Ding Dong.

di Nykyo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Olio su tela - Hogwarts 1996-97. ***
Capitolo 2: *** Severus e Severus. ***
Capitolo 3: *** Sul fiume. ***
Capitolo 4: *** 24 dicembre - mezzanotte. ***
Capitolo 5: *** Epilogo: Dalla cenere. ***



Capitolo 1
*** Olio su tela - Hogwarts 1996-97. ***


Titolo: "Ding Dong".

Beta: Questa volta ho avuto un betaggio un pò fuori dal comune e per lo più telefonico e parziale (speriamo che non mi siano sfuggiti troppi errori) di cui ringrazio Astry che è sempre un tesoro molto paziente.

Dedica Ad Alexia, Astry e Ida con immenso affetto come dono di Natale, vi voglio bene. Il racconto è stato scritto per loro, ma ne approfitto per fare omaggio a tutte le fans del più ombroso dei Potion Master.

Buona lettura e auguri.

Ny

 

“Ding Dong”

 

I. Olio su tela – Hogwarts 1996 - 97.

 

 

S

o che parlerà.

Dirà qualcosa di terribilmente suo; inconfondibile nel timbro e nello stile.

Lo farà scuotendo vigorosamente il capo, cosicché la lunga barba candida si agiterà sul petto, a malapena trattenuta dalla cintura d’argento ritorto.

Aprirà la bocca da un momento all’altro a motteggiarmi come ha sempre fatto.

Sarà lui e insieme non lo sarà.

Questo mi ferisce anticipatamente.

Succede ogni volta.

Dannatissimo ritratto animato!

Non avrei mai dovuto accettarlo in eredità, né sciogliere lo spago che lo tratteneva rinchiuso nella rugosa carta grezza color canna da zucchero.

Tantomeno avrei dovuto appenderlo a troneggiare sull’unica parete del salotto libera da scaffali e libri.

Ma fin dal primo momento in cui l’ho tenuto tra le dita - appena depositato sulle mie ginocchia da un grasso gufo reale planato a tradimento dalle imposte aperte della cucina - ha cominciato il suo vivace consueto chiacchiericcio.

“Severus? Sei tu vero? Oh, finalmente! Tirami fuori, inizio ad avere a noia tutto questo buio… Certo che mi hai fatto aspettare… ”

Ho dovuto posarlo sul tavolino dinnanzi a me e ricordarmi di respirare.

La sua voce.

Il tono dolce e autoritario, solennemente scanzonato.

Ho sfregato una manica sugli occhi ad asciugare lacrime che non aspettavo davvero e che, infatti, non sono giunte a soccorrermi.

Rabbioso le ho invocate e ricacciate in gola allo stesso tempo.

Il mio vecchio vizio di azzannarmi le labbra e l’interno delle guance è ricomparso al seguito di quell’orribile sensazione di commozione asciutta.

Automatismi.

Servono a sopravvivere; anche a se stessi.

Ne avevo bisogno, per ricompormi.

Mi sono alzato, ho scrollato le spalle; ho odiato ferocemente lui e me, finchè non ho ritrovato il gelo necessario a scartare il pacco.

Lo sguardo è caduto su una sciocca etichetta apposta in alto a destra, sfregiata dal timbro di un notaio.

Figure che appartengono tanto alla mitologia babbana quanto a quella dei maghi: mezzi umani e mezzi vampiri li definiscono i malevoli di entrambe le razze.

Inventariato da…

Recitano gli svolazzi aulici del cartellino, il nome perduto sotto l’inchiostro più scuro del bollo.

Oggetto: Ritratto di Albus Percival Wulfric Brian Silente.

Caratteristiche dell’opera: Dimensioni – 50 x 40; Olio su tela – artista sconosciuto (possibile autoritratto).

Data stimata d’esecuzione: 1996 - 97 (Hogwarts).

Un lascito ereditario.

Solo Albus possedeva un concetto d’affetto così tagliente e folle.

Solo a lui poteva attraversare il cervello l’idea di lasciarmi in dono un suo ritratto.

Vecchio pazzo!

E io che non ho mai nemmeno trovato la forza di inginocchiarmi dinnanzi al marmo bianco della sua ultima dimora.

Ho socchiuso gli occhi, un attimo prima di togliere anche l’ultimo schermo che ci separava: me e l’effige della mia vittima più illustre.

Cornice dorata, tutta riccioli incisi nel legno tenero di ciliegio, niente vetro, nessun passepartout, vivide pennellate fin troppo realistiche.

Mi fissava, con le bianche sopracciglia aggrottate e le mezzelune delle lenti un po’ storte sul naso secco e imponente.

La veste azzurra come gli occhi, colti perfettamente nella loro cristallina profondità.

La sua veste preferita, quella arabescata d’argento al margine di orlo e maniche. Effigiato solo fino alla vita, ma non potrei confondere quella tunica con nessun’altra al mondo.

Capelli e barba sciolti, sorriso aperto.

Era lui.

Merlino e Salazar, no, è solo un quadro animato.

“Quanto tempo, Severus. E’ un piacere rivederti!”

Allora perché torturarmi?

“Io la vedo ogni notte nei miei sogni” m’è rimasto incastrato nella chiostra dei denti, mentre provavo a capire come mai qualcosa dietro la gabbia delle costole aveva ricominciato a battere.

Straniante.

Ero proprio convinto di non avere più un cuore al di là di quella complessa pompa idraulica che smista il mio sangue a intervalli regolari.

Non ho risposto.

Un colpo deciso di bacchetta è più che sufficiente per piantare un chiodo.

La parete grigia ha ceduto all’acuminato metallo contemporaneamente alla mia anima.

L’ho sentita forarsi da parte a parte e ho scrollato le spalle.

Era già sciupata e lacera, uno strappo in più non fa differenza.

“Oh, andiamo, Severus, vuoi tenermi il broncio in eterno?” ha domandato sfacciato, galleggiando nell’aria al mio comando fino a trovare il suo posto sulla parete.

Prepotente la rabbia ha preso a bussare perché le spalancassi la porta.

S’è crogiolata ancor più nel pensiero che possa davvero averlo dipinto Albus.

Non mi stupirebbe scoprire che sapeva fare anche questo.

Tra il 1996 e il 97. Mentre tutto crollava, lui perdeva anche il tempo in quest’idiozia?

Lo smalto dei denti ha scricchiolato pericolosamente.

Mi è sempre piaciuta l’idea di poter incenerire qualcosa con lo sguardo: peccato che è una magia che riesce solo ad alcune stupide creature decerebrate come quelle tanto care a Hagrid, mentre è impossibile per un mago intelligente e raziocinante, perfino se s’impegnasse per una vita.

Sfortunatamente, non sono un drago.

Nessun puzzo di tinta carbonizzata ha invaso la stanza.

Meglio deglutire via l’ira.

Dopo quella notte sulla Torre è facile; non ho più fiamme, mi sono rimaste solo ceneri e brace.

Ho riso delle sue parole e della mia reazione. Da lui in fondo me l’aspettavo una simile battuta.

Maledettamente realistico quell’insieme di pennellate e tela.

M’è rimasto un retrogusto amaro, ma non ce l’ho fatta a ribellarmi.

Una sola smorfia di disapprovazione, il minimo lampo di rimprovero in quelle iridi chiare, mentre lo rinchiudevo nelle tenebre d’un cassetto, o lo voltavo a faccia in giù a far compagnia alla polvere, sarebbe bastata a sbriciolarmi.

Il ghiaccio ha il difetto di essere più fragile di quel che sembra.

Così se ne sta lì, da più di un anno ormai.

Mi parla.

E’ sempre stato ciarliero, salvo che sulle cose realmente importanti.

Lui parla e io solitamente gli rispondo, perché forse sono finalmente sulla buona strada per impazzire, o perché è un ottimo esercizio di punizione.

Magari un giorno riuscirò a scordare che è solo un ritratto.

Ora aspetto perché da un momento all’altro dirà la sua.

Non ha fatto che osservarmi di sottecchi mentre rispondevo alla posta, arricciando appena le labbra e talvolta scuotendo il capo in un’aperta disapprovazione.

Quindi, finalmente, eccolo: “Non ti sembra di esagerare con questa mania dell’isolamento, Severus? Da quando è finito il processo e ti hanno assolto e rimandato a casa non fai che startene qui a ciondolare. Non leggi i giornali, non esci mai. Non è da te, sei sempre stato così operoso. Comprendo le tue motivazioni, ma è passato tanto tempo… Secondo me, dovresti rispondere di sì almeno ad uno dei due inviti”

Comprende le mie motivazioni.

Certo che le comprende.

Ma non ne abbiamo mai parlato e non intendo cominciare adesso.

Probabilmente potremo farlo; ho idea che abbia stregato lui stesso il ritratto.

E’ leggermente differente da qualunque altro quadro animato io abbia mai visto. Sembra più consapevole, meno precostruito.

Pare sentire davvero, pensare davvero.

Non è vivo, non è realmente Albus, ma ci va così vicino che a volte ho voglia di urlare.

Prima o poi gli domanderò se ho ragione.

Per questa volta mi limito a replicare sarcastico.

“Quale dei due inviti? Quello assolutamente sentito e sincero di Molly Weasley? Trasuda affetto e buone intenzioni” lo pizzico eloquente fra pollice e indice, sollevandolo come farei con un panno unto o un’erba urticante “Non ho mai sognato di meglio che un Natale alla Tana, con tutti quei deliziosi ragazzi, i dolcetti e i sorrisi d’imbarazzo e circostanza”

Ridacchia, ma subito si ricompone, accarezzandosi distrattamente la barba.

“E’ evidente che intendevo l’altro invito. Non che Molly non sia stata gentile ad inviarti il suo… So che hai delle prevenzioni e… Beh, ad ogni modo ritengo che lei sia più sincera di quanto tu non creda. Tutti hanno dovuto riconsiderare la tua persona; immagino cerchino soltanto di farti capire che… ”

“Hanno la coda di paglia e pur di non aver sensi di colpa sono disposti ad essere ipocriti e farsi sciupare la cena della vigilia dalla mia sgradevole e comunque sgradita presenza” annuisco.

Mi diverte punzecchiarlo a volte.

Lui affonda la lama qualunque cosa dice, anche solo perché ha quella voce.

Se lo merita.

Non gli renderò mai le cose più facili.

Incrocia le braccia sul petto e annuisce grave.

“Però alla Tana potrebbe esserci anche Minerva” bofonchia poi, ritrovando un incoraggiante sorriso.

Bel tentativo, Albus!

“Oh, certo” fingo di assecondarlo “E Remus Lupin con la sua strampalata sposina, ma soprattutto Harry Potter… Immagino la sua gioia nel vedermi arrivare… Scordatelo! Ho dovuto sorbirmi Mr. Eroica Celebrità per amor tuo più di quanto normalmente non avrei mai tollerato. Intendo se possibile disintossicarmi pienamente da Potter”

Senza contare che se c’era uno che sapeva perfettamente perché detestavo trovarmi il “Prescelto” sotto il naso questo era proprio Albus; non vedo perché dovrei pretendere meno comprensione al riguardo dal suo sciocco succedaneo di tela.

“Va bene” mi accorda “Ma dell’invito dei Malfoy che mi dici? Draco è il tuo pupillo, perché hai risposto di no anche a lui? E’ tanto di quel tempo che non ti vede, sentirà la tua mancanza”

Draco e Narcissa.

Hanno ottimi motivi per estendermi un invito sincero e altrettanti per odiarmi.

Il traditore di Lucius, Rodulphus e Bellatrix al loro stesso tavolo per Natale?

“No” rispondo “Detesto il Natale, le cene, l’albero, i regali e tutto il resto. Non è che una farsa”

A te piacevano Albus, lo so. A Natale tornavi fanciullo in mezzo a tutti quegli effetti scenici, alle luci, alle decorazioni.

Ti divertivi sempre al gioco infantile di predisporre le magie delle feste, perché Hogwarts risplendesse di candele, e festoni.

Tu e Hagrid discutevate sulla preparazione dell’abete già settimane prima, come bimbi infervorati che fingano di tramare grandi cose.

Non mi va di ripensarci.

Lo scorso Natale ne abbiamo già discusso a sufficienza io e la tua effige.

Canticchiava irritante una vecchia carola famosa sia fra i Maghi sia fra i Babbani.

Non faceva che sorridermi come si fa con un discolo e canterellare quelle strofette tintinnanti:

 

To young and old, meek and the bold

Ding, dong, ding, dong, that is their song,

With joyful ring, all caroling

One seems to hear words of good cheer

From everywhere, filling the air

Oh, how they pound, raising the sound

O'er hill and dale, telling their tale

 

E ancora, ogni volta che m’ostinavo a troncare il discorso, riprendeva col ritornello, tanto da sfinirmi.

 

 

Gaily they ring, while people sing

Songs of good cheer, Christmas is here!

Merry, merry, merry, merry Christmas!

Merry, merry, merry, merry Christmas!

On, on they send, on without end

Their joyful tone to every home.

Ding Dong Ding Dong[i]

 

Insistente. Piccato perchè rifiutavo di parlare del Natale e di far progetti per non so quale avvenire.

E’ andato avanti per una settimana intera, fino al 25 dicembre.

Ho quasi creduto che finalmente avrei trovato la forza sufficiente per piangere o strapparlo via dal muro e gettarlo nel fuoco.

Magari per entrambe le cose.

Non ho mai sentito un canto di Natale altrettanto straziante.

Gioiose campane a festa. Salazar! Che voglia di farli rimangiare tutti quegli sciocchi ding dong.

Se dovesse ricominciare dubito che saprei trattenermi.

 

- 8 -

I

nvece, pianta la lama molto più in profondità.

“Possibile, Severus, che nulla e nessuno conti più per te? Non esiste qualcuno a cui tieni, con cui vorresti condividere il Natale, per il quale valga la pena vivere?”

L’ira scorre rapida lungo la mia spina dorsale.

Formicola, saetta fino ai pugni richiudendoli intorno ai pomoli della poltrona, spinge le unghie fin nel cuore dell’imbottitura.

Si porta via il sangue delle vene, richiamandolo tutto al viso.

Merlino! Albus, come puoi…

Respiro.

Il legno geme ancora nella mia stretta, ma stiro le labbra a imitare un sorriso di superiorità.

Taci, Severus.

Lascia entrare l’aria.

Buttala fuori.

Morditi la lingua; è solo una tela imbrattata di vernice.

Non è lui, non ha senso gridare.

Ma non riesco a trattenere l’atra sensazione che mi risale dalle viscere.

Mancanza? Nostalgia? Rimorso?

Qual è più potente tra le tre?

Non ce la faccio a tacere; non ho mai saputo tenere la bocca chiusa.

“C’era una persona per la quale valeva la pena di vivere, morire, perfino di uccidere. Ti somigliava. Non sei Albus, sei solo una sua immagine senz’anima, ma questo lo sai già. Non azzardarti mai più a dirmi come devo vivere! Non sei Albus e anche se lo fossi non ne avresti più il diritto”

Mi osserva chinando appena la testa da un lato, con aria critica.

Scuote il capo e gli occhi prendono quell’espressione paternamente comprensiva che mi ha sempre fatto sentire uno stupido.

Decide di ignorare il concetto che gli ho appena ribadito: è solo un disegno.

“Non ti ho dato la mia vita perché tu la sprecassi così” sentenzia severo e implacabile “L’ho fatto perché ritenevo… ”

“Sta zitto!” strillo, odiandomi per il modo patetico con cui sono scattato in piedi; occhi socchiusi e pugni levati.

Sono sempre il solito incapace che non sa tenere a bada le proprie emozioni quanto vorrebbe.

Il tono piagnucoloso con cui ho urlato mi disgusta.

“Ti odio” mormoro in un filo di voce al tappeto verso cui ho puntato gli occhi, serrati a imprigionare lacrime e rabbia.

Ma questo l’ho sentito soltanto io.

I muscoli tesi del viso tremano ribellandosi al tentativo di renderli maschera come un tempo.

“Se volevi restarmi accanto, se tenevi davvero a me avresti dovuto vivere Albus” mi sfugge nell’ultimo singulto d’insopportabile umanità ferita, prima che io riesca a spegnermi come desidero.

“Non me ne faccio niente di una cornice e quattro tratti di pennello”

E’ di te che avevo bisogno; di poter morire al tuo posto.

Placare il tuo rimorso lasciandomi un’ombra di te non basta.

Forse è sufficiente per lavare la tua colpa, le mie non si cancellano ricoprendole con pochi strati di colore ed elargendo belle parole.

T’ho visto cadere quella notte, ora è il tuo turno di guardarmi morire giorno per giorno.

Spero che tu ti senta orribile e impotente quanto me.

Goditi lo spettacolo, Albus, ovunque tu sia.

La sferzata del gelo è diversa da quella della collera, non mi lascia intorpidito; solo vuoto.

Raddrizzo il capo e gli mostro il buio delle mie iridi.

Sprezzante.

La mia condanna la sconto come voglio.

Su chi abbia gettato via la vita dell’altro forse ci sarebbe da discutere, anche se non cambierebbe ciò che sono.

“Ad ogni modo, Albus, no: non c’è nessuno con cui ci terrei a passare il Natale, o qualunque altro giorno dell’anno. Natale è solo una sciocca convenzione. Ho fatto la mia parte, finchè serviva, non devo più niente a nessuno. Ho saldato il conto. E ora vorrei finire il mio libro”

Non parla più.

Se mi concentro sulle righe del volume che ho appena ripescato dalle pieghe del divano posso perfino fingere che non sia lì.

Tace.

Niente carole ipocrite.

Nessuna campana a spandere il suo suono gioioso in questa casa.

Spinner’s End non è una casa come le altre: e la mia Azkaban e il mio Dissennatore, evidentemente, sa quando è il caso di serbare un dignitoso mutismo.

Puoi ricominciare a torturarmi da domani, Albus, va bene?

Oggi non ce la faccio.

Domani. Da domani posso tornare al rimpianto, adesso credo che, malgrado tutto, fingerò di non essere mai nato.

“Mi dispiace, ragazzo” mi è sembrato che sussurrasse.

Ma non ci credo. Non l’ha detto.

Non è lui.

Albus è morto e io sono solo, come sempre, com’è giusto, come voglio che sia.

“Mi dispiace. Ma ho ancora fiducia in te, Severus. Un giorno… ”

E’ solamente un quadro.

Non devo ascoltarlo.

Prima o poi imparerà a restarsene zitto.



[i] Il testo riportato è parte della bellissima “Christmas Carol of the Bells” (Cioè: Carola Natalizia delle Campane), canzone natalizia anglosassone ma famosa in tutto il mondo (che vi consiglio vivamente di ascoltare, perché è stupenda). Questo canto di Natale ha la particolarità di abbinare un testo decisamente gioioso e allegro, con una musica a suo modo malinconica e dolce. Io lo trovo struggente in alcune sue versioni, e ringrazio di cuore Mary per avermelo fatto conoscere. Dal momento che non tutti conoscono l’inglese, eccovi una traduzione, poco letterale e molto all’impronta: Al giovane e al vecchio, al mite e all’audace, ding dong, ding dong, questo è il loro suono (delle campane N.d.A). Con trilli gioiosi tutte intonano un canto natalizio. E ti pare di sentire parole di buon augurio riempire l’aria, provenienti da ogni dove. Oh! Tintinnano forte, con suono crescente, oltre le colline e le (? Chi sa dirmi cosa è “dale” avrà in premio un bacio sotto il vischio) raccontando la loro storia. Gaie rintoccano, mentre la gente canta canzoni d’auguri: Natale è qui! Buon, buon, buon Natale! Ancora e ancora le campane inviano, senza fine, la loro gioiosa voce ad ogni casa. Ding dong, ding dong. Ovviamente, il titolo del racconto è ispirato all’ultima strofa della canzone e, se l’avete letto tutto, ora sapete perché ^_-


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Capitolo 2
*** Severus e Severus. ***


II. Severus e Severus

 

 

 

 

H

o sempre avuto il sonno leggero, fin da bambino.

Non mi addormento facilmente dai tempi in cui mia madre mi cantava le gesta di Merlino e Morgana e l’ultima volta avevo sei anni.

Dopo la guerra ho smesso di aiutarmi utilizzando pozioni.

Non ne distillo più e nutro poca fiducia negli infusi miscelati da altri.

Inoltre, preferisco vincere la mia piccola battaglia con gli incubi contando solo sulle mie forze.

Ricorrere ad un filtro sarebbe a suo modo una resa.

E poi senza i miei spaventevoli compagni onirici non mi riconosco più.

Abbiamo anche periodi di tregua, a volte.

Ma non questa notte, evidentemente.

C’è voluto poco a svegliarmi, sempre che io sia desto davvero.

Non nutro alcuna certezza al riguardo.

Quel che i miei occhi mi stanno mostrando non mi piace, ma non mi spaventa: troppe volte ho incontrato simili incubi.

E’ un Mangiamorte.

Lungo mantello nero, cappuccio calato, la luna che penetra in strisce sottili attraverso gli scuri riflette il suo argento brunito in quello freddo e lucido della Maschera calata sul viso.

Bene, uno degli amici d’un tempo venuto a muovermi il suo rimprovero dalla morte.

Sono sopravvissuti in pochi e, vivi o morti, io li ho traditi tutti.

Quale di loro sarà quello che ora siede spavaldo sul mio letto?

Dalla sagoma lo direi di sesso maschile.

Ombra tra le ombre, resta immobile a fissarmi dalle tenebrose orbite di vuoto metallo.

Rodulphus Lestrange? Doholov? Rosier? Sono morti tutti e tre.

Escluderei Regulus Black. Ha gli occhi neri questo spettro notturno.

Regulus li aveva d’un grigio brillante, retaggio di famiglia.

E da lui non ho nulla da farmi perdonare, se non forse di non aver compreso che era come me.

Avrebbe dovuto confidarsi, eravamo amici.

Ma la guerra porta a guardarsi le spalle anche da coloro a cui tieni.

Io stesso non ho mai avuto fiducia piena e perfetta se non in Albus.

“Chi sei?” vorrei quasi domandare, sonnolento.

Ma che importa?

Chiunque tu sia: Benvenuto! Prendi pure il posto che ti spetta nella folla dei tuoi fratelli. I rimorsi sono gli unici a cui ancora non ho sbarrato la strada; in cui compagnia sono disposto a trattenermi ogni giorno.

 

Volge lentamente il capo di lato, in un movimento che mi è familiare.

Sì, lo conosco, anche se ancora non ha un nome.

Da parte mia non faccio niente per scacciarlo.

Resto immobile tra le coltri a ricambiargli lo sguardo.

Mi fissa ancora per un lungo istante, poi scosta la Maschera dal viso, facendola sparire rapida tra le pieghe pesanti del mantello.

Prima ancora che il cappuccio si accasci in morbide pieghe sulle esili spalle comprendo chi ho davanti: sto osservando me stesso.

Non vi è dubbio alcuno.

Neri capelli pettinati in lisce bande ordinate a spiovere sul volto pallido e aguzzo, amare labbra sottili, iridi gelide e quel naso che ho preso da mia madre, tanto ostinatamente piantato a farmi da becco in mezzo al viso.

Adesso forse dovrei cominciare ad aver paura, in fondo sono sempre stato la causa prima d’ogni mio male.

Ma alla fine attendevo questo momento, sapevo che un giorno sarebbe giunto.

Ecco, forse sono finalmente impazzito.

La resa dei conti con il mio peggior nemico è cominciata.

Lo combatto da sempre, era anche ora che si decidesse a sfidarmi a viso aperto.

Non parlo.

Cosa potrei dire che non mi sia già ripetuto fino alla nausea?

Lui è me, i miei errori li conosce a memoria.

“Ben svegliato, Severus” mi apostrofa infine la mia stessa voce “O forse no, magari è meglio dire: benvenuto nel peggiore dei tuoi incubi”

Mi stringo nelle spalle.

La sua aperta ostilità non mi stupisce e ferisce meno del continuo sproloquiare del mio coinquilino dipinto che ho lasciato al piano di sotto.

“Non hai paura?” mi sfida “Dovresti. Hai molte colpe da scontare. Sei un assassino, un bugiardo, un traditore. Sono venuto a ricordartelo”

“Potevi risparmiarti il disturbo, Severus” gli replico asciutto e l’usare il mio stesso nome mi allarga un sorriso sghembo sul viso “Non ho scordato nulla di ciò che hai elencato”

Fa per rispondermi, ma non lo lascio iniziare.

“Non ho scordato nulla e nessuno” puntualizzo, inarcando un sopracciglio “Non una menzogna, non una vittima o un amico tradito. Sono tutti incisi a fuoco sulla mia anima, dovresti saperlo dal momento che sei me”

Lui ride il mio usuale riso amaro.

“Come puoi arrogarti il diritto di chiamarli amici?” e si china in avanti a sovrastarmi imperioso “Se li avessi considerati tali non li avresti traditi”

Non sono solito trovarmi alibi o giustificarmi con me stesso, inoltre ho già svolto questa conversazione mille volte, ma rispondo, solo per levarmi il gusto di assaggiare la follia fino in fondo.

“Alcuni lo meritavano, altri non sono mai stati veri amici, sebbene a volte li abbia ritenuti tali e… Altri ancora… Ho voluto loro bene davvero, ma non potevo consentire che continuassero ad agire… ”

“Agire come?” m’incalza “Avevano degli ideali. Non sono forse stati i tuoi stessi ideali? Credi d’essere migliore di loro perché ad un tratto hai avuto paura e sei fuggito a rifugiarti sotto le sottane di Silente?”

Non dovrebbe irritarmi sentirglielo dire, invece è vero il contrario.

Mi sollevo a sedere anche io e lo motteggio “Per essere me parli come se tu fossi Bella Lestrange”

“Peccato però che lei sia morta per causa tua” mi leva nuovamente la parola, severo.

Beh, sono stato sempre un giudice implacabile della mia persona, perché dovrei smettere solo per il fatto che sono ammattito?

“Bella è morta combattendo accanto al suo Signore, com’è vissuta. Forse è mia la colpa, ma non avrei mai compiuto scelte diverse solo per salvarla. Ho lottato per tenere alcuni dei miei amici lontani dal baratro, nella maggior parte dei casi inutilmente, però la mia causa non era e non poteva più essere la loro. Non smetterò di rammaricarmi, sebbene questo non serva a riportarli indietro. Ciò nonostante, non intendo nemmeno mettere in dubbio ciò per cui ho combattuto, né gli insegnamenti di Albus. Con i miei errori ci puoi lastricare una strada da qui fino a Hogwarts, ma rivolgermi a lui non è stato uno di questi. Ho provato momenti di autentico terrore, prima che m’indicasse la via, lo ammetto, ma dopo di allora l’unica mia paura è sempre stata quella di non poter rimediare a sufficienza e di non deludere la sua fiducia. Dubito d’essere riuscito nel mio intento, eppure non è di questo che mi vedrai mai pentito”

Salvo che dell’aver ucciso Albus pur di compiere il mio dovere fino in fondo.

Tranne che d’aver visto scorrere troppo sangue da ambo le parti.

Per quanto io possa giustificarmi è questo che sento, ma evidentemente perfino contro me stesso la mia vena polemica non vuole soccombere.

Ad ogni modo, non ha alcun senso.

Posso spaccarmi la testa in eterno e resterò sempre ciò che sono, inadeguato, perfino come giudice ultimo.

Né spetta a me questo ruolo.

Non so se esista qualcuno al di sopra delle fragilità umane che voglia per sé quest’incarico; a me manca l’obiettività per assolvermi o condannarmi interamente.

La bilancia pende sempre più dal lato della colpa che da quello della redenzione, ma mi consola pensare che qualcosa di buono possa essere venuto perfino da me.

Il mio doppio, però, pare non concordare affatto.

“Sempre in grado di usare meravigliosamente bene raziocinio e dialettica, eh, Severus?” conclude “ma se credi che ti lascerò in pace ti sbagli. Devi pagare pegno e lo sai. Ti aiuterò a scontare e potrebbe venire il momento in cui pregherai perché io me ne vada e ti lasci in pace”

“Fa pure” lo autorizzo “Comunque in pace non lo sono mai stato”

Chiudo gli occhi, sempre che finora fossero aperti.

Magari domattina non sarà più appollaiato sul mio letto come un grifone in attesa che gli dia in pasto la carcassa del mio cuore, ma di certo lo rivedrò nello specchio del bagno, mentre mi rado.

 

 

- 8 -

 

 

D

opo quella notte il mio gemello è tornato ogni giorno.

Più puntuale dello scadere d’una Giratempo, non manca un appuntamento.

Facciamo delle belle chiacchierate, il materasso come podio per le rispettive orazioni, tranne quando lui resta in piedi in fondo alla stanza, nell’angolo più buio.

Del tutto normale trattandosi di un altro me.

Ho sempre preferito i cantucci all’ombra, piuttosto che le luci della ribalta.

Non si trattiene mai a lungo e solitamente mi basta chiudere gli occhi, sogno o veglia che sia, e lui ha la delicatezza di svanire prima o poi.

Ma per quanto non si attardi mai troppo a farmi compagnia è sempre estremamente solerte nel rinverdire i miei rovelli.

A dire il vero, per essere la proiezione della mia coscienza generata da un qualche malfunzionamento mentale, è decisamente di parte.

Potrei dire che è il lato della mia anima preposto a rammentarmi il tradimento.

Evidentemente, poiché mi basta il quotidiano rapporto col ritratto di Albus per ricordare fin troppo bene quanto sangue innocente mi macchia le mani, durante la notte quest’incubo speculare si prende la briga di assicurarsi che io non scordi nemmeno i cosiddetti “nemici”.

E’ puntiglioso e, a volte, addirittura capzioso al riguardo.

Cerca di cogliermi in fallo e in contraddizione.

“Coloro per i quali hai tradito i tuoi amici” ha insinuato due sere fa “erano davvero migliori e meritevoli? Realmente erano meglio dei tuoi vecchi compagni? E tu, Severus? Credi d’essere superiore a loro? Se lo fossi non li avresti rinnegati. I traditori non conoscono onore e lealtà; non sono mai brave persone, quale che sia la parte per la quale combattono”

In un certo senso è vero, ma ho ribattuto secco “Si tradisce chi ha fiducia in te e l’unica persona che in me abbia mai creduto io non l’ho tradita affatto”

L’ho uccisa, il che è peggio, almeno dal mio punto di vista.

Ma non sono venuto meno alla fede che riponeva in me.

“Gli altri non contano” gli ho rimarcato “Salvo rare eccezioni da un versante come dall’altro, gli altri non sono poi così importanti. Le vittime che ho spento con le mie stesse mani o con i miei sbagli, quelle si hanno un gran peso… Chi è sopravvissuto… Beh, non ho combattuto la mia guerra solo per fare un favore ai ‘buoni’ o contro i miei compagni di gioventù. Ho lottato prima di tutto contro me stesso e avevo dei conti in sospeso, nel bene e nel male. Partite aperte con Voldemort e un debito da saldare con Albus. Tutto qui”

Mai stato un uomo dell’Ordine io, non nel senso pomposamente ipocrita che molti dei suoi membri intendevano.

Ma ero un uomo di Silente e su questo non intendo venire a patti neanche con la mia coscienza.

“Non mi reputo né migliore né peggiore di tanti altri, anche se ho provato sempre ad essere superiore a me stesso” gli ho concesso, prima di sprofondare nel buio delle palpebre chiuse.

E lui ha pronunciato la solita minaccia di commiato ed è andato via.

 

Altre volte scende perfino più nel particolare.

Per forza: mi conosco, so quali sono i miei tasti più dolenti.

“E Lucius?” mi ha chiesto ieri, fissandomi sfrontato “Anche lui non meritava lealtà?”

Lucius.

Una delle mie croci, lo ammetto.

Ciascuno ha gli amici che merita, si dice. Io di amici ne ho avuti sempre pochi, in parte per mia scelta e per gli spigoli acuti del mio carattere, sui quali non è piacevole andare a sbattere. Amici sinceri poi, ne ho avuti anche meno.

Per lo più facevamo corpo, ecco tutto.

Prima a scuola e poi tra le fila incappucciate dei Mangiamorte.

Era anche un modo comodo e istintivo per non sentirsi smarriti non appena ci si chiusero alle spalle le porte di Hogwarts.

La scuola è una ben nobile istituzione e fornisce a chi non è una testa di legno ottime conoscenze, ma se c’è una cosa cui non ti prepara affatto è l’impatto del rientro nel mondo esterno.

Hogwarts è un microcosmo in cui è fin troppo facile, se si ha fortuna, crearsi false certezze.

Perfino per l’emarginato della scuola come me, Hogwarts è fonte di sicurezze.

Immutabile, cadenzata, chiusa, la vita scolastica ti fa sentire comunque parte dell’ingranaggio, fosse anche solo quello della tua Casa.

Ma fuori sei solo, specialmente se non hai un illustre famiglia alle spalle.

Questo fa paura a diciassette anni, maggiorenne o no.

Essere Mangiamorte per molti di noi era un po’ come trovarsi ancora nella Sala Comune di Serpeverde.

Ma al di là di questo avevo pochi affetti sinceri.

Però “A Lucius tenevo davvero” ho affermato sicuro, con voce appena un po’ più roca di quanto avrei desiderato.

E’ la pura verità.

Per questo non mi perdono di non essere riuscito a tenerlo fuori dai guai anche contro la sua stessa volontà.

Per questo non penso di poter menare alcun vanto per aver salvato Draco.

A che alto prezzo… Ma era giusto.

Almeno per lui volevo esserci fino in fondo e mantenerlo integro.

“Non hai le mani più pulite delle sue” mi ha contestato “Eppure Lucius è ad Azkaban e tu sei qui, libero”

Se questa si può chiamare libertà, ha ragione.

Il mio processo è stato una vera farsa: avevano una gran fretta di liberarsi di me perché scottavo come una patata bollente.

Condannarmi non potevano, dato che a mia insaputa Albus aveva lasciato in mani sicure le prove schiaccianti del fatto che avevo solo obbedito al suo ultimo fatale ordine, ma nemmeno potevano assolvermi con troppo clamore.

A quelli del Ministero non andava giù che ci fosse ulteriore pubblicità della figura di Silente; lui li ha sempre smascherati per gli stolti incapaci che sono.

Fosse stato per loro il mondo magico sarebbe andato in malora da un pezzo.

Così hanno pronunciato la mia discolpa privatamente, in fretta e furia, diffidandomi formalmente dal rilasciare dichiarazioni ai giornali.

Come se avere attorno nugoli ronzanti di scribacchini potesse essere fra le mie ambizioni.

Ipocriti!

Lucius, invece è rimasto ad Azkaban, perché il suo cognome pare non contare più niente. Evidentemente anche i Purosangue Malfoy possono cadere in disgrazia.

E’ un segno dei tempi.

Non dico che Lucius non lo meriti, ma solo che non credo spettasse a me meno che a lui.

“Non sono stato io a decidere” ho fatto per replicare, ma poi ho pensato che doveva leggermisi già abbastanza chiaro in viso ciò che pensavo.

Non uso mai la maschera con me stesso, non avrebbe senso. Non più.

Lui deve aver capito perché la replica esatta dei miei occhi s’è incupita, le labbra hanno curvato a denotare amarezza e forse perfino rimpianto e malinconia.

“Ad ogni modo” ha concluso “A cosa ti ha portato tanto lottare? Guardati. Sei solo, non hai più occupazioni, né sogni, né speranze. Ti limiti a restartene qui a morire dentro. Non sembri nemmeno vivo”

Aveva ragione.

In quel momento davvero ho desiderato farlo sparire.

Non era questo quel che speravo la pazzia mi donasse: volevo oblio, non tentazioni inaccettabili.

Ho scelto, non voglio umane lusinghe che mi riportino indietro.

 

 

- 8 -

 

 

N

egli ultimi giorni ha cominciato ad apparirmi davanti anche di giorno a volte.

Ma con la luce del sole – per quel poco che ne penetra attraverso i vetri sporchi e l’ombra incombente dei vecchi palazzi – non mi rivolge mai la parola.

Compare e scompare rapido, dopo avermi puntato addosso per qualche istante le mie stesse iridi inquisitrici.

Devo proprio essere ammattito, non mi restano molti dubbi al riguardo.

Accoglierei l’evento con soddisfazione, se non fosse per il fatto che esistono degli inconvenienti.

Ad esempio mezz’ora fa ero sicurissimo d’essermi appisolato in poltrona con un pesante tomo istoriato sulle ginocchia e l’ausilio di un paio di calici di rosso vino elfico d’annata (l’unico lusso che ancora mi concedo ben volentieri).

Però, quando ho aperto gli occhi la camera rigurgitava di orribili, pacchianissimi, festoni natalizi.

Ghirlande, coccarde, fiocchi rossi, campanelle d’argento appese in cima ad ogni scaffale.

Mancava soltanto l’usuale abete decorato e l’armamentario sarebbe stato completo.

Ora, io non rammento affatto di aver addobbato il salotto, ma, sia pur ridacchiando con aria compiaciuta, il ritratto mi ha confermato che nessuno oltre me è entrato nella stanza e di sicuro un quadro, per quanto stregato, non è in grado di compiere scherzi così di cattivo gusto.

Ragion per cui, inizio a credere d’essere anche diventato sonnambulo.

Ma non so proprio dire perché il mio lato dormiente abbia un così pessimo gusto.

Non contando che detesto tutta quella paccottiglia natalizia.

Non sono Albus, io.

Ho fatto svanire tutto, con rapidi colpi di bacchetta che tradivano una buona dose di stizza.

Decorazioni, che idiozia!

E non mi accadevano simili stramberie, prima che il mio doppio iniziasse a visitarmi.

Perdere il senno non mi spaventa, ma qui si rasenta il rimbecillimento.

Non ho nessuna intenzione di diventare una stupida testa di legno come tante.

Pazzo, sì, ma con un briciolo di dignità.

Quindi ho bisogno di schiarirmi la mente, di riflettere se ci riesco e, soprattutto, di prendermi una pausa dalle mie ossessioni.

Solo per una notte.

Non mi troverai nel mio letto, caro gemello.

 

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Capitolo 3
*** Sul fiume. ***



 

III. Sul fiume.

 

 

 

A

vevo scordato la sensazione di passeggiare sull’erba.

Ora potrei anche dire che è nostalgicamente piacevole, ma mentirei.

Senza dubbio mi lascia dentro una scia appiccicaticcia di ricordi e una sensazione irritante di mancanza.

Ma devo anche dire che quando mi accadeva spesso di dover camminare su un prato la cosa non era mai eccessivamente piacevole.

Sorvolando sul fatto che spesso i fili d’erba su cui ho posato piede erano orribilmente macchiati di sangue, anche a Hogwarts – ed è la scuola in realtà che mi manca – non ho memorie poi così esaltanti riguardo ai prati.

Da ragazzo mi capitava spesso di ritrovarmi disteso mio malgrado sull’erba a fissare le facce ghignanti dei Malandrini.

Da adulto… beh, sono un tipo un po’ particolare, io: amo l’ordine e non mi piace eccessivamente qualunque cosa produca macchie su scarpe e vestiti.

Ma rispetto al parco di Hogwarts, con la sua erba magicamente tosata a perfezione, questo squallido lungo fiume è ancora più tetro e degradato di quanto già non appaia normalmente.

D’altro canto, è mille volte meglio passeggiare sul rado verde di Spinner’s End, sugli argini di un fiume maleodorante nelle cui acque si specchia una poco poetica ciminiera in disuso, piuttosto che ritrovarmi nel cerchio spietato dei Mangiamorte sotto la luce spettrale del Marchio Nero.

Qui l’erba è chiazzata solo di liquame, non beve fino all’ultimo sorso la vita di nessuno e se anche quest’umidità malsana non farà un gran bene alla mia salute, almeno non inciderà sulla mia anima sbrindellata.

Avevo voglia di camminare; mi rendo conto solo ora di quanto tempo è realmente passato dall’ultima volta che ho messo il naso fuori casa.

E’ una mia scelta, non sto dicendo che quell’insopportabile dipinto ha ragione e che dovrei dargli retta e dedicarmi alla vita di società, dico solo che le mie gambe non possiedono una coscienza.

Loro non pensano ai rimorsi.

Sono solo felici di sgranchirsi e misurare a lunghe falcate uno spazio meno ristretto del salotto con i suoi quattro muri grondanti di libri.

E poi, forse prendere una boccata d’aria - non fresca e limpida, ma comunque aria – mi distrarrà e eviterò di dover discutere col mio doppio almeno per questa notte.

Non c’è nemmeno la luna, posso usare le mie solite vesti da mago e il mantello e sparire nel nero. Gli abiti babbani mi mettono a disagio.

Basta restare lontano dai lampioni.

Albus avrebbe dovuto lasciarmi in eredità il suo Spegnino, anzi che un ritratto, se davvero voleva fare qualcosa di utile.

 

Sono uscito di casa per una camminata notturna solo qualche altro paio di volte nell’ultimo anno e mezzo.

La prima non è stata una sortita gradevole.

Questo quartiere è un postaccio, specialmente col buio; non è affatto ben frequentato.

Così può succedere che un passante incontri qualche teppistello malintenzionato e capita perfino che qualcuno di questi delinquenti da due zellini si ritrovi a incrociare un ex Mangiamorte in disarmo.

E’ poco prudente per la canaglia andare in giro per Spinner’s End e dintorni durante la notte: anche se non intendo pronunciare mai più l’Anatema che uccide, sono molto più pericoloso di loro.

Non si vive il tipo di vita che ho vissuto io senza mantenere i riflessi costantemente allenati e i sensi allerta.

Mi pare che fossero in tre, ma potrei anche sbagliarmi e averne contato uno in meno, però rammento che ero troppo assorto nei miei lugubri ricordi per notarli subito e ad un tratto me li sono ritrovati intorno.

In cerchio; uno davanti e gli altri dietro le spalle.

Nulla di nuovo sotto il cielo.

Peccato che la teppaglia babbana sia così poco interessante, ho quasi rimpianto i Malandrini, erano più spassosi.

Mi sono spostato il tanto di non dare le spalle a nessuno di loro, osservandoli.

Un gruppetto di idioti, ubriachi come minimo, ma ho idea che fossero anche imbottiti fino alla punta dei capelli di qualche schifezza tra quelle che i Babbani chiamano droghe.

Teste di legno talmente poco padrone delle loro facoltà mentali da pensare che il mio abbigliamento fosse dovuto a uno scherzo.

“Torni da una festa in maschera, bello?” Ha sghignazzato uno di loro e da come gli altri due gli hanno fatto eco latrando la loro sguaiata approvazione, immagino che fosse il loro “capo”.

Bello è stata la parola che mi ha fatto scoppiare a mia volta in una risata gelida ma sinceramente divertita.

So apprezzare l’ironia perfino quand’è involontaria.

Loro invece avrebbero dovuto capirlo che non era la notte della fortuna.

Ho occhi eloquenti, quando si tratta di minacciare, e il brutto vizio di mantenere le loro promesse se mi ci costringono.

O forse avrei comunque reagito in quel modo, anche se uno di loro non avesse fatto scattare la lama di un piccolo serramanico, ordinandomi di svuotare le tasche.

Ad esser franco, sapevo che non avrei fatto loro nulla di irreparabile e all’epoca avevo ancor più rabbia di adesso in corpo.

Mi capita a volte di non riuscire a trattenermi e, sì, probabilmente mi sarei comunque sfogato.

Non ho quasi avuto bisogno di pensare perché un deciso lampo rosso saettasse dalla punta della mia bacchetta.

Ho schiantato il loro stupido reuccio; è così che si fa: schiaccia il capo al serpente e smetterà di strisciare anche la coda.

E’ caduto con un’espressione di sbigottimento impagabile dipinta sul viso, anche se è durata appena un istante.

I suoi compagni, ovviamente, se la sono data a gambe, terrorizzati.

Lui è rimasto lì, rigido, sull’erba e all’improvviso ho provato sollievo nel potermi ripetere che era solo privo di conoscenza.

Assomigliava troppo ad altri corpi, a persone che dal verde cupo d’un prato non si sono rialzate mai più.

Mi sono chinato per osservarlo meglio, arrischiandomi a far luce con la punta della bacchetta. Era solo un ragazzino, molto più giovane di quel che avevo creduto; non doveva avere più di sedici anni.

Ho storto il viso in una smorfia di disapprovazione: come si può diventare così a soli sedici anni? Come si fa a gettar via in questo modo stupido la propria giovinezza e il futuro?

Alla fine, però, ho compreso che come sempre lo stavo domandando a me stesso; avevo ben poco diritto a giudicarlo, io che non ho fatto di meglio.

Mi sono ritrovato a sperare che l’esperienza gli servisse da lezione a tal punto da farlo ritornare sui suoi passi.

Non che ci credessi davvero, ma forse è anche per questo che non l’ho obliviato, oltre al fatto che era pressoché inutile: tra alcool e droghe se anche l’indomani si fosse ricordato l’accaduto avrebbe quasi sicuramente pensato ad un incubo o a un vaneggiamento, proprio come i suoi amici.

Non ho idea di che fine abbia fatto.

Sono tornato sul fiume ogni notte per una settimana circa, ma non l’ho rivisto; dopo di che ho semplicemente smesso di uscire.

 

 

- 8 -

 

 

Q

uindi, quando sento lo scricchiolio lieve di passi sulla ghiaia della riva, so già che non si tratta di quel ragazzetto e della sua banda d’imbecilli.

E’ una persona sola e, prima ancora di voltarmi rassegnato, ho già intuito chi mi ritroverò davanti.

Infatti, eccolo, o meglio eccomi.

“Bella serata, Severus” lo anticipo, irridente

“Se l’alone dei lampioni non sporcasse le tenebre e non ci fosse quell’obbrobrio di mezzo” aggiungo, indicando pigramente la ciminiera “forse si vedrebbero perfino le stelle”

“Ora t’interessi alla poesia del firmamento, Severus?” replica, con tono che, però, non mostra alcuna gaiezza “Lascia perdere, sei un tipo pragmatico, restiamo con i piedi per terra, non è per rimirare la via lattea che sono venuto”

“E allora per cosa?” lo interrogo, mentre avanza verso di me, lungo una diagonale che taglia il più possibile le distanze, risalendo l’argine di sbieco.

Non mi convince.

Finchè l’ho visto sedere sul mio letto, nell’oscurità della mia stanza, o per fuggevoli attimi in questo o quell’angolo della casa, ho pensato che fosse solo una fantasia partorita dalla mia coscienza.

Ora, all’aperto, col riverbero dei lampioni – per quanto lontani e radi – l’impressione è totalmente diversa: è troppo solido per essere un sogno, troppo rumoroso e, soprattutto, per essere un altro me stesso non si muove affatto come me.

L’ho sempre visto seduto, o in piedi, è la prima volta che cammina davanti a me.

Ha una falcata altrettanto energica della mia, ma meno rigida e più… altezzosa.

Mi ricorda qualcuno, anche se è evidente che si sforza di comportarsi come me e mascherare i suoi gesti usuali.

Non è un incubo, né una visione: è una persona con il mio identico aspetto; preciso come un gemello.

Questo vuol dire una cosa sola: Pozione Polisucco.

Non è una scoperta incoraggiante. Chiunque si sia preso la briga di ideare e portare avanti questo trucchetto, mostrando notevole costanza, non può avere buone intenzioni.

Ad un tratto, tutto il suo discorrere di tradimento e di vecchi amici assume una sfumatura sinistra.

Per questo estraggo rapido la bacchetta in un gesto istintivo.

 

L’incantesimo di disarmo è talmente potente che non mi lascia altra scelta se non quella di osservare la mia bacchetta schizzar via e perdersi nelle tenebre, mentre anche io vengo sbalzato all’indietro con violenza.

Poteva essere uno Schiantesimo o peggio; se ha usato solo l’Expelliarmus vuol dire che ha intenzione di parlare prima di agire.

Tento inutilmente di richiamare la bacchetta, ma lui ha avuto qualche secondo in più a disposizione e la vedo raggiungere rapida la sua mano libera.

Mi punta contro entrambe i legni e si china di scatto.

Preme con forza un ginocchio sul mio petto per impedirmi di rialzarmi e ride.

“A furia di far la muffa dentro casa stai perdendo colpi, Severus? Prima eri più veloce, nel difenderti come nell’attaccare”

Decido di ignorare questi giochetti.

“Chi sei in realtà?” domando, constatando senza più alcun dubbio che si tratta di un uomo e non di un parto della mia fantasia. Per essere un sogno le ossa della sua gamba sono fastidiosamente aguzze contro le mie costole.

Mi ritrovo a sforzarmi di non ridere.

Ha il mio aspetto, è mia quella rotula così spigolosa, è solo colpa mia se è così acuta da pungolarmi dolorosamente.

Ma non c’è poi molto di cui essere ilari. Immagino che morirò tra breve, quindi vediamo di metterci un briciolo di serietà.

Poi, forse, sarà tutto finito.

Non credo che lo rimpiangerò.

“Cosa vuoi da me?” sibilo, dato che non si decide a rispondermi.

“Tu chi credi che io sia, Severus?” mormora quasi carezzevole “Cosa pensi che mi abbia spinto a prendere le tue sembianze?”

Fisso il mio stesso volto tentando di dargli un nome che non è il mio.

Mi piacerebbe sapere chi mi ucciderà.

“Un Mangiamorte” rispondo, secco “Sei uno dei miei ex compagni, questo è evidente. Sei venuto per vendicarti perché vi ho traditi. Accomodati pure!”

“Sprezzante come Sempre, Severus” è la sua risposta, mentre gli occhi danno un guizzo divertito “E non hai perso la tua intelligenza. Sì, hai ragione, hai visto giusto”

Immagino che finirò comunque col lottare, anche se al primo movimento che tenterò otterrò in cambio un letale lampo verde.

Ma prima voglio scoprire chi è.

Così gli ripeto la mia domanda e lui sogghigna ancora.

“Il mio nome non ha importanza, Severus, sono i tuoi errori che ti porteranno il dolore che sto per infliggerti, per questo ho scelto di assumere il tuo aspetto”

Vorrei replicare, ma non me ne lascia il tempo e forse non avrei nulla di sensato da ribattere. Se non avessi fatto la scelta sbagliata da ragazzo, poi non avrei nemmeno dovuto fingere e cambiare barricata.

“Ti aspetti che io ti uccida, non è così?” mi domanda, avvicinandosi ancora di più al mio viso, occhi negli occhi “Ma ti sbagli. Sarebbe troppo poco e forse lo desideri perfino. La mia rivalsa sarà più sottile e ti ferirà più a fondo. Perché puoi mostrarti gelido quanto ti pare, ma anche tu hai un cuore ed esistono ancora persone per le quali batte. C’è ancora qualcuno che ti è caro”

Per la prima volta da che è comparso nella mia vita ho davvero paura.

“Non… ” provo a dire e la mia voce suona terribilmente arrochita.

Lui pare leggermi nel pensiero e sorride soddisfatto.

“Dì addio al giovane Draco Malfoy, Severus. Sarà questa la mia rivincita: uccidere l’ultima persona a cui sei affezionato e vanificare con lo stesso gesto anche il sacrificio tuo e di Silente”

Istintivamente le mie braccia si tendono ad afferrarlo e colpirlo, ma si ritrae con destrezza.

Getta la mia bacchetta e si stringe nel mantello, indossando con un gesto fluido e svelto la Maschera d’argento.

“Sono atteso alla Malfoy Manor, Severus. Addio e buon Natale”

E scompare, smaterializzandosi senza un rumore.

Fisso il punto esatto in cui si trovava e solo dopo un istante mi accorgo che sto gridando.

Draco.

 

Ma non lascerò che gli faccia del male, chiunque sia.

Non a Draco e Narcissa.

 

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Capitolo 4
*** 24 dicembre - mezzanotte. ***


IV. 24 dicembre - mezzanotte.

 

 

 

N

on so come mi sia riuscita la Smaterializzazione, perché era da un’eternità che il mio cuore non  batteva così svelto e il mio cervello non era tanto sconvolto.

Ho provato a calmarmi, ma non ci riesco.

Se succedesse qualcosa a Draco e sua madre per causa mia non me lo perdonerei mai.

Sarebbe orribile e ingiusto.

Non voglio che le mie colpe ricadano su di lui. Fin troppe persone hanno pagato per i miei sbagli; ora basta! Non deve accadere mai più.

 

La grande dimora dei Malfoy si staglia sulla vetta di una piccola collina e io mi sono Materializzato proprio al centro del vialetto d’accesso.

Le luci sono tutte spente, salvo quella che occhieggia da una finestra del piano terra.

Lo studio di Lucius.

Sono stato in quella stanza molte volte.

Mi sposto fino a poter guardare all’interno e sento il respiro strozzarsi.

Draco siede alla pesante scrivania decorata che era di suo padre e prima ancora di suo nonno Abraxax. E’ di spalle rispetto alla porta e io ne scorgo il profilo delicato che ha preso da Narcissa.

Pare intento a leggere, ma quel che mi arreca tanto sgomento è la nera figura incappucciata che sta ritta in piedi nell’angolo buio formato dalla cornice dell’uscio.

Sta lì e osserva Draco, non vista.

Cosa posso fare?

Sono venuto fin qui d’istinto, per salvarlo, ma se adesso urlassi un avvertimento non servirebbe a nulla.

I vetri dell’ampia finestra sono spessi e se pure mi sentisse metterei in allarme anche il suo aggressore.

Tiro il fiato e mi smaterializzo di nuovo; ricomparire in casa è l’unica soluzione.

Penso all’incantesimo pregando che non ci siano barriere magiche e di fare in tempo; che non accada nulla nei pochi istanti che mi separano dal ragazzo.

 

Il mio misterioso nemico non pare affatto stupito nel vedermi comparire all’improvviso.

Anzi, mi apostrofa gaio e con tono di burla “Oh, finalmente, Severus, cominciavo a temere che ci avresti fatto aspettare tutta la notte”

Anche Draco s’è voltato e mi accorgo che l’unico in questa stanza ad avere lo stupore disegnato in volto sono proprio io.

Il viso del più giovane dei Malfoy è atteggiato ad un sereno sorriso compiaciuto.

“Benvenuto” è il suo saluto affettuoso “Sono felice che tu sia venuto”[i]

All’altro uomo tocca un’occhiata d’intesa che mi lascia stranito.

Per tutta risposta quello si fa avanti, abbandonando il mantello che si affloscia sul pavimento.

Non indossa più la maschera e ora posso vederlo alla luce, perché s’è fermato proprio sotto l’elaborato lampadario carico di candele.

Non ha più il mio aspetto, anche se indossa ancora abiti identici ai miei, che adesso, però, gli stanno leggermente stretti, sebbene sia un pò più magro dell’ultima volta che l’ho visto.

Lucius.

Con i suoi soliti lunghi capelli trattenuti da un nastro di raso nero, con quegli occhi di ghiaccio che tanto bene si rispecchiano in quelli del figlio e il sorrisino sornione che tanto spesso ho visto arricciargli le labbra.

Ma ha nuove rughe a segnare i bei lineamenti altezzosi, e il volto è scavato, gli zigomi più marcati e netti.

Azkaban lascia sempre i suoi segni.

Su di me questa visione ha marchiato un’espressione di sorpresa che deve farmi apparire davvero sciocco e ridicolo.

Non mi riesce di dire una sola parola.

E’ evaso da Azkaban? Cosa significa tutto questo?

Credevo che non l’avrei mai più rivisto.

“Su, Severus, non fare quella faccia” Lucius trattiene una risatina tronfia “Ti abbiamo giocato un tiro sleale, lo ammetto, ma era l’unico modo possibile per farti accettare il nostro invito per Natale… e meritavi anche una lezioncina. Comunque sia, se fosse stato per te sarei ancora ad Azkaban. Ma ti sei preso cura di Draco e Narcissa quando tutto volgeva al peggio. Non l’ho scordato”

“Invito? Natale?” balbetto sbigottito.

Merlino, sembro Allok in questo momento, ci giurerei.

Non so se essere furibondo o solo terribilmente sollevato.

Ma, Salazar, che scherzi sono questi?

Draco mi squadra preoccupato, forse memore dei miei momenti d’ira dei tempi di Hogwarts, anche se raramente erano rivolti a lui “Mi spiace, è che… ”

Ma suo padre lo interrompe “A me non dispiace, l’ho detto che te lo meritavi, Severus e poi è inconcepibile che tu voglia ostinarti a trascorrere il tempo in quel grigiore che chiami casa, rifiutando perfino gli appelli dei tuoi amici. Draco ci teneva ad averti qui e anche Narcissa. Non ti hanno detto nulla della mia liberazione perché volevano farti una sorpresa, ma tu hai voluto fare l’altezzoso e l’eremita. Non sei mai stato troppo socievole ma questa volta esageri. Te la sei cercata. L’idea è mia, ero certo che se Draco fosse stato in pericolo ti saresti finalmente deciso a venire a farci visita”

“Lucius… Ti rendi conto…” non so se ridere o strepitare.

“Mi rendo conto che è il ventiquattro dicembre e tu vivi talmente fuori dal mondo da non ricordartene, Severus. Non leggi nemmeno più i giornali, o sapresti che mi hanno scarcerato da quasi due mesi. Giusto in tempo per preparare una scorta di Polisucco” ribatte tranquillo, posando con affettuosa non curanza una mano sulla spalla del figlio come a dirgli: non preoccuparti, lo rabbonisco io.

Su una cosa ha ragione, mi ero scordato che fosse la notte della vigilia.

Come a sottolineare la cosa una pendola, da qualche meandro della casa, rintocca dodici volte.

“Perfetto!” annuisce Lucius “Sei in orario. Non siamo soliti cenare così tardi, ma per quest’anno si può fare un’eccezione. Draco, per favore, vai a dire a tua madre che l’ospite è qui e stiamo arrivando. Giusto il tempo di cambiarmi d’abito”

Draco fa cenno di sì col capo e mi regala una furba occhiata ridente, prima di uscire.

 

“Come ci sei riuscito?” domando a Lucius, ritrovando la fermezza della voce, anche se mi pare ancora tutto così irreale.

“Oh… Nulla di che” risponde “Sei tu che mi hai dato l’idea donando a Draco il tuo mantello e la tua Maschera. Dice che glieli hai dati perché li tenessi come monito degli errori che non bisogna mai commettere nella vita. Hai un modo tutto tuo di educare mio figlio… Non importa, apprezzo quel che hai fatto per lui. Comunque, una volta avuta l’idea, è stato facile, sul mantello c’erano ancora tracce di te, un capello o due possono bastare… Ma è inutile che io spieghi a te come si prepara una pozione”

Scuoto il capo.

“Non intendevo quello, parlavo di Azkaban, come mai ti hanno lasciato libero?”

“Disapprovi?” m’interroga franco, un breve lampo d’ostilità nelle iridi chiare “Immagino che come tu hai voluto finora punirti, così pensi anche che avrei dovuto scontare le mie azioni per tutta la vita”

In parte è vero, ma d’altro canto sarei un dannato bugiardo se non ammettessi che sono felice di saperlo a casa, e non solo perchè Draco e Narcissa hanno bisogno di lui.

“Non ne abbiamo già discusso?” gli rammento, e questa volta sono io ad avere un tono quasi scherzoso.

“Sì” ammette “E’ per questo che ho tirato la corda tanto a lungo con te, iniziando la mia farsa con buon anticipo rispetto a questa notte. Avevo bisogno di capire parecchie cose, avevo domande alle quali volevo la tua risposta sincera. E volevo anche tormentarti un po’, non ho remore ad ammetterlo. Mi hai mentito per una vita. Bell’amico… ”

Così mi ha messo alla prova.

La rabbia, portata dall’orgoglio, mi solletica, rendendomi amara la bocca.

Ma passa in un istante.

In fondo lo capisco, probabilmente anche io avrei agito così al suo posto.

Per quanto sia un ex Mangiamorte e un uomo colmo di pecche, ho sempre considerato Lucius un amico, e immagino che sia vero il contrario, o non si sarebbe preso la briga di concedermi di superare il suo esame e di allestire una simile recita.

Mi domando, però, se dovremo ricominciare da capo a parlare del perché ho agito come ho agito, ma lui tronca il discorso.

“Sono fuori perché, nonostante tutto, al Ministero regna ancora una banda di ipocriti, avidi, scalda-poltrone. Gente cui alla lunga il nome Malfoy suona ancora potente e a cui i galeoni non bastano mai. Persone con la memoria corta anche sui miei misfatti, quando gli torna utile. Non ci sarebbe stato nulla da fare se mi fossi comportato come tutti gli altri ex compagni, ma Draco ha lottato dalla parte dell’Ordine e io stesso, in fondo, ho tradito Voldemort durante la battaglia finale. Così, alla lunga, hanno deciso che alleggerendo di parecchio il mio conto ancora aperto presso la Gringott si poteva concedermi una seconda possibilità. I Malfoy cadono sempre in piedi, Severus, dovresti saperlo”

Lo so. Mi disgusta l’idea di tutti quei pagliacci che si fregiano di titoli altisonanti al Ministero, ma non mi stupisco nemmeno un po’.

Non potevo certo aspettarmi che il mondo cambiasse davvero solo perché Voldemort è caduto, né l’ho mai creduto possibile.

Una volta tanto, però, la loro doppiezza mi rende umanamente felice.

Tanto vale ammetterlo: che Lucius non finisca i suoi giorni ad Azkaban mi solleva enormemente.

Pur con tutti i difetti che ha, ho sempre odiato dovergli mentire.

 

Finisce di cambiarsi magicamente e rivestito di tutta l’usuale eleganza m’invita “Andiamo a cena, non si fa attendere una bella signora come Narcissa”

Sono tentato di mandarlo al diavolo e andarmene, ma non lo farò.

Non so nemmeno io bene perché; Natale è sempre una stupidissima festa irritante e lui meriterebbe a sua volta una lezione.

Eppure, resterò.

Forse è solo che ora ho la risposta a quella domanda formulata dal ritratto di Albus che tanto m’aveva colmato di rabbia.

Muovo un passo in avanti e senza alcun preavviso Lucius mi colpisce, mandandomi letteralmente a gambe all’aria, in modo ben poco dignitoso.

Ha un destro notevole.

Ride e mi porge la mano per aiutarmi a rialzarmi.

“Ecco, Severus, non sarà stato un gesto compito, ma mi prudeva sulle nocche da parecchio. Ora sì, siamo davvero pari. Niente più rancori, né inganni, d’accordo?”

Finisco con l’accettare la sua stretta di mano, mentre mi riassetto le vesti.

“Pari, Lucius” e so che è vero.

Lui mi indica la porta “Amici come prima… Certo è stato divertente disseminarti la casa di tutta quella paccottiglia natalizia, peccato che non sono potuto restare a godermi la tua reazione… ”

La sua risata è la stessa di quando eravamo ragazzi e la cosa più orribilmente imbarazzante è che ha un suono argentino, tale da ricordarmi un gioioso e squillante scampanellio.

Non c’è nulla da fare, sto diventando orrendamente sentimentale.

 

Mentre percorriamo il corridoio, diretti all’enorme sala da pranzo, questo s’illumina al nostro passaggio e i tanti ritratti di famiglia dei Malfoy e dei Black ci osservano curiosi dalle loro cornici.

Con la coda dell’occhio mi è perfino parso di scorgere il vecchio Phineas Nigellus, ex Preside di Hogwarts e antenato della padrona di casa.

“Allora è venuto. Devo correre a dirlo ad Albus” m’è sembrato che mormorasse, poi la voce di Narcissa che ci veniva incontro mi ha distratto.

Lady Malfoy ha nuovamente la gioia negli occhi e parole di buon augurio sulle labbra, mentre mi accoglie affiancata da Draco.

“Sono lieta che tu sia qui, Severus”



[i] Sono stata a lungo indecisa riguardo al fatto che Severus desse al ritratto del Tu o del Lei, e idem dicasi per Draco quando si rivolge a Piton. Entrambe le coppie di personaggi sono legate, secondo me, da un rapporto mentore-allievo che sarebbe stato reso meglio col Lei, enfatizzando la reverenza di Severus per Silente e di Draco per Severus. Però, alla fine, ciò che più mi premeva in questo racconto era sottolineare l’affetto che nella mia idea legava i personaggi. Quindi ho scelto il Tu. Del resto, Severus con un ritratto potrà ben concedersi maggior confidenza informale che col Preside in persona e quanto a Draco, mi piace pensare, quale retroscena non scritto, che lui è Piton ne abbiano passate tante insieme, e che abbiano dovuto fidarsi ciecamente l’uno dell’altro, per cui, essendo ormai Draco un giovane uomo, non vedo perché il suo ex professore non potrebbe avergli concesso tanta confidenza.

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Capitolo 5
*** Epilogo: Dalla cenere. ***


Epilogo: Dalla cenere.

 

 

 

 

“B

ene, Severus, ho saputo che hai trascorso una buona vigilia” mi accoglie ridacchiando il ritratto, appena metto piede in casa, prima ancora che io abbia acceso le luci.

Al chiarore incerto dell’alba mi pare di scorgere un'altra figura anziana accanto ad Albus, ma subito svanisce oltre il bordo della cornice con uno sbuffo d’ilarità trattenuta.

Nigellus?

E’ probabile. Il mio Silente di tela appare molto soddisfatto.

“Non hai perso il vizio di scoprire sempre le cose in anticipo, noto” ribatto, levandomi il mantello, con tutta calma.

Decido di non illuminare la stanza, tanto posso cogliere ugualmente la sua espressione da gatto satollo.

“E fai anche le ore piccole, adesso” prosegue, ignorando il mio sarcasmo “Ottimo, ragazzo, un po’ di vita non può che giovarti. Direi che ora ci comprendiamo: avevo ragione io, c’è ancora qualcuno a cui vuoi bene e con cui vale la pena di trascorrere le feste, o sbaglio?”

“Vecchio zuccone” mi si affaccia sulle labbra, ma taccio.

Sì, ha ragione lui, come sempre.

Non smetterò mai di irritarmi nel constatare quanto perfettamente mi conosce, ma dice la verità, e in questo momento non m’importa che sia solo un surrogato e non il vero Albus.

Merita un premio per la sua costanza.

“Hai vinto tu, Albus. Sì, è come pensavi. Goditi il momento, non ricapiterà tanto presto che io ti dia la soddisfazione di ripetertelo”

Ma mi manchi da morire, questo non cambierà mai.

“Sei sempre stato un ragazzo ragionevole, Severus, anche se sei terribilmente testardo. Ero sicuro che prima o poi avresti capito. Certo abbiamo dovuto darti una spintarella, ma… ”

Spalanco gli occhi come uno stupido gufo abbagliato da un lampione.

“Tu sapevi tutto… ”

“Lucius ha spiegato il suo piano ad un paio di ritratti degli avi suoi e di Narcissa e loro hanno pensato bene di preavvisarmi, tutto qui” minimizza, accarezzandosi intento la barba.

Dovrei avercela con lui, ma oggi proprio non mi riesce e poi che senso avrebbe mettere il broncio ad un ritratto?

Lode a lui e ai Malfoy; credevo d’essere più intelligente, mi hanno beffato come un bimbo in fasce.

Chissà perché il pensiero di essere così fallibile mi riempie lo stomaco d’un gradevole senso di sollievo.

Deve essermi scappato anche un mezzo sorriso.

Quello di Albus, invece, è pieno e aperto mentre constata “Credo che ora tu sia pronto a ricominciare a vivere, Severus, e anche a ricevere finalmente il mio regalo di Natale”

“Regalo?” domando incredulo e sospettoso. Quale altra diavoleria avrà in mente adesso e da quando in qua i quadri sono in grado di elargire presenti?

Ricevo in cambio un occhiolino sfacciato.

“Diffidente come sempre, non cambierai mai” risponde, ma pare contento nel constatarmi immutabile, come se stesse per dirmi: in fondo è così che mi piaci.

“Guarda fuori dalla finestra” continua invece “Dovrebbe essere lì da un pezzo”

Sono sempre stato estremamente curioso, così faccio come dice, ma non c’è nulla là fuori, a parte quell’antiestetica ciminiera.

“Oh, andiamo, aprila, non avrai paura di buscarti un raffreddore” celia lui incoraggiante, alle mie spalle.

Mi affaccio, sporgendomi oltre il davanzale ed è allora che mi accorgo di una sagoma familiare, là in alto, proprio sulla cima della torre della fabbrica.

Forse è l’emozione nel vederla e capire cosa intendeva Albus, ma per un momento, nel rosso sfumato dell’alba la ciminiera pare diventata un antico mastio e la fabbrica ai suoi piedi assume l’aspetto d’un maniero merlato.

Hogwarts.

E’ sui suoi tetti aguzzi che l’ho veduta l’ultima volta, appollaiata col capo fiammeggiante chino sul petto a intonare il lamento funebre di Silente.

E’ stato la notte della sua morte, quando sono tornato indietro, attraverso la Foresta Proibita, dopo aver messo Draco al sicuro.

Avevo bisogno di rivedere la Torre di Astronomia quella notte, per potermi convincere che era accaduto davvero, che realmente avevo tolto la vita al mio unico amico.

Così, rimasi nascosto per tutto il tempo, a cercare le lacrime che non venivano e ad ascoltare il canto di Fanny.

Ora è qui e mi ha appena scorto.

La guardo spiccare il volo, spiegando le belle ali color del sangue e venire dritta verso di me.

Mi scosto istintivamente per lasciarla passare e lei plana dentro dalla finestra aperta, compie un acrobatico giro intorno al polveroso lampadario e poi individua il ritratto e trilla di contentezza, scegliendo il tavolo come trespolo improvvisato.

“Senza nulla togliere alla mia simpatia travolgente, avere una creatura viva come compagnia ti farà bene, Severus” afferma Albus con la sua inimitabile dolcezza svagata “E Fanny intristiva senza un padrone. Sono certo che si troverà bene qui, o non sarebbe mai venuta. Lei è leale solo a chi mi è leale. Sapevo che un giorno ti avrebbe raggiunto”

Normalmente strepiterei che detesto qualunque animale domestico, ma non riesco a volgermi verso di loro perché qualcosa di caldo e salato ha preso a solcarmi silenziosamente il viso.

Morirei meglio che mostrare il volto adesso, e poi intendo godermi ogni lacrima, finchè dura.

Oh, Merlino, anche io avrò diritto ad esser patetico e fragile ogni tanto.

Lui mi dà il tempo di cui ho bisogno, continuando il suo monologo.

“Non hai che da imparare da lei, Severus. Fanny è un ottimo esempio di come si può sempre risorgere dalle proprie ceneri” poi aggiunge “Abbine cura mi raccomando”

Ma sa già che lo farò.

Tra l’altro glielo devo, non so come ci riesca, ma col suo usuale modo distorto lui non ha mai smesso di prendersi cura di me, nemmeno da morto.

Solo che non me ne rendevo conto.

Non smetterò mai di trovarlo pedante, invadente e insopportabile a volte, ma quando conclude “Buon Natale, Severus!” e inizia a mormorare la solita canzoncina, capisco che cercherò davvero di vivere, come vuole lui.

In un certo senso gli devo l’onore delle armi.

Così trovo il coraggio di girarmi – tanto ormai ho il volto asciutto – e mi accosto, dandomi un’aria lievemente beffarda che non riuscirà a ingannarlo.

Raccolgo le ultime parole della carola, che ancora gli risuonano tra le labbra e con un lieve inchino gli rispondo ridendo “Ding dong anche a te, Albus. Buon Natale!”

 

 

 

Fine

 

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