albert, ma ad attenderla d’avanti alla porta dei sotterranei, c’era Edward con un espressione che non preannunciava nulla di buono.

La ragazza conosceva bene quello sguardo, Edward era arrabbiato e non serviva certo un genio per capire il perché, l’aveva scoperta e ora non gliel’avrebbe fatta passare liscia.

Il moro si avvicinò a Irene e gli piantò in faccia uno sguardo glaciale dicendo “Sei sollevata dall’incarico che ti avevo affidato, non è più necessario che porti dei pasti al prigioniero”.

Irene era sorpresa, non si aspettava nulla del genere, credeva che avrebbe urlato, che l’avrebbe punita o peggio, invece aveva avuto una reazione del tutto inaspettata, così gli si rivolse dicendo “Perché questa decisione adesso?”, Edward assottigliò lo sguardo infastidito, ma si limitò a rispondere dicendo “Ho deciso di farlo giustiziare, quindi non ha senso continuare a sprecare del cibo inutilmente”.

Irene non riusciva a credere a ciò che aveva sentito, suo fratello aveva emesso una sentenza di morte verso un innocente, no era sbagliato un ingiustizia fin troppo grave, non poteva permetterlo e non l’avrebbe permesso.

Lo sguardo di Irene divenne la pura espressione della fermezza, nei suoi occhi si poteva leggere chiaramente la determinazione di quel momento, e con fare deciso si rivolse a Edward dicendo “Non farai niente del genere”, questi parve sorpreso, nessuno aveva mai osato rivolgersi a lui a quel modo e ora sua sorella minore lo affrontava in quella maniera, era interdetto ma non poteva mostrare il suo turbamento, così decise di risponderle dicendo “E come pensi di impedirmelo esattamente?”.

Irene ebbe un istante di cedimento, ma ritrovò subito la sua determinazione e disse “Libera subito Albert” a quelle parole Edward rimase allibito, per poi fare una smorfia disgustata e dire “Ti sei ridotta a chiamare un prigioniero per nome” Irene non fece una piega e rispose “Non è un prigioniero, è mio amico, in questa settimana ho avuto modo di conoscerlo è una brava persona non merita la morte e io non ti permetterò di …”.

Improvvisamente la voce gli morì in gola, lo sguardo di Edward era agghiacciante e ancora più agghiaccianti furono le sue parole “Spero tu stia scherzando?, non so se l’hai notato, ma il tuo cosi detto amico è un esse umano, UN INUTILE DISGUSTOSO ESSERE UMANO, un estraneo non solo delle nostre terre, ma del nostro intero mondo e tu sei arrivata a considerarlo un amico no peggio un tuo pari”.

Irene rimase in silenzio per diverso tempo, senza sapere cosa dire, ma poi come animata da un nuovo vigore, si rivolse a Edward con una calma disarmante e gli disse “Cosa vuoi che me ne importi?” a quelle parole Edward fece per ribattere, ma non ne ebbe il tempo, poiché Irene riprese dicendo “Cosa importa se è un essere umano o se non appartiene al nostro mondo?, non si può giudicare un individuo per ciò che hanno fatto altri o per fatti avvenuti ormai più di ventimila anni fa”.

Edward era esterrefatto, Irene non gli aveva mai parlato così, si ritrovò ammutolito ad ascoltare il discorso della ragazza che prosegui con queste parole  “Ma non ti rendi conto?, sei talmente ossessionato dai regolamenti e dalla tua smania di dimostrare la tua autorità nell’applicarli, che ormai non ti importa più di nient’altro, hai trasformato questo castello in una prigione per te stesso e per me, soprattutto per me, hai reciso qualsiasi contatto col mondo esterno e tu stesso non esci dal palazzo se non per lavoro, sei completamente impazzito”.

Le sue parole vennero interrotte da un sonoro schiaffo, che Edward le aveva tirato in pieno volto con tale violenza da farla cadere in terra.

Edward la guardava con uno sguardo freddo, quelle parole lo avevano infastidito, perché fin troppo veritiere, e come a voler zittire la sua coscienza che in quel momento gli stava martellando il cervello, si rivolse a Irene dicendo “TACI, non osare contraddirmi, so di essere nel giusto, non cambierò la mia decisione”, a seguito di queste prole, la afferrò per un braccio sollevandola di mala grazia e nonostante le sue proteste la trascinò fino alla sua camera dove la rinchiuse sprangando la porta, poi chiamò due guardie e gli si rivolse dicendo “Sorvegliate questa stanza, fate in modo che mia sorella non ne esca, se dovesse riuscire ad uscirne, prima del tramonto di domani, sarete voi a pagarne le conseguenze” e con queste parole se ne andò.

Irene rimasta sola nella sua stanza, era profondamente turbata dal comportamento del fratello, mai prima di allora era arrivato ad essere violento con lei, ormai aveva del tutto perso la ragione e arrivati a quel punto Irene non poteva più rimanere li, se ne sarebbe andata quella sera stessa.    

Quella sera Irene era pronta per attuare il suo piano di evasione, quando fu certa che il castello fosse immerso nel più assoluto silenzio e che tutti fossero profondamente addormentati, decise di agire.

Fu un istante, Irene alzo una mano e formulò quello che doveva essere un incantesimo, dicendo “Rahxshir” e dalla suamano si sprigionò un ondata di fiamme di un colore azzurro tenue, che raggiunse e incenerì la porta in un battito di ciglia senza produrre alcun rumore udibile.

Irene si stava dirigendo verso le segrete tentando di fare il meno rumore possibile, doveva liberare Albert e allontanarsi il più possibile da quel castello prima che Edward o chiunque altro notasse la sua fuga.

Albert era abbattuto, sarebbe stato giustiziato l’indomani e avrebbe passato le sue ultime ore in quella cella, e come se ciò non bastasse non aveva nemmeno avuto la possibilità di rivedere Irene un ultima volta, quella ragazza cosi bella che con la sua bontà e vivacità l’aveva incantato nel giro di un istante.

Gli veniva da ridere a fare certi pensieri in una situazione del genere, anziché preoccuparsi della sua imminente dipartita, si preoccupava di come dire addio a una ragazza con cui aveva parlato si e no una ventina di volte, ma il corso dei suoi pensieri venne interrotto dal cigolio della porta della cella che gli si spalancò di fronte.

Il piano di Irene stava procedendo a meraviglia, ora avrebbe solo dovuto liberare Albert e andarsene il più in fretta possibile da li, prese la chiave appesa sulla porta della cella e una volta aperta la porta, si rivolse ad Albert e con un sorriso che fece incantare il povero prigioniero, e disse “Ti avevo detto che ti avrei fatto uscire di qui in qualche modo”e cosi dicendo apri le manette, e gli disse “Bene adesso vieni con me ce ne andremo di qui”.

Albert non se lo fece ripetere due volte, si alzo in piedi e prese a seguire Irene per i sotterranei, finché non giunsero dinnanzi a una porta molto spessa.

Una volta li Irene si rivolse ad Albert, chiedendogli di stare indietro, per poi eseguire lo stesso incantesimo che aveva usato per incenerire la porta della sua stanza.

A quella vista Albert rimase di stucco, quella era vera magia, con tanto di incantesimo, era una visione stupefacente, quelle fiamme azzurre erano meravigliose, sembrava che la notte avesse colorato il fuoco facendolo diventare parte di se.

Albert rimase immobile finché le fiamme non ebbero del tutto divorato la porta, che fino ad allora aveva nascosto una lunga scalinata, si riscosse solo al richiamo di Irene, che nel mentre lo aveva preceduto.
Percorsa la scalinata, i due si trovarono d’avanti all’ingresso di quella che Irene riconobbe come una delle più grandi sale del castello.

L’oscurità della notte avvolgeva ogni cosa in quella stanza, senza lasciar trapelare alcuna luce rendendo pressoché impossibile orientarsi, ma Irene sapeva come ovviare al problema, generò una fiammella che avrebbe dovuto fungere da torcia, dissipando così il buio di quel luogo, rivelando qualcosa che lasciò Albert meravigliato.

La sala in cui si trovavano era paragonabile a una mostra di armature, ve ne erano almeno un centinaio, una più incredibile dell’altra, ognuna decorata e lavorata perche fosse differente dalle altre, ma una in particolare aveva attirato l’attenzione di Albert.

Un armatura posta al centro della sala affinché la dominasse, rinchiusa in una piramide di vetro come fosse una reliquia, era fatta di un metallo completamente bianco, decorata con bordature in oro e al centro del pettorale vi era un volto di leone ruggente in argento.

Albert si avvicinò per poterla vedere meglio, seguito da Irene che vedendolo interessato gli disse “Bella vero? è appartenuta a un grande guerriero, che la lasciò in dono a un mio antenato circa cento cinquant’anni fa come pegno della sua riconoscenza e il mio avo in segno di rispetto verso il guerriero la fece incantare, affinché nessuno potesse appropriarsene”, con queste parole indicò una scritta incisa sul piedistallo di marmo nero su cui era posta l’armatura e aggiunse “Quelle sono le quattro rune del coraggio e indicano che solo un guerriero altrettanto valoroso può indossarla”.

Albert era rimasto incantato dal discorso della ragazza, e si era soffermato a fissarla dicendo fra se e se “Già … bellissima”, ma mentre contemplava l’immagine di Irene, la sua attenzione venne attirata da un particolare del suo viso, un ombra scura sotto l’occhio sinistro, venne colto da un dubbio improvviso e mosso dal puro istinto attirò a se la ragazza per poi accarezzarle delicatamente la guancia e soffermarsi su quel punto.

Irene resto allibita, il gesto di Albert l’aveva colta alla sprovvista, il modo in cui le aveva sfiorato la guancia così gentilmente e delicatamente l’aveva disarmata, per questo quando lo sentì soffermarsi sul punto dove Edward l’aveva colpita si fece sfuggire una leggera smorfia di fastidio segno che seppur in minima parte doveva farle male.

Albert allontanò la mano dal volto di Irene, aveva visto giusto, qualcuno aveva osato colpirla e aveva il presentimento di sapere chi fosse il colpevole, a quel pensiero Albert si sentì ribollire il sangue, ma voleva esserne sicuro, così rivolgendosi a Irene chiese, “Di la verità!, è stato tuo fratello a farti questo?”.

Quella domanda l’aveva spiazzata, ma non poteva immaginare, che rispondervi avrebbe portato a scatenare le conseguenze che seguirono.

Titubante Irene spiegò quello che era successo, per poi assistere a una reazione, che non si sarebbe mai aspettata di vedere.

Albert si era inginocchiato come un cavaliere e con un tono che faceva trasparire pura determinazione le disse “Ti chiedo di poter rimanere qui, in modo che io possa conquistare la tua e la mia libertà, senza dover fuggire”.

Stava mentendo, anche se avrebbe sfruttato l’occasione per fare anche quello, ma in realtà Albert aveva intenzione di massacrare Edward, voleva fargliela pagare, nessuno doveva permettersi di far del male ai suoi cari, fosse persino un dio nessuno doveva osare fare una cosa simile.

La ragazza era rimasta colpita dalla richiesta di Albert, aveva detto di essere disposto a combattere perché lei potesse ottenere la sua libertà, fece un sorriso, quella era la prova che aveva ragione, quel ragazzo aveva un animo buono, non meritava di morire in catene, per un attimo fu tentata di accettare, ma si riscosse subito, rendendosi conto che esaudire quella richiesta equivaleva a condannarlo a morte certa.

Irene piantò le sue iridi indaco in quelle color del bosco di Albert, rivolgendogli uno sguardo gentile e dicendo “Ti ringrazio, so che sei in buona fede e so che l’dea di scappare ti infastidisce, ma fidati se ti dico che questa potrebbe essere la tua unica occasione per uscire vivo da questo castello”.

Il ragazzo era impressionato, quella ragazza aveva un totale controllo su di lui e non lo sapeva, così annui deciso a seguirla e disse “Va bene allora, farò come vuoi andiamo”.

Uscirono dalla stanza trovandosi di fronte un lungo corridoio, che secondo le indicazioni di Irene avrebbe dovuto condurli al giardino interno e da li fuori dal castello, ma non sempre i piani vanno come si era sperato.

Quando furono nel giardino, ad attenderli c’era un guarnigione di quaranta soldati guidata da Edward che aveva dipinto in volto un ghigno di scerno.

Il giovane sovrano si rivolse ai due fuggitivi e disse “Pensavate davvero che fossi così ingenuo, avevo già considerato questa eventualità, e ho provveduto affinché nell’eventualità che riusciste ad arrivare fin qui sareste stati fermati”. Dopo questo sproloquio, schiocco le dita e un gruppo di soldati agi all’istante per immobilizzare i due ragazzi.

Quando furono entrambi inoffensivi, Edward si avvicino loro e con un sorrisetto beffardo si rivolse a entrambi dicendo “Per quanti sforzi possiate fare non riuscirete  mai a spuntarla con me, mettetevelo bene in testa”.

Quelle parole, dette con quel tono così arrogante, avevano infastidito Albert, che sopraffatto dalla rabbi reagì d’impulso dicendo “Hei razza di spocchioso pallone gonfiato, secondo me sei solo capace di dar fiato alla bocca, che ne dici di dimostrare quanto vali con i fatti, battiti con me e vediamo se sei davvero tanto superiore o se come penso che sia non sei altro che un bambino viziato troppo cresciuto”.

Le guardie lasciarono all’istante la presa sul ragazzo, sapendo che di li a pochi secondi sarebbe stato ridotto in cenere, ma quello che accadde dopo li lasciò esterrefatti.

Edward si era avvicinato ad Albert intenzionato a disintegrarlo in quel preciso istante ma poi venne colpito da un illuminazione e si ritrovò con questi pensieri – Se accettassi la sua sfida, potrei sfruttare la cosa per trasformarlo in un esempio per tutti, nessuno oserebbe più sfidarmi e al contempo mi sbarazzerei di lui – e rivolgendosi ad Albert disse “Va bene accetto! Ci sfideremo domani all’ alba nella piazza del castello, ora va a prepararti hai poco tempo, dato che ne sei sprovvisto ti concedo di usare le armi e le armature presenti nel castello” stava per andarsene ma venne nuovamente richiamato da Albert che disse “Se vincerò dovrai restituirmi la mia libertà, potrò lasciare questo castello e Irene potrà venire con me”.

Edward era allibito, non si aspettava niente del genere, guardò Albert per un istante, come se non riuscisse a credere a ciò che aveva sentito, e vide nei suoi occhi la stessa determinazione che poche ore prima aveva visto in quelli di Irene, ma scaccio subito quel pensiero, ritenendo che fosse inutile stare a preoccuparsi per un eventualità che non si sarebbe mai verificata, era impensabile che quel ragazzo riuscisse a batterlo, così decise di accettare e rispose dicendo “Va bene, se vincerai sarai libero di lasciare il castello e se lo vorrà mia sorella potrà seguirti” e con queste parole richiamò le guardie, per poi sparire con esse all’interno del castello.

Albert continuava a fissare con astio la porta dietro cui Edward era sparito, pensando allo scontro imminente e a come prepararsi per affrontarlo al meglio, ma il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da Irene, che attirò la sua attenzione afferrandolo per un braccio e cominciando a trascinarlo verso una seconda porta posta sul lato opposto del giardino e quando gli furono d’avanti gli disse “Ti prego va via finché sei in tempo, non preoccuparti per me e pensa solo ad andare il più lontano possibile da qui”.

L’interessato fece un sorriso per poi rivolgersi alla rossa e dire “Non ci penso nemmeno, non sono il tipo che si rimangia quello che dice, non darò a tuo fratello la soddisfazione di dire che ho avuto paura di battermi e in più non  ho nessuna intenzione di lasciarti qui”.

Irene era piacevolmente colpita, si ritrovò a sorridere entusiasta pensando che anche lei avrebbe fatto così, Albert aveva ragione, arrendersi senza nemmeno provare era adir poco una stupidaggine, così si rivolse al ragazzo e disse “Quando ti scontrerai con Edward, farò il tifo per te, quindi vedi di vincere, o te la vedrai con me intesi?”.

Albert scoppio a ridere, quella ragazza era sorprendente, quello era indubbiamente l’incoraggiamento più assurdo che gli avessero mai fatto, e fra le risate rispose “Contaci non permetterò a quel pallone gonfiato di averla vinta”.

Irene lo afferrò nuovamente per un braccio e lo trascinò fino alla sala delle armature dicendogli “Prendi quella che ti piace di più, sarà tua e potrai usarla per combatter contro Edward” e con queste parole fece entrare Albert nella stanza, rimanendo ad attenderlo sulla porta.

Albert non aveva il minimo dubbio su quale scegliere, l’armatura nella piramide di vetro, avrebbe fatto un figurone con quella indosso.

Si avvicinò deciso e aprì la piramide di vetro che la conteneva, depositando i pezzi di quella armatura a terra, per poi indossarli uno per uno.

Quando fu pronto si mostrò a Irene, che rimase sbalordita, in primo luogo perche vedere che l’armatura non l’aveva respinto era stupefacente e poi perché in quelle vesti Albert era perfetto, il metallo bianco di cui era composta l’armatura faceva risaltare le caratteristiche del suo viso, dandogli un senso di risolutezza e valore ancora maggiore di quanto già non ne esprimesse, le bordature d’oro sembravano aumentare la stazza del ragazzo e solo in quel momento Irene si rese conto di quanto Albert fosse effettivamente imponente, in ultimo il leone d’argento al centro del pettorale, faceva bella mostra di se dando l’impressione alla ragazza di trovarsi di fronte a un vero cavaliere.

Edward aspettava pazientemente al centro della piazza, aveva indossato la sua armatura migliore, un gioiello di manifattura nanica composta di un metallo dalle sfumature bluastre le cui parti erano legate da giunture cosi perfette da sembrare congiunte fra loro e sui due spallacci erano stati incisi due fulmini uno nero sulla spalla sinistra e uno bianco su quella destra.

E fra le mani stringeva una lunga lancia di metallo dalla punta ondulata e sottile che ricordava vagamente una saetta.

Nella piazza, c’era una tensione quasi palpabile nell’attesa di quello scontro, non perche i presenti si aspettassero un grande combattimento, era impensabile che qualcuno riuscisse a competere con il loro re, la gente li riunita voleva solo assistere a un massacro a senso unico e godersi lo spettacolo, e nell’attesa discutevano su tutti i possibili esiti dello scontro, ma quando lo sfidante fece il suo ingresso, nella piazza calò il più totale silenzio.

Edward non riusciva a credere ai suoi occhi, quell’umano aveva indosso l’armatura del ruggito d’argento, non poteva accettarlo, lui aveva passato tutta la vita nel tentativo di raggiungere i requisiti adatti a indossarla e ora quell’essere l’aveva conquistata in una notte, bene allora avrebbe frantumato l’armatura e usato i suoi frammenti per fare a brandelli il suo utilizzatore.

Il nobile alzo un dito contro Albert e disse “Lixshier” e subito da esso si sprigiono una piccola bolla elettrica che si scagliò su Albert come un proiettile.

Miracolosamente il ragazzo riuscì a deviare il colpo senza sforzo, per poi estrarre una daga e lanciarsi a testa bassa verso il suo avversario.

Questi non si fece cogliere impreparato, schivò il colpo per poi usare la sua lancia come una mazza, e colpire Albert alla base del collo.

Edward sorrideva beffardo guardando il suo avversario e cosi gli si rivolse con tono di sufficienza dicendo “Allora tutta qui la tua forza, patetico o visto più spirito combattivo in un agnellino, è vero che non hai alcuna possibilità di sopravvivere a questo scontro ma almeno fai in modo che valga la pena per me di aver accettato”.

A seguito di quelle parole, dovette scansarsi per evitare un fendente della daga di Albert, che si era avvicinato approfittando di quello sproloquio per attaccare, ma non fu abbastanza veloce e Albert riuscì comunque a ferirlo al volto e poi esordi dicendo “Questo era per togliermi lo sfizio di levarti dalla faccia quel maledetto sorrisino”.

In quel momento tutti rimasero atterriti, mai nessuno era riuscito a ferire il re in un duello, lo stesso Edward era stupefatto e sfiorandosi la parte lesa sentì la mano macchiarsi di sangue per poi osservare quello stesso sangue seccarsi sulla sue dita e infine stringere il  pugno fremendo di rabbia.

Preso da un impeto di collera, Edward creò una nuova bolla elettrica, ma stavolta usando tutta la mano, scagliando quella che era paragonabile in tutto e per tutto a una palla di cannone contro il povero Albert facendolo schiantare contro il muro alle sue spalle.

Albert era stato stordito dalla potenza del colpo appena ricevuto, e il fatto di essere rimasto incastrato nella parete contro cui era stato scagliato, non migliorava certo le cose.

Edward guardava il suo avversario certo di esservi superiore, era convinto di vincere senza il minimo sforzo, ma voleva divertirsi ancora un po prima di finirlo, così prese ad avvicinarsi lentamente, roteando la sua lancia con una mano sola, e questa cominciava a emettere uno strano suono stridente.

Il ragazzo si stava sforzando nel tentativo di liberarsi, mentre guardava il suo avversario farsi sempre più vicino, e in quel momento il suo sguardo si posò sulla lancia del nemico, che si stava illuminando di una strana luce bluastra che si faceva sempre più intensa.

Ormai il suono emesso dalla lancia era assordante e la luce che emanava accecante, quella che prima era un arma, ora si era trasformata in un fulmine e quando Edward fu soddisfatto del risultato, la sollevo come un giavellotto per poi scagliarla con tutta la sua forza verso Albert.

Irene stava assistendo a quello scontro col fiato sospeso, sperando che Albert riuscisse a uscirne vivo, aveva sperato in una sua rivalsa quando l’aveva visto ferire Edward, ma più andava avanti più il combattimento sembrava volgere a favore di quest’ultimo, e ora vedendo suo fratello intenzionato ad eliminare Albert non riuscì a fare a meno di distogliere lo sguardo.

Ma quando riaprì gli occhi si trovò di fronte una scena sbalorditiva, Albert si era liberato e aveva afferrato il fulmine che si era nuovamente trasformato tornando alla sua forma originale.

Quando Albert ebbe fra le mani la lancia di Edward, la afferrò saldamente e ripartì all’attacco, ma anche stavolta Edward riuscì a fermare l’offensiva del suo avversario, afferrando la punta della sua lancia con una mano.

Edward se la rideva di gusto e rivolgendosi al contendente di fronte a lui disse “Bene così va già meglio, ma ancora non basta impegnati di più”.

In risposta a quella provocazione, Albert cerco di affondare un colpo nel fianco del nemico con la sua daga, ma anche quell’offensiva venne bloccata.

Ormai Edward era certo di aver vinto, stava per respingere Albert per contrattaccare e abbatterlo, ma il neo cavaliere lascio andare la daga per poi sferrare un violentissimo pugno sulla guancia ferita del sovrano che cadde al suolo con un tonfo sordo e vedendo il suo avversario al suolo Albert gli rivolse un occhiata furente e disse “Questo invece e a nome di Irene, dimmi come ci si sente a essere colpiti in faccia”.

Irene era rimasta meravigliata da quell’azione, Albert era davvero eccezionale, non solo stava affrontando uno dei combattenti più feroci mai nati fra i paladini draconici, un guerriero che da solo ne aveva abbattuti un centinaio e stava riuscendo ad avere la meglio, ma stava affrontando quella prova così difficile anche per lei, per renderla libera, stava dimostrando di tenere davvero a lei e questo per Irene significava tanto, Albert era davvero un grande amico.
  
Albert si rivolse al suo avversario dicendo “Avanti alzati, non ho intenzione di colpire un avversario a terra e so che questo non basta per metterti KO, quindi alzati e combatti”.

Edward era furibondo, il suo volto grondava sangue a fiotti dalla ferita che per il colpo ricevuto era diventata ancora più larga e profonda, il suo sguardo era diventato un agghiacciante maschera di furia, Albert si sentì gelare a quella vista, era evidente che ora Edward ci sarebbe andato pesante, infatti il giovane sovrano aveva allargato le braccia quanto più gli fosse possibile, per poi richiamare un nuovo incantesimo e dire “Liraxhurier”.

A quelle parole, nel cielo si addensarono le più nere nubi di tempesta portando con loro il fragore dei tuoni più violenti e la luce dei lampi più accecanti.

Quando il cielo fu coperto dal nero di quella tempesta, un enorme fulmine si abbatté su Edward, che lo afferrò e lo sollevò come fosse Zeus in persona, per poi mangiarselo e il fulmine lo avvolse pervadendolo della sua pura energia.

Quando l’incantesimo fu concluso, Edward si rivolse ad Albert mostrando uno sguardo intriso della luce del fulmine e disse “Ora scoprirai perche il mio nome di battaglia è grande fulmine blu”.

In quel momento il giovane re scomparve, per poi ricomparire alle spalle del neo cavaliere e sferragli un calcio fra le scapole, scaraventandolo a più di cinque metri da lui e prima che il poveretto potesse toccare terra, il sovrano lo colpì allo stomaco con una ginocchiata facendolo volare a quattro metri di altezza e quindi scagliare una saetta per colpirlo direttamente in mezzo al torace e poi assistere alla sua rovinosa caduta.

Albert cominciava a credere di non farcela, il dolore gli rendeva impossibile qualsiasi movimento, era accaduto tutto così in fretta che non aveva avuto modo di reagire e ora non poteva fare altro che guardare Edward mentre gongolava.

Edward si stava avvicinando sempre di più al suo avversario, gongolando per quella ennesima vittoria, da aggiungere a quelle già innumerevoli che aveva collezionato, stringendo fra le mani quella dannata lancia che si era nuovamente trasformata in un fulmine, era deciso a concludere lo scontro affondandola nel petto del suo nemico inerme.

Ma quando fu abbastanza vicino da vibrare il colpo, accadde qualcosa di sbalorditivo, la testa di leone d’argento scolpita sull’armatura si animò, ed emise un ruggito dalla potenza inaudita.

Edward faticava a contrastare quell’incredibile potenza, la lancia tornò ancora una volta alla sua forma originale, per poi essere strappata dalle mani del re e allora la sua punta andò in pezzi.

Allora il sovrano tento di farsi scudo a mani nude, ma gli avambracci della sua armatura seguirono la stessa sorte della punta della lancia riducendosi in frantumi e infine lui stesso venne sbalzato a una ventina di metri di altezza facendolo schiantare contro una delle torri più alte del castello.

Irene sorrise entusiasta vedendo il fratello schiantarsi contro la torre, finalmente qualcuno gli stava dando una bella lezione di umiltà, ma ciò che la colpì maggiormente, fu vedere sprigionarsi il potere di quell’armatura, “ruggito d’argento” il nome che gli avevano dato era più che adatto.

Ormai Edward era vicino alla sconfitta e l’artefice di quell’impresa era Albert, quello che all’inizio appariva agli occhi del popolo come uno scontro a senso unico, destinato a concludersi in un massacro per quello straniero, ora era visto come una battaglia ad armi pari fra due degni guerrieri e più questa proseguiva, più la gente iniziava a vedere possibile una vittoria da parte di Albert.

Nell’istante in cui Edward si schiantò contro la torre un boato di grida di esultanza e applausi si alzo dalla folla acclamando il giovane guerriero che aveva compiuto l’impossibile e al di sopra delle altre voci si levò quella di Irene, che incitando la folla prese ad acclamare il neo cavaliere dicendo “Albert sei stato grande, avanti continua così massacralo, fai abbassare la cresta a quel pallone gonfiato”.


Edward era sconvolto, era inconcepibile che qualcuno ridotto in quello stato, un comune essere umano per giunta fosse riuscito a liberare un potere simile, stava perdendo la ragione, qualunque cosa facesse, quell’insetto la faceva meglio, più forte lui colpiva, più Albert rispondeva, e il popolo si stava schierando contro di lui a cominciare da Irene che ormai incitava quell’inutile prigioniero gridando a squarcia gola.

Era furente, tanto che i fulmini che lambivano il suo corpo cominciarono a vorticare sempre più velocemente e per fare in modo di sedare la rivolta imminente urlo talmente forte da far tremare quel cielo gonfio di nubi, dicendo “Io non sarò mai sconfitto da un volgare essere umano e ora ve ne darò la prova, se lui a usato il potere del ruggito d’argento, io scatenerò l’ira delle fauci della tempesta”.

E con quelle parole si staccò dal muro, cominciando a fluttuare a mezz’aria sospinto dalla potenza dei fulmini che lo avvolgevano e prese a salire ancora più in alto fino a fermarsi.


Il re guardò in basso puntando lo sguardo sul suo nemico, per poi cominciare a recitare una strana cantilena dicendo “In nome del potere del fulmine, io chiedo al cielo di mostrare la sua inarrestabile furia, mostrati bestia della tempesta, spalanca le fauci della punizione, affinché il mio nemico scompaia da questo mondo” dopo di che pronunciò un incantesimo dicendo “Lariehaxiraser” e con quelle parole le nubi sopra la sua testa presero a vorticare, risplendendo della luce accecante di migliaia di lampi, per poi dare forma alle fauci di un enorme serpente, che minaccioso si avvicinava al suolo per divorare Albert in un solo boccone.

Tutti i presenti erano pietrificati dalla pura, conoscevano bene la potenza di quell’incantesimo, ed erano consapevoli che con la sua furia quel mostro avrebbe distrutto ogni cosa nel raggio di almeno ottocento metri.

Albert era stremato, era riuscito a malapena ad alzarsi in piedi e ora si trovava di fronte a qualcosa di immane, aveva davvero paura di non farcela e più le fauci della bestia si avvicinavano più la sua paura aumentava e osservando quell’orribile essere un pensiero gli attraversò la mente – E’ la fine, come posso fermare quell’affare? Sono sfinito non riesco a muovermi come vorrei e di certo non sono nelle condizioni di incassarlo”.

Era finita, nessuno avrebbe mai potuto resistere a quell’incredibile potere. Certo di questo, Edward era ormai certo della sua imminente vittoria e un espressione di trionfo gli si dipinse in volto, ma dovette ricredersi quando una moltitudine incalcolabile di lingue di fuoco tinte del blu della notte più profonda lo investirono con una potenza inaudita, facendogli perdere la concentrazione e dissolvendo il suo incantesimo.

Irene era sconvolta, appena aveva visto le nubi prendere la forma del serpente aveva capito quali erano le intenzioni di Edward, doveva essere impazzito, in quel modo avrebbe distrutto ogni cosa e condannato a morte centinaia di persone solo per ottenere una vittoria.

Non poteva permettere che accadesse una cosa del genere, doveva fermarlo, doveva impedirgli di compiere una simile atrocità, e con quei pensieri si mosse istintivamente, scatenando il suo incantesimo più potente contro Edward.

Il giovane signore riaprì a fatica gli occhi, quel colpo l’aveva colto alla sprovvista, non si aspettava un intervento da parte di Irene, rivolse un occhiata furente a quest’ultima, per poi accertarsi dei danni riportati.

La sua armatura si era praticamente dissolta e sul suo corpo erano impressi i segni lasciati dal fuoco fatuo, si muoveva a fatica, incassare quel colpo non era stato affatto facile, scese al suolo e punto uno sguardo deformato dalla furia verso Irene dicendo “Come osi fare questo a me?, A ME che condivido il tuo stesso sangue”.

La ragazza era furente, aveva sopportato anche troppo e quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, ricambio lo sguardo del fratello dicendo “Oso eccome, sono stufa di te e delle tue manie da megalomane, stavi per sterminare la nostra gente solo per la tua stupida ossessione per il potere, bhe lascia che te lo dica, questo non è degno di un re”.

Edward era stupefatto, non credeva possibile che la sua sorellina fosse in grado di reagire in quel modo, invece l’aveva zittito, fece per ribattere ma non ebbe nemmeno il tempo per formulare un pensiero che Irene parlo di nuovo forse con più foga di prima e disse “Sta zitto non voglio ascoltare nessuna delle tue sciocchezze, per quanto mi riguarda ne ho ascoltate anche troppe, quindi adesso io e Albert ce ne andiamo da qui e se ti sentirò pronunciare anche solo una parola in proposito, giuro che farò in modo di farti bruciare vivo per un mese CHIARO”.

Albert era rimasto in disparte a guardare la scena, cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridere, era rimasto ammirato dal comportamento della ragazza e in quel momento l’unico pensiero coerente che il suo cervello gli consentì di formulare fu – Quella ragazza è davvero fantastica, mi sono sempre piaciute quelle con un bel caratterino – .

Il neo cavaliere si avvicinò ai due fratelli e rivolgendosi a Irene disse “Penso che così possa bastare” poi si rivolse al sovrano di fronte a lui e disse “Aggiungere altro sarebbe superfluo, ma vorrei comunque dire che mi fai pena, hai completamente dimenticato cosa siano la liberta e la vita tanto che sei diventato prigioniero di te stesso e della tua rabbia, non so cosa possa averti spinto a tanto ma dimenticalo fattene una ragione e vai avanti, solo così potrai essere un buon re”.

Il fulmine blu rivolse a Irene uno sguardo indecifrabile per poi dire “Tu non andrai da nessuna parte … senza almeno un cavaliere al seguito”
Irene si acciglio e rispose “Non ho bisogno di una balia, so cavarmela da sola e in più ci sarà anche Albert con me”.

Il re le rivolse un occhiata eloquente e disse “Lo so, infatti non ho intenzione di sprecare uno dei miei soldati per metterlo al vostro seguito”

La ragazza era confusa, non capiva dove il fratello volesse andare a parare, finche non lo vide raccogliere la daga di Albert rimasta conficcata al suolo e poi tornare da lei per porgergliela, dicendo “L’ho detto non ti darò nessuno dei miei cavalieri”.

Irene aveva finalmente capito cosa intendesse fare Edward e afferro di scatto la daga per poi rivolgersi ad Albert con fare solenne e dire “In ginocchio per favore”.

Albert capì subito le intenzioni della ragazza, ed esegui subito la sua richiesta, questa gli si avvicino e disse “Con l’autorità di cui sono investita, di fronte a Dio e di fronte al popolo io ti nomino cavaliere” mentre diceva così muoveva delicatamente la daga a sfiorare appena il collo di Albert, quando ebbe finito lo guardo sorridente e disse “Ora in piedi sir Albert”.

Il cavaliere si alzò immediatamente, con in volto un sorriso a metà fra il trionfante e il risoluto, ma questa mutò subito quando Irene gli porse la mano dicendo “E’ tradizione che chi riceve la nomina di cavaliere offra a chi la investito del titolo un pegno di fedeltà”.

Albert sapeva perfettamente a cosa si stesse riferendo Irene e il suo sorriso si fece ancora più largo, si inchinò leggermente e disse “Io sir Albert giuro di esserti eternamente fedele e di seguirti e obbedirti finche mi vorrai al tuo fianco” e con queste parole esegui un bacia mano per suggellare l’accordo e concludere  la cerimonia di investitura.

Quando l’investitura fu conclusa, Edward che era rimasto in disparte a osservare la scena si rivolse alla servitù dicendo “Portate qui l’equipaggiamento per il viaggio, delle tende da campo, delle provviste e una scorta d’acqua”.

Quando i preparativi furono terminati e i due giovani si furono caricati in spalla l’equipaggiamento il sovrano si rivolse ad Albert parlando in modo che solo lui potesse sentire e disse “Se succede qualcosa a Irene, non avrai nemmeno il tempo di pentirtene, chiaro?”

Albert annui titubante ma colto dal dubbio rispose “Da cosa deriva questo improvviso cambio di opinione”.

Il nobile lo guardò con un ghigno e disse “Per due valide ragioni, la prima e che tu avresti vinto comunque, di la verità avevi trovato il modo di rendere inoffensive anche le fauci della tempesta” vedendo la sorpresa negli occhi del ragazzo aggiunse “Ti ho visto mentre conficcavi la spada a terra il fulmine sarebbe stato risucchiato nel sottosuolo, bella trovata te lo concedo sei in gamba."

"Per quanto riguarda il secondo motivo bhe da quando sei arrivato Irene sembra rinata e tornata ad essere la persona straordinaria che era un tempo, io ho fatto quel che o fatto fin ora per tenerla al sicuro, per far si che non le accadesse mai niente, per regalarle un mondo perfetto, ma a quanto pare ho sbagliato tutto, tanto che sono arrivato a credere di saper meglio di lei cosa fosse meglio per lei, invece tu in una sola settimana sei riuscito a renderla nuovamente felice ti ringrazio. Quando ricevetti l'autorità di governare su queste terre, ricevetti insieme all'onore anche la grande responsabilità di proteggere il mio regno e per fre questo ho istituito regolamenti su regolamenti e leggi fra le più rigide, credendo che il controllo mi avrebbe dato la certezza di stare svolgendo al meglio il mio dovere, invece ho solo trasformato il mio regno in una prigione e i suoi abitanti in prigionieri, quindi anche Irene e io stesso, ma tu ai rotto quella prigione e per questo che ti affido mia sorella abbine cura".

Albert era stupefatto, non si aspettava niente del genere ma annui deciso e mentre usciva dalle porte del castello preceduto a breve distanza da Irene disse “Conta su di me ti prometto che sarà al sicuro”.

Edward non disse nulla limitandosi ad annuire e mentre li guardava allontanarsi e un pensiero gli sorse spontaneo – Sono convinto che quei due ne combineranno delle belle mhf bhe a rivederci sir Albert - .            

 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 6: In viaggio ***


CAPITOLO 6

IN VIAGGIO

Alberte e Irene erano in viaggio da diverse ore, ormai si erano lasciati alle spalle il castello della ragazza e ora stavano percorrendo una tranquilla strada ai limitari di un bosco, godendosi la fresca brezza che accarezzava i loro volti.

La rossa era al settimo cielo, inebriata dalla libertà da poco conquistata, tanto che sembrava sprizzare vitalità da tutti i pori, mentre ogni tanto si lasciava sfuggire una risata cristallina che sembrava addolcire l’aria.

Albert le si avvicinò, soffermandosi un istante a guardarla, lasciando che un sorriso si facesse largo sul suo volto, prima di rivolgerglisi dicendo, “Vedo che siamo allegri oggi, mi fa piacere”.

Lei si voltò con un sorriso soave a illuminarle il viso e disse, “E questo grazie a te amico mio, non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto per me”.

Il cavaliere accennò un sorriso, chinando appena la testa per dimostrare fedeltà dicendo, “E’ stato un piacere mia signora”.

Irene rise piano, per poi fermarsi a guardare il ragazzo, non capiva per quale ragione tanti dicessero che gli umani erano distruttori pericolosi e malvagi, Albert sembrava essere la prova vivente del contrario.

Presa dalla curiosità, gli si rivolse con queste parole, “Parlami del tuo mondo, com’è viverci e come sono gli umani, vorrei saperne di più su di voi”.

Il ragazzo si rabbuiò leggermente e parve pensarci con attenzione, prima di rispondere, “Non c’è molto da dire sul mio mondo, sono convinto che non ti piacerebbe, li non c’è niente di paragonabile a questo”, disse indicando quel cielo sempre vivo di colori, che trasmettevano pace e allegria.

Poi proseguì così, “Il mio mondo, ha perso la sua pace, c’è così tanta gente, con così tanto a cui pensare, che le persone si tolgono il respiro a vicenda e sono così indaffarate, frenetiche ed egoiste da aver smesso di considerare l’altrui presenza, se non possono trarne un tornaconto, tanto da aver dimenticato cosa sia un atto disinteressato di reale e cortese affetto”.

La ragazza chinò leggermente il capo in segno di rammarico, non si aspettava che il suo amico esponesse i difetti della sua gente e gli si rivolse dicendo, “Ma … tu non sembri così”.

Il castano sorrise dicendo, “Diciamo semplicemente, che anche se non sono molte, ci sono ancora persone disposte a concedersi un momento per gli altri”.

Irene sembrava ancora più confusa, non sapeva cosa pensare degli umani, dalla descrizione di Albert sembravano creature indecifrabili:  in parte corrispondenti alle leggende che li descrivevano come barbari e in parte come esseri buoni.

Certo questo era normale per qualunque creatura, ma non riusciva a capire, quale dei due aspetti prevalesse negli umani, ma dopo averci pensato qualche minuto, sorrise, pensando che avrebbe avuto tutto il tempo che voleva per capirlo con tutta calma.


(Casa di Albert – mondo umano)


Nel frattempo, nel mondo degli umani, Maria era in ansia per l’irreperibilità del figlio, di cui non aveva notizie da quasi nove ore.

Era uscita più volte a cercarlo senza successo, percorrendo senza sosta le strade della città fino a sfinirsi.

Ora si trovava a casa sua, per riprendersi dall’ultima corsa di quell’infruttuosa ricerca, aveva anche avvertito le autorità, ma non aveva ancora ricevuto notizie.

Attese per quasi un ora scattando a ogni minimo rumore proveniente dall’ingresso, ma alla fine la sua pazienza esplose e un pensiero le attraversò la testa – E’ passato troppo tempo, sono stufa di aspettare, se i mezzi di questo mondo non possono aiutarmi, allora ricorrerò a qualcosa di più forte - .

Aprì un ripostiglio e dopo aver spostato varie cianfrusaglie, ne trascinò fuori una vecchia scatola logorata dal tempo e annerita da varie dita di polvere.

All’interno vi erano svariati fogli: sporchi, macchiati, alcuni strappati e persino corrosi dalla polvere.

Si trattava di disegni fatti da Albert quando era bambino, le figure appena abbozzate, il tratto indeciso, i colori vivaci rendevano evidente la tenera età del piccolo.

Cominciò a sfogliarli sorridendo ai bei ricordi, per poi prenderne uno tanto rovinato da aver reso quasi indistinguibili i tratti della matita.

Ripose gli altri fogli nella scatola e la scatola nel ripostiglio, solo per prenderne un'altra, ancor più logora della precedente, questa era decisamente più grande della prima, ed era stata chiusa ermeticamente, con diversi strati di nastro adesivo e tappezzata di svariati avvertimenti e ammonizioni che imponevano di non aprirla.

La donna si fermo un istante, guardando quella scatola e come a voler scacciare l’ansia, pronunciò poche parole in un sospiro mesto dicendo “Credevo che avrei finito col dimenticare questa cosa”.

Aprì la scatola con attenzione, riportando alla luce oggetti che avrebbero fatto bella mostra in un negozio di antiquariato, fra cui un magnifico incensiere di cristallo azzurro.

Ridusse il foglio in coriandoli, depositandolo nell’incensiere, per poi estrarre una piccola lama posta nel coperchio dell’incensiere stesso, con quella incise appena la propria carne, versando il sangue che tinse la carta di un rosso vermiglio.

Fatto ciò richiuse l’incensiere e attese paziente che il tempo facesse il suo corso, osservando il suo operato attraverso la trasparenza del cristallo.

D’improvviso, il sangue all’interno dell’incensiere divenne trasparente e altrettanto velocemente i coriandoli si sollevarono dal fondo, iniziando a galleggiare su quello strano liquido.

In fine il tutto prese fuoco, inghiottito da una piccola fiamma nera, ma questa non era minacciosa, tutt’altro sembrava infondere la quiete di un sonno leggero e del dolce risveglio al mattino.

In quel momento la paladina alzò il coperchio e la fiamma inizio a rilasciare un leggero fumo rossastro,che lentamente si espanse in una nube indistinta.

Maria si sedette di fronte all’incensiere, iniziando a inalare quel fumo con profondi respiri lunghi e controllati, mantenendo una calma glaciale .

Quel manufatto era stato creato dai veggenti delle nubi, appositamente per i paladini draconici duemila  ottocento anni prima, ne esistevano appena venti, poiché erano ritenuti troppo potenti per produrli in gran numero e rischiare di farli finire in mani sbagliate.

Lei aveva conquistato il suo ventiquattro anni prima,per aver salvato un villaggio di veggenti delle nubi da un assalto di predoni, guidati da un criminale del luogo, un ciclope ricercato per omicidio e cannibalismo.

Questo minacciava di rapire le donne e i bambini del villaggio, per poi di radere tutto al suolo, se i paesani non avessero soddisfatto le richieste sue e dei suoi compari.

Lei passava di li per caso e una volta venuta a conoscenza della storia, aveva deciso di aiutare quella gente, non solo perché era la cosa giusta da fare, ma anche perché non aveva mai potuto sopportare bastardi come quelli.

Una volta scacciati i predoni, ed eliminato il loro capo, la gente del villaggio l’aveva accolta con festeggiamenti che durarono tre giorni interi, al concludersi dei quali il capo villaggio l’aveva ricompensata con quel curioso oggettino, dicendole che grazie a esso nulla avrebbe potuto sfuggire ai suoi occhi.

Solo in seguito aveva scoperto il reale significato di quelle parole, servendosi del rituale per risvegliare la sua antica magia e inalando il fumo scarlatto per attingere ai poteri del manufatto, ai paladini draconici era concesso acquisire se pur per breve tempo gli stessi occhi dei draghi e utilizzando un oggetto che vi fosse legato, era possibile legare quegli occhi a un singolo individuo, per rintracciarlo ovunque fosse.

Ma quella volta l’occhio infallibile sembrava aver fallito, stava usando i suoi pieni poteri per scandagliare un area di tremilaseicento kilometri quadrati, ma Albert sembrava essersi volatilizzato.

Dato che era impossibile che un sedicenne, per quanto intraprendente,avesse fatto tanta strada e dato che l’incantesimo l’avrebbe rintracciato anche nella peggiore delle ipotesi, poteva significare solo una cosa, il suo piccolo non si trovava più nel mondo degli umani.

In quel momento realizzò che c’era una sola cosa da fare, tornare a indossare i panni di Maria della folgore e riprendere in mano, i simboli della sua vecchia vita.

Preparò il necessario per la partenza,recuperando ogni manufatto arcano fosse presente in quella casa, per poi dirigersi nel luogo, che da sedici anni faceva da ponte tra i due mondi.

Giunta sul posto qualsiasi dubbio o remora potesse ancora trattenerla scomparve la sua illusione aveva cessato di funzionare e ciò era un chiaro segno della riapertura del portale.

Si chiese come avesse fatto a sfuggirle un particolare tanto rilevante mentre cercava in città e sicura entrò in quello spazio rimasto vuoto.

Si diresse decisa verso una zolla di terra più scura delle altre e leggermente più in rilievo, tempo prima l’aveva rivoltata in quel modo proprio per distinguerla se mai fosse tornata.

E li sotto quello strato di due metri di terra c’era uno strano baule che conteneva la sua antica armatura e le sue più potenti armi con cui aveva affrontato e vinto innumerevoli battaglie.

Riesumato il baule, passo una mano sulla serratura e il coperchio scomparve, rivelando il suo prezioso contenuto.

Accertatasi che fosse tutto in ordine, richiuse il baule con un gesto della mano, per poi aggiungerlo ai bagagli, completando così i preparativi per la partenza.

Afferrò la spada ancora conficcata nel tronco e pronunciò la formula incisa nel legno, a chiare lettere e con sicurezza dicendo “Hucshiver”, ma contrariamente ad Albert prima che il vortice discendente toccasse il suolo, lei agguanto la spada, estraendola dal tronco che si ridusse in minuscole schegge, dicendo “Conducimi alla guglia del lampo”.

E un istante dopo scomparve, proprio come ore prima era toccato ad Albert.


(Foresta di Run – mondo dei draghi)


Nel frattempo, nel mondo dei draghi, Irene sperimentava il risveglio dopo la prima notte passata all’aperto e nonostante fosse abituata a un letto di seta e piume, dormire in un sacco a pelo, in una tenda, in qualche modo era stato ugualmente rilassante.

Si erano accampati in una radura nel folto del bosco, vicino a un ruscello, in modo da avere a disposizione tutto il necessario per l’indomani

Uscì dalla tenda e prese a sgranchirsi, per eliminare almeno in parte il torpore mattutino, per poi sciacquarsi il viso al ruscello, l’acqua fredda, sulla pelle delicata del suo volto, aveva un effetto rinvigorente, che restituiva tutta la lucidità perduta nel sonno.

Quando ebbe finito di rinfrescarsi, Irene decise di  risvegliare Albert, che ancora dormiva profondamente nella sua tenda, avevano un'altra lunga giornata di cammino ad aspettarli e il modo migliore di affrontarla, era svegliarsi presto e iniziarla con una bella colazione.

Entrò nella tenda del giovane cavaliere per poi avvicinarglisi e scuoterlo con gentilezza dicendo “Dai Albert in piedi, è ora rimettersi in cammino”.

Il ragazzo non diede alcuna risposta se non qualche mugolio confuso e infastidito, rigirandosi nel sacco a pelo.

La ragazza parve infastidita da quella reazione, ma certo non aveva intenzione di demordere, lo afferrò per un braccio, tirandolo a sedere di peso,per poi scoppiare a ridere alla vista dell’espressione del suo amico, che poteva essere paragonabile a quella di un ghiro appena ripresosi dal letargo.

Dal canto suo, Albert non ci trovava niente da ridere, non era mai stato un tipo mattiniero e lo svegliarsi in generale, senza che lo facesse da se, gli dava sempre parecchio fastidio.

Guardò un istante la ragazza, ancora intenta a ridere di gusto, sentendo la sua volontà di tornare a dormire, ignorando il richiamo della ragazza, svanire nel nulla, per poi unirsi alle risa e dire, “Va bene va bene ora mi alzo voglio vedere dove arriveremo oggi”.

Il cavaliere si avvicinò al ruscello,immergendo il viso in acqua, per liberarsi del sonno in eccesso accorgendosi a sue spese, di quanto fosse fredda.

Ritrasse subito il viso, non aspettandosi nulla del genere, l’acqua era a dir poco gelida, ormai del tutto sveglio si sciacquò velocemente, per poi prendere un profondo respiro e tornare da Irene.

Quest’ultima aveva preso dalle scorte il necessario per una buona colazione, per lei non era niente di eccezionale, una semplice selezione di formaggi e frutta fresca, un pasto piuttosto comune al mattino per dei viaggiatori, ma per Albert era squisito avevano un sapore totalmente diverso da quelli del suo mondo, era evidente che era tutta roba genuina, fatta a mano e cresciuta naturalmente.

Mentre assaporava quelle prelibatezze, un idea attraversò la mente del giovane cavaliere – Un mondo incontaminato, intriso di magia, abitato da creature straordinarie, si direi che se non dovessi più tornare a casa, questo sarebbe un buon posto in cui fermarsi - .

Albert interruppe il corso di quei pensieri per spostare la sua attenzione su Irene e preso da un momento di curiosità chiese “Dove siamo diretti esattamente? Cioè qual è il primo luogo che vuoi visitare, ora che sei libera?”.

Lei sorrise dicendo “Dunque, per prima cosa, vorrei andare a est, verso un luogo chiamato baluardo del vento, per incontrare una persona e da li poi verso il lontano nord, so che esiste un luogo, dove la sabbia si estende a perdita d’occhio,  pare che fra quelle dune si celi uno dei più antichi segreti di questo mondo”.

Il castano era ammirato, la ragazza aveva spirito di iniziativa e a quanto sembrava sapeva esattamente cosa fare, ma un dubbio venne a stuzzicargli la mente e quindi chiese “Quanto distano questi luoghi?,  come faremo a raggiungerli?”.

Lei rispose dicendo, “Questo dipende dalle correnti arcane, le isole si spostano in continuazione, èpossibile che fra una settimana dovremo cambiare completamente percorso per giungere a destinazione”.

Albert era alquanto sconcertato, non era certo di comprendere a pieno il significato di quella frase, così chiese delucidazioni con queste parole, “Non per essere pignolo, ma vorrei rammentarti che io non ho la più pallida idea di quali siano le forze che regolano questo mondo, quindi vorresti ragguagliare questo giovane umano molto confuso”.

Irene scoppio a ridere pensando che quel ragazzo era davvero strano, non perché veniva da un altro mondo, ma per quel suo carattere che gli dava un aria un po’  da bambino, cosi sorridendo decise di soddisfare la sua curiosità, cercando di esprimere al meglio con le parole a sua disposizione, l’entità dell’energia insita in ogni mutamento di quel mondo, fin anche nel suo più lieve respiro.

Ci pensò su alcuni minuti, prima di rivolgersi al giovane cavaliere dicendo, “In questo mondo, non esiste confine fra terra e cielo, si può dire anzi che essi siano un tutt’uno, infatti nella volta di questo cielo infinito,fluttua una moltitudine sconfinata di isole, ognuna delle quali procede senza sosta nel suo infinito vagare sospinta solo dai capricci delle correnti arcane che le muovono a loro piacere”.

Il cavaliere in un primo momento sembrò incerto e quel che disse sembrò confermare il suo stato di dubbio “Quindi, dicendolo in termini semplici, noi stiamo camminando su una roccia sospesa nel vuoto”.

Irene lo guardò per un istante per poi dire, “Bhe … si, si potrebbe dire anche così”.

Sul volto di Albert si allargò un grande sorriso quando disse “Questo posto mi piace sempre di più”.

Lei rise dolcemente in risposta, Albert era davvero una persona sorprendente.

Si alzò poi in piedi, invitando Albert a fare lo stesso, era ora di rimettersi in cammino.

Raccolsero le loro scorte e le tende, per poi tornare a percorrere il sentiero principale e dopo neanche un ora di cammino, la fortuna sembrò arridergli.

L’incedere di passi pesanti alle loro spalle, che con fragore scuotevano i dintorni, colse la loro attenzione e il loro interesse, voltatisi videro arrivare una lunga fila di carri zeppi di frutta e ortaggi, tutti trainati da un animale enorme che a parere di Albert doveva essere grande almeno come un elefante.

La creatura sembrava una sorta di bizzarro incrocio fra un rinoceronte e un coccodrillo, la pelle squamata dalle forti tinte marroncine doveva essere spessa diversi centimetri e l’intero corpo dell’animale appariva come un immenso fascio di muscoli.

Inoltre, quel coso avrebbe potuto comodamente schiacciarli senza accorgersene, aveva le zampe grandi come ceppi di quercia, munite di unghie enormi, simili a quelle di una talpa, mentre l’enorme testa sembrava in tutto e per tutto un gigantesco ariete munito di un corno osseo lungo almeno un metro e mezzo.

Era impressionante, in compenso non sembrava affatto carnivoro, la mascella di quella creatura non avrebbe potuto ospitare zanne di alcun tipo piccola com’era rispetto alla testa.

Albert era esterrefatto, quell’affare era un rinhoxonte, un animale mitologico che si pensava creato dai persiani per giustificare i rinoceronti.

L’aveva visto una volta sola in un libro illustrato sui miti e leggende del mondo, uno dei primi regali ricevuti da sua madre, non avrebbe mai creduto, di vederne uno in carne e ossa, tanto che persino avendocelo a un palmo dalla faccia, quasi non riusciva a capacitarsene.

Ma ancora più strano, era l’essere che reggeva le redini di quell’improbabile trasporto : una creatura bassa e ingobbita dalla pelle verdastra chiazzata di marrone, che quasi sembrava ridicolo piccolo com’era, alla guida di quel bestione.

Il ragazzo non faticò a identificare neppure quello, non c’era certo bisogno d’essere un genio per riconoscere un goblin.

Ok, appena arrivato in quel mondo, aveva visto una gigantesca fenice volargli sopra la testa e il fascino della cosa lo aveva lasciato totalmente indifferente al dettaglio, che si trattava di un essere teoricamente inesistente e la cosa andava bene così.

Vada anche per il rinhoxonte in fondo il bestione li aveva la sua eleganza anche se poca.

Ma il goblin no, era troppo da sopportare senza chiedersi, quante delle leggende e dei miti che conosceva, fossero in realtà verità fatte e finite.

Da quel che aveva capito, Irene era una paladina draconica, creature che non aveva mai sentito nominare, il che portava all’ovvia conclusione, che quel mondo ospitasse anche esseri che gli umani non avevano descritto nei loro racconti e questo lo spinse a chiedersi, quanto poco gli umani conoscessero la magia che tanto li affascinava.

Si ripromise di trovare una risposta a quell’interrogativo.

Ma ora era più importante capire, se il nuovo arrivato rappresentasse una qualche sorta di pericolo, mise delicatamente mano alla daga che portava alla cintura e rivolgendosi al goblin disse “Amico o nemico”.

Quello lo guardò con tanto d’occhi, mostrando il bagliore rossastro delle iridi, non capendo se fosse una qualche strana forma di umorismo.

Così si limitò a rispondere, “Non oserei muovere ostilità, verso due viandanti, se così giovani come siete voi poi, sarebbe disdicevole e disonorevole e io da mite quale sono non oserei fare nulla di simile”.

Albert spostò la mano dalla daga, rilassandosi visibilmente, per poi rivolgersi al goblinoide e dire “Chiedo perdono signore, mi scusi di aver dubitato”.

L’altro scosse il capo bozzuto rispondendo “Si figuri sir, la fama dei miei parenti è nota, bellicosi, ingannatori, bugiardi e spesso predoni violenti, non stupisce che anche chi come me è per bene sia mal visto, la prego quindi, in nome della mia buona fede, accetti che io e la vecchia Ivet vi portiamo almeno fino al villaggio più vicino”.

Si fermò pochi istanti prima di aggiungere “In fondo stiamo andando la a consegnare questo carico, la recente gelata e la neve hanno distrutto il loro raccolto e poverini non hanno di che sfamarsi così il governatore ha ben pensato di raccogliere un piccolo tributo dai vari villaggi che avevano delle eccedenze, per aiutare i poveretti in difficoltà, hanno chiamato me e Ivet per fare da corrieri”.

Albert era colpito, Edward era davvero un ottimo sovrano, per prendere simili provvedimenti in favore del popolo, chi mai avrebbe osato attaccare un anzi una rinhoxonte come Ivet e un goblin per prendersi un semplice carico di viveri.

Quando poi vide Irene sorridere capì, Edward aveva solo firmato quell’ordine, ma quell’idea era opera della rossa, che in quel momento parlò dicendo “Grazie per queste parole, riferirò al governatore che i suoi sforzi sono stati apprezzati”.

Il goblin all’inizio sembrò non capire, ma poi venne colto da un illuminazione e inchinandosi alla paladina disse “Perdonatemi principessa, non l'avevo riconosciuta, pochi, forse pochissimi, possono dire di avervi visto al di fuori dei confini del castello, non potevo sapere a questo punto insisto per poterla accompagnare insieme al vostro amico, la gente sarà felice di vedervi”.

La ragazza parve riflettere qualche momento prima di rispondere, “La ringrazio buon uomo, io e sir Albert saremmo lieti di viaggiare in vostra compagnia”.

Detto questo il goblin si prodigò subito per far loro posto sul carretto prima di riprendere il viaggio incitando la rinhoxonte a proseguire.


(Guglia del lampo – villaggio ai piedi della rupe)


Maria era arrivata da appena due ore e già iniziava a chiedersi come diavolo avrebbe fatto a trovare Albert, se già i luoghi che meglio conosceva del suo mondo d’origine, erano cambiati così tanto.

Appena arrivata, aveva trovato il suo castello ridotto in macerie, bruciato fin o alle fondamenta, le poche ricchezze che erano rimaste li erano andate distrutte, o del tutto sparite, forse trafugate da qualche viandante in cerca di facili bottini.

Al villaggio invece nessuno sembrava riconoscerla, ne tanto meno lei riusciva a riconoscere qualcuno, in oltre, era tutto completamente diverso, per la miseria come poteva in meno di venti anni un luogo cambiare a tal punto.

Nemmeno la vecchia locanda era più la stessa, sembrava essere stata trasformata, in una di quelle taverne di alta classe per i nobili.

E quando aveva chiesto in giro di Stuart il capo villaggio, le avevano detto che l’uomo in questione era morto da quasi tre secoli.

Dire che era confusa, spaesate e arrabbiata, era poco, molto poco, non ci stava capendo nulla, tutto ciò che ricordava e che credeva di conoscere per certo, era come scomparso nel nulla.

Infine prese da parte l’ennesimo passante, rivolgendoglisi con una nota grave, che impensierì non poco il povero malcapitato dicendo, ”Da quanto tempo il castello sulla rupe è in macerie?”.

Quello la guardò preoccupato, prima di dire, “Da trecento venti anni, anzi saranno trecento ventuno tra una settimana”.

La donna lo lasciò andare, ormai era chiaro, qualcosa non tornava affatto, i paesani erano davvero convinti di quel che dicevano: ovvero che la sua assenza fosse durata più di trecento anni.

Ma lei per ovvi motivi, era più che certa di aver trascorso solo sedici anni nel mondo degli uomini.

Improvvisamente le venne un illuminazione, su un evento simile avvenuto al suo arrivo nel mondo umano: le era capitato per caso di venire in possesso di un libro di storia, che attestava che il periodo feudale istituito da Carlo magno, si era concluso  si era concluso più di un millennio prima, con la morte dell'ultimo superstite dei suoi tre figli.

Ora, questo sarebbe stato perfettamente normale, se solo non fosse stato per il fatto, che la storia umana attestava che tutto questo era avvenuto circa mille duecento anni fa.

Mentre nel mondo dei draghi, la storia attestava che i draghi avevano abbandonato il mondo umano, da circa ventiquattromila  anni da quando i figli dell'imperatore avevano tentato di derubarli.

E ora le si presentava questa nuova incongruenza, apparentemente senza senso, ma si ripromise di trovare una risposta.

Ora l'importante, era trovare al più presto una qualche traccia di Albert, prima che fossero i draghi a trovarlo, per far ciò però, c'era solo una persona a cui poteva rivolgersi.

(Pashurn – villaggio portuale).


Il buon goblin mantenne la parola e condusse i due giovani  fino al villaggio più vicino, dove scaricò una parte del carico di viveri, fra i ringraziamenti degli abitanti.

Dopo di che il corriere si rivolse a Irene dicendo, “Buona fortuna principessa, che la serenità vi accompagni sempre”.

Lei assentì, prima che il goblin spostasse la sua attenzione su Albert, rivolgendoglisi così, “A lei Sir, chiedo di prendersi cura della principessa, sembra avere molta stima di voi, per questo avete anche la mia, quindi non mi resta di augurare anche a lei buona fortuna e buon viaggio”.

Quando il carro si fu allontanato, i due giovani decisero di vedere cosa offriva la città, o meglio, Irene decise di mostrarlo ad Albert.

Il caso volle, che Pashurn fosse la migliore delle destinazioni auspicabili: la gente sembrava cordiale e vivace, in più sembravano apprezzare gli stranieri, mentre passavano per le vie della cittadina infatti ben cinque locandieri gli avevano proposto di fermarsi nelle loro locande.

Ma Irene aveva declinato ogni volta, dicendo che di li a poco si sarebbero imbarcati.

Tale risposta incuriosiva parecchio Albert, quello in cui si trovavano, era un territorio prevalentemente montuoso, o comunque troppo elevato o instabile per ospitare un porto di qualunque tipo.

Dovette rimangiarsi il suo stesso pensiero, pochi minuti dopo, quando vide qualcosa che rasentava l'inconcepibile, si l'inconcepibile, perché avendocelo davanti agli occhi non poteva negare che fosse perfettamente possibile.

Delle navi immense, erano sospese in aria e ancorate come palloni da parata, a delle gigantesche colonne di ferro e legno, alte diverse decine di metri, attorno alle quali erano state costruite rampe e scale a chiocciola, per permettere a merci e passeggeri di salire sulle imbarcazioni.

Vedendolo così  imbambolato, Irene rise soavemente, richiamando l'attenzione del giovane cavaliere.

La ragazza gli si rivolse subito dopo dicendo “Se  questo ti sembra bello, lascia che ti mostri una cosa”.

Detto questo la rossa afferrò Albert per mano, trascinandolo fino a un punto imprecisato del porto e li, davanti aglio occhi stupefatti del ragazzo, si presento uno spettacolo incredibile .

Il paesaggio era meraviglioso, vascelli immensi, che sospinti dalle correnti arcane catturavano i venti, viaggiando come senza peso in quell'immenso cielo, verso le isole vicine.

Si, da li si potevano vedere anche alcune isole, sospese nel vuoto, sorrette unicamente da quell'inspiegabile forza, che sembrava dominare tutto in quel mondo, se non ricordava male, Irene l'aveva chiamata Arcanorum.

Era estasiato, al punto che quasi non si accorse, delle parole dettate del suo istinto, che gli fluirono dalla bocca, “Non ho mai visto niente di più bello in vita mia, a parte la fenice che ci ha fatti incontrare forse”.

Come folgorato dai suoi stessi pensieri, Albert si riscosse, cercando le parole per rettificare, ma certo non si aspettava che la ragazza avrebbe risposto così “Lo penso anche io”.

Rimasero li qualche minuto, chi a guardare il cielo, chi a osservare l'altro, finché la ragazza non decise che era giunto il momento di partire.

Nuovamente Irene condusse Albert a destinazione, guidandolo verso la cima di una delle grandi colonne di legno e ferro, dove ad attenderli c'era un mastodontico galeone dalle vele color cobalto.

La chiglia della gigantesca nave, era costruita con un legno chiarissimo, quasi bianco, mentre il ponte e i quattro alberi, sfumavano sui toni del rosso, ma il meglio dell'imbarcazione era rappresentato dalla magnifica polena di bronzo, rappresentante un aquila con due saette strette fra gli artigli.

Era quasi inquietante, come se si trascinasse dietro un vago sentore di minaccia, tanto che Albert si spinse a chiedere alla ragazza, “Questa è una nave da battaglia vero?”.

La rossa assentì dicendo, “Questo è il < Rapitore di lampi > la nave ammiraglia della flotta della mia famiglia”.

Albert parve sorpreso di sapere che la famiglia della ragazza possedeva una flotta militare, ma non era questa la domanda più impellente che gli passava per la testa, come se avesse un peso sul cuore disse, “Credevo che almeno in questo mondo non esistesse la guerra”.

Irene rimase in silenzio per qualche secondo, come se non avesse pienamente capito quelle parole, ma poi disse, “Infatti, qui non esiste niente del genere, ma esistono comunque i criminali, senza contare il pericolo rappresentato dalle creature mistiche ostili”.

Albert era perplesso, un qualcosa di così imponente, era stato ideato per mantenere l'ordine e per proteggere la gente, il che era ammirevole, ma al contempo, dava da pensare, in questo mondo la forza era un mezzo prevalentemente di difesa e protezione, mentre al contrario nel suo mondo era prevalentemente un mezzo di dominio e repressione, i due mondi collimavano sotto entrambi i punti di vista, ma prevalevo agli antipodi.

Per un breve momento, il ragazzo si chiese cosa avessero i suoi simili di così sbagliato, da non capire qual era la cosa giusta da fare.

Ma i suoi pensieri vennero interrotti, quando gli si parò di fronte un uomo enorme, abbigliato di un uniforme blu come le vele della nave, con ricami su entrambe le spalle rappresentanti tre cerchi concentrici attraversati da una spada.

L'uomo li stava guardando con attenzione, scrutandoli in cerca di segni che li identificassero come amici o nemici.

Rimase solo qualche secondo sulla ragazza, per poi fissare i suoi occhi grigi ma fieri e risoluti, su Albert, che sentendosi quasi invitato a farlo, rispose allo sguardo cercando di sostenerlo nel tentativo di mostrarsi imperturbabile.

A un tratto l'uomo spezzo il contatto, rivolgendosi ai due giovani così, “Cosa ci fanno due marmocchi a cui puzza ancora la bocca di latte, sul ponte di imbarco della mia nave”.

A quelle parole, Irene rimasta anche lei sconcertata dall'apparizione del gigantesco uomo, si fece avanti e parlo dicendo, “Io sono Irene, principessa di questo regno, secondogenita del re dello zaffiro eterno e proprietaria della flotta difensiva di cui lei è a capo, io e il mio attendente Sir Albert siamo qui per chiederle un trasporto fino all'isola delle sorgenti”.

Il comandante assottiglio lo sguardo, che si fece improvvisamente più duro, fece un sonoro sbuffo di fastidio prima di dire “Vostra altezza, io sono il Capitano di vascello Telonius, detto il colosso, per quel che mi riguarda il vostro titolo su questa nave vale poco o niente, se volete guadagnarvi la traversata dovrete farlo lavorando come uomini del mio equipaggio ai miei ordini, spero di essere stato chiaro”.

I due ragazzi erano allibiti, riconoscevano che la richiesta del capitano era giusta, ma certo non se l'aspettavano.

Si guardarono qualche minuto, leggermente confusi, prima che Albert si rivolgesse al capitano dicendo “Non mi sembra che abbiamo molta scelta”.

Il capitano si allontanò dal ponte d'imbarco, lasciando che i due salissero a bordo della nave, prima di dire “Esatto, non avete alcuna scelta se volete la traversata … vi do il benvenuto sul rapitore di lampi, spero che riuscirete a sopravvivere”.

Così il viaggio dei nostri eroi era cominciato e presto ne avrebbero viste delle belle .

FINE CAPITOLO 6

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