Le Porte del Tempo: Passato

di iosnio90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il nuovo bambino ***
Capitolo 3: *** Addio ***
Capitolo 4: *** Caccia al tesoro ***
Capitolo 5: *** Storie... ***
Capitolo 6: *** Ghiaccio ***
Capitolo 7: *** Il primo diario ***
Capitolo 8: *** Estate ***
Capitolo 9: *** Frattura ***
Capitolo 10: *** Estranei ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
                                                                                                                                    
                                                                                                                                                                                    12 Febbraio
Caro diario,
ultimamente mi capita spesso di pensare a quanto i miracoli siano indispensabili nella vita di tutti noi per poter andare avanti.
La serenità stessa è un miracolo, un dono che ci viene offerto da un insieme di circostanze e avvenimenti fortuiti che vanno a nostro favore.
E’ da due settimane che non appunto nulla, ho avuto di che pensare e innumerevoli cose da fare e progettare.
Si, finalmente posso fare dei veri progetti anch’io.
Un miracolo è ricaduto su di me, risollevando le sorti della mia vita attuale e illuminando la strada che d’ora in avanti mi impegnerò a seguire con costanza e somma gioia.
Aspetto un bambino, mio fido confidente, potrò finalmente dare un’erede al mio adorato Giuseppe.
Mio marito…ho così tanto temuto di perderlo in questi mesi, ho avuto paura.
Dio, Nostro Signore, mi è testimone quando dico in assoluta sincerità che il nostro non è stato un matrimonio d’amore. Ci siamo sposati perché così avevano voluto i miei genitori. Io, dal canto mio, non avevo potuto obiettare nulla quando mia madre venne a darmi la notizia. Ero a conoscenza delle condizioni economiche in cui verteva la nostra famiglia, condizioni che non erano più quelle di un tempo, quindi accettai sommessamente di essere d’aiuto persino sposando un uomo che mai avevo visto.
All’epoca Giuseppe, Conte di Salvatore, viveva da solo con la sua anziana e saggia madre nella sua lussuosa tenuta in campagna. Tutto ciò che sapevo di lui era che discendeva da una famiglia emigrata dalla Sicilia all’inizio del secolo quando la situazione politica in quelle zone era degenerata. Non avevo mai avuto modo di vederlo di persona, però, non era quel tipo d’uomo a cui piaceva partecipare ai balli e alle feste e questo mi faceva temere che fosse burbero e scontroso, una di quelle persone con cui era difficile avere a che fare.
Oh, quanto mi sbagliavo!
Oh, quanto ero ingenua e sprovveduta!
Lo sposai dopo appena tre mesi di fidanzamento e solo dopo le nozze seppi che l’idea di quel matrimonio in fretta e furia non era partita dai miei genitori, ma da lui stesso che, conoscendo il buon cuore di mio padre e la sua situazione in declino, aveva deciso di farsi avanti ed aiutarlo. Ma l’orgoglio del mio adorato padre è una cosa che conosco e che ho ereditato io stessa, quindi Giuseppe si vide costretto a chiedere la mano di una sconosciuta, la mia, pur di riuscire a convincere la mia famiglia ad accettare la sua offerta d’aiuto. In quanto genero, nessuno avrebbe trovato strano lo scambio di beni tra le nostre due famiglie.
Imparai a conoscerlo pian piano e dovetti ricredermi anche sulle mie convinzioni circa la sua indole. Giuseppe non era né burbero né scontroso, era solo un uomo che aveva perso precocemente suo padre e si era ritrovato a dover portare avanti il buon nome e l’attività di famiglia da solo, facendosi carico di una madre malata e vicina alla morte.
Credo di essermene innamorata poco a poco.
Forse è stato a causa delle sue attenzioni e premure, che non sono mai mancate.
Forse è stato a causa delle lunghe passeggiate al tramonto.
Forse è stato a causa delle chiacchierate e del fatto che ci tenesse particolarmente a rendermi partecipe di tutto, anche degli affari che svolgeva regolarmente recandosi in città.
Non ricordo esattamente quando è successo, so solo che un giorno mi ritrovai a guardarlo illuminato dal sole alto mentre avanzava a passo lento in una delle stradine laterali di Firenze e a pensare che l’amavo con tutta me stessa, di un amore profondo e radicato fin dentro l’anima.
Non credevo di essere in grado di amare così.
Con la consapevolezza di amarlo, però, arrivò anche la consapevolezza del tempo che era trascorso dal giorno delle nozze: due anni, due anni e non avevo partorito nessun figlio.
Mi maledissi Dio solo sa quanto.
Cominciai a pregare ad ogni ora del giorno e della notte.
Pregavo per non perdere Giuseppe e pregavo per una gravidanza, ma il tempo continuava a passare e il mio ventre continuava a rimanere freddo e vuoto.
Giuseppe mi rassicurava dicendomi che non mi avrebbe abbandonata e che qualora Dio avesse voluto benedirci con un figlio allora lo avremmo avuto. Nel frattempo non dovevamo pretendere troppo, ma accontentarci di ciò che avevamo e lasciare che le cose facessero il loro corso.
Lo amavo per questo, amavo che volesse farmi forza e rasserenarmi, ma più lo amavo più la paura che si sarebbe stancato di una moglie incapace di dargli un’erede cresceva in me e mi atterriva l’animo.
La madre di Giuseppe morì in quegli anni ed io mi sentii in colpa per non averle dato la gioia di conoscere un nipote prima della sua dipartita.
Il medico che aveva avuto in cura la contessa mi confidò che forse il mio più grande incubo era vero, che forse io appartenevo alla categoria di quelle donne il cui corpo non era idoneo a mettere al mondo un figlio.
Ma allora - mi chiedevo - a cosa sarei servita in un corpo sterile?
Perché il Cielo mi aveva punita in quel modo?
Mi rassegnai, persi ogni speranza e dissi a Giuseppe che l’avrei capito se avesse voluto prendere un’altra moglie e abbandonare me, la donna inutile che gli era solo di peso.
Lui volle rimanere al mio fianco.
Sono passati quasi quattro anni dal matrimonio, ma finalmente è accaduto, finalmente la notizia più bella è arrivata, finalmente ho reso felice ed orgoglioso di me mio marito e non smetterò mai di ringraziare i Santi del Paradiso per questo.
Verso la fine di quest’anno metterò al mondo un nuovo piccolo conte o una piccola contessina e, lo prometto su ciò che ho di più caro al mondo, amerò mio figlio o mia figlia come non ho mai amato nessuno e sarò per lui o lei la madre migliore che ci possa essere.
Mi impegnerò a fondo per riuscirci, ho già cominciato a pensare ai nomi più adatti.
Se dovesse trattarsi di una bambina sarebbe sicuramente Cecilia, come la compianta madre di Giuseppe.
Se dovesse trattarsi di un bambino….beh…è strano…ho sempre pensato che il mio primogenito avrebbe avuto il nome del primo martire, Stefano, ma alla messa di questa mattina il vescovo ha onorato un santo sconosciuto ai più di cui non si sa molto tranne il fatto che probabilmente in vita è stato un valoroso soldato e allora ho pensato al mio bambino. Questo esserino che cresce in me ha impiegato quattro lunghi anni prima di fare la sua comparsa e adesso sta lottando con tutta la sua forza per venire al mondo, combattendo strenuamente contro la medicina e la scienza che avevano catalogato sua madre come una donna incapace di avere figli.
E’ un combattente, proprio come quel santo di cui si ricorda soltanto il nome: Damiano.
Ho parlato di queste mie impressioni con Giuseppe, è d’accordo con me. Il nostro primogenito avrà il nome di un soldato caduto e divenuto martire pur di difendere qualcosa in cui credeva.
                                                                                                                                                                                                                                                                                    Margherita





NOTE:
Ciao a tutti!!!
Oddio, si ricomincia! Sembra ieri che ho messo fine ad una storia e adesso gia ne riparte un'altra!XD
Che dire....non c'è molto da dire...è solo il prologo questo, una semplice pagina di diario che vuole solo aprire la storia facendo capire un pò la situazione in cui ci si trova e scritta da una donna la cui identità mi sembra abbastanza paleseXD
La storia vera e propria partirà dal prossimo capitolo, il primo vero capitolo, questo era solo un assaggio così com'è per ogni prologo in ogni storia.
Spero comunque che vi sia piaciuto e che vi abbia fatto venire voglia di continuare a leggere questa serie che, mi rendo conto, soprattutto in questa prima storia è diversa dalle mie solite fanfiction e da quelle che ci sono in giro visto che...beh...niente Elena, niente Bonnie e, già che siamo in argomento, anche niente mostri o nemici. In questa serie infatti non ce ne saranno e, se ce ne saranno, saranno nelle prossime storie e scompariranno nel giro di un capitolo. Vi ho già detto, infatti, che queste storie saranno delle raccolte di one-shot, più o meno, che riguarderanno principalmente il rapporto tra Damon e Stefan sia nel bene che nel male. Verranno trattati altri temi, ma sempre in relazione a loro due.
Questa storia riguarderà il loro passato da umani, dalla nascita all'incontro con Katherine, ma questo già ve l'ho ripetuto e non mi va di annoiarvi ancora.
Ah...una cosa...per il nome di Damon...non sapete la faticaccia. Insomma, ovviamente "Damon" non andava bene e come sapete la Smith non ha mai detto nulla in merito (io continuo a pensare perchè sia veramente convinta che Damon sia un nome italiano usato nel 1500XD), quindi ho cominciato a pensare: devo scegliere un nome simile a Damon, ma italiano? Oppure gliene metto un completamente diverso scelto a caso e poi faccio che se lo cambia lui stesso una volta diventato vampiro? Nel dubbio, ho fatto scegliere ad una mia amica ed ha scelto la prima opzione, quindi Damiano! E' il più simile, mi sembra.
Poi...come sempre aggiornerò di un capitolo alla settimana, il giovedì sera, e gli spoiler saranno sul blog il lunedì sera e risponderò alle recensioni con il metodo fornito dal sito.
A proposito del blog...entro domani apporterò dei cambiamenti, di tanto in tanto ci vuole. Probabilmente proverò a mettere anche una chat provvisoria. Vediamo come va, nel caso la tolgo, quindi per qualsiasi cosa mi trovate anche in chat di là!!
Adesso vi lascio, va....che ho scritto un saccoXD
Vi aspetto lunedì sul blog per lo spiler mentre per il capitolo...
A giovedì...BACIONI...IOSNIO90!!!

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Capitolo 2
*** Il nuovo bambino ***


Il nuovo bambino

“Mamma e com’era il drago?”
“Il drago? Il drago era enorme, grande quanto una cattedrale, con due possenti ali ed era tutto blu, di un blu così scuro che di notte si confondeva con il cielo…”
“E sputava tanto fuoco?”
“No, questo drago era un drago particolare! Era il comandante di tutti i draghi e come tale aveva capacità diverse che lo distinguevano dagli altri…”
“Ad esempio?”
“Ad esempio lui non sputava fuoco, ma ghiaccio! Lunghe lance di ghiaccio pericolosissime per ogni cavaliere osasse sfidarlo e, infatti, il principe per poter salvare la principessa dovette combattere strenuamente contro questa possente creatura. Fu una lotta così difficile che quasi temette di perdere, ma alla fine…”
“Noooo! Non dire che alla fine vince, salva la principessa e vivono tutti felici senza più il drago..”
Damiano, dal suo lettino nella sua camera, fece quell’osservazione alla madre, intenta a raccontagli l’ennesima favola della buonanotte, con tutta l’innocenza che un bambino di tre anni potesse avere, certo senza sapere che in quel modo metteva in seria difficoltà Margherita che ogni volta non riusciva a capire come concludere una storia.
Già di per se era difficile inventarle visto che Damiano era un bambino molto perspicace per la sua età e particolarmente amante dei racconti di gloriose battaglie e strane creature inventate, ma arrivati al finale la cosa si complicava.
Lì dove ogni bambino avrebbe voluto il lieto fine, infatti, Damiano lo respingeva a pretendeva altro.
“Beh…a dire il vero era proprio quello che stavo per dire…” - rispose Margherita accennando un sorriso dolce al figlioletto.
“No, non mi piace!” - si ostinò il bambino.
“E allora quale finale vorresti?”.
“Un finale dove il drago sconfigge il principe troppo buono e porta via con se la principessa che capisce che anche il drago è buono e che tutti pensano che sia cattivo solo perché è tutto scuro…” - rispose Damiano, illuminandosi di un sorriso così entusiasta da contagiare anche i suoi enormi occhi scuri che, per l’euforia, divennero lucidi e splendenti.
“Perfetto! E allora…dopo una strenua battaglia il principe viene sconfitto, la principessa vola via con il drago e capisce che in realtà è un drago buono. La morale potrebbe essere che a volte l’apparenza inganna…”
“La mo…cosa?”
“Oh, niente! E’ un po’ presto per metterci morali nelle storie!” - rispose Margherita, alzandosi dal letto del bambino per potergli lasciare un leggero bacio su una guancia.
“Adesso è giunta l’ora di dormire! Fuori è buio e la mamma deve parlare col papà..”
“Di cosa?” - chiese Damiano.
“Te lo diremo domani..” - rispose sua madre.
“Ma se adesso che te ne vai arriva il drago?”
“E’ un drago buono, ricordi? L’hai detto tu!”
“Oh..si…è vero!”
“Coraggio! Chiudi gli occhietti, fai un bel sogno e vedrai che in men che non si dica sarà di nuovo giorno e potremo giocare ancora molto!” - lo esortò Margherita.
Damiano, in fondo, nonostante per la sua età fosse parecchio sveglio, era pur sempre un bambino di soli tre anni e come tale, di notte era sempre un po’ riluttante a restare da solo nella sua camera.
“Va bene! Ma non chiudere la porta, mamma!” - acconsentì alla fine, sporgendosi per ricevere un nuovo bacio e tirandosi le coperte fin sotto il mento mentre guardava sua madre uscire dalla stanza.
Accanto al suo letto, sul piccolo comodino, un’unica candela era ancora accesa e Damiano si perse con lo sguardo ad osservarne la fiammella e poi il fumo che saliva verso l’alto e veniva attirato fuori dalla finestra semiaperta che lasciava passare un po’ dell’aria che di sera arrivava a rinfrescare corpo e mente dopo il caldo sole delle giornate ormai entrate nel pieno dell’estate.
Non gli piaceva restare da solo; fondamentalmente era quello il problema che si affacciava alla mente del bambino ogni sera.
Durante il giorno, anche se non erano presenti sua madre e suo padre, Damiano era sempre circondato da tante persone sia che si trovasse in giardino a giocare, sia che fosse in casa o che andasse nelle scuderie ad accarezzare il suo cavallo preferito: un maschio grosso e tutto nero che suo padre aveva chiamato Furore.
Di sera, però, tutto cambiava. I lavori in casa e nel giardino si fermavano, le scuderie venivano chiuse ed ognuno si ritirava nella propria stanza lasciando dietro di se solo un immenso silenzio che spaventava molto Damiano.
Tutti credevano che si trattasse del buio.
“Ha solo paura del buio”, dicevano, ma l’oscurità non lo spaventava affatto, anzi, semmai era il contrario.
Damiano amava fissare il cielo scuro di notte. Gli piaceva contare le stelle e ancor di più gli piaceva immaginare di incontrare una ad una tutte le cose che potevano nascondersi nel buio.
A volte sentiva sua madre parlare con altre madri di bambini che di notte scappavano se sentivano un rumore provenire dal loro armadio o da sotto il loro letto.
Damiano no, lui non era così, lui non scappava. Se avvertiva un rumore provenire dal suo armadio lui correva ad aprirlo, curioso di incontrare cosa si celasse lì dentro. Peccato che si trattasse sempre di qualche vestito che cadeva dal ripiano su cui era posizionato e nulla più.
Era un bambino curioso ed estremamente coraggioso, sua madre glielo ripeteva sempre e lui le credeva e ne andava orgoglioso anche se non conosceva ancora davvero il significato di quelle due parole, ma gli sembravano belle e sua madre gliele diceva dandogli un bacio sulla fronte e sorridendogli quindi non dovevano essere così tanto cattive.
Gli piaceva chiamarsi Bambino Coraggio durante i suoi giochi e di solito, soprattutto quando giocava al grande condottiero, vinceva sempre con quel nome quindi gli si era affezionato.
Aveva lo sguardo fisso sulla finestra e il cielo scuro, come ogni sera, quando la sua attenzione venne catturata da un rumore di passi veloci per le scale.
Si alzò immediatamente.
Pensò che se mai qualcuno lo avesse colto in flagrante e avesse fatto per rimproverarlo lui si sarebbe guistificato dicendo che era il Bambino Coraggio e che la curiosità lo aveva spinto verso l’avventura poi prese un bel respiro ed uscì dalla sua camera.
Indossava un camicia da notte di lino fresco, i piedi erano scalzi e i capelli erano ormai tutti scompigliati dopo essersi agitato tanto sul cuscino mentre sua madre gli raccontava la storia del drago, ma il piccolo Damiano aveva altro a cui pensare il quel momento che non ai suoi capelli quindi lasciò perdere e attraversò silenziosamente il lungo corridoio fino a dirigersi verso l’enorme scalinata che dal piano superiore della villa portava dritto all’atrio dove c’era la porta d’ingresso principale.
Si affacciò, ma non vide nessuno, quindi prese a scendere i primi gradini fino a che non riuscì a percepire due voci sommesse che provenivano dal piccolo salottino di fianco all’ingresso, quello dove si facevano accomodare gli ospiti prima di portarli nella grande sala.
Una delle voci sembrava quella di sua madre ed improvvisamente gli ritornò alla mente ciò che lei poco prima gli aveva detto e cioè che doveva dire una cosa a suo padre, una cosa che lui avrebbe saputo solo il giorno dopo.
Beh…già che era lì ed era il Bambino Coraggio pieno di curiosità insoddisfatta, perché non approfittarne e scoprire tutto subito, no?
Si addossò al lato destro della scalinata e la percorse fino all’ultimo gradino prima di cimentarsi in una veloce camminata silenziosa grazie alla quale riuscì ad arrivare fuori alla porta aperta della stanza dove i suoi genitori stavano parlando tra loro senza essere né visto né sentito.
Si appostò lì, scivolando con la schiena lungo la parete e accovacciandosi a terra, piegando le ginocchia al petto e stringendosele a se con entrambe le braccia.
Teneva la testa basta.
Aveva calcolato che se abbassava la testa forse il nero dei suoi capelli lo avrebbe reso del tutto invisibile nella casa buia.
Prese ad ascoltare di nascosto. Sapeva che non era educato farlo, ma lo trovava divertente.
“Margherita! Oh, mia adorata Margherita…tu…l’emozione è così grande che non sono sicuro di aver inteso bene le tue parole…” - sentì dire a suo padre con una voce parecchio strana per i parametri che Damiano usava per definire il suo genitore.
Nella mente del bambino, infatti, Giuseppe ricopriva un ruolo marginale rispetto a quello che ricopriva Margherita. Suo padre non era mai in casa quindi non lo conosceva molto bene e le poche cose che aveva imparato a conoscere lui le aveva catalogate in modo da saper riconoscere i vari stati d’animo di suo padre a mano a mano che si presentavano.
Più che altro riconosceva i cambiamenti nel tono di voce.
C’era la voce burbera per quando era stanco per via del lavoro.
C’era la voce esausta per quando era stanco per via della gestione della loro tenuta.
C’era la voce triste per quando si parlava di sua nonna, la mamma di suo padre volata in cielo prima che lui nascesse.
C’era la voce rilassata e divertita per la domenica.
Quel tono di voce, però, quello che suo padre stava usando in quel momento, usciva fuori da qualsiasi schema Damiano si fosse fatto nella mente: era troppo….contento, entusiasta.
“Ti assicuro che è proprio così, mio caro! Non riuscivo a crederci quando il nostro medico lo ha confermato. Credevo che Damiano fosse stato un miracolo, un caso isolato e già mi ritenevo fortunata solo per aver avuto lui e invece…un altro bambino, Giuseppe, avremo un altro figlio e Damiano avrà un fratellino con cui giocare oppure una sorella! E’…un miracolo, l’ennesimo miracolo..” - fece Margherita.
Damiano, all’esterno della stanza, smise di ascoltare e alzò la testa di scatto.
Forse sarebbe tornato visibile, ma non gli importava.
Aveva capito bene?
Stava per arrivare un altro bambino?
Un fratellino oppure una sorella, avevano detto?
Sua madre e suo padre sembravano felici, ma lui come doveva prenderla?
Era un bene oppure era un male?
Sbirciò cautamente nella stanza e vide sua madre in lacrime che piangeva di gioia seduta accanto a suo padre su un divano, con la testa appoggiata ad una sua spalla mente lui la stringeva a se passandole un braccio intorno alle spalle e le sfiorava la pancia con l’altra mano libera.
Damiano si accigliò.
Decise che ci avrebbe ragionato un po’ su prima di decidere cosa pensare.

Damiano impiegò quattro mesi dal giorno in cui sua madre e suo padre finalmente gli avevano parlato della notizia dell’arrivo di un fratello o di una sorella per decidere se la considerava una cosa buona oppure una cosa cattiva.
Dopotutto erano diversi i pro e i contro da tenere presenti.
Damiano aveva già visto cosa succedeva nelle famiglie quando c’era già un bambino e poi ne arrivava all’improvviso un altro e la cosa non lo faceva stare del tutto tranquillo.
Da una parte sua madre aveva ragione quando gli diceva che avrebbe avuto qualcuno con cui giocare, ma dall’altra sapeva che avrebbe dovuto aspettare perché il bambino nuovo si trasformasse in un degno compagno di giochi e ci sarebbero voluti anni visto che almeno doveva diventare com’era lui in quel momento.
Poi c’era quella cosa del fratello maggiore che suo padre non faceva altro che ripetergli. Gli diceva che ora doveva pensare anche al suo fratellino o sorellina, che doveva avere cura di lui e allora Damiano si chiedeva perché, perché doveva avere lui cura del nuovo figlio se c’erano già loro due. Non aveva molto senso.
Quando lo faceva presente a sua madre - non si sarebbe mai azzardato a dire una cosa simile a suo padre - lei gli rispondeva che era perché lui stava diventando grande a poco a poco ed era quello che facevano i grandi, soprattutto i fratelli maggiori: proteggevano quelli minori.
Damiano non sapeva cosa sua madre volesse dire con quelle parole, ma nella sua ingenuità di bambino sperava solo che non gli nascesse un fratello o una sorella con la paura del buio o dei mostri perché quello proprio non l’avrebbe sopportato.
Se il nuovo bambino voleva essere suo amico allora doveva imparare a farsi piacere quello che piaceva a lui.
La divisione dei giocattoli già sapeva che non sarebbe stata un problema. Damiano ne aveva tantissimi e gliene venivano sempre regalati di nuovi, ma non li usava quasi mai perché a lui piaceva correre nel parco e viaggiare di fantasia più che stare fermo in una stanza piena di cose che non gli interessavano cercando di divertirsi senza successo.
Per quanto riguardava la divisione dell’attenzione dei suoi genitori…ecco, quello lo impensieriva un po’ di più.
Sua madre gli aveva già detto che soprattutto all’inizio della vita del nuovo bambino lui sarebbe forse stato trascurato un po’ perché creature così piccole avevano bisogno di molte attenzioni e Damiano non sapeva se la cosa gli andava bene oppure no.
Suo padre non era il tipo di padre che ti ripeteva sempre che ti voleva bene o ti abbracciava in continuazione e, a conti fatti, Damiano era molto più legato a sua madre che non a Giuseppe, ma non era cattivo e quando non era impegnato con il suo lavoro era sempre pronto a giocare con lui o a portarlo in giro per la tenuta in groppa a Furore dato che lui da solo era troppo piccolo per salirci. Comunque sia le attenzioni che Damiano riceveva da suo padre restavano sempre relativamente poche e doverle anche dividere….
Sua madre invece era sempre con lui. Gli parlava, gli raccontava storie, lo coccolava e insieme facevano lunghe passeggiate o picnic nel loro immenso giardino. Ricevava da lei così tante attenzioni che, ad un occhio esterno, doverle dividere non sembrava poi una così grossa tragedia, ma Damiano era un bambino già profondamente geloso e possessivo nonostante la giovanissima età.
Era geloso della sua mamma ed era geloso del tempo che trascorreva con lei.
Il nuovo figlio sarebbe arrivato a rovinare tutto?
Damiano questo non lo sapeva, ma se lo chiedeva spesso e principalmente era stata quella la domanda che lo aveva fatto titubare di più al momento di prendere la sua decisione sul fatto di vedere di buon occhio oppure no quella nascita.
Al momento aveva deciso di bloccarsi sul “forse”, dando al nuovo bambino un tempo massimo di due giorni dopo la sua venuta al mondo per dimostrargli che si sbagliava quando pensava che sarebbe stato solo un peso.
“Allora, piccolino? Sei contento oppure no dell’arrivo di un nuovo bambino? Quando te lo chiedo non mi rispondi mai…” - fece Margherita per l’ennesima volta.
Stavano passeggiando lungo il roseto che costeggiava una parte del giardino, mano nella mano con Damiano che di tanto in tanto lanciava occhiate poco convinte alla pancia già grande e tonda della sua mamma.
“Ho deciso che decido dopo che è nato!” - rispose.
“Oh, ho capito! Vuoi prima conoscerlo…”
Damiano annuì.
“Bene! Allora non mi resta che sperare che i miei bambini vadano subito d’accordo…” - sospirò Margherita prima di fermarsi e abbassarsi all’altezza del piccolo Damiano per poterlo guardare in viso con i suoi occhi verdi mentre lo teneva dolcemente per le spalle.
“Io ti vorrò sempre bene, lo sai, vero? E anche tuo padre! Continueremo ad amarti proprio come facciamo adesso, solo che ameremo allo stesso modo anche il tuo fratellino o la tua sorellina e mi piacerebbe che anche per te fosse lo stesso, che anche tu lo o la amassi perché è così che funziona nelle famiglie…” - gli disse nel suo solito tono sincero e tenero - “Mi prometti che farai uno sforzo? Che ti impegnerai per farmi felice?”
Damiano accasciò le spalle, guardando il sorriso della sua mamma e non potendo fare a meno di sorridere a sua volta, annuendo per accontentarla.
“Te lo prometto! Davvero…” - disse.
Il volto di Margherita si illuminò e strinse a se il bambino che ricambiò subito l’abbraccio avvolgendo il collo di sua madre con le sue piccole ed esili braccia.
Ma qualcosa cambiò in fretta e Damiano se ne accorse subito quando sentì la stretta di sua madre indebolirsi all’improvviso e vide le braccia di lei ricaderle mollemente lungo i fianchi.
La guardò preoccupato e la vide che stringeva gli occhi e si portava una mano sulla pancia, lì dove c’era il bambino, come se stesse soffrendo un grande dolore.
“Mamma? Mamma, stai bene? Mamma?” - prese a chiedere.
Lei restò ancora qualche attimo in silenzio, facendo lunghi rspiri per prendere fiato mentre passava una mano nell’erba umida e poi se la portava semi-bagnata alla fronte.
Damiano non capiva cosa stava succedendo, ma quando Margherita gli disse che andava tutto bene lui, per la prima volta in vita sua, non credette alle parole di sua madre e corse verso le scuderie.
Da lontano aveva visto che uno degli stallieri stava sellando Furore e ciò significava che suo padre doveva essere ritornato dato che nessun altro oltre al padrone di casa aveva il permesso di avvicinarsi a quel cavallo se non dietro preciso ordine del conte.
Damiano corse a perdifiato e trovò suo padre che usciva da una delle porte laterali della villa, diretto verso le scuderie.
“Padre! Padre! Papà!” - prese ad urlare.
Giuseppe si voltò verso di lui, accigliato, e quando se lo ritrovò praticamente addosso si abbassò anche lui alla sua altezza così come poco prima aveva fatto Margherita e lo esortò a parlare.
“Damiano! Cosa succede? Lo sai che non voglio che tu corra così tanto da farti venire il fiatone, potresi ammalarti…”
“Si, lo so, ma è la mamma…la mamma sta male…” - fece Damiano.
Gli occhi di suo padre cambiarono espressione in un attimo, si fecero attenti e ansiosi.
“Dov’è? Portami da lei!” - gli ordinò.
Damiano annuì e gli prese una mano, tirandoselo dietro verso il roseto. Erano arrivati a metà strada quando da lontano scorsero la figura di Margherita che, ripresasi, si avviava lentamente verso di loro.
Padre e figlio la raggiunsero in un attimo.
“Marherita, mia cara, stai bene? Damiano mi ha detto che hai avuto un malore…” - fece Giuseppe, passando un braccio intorno alla vita della moglie per poterla sorreggere e aiutare lungo il cammino verso la villa.
“Sto bene, sto bene, vi preoccupate troppo voi due….” - ripose lei, rimproverandoli bonariamente con un sorriso.
Damiano non sapeva cosa dire o che pensare.
In un certo senso si sentiva anche in colpa per essere corso così verso suo padre e averlo fatto spaventare perché se sua madre stava davvero bene allora lui avrebbe dovuto ascoltarla e restare con lei senza far preoccupare nessuno come, invece, aveva fatto.
Abbassò la testa e prese a camminare alle loro spalle, mesto.
Giuseppe fece segno a Margherita di aspettare e si voltò verso di lui.
“Hai fatto la cosa giusta a venire subito a chiamare me, Damiano…” - gli disse, passandogli una mano tra i capelli corvini.
Il bambino si sentì immediatamente rincuorato e, non sapendo bene come reagire a quel gesto di affetto così plateale da parte di suo padre,  si voltò a guardare sua madre che gli annuì dolcemente. Allora prese posto di fianco a suo padre e gli strinse una mano.

Da quel brutto giorno, però, fino alla fine della gravidanza, Damiano aveva cominciato a fare ciò che ogni bambino di buona famiglia e con una buona educazione non avrebbe mai dovuto fare: origliare sempre e comunque qualsiasi conversazione suo padre e sua madre avessero tra loro o con altri.
Prima era una cosa che capitava, non lo faceva di proposito ed erano rare le volte in cui non era lui stesso ad uscire allo scoperto subito e a farsi notare beccandosi anche una bella sgridata da entrmbi i genitori che ci tenevano molto alle sue buone maniere. Poi sua madre si era sentita male e lui aveva già i suoi buoni motivi per non fidarsi del nuovo bambino, quindi alla fine origliare era diventata un’abitudine, un vizio anzi.
Dopotutto lui era un bambino e benchè fosse preoccupato per la sua mamma che, mese dopo mese, sembrava avere sempre più malori e momenti di scarsa salute e lucidità, non gli dicevano molto tranne che sarebbe presto stata bene, ma lo facevano tutti con degli occhi così angosciati che persino se Damiano fosse stato un bambino meno perspicace di quello che era in realtà si sarebbe acorto che gli stavano raccontando un mare di frottole. Persino suo padre, il conte Giuseppe di Salvatore, l’uomo tutto d’un pezzo che non ammetteva menzogne di nessun genere gli mentiva e questo non poteva non mettere in allerta Damiano.
Se gli ripetevano in continuazione che dire bugie era sbagliato, allora perché tutti avevano preso a farlo?
Credevano che fosse così stupido da non accorgersene?
Damiano prendeva la cosa molto sul personale, non ne capiva il motivo principalmente e, d’altronde, era così piccolo che non riusciva a comprendere che se gli mentivano era per il suo bene, per tenerlo al sicuro da quella che era una brutta verità che stava prendendo sempre più piede nel cuore del conte, di Margherita e di tutti i domestici e stallieri della tenuta.
Damiano era stato un miracolo, la sua nascita era stata inattesa e insospettata. Le possibilità di Margherita di avere dei figli erano pressochè nulle e invece aveva messo al mondo lui, il suo primo figlio maschio, quel primo figlio che si era sempre creduto sarebbe rimasto l’unico.
Poi era accaduto di nuovo, a tre anni di distanza la contessa era rimasta incinta nuovamente, ma sperare in un nuovo miracolo forse era un po’ troppo persino per lei, una donna dal cuore puro e devoto.
Il suo corpo non era in grado di sopportare una nuova gravidanza che, infatti, la stava facendo deperire a poco a poco, portandole via energia e forza vitale, ma lei non si arrendeva, non aveva intenzione di farlo.
Nonostante tutto la nuova creatura dentro di lei stava superando ogni avversità e stava crescendo, si stava preparando a prendere il suo posto nel mondo e la contessa non era intenzionata a cedere, non voleva privare quel bambino della sua unica opportunità di vita solo per rimettersi in forze e tornarsene alla spensieratezza delle giornate che fino ad allora aveva vissuto.
Si sarebbe sacrificata, se necessario, l’avrebbe fatto con tutto il cuore.
Fu durante una nottedi primavera piena di stelle che la contessa cominciò ad urlare.
La villa si rianimò prontamente e fu subito chiaro che il travaglio era cominciato e il parto era imminente.
Damiano rimase fuori alla porta della camera da letto in cui era sua madre per un tempo indefinito, guardandola soffrire così tanto con le lacrime agli occhi mentre veniva raggiunta da alcune donne che parlavano tra loro dandosi istruzioni e gridavano a lei di mantenere la calma, che sarebbe andato tutto bene.
Venne trascinato via dalla mano di suo padre che gli si posò fermamente su una spalla.
Andarono fuori, in giardino, il più lontano possibile dalle urla.
Quella notte Damiano la passò in silenzio, seduto sulle ginocchia di suo padre a guardare la luna e a chiederle di non prendersi la sua mamma, di lasciarla lì con lui, di dargli quel benedetto fratellino se proprio ci teneva, ma di lasciare lì anche la sua mamma.
Padre e figlio, angosciati ed in attesa, non si rivolsero parola.
Damiano non sapeva cosa chiedere e Giuseppe non sapeva cosa rispondere in caso di domande del figlio.
Ma rimasero insieme, uniti così tanto forse per la prima ed ultima volta nella loro vita. Rimasero insieme fino all’alba, fino al momento in cui il pianto disperato di un bambino non arrivò ad accompagnare il primo raggio di sole del nuovo giorno.
Una domestica venne loro incontro e Giuseppe corse via subito.
Damiano se la prese con più calma. Si alzò, si risistemò con le mani i capelli e poi diede la mano alla domestica che, sorridente, lo portò fino al piano superiore davanti alla camera da cui si sentivano provenire le voci di sua madre e di suo padre.
“Avanti, signorino! Potete entrare…” - gli sussurrò la donna che gli era accanto prima di lasciarlo solo e dileguarsi velocemente lungo il corridoio.
Damiano rimase fermo lì fuori ancora un po’ prima di decidersi ad entrare.
La prima cosa che vide fuorno le lacrime di suo padre e pensò che dovevano essere lacrime di gioia per la nuova nascita.
“Damiano! Piccolo, vieni, vieni a conoscere il tuo fratellino!” - lo esortò sua madre con un tono basso e stanco che Damiano non le aveva mai sentito.
Si avvicinò al letto, sbirciando nella copertina che sua madre teneva tra le braccia e dalla quale vedeva spuntare una piccola mano che doveva essere la metà della sua.
“Un fratellino?” - chiese, suo malgrado, con una certa soddisfazione: se proprio doveva scegliere tra un fratello e una sorella, allora meglio il fratello, si era sempre detto.
“Si, un fratellino!” - gli confermò sua madre.
“E come si chiama?” - chiese allora, sporgendosi col busto in avanti fino a vederlo finalmente, il bambino di cui tanto si era parlato e a cui tanto lui stesso aveva pensato in quei mesi.
“Stefano! Si chiama Stefano!”
Stefano era davvero molto piccolo. Se ne stava tra le braccia della mamma con gli occhi spalancati, occhi che erano chiari come quelli di lei, di un verde intenso. Sulla testolina aveva già qualche capello scuro e la sua pelle sembrava di uno strano rosa innaturale, ma quando chiese il motivo gli dissero che era normale.
Damiano restò a fissarlo per un po’.
“Coraggio! Puoi toccarlo, sai?” - lo esortò sua madre.
Scambiò uno sguardo con lei prima di provarci, di allungare una sua mano a sfiorare quella del nuovo bambino.
Damiano non se lo aspettava, ma Stefano gli afferrò un dito e glielo strinse con forza, facendogli nascere un sorriso che si accentuò quando il bambino spostò i suoi occhi dalla figura di Margherita alla sua.
“Visto? Non mi sembri così dispiaciuto di avere un fratellino adesso che è nato…" -fece Margherita.
Damiano non diede molta retta a quelle parole, piuttosto gli premeva sapere altro.
“Quando possiamo andare a giocare di nuovo? Può venire con noi? Posso giocare con Stefano?” - chiese.
“Certo che puoi giocare con lui, anzi…devi giocare con lui perché, vedi Damiano, non so quando io potrò tornare a giocare con te, con voi. Sono molto stanca, sai? E non sto molto bene, purtroppo…” - gli rispose sua madre.
Damiano si accigliò. Non capiva. Voleva chiederle ancora qualcos’altro, ma qualsiasi cosa fosse se la dimenticò nel momento in cui suo padre, che era rimasto fermo e silenzioso di fianco a sua madre, si alzò di scatto e andò a rintanarsi in un angolo della stanza, piangendo.
“Giuseppe! Mio caro, ti supplico, non fare così..” - fece Margherita.
Damiano li guardò entrambi.
Guardò sua madre e suo padre, poi gli occhi gli caddero su Stefano e le parole di sua madre gli rimbombarono nella mente insieme alle immagini delle lacrime di suo padre. Solo in quel momento si rese conto che forse aveva sbagliato a considerare quelle lacrime delle lacrime di gioia. La luce che aveva visto negli occhi di suo padre, infatti, non era una luce luminosa, di felicità, ma una luce oscura, di preoccupazione e tristezza.
Li guardò ancora. Sua madre, suo padre e poi Stefano. Si soffermò su di lui, sul bambino.
 - “…non so quando io potrò tornare a giocare con te, con voi. Sono molto stanca, sai? E non sto molto bene, purtroppo…”  - gli aveva detto così sua madre poco prima.
Mesi e mesi di menzogne, malanni e ansie tornarono a passargli davanti agli occhi che, in quell’attimo, persero tutta l’ingenuità che gli occhi di un bambino di tre anni dovrebbero avere.
Fissò lo sguardo sul suo dito ancora intrappolato nella mano di Stefano e lo tirò via repentinamente, quasi con violenza e sicuramente con decisione.
“Damiano..” - lo chiamò sua madre, ma lui non le rispose né le diede retta.
Diede le spalle a lei e a quel bambino, si avviò verso la porta e se la richiuse alle spalle dopo averla attraversata.







NOTE:
Ciao a tutti e ben ritrovati! (Oddio, sembravo la D'Urso O_O) XDXDXD
No, vabbè...senza scherzare...finalmente sono di ritorno. Mi scuso di nuovo con voi per aver allungato ancora i tempi di postaggio, ma è un periodo davvero pieno di cose per me ed in qualche modo devo pur destreggiarmi senza annegare nelle cose da fareXD
Allora, ringrazio tutti coloro che hanno letto e/o recensito il prologo e spero che questo primo capitolo vi piaccia.
Damon (Damiano al momentoXD) qui ha tre anni ed è raccontata ovviamente la nascita di Stefan (qui ancora StefanoXD) passando attraverso il momento della lieta novella e i primi malori dovuti alla gravidanza.
Vi confesso che è stato difficile scrivere questo capitolo e tutt'ora lo posto, ma non sono sicura del risultato ottenuto. Spero che vi piaccia comunque e in caso di critiche sapete sempre dove trovarmi, ormai penso si sia capito che da voi accetto qualsiasi cosa, anche suggerimenti e note amare, non solo complimenti nonostante quelli che mi riservate sempre mi rendono davvero molto felice.
Adesso volevo rispondere ad una domanda che di sicuro vi starete facendo tutti: perchè Margherita non è morta dando alla luce Stefan?
Ecco, la risposta è semplice! Perchè io mi sono rifatta solo a quello che la Smith scrisse ai tempi del primissimo libro della saga e ho lasciato perdere qualsiasi cosa avesse aggiunto poi andando a contraddire ciò che disse all'inizio!
Benchè non abbia letto gli ultimi libri, mi è infatti giunta voce che in uno di questi, dopo la morte di Damon, Stefan lascia intendere che sua madre morì dandolo alla luce....
Beh...nel primo libro, Il Risveglio, precisamente a metà della pagina 187, Stefan racconta ad Elena che sua madre morì pochi anni dopo averlo messo al mondo!!
Ora, dato che ai fini della riuscita della mia storia dovevo decidere quale strada seguire, ho preferito seguire quella suggerita dal primo libro dato che...beh...immagino che quella dovesse essere la vera storia del passato dei Salvatore in origine!XDXDXD
Comunque sia...ecco spiegato perchè Margherita c'è ancora, anche se per poco visto che già sta male dato che il suo corpo non era portato per una gravidanza, figuriamoci per due!!
Beh....mi sembra sia tutto per adesso....
Vi aspetto tra due settimane, lunedì 2 luglio, sul blog per lo spoiler mentre per il capitolo...
A giovedì 5 luglio....BACIONI...IOSNIO90!!!

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Capitolo 3
*** Addio ***


Addio

I tre anni avrebbero dovuto essere un grande traguardo per Stefano. Finalmente era abbastanza grande per essere ammesso ai giochi di suo fratello, ma nuovamente l’unica compagna di giochi che andò a stringergli la mano fu la delusione.
Non si lamentava, non lo faceva mai.
Era un bambino, avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per farlo, per lamentarsi, ma lui si guardava intorno,vedeva che il mondo delle persone a lui più care non era bello come quello in cui lui sperava di vivere con loro e allora desisteva, si mordeva la lingua, abbassava gli occhi sulle scarpe e mandava giù ogni singolo groppo in gola che gli si formava.
Voleva essere felice, gli sarebbe piaciuto, la sua mamma gli diceva che poteva esserlo se voleva, che nessuno se la sarebbe presa, ma poi Stefano guardava lei confinata in un letto ogni giorno da che ricordava, guardava suo padre stanco e spossato e puntava i suoi grandi occhi verdi in quelli neri come la notte di Damiano e allora capiva che sua madre si sbagliava, che qualcuno se la sarebbe presa, che suo fratello…se la sarebbe presa, che non l’avrebbe trovato giusto e lui non voleva, non voleva assolutamente creare altri dissapori o far soffrire Damiano più di quanto già non lo vedesse fare.
La sua balia a volte gli raccontava di quando lui non era ancora nato e di come al tempo Damiano passava le sue giornate correndo nel parco, sorridendo a tutti.
Stefano non l’aveva mai visto correre e non l’aveva mai visto sorridere, non davvvero.
Avrebbe dato di tutto per poter ridere con suo fratello un giorno.
Ma la loro mamma era malata, così gli avevano detto.
Non sapeva cos’avesse - quando si ammalava lui restava a letto un paio di giorni, mentre sua madre era sempre a letto fin da quando aveva memoria - e questo lo confondeva, non riusciva a capire.
Un giorno aveva fatto l’errore di esternare quel suo dubbio a Damiano.
Nella sua mente, infatti, con sua madre confinata in un letto e suo padre diviso tra il lavoro e le cure della moglie, Stefano aveva preso ben presto ad associare la figura di suo fratello a quella di “colui che si prende cura di me”, ma questo succedeva appunto solo nella sua mente perché Damiano la vedeva in ben altra maniera.
Era un fratello freddo con lui, Stefano se ne rendeva conto quando metteva a paragone con loro altre coppie di fratelli che giocavano e si guardavano le spalle a vicenda, ma questo non era abbastanza a fargli passare l’idea che Damiano fosse il suo punto di riferimento.
Pensava che fosse una cosa triste, si sentiva triste la maggior parte del tempo, ma non poteva farci niente.
Beh…quando esternò a Damiano quel suo dubbio circa le condizione della loro madre, lui aspettò qualche secondo e poi scattò immediatamente dalla sedia su cui era seduto e gli si parò davanti afferrandolo per il bavero della giacchetta estiva che indossava.
Gli disse: “E’ tutta colpa tua, non te ne rendi conto?”
Stefano scosse la testa, ingenuo e Damiano lo lasciò andare, facendolo ricadere pesantemente sul pavimento.
Non pianse neanche quella volta, no. Stefano cercava sempre di essere forte, di assorbire tutto ciò che di male subiva o gli veniva detto. Ma quel momento gli si impresse a fuoco nella mente e da quel giorno sapeva bene che l’avrebbe sempre ricordato come la sua prima esperienza con la violenza e la prima volta che era riuscito davvero a leggere qualcosa negli occhi di suo fratello. Quegli occhi che scrutava attentamente ogni giorno e che gli erano sempre parsi vuoti, quel giorno gli avevano mostrato un’emozione mentre Damiano gli sputava addosso quelle parole neanche fossero veleno, gli avevano mostrato dolore.
Dopo quel momento Stefano aveva fatto una lunga corsa lungo tutto il perimetro del parco che circondava la villa. Gli piaceva camminare lungo i cancelli di confine perché gli davano l’opportunità di vedere cosa c’era all’esterno del pezzo di mondo in cui viveva. Usciva dalla loro proprietà solo per recarsi in chiesa la domenica mattina, per il resto poteva dire di aver visto ben poco delle campagne circostanti e di non aver visto un bel niente di Firenze.
Gli sarebbe piaciuto così tanto vederla….
Ma quello non era il momento.
Nelle sue gite immaginarie lui si vedeva con Damiano mentre camminavano tra i loro genitori per le vie affollate di persone. Erano gite gioiose, felici e di certo non si poteva essere felici adesso che sua madre era malata ed era…colpa sua? Davvero?
Le parole di Damiano lo avevano colpito e dopotutto perché suo fratello avrebbe dovuto mentirgli, affibiandogli una colpa che non aveva? Non ce n’era ragione!
D’altra parte, però, si chiedeva anche come avesse fatto lui a far ammalare la loro mamma e soprattutto quando era capitato.
Corse a perdifiato sulla via del ritorno. Corse tra gli alberi, schivando i cespugli di rose e quelli di fragole, stando attento a non calpestare le margherite bianche e dorate prima di raggiungere la distesa di ghiaia che dava sulla porta su resto, quella vicino alle scuderie.
“Signorino! Signorino!” - la sua balia prese a chiamarlo non appena lo vide, ma Stefano sentiva di non avere tempo.
“Torno presto balia..” - urlò in risposta.
Aprì la porta di casa e si fiondò verso l’ingresso principale dal quale prese a risalire l’immensa scalinata fino al piano superiore dove erano posizionate le stanze da letto patronali.
“Signorino! Tornate qui, ve ne prego…” - la voce della balia tornò a supplicarlo, ma Stefano continuò. Ormai era nel sorridoio che dava sulla camera di sua madre e sentiva i passi della donna alle sue spalle.
“No! Devo chiedere una cosa alla mamma, adesso. Dopo, verrò dopo…”
“Signorino, non..” - la voce della balia si smorzò non appena Stefano spalancò la porta della stanza a cui era diretto.
“Mamma?” - fece, ma rimase fermo sulla soglia non azzardandosi ad entrare quando si ritrovò davanti i suoi genitori, Damiano e quello che aveva imparato a conoscere come uno dei medici che avevano in cura la loro famiglia.
“Mia signora, mi spiace, non sono riuscita a fermarlo in tempo…” - mormorò remissiva la balia, abbassando gli occhi.
Margherita le sorrise gentilmente e la congedò con un gesto della delicato della mano.
“Mamma posso entrare?”- fece, allora Stefano.
La testa di Damiano scattò subito nella sua direzione.
“Va’ via Stefano!”  - gli ordinò, ma sua madre intervenne anche quella volta.
“Damiano! Ti ricordi cosa ti ho appena detto, vero?”- lo riprese.
Stefano vide suo fratello annuire e sospirare. Passò ancora qualche attimo, attimi di mormorii tra suo padre e il medico nell’angolo della stanza, alla luce della finestra aperta, poi il dottore prese congedo e suo padre lo scortò fuori. Damiano li seguì.
“Vieni qui, piccolino…” - lo esortò sua madre, non appena lei e Stefano rimasero soli.
Non se lo fece ripetere. Regalò un enorme sorriso alla donna e poi salì sul grande letto a baldacchino, andando ad accoccolarsi tra le braccia della sua mamma.
Stefano le voleva bene, non poteva dire  il contrario, nonostante il loro rapporto fosse fatto solo di tante chiacchierate e non potessero permettersi di giocare insieme per via della salute cagionevole di lei.
“Mamma? E’ vero che se sei malata è colpa mia?” - sussurrò Stefano.
Margherita aggrottò la fronte e gli alzò il piccolo mento con una mano per poterlo guardare negli occhi, verde nel verde.
“Chi ti ha detto questo? Damiano, forse?” - gli chiese.
Stefano non se la sentì di dire che si, era stato suo fratello a formulargli quell’accusa, quindi si limitò solo a scrollare le spalle e la testa.
“E’ vero? Perché io ci stavo pensando solo che non capisco…come, come ho fatto a farti ammalare?”
“Stefano, non è colpa tua se mi sono ammalata, va bene? Io sono sempre stata….cagionevole. Ho un corpo fragile, è questa la verità. Mi sono ammalata quando nacque Damiano e poi mi sono ammalata di nuovo quando sei nato tu, ecco tutto.”
“Quindi è davvero colpa mia…” - ribattè il bambino.
“No, Stefano, no, non crederlo mai! E non essere triste, non devi. Guarda me, io non sono triste. Come potrei esserlo dopo che nostro Signore mi ha concesso non uno, ma ben due miracoli? Non si deve essere triste per i proprio miracoli, perché sono sempre tanto grandi, così immensi che qualsiasi conseguenza portino con se andrà sempre bene, ricordatelo!”
“I miracoli, mamma?”
“Si, i miracoli! Sai cosa sono i miracoli? Un miracolo è ciò che accade quando per Grazie Divina ci succede qualcosa che a detta dell’uomo, di qualsiasi essere umano che popoli questa terra, non sarebbe mai stato possibile che succedesse! Voi siete i miei miracoli, Stefano, tu e e Damiano. Dicevano che non potevo diventare madre e invece eccovi qui, i miei due principi. Come potrei essere triste per questo, qualsiasi sacrificio comporti?” - gli rispose sua madre, sorridendo e stringendolo a se - “Ricorda sempre ciò che ti ho detto, Stefano. E ricorda sempre quanto ti amo, ti ho amato e ti amerò sempre, piccolo mio…”
Stefano poggiò la testolina sulla spalla della donna e le passò un braccio intorno al collo magro. Lei, intanto, prese a canticchiare una canzoncina che il bambino ricordava da sempre.
Trascorsero svariati minuti. Furono attimi di pace e serenità. Stefano non si accorse delle lacrime che Margherita versava silenziosamente mentre lo teneva tra le sue braccia.

Damiano ormai aveva perso ogni memoria del breve periodo di felicità prima della nascita di Stefano e della conseguente malattia di sua madre.
Non odiava suo fratello, ma provava rabbia, un’immensa rabbia nei suoi confronti. A volte desiderava che non fosse mai nato perché era dalla nascita del suo fratellino che lui aveva preso a vivere in un perenne stato d’angoscia e contrasto, diviso tra la gioia inaspettata di avere qualcuno di poco meno della sua età con cui condividere la vita e la tristezza per quello che era stato il sacrificio di sua madre.
Sapeva tutto, Damiano.
Non era molto grande - a 6 anni tutti ti dicono che sei un ometto, ma ti considerano poco più di un bimbo in fasce - e non gli venivano direttamente raccontate certe cose. Le informazioni doveva cercarsele da solo e quindi ciò che prima era un difetto di carattere, la sua curiosità, era diventato un vizio vero e proprio che lui giustificava con la necessità.
Aveva bisogno di sapere come stava sua madre, perché stesse così e quando e se si sarebbe ripresa, ma nessuno parlava, non in sua presenza, quindi si riteneva pienamente in diritto di indagare, spiare e fare qualsiasi altra cosa fosse necessaria per ottenere suddette informazioni.
Era logico, era normale che un figlio volesse essere messo a parte della salute di sua madre. Si diceva questo e si faceva passare in fretta qualsiasi accenno di senso di colpa gli nascesse nel petto.
Il distacco, ecco cosa gli aveva insegnato quell’esperienza, qualcosa che sapeva si sarebbe portato dietro per sempre.
Sua madre stessa, all’inizio, poco dopo la nascita di Stefano, quando lo vedeva piangere giorno e notte perché lui aveva capito che le cose per lei sarebbero solo andate peggiorando, gli diceva: “Devi essere forte, non devi piangere, devi sorridere a tuo fratello, sorridere alla vita….” - Damiano non riusciva nemmeno in quel momento, a tre anni di distanza, a sorridere a suo fratello o a sorridere alla vita, ma sì, invece, aveva imparato ad essere forte e a non piangere, aveva imparato a tenere lontano il dolore o, per meglio dire, a tenere se stesso lontano dal dolore. Il distacco, appunto. Avrebbe sempre incolpato quegli anni per questo, per avergli insegnato solo questo quando avrebbero dovuto insegnargli la felictà e l’amore di una famiglia unita.
In quella casa non c’era niente di unito, non più. E in fondo era quasi un bene che Stefano quell’unità non l’avesse sperimentata neppure una volta perché almeno - si diceva Damiano mentre guardava suo fratello giocare in cortile dalla finestra della sua stanza, quando lui pensava di non essere visto da nessuno se non dalla sua balia - adesso non vivrebbe col cuore rinchiuso in una prigione di vecchi ricordi come invece faceva lui.
Aveva già un precettore. Questi gli soleva dire che nessun bambino avrebbe dovuto fare di quei pensieri. Damiano costringeva la bocca in una smorfia e taceva. Se quell’individuo tanto erudito non lo capiva allora si chiedeva chi mai potesse farlo.
Quel giorno non sembrava diverso dagli altri.
Aveva trascorso la sua giornata spiando le conversazioni di suo padre coi medici, domandandosi come poteva un padre che in quegli anni era rimasto in casa molto più di quanto non avesse fatto in precedenza ad essere nient’altro che un fantasma, una figura di contorno o di passaggio nella sua vita e in quella di Stefano. Probabilmente il dolore aveva colpito molto anche lui, ma Damiano non riusciva a pensarci e forse neanche voleva. Lui aveva già il suo dolore da gestire, il suo dolore dal qualche stare alla larga, non poteva mettersi a pensare anche a quello degli altri, ammesso che ne provassero.
Quel giorno aveva assistito sua madre, come sempre.
Quel giorno aveva urlato a Stefano che era colpa sua se la loro madre era malata.
Damiano non sapeva neppure se lo pensava davvero oppure no. Sapeva che quelle parole gli erano uscite di bocca, si, e anche in modo parecchio violento, ma non riusciva a decidere neppure lui stesso se ci credeva o le aveva dette…così…perchè doveva pur dare la colpa a qualcuno.
Era strano il rapporto che aveva con suo fratello. Era sicuro che Stefano non credesse neppure che ci fosse un rapporto, ma lui lo vedeva, Damiano lo percepiva.
Durante quei tre anni si era convinto che ciò che doveva fare il fratello maggiore era sorvegliare il fratello minore, guardargli le spalle senza interferire con la sua vita. Non sapeva se fosse giusto o meno, ma era tutto ciò che riusciva a fare per Stefano, per il momento almeno.
Stargli troppo vicino, guardarlo negli occhi, quegli occhi uguali a quelli di sua madre, era impensabile per lui.
Come se non bastasse Stefano aveva anche l’animo di sua madre: puro, ingenuo, sognatore, altruista e umile.
E vedere lui pieno di vita in confronto a lei che pian piano si spegneva….era troppo, davvero troppo.
Una cosa alla volta, poteva affrontarli soltanto uno alla volta, non poteva fare di più.
“Damiano? Ho sentito delle voci dal piano di sotto poco fa, sembrava la tua voce…cosa è successo?” - la voce di sua madre gli arrivò flebile alle orecchie non appena mise piede nella sua stanza, nonostante lei si sforzasse per mostrarsi sempre forte.
Damiano scosse la testa. Sapeva che lei si stava riferendo alla sua breve discussione con suo fratello avvenuta poco prima.
“Nulla! Non è stato nulla, davvero.”  - le rispose.
Mentire, aveva imparato a fare anche quello.
“Oh, bene..” - mugugnò lei, distendendo la fronte aggrottata e aprendo le labbra in un sorriso.
“Il medico è nello studio con mio padre, stanno arrivando.”- la informò mentre le si sedeva di fianco e prendeva a giocare con una sua mano.
Margherita annuì col capo ancora sul cuscino e i capelli che le si aprivano a ventaglio tutti intorno alle spalle. Era sudata, probabilmente le era tornata la febbre.
“Prima che arrivino, voglio chiederti una cosa, piccolo mio…”
Damiano alzò di scatto la testa a guardarla.
“Certo! Qualsiasi cosa..” - le rispose.
“Una promessa.” - fece lei.
Damiano si accigliò. Non capiva.
“Una promessa?”
“Si, una promessa.” - confermò Margherita - “Voglio che mi prometti che proteggerai sempre tuo fratello, che gli vorrai bene e terrai sempre a cuore le sue sorti. Tuo padre è…così stanco. E’ provato, devi capirlo. Mi resta accanto giorno e notte e in più deve accudire voi e pensare alla vostra crescita e alla vostra istruzione da solo ora che io non posso dargli una mano, ma tu sei un ometto ormai e Stefano è così piccolo ancora. Oltretutto non è come te, non è com’eri tu alla sua età e mi sentirei maggiormente rassicurata se sapessi che anche tu te ne prendi cura.”
“Stefano ha un cuore troppo gentile…” - s’intromise Damiano.
“Anche tu, piccolo mio, anche tu. Anche tu hai un cuore gentile e un animo buono solo che, rispetto a lui, hai più…praticità, ecco. Affronti la vita per quello che è, a testa alta, e se non ti dà ciò che desideri allora fai di tutto per prendertelo da solo, per strapparle quella serenità che non ti ha donato. Ma Stefano no, lui è come me, è remissivo. Se la vita non gli dà ciò che desidera allora lui abbassa la testa e prende ciò che gli è capitato in sorte, senza fare storie. Questo a volte è un pregio, ma capita che sia anche un difetto, un male che non gli ermette di essere felice ed io vorrei che lo fosse come lo eri tu un tempo. Stefano non è mai stato felice…” - due colpi di tosse interruppero il discorso di Margherita. Damiano fece per porgerle dell’acqua, ma lei scosse la testa e riprese a parlare.
“Per questo motivo ti chiedo di promettermelo, Damiano. Promettimi che gli resterai sempre accanto, che veglierai su di lui, che gli vorrai bene. Promettilo, figlio mio, te ne prego!”
Damiano rimase in silenzio.
Quello, tutto quel discorso, quella promessa….perché gli sembravano un addio, le parole di una persona che sa che forse non avrà più la possibilità di fare o dire e allora chiede agli altri di fare e dire per lei?
“Ma…non ce n’è bisgno!” - obiettò - “Mamma, tu guarirai e potrai vegliare tu su Stefano!”
Margherita gli afferrò la mano, saldamente, tirandosi su col busto per poterglisi avvicinare.
“Promettimelo, Damiano!” - fece ancora.
In quel momento la porta si aprì, prima che lui potesse dire o fare qualcosa.
Suo padre entrò col medico e gli permisero di restare lì a patto che si facesse da parte. Durante la visita sua madre continuò a guardarlo, esortandolo con lo sguardo a pronunciare quelle parole, a promettere, ma Damiano era al limite.
Promettere avrebbe voluto dire accettare che sua madre non sarebbe stata più lì con loro a breve, non sarebbe più stata lì per prendersi cura di lui e di suo fratello e non voleva, non voleva accettarlo.
L’arrivo di Stefano al termine della vista medica fu inaspettato. Damiano gli si rivolse in malo modo, ma in cuor suo era contento che fosse venuto a distogliere gli occhi insistenti di sua madre da lui.
“Damiano! Ti ricordi cosa ti ho appena detto, vero?” - sua madre tornò a ripeterglielo ancora, riferendosi ovviamente alla promessa che gli aveva chiesto di giurarle.
Damiano annuì e sospirò.
Non sapeva neppure lui se quel gesto affermativo del capo significasse “Si, me lo ricordo” oppure “Si, lo pometto”. Non sapeva neppure come l’aveva interpretato sua madre.
Lasciò la stanza, seguendo suo padre, che ancora era intento a pensarci, a decidere. Prima di richiudere la porta lanciò uno sguardo a Stefano e sua madre, con suo fratello accoccolato tra le braccia di Margherita. E la sua confusione in merito a quella promessa invece di scemare, crebbe. Decise che ne avrebbe parlato ancora sua madre.
Quella notte, nel bel mezzo della notte, la loro villa si rianimò all’improvviso. Damiano uscì dalla sua stanza e corse a perdifiato verso quella dei genitori. Nel tragitto aveva afferrato la mano di Stefano e l’aveva trascinato con se.
Arrivarono appena in tempo sulla soglia per vedere l’ultimo sorriso di Margherita, poi lei chiuse gli occhi e fu per sempre.

“Damiano? Io volevo molto bene alla mamma…” - le parole di Stefano erano smorzate dal pianto. Ad ogni parola era alternato un sighiozzo mentre assistevano al funerale della donna che entrambi avevano amato e che li aveva amati a sua volta così tanto da donare la sua stessa vita per loro.
“Lo so, Stefano. Anch’io le volevo molto bene e lei ne voleva a noi.” - fece Damiano.
Dalla notte prima, da quando si erano stretti la mano mentre correvano lungo quel corridoio, la loro presa sull’altro non si era più allentata.
Soffrire in due era meglio che soffrire da soli.
“Mi ha detto che noi eravamo i suoi miracoli, ieri…”
“L’ha detto anche a me una volta.”
Posarono dei fiori sulla bara che conteneva Margerita. Le sussurrarono il loro amore guardando il cielo.
Chi li guardava pensava che due bambini così piccoli non avrebbero dovuto avere a che fare con la morte.
“Damiano?”
“Si, Stefano?”
“Io voglio molto bene anche a te. Non te ne andrai, vero?”
“Non me ne andrò! Mai!” - quelle parole segnarono la loro intera esistenza.  





NOTE:
Ciao a tutti e buon giovedì sera di inizio luglio!!!**
Il caldo vi sta uccidendo? Beh...sta uccidendo anche me!XD
Allora...ringrazio innanzitutto chi ha letto e/o recensito il capitolo precedente e anche chi ha letto silenziosamente. Vi adoro tutti senza differenze**
Alcuni di voi hanno trovato lo scorso capitolo un pò triste e questo....diciamo che mi sono depressa da sola scrivendoloXDXDXD
Nei prossimi le cose si risolleveranno, davvero, non sarà sempre così tragica. Purtroppo, però, la vita di Stefan e Damon non è iniziata nel migliore dei modi e questo, a mio dire, è andato ad influire anche sul loro rapporto che io vedo più complicato di quanto già non lo siano loro separatiXD Di questo ho già cercato di dire qualcosa in questo capitolo, ma nei prossimi sicuramente si noterà di più con Stefan e Damon che crescono**
Vi aspetto, quindi, lunedì 16 luglio sul blog per lo spoiler mentre per il prossimo capitolo...
A giovedì 19 luglio.....BACIONI...IOSNIO90!!!

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Capitolo 4
*** Caccia al tesoro ***


Caccia al tesoro

“Stefano! Tieni dritta la schiena! Lo sai bene che voglio che tu e tuo fratello vi comportiate da perfetti gentiluomini. La postura è importante. E per l‘amor di Dio togli quei gomiti dal tavolo!! Quante volte devo ripeterti che non è educato? Non è così che ci si comporta, neppure in casa propria ed in assenza di ospiti!!!”
Damiano lanciò un’occhiata a suo padre e storse il naso a sentirlo parlare di nuovo sempre delle stesse cose. Erano regole quelle di Giuseppe, imposizioni vere e proprie, rigidi ammonimenti su ciò che potevano o non potevano fare e su ciò che potevano o non potevano dire. Sembrava che quello fosse il suo modo di fare il padre e, onestamente, Damiano lo trovava parecchio irritante. Ogni giorno si alzava con la speranza che qualcosa in quell’ uomo cambiasse, che qualcosa in quella casa cambiasse, che tornasse ad essere come un tempo nonostante il dolore ancora persistente, almeno per Stefano. Ma niente accadeva e ogni notte se ne tornava nella sua stanza e sotto le lenzuola faceva sempre lo stesso pensiero, sempre lo stesso da tre anni a quella parte: la felicità era morta con Margherita, sua madre.
Non gli faceva piacere pensarla così, ma si vedeva costretto, non poteva fare altrimenti, non con suo padre continuamente di malumore, un malumore che sfogava in famiglia con paternali e punizioni.
Giuseppe stava ancora soffrendo per la morte di sua moglie e forse avrebbe continuato a farlo per il resto dei suoi giorni, Damiano non era così stupido da non capirlo, ma non trovava giusto il comportamento che assumeva nei loro confronti.
Mai che gliene andasse bene una!
Eppure sia lui che Stefano non erano bambini particolarmente turbolenti, Stefano di sicuro ancor meno di lui, si davano da fare per essere autosufficienti il più possibile e Damiano non trovava sensato il fatto che Giuseppe trovasse sempre un modo per criticare e dire la sua e che tutto gli andava perdonato perché lui soffriva ancora.
Che c’entrava?
Lui e suo fratello erano ancora bambini e avevano visto la loro adorata madre morire davanti ai loro occhi, soffrivano quanto e più di lui!
Per come la vedeva Damiano, suo padre non si sforzava come avrebbe dovuto, sembrava quasi che non gli interessasse più essere un buon padre, amato dai suoi figli. No, lui voleva fare il padre e basta alle sue condizioni e se Stefano si dimostrava giorno dopo giorno sempre più quel tipo di persona paziente e sempre accondiscendente con tutti, lui, Damiano, non lo era affatto. Lui non accettava l’atteggiamento di Giuseppe, non accettava tutte le sue assurde regole, per dispetto non accettava neppure le regole abbastanza normali e sensate. Se lui doveva essere un bravo figlio allora Giuseppe doveva essere un bravo padre, ma visto che così non era allora anche lui aveva tutto il sacrosanto diritto di fare come gli andava.
Il suo precettore ultimamente aveva preso a parlargli di rispetto. Quell’uomo di tanto in tanto intervallava le lezioni di calcolo e lingua con alcuni suoi discorsi lunghi delle ore che avrebbero dovuto avere il compito di dargli delle lezioni di vita facili da comprendere. Peccato che Damiano non era esattamente il bambino che accettava qualsiasi cosa gli venisse detta per quello che era. Lui contestava e poi, nel silenzio della notte, chiuso nella sua camera, ci ripensava su e ne traeva le sue conclusioni personali.
Ora, il rispetto. Il suo precettore gliene aveva parlato come di qualcosa che alla sua giovane età andava guadagnato, ma che stranamente era dovuto agli adulti perché così funzionavano le cose.
Ecco! Damiano era totalmente in disaccordo. Ci aveva ragionato a lungo, tre giorni e tre notti intere e alla fine era giunto alla conclusione che se il rispetto andava guadagnato allora andava guadagnato sempre, non importava che età avesse la persona in questione. Non era detto che gli adulti andavano rispettati solo perché più grandi anagraficamente. Se il rispetto si guadagnava con le azioni compiute allora l’età non c’entrava niente e non vedeva perché lui dovesse rispettare qualcuno le cui azioni non erano degne, a suo dire, di rispetto.
Questo per dire che no, Damiano aveva perso il rispetto per suo padre molto tempo prima. Se quando era più piccolino era indeciso su come valutare Giuseppe perché, dato che lui era sempre fuori casa per lavoro, lui non lo conosceva abbastanza da potersene fare un’opinione. Adesso che, dopo la morte di sua madre, suo padre aveva dovuto per forza di cose imparare a delegare gran parte delle questioni lavorative che prima lo tenevano impegnato costantemente a Firenze, Damiano aveva potuto avere modo di conoscerlo meglio, di osservarlo a fondo e ciò che aveva visto non gli era piaciuto particolarmente. In primis, aveva detestato il momento in cui aveva tassativamente vietato a lui, a suo fratello e a tutti gli abitanti di quella casa di parlare di Margherita o di pronunciare il suo nome.
Era comprensibile il dolore, ma quello non era il giusto modo per affrontarlo, non per l’uomo che avrebbe dovuto sostenere ed aiutare lui e Stefano ad accettare il dolore che ancora provavano e a crescere.
Probabilmente era stato in quel momento che aveva smesso di pensare al conte come a suo padre e aveva preso a vederlo solo come Giuseppe.
“Damiano! La cena è cominciata quindici minuti fa!”.
Il bambino rispose al rimprovero con un’occhiata dura e una scrollata di spalle. L’aveva fatto di proposito, lo sapeva lui e lo sapevano tutti. Più Giuseppe dettava legge, più Damiano trovava ogni modo e scusa possibile per fare di testa sua.
“Avevo un terribile mal di pancia. Ho perso tempo in bagno!” - rispose, mettendosi a sedere al grande tavolo il legno d’acero che troneggiava nella loro sala da pranzo. Suo padre sedeva a capo tavola, lui prese posto alla sua sinistra e di fronte a se aveva il piccolo Stefano che tentava in ogni modo di rimanere dritto con la schiena nonostante fosse evidente sul suo viso il fastidio che la posizione gli provocava.
Giuseppe, che stava tagliando attentamente una patata un po’ troppo grossa, si bloccò all’improvviso e si voltò a guardarlo con un cipiglio a metà tra l’irritato e il disgustato.
“Oh, per favore, Damiano! Siamo a tavola…” - fece.
“Vi stavo solo dando le spiegazioni che il vostro rimprovero esigevano, padre.” - rispose Damiano, sorridendogli a mezza bocca, con quel sorriso un po’ troppo adulto e un po’ troppo cinico che stava imparando a sfoggiare ogni volta che si trovava a conversare “amabilmente” con suo padre.
“Non voglio che ricapiti più. Intesi? Niente più ritardi, Damiano!”
“Certo, padre, come volete…”
Ed era il solito copione che recitavano ad ogni pranzo e ad ogni cena che trascorrevano insieme. Non cambiava mai nulla, nemmeno la leggera preoccupazione che Damiano sembrava sempre leggere negli occhi di Stefano. Probabilmente il suo fratellino pensava al giorno in cui Giuseppe non avrebbe più retto e sarebbe scoppiato, magari mettendolo in punizione a vita o peggio cedendo addirittura alla violenza.
Damiano non se ne preoccupava e anche se quel giorno fosse arrivato avrebbe continuato a non preoccuparsene.
Stefano, invece, era diverso, pensava a lui.
In quel tre anni che erano trascorsi dalla morte di Margherita, Damiano spesso aveva pensato alla loro ultima conversazione, a quando lui aveva detto che suo fratello aveva un cuore troppo gentile e a quando lei aveva tentato di fargli promettere di proteggere sempre Stefano. A dire il vero, Damiano ci pensava veramente spesso a quella promessa che sentiva di non aver mai accettato, non a parole almeno.
All’epoca era troppo arrabbiato per tutta la storia della malattia di sua madre, provava troppa sofferenza e non voleva affrontare la realtà che gli stava portando via l’unica persona che aveva amato con tutto se stesso, quindi non ci era riuscito proprio a parlare, a rispondere.
Col senno di poi, però, aveva anche pensato che forse, le parole che aveva sussurrato a Stefano durante il funerale erano quello, avevano quel significato, quello di accettare di adempiere alla promessa.
Non poteva parlare con nessuno di quella faccenda, doveva risolversela da solo. Una volta in un libro aveva letto che le parole erano importanti, ma ancora più importanti erano le azioni. Aveva pensato che fosse una bella frase, aveva addirittura pensato di prenderla ad esempio nel corso della sua vita, salvo poi accorgersi che era esattamente ciò che lui già faceva. Lui agiva, aveva smesso di parlare dei suoi sentimenti non appena sua madre era stata lasciata sottoterra.
Non sapeva se Stefano lo capiva. Non sapeva se Margherita dal Cielo lo capiva. Sapeva solo che lui non avrebbe mai spiegato, non avrebbe mai parlato, non avrebbe mai detto apertamente che si, inconsciamente aveva preso fin da subito a fare come sua madre aveva voluto per lui, sperando che proteggendo Stefano l’avrebbe resa felice ovunque fosse e che aiutare suo fratello a crescere avrebbe aiutato anche lui a fare lo stesso.

Stefano non resistette. Suo padre gli aveva detto di non portare con lui nessun giocattolo mentre erano fuori, ma lui davvero non poteva, non poteva lasciare nell’enorme villa tutto da solo il suo adorato soldatino di legno. Non era nulla di speciale a guardarlo, solo un pezzetto di legno intagliato con la forma di un uomo, ma glielo aveva regalato il loro vecchio cocchiere poco dopo la morte della sua mamma, dicendogli che era un simbolo di coraggio e che stringerlo forte avrebbe dato coraggio anche a lui. E Stefano sentiva davvero di aver bisogno di tanto coraggio perché lui non era come Damiano, lui non era il Bambino Coraggio, anzi probabilmente era il Bambino Paura.
“Stefano!” - la voce di suo padre risuonò in tutta la villa e il bambino afferrò veloce il soldatino mettendoselo in tasca e scappando al piano di sotto.
Era domenica, la seconda domenica del mese, il giorno in cui Giuseppe portava lui e Damiano a passeggio per le strade affollate di Firenze.
Appena qualche anno prima avrebbe dato di tutto per poter fare una di quelle passeggiate, adesso non sapeva che pensare. Nella sua immaginazione ad accompagnarli c’era sempre la loro mamma, ma così, solo loro tre, non era bello come aveva sempre desiderato che fosse.
Nonostante questo, però, si accontentava, lui si accontentava sempre. Sapeva che non poteva avere ciò che desiderava e allora prendeva ciò che gli veniva offerto e lo faceva col sorriso, sperando in cuor suo che un giorno quella sua allegria avrebbe contagiato anche suo padre. Damiano gli diceva di non sperarci troppo, ma Stefan era fatto così, lui sperava, sperava che le cose sarebbero migliorate, non riusciva a farne a meno. La speranza gli serviva ad affrontare ogni giorno che gli si presentava davanti.
A volte pensava che era in quello che stava la differenza tra lui e Damiano. Crescendo aveva imparato a capire un po’ suo fratello e non gli era mai sembrato il tipo che si lasciava cullare dalla verde speranza dell’avvento di giorni migliori. Damiano aveva il coraggio di fronteggiare a testa alta tutte le difficili prove a cui veniva sottoposto da quella loro infanzia che non pareva voler riservare loro niente di buono, ma non sperava che quei giorni si sarebbero trasformati in qualcosa di positivo.
Lui, invece, Stefano, era l’esatto opposto eppure si sentiva legato a suo fratello, sentiva che lui era l’unico davvero in grado di prendersi cura di lui, di capirlo. Suo padre era troppo preso dalla gabbia di dolore in cui si era rinchiuso per tentare di comprendere loro due, i suoi stessi figli.
Stefano lo capiva e lo perdonava, lo perdonava con forza, credendoci sia per lui che per Damiano che, invece, non sembrava essere capace di concedere a Giuseppe quel dono così grande.
Come al solito la carrozza lì lasciò su una stradina alberata contornata da ville dalla quale iniziarono la loro passeggiata. Non parlavano mai veramente, almeno non con suo padre. Stefano afferrava la mano che Damiano gli porgeva e camminava accanto a lui, due passi avanti a loro padre che si limitava a dare ordini quando e se qualcosa non gli andava bene.
“L’hai portato?” - chiese Damiano, voltandosi appena a guardarlo.
Stefano aggrottò le sopracciglia, confuso.
“Quel tuo giocattolo..” - spiegò suo fratello.
Stefano allora capì e sorrise, annuendo.
“Oh, il soldatino! Si, l’ho portato anche se me ne vergogno un po’.” - ammise a mezza voce, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe.
“E per cosa? Per aver portato con te un giocattolo? Hai solo cinque anni, Stefano, è normale, va bene!”
Stefano scosse la testa, con forza. I suoi capelli che venivano tirati dolcemente indietro dalla brezza.
“Non è per questo! E’ perchè ho disubbidito a nostro padre, non avrei dovuto, non avrei dovuto..”  - spiegò.
Damiano sospirò pesantemente e si voltò a lanciare appena uno sguardo a Giuseppe, uno sguardo freddo, duro, uno sguardo che stonava con il suo visetto tondo da bambino.
“Non devi seguire sempre le sue regole! A volte sbaglia, sai? Non devi sempre dargli retta! Quel soldatino è importante per te, dovrebbe capirlo da solo e non importi delle sciocchezze simili!”
Stefano lo guardò, ma non seppe cosa dire. Non sapeva mai cosa dire quando Damiano commentava le azioni del loro genitore.
Suo fratello era sempre così duro, così arrabbiato quando parlava di Giuseppe….
“Già! E’ importante per me…” - si limitò a dire solo questo.
“Perché?” - fece, improvvisamente, Damiano.
“Perché, cosa?”
“Perché è così importante quel pezzo di legno? Non è neppure così bello come tutti gli altri tuoi giocattoli!”
Stefano sorrise, intenerito, portando una mano a stringere la tasca in cui teneva il soldatino.
“Mi dà coraggio! E a me serve perché non ne ho!” - disse.
Damiano gli lanciò un’occhiata stranita.
“Certo che ne hai!” - ribattè.
“No. Sei tu quello coraggioso, io ho solo tanta paura…” - rispose Stefano, abbassando la voce.
“Paura di cosa?” - gli chiese allora suo fratello.
“Non lo so! Paura e basta.”
Ed era vero. Stefano non sapeva esattamente qual era la causa della paura che sentiva, ma sapeva solo che quel sentimento c’era, c’era da che lui ricordava. Qualche anno prima lo interpretava come paura di perdere la sua mamma, poi era diventata paura di non riuscire più a smettere di piangere, poi paura di non essere abbastanza per suo fratello Damiano e adesso….adesso non perdeva neanche più tempo a capire che tipo di paura lui sentisse.
Non era una paura semplice da descrivere. Non era paura del buio o dei mostri sotto il letto. Era qualcos’altro ed era infinitamente più spaventoso, qualcosa che sentiva dentro di se, che un giorno forse sarebbe riuscito a definire, ma che in quel momento non aveva ancora un nome.
Quando ne aveva parlato con la sua balia, lei gli aveva risposto che dipendeva dal fatto che, povero lui, non aveva avuto un’infanzia felice. Stefano non sapeva se quella era oppure no la ragione esatta, forse era per quel motivo che ne stava parlando anche con Damiano, perché suo fratello sapeva sempre dargli una giusta risposta.
“Passerà!” - fece Damiano - “La paura intendo, l’inquietudine….passerà, passerà tutto!” - gli strinse maggiormente la mano e Stefano ricambiò la stretta.

Erano trascorsi due giorni dalla loro passeggiata mensile e Damiano continuava a ripensare a ciò che Stefano gli aveva rivelato. Suo fratello a volte lo preoccupava, più passavano gli anni, più si rendeva conto che sua madre aveva avuto ragione a dirgli che il suo fratellino andava protetto, che era diverso da lui.
Stefano era un bambino fragile, troppo buono per riuscire a sopportare tutto ciò che gli era capitato e Giuseppe non aiutava, non capiva, lui non capiva e non aiutava mai.
Era pomeriggio e Damiano era nella sua stanza. Il precettore era appena andato via e lui stava riposando sul suo letto. Rifletteva.
All’improvviso la porta si spalancò e Stefano gli corse incontro come una furia, inginocchiandosi sul suo materasso con gli occhi pieni di lacrime.
Damiano si tirò su a sedere.
“Stefano! Che succede?” - gli chiese.
“Il soldatino! Il soldatino! L’ho perso. Ero fuori in giardino a giocare e mi sono accorto di non averlo più in tasca!” - gli spiegò Stefano allarmato.
“Ma tu sei sicuro di non averlo lasciato nella tua stanza?”
“Certo che si! Ce l’avevo in tasca con me e adesso è sparito!”
Damiano sentì l’urgenza nella voce di suo fratello e ancora una volta risentì le sue parole che gli dicevano che quello stupido giocattolo gli dava forza contro la paura. Decise che non poteva lasciarlo da solo in quel momento.
“Allora andiamo a cercarlo!” - propose e scese dal letto risistemandosi addosso la giacca.
“Ma le domestiche hanno detto che è impossibile, che è come cercare un ago in un pagliaio. Tu sai cosa significa? Perché io non lo so!” - fece Stefano.
“Significa che sarà molto difficile trovarlo. Il soldatino è molto piccolo e il parco è enorme, come un ago perso tra tanti fili di paglia in un pagliaio pieno. E’ difficile, ma noi lo troveremo. Andiamo!”
Damiano gli afferrò la mano e scesero di sotto, in giardino.
Cominciarono insieme la ricerche. Andarono avanti per ore, come se fosse un gioco, una caccia al tesoro, e Stefano smise di piangere e prese a ridere, a correre e a ridere.
La sera calò presto e dovettero rientrare, ma il giorno dopo erano di nuovo lì a cercare ovunque, a giocare insieme come non avevano mai davvero fatto.
Era metà mattinata quando Damiano, passando dietro il roseto vide qualcosa che attirò la sua attenzione e si chinò a vedere: era il soldatino di Stefano.
Afferrò il giocattolo e guardò suo fratello da lontano. Sorrideva, sorrideva dal giorno prima e non aveva smesso un secondo. Pareva che si stesse divertendo, che stesse assaggiando un po’ di quella felicità che non aveva mai davvero avuto, non pensando alla paura di cui invece parlava spesso. E tutto questo semplicemente stando lì, con lui.
Damiano guardò il soldatino e se lo nascose nella tasca interna della giacca.
Quella caccia al tesoro andò avanti per altre due settimane prima che Stefano ritrovasse “misteriosamente” il suo giocattolo. Furono le due settimane più felici di tutta l’infanzia del bambino che smise finalmente di essere il Bambino Paura per imparare ad affiancare suo fratello maggiore nel ruolo di Bambino Coraggio.






                  

NOTE:
Ciao!!! Ok, sono le 23:40, stavolta mi sono superata davvero con il ritardo nel postare, ma ero fuori con una mia amica, cinema e giapponese, quindi capirete sicuramenteXDXDXDXD
Come sempre, ringrazio chiunque abbia letto e/o recensito lo scorso capitolo!!!**
Allora...che dire...il rapporto tra Stefan e Damon sta diventando un pò più definito, almeno spero, e nel frattempo sta cominciando a venire fuori anche il personaggio di Giuseppe che all'inizio ho tenuto da parte di proposito, proprio per dare maggiore spazio a Margherita visto che sarebbe durata poco, purtroppo. Il dolore dell'uomo è inimmaginabile, peccato che lo abbia portato a chiudersi in se e a non capire il dolore dei figli e, se da una parte Stefan è più propenso a capirlo, dall'altra Damon comincia già a provare astio cosa che, come sappiamo tutti, porterà solo le cose a peggiorare.
E poi....l'avete notata l'ultima scena?XD Tratta direttamente da "Se io, se lei" Se io, se lui!". Beh, mi è sembrato giusto metterla visto che nelle storie precedenti mi sono sbizzarita tanto con gli aneddoti adesso mi pareva corretto aggiungere anche quelliXD
Allora....adesso vado...
Vi aspetto per lo spoiler sul blog lunedì 30 luglio mentre per il capitolo...
A giovedì 2 Agosto...BACIONI...IOSNIO90!!!

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Capitolo 5
*** Storie... ***


Storie…

Quel giorno il cielo era uggioso. Un banco di nuvole di un grigio tenue copriva l’azzurro ed impediva ai raggi del sole di filtrare e portare luce.
Damiano e Stefano camminavano fianco a fianco, lungo il pendio della collinetta sulla quale era collocato il piccolo cimitero che ospitava una cappella e le tombe di tutti i loro parenti defunti, compresa quella di Margherita.
La leggera brezza proveniente da nord scompigliava loro i capelli e inebriava le narici dei due fratelli del profumo dei fiori freschi e delle foglie ingiallite dall’autunno che si staccavano dagli alberi e danzavano dolcemente fino a toccare il terreno fresco sotto le loro scarpe.
Damiano amava quelle giornate pregne di malinconia e trovava giusto che in un giorno simile ancora una volta il sole avesse deciso rispettosamente di nascondersi, come ogni anno.
Ne erano passati sette di anni da quando sua madre era scomparsa. Il dolore era sempre lì, ma Damiano credeva di stare imparando a conviverci. Non se ne sarebbe mai andato, non era così sciocco da credere il contrario, e probabilmente sarebbe stato sempre arrabbiato nei confronti di quel destino che l’aveva voluto così infelice, ma riportare indietro l’orologio e cambiare le cose non era fattibile e aveva un bambino di dieci anni a cui badare visto che negli anni Giuseppe non aveva fatto altro che allontanarsi sempre più da lui e da suo fratello. Da lui perché troppo impertinente ed incline ad accusarlo di poco rispetto alla memoria di sua moglie, da Stefano perché era troppo simile a lei e man mano che cresceva lo diventava ogni giorno di più sia nell’aspetto fisico che nel carattere.
Era per questi motivi che suo padre aveva deciso di prendere le distanze ed era per questi stessi motivi che Damiano aveva cominciato a nutrire dentro di se un sentimento simile al disprezzo verso quella figura paterna che si ritrovava. A suo dire, Giuseppe non avrebbe dovuto scappare davanti a Stefano e alla sua rassomiglianza con Margherita, anzi avrebbe dovuto ringraziare il Cielo che esistesse qualcuno che gli ricordasse, nei momenti più bui, che lei era esistita davvero, che non era stata solo un miraggio e che era sempre lì con loro.
Per quanto riguardava lui, Damiano si sentiva pienamente giustificato nei giudizi che dava su suo padre. Ad esempio quel giorno era il settimo anniversario della morte di sua madre e…Giuseppe dov’era? Ovviamente non lì con loro a rendere omaggio.
Non riusciva a capire cosa passasse nella mente e nel cuore di suo padre e a dire il vero aveva anche rinunciato a provarci: Damiano non era il tipo di persona che aveva la pazienza o l’interesse necessario per porsi simili domande a lungo, soprattutto quando si trattava di qualcuno nel quale aveva perso ogni fiducia.
Aveva tredici anni, era un uomo ormai, un piccolo conte e, come già detto, già doveva occuparsi di suo fratello, non poteva perdere tempo anche dietro a suo padre.
“Allora? Quest’anno cosa mi racconti?” - fece Stefano, strattonandogli la manica a sbuffo della giacca.
Damiano non si scompose mentre avanzavano tra le lapidi diretti verso quella sulla quale era inciso il nome di Margherita Landi, contessa di Salvatore.
“Non essere impaziente, Stefano!” - lo rimproverò piuttosto a bassa voce.
Uno dei domestici era con loro, alle loro spalle. Tra le mani teneva un grosso fascio di rose rosse e fragole mature provenienti dalla parte di giardino della loro villa che ai tempi Margherita aveva voluto e curato di persona.
Damiano fece cenno all’uomo di superarli, spolverare la tomba e posarvi la composizione di fiori e frutti, la stessa che portavano ogni anno in quello stesso giorno di inizio Ottobre.
Rimasero in silenzio per un po’. L’uomo che li scortava venne rispedito alla loro carrozza e i due fratelli rimasero soli.
“Ora si può?” - lo incitò ancora Stefano.
Damiano emise un finto sbuffo e ruotò gli occhi al cielo prima di voltarsi a guardarlo. Stefano già si era allontanato di qualche passo e stava prendendo posto all’ombra della grossa quercia che svettava in cima alla collinetta, a qualche metro dalla tomba che vegliavano.
Avevano una sorta di tradizione loro due. Damiano l’aveva cominciata circa cinque anni prima senza neppure rendersene conto quando, a otto anni, si ritrovò a dover spiegare ad uno Stefano di cinque perché mai Giuseppe non li avesse accompagnati al cimitero. Suo fratello iniziò a piangere e allora lui prese a raccontargli una storia, un piccolo aneddoto su Margherita.
Da quella volta, Stefano ogni anno pretendeva un racconto nuovo e Damiano lo accontentava, cogliendo la possibilità di sfogarsi lui stesso. Inoltre vedeva quei piccoli viaggi mentali indietro nel tempo come un buon esercizio per evitare di dimenticare quindi si spremeva le meningi più che volentieri.
Raggiunse suo fratello e gli si sedette di fianco sull’erba secca, stendendo le gambe davanti a se e appoggiando la schiena e la testa contro il tronco dell’albero alle sue spalle. Stefano, invece, aveva incrociato le gambe, si era voltato completamente verso di lui e aveva i gomiti puntellati sulle ginocchia in modo da poter poggiare la testa sulle mani strette a pugno sotto il mento delicato.
Damiano lo studiò per qualche attimo: con i capelli neri e gli occhi di quel verde brillante che incorniciavano quei tratti gentili e asessuati ancora da bambino, Stefano era davvero il ritratto di sua madre.
“Ti ho mai raccontato del perché mi piacciono tanto le fragole?” - fece.
Stefano scosse la testa.
“No, non l’hai mai fatto…” - rispose.
“Allora ascolta…”

                                                                                                                         …10 anni prima…
Aveva tre anni e stava correndo. Anzi, non stava correndo, Damiano stava letteralmente scappando, scappando via dalle cucine e dalla balia che si ostinava a ripetergli che al pomeriggio era salutare per i bambini mangiare della buona frutta fresca.
Damiano su questo non aveva nulla da obiettare. Ciò che non riusciva a capire era perché tutti quanti si ostinassero a volergli far magiare per forza cose rosse.
Qualche mese prima aveva chiesto ad un allevatore che consegnava la carne alla villa perché sembrava che avesse sempre le mani sporche di tinta rossa simile a quella che una volta aveva visto usare ad un pittore che aveva fatto un ritratto di sua madre su commissione di suo padre. L’allevatore si era fatto una bella risata e gli aveva risposto che quello che aveva sulle mani non era tinta, ma sangue, il sangue che colava dalla carne che mangiavano.
Damiano non aveva pianto, non era un bambino impressionabile, ma era rimasto così disgustato dalla cosa che aveva deciso che non avrebbe avuto più niente a che fare con nulla che fosse rosso, soprattutto se si trattava di cibo.
Non era un bambino impressionabile, ma era molto testardo.
Prese a rifiutare la carne, a non vestire più di rosso, portava avanti una fiera crociata contro i pomodori e adesso aveva preso ad odiare anche quel nuovo frutto che chiamavano fragola e a cui sua madre sembrava essersi appassionata.
La balia voleva dargli proprio delle fragole, un bel piattone grosso per giunta. Lui non poteva accettarlo quindi scappava.
Sua madre lo bloccò sulla soglia di casa e Damiano si rifugiò tra le sue braccia. La povera donna che gli era corsa dietro venne congedata e rimandata in cucina e sua madre gli chiese di raccontargli per filo e per segno cosa fosse successo.
Le disse della merenda e delle fragole e allora lei rise.
“In proposito a questo, ho una sorpresa per te!” - gli sussurrò.
Damiano allora la seguì in giardino, fino ad un angolino dove i giardinieri si stavano dando da fare per trapiantare grossi cespugli carichi di…fragole.
Tentò di nuovo la fuga, ma sua madre lo riacciuffò e se lo tenne stretto.
“Questa sorpresa non mi piace!” - si lamentò - “Io odio le fragole!”
Margherita gli rivolse un sorriso.
“Davvero non capisco come tu possa odiarle se neppure le hai mai assaggiate!” - obiettò bonariamente.
Damiano non seppe cosa rispondere e quando sua madre gli prese una mano si lasciò trascinare con poca convinzione accanto ad uno dei cespugli.
Margherita staccò una grossa fragola rossa e se la rigirò tra le mani per poi porgergliela.
Damiano scosse la testa.
“Annusala!” - lo incitò lei.
Il bambino, ancora poco convinto, ma incapace di dire di no a sua madre, sporse in avanti la testa ed inspirò a pieni polmoni il profumo emanato dal frutto che, nel mentre, era stato aperto a metà da Margherita in modo che l’odore fosse ancora più pronunciato.
Cercò di trattenersi, per orgoglio almeno, ma alla fine un sorriso gli si dipinse sul volto: quel frutto aveva il profumo più buono che avesse mai sentito.
“Adesso questa fragola non ti sembra buonissima nonostante sia rossa?” - fece sua madre.
Damiano annuì:“Si!”
“Quindi la smetterai di fare il testardo e di tenerti lontano da qualsiasi cosa sia rossa solo perché hai scoperto che ti disgusta la vista del sangue?”
Damiano annuì ancora.
“Perché non trovi che sarebbe un vero peccato se per orgoglio ti precludessi la possibilità di poter sentire un profumo simile o addirittura di poterne gustare il sapore?”
Per la terza volta, Damiano annuì.

“E da quel giorno le fragole sono diventate il mio frutto preferito…”-  finì Damiano.
Stefano gli sorrise, un sorriso luminoso che contagiò anche gli occhi.
“Quindi il sangue ti fa paura?” - fece all’improvviso, curioso.
Damiano si accigliò.
“Non direi che mi fa paura. E’ che mi disgusta solo a guardarlo, si!” - rispose - “A te non disgusta?”
Stefano scosse la testa.
“Non ci ho mai pensato, però…no, non credo. Un volta mi sono sbucciato un ginocchio e con un dito ne ho assaggiato un po’. Sa di ferro arrugginito, ma non mi è venuto mal di stomaco…” - fece.
“A me sarebbe venuto di certo, invece. Credimi! Decisamente meglio le fragole!”

Stefano amava quei momenti, i momenti in cui suo fratello, con gli occhi persi oltre l’orizzonte e la mente che vagava nei ricordi, gli raccontava di quando sua madre era ancora viva.
Amava quei momenti perché lo aiutavano a non dimenticare, perché lui aveva davvero tanta paura di dimenticarsi di lei.
Qualche anno prima, infatti, gli sembrava che ricordare i pochi momenti trascorsi con sua madre fosse molto più facile di quanto non lo fosse in quel momento. Aveva l’impressione che più cresceva più dimenticava le poche conversazioni e i pochi momenti che aveva potuto trascorrere serenamente tra le braccia di Margherita.
Non lo aveva mai detto a Damiano, non gli aveva mai confessato quel suo timore, ma credeva che in fondo non ce n’era neppure bisogno perché suo fratello, anche inconsciamente, lo sapeva già e per quel motivo lo accontentava con quella loro piccola tradizione annuale.
“Sai, Damiano? Ci ho pensato e anch’io ho un racconto questa volta…” - fece, interrompendo il silenzio tranquillo e rilassato che si era creato dopo la storia di suo fratello.
Si era messo disteso a pancia in giù sull’erba e stava giocando con una piccola pigna caduta da chissà dove e rotolata fino a lui mentre Damiano, con gli occhi al cielo, fissava i grossi nuvoloni sopra le loro teste.
“Davvero? E’ una novità! Di solito sono sempre io quello che racconta.”
“Lo so, ma adesso che sono grande ho pensato che è giusto se anch’io ti racconto qualcosa di tanto in tanto…” - rispose Stefano.
“Tu non sei grande, sei un bambino.” - obiettò Damiano.
“Tu non sei molto più grande di me.”
Damiano si voltò a guardarlo con una strana espressione neutra, come se stesse pensando a tutto e a niente, insieme.
Stefano si chiese cosa significava quello sguardo, ma non domandò nulla a suo fratello, nessuna spiegazione, perché in cuor suo sapeva che probabilmente una vera spiegazione non l’avrebbe avuta come spesso capitava in altre situazioni simili.
“Va, racconta la tua storia…” - fece Damiano, tornando di nuovo all’argomento originale e catturando totalmente la sua attenzione.
Stefano sorrise ed annuì.
                                                                                                                                     
                                                                                                                       …8 anni prima…
A soli due anni era quasi normale che un bambino avesse paura di restare da solo la notte. C’era un mostro nell’armadio, ce n’era un altro sotto il letto, un altro ancora era nascosto dietro le spesse tende di velluto pregiato e poi c’era il buio, c’era il silenzio, c’erano le ombre e gli scricchiolii. Era per questo che nessuno prendeva mai sul serio i capricci che il piccolo Stefano faceva ogni volta che doveva andare a letto e lui era ancora troppo piccolo per riuscire ad esprimere bene a parole ciò che in realtà gli succedeva.
Non era il buio a fargli paura e di certo non erano i mostri, ciò che lo spaventava erano le brutte cose che accadevano dietro le sue palpebre chiuse ogni volta che si addormentava.
Erano gli incubi il vero problema.
Aveva provato a spiegarlo, incespicando ad ogni singola parola. L’aveva detto alla balia, a suo padre, ma nessuno sembrava dargli retta. Nonostante questo, però, Stefano non piangeva e non se la prendeva troppo perché era ovvio che tutti dovessero occuparsi della sua mamma malata piuttosto che di lui.
Una notte l’incubo fu più brutto dei precedenti. Aveva sognato una grossa mano tutta nera e fumosa che si abbatteva sulla loro villa e schiacciava tutto, portando con se la sua mamma, lanciando via Damiano e suo padre e lasciandolo da solo.
Una volta sveglio si guardò intorno con gli occhi lucidi e, sentendosi oppresso dall’oscurità della stanza, scese dal suo letto e prese a vagare per la villa cercando qualcuno che potesse fargli compagnia.
Percorse il grande corridoio due volte prima che la porta della camera dove sua madre trascorreva la sua convalescenza sia aprisse e lei stessa ne venisse fuori, allarmata a causa dei rumori di passi che aveva sentito.
Stefano le corse incontro, sentendosi anche un po’ in colpa per averla fatta alzare dal suo letto. Da che aveva memoria, infatti, tutti non facevano che ripetergli che sua madre non andava disturbata, che doveva riposare per potersi rimettere in forze.
“Piccolino! Cosa succede?” - sua madre si abbassò e lo accolse tra le sua braccia, sulla soglia della camera - “Hai fatto un brutto sogno?” - gli chiese.
Stefano annuì, cercando di trattenere le lacrime che quella volta forzavano più del solito per uscire.
Lei gli sorrise, lo prese in braccio e lo portò con se nel suo letto, lasciando che le si accoccolasse di fianco.
“Anche io faccio spesso dei brutti sogni, sai? Sogno di allontanarmi da voi, ma non voglio…” - fece lei - “Se vuoi posso raccontarti una storia che raccontavo a Damiano e che adesso racconto a me stessa per darmi coraggio.”
Stefano si strofinò gli occhi con le due mani chiuse a pugno e la guardò.
“Quale storia?” - chiese.
“Parla di una principessa che viene rapita da un drago e di un principe che vuole salvarla. Ti va di ascoltarla?”
Stefano annuì, sorridendo.
Per le due notti successive sua madre tornò a raccontargli la stessa storia fino a che lui non riuscì ad impararla. Quando riuscì a ricordarla da solo prese a pensare a quella storia ogni volta che lo mettevano a letto e, senza neppure rendersene conto, smise di fare incubi e cominciò solo a sognare di scintillanti armature, posti lontani ed incantati e bellissime principesse dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri come il mare.

Damiano sorrise.
“La ricordo quella storia! Non sapevo che la conoscessi anche tu! Io gli ho cambiato il finale.” - fece.
“Lo so. La mamma me lo disse. Anch’io ho cambiato un po’ la fine…” - rispose Stefano.
“Sei tornato alla teoria del principe che salva la principessa e uccide il drago cattivo?” - gli chiese suo fratello.
“No! Ho tenuto la tua versione con il drago che si rivela buono e la principessa che diventa sua amica, però ci ho aggiunto anche il principe con loro così possono essere felici tutti e tre!” - spiegò Stefano.
“Tu vuoi sempre vedere tutti felici, vero?” - fece Damiano.
Stefano si illuminò e sorrise, scrollando le spalle: “Certo! Se tutti sono felici è più bello, no?”

Stefano si era addormentato in carrozza. Era stata una giornata stancante quindi, di rientro alla villa, Damiano aveva dato disposizioni affinchè nessuno lo svegliasse e uno dei domestici lo prendesse in braccio e lo portasse direttamente nel suo letto.
Mentre guardava suo fratello ripensò ad un breve scambio di battute che avevano avuto durante il giorno. Lui gli aveva detto che era ancora un bambino e Stefano aveva ribattuto che neppure lui era così grande. Lì per lì Damiano non aveva ribattuto perché sarebbe stato un discorso troppo difficile da far capire a suo fratello, quello circa le responsabilità che si era assunto sin da piccolo - responsabilità che dovevano essere di suo padre e non sue - solo affinchè lui non dovesse avere pensieri e potesse vivere sereno la sua infanzia.
Si illudeva. Sapeva che Stefano in realtà non era per niente sereno perché nessun bambino costretto a vivere col dolore che gravava loro sul cuore avrebbe potuto essere davvero tranquillo, ma gli piaceva pensare che grazie ai suoi sforzi suo fratello riuscisse almeno a costruirsi qualche vago ricordo felice visto che non poteva vantare i suoi stessi anni di felicità con Margherita ancora in salute.
La casa era silenziosa. Il sole era tramontato da qualche ora ormai e lui stava letteralmente morendo dalla fame. Mentre metteva piede nell’atrio all’ingresso sperò che suo padre almeno avesse fatto preparare una cena gustosa.
Si sfilò i guanti e la mantella che lo proteggeva dal freddo ed incontrò proprio suo padre che scendeva la scalinata dal piano superiore. Giuseppe era molto elegante quella sera e i guanti, invece di toglierli, li stava indossando.
“Siamo tornati…”- mugugnò Damiano.
“Lo vedo! Stefano?” - chiese suo padre.
“Si è addormentato. Era stanco e l’ho fatto mettere a letto. Non ha cenato, però.”
“Dai disposizioni affinchè tengano le sue porzioni in caldo nel caso si svegliasse tra qualche ora altrimenti domattina assicurati che faccia una colazione più abbondante del solito che compensi il pasto saltato.” - rispose, pratico e sbrigativo, Giuseppe.
“Signor conte? La sua carrozza è pronta.” - interruppe uno dei cocchieri.
“Passeremo prima a villa Curati, dà altra acqua ai cavalli mentre ti raggiungo.” - fece Giuseppe.
L’altro uomo prese congedo e fece come gli era stato ordinato.
Damiano guardava suo padre con un cipiglio perplesso e per niente amichevole.
“Dove stai andando, se mi è permesso chiederlo?”
“C’è un ricevimento importante a cui non posso mancare stasera. Si tiene alla villa del marchese Della Torre.” - spiegò Giuseppe.
“E perché passi prima a villa Curati?”
Giuseppe non si voltò neppure a guardarlo. Si risistemò la giacca, indossò la sua mantella e marciò verso la porta mentre gli rispondeva: “La contessa Bianca Curati sarà la mia dama, stasera!”
Fu in quel giorno, nel giorno del settimo anniversario della morte di Margherita, che il disprezzo di Damiano per suo padre si trasformò in vero e profondo odio.





NOTE:
Ciao a tutti!!!! E Buon inzio agosto, eh!XD
Come vanno le vostre vacanze? Io inizio sabato, quindi appena torno poi vi dirò!!!
Allora....come vi avevo già preannunciato sul blog questo è un capitolo un pò malinconio e fatto di flashback. Mentre scrivevo ho pensato che forse il fatto di ritornare sempre sulla morte di Margherita potrebbe risultarvi noioso, ma io sono convinta che sia proprio questa esperienza ad aver segnato più di ogni altra cosa i due fratelli. Inoltre teniamo presente il rapporto quasi simbiotico che Damon aveva con lei e il desiderio di un rapporto simile che Stefan avrebbe voluto altrettanto avere con sua madre, ma non ha potuto. Ecco, provando a calarmi nei loro panni, ho pensato che probabilmente anch'io mi sarei portata dietro quel dolore per il resto della mia vita così come stanno facendo loro.
Inoltre è questo dolore che sta contribuendo ad unirli sempre di più, il dolore e l'indifferenza di Giuseppe, certo.
Ormai gli stessi Stefan e Damon, seppure ragazzini, hanno stretto davvero un rapporto a loro volta simbiotico tra loro e sono questi piccoli momenti tra fratelli che lo dimostrano o almeno spero lo facciano. Più cresceranno, però, più le cose cambieranno, soprattutto per via di Giuseppe.
Al momento - non so se l'avete notato - mi sto concentrando molto soprattutto sulla visione che Damon ha di suo padre e non sulla visione che ne ha Stefan e a lungo andare, quando anche Stefan sarà chiamato a dire la sua, allora cominceranno i problemi e le in comprensioni, ma questo lo spiegherò meglio più in là nella storia.
Adesso vi lascio** Grazie mille a tutti coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo**
Vi aspetto lunedì 13 agosto sul mio blog per lo spoiler mentre per il prossimo capitolo...
A giovedì 16 agosto...BACIONI...IOSNIO90!!!

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Capitolo 6
*** Ghiaccio ***


Ghiaccio

All’ennesimo sbadiglio di suo fratello, Stefano non riuscì a trattenere un sorriso. Non era educato comportarsi in quel modo nel bel mezzo della sua prima lezione con il nuovo precettore, Stefano lo sapeva e aveva cercato di comunicarlo anche a Damiano lanciandogli occhiate di traverso ogni volta che accennava ad uno sbuffo o a qualsiasi altro gesto che mettesse in chiara luce quanto fosse annoiato, ma dopo quattro ore di ininterrotti discorsi sull’economia fiorentina persino lui aveva cominciato a spazientirsi e a stancarsi.
L’uomo che faceva avanti e indietro davanti all’enorme tavolo in legno di noce dietro al quale erano seduti, però, sembrava troppo preso dal suo infinito discorso per accorgersi dello scorrere lento del tempo e del fatto che avesse perso la loro attenzione già un’ora e mezza prima.
Si chiamava Rodolfo Montanelli. Non troppo alto - raggiungeva al massimo il metro e settanta d’altezza -, era un uomo sui quarant’anni con folti capelli scuri e un viso grassoccio che bene si abbinava al corpo visibilmente appesantito dagli anni, dalla fatica e da qualche coscia di pollo di troppo. Era un erudito, tra i più rinomati di Firenze, per quel motivo suo padre lo aveva voluto a servizio nella loro casa non appena Damiano aveva raggiunto l’età adatta per cominciare ad essere istruito agli affari di famiglia. Era già da un anno infatti che Damiano vedeva settimanalmente quell’uomo per le sue lezioni private mentre Stefano ancora restava affidato alle cure della balia e del suo vecchio precettore che gli aveva insegnato le basi delle varie discipline e sport che i giovani nobili dovevano conoscere e praticare secondo l’etichetta.
Quel giorno, però, sebbene avesse solo tredici anni, suo padre gli aveva comunicato che avrebbe cominciato a seguire le stesse lezioni di suo fratello: Basta precettori diversi.
In un primo momento si era ritrovato ad essere un po’ confuso dalla cosa, ma Damiano, una volta rimasti soli, ci aveva riso su e svogliatamente gli aveva confidato la sua teoria secondo la quale Giuseppe probabilmente si era finalmente reso conto di non essere esattamente la persona preferita di suo figlio maggiore che, nonostante avesse ormai sedici anni, non era per niente interessato a riconoscere la sua autorità di padre o a fare come gli veniva detto, quindi aveva pensato di raddoppiare la posta e puntare anche sul suo secondo figlio geneticamente più incline  al compromesso, alla bontà d’animo e all’infinita pazienza che serviva per vivere in quella casa.
Stefano aveva cercato di ribattere, ma mentre ci pensava si era reso conto che in fondo, vista la situazione tra suo padre e suo fratello, forse Damiano non aveva poi così torto come lui voleva credere.
Stefano non giustificava suo padre, capiva Damiano e capiva anche il perché di tanto astio. Con il passare degli anni suo fratello, infatti, aveva cominciato a considerarlo sempre più come un suo pari, un amico, più che come il bambino che si era sempre sentito in dovere di proteggere in passato e di conseguenza aveva cominciato anche a sbottonarsi su determinati argomenti quando lui gli faceva una domanda in proposito, benchè si trattasse di questioni spinose.
In quel modo Stefano era venuto a conoscenza di molti fatti riguardanti suo padre che prima non conosceva e, se negli anni precedenti aveva fatto praticamente di tutto per far si che tra Damiano e Giuseppe le cose migliorassero, adesso aveva deciso di allentare la corda e non intromettersi più di tanto.
Questo però non significava che odiava suo padre.
Era consapevole del fatto che Damiano si, odiava davvero Giuseppe, ma lui non ci riusciva e poco importava ciò che faceva o aveva fatto perché in fondo restava sempre suo padre, l’unico genitore che gli era rimasto e l’unico con il quale, in fin dei conti, aveva avuto davvero l’opportunità di vivere e costruire un rapporto dato che sua madre gli era stata strappata quando lui era troppo piccolo anche solo per pensare di farlo.
Suo fratello non lo capiva e spesso avevano discusso per via di questo loro distinto modo di vedere le cose. Alla fine erano giunti alla conclusione che meno ne parlavano meglio era, ma questo, agli occhi di Stefano, aveva messo in luce quanto più passavano gli anni più, nonostante tenessero incredibilmente l’uno all’altro, la differenza caratteriale tra lui e Damiano cresceva e Stefano questa diversità un po’ la temeva perché sentiva che avrebbe potuto portare soltanto a due risoluzioni: li avrebbe divisi per sempre oppure li avrebbe uniti più che mai, fino alla fine. Tutto stava nel come loro due avrebbero affrontato e gestito la cosa.
“Arrivati a questo punto…avete delle domande da pormi?” - il signor Montanelli si bloccò al centro della stanza e pose fine al suo discorso con quella domanda.
Stefano si ritrovò a sperare che non cominciasse lui a fare domande su ciò che aveva appena detto perché non ne ricordava una parola, forse giusto solo l’inizio, poi si era perso.
Damiano, seduto di fronte a lui, lasciò cadere sul tavolo la penna d’oca con la quale stava giocando passandosela e ripassandosela tra le dita per potersi voltare a guardare il loro precettore con un sorriso talmente innocente che solo chi lo conosceva bene - in quel caso, solo Stefano - poteva scorgere il filo invisibile di furbizia che si celava dietro i suoi occhi e l’arricciatura delle labbra.
Stefano lo vide alzare educatamente una mano e scosse la testa, preparandosi al peggio.
Il signor Montanelli si risistemò una ciocca di capelli fuori posto e gli fece cenno di parlare.
“Hai una domanda, Damiano?” - chiese.
Damiano annuì: “Si, ce l’ho!” - fece - “Vorrei sapere se finalmente possiamo andarcene o dobbiamo rimanere ancora qui dentro a lasciarci annoiare da lei e le sue storielle…”
Appunto! Stefano calò il capo, in imbarazzo per Damiano, e si portò una mano alla fronte.
Il viso del signor Montanelli divenne dello stesso viola acceso del mantello che riafferrò da una sedia per buttarselo in fretta sulla spalle, all’apice della sua indignazione.
“Questo è troppo! Ed io che credevo che con suo fratello qui…aah! Il conte saprà! Il conte saprà!” - strepitò tanto forte che alcuni domestici accorsero per accertarsi di cosa stesse succedendo, ma non ebbero neppure il tempo di arrivare che vennero travolti dall’uomo e dai suoi libri che lasciavano la villa a passo di marcia.
Damiano lasciò la sua sedia e gli corse dietro fino alla porta della stanza, in modo che l’uomo potesse sentirlo mentre gridava: “Ci conto! Gli racconti tutto, se non lo fa lei, lo faccio io!”
Un tonfo proveniente dalla porta d’ingresso e la prima lezione di Stefano sul mondo della finanza finì.
“Sei stato irrispettoso, Damiano!” - fece, fissando gli occhi verdi sul fratello.
“Oh andiamo, Stefano! Come se non stesse annoiando terribilmente anche te! Ho fatto un favore ad entrambi!” - gli rispose Damiano.
“Va bene, ammetto che non è esattamente un insegnante a cui importa rendere la sua lezione più leggera in modo da mantenere l’attenzione dei suoi studenti, ma ormai siamo cresciuti e l’hai sentito nostro padre, dobbiamo cominciare ad interessarci agli affari della nostra famiglia, non possiamo restare bambini per sempre!” - disse Stefano con un sospiro.
“Il tuo discorso non farebbe una piega se non fosse per il fatto che io e te, Stefano, non siamo mai stati veramente dei bambini! Tu ancora meno di me! Quindi mi dispiace moltissimo, guarda, se nostro padre non lo capisce, ma fino ad adesso non si è mai interessato molto della nostra vita ed io non capisco perché noi dovremmo prendere alla lettera tutto ciò che dice! Adesso vuole che seguiamo le sue orme e diventiamo come lui, ma non credo si sia mai chiesto se è quello che noi vogliamo fare davvero. E se volessimo fare altro? Allontanarci dagli affari di famiglia e diventare…che ne so…medici, ad esempio?” - ribattè Damiano, facendosi serio.
Stefano aggrottò la fronte.
“Vuoi diventare un medico?” - chiese, ingenuamente.
“Non lo so, Stefano, non lo so!” - gli rispose suo fratello - “L’unica cosa che so è che non voglio diventare come Giuseppe Salvatore! Per nulla al mondo seguirò le sue orme!”

La notizia gli era arrivata nel tardo pomeriggio tramite un biglietto consegnato a mano dal cocchiere personale di suo padre. Ciò che c’era scritto in quel biglietto lo avevo lasciato leggermente spiazzato all’inizio, ma Damiano non era il tipo che si lasciava sorprendere spesso o troppo a lungo quindi aveva scosso la testa e aveva provato a pensare alle possibili idee che erano passate per la testa di suo padre prima di decidere che era ragionevole portarlo con se durante una delle sue feste galanti tra nobili banchieri fiorentini.
Non poteva trattarsi di una questione d’età. Lui ormai aveva sedici anni e a quelle feste avrebbe dovuto essere ammesso già da qualche anno, cosa che suo padre non aveva mai voluto a causa della sua indole turbolenta, come gli piaceva dire ai suoi conoscenti per vantarsi di sapere perfettamente come fare a tenerlo a freno. E Damiano non credeva neppure che si trattasse di una questione di improvviso amore paterno nato dalla voglia irrefrenabile di trascorrere più tempo con lui e recuperare il loro rapporto. Giuseppe non era così. Se lui era orgoglioso, allora suo padre lo era infinitamente di più e non si sarebbe mai abbassato a calare la testa per primo davanti ad un figlio che non aveva voluto costruire nessun tipo di rapporto con lui, almeno a detta di Giuseppe.
La verità, però, la conosceva solo Damiano e se la teneva ben stretta nel suo cuore visto che sapeva che farla uscire non avrebbe portato a niente se non, forse, ad una sonora risata da parte del suo genitore.
Lui non aveva voluto tutto quell’astio e tutto quel disprezzo, nonostante fin da bambino avesse sempre trovato difficoltoso aprirsi con suo padre così come faceva con sua madre, Damiano non aveva mai voluto che i rapporti si deteriorassero fino a quel punto.
Insomma, quale ragazzino della sua età lo avrebbe voluto?
Lui forse era anche fin troppo irremovibile, ma suo padre non si era mai sforzato neppure di capirlo. Si era semplicemente chiuso a qualsiasi tipo di legame sia con lui che con Stefano ed era diventato più simile ad un comandante d’esercito che ad un padre vero. E se da una parte aveva trovato vita semplice con Stefano ed il suo cuore buono, purtroppo per lui Damiano non era dello stesso avviso.
All’inizio si era anche sforzato di capire il dolore che suo padre probabilmente avvertiva per la morte di Margherita, ma più passavano gli anni, più Giuseppe aveva davvero fatto di tutto pur di dimenticarsi completamente di lei e di fare in modo che anche loro due dimenticassero.
Forse credeva che così sarebbe stato più semplice andare avanti, ma Damiano pensava che al contrario questo comportamento peggiorava solo le cose.
Lo ripeteva sempre a Stefano: non dovevano dimenticare, ma piuttosto ricordare ogni singolo momento trascorso con Margherita e fare di quei momenti un faro di speranza nelle situazione più drammatiche e buie.
Damiano viveva per questo, per ricordare. Si rendeva conto che probabilmente con tutto il sarcasmo e il cinismo che utilizzava ogni giorno non stava crescendo come l’angioletto che sua madre avrebbe voluto che fosse, ma si stava sforzando per far si che almeno Stefano crescesse seguendo la retta via.
Aveva promesso di proteggere suo fratello e lui non dimenticava mai una promessa.
Cercava di evitargli ogni delusione, cercava di evitare che un qualsivoglia sentimento negativo si annidasse dentro di lui. Faceva del suo meglio e, anche se era davvero triste pensare che la prima persona dalla quale doveva proteggere Stefano credeva che fosse proprio suo padre, non poteva fare a meno di guardare suo padre, guardare i suoi atteggiamenti ed immaginare quanto danno avrebbe potuto causare all’animo candido di Stefano se solo si fosse insinuato troppo nella sua vita.
Lui era un combattente, Giuseppe era il nemico e la salvezza di Stefano era la posta in gioco: vederla così forse rasentava il melodramma, ma lo aiutava a razionalizzare tutto, anche il lieve senso di colpa che provava quando dichiarava chiaramente di odiare l’uomo che gli aveva dato la vita.
A conti fatti, quindi, non potendosi tirare indietro in nessun modo, fece un lungo bagno, si vestì e acconciò i capelli secondo la moda maschile del momento, pronto per partecipare a quella sua prima festa importante alla quale non sapeva neppure perché ci andava o perché suo padre voleva portarlo.
La carrozza arrivò puntuale all’ora che gli era stata riferita. Suo padre passò in casa giusto qualche minuto per potersi cambiare d’abito e poi gli fece cenno di seguirlo.
Damiano salutò Stefano, confuso almeno quanto lui, lasciandogli un bacio sulla fronte e raccomandandosi di andarsene a letto presto, subito dopo cena e senza storie.
Stefano gli ricordò che non era più un bambino e che sapeva cosa fare e poi lo lasciò libero di andare.
Raggiunse suo padre e, senza una sola parola, la carrozza partì avvolta dal buio freddo di quella sera di inizio febbraio.
Restarono in silenzio per parecchio tempo e solo quando i cavalli cominciarono a calpestare la dura pietra della strade di Firenze Damiano si decise a porgere la domanda che si faceva da tutta la sera.
“Perché mi avete portato con voi questa sera?” - chiese, sfacciatamente, guardando suo padre dritto negli occhi, come era solito fare.
“Hai l’età giusta ormai…” - si sentì rispondere, ma Damiano non se la bevve e rise.
“Avevo l’età giusta già tre anni fa. E, anzi, se è una questione d’età allora anche Stefano adesso ha l’età giusta eppure non lo avete portato.” - fece Damiano.
Giuseppe alzò gli occhi al cielo, quasi sbuffando, con irritazione.
“Lo faccio per te, Damiano, sarebbe umiliante presentarti adesso, a sedici anni, accompagnato dal tuo fratellino di tredici. Gli altri invitati penserebbero che tu abbia qualche problema comportamentale o di apprendimento che mi ha impedito di presentarti in pubblico all’età adatta.”
Damiano lo fissò, con un sopracciglio alzato in segno di scetticismo puro e la bocca piegata in un sorriso di sfida.
Adesso pensava pure alla sua reputazione, certo…
“E non è esattamente la stessa cosa che penseranno adesso, con o senza Stefano? E non è esattamente la stessa cosa che penseranno di lui quando poi lo presenterete?” - ribattè - “Avreste dovuto portarlo! Io posso anche gestirla tranquillamente un’umiliazione, lui no!”
“Non ci saranno umiliazioni di sorta!” - lo interruppe Giuseppe - “Penseranno semplicemente che siamo una famiglia un po’ chiusa e che abbiamo preferito aspettare…di nostra propria scelta! Questa sarà la mia versione dei fatti e questa sarà anche la tua. Senza discutere, Damiano!”
Il ragazzo sorrise ancora e alzò le mani in segno di resa.
“Se me lo chiederanno, dirò quello che volete, ma…giusto per curiosità personale…esattamente perché non mi avete presentato quando avevo l’età adatta invece di aspettare?”
“Perché tu hai davvero dei problemi comportamentali, Damiano! Ma questo non significa che voglio che qualcun altro lo sappia fatta eccezione per la nostra famiglia.”
Damiano annuì.
Certo che era davvero uno stupido a porgere certe domande! Lui aveva problemi comportamentali, problemi di disciplina, probabilmente era pure pazzo perché fin da bambino sapeva ragionare con la sua testa! Suo padre aveva davvero ragione, ovviamente.
Scosse la testa e si zittì, lasciando vagare lo sguardo oltre il finestrino della carrozza fino a che l’andatura del veicolo rallentò e poi si fermò davanti all’ingresso di un’imponente palazzo nei pressi del centro della città.
Il cocchiere gli aprì la porta e aspettò che lui e suo padre scendessero prima di fare un lieve inchino e portare via i cavalli e la carrozza.
Giuseppe prese a lanciare occhiate di saluto agli uomini che arrivavano a frotte e Damiano si limitò a seguirlo tenendo sempre il mento alto e gli occhi a guardarsi bene intorno.
Il palazzo in cui erano ospiti apparteneva alla famiglia del marchese Carpin, un veneziano trasferitosi a Firenze per affari circa un paio d’anni prima. Era un lungo sontuoso, pieno di grosse statue e affreschi. Si respirava lusso e regalità ad ogni boccata d’ossigeno.
Con grande sorpresa di Damiano, quella che era stata organizzata quella sera non era una festa danzante e non erano ammesse donne. Era più una sorta di ritrovo di uomini impegnati nell’economia fiorentina che probabilmente avevano discusso di denaro tutto il giorno e che avrebbero continuato a discutere di denaro anche tutta la sera.
Era così…noioso e a tratti anche patetico. Si, era davvero patetico che la prima festa a cui suo padre lo trascinava era una festa per soli uomini.
Lui, ragazzo di sedici anni che stava appena imparando a vedere le donne sotto una nuova luce e a considerarle molto più che semplici prede dei suoi scherzi infantili, quasi si sentiva offeso nell’orgoglio.
Se gli era passato per la mente che avrebbe potuto far trascorrere in fretta la serata restando a dire grazie ai complimenti che avrebbe ricevuto dalla probabili dame presenti, ogni sua aspettativa era stata tremendamente delusa e la serata aveva preso a prospettarsi tremendamente lunga e difficile da digerire senza alcun diversivo che gli tenesse occupata la mente.
Prese un bel respiro e trascorse la prima mezz’ora stringendo mani e ascoltando suo padre mentre lo presentava ai vari ospiti cercando di metterci persino un pizzico d’orgoglio per lui nella voce.
Tutta finzione, Damiano lo sapeva, quindi fu ben felice di allontanarsi non appena le presentazioni finirono e suo padre si gettò a capofitto in una conversazione sulle nuove politiche di risparmio delle banche.
Vagò per la sala, mangiò qualcosa e finse addirittura di appassionarsi alla vista di uno dei tanti quadri del palazzo. Scambiò due parole con un anziano uomo e poi non potè non dire la sua quando ascoltò due ragazzi, anche loro figli di nobili, lamentarsi per l’assenza di musica e dame.
Era da solo, sul terrazzo che dava sul giardino interno, quando ascoltò per sbaglio uno strascico di conversazione tra due ospiti. Parlavano di suo padre, della morte di sua madre, di lui e di Stefano e di quanto trovassero vergognoso il comportamento che Giuseppe aveva tenuto negli anni e continuava a tenere ogni volta che qualche vecchio conoscente si lasciava sfuggire qualche buona parola per Margherita. Nessuna l’aveva dimenticata…tranne il marito.
Dicevano questo e Damiano in un primo momento si trovò perfettamente d’accordo con loro, ma poi ripensò alle parole che spesso Stefano gli aveva ripetuto - che Giuseppe era quello che era, ma restava comunque loro padre - e allora sospirò e andò da suo padre per riferirgli dell’accaduto.
Se esisteva una sola cosa al mondo sulla quale concordava con Giuseppe era la sua teoria secondo la quale i panni sporchi si lavavano in casa, senza che nessun estraneo ci mettesse bocca.
Richiamò l’attenzione di suo padre e con una scusa lo trascinò in disparte.
Gli raccontò ciò che aveva sentito, sperando ingenuamente si smuovergli qualcosa, ma l’unica reazione che ottenne fu una sonora risata di scherno.
Damiano si stranì e fece un passo indietro.
“Ti avevo detto di tenere le tue opinioni per te, Damiano! E’ oltraggioso il tuo comportamento, te ne rendi conto? Stasera ho voluto darti un’ occasione, ma tu l’hai sprecata come al solito con i tuoi vaneggiamenti!” - si sentì dire.
I suoi vaneggiamenti? Ma lo prendeva in giro?
“Ti comporti come un bambino! Tua madre è morta, ma se potesse si rivolterebbe nella tomba per via del tuo atteggiamento irrispettoso nei miei confronti e nei confronti dei sacrifici che faccio per farti avere una vita felice nonostante tutto. Ti sto offrendo un futuro, dei programmi, dei piani, ti ho portato qui stasera  per inserirti nel mio mondo, per darti la possibilità di crearti un futuro che altrimenti da solo non saresti mai in grado di mettere su e a te non interessa. Insulti me e le persone qui presenti senza il minimo ritegno! Se tua madre potesse tornare per vederti probabilmente la faresti morire di nuovo!”
Giuseppe si zittì e si guardò intorno, cercando di capire se qualcuno era riuscito a sentirlo oppure no.
Damiano, dal canto suo, si era completamente immobilizzato. Non pensava, non ci riusciva. Dentro di se sentiva un gelo mai provato, era come se ad ogni accusa di suo padre fosse cresciuta intorno al suo cuore una lastra sempre nuova e più spessa di ghiaccio scuro, nero come la notte e duro come la pietra.
Indurì la mascella e costrinse le sue palpebre a tornare a battere di nuovo visto che i suoi occhi erano ancora spalancati. Infine, tossì leggermente e lasciò prima la sala e poi il palazzo.
Neppure un paio d’ore prima, in carrozza, suo padre gli aveva detto che quella sera non ci sarebbero state umiliazioni e invece era stato lui stesso ad umiliarlo, nel peggior modo possibile tra l’altro, tirando in ballo sua madre e le uniche parole che mai avrebbe dovuto rivolgergli, non a lui che fin da bambino aveva sacrificato tutto di se stesso per far si che in quella maledetta villa brillasse ancora la debole fiammella della luce che aveva minacciato di spegnersi con la morte di Margherita.
Andò alle scuderie. Trovò la loro carrozza e sciolse uno dei cavalli, suo padre si sarebbe arrangiato.
Subito dopo, montò in groppa, diede un colpo di tacco e corse via.

Stefano aveva appena lasciato la biblioteca e si stava preparando per andare e letto. Per tutta la sera, da che Damiano aveva lasciato la villa con suo padre, aveva avvertito una strana ansia.
Di solito era sempre ansioso ogni volta che li sapeva insieme e da soli perché temeva che potessero discutere, ma quella sera…quella sera era diverso, era peggiore, quasi gli veniva mal di stomaco se si fermava a dare retta a quella sensazione.
Dopo cena si era ritirato per leggere qualcosa, sperando che così la sua mente sarebbe riuscita a trovare la pece necessaria a conciliargli il sonno, ma niente, non era valso a niente.
Era a metà della scalinata che portava al piano superiore quando sentì un rumore veloce di zoccoli e poco dopo vide la porta d’ingresso aprirsi sotto il peso di suo fratello che crollava in ginocchio lì, davanti a lui.
Corse giù, corse la Damiano, si inginocchiò anche lui, fece segno ai domestici di andare via e poi lo abbracciò.
Damiano non piangeva e il suo viso non era né turbato, né arrabbiato, né sofferente. Stefano cercò allora gli occhi suo fratello e, per la prima volta in vita sua, provò paura nel far scontrare i suoi occhi verdi e brillanti con quelli neri di Damiano. Gli occhi di suo fratello erano talmente neri da ricordare un pozzo senza fondo, terribile e spaventoso, ma Stefano ci aveva sempre visto una luce, una luce che non glieli aveva mai fatti temere. Quella sera, però, era come se quella luce fosse scomparsa e avesse lasciato spazio soltanto al buio, al vuoto oscuro e assoluto.
Distolse lo sguardo. Non ci riusciva a fissarlo troppo a lungo.
“Damiano! Cosa….che è successo? Cos’hai?” - gli chiese, apprensivo.
“Lo odio, Stefano! Lo so che è da anni che lo ripeto, ma adesso mi rendo conto che in tutti questi anni non ho mai saputo davvero cosa significasse odiare qualcuno, odiarlo profondamente. Ero un bambino, non capivo fino in fondo, ma ora si, ora capisco…”
Stefano prese a scuotere la testa: “No, Damiano, no. E’ nostro padre, non…non possiamo odiarlo.”
“Quell’uomo ha smesso di essere nostro padre molti anni fa, Stefano! Io non voglio avere niente a che fare con lui, con i suoi progetti, con la sua vita….” - lo interruppe Damiano - “Vorrei che esistessimo soltanto io e te, fratellino, per sempre. Sarebbe tutto più facile!”
Stefano avvertì le lacrime salirgli agli occhi e spingere per uscire, ma le ricacciò giù. Non poteva piangere, non poteva essere quello debole in quel momento. Suo fratello aveva fatto tanto per lui, ora era il suo turno, ora doveva essere lui a fare qualcosa per Damiano.
Si alzò in piedi e gli afferrò una mano, costringendolo a fare lo stesso.
Nonostante fosse più piccolo di tre anni, era alto quasi quanto suo fratello quindi non gli servì metterci troppa forza.
Prese al volo il suo mantello e se lo buttò addosso.  Poi si fece portare in fretta due pesanti coperte e prese a correre trascinandosi dietro Damiano.
Lo portò sulla riva di un piccolo ruscello poco fuori dalla loro tenuta e nascosto in estate da fitti alberi. Era notte ed era inverno quindi l’acqua era gelata, ma Stefano non si perse d’animo e si voltò verso suo fratello intimandogli di togliersi i vestiti, salire sul tronco tagliato di un albero abbattuto di fianco a loro e tuffarsi in acqua.
“Sarà doloroso e dovrai uscire subito dopo il tuffo, ma questo è un dolore che puoi gestire e ti aiuterà a far passare in secondo piano quello che provi adesso e sul quale non riesci ad avere il controllo.” - spiegò - “Io ti aspetterò qui  con i vestiti asciutti e le coperte per scaldarti mentre torniamo a casa e al fuoco acceso che ci aspetta.”
Damiano non gli chiese nulla, rimase soltanto in silenzio ad ascoltarlo. Non protestò nemmeno, anzi fece esattamente ciò che lui gli aveva detto…e si lasciò aiutare.
Tornati a casa, si accovacciarono di fronte al camino acceso e Stefano si voltò a guardare suo fratello che gli restituì lo sguardo.
Qualcosa era cambiato in Damiano quella sera, ma nonostante questo Stefano sorrise nel rivedere di nuovo la piccola luce nei suoi occhi neri accendersi non appena quegli occhi incontrarono i suoi.
Suo fratello aveva fatto così tanto per lui nel corso degli anni e forse lui adesso aveva imparato a ricambiare.








NOTE:
Ciao a tutti! E Buon Ferragosto in ritardoXD Anzi, spero che abbiate passato una bella giornata ieri°° La mia è stata...molto rilassante si!
Allora...innanzitutto coma al solito ringrazio tutti coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo: nonostante sia pieno agosto siete lì a leggere e a commentare e non sapete quanto vi adoro per questo**
Andando al capitolo....allora...
C'è una notizia buona, almeno per meXD: I due fratelli non sono più bambinetti! *yeah* Lo ammetto, era davvero difficile scrivere dal punto di vista di un bambino di tre anni, quindi si, sono felicissima che mi siano diventati adolescentiXD
Cattiva notizia...beh, e che lo dico a fare, immagino che adesso odierete Giuseppe e se vi aspettate la redenzione...no, non ci sarà. Per quanto riguarda il suo personaggio l'obiettivo era renderlo odioso visto che nei libri, le rare volte in cui ne parlano, ci è sempre stato presentato come un vero bastardo. Io sto provando a renderlo tale e a dargli una ragione per essere un bastardo sfruttando il dolore che ha provato nel momento in cui Margherita è morta. Nella mia mente malata, infattiXD, Giuseppe nel momento del dolore non è stato in grado di affrontarlo e si è lasciato buttare giù, sempre più, fino a toccare il fondo del baratro dal quale, come sappiamo, non riuscirà più ad uscire e dal quale dubito che lui stesso voglia uscire. I due ragazzini sembrano essere leggermente più intelligenti, si sono aggrappati l'uno all'altro per andare avanti, cosa che lui non ha fatto, anzi, li ha respinti nonostante fossero i suoi stessi figli.
Poi...facendo un pò di conti, siamo al quinto capitolo quindi ne mancano altri cinque alla fine di questa storia. Nei prossimi capitoli i salti temporali saranno più ridotti visto che alla fine, prima della trasformazione in vampiri, restano da coprire soltanto altri loro quattro anni da umani. Saranno interessanti, pieni di bei momenti tra loro, ma vi anticipo già dei conflitti visto che vorrei che i loro rapporti all'arrivo di Katherine fossero già un pò compromessi e lei arrivasse quindi soltanto come la ciliagina sulla torta, la goccia che fa traboccare il vaso. Nei libri, in fondo, lasciano intendere che le cose siano andate proprio così e onetastamente questa è una delle modifiche che detesto del telefilm. Lì mostrano che mentre un attimo prima vanno d'amore e d'accordo poi arriva questa e BAM si odiano a morte e, detto francamente, lo trovo non solo patetico, ma anche riduttivo perchè va a sminuire quello che è un legame così forte come quello tra Stefan e Damon. Su questo, preferisco la versione del libro e giocherò come al solito su quella.
Vabbè...adesso vi lascio dopo questa nota lunghissimaXD
Vi aspettò lunedì 27 sul blog per lo spoiler mentre per il capitolo...
A giovedì 30...BACIONI...IOSNIO90!!!

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Capitolo 7
*** Il primo diario ***


Le Porte del Tempo - Passato - Capitolo 6 Il primo diario

Una volta, da bambino, sua madre lo aveva preso in disparte e gli aveva messo tra le mani uno strano libro. Non era molto grosso e neppure molto pesante o particolarmente bello. Era semplicemente un'insieme di fogli di carta spessa e leggermente ingiallita tenuti insieme da una rilegatura scadante e da una copertina in pelle marrone chiusa da un grosso spago nero. Un libro decisamente anonimo, ma che agli occhi di Damiano - che all'epoca aveva appena compiuto più o meno tre anni - aveva assunto la connotazione di "strano" non appena lo aveva aperto e aveva scoperto che al suo interno non vi era scritto perfettamente niente. Le pagine di quel libro erano nuove, libere da qualsiasi traccia d'inchiostro, non c'era neppure un segnetto sopra messo per sbaglio.
Si era rivolto a sua madre credendo che lo stesse prendendo in giro, ma lei gli aveva risposto che quello era un libro speciale, che era un diario, un libro che - udite, udite - veniva realizzato e venduto in bianco affinchè chiunque lo comprasse potesse scriverci quello che pensava circa le cose che gli accadevano.
Quel Damiano ancora bambino aveva pensato che quella cosa del diario fosse un pratica alquanto bizzarra, ma sua madre ne teneva uno e lei non era affatto bizzarra e ne stava regalando uno proprio a lui dicendogli che magari lo avrebbe trovato utile nel momento in cui fosse diventato abbastanza grande da aver già imparato a scrivere.
Negli anni, con tutto ciò che era successo alla sua famiglia, Damiano aveva ripreso spesso quel diario dalla cassapanca che teneva ai piedi del suo letto pensando di scriverci ciò che sentiva, le cose sulle quali rifletteva e le conclusioni alle quali giungeva, ma mai una sola parola aveva lasciato la sua mente, attraversato il suo braccio fino alla sua mano per poi riversarsi su quei fogli che a distanza di quattordici anni erano ancora vuoti come il primo giorno in cui sua madre gli aveva dato in dono quel diario.
Semplicemente....non era tipo da diari, non lui almeno. In generale, non era esattamente il tipo da esprimere così facilmente ciò che sentiva, nemmeno se si trattava di trascriverlo su un foglio, perchè farlo gli metteva sempre addosso una sorta di imbarazzo e agitazione, due sensazioni che non gli piacevano e che andavano a guastare quella sua aria da uomo vissuto che a diciassette anni già poteva vantarsi di avere e saper gestire al meglio.
Le persone che tenevano dei diari erano diverse da lui, diametralmente all'opposto, e per quanto potesse dargli fastidio ammetterlo - perchè in quel caso l'opzione che gli restava era un qualcosa a cui neppure voleva pensare - sua madre era stata quel tipo di persona diversa da lui e capace di riversare su un diario ogni sua gioia o dubbio. Lei era stata una donna pacata, gentile e fieramente sentimentale e romantica. Lui, invece, si conosceva abbastanza ed era abbastanza sincero da ammettere che al contrario era irascibile, tendenzialmente egoista e drammaticamente chiuso in se stesso quando si trattava di sentimenti. Era Stefano quello che più somigliava a Margherita, sia nell'aspetto che nel carattere e questo lo rendeva esattamente, come era stata lei, un tipo da diario.
Si rigirò quel libricino tra le mani un'ultima volta e poi chiamò una domestica ordinandole di portarlo di sotto e di metterlo insieme a tutti gli altri doni che stavano giungendo alla villa per Stefano. Era il suo quattordicesimo compleanno, infatti, era praticamente già un uomo e quella sera avrebbero tenuto una festa danzante, la prima vera festa di suo fratello e tutta in suo onore.
Damiano doveva ammettere che gli dispiaceva un pò dare via quel dono che era stato di sua madre, ma era altrettanto convinto che Stefano sarebbe stato in grado di sfruttarlo nel miglior modo possibile, così come lei avrebbe voluto e come lui non era stato in grado di fare.
Rimase ancora per qualche minuto alla finestra della sua stanza, con gli occhi fissi su tutta quella marmaglia di persone che si stava dando da fare per addobbare l'immenso giardino secondo le sue istruzioni.
Era stato lui a volere quella festa. Per dovere ne aveva chiesto conferma a suo padre, certo, ma lo aveva fatto quando ormai tutto era stato deciso e soltanto perchè doveva seguire l'etichetta che diceva che il padrone di casa non era lui, che tantomeno era il padre di Stefano e che di conseguenza non poteva decidere di sua iniziativa e senza l'approvazione di suo padre quando dare una festa e a quando fissare l'ufficiale presentazione alla nobiltà fiorentina di suo fratello.
Giuseppe aveva sbraitato all'inizio, come ogni volta che si trovavano da soli in una stanza dopotutto, ma Damiano gli aveva fatto presente che sarebbe risultato davvero strano se non avessero tenuto quella festa. Persino per i suoi quattordici anni c'era stata una festa, certo non sfarzosa come quella che stavano per tenere, ma c'era stata e questo nonostante le idee del padre secondo le quali non sarebbe stato prudente istruirlo e accompagnarlo tra gli alti funzionari dell'economia della città prima di ulteriori due anni, ma Stefano era differente da lui, non era permaloso, nè disubbidiva e poi lo sapevano ormai tutti che quel tipo di feste erano per i ragazzi, che tutti avrebbero dovuto averne una e che quel tipo di debutto in società non aveva alcun valore, non quanto ne avrebbe avuto partecipare in seguito ad una delle riunioni tra nobili a cui partecipava Giuseppe, ovvio.
Con queste argomentazioni, con la fermezza che gli apparteneva ogni volta che si trattava di decisioni sulla vita di suo fratello e con anche una velata minaccia circa il fatto che la festa l'avrebbe fatta comunque anche se suo padre avesse detto di no, alla fine Giuseppe si era convinto e aveva mormorato un burbero: "E sia!"
Parlare con quell'uomo era un qualcosa di insopportabile, dopo quello che gli era successo circa otto mesi prima lo era ancora di più oltretutto e trattare con lui minava parecchio la compostezza di Damiano, ma nell'ultimo mese, da quando la festa era stata programmata e gli inviti erano stati recapitati, c'era stato un pensiero fisso che aveva più volte minacciato di togliergli persino il sonno: fosse stata la sua festa avrebbe voluto avere suo padre ben distante, ma si trattava di Stefano e Damiano sapeva che, anche se con lui non lo ammetteva a voce alta, ci teneva che Giuseppe partecipasse o che almeno fosse in casa durante l'arco della serata.
Quella era stata l'altra segreta crociata di Damiano, una crociata che gli sapeva di fallimento sin da primo giorno in cui l'aveva intrapresa. Si era detto che era dovuto alla sua scarsa se non nulla fiducia in suo padre, ma adesso che era a poche ore dall'arrivo dei primi ospiti e non sapeva ancora con esattezza cosa avesse fatto Giuseppe quella sera, il sapore del suo fallimento e della delusione mista a tristezza che avrebbe scorto negli occhi di Stefano se quell'uomo non ci fosse stato gli avevano riempito la bocca togliendogli l'appetito.
Avrebbe voluto poter fare di più, tipo incatenarlo ad una sedia e lasciarlo libero per la villa solo la sera della festa, ma purtoppo più che ribadire ogni giorno a Giuseppe, con toni più o meno accesi, quanto Stefano ci tenesse alla sua presenza non era stato possibile fare. Ora tutto era...beh...nelle mani di suo padre e la cosa non lo faceva stare per niente tranquillo.
Lasciò la sua stanza e si diresse verso quella di Stefano. Lo trovò in piedi su una piccola pedana in legno davanti ad un enorme specchio, con l'espressione poco convinta di chi non sa cosa scegliere. In quel momento, ciò che lui doveva scegliere era il colore dei suoi vestiti per la serata, solo il colore visto che il taglio dei vestiti lo avevano già deciso circa un paio di settimane prima. Adesso, infatti, sul letto di Stefano erano disposti in fila un bel numero di vestiti tutti uguali fatta eccezione per il colore, una sarta era al fianco di suo fratello e gli illustrava i benefici che avrebbe tratto dallo scegliere quello blu scuro che aveva indosso e due uomini erano ai lati dello specchio e lo sorreggevano con aria annoiata.
Secondo i calcoli di Damiano quelle persone avrebbero già dovuto essere fuori dalla vita da un pezzo, ma in quel momento si rese conto che aveva dimenticato di aggiungere al tempo stimato quello che Stefano avrebbe perso una volta preda dell'indecisione dovuta al fatto che la sarta aveva fatto un lavoro ammirabili e che ogni vestito era bellissimo: la gentilezza di suo fratello era encomiabile, ma a volte era anche fin troppa.
"Scegli quello chiaro lì in fondo!" - suggerì, entrando e indicando con un cenno del capo il vestito posizionato all'altro capo del letto di un tenue color crema con rifiniture in oro - "Quello ti starà bene! Metterà in risalto gli occhi e inoltre metterà in risalto te visto che capita davvero di rado che qualcuno tra gli uomini si presenti ad una festa vestito di chiaro, di solito tendono tutti ad indossare capi scuri, lo faccio anch'io..." - spiegò poi scrollando le spalle.
Stefano si voltò a guardare prima lui e poi il vestito che gli aveva indicato, con aria incerta.
"Appunto! Proprio per questo non dovrei sceglierne uno più scuro? Se metto quello tutti gli occhi saranno puntati su di me!" - obiettò.
"Tutti gli occhi saranno puntati su di te comunque! Sei tu che compi gli anni e questa è la prima festa a cui prendi parte quindi nessuno ti conosce ufficialmente, nessuno ha mai avuto modo di parlare con te e saranno tutti estremamente curiosi nei tuoi riguardi. Quindi, dico io, già che ti guarderanno tutti lo stesso, tanto vale tu ti renda subito riconoscibile tra la folla, no?"
Stefano non rispose altro. Abbassò per un attimo gli occhi e alla fine gli diede ragione. Pochi istanti dopo la sarta e i due uomini lasciarono la stranza portando via tutto tranne il vestito scelto e lanciando a Damiano un'occhiata e un piccolo inchino di saluto e gratitudine.
"Pronto per stasera, giovane indeciso?" - fece Damiano, avvicinandosi a Stefano una volta che furono soli.
L'altro sospirò e annuì poco convinto.
"Credo di si! Anche se...che devo aspettarmi di preciso?" - chiese, visibilmente in ansia.
"Beh...parecchie persone che ti fissano, parecchie domande stupide sui tuoi studi, i tuoi interessi e le tue prospettive per il futuro, parecchi regali vista l'infinita lista di ospiti e..." - Damiano accompagnò la sua breve pausa con un ghigno divertito prima di riprendere a parlare - "...ragazze! Ci saranno delle ragazze ovviamente, giovani dame molto belle che pobabilmente ti metteranno in imbarazzo e con le quali dovrai ballare!"
Stefano, come previsto, sbiancò.
"Ballare? Con loro?" - fece.
"Certo! Sei il festeggiato, l'attrazione della serata, sarebbe scortese se non chiedessi a tutte le giovani dame presenti, se non quasi, di ballare con te!" - rispose Damiano - "Suvvia, non fare il timido! Sei bravo nelle danze. Certo non quanto me, ma sei bravo, te la caverai!"
"Lo so, Damiano, lo so, è solo che....sono ragazze..." - fece ancora Stefano, abbassando la voce sulle ultime parole come se fosse un grosso segreto da bisbigliare.
Damiano lo trovava estremamente ridicolo, divertente e anche leggermente senza senso. Tutta quell'agitazione di suo fratello nei confronti di un gruppo di ragazzine onestamente non la capiva, forse perchè neppure alla sua età lui si era sentito agitato quando si trattava dell'altro sesso, anzi era sempre stato piuttosto spigliato e, in linea di massima, sapeva sempre cosa dire o fare in certi casi. Dono naturale, probabilmente.
"Si, Stefano, ragazze! Tu lo sai cosa sono le ragazze, vero? L'altra metà del genere umano? Ci siamo noi e ci sono loro, simili a noi, ma del tutto differenti ed estremamente piacevoli da guardare, aggiungerei. Per non parlare di quanto sia piacevole avere a che fare con loro in prima persona. Certo, però, alcune sono anche decisamente fastidiose, bisogna saper scegliere." - rispose Damiano, prendendolo in giro - "Per la scelta affidati prima agli occhi, cioè scova quelle che ti piacciono e invitale a ballare. Poi, mentre balli con loro, parlaci. Scegli un argomento leggero, però, niente economia, storia o filosofia e se ce n'è qualcuna che per prima tira fuori questi argomenti allora mollala sul posto e passa alla successiva. Parlandoci avrai modo di capire un pò di cose e soprattutto di scovare quelle irritanti alla quali non rivolgere più la tua attenzione, hai capito?"
Stefano lo fissò con gli occhi terrorizzati e fuori dalle orbite.
"Assolutamente no!" - gli rispose.
"Assolutamente perfetto, allora!" - fece Damiano, dandogli una pacca su una spalla e lasciando la stanza mentre tratteneva a stento una risata.

Quella serata era l'esatta trasposizione di ciò che lui aveva sognato sommato a tutto ciò che Damiano gli aveva detto qualche ora prima.
Da un lato era meravigliosa, così ricca di ospiti, con una piccola orchestra a dare il ritmo giusto alle danze, cibo raffinato e vino pregiato servito nei calici adatti. Tutta la casa poi era stata illuminata da centinaia e centinaia di candele, forse migliaia e le decorazioni erano meravigliose, fatte di fiori bianchi e piccoli pendenti in cristallo che somigliavano tanto a leggere gocce di ghiaccio. Una festa perfetta agli occhi di chiunque. Lussuosa, ma contenuta allo stesso tempo, carica di allegria, ma non esagerata.
D'altra parte, però, c'era anche un risvolto della medaglia. Non appena aveva messo piede in sala, infatti, Stefano si era subito reso conto che Damiano non gli aveva mentito affatto quando gli aveva predetto che sarebbe stato il centro dell'attenzione di tutti i presenti. Tutti gli occhi erano puntati su di lui e la maggior parte di quelle persone non le conosceva se non per sentito dire. I signori presenti e le loro mogli lo coinvolgevano in continue chiacchiere in cui per gentilezza si lasciava trasportare, ma durante le quali si sentiva in profondo imbarazzo. Altri ragazzini della sua età lo chiamavano per nome e lo invitavano a prendere parte ai loro giochi qualche volta e ai loro discorsi e le giovani dame, le ragazze...beh...era vero anche che volevano ballare con lui, anzi loro si aspettavano proprio che lui le invitasse, non c'era via d'uscita.
A tratti si sentiva un pò soffocare, doveva ammetterlo.
"Una festa riuscita, non c'è che dire!" - la voce di Damiano gli arrivò dalle sue spalle, quindi si voltò leggermente per guardare l'espressione tronfia del fratello mentre lo affiancava.
"Che fai? Adesso ti fai anche i complimenti da solo?" - fece Stefano.
Damiano scrollò le spalle.
"So, perchè lo vedo, che ho fatto un ottimo lavoro nell'organizzazione quindi perchè fare il modesto e non darmene tutto il merito!?!"
"Perchè rischi di peccare di superbia?"
"E non è che tu adesso stai peccando di gelosia?" - lo stuzzicò Damiano.
"Geloso di te perchè hai organizzato una festa?" - ribattè Stefano.
"Non una festa, ma una festa meravigliosa!" - lo corresse suo fratello.
"Non sono geloso di te perchè hai organizzato una festa meravigliosa..." - chiarì Stefano con un lieve sorriso accondiscendente.
Damiano afferrò un bicchiere di vino che uno dei domestici era arrivato a porgli e ne bevve un sorso prima di rispondergli.
"Lo so che non sei geloso. Tu non sei mai geloso, queste cose non le fai e sai perchè? Perchè non sei un ragazzo, ma un giovane santo!"
Stefano si lasciò sfuggire una risata che contagiò non solo la bocca, ma anche gli occhi, i quali attirarono numerosi sguardi ammirati e bisbiglii.
Damiano gli diede una pacca su una spalla.
"Me ne torno alle mie danze!" - avvertii, lui che stava facendo mostra di tutte le sue doti da ballerino provetto da tutta la serata e in compagnia di ogni singola dama che catturava il suo sguardo - "Tu, piuttosto, dovresti cominciare a fare lo stesso, sai? E in proposito, quel gruppetto di ragazze laggiù potrebbe fare al caso tuo, fratellino!" - gli indicò con un colpetto al braccio il gruppo in questione e poi si dileguò tra la folla.
Stefano era divertito e un pò sorpreso. Conosceva bene suo fratello, ma quella era la sua prima festa in società e non lo aveva mai visto relazionarsi con nessuna donna. La cosa gli risultava un pò strana, anzi a risultargli strano era il totale autocontrollo di Damiano in quelle situazione: lui al solo pensiero di chiedere ad una dama di danzare moriva d'imbarazzo.
Prese un bel respiro e provò a fare qualche passo verso il gruppo che suo fratello gli aveva indicato, ma presto la sua marcia venne fermata dai risolini eccitati delle ragazze in fremente attesa che lo vedevano arrivare. Gli sembravano così...così...frivole, forse, ecco.
Se lo avesse detto a Damiano, lui gli avrebbe risposto che tutte le ragazze erano frivole, ma lui non ci credeva e pensò che forse se si guardava intorno sarebbe riuscito a trovare qualcuna con la quale non sentirsi ansioso o imbarazzato.
Avvistò una ragazza. Era seduta su una poltrona nell'angolo più appartato della sala e teneva un libro aperto tra le mani. Con tutto quel caos riusciva a trovare la concentrazione giusta per leggere: a Stefano piacque molto.
Cambiò direzione e si avvicinò alla giovane che, a giudicare dal viso, probabilmente aveva circa la sua stessa età. Era seduta, quindi non poteva osservarne l'altezza, ma aveva un portamento elegante e garbato e lo si notava da come sfogliava le pagina e da come teneva dritta la schiena. I suoi capelli erano di un dolce castano chiaro, con riflessi ramati e per quella serata erano acconciati in una semplice pettinatura che le lasciava scoperto il collo e riversava la cascata di boccoli lungo la schiena. Gli occhi, invece, erano chiari, dell'azzurro del mare e il naso piccolo apriva la strada ad una pocca rosa e delicata.
Era davvero molto bella, bella come tutte le altre dame nella sala, ma non gli faceva provare lo stesso imbarazzo che provava davanti alle altre. Stefano lo interpretò come un segnale.
Arrivò a qualche passo da lei e per tutta risposta la vide alzare gli occhi verso i suoi e sorridergli.
"Buonasera.." - esorsì Stefano, esitante, ma cordiale.
La giovane si alzò e si esibì in un perfetto ed educato inchino.
"Buonasera!" - gli rispose.
"Io sono Stefano Salvatore, figlio minore del conte Giuseppe!" - si presentò.
"Lo so, vi conosco, la festa è stata data in vostro onore, giusto?" - fece lei.
"Si, da mio fratello maggiore, Damiano!" - annuì Stefano - "Ma, se non sono indiscreto, il vostro nome?"
Le sorrise e scosse la testa, con le guance che le si imporporavano per il leggero imbarazzo.
"Si, giusto, scusate, avete ragione, il mio nome. Io sono Cecilia della Torre, unica figlia del marchese Alessandro, è un piacere conoscervi Stefano!"
"No, no, il piacere è mio, Cecilia!" - disse lui, poi esitò un attimo e alla fine fece un bel respiro e si buttò - "Mi chiedevo se vi andava di danzare con me..."
La ragazza sorrise e annuì, porgendogli la mano che lui accompagnò con la sua fino alla pista da ballo.
Danzarono a lungo e parlarono ancora di più. Stefano si sentiva incredibilmente a suo agio con Cecilia e lo stesso pareva provare lei. In lontananza il ragazzo riusciva ad avvertire lo sguardo divertito di suo fratello su di se e, onestamente, non vedeva l'ora di restare solo con lui per chiarirgli che non tutte le ragazze era sciocche come lui diceva che fossero. Cecilia non lo era, ad esempio. Lei, al contrario, era intelligente, curiosa e desiderosa di apprendere. Stefano trovava che la conversazione con la ragazza fosse piacevole e semplice e insieme avevano scoperto di essere molto simili e di avere interessi in comune, come la storia e la letteratura.
Dopo qualche ora di musica ci fu una piccola pausa che Stefano e Cecilia decisero di sfruttare per riprendere fiato e mangiare qualcosa, quindi si avvicinarono ad uno dei lunghi tavoli ricolmi di cibo e presero a mangiucchiare qualche acino d'uva fresca, mentre aspettavano che gli servissero qualcosa di più sostanzioso.
"Posso farvi una confessione, Stefano?" - fece lei.
Lui annuì.
"Non credevo di poter passare una così piacevole serata, infatti avevo con me ben due libri per prevenire la noia!"
A Stefano scappò una risata.
"Davvero queste feste di solito sono così noiose come dite?" - chiese, curioso.
Aveva scoperto che la ragazza aveva un anno più di lui e che aveva già preso parte ad altri eventi mondani simili a quello.
"Beh si! Almeno per quanto mi riguarda ovviamente! Non c'è mai nessuno con cui intrattenere una conversazione interessante e tutti pensano soltanto alle danze e al vino e ad accasarsi..."
"Accasarsi?"
"Certo! La maggior parte delle donne presenti a questa festa sono state portate qui dai loro padri con l'intento di trovare marito!" - spiegò Cecilia.
"Marito?" - ripetè ancora Stefano, visibilmente sorpreso.
Davvero stavano succedendo quelle cose durante la sua festa di compleanno?
"Si si! Vostro fratello, ad esempio, è riconosciuto come un buon partito per via del suo rango, dei suoi modi affabili e del suo bell'aspetto."
"Riconosciuto da chi?"
"Da tutti! Anche se ci sono alcuni nobili che hanno non poche riserve sul fatto che parrebbe essere un pò...ehmm...irascibile? Scapestrato? E' vero?"
"Cosa?" - fece Stefano.
"Che vostro fratello è irascibile e scapestrato!" - chiarì Cecilia.
"Beh....non è esattamente la persona più semplice del mondo ed io per primo riconosco che siamo molto diversi caratterialmente, ma mio fratello è una brava persona. Ha sofferto molto, anzi troppo nella sua vita e non gli è mai stato riconosciuto da nessuno il merito di essere stato in grado di andare avanti nel migliore dei modi e di aver aiutato me in ogni fase della mia crescita! Quindi....quindi chiunque abbia queste riserve dovrebbe farsele passare perchè qualunque dama un giorno avrà forse l'onore di essere amata veramente da mio fratello verrà amata con così tanto ardore, profondità e devozione che potrà considerarsi tranquillamente la più fortunata tra le donne!"
Stefano si bloccò di colpo, sotto lo sguardo sbalordito di Cecilia. Non aveva voluto dire tutte quelle cose e con quel  tono deciso quando aveva cominciato a parlare, ma poi le parole erano venute da sole, erano state una raffica che lui non era riuscito a fermare.
Non che se le rimangiasse in alcun modo, ma temeva di essere stato scortese nei riguardi della ragazza che aveva davanti, ma lei scoppiò a ridere e portò una mano a nascondersi le labbra mentre lo faceva.
"Mi pare di capire che siete molto legato a vostro fratello, vero?" - fece.
Stefano sorrise e annuì: "Già! Così pare!"
Entrambi ripresero a ridere, almeno finchè uno dei domestici non arrivò ad attirare l'attenzione di Stefano, consegnandogli una scatolina ed un breve messaggio: suo padre si scusava, gli augurava di cuore buon compleanno, ma doveva lasciare la villa per altre questioni. In cambio gli aveva lasciato il suo regalo, cioè una pregiata spilla in oro e smeraldi da apporre al taschino della sua giacca.
Stefano lasciò perdere il dono e rilesse il messaggio. I suoi occhi inevitabilmente divennero cupi per la tristezza.
Non lo aveva mai reso palese a voce alta, ma per lui il fatto che suo padre ci fosse era importante. Da quando i rapporti tra suo padre e Damiano sembravano essersi irrimediabilmente rotti, aveva come l'impressione di non riuscire a stare con l'uno senza fare un torto all'altro. Era terribile e non voleva che fosse così, non doveva essere così, la sua famiglia....loro tre avrebbero dovuto restare uniti, ma così non era e lui si sentiva incapace di fare qualsiasi cosa.
In quel momento la festa perse ogni sua attrattiva e lui si ritrovò a cercare suo fratello con lo sguardo: se avevano detto a lui che Giuseppe aveva lasciato la villa, sicuramente avevano avvertito anche Damiano.
Lo vide uscire in terrazzo e la cosa lo preoccupò all'istante.
"Stefano? State bene? Siete improvvisamente diventato pallido!" - fece Cecilia.
Stefano si voltò verso di lei con la mortificazione negli occhi e le sorrise, prendendole le mani e scusandosi di tutto cuore.
"Si, non vi preoccupate, sto bene! E' solo che...adesso dovrei parlare un attimo con mio fratello..." - tentò di spiegare.
Damiano si sarebbe arrabbiato per via di quella faccenda e avrebbe litigato ancora una volta con Giuseppe, inasprendo di più i loro rapporti, cosa che Stefano non voleva affatto vista la situazione già precaria in cui vertevano. Quindi sarebbe andato a cercarlo e avrebbe tentato di fargli capire che in fondo non era poi una questione così importante, che lui capiva gli impegni di suo padre e lo perdonava e che se poteva farlo lui nel giorno del suo compleanno allora avrebbe potuto farlo anche lui, Damiano.
Probabilmente sarebbero solo state parole a vuoto, ma doveva almeno fare lo sforzo di provarci e lui ci avrebbe provato a far ragionare suo fratello, lui ci provava sempre.
Cecilia annuì lievemente e Stefano lasciò la sala sulle orme di Damiano.

Damiano fissava le stelle cercando la pace.
Sospirava e lo faceva in continuazione, ma non perchè sentiva il bisogno di placare la rabbia, no, a dire il vero di rabbia ne provava ben poca in quel momento. Forse quella sarebbe arrivata dopo, ma in quegli attimi ciò che provava maggiormente era...beh, nulla in particolare, era come se in fondo se lo fosse aspettato fin dall'inizio un menefreghismo simile da parte di Giuseppe.
Gli dispiaceva per la delusione di Stefano, quello si e probabilmente il giorno dopo avrebbe trovato quel dispiacere una ragione valida per impegnarsi in un'altra lite con suo padre, ma per quella sera l'unica cosa che gli pareva di sentire era lo scricchiolio indotto dallo sgretolarsi dell'ennesima speranza malriposta. Almeno per Stefano, il figlio ideale, aveva pensato che Giuseppe avrebbe fatto uno sforzo e invece pareva importarsi poco anche di lui quando l'unica cosa che suo fratello aveva fatto era cercare di essere il meno problematico possibile, visti già quanti problemi, a detta di Giuseppe, sembrava creare lui.
Pensieri vani, speranze al vento.
Damiano si chiedeva quando avrebbe finalmente imparato a smettere di credere che le cose per Stefano sarebbero andate diversamente.
Per quanto gli riguardava, aveva troncato i rapporti con Giuseppe ormai da tempo, neppure lo considerava più così tanto degno d'attenzione e si limitava ad intrattenere con l'uomo soltanto conversazioni che avevano a che fare col più piccolo di casa, ma negli ultimi mesi si era sforzato di capire anche il punto di vista di Stefano, di assecondarlo nel suo cercare un rapporto costruttivo con Giuseppe, ma in quel momento...in quel momento si ripromise di aprirgli gli occhi a quel suo fratello un pò troppo sognatore, un pò troppo idealista. Glielo avrebbe fatto capire: erano loro due e basta, loro due contro il mondo, Giuseppe si era escluso da solo e da tempo ormai, bisognava accettarlo!
La mano di Stefano gli si posò su una spalla. Come prevedibile l'aveva seguito.
"Hai saputo di nostro padre, vero?" - gli chiese.
"Già..." - fece Damiano - "Ma non ti preoccupare troppo, se temi una scenata di rabbia puoi stare tranquillo perchè non ci sarà!"
"Non sei arrabbiato?" - gli chiese allora, scettico, Stefano.
Damiano scosse la testa.
"Non particolarmente, no! Quindi torna pure dalla tua ragazza..." - lo prese in giro.
"Cecilia non è...non è la mia..." - tentò di ribattere, rosso d'imbarazzo, suo fratello.
Damiano sorrise leggermente.
"Stefano? Sul serio, torna dentro, tra un pò arriverò anch'io..." - fece, ma l'altro a quanto pareva non aveva intenzione di demordere quella sera: i quattordici anni dovevano avergli dato alla testa.
"Dovresti perdonarlo! E' un uomo impegnato e a me non importa davvero, mi va bene, lo perdono, devi farlo anche tu!" - gli disse, infatti.
Damiano lo fissò per qualche attimo e concluse che suo fratello era un pessimo bugiardo.
"Vieni con me..." - gli disse, avrebbe voluto farlo a fine serata, ma se così stavano le cose, allora...
Lo ricondusse in sala e poi in una stanzetta adiacente che di solito veniva usata per ricevere gli ospiti nel pomeriggio. I regali erano tutti lì e Damiano recuperò dal cumulo quel diario che quella mattina stessa aveva chiesto che fosse aggiunto al resto dei doni. Lo porse a Stefano.
"Cos'è?" - gli chiese quest'ultimo, con gli occhi fissi sul libricino che ora teneva tra le mani.
"E' un diario!" - fece Damiano - "Era di nostra madre. Lei ne scriveva a ripetizione e un giorno ne diede uno anche a me, quello che adesso sto regalando a te! Io non ci ho mai scritto nulla e onestamente credo di non essere adatto a tenere un diario. Io sono impulsivo, sono ostinato, non mi piace stare lì seduto a riflettere sui miei sentimenti, anzi credo che non mi piacciano particolarmente neppure i sentimenti in generale, con me è solo sprecato. Tu, invece, ne farai buon uso, lo so! E poi ne hai bisogno..."
Su quell'ultima piccola frase gli occhi di Stefano scattarono nei suoi.
"Ne ho bisogno?" - chiese.
Damiano annuì.
"Si, nei hai bisogno, Stefano! E sai perchè? Perchè prima mi hai guardato in faccia e mi hai mentito. Mi hai suggerito di perdonare nostro padre perchè a te non importava affatto il fatto che fosse andato via e ti avesse lasciato solo anche nel giorno del tuo compleanno, ma ricordati che ti conosco troppo per crederti. Quella era una menzogna. Ti importa, ti importa molto e ci soffri. Si, l'hai perdonato, perchè tu sei fatto così, tu perdoni chiunque e per qualsiasi cosa, cerchi sempre di vedere il buono nelle cose e va bene, Stefano, davvero, ma non possiamo essere entrambi così. Non esiste solo il bene a questo mondo e qualcuno tra noi due deve pur vedere il fattore negativo delle cose e della vita in generale e quel qualcuno sono io perchè tu sei troppo onesto, troppo puro per riuscire a sopportare un tale peso." - rispose Damiano, in tono grave - "Quindi si, ne hai bisogno, hai bisogno di quel diario perchè hai bisogno di avere qualcosa in cui sfogare la sofferenza che senti ogni volta che ti ritrovi a scontrati con quella cattiveria che ti ostini a non vedere in niente e nessuno. E ne hai bisogno anche perchè ti serve qualcosa in cui annotare tutti i momenti belli della tua vita per poterli ricordare sempre visto che, ammettiamolo, la tua vita, la mia vita....non è poi questo granchè, non lo è mai stata!"
Stefano aveva seguito tutto il suo discorso con la testa china sulla copertina di pelle del diario. L'aveva sfiorata più volte con le dita e si era portato il libro al naso per ispirare il profumo della carta ormai vecchia.
Alla fine, dopo un lungo momento di silenzio, annuì.
"Tu non farai come ti ho chiesto, vero? Non lo perdonarai..." - disse.
"No, non lo perdonerò, ma ti prometto di non litigarci per questa faccenda, se è quello che vuoi!" - fece Damiano.
Stefano sospirò.
"Va bene! Grazie del regalo, Damiano, davvero!"
"Buon compleanno, fratellino!"





NOTE:
Ciao a tutti e buon giovedì sera!!!!
Ormai agosto è praticamente finito, da non crederci! Beh...come è andata la vostra estate? A parte il caldo, ovviamente!XD
Come sempre, ringrazio tutti coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo!!!
Per quanto riguarda questo, ammetto che lo sto postando, ma non mi convince molto. Non so, c'è qualcosa che non mi torna, forse perchè non è esattamente come avrei voluto renderlo.
Comunque...spero vi piaccia e per qualsiasi suggerimento o critica sapete dove trovarmi!
Come vi avevo detto sul blog, trattasi del compleanno di Stefan. Compie 14 anni, partecipa alla sua prima festa mondana, ha a che fare per la prima volta con le ragazzeXD, conosce Cecilia. All'inizio non era prevista, ma poi ho pensato che....diamine...ce l'avranno avuto un primo amore o qualcosa di simile, prima di Katherine, no? Quindi perchè non inserire questo "qualcosa di simile"? Stefan se lo merita, dai!XD
Giuseppe in questo capitolo non c'è stato, non attivamente almeno, ma ha dato comunque da parlare ai due fratelli. E ormai mi pare ovvio che sarà lui una delle cause che porterà alle prime rotture tra Stefan e Damon, soprattutto il modo dei due di vederlo e di relazionarcisi. Ormai Stefan è grandicello e nei prossimi capitoli ci saranno i suoi primi faccia a faccia descritti con suo padre, visto che fino ad ora quello che ci ha avuto a che fare di più nella storia è Damon. Vedremo come andrà...
Ah! Il regalo! Il primo diario di Stefan glielo ha regalato DamonXD Ammeto che questa è stata una genialata della mezzanotte di qualche sera fa ahaha
Vabbè..adesso vi lascio...
Vi aspetto lunedì 10 settembre sul blog per lo spoiler e per il prossimo capitolo...
A giovedì 13 settembre...BACIONI...IOSNIO90!!



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Capitolo 8
*** Estate ***


Estate

Cara Cecilia,
E' ormai trascorso più di un anno dal nostro primo incontro e voglio che sappiate che per me il solo avervi conosciuto non è stato soltanto un onore, ma anche una grande fonte di sollievo nei momenti di tristezza.
La vostra amicizia mi rende....

"Completamente negato a scrivere qualcosa che abbia un senso, ecco cosa mi rende!" - Stefano lasciò cadere malamente la penna d'oca che stringeva tra le dita sporche d'inchiostro e accartocciò, frustrato, l'ennesimo pezzo di carta da buttare via, pieno di frasi che non davano nemmene l'idea di ciò che lui voleva realmente dire.
Aveva deciso di scrivere una lettera essenzialmente per due motivi.
Primo: la distanza. Ora che sia lui che Cecilia avevano lasciato Firenze per la stagione estiva non avrebbe avuto modo di rivederla fino all'arrivo dell'autunno.
Secondo: non era sfacciato abbastanza da riuscire a parlarle di ciò che ingenuamente sentiva di provare per lei guardandola dritto negli occhi.

In vigore di queste due motivazioni si era detto che una lettera avrebbe fatto al caso suo perchè avrebbe parlato per lui e avrebbe dato ad entrambi tempo per prepararsi ad un futuro incontro dopo le rivelazioni che quel foglio di carta avrebbe contenuto, ma se non riusciva a scriverla - e ci stava provando ormai da quasi un mese intero - trovava parecchio difficile credere che le cose sarebbero andate secondo i suoi piani.
Ma si sarebbe arreso? No! E non poteva neppure se avesse voluto, non ora che Damiano aveva scoperto i suoi intenti e aveva scommesso con lui che quella lettera non l'avrebbe mai scritta nè spedita.
Probabilmente alla fine di quella storia sarebbe soltanto andato incontro ad una brutta umiliazione? Evitava di pensarci.
Guardò il travolo sul quale era poggiato e sospirò alla vista di tutte quelle lettere che aveva cominciato e poi gettato via. Si chiese se era normale sentirsi così impacciati anche semplicemente scrivendo.
Decise di riprovarci, quindi afferrò un nuovo foglio e se lo posizionò davanti.
"Stavolta devo farlo bene!" - si disse, cercando di risultare a se stesso il più determinato e convincente possibile.
Dopotutto non aveva neppure un vero motivo per avere così tanta paura. Lui e Cecilia avevano trascorso molto tempo insieme dalla sua festa di compleanno l'anno prima ed erano diventati molto amici. Col passare del tempo Stefano aveva scoperto in lei una confidente fidata e il loro rapporto gli aveva insegnato ad aprirsi anche agli altri oltre che a suo fratello. E Dio solo sapeva se quella non era una lezione che aveva davvero bisogno di imparare!
Più crescevano, infatti, più l'astio tra suo padre e Damiano aumentava, più lui sentiva che molte cose non poteva rivelarle al fratello per timore di deluderlo o irritarlo, cose tipo il suo desiderio di trascorrere più tempo con Giuseppe oppure cose tipo la sua decisione di impegnarsi serimante al fianco di suo padre negli affari della loro famiglia.
Damiano non ne voleva sapere, lui voleva seguire la sua strada, una strada che desiderava ardentmente che si distanziasse il più possibile da quella paterna, ma lui non la vedeva in quel modo. Stefano ci aveva riflettuto parecchio, durante quell'anno suo padre lo aveva portato con lui anche a qualche suo incontro d'affari con altri nobil'uomini e, sebbene non se lo fosse aspettato, il mondo dell'economia popolato da importanti banchieri lo affascinava e, a detta del suo precettore, pareva addirittura che ci fosse portato.
Di queste cose non poteva parlarne con Damiano, non riusciva ancora a trovarne il coraggio, ma ne aveva parlato con Cecilia che era sempre stata in grado di capirlo e consigliarlo al meglio.
Era stato durante i loro incontri, durante le lunghe passeggiate e le ionterminabili chiacchierate che Stefano si era reso conto con stupore che il suo cuore cominciava a battere più forte quando la ragazza gli era vicino. Poche settimane prima le gli aveva timidamente permesso di tenerle la mano e Stefano si era sentito felice, felice di una felicità che non aveva mai sperimentato prima, che gli aveva fatto illuminare gli occhi e gli aveva permesso di imprimersi nella memoria la liscia e delicata consistenza della pelle chiara di Cecila a contatto con la sua. E tutte quelle sensazioni non riusciva più a tenersele dentro.
Di notte ancora sognava il momento in cui Cecilia era andata a salutarlo prima di partire con la madre per poter trascorrere l'intera estate in Francia dai suoi zii e nonni. Quella volta era stato triste per entrambi separarsi e, al momento di andare via, lei gli aveva lasciato un bacio segreto su una guancia e gli aveva sussurrato una promessa: che si sarebbero rivisti presto e che sarebbero tornati insieme, a chiacchierare passeggiando tra i roseti della sua villa.
Mai come quella volta, Stefano non desiderava altro che lasciare la tenuta al mare che un tempo era appartenuta ai genitori di sua madre e dove trascorrevano ogni estate per poter fare ritorno a Firenze.
Nel frattempo, si accontentava di provare a scrivere una lettera che sembrava non riuscire a prendere forma per via della sua incapacità di esprimere con le parole quei sentimenti che stavano appena affiorando nel suo animo.
"L'estate passerebbe prima se uscissi da questa casa e provassi a svagarti, sai?"
Stefano, alla voce di suo fratello, sobbalzò. Alzò di scatto la testa e si voltò a guardare Damiano mentre lui avanzava con un mezzo sorriso, scalciando qua e là tutti i fogli appallottolati che erano caduti sul pavimento.
"Non ti ho sentito entrare." - disse - "Da quanto sei lì sulla porta?"
"Da almeno tre fogli sprecati..." - rispose Damiano, scrollando le spalle con noncuranza.
Ultimamente capitava spesso che Stefano se lo ritrovasse alle spalle senza che neppure se ne accorgesse, come se Damiano sbucasse dal nulla e si piantasse lì a spiarlo per il puro gusto di divertirsi a fargli prendere un colpo ogni volta che decideva di intervenire senza preavviso, come poco prima.
"Io questa lettera riuscirò a scriverla!" - fece Stefano.
"Secondo me fai prima a tornare a Firenze e a rivederla di persona, ma è solo la mia opinione, a chi vuoi che importi?"
"Lo sai che mi importa la tua oppinione è solo che...." - Stefano si fermò e prese un bel respiro - "Io non penso proprio di riuscirgliele a dire certe cose guardandola in viso. Sarebbe troppo imbarazzante!"
"Perchè invece ritornare a Firenze e incontrala per poi rimanere in silenzio a fissarvi tra voi con lei che si aspetta che tu le ripeta ciò che le hai scritto e tu che aspetti che sia lei, invece, a fare la prima mossa e a darti una risposta alla lettera non sarà per niente imbarazzante, eh?"
I sensi di Stefano si misero in allerta generale.
"Lei si aspetterà che io le ripeta quanto le avrò scritto?" - fece.
"Certo che si! E' una ragazza! Le lettere vanno bene, ma devono servire soltanto a ricordarle giorno dopo giorno ciò che in un primo momento le avrai detto chiaro e tondo a voce alta guardandola negli occhi."
Stefano rimase in silenzio a fissare con occhi increduli il foglio bianco che aveva davanti.
Se Damiano aveva ragione tutto il suo brillante piano non risultava essere poi così brillante alla fin fine. In quel caso, si, tanto valeva lasciar stare la lettera e parlare direttamente a Cecilia, ma come poteva trovare il coraggio per farlo?
Si sentiva così codardo in quel momento...
Suo fratello  spostò una delle sedie della stanza e la mise di fianco a lui, prendendo posto e sospirando mentre gli poggiava una mano su una spalla.
"Stefano, fratellino caro, sei un quindicenne alla prima cotta e non hai idea di quanto tu sia divertente!" - gli disse, sogghignado senza ritegno.
Stefano si voltò a guardarlo, corrucciato e anche un pò offeso a dirla tutta.
"Però! Grazie mille, Damiano, e tu dovresti essere mio fratello?"
"Oh, andiamo, non te la prendere.."
"Come faccio a non prendermela?! Io ho un problema e tu mi ridi in faccia!"
Damiano rigettò indietro una risata e Stefano alzò gli occhi al cielo: "Ecco! Appunto!" - sottolineò.
"Va bene, va bene, hai ragione!" - fece Damiano, mostrandogli le mani in segno di resa e tentando di far sparire ogni traccia di divertimento dal viso.
Stefano apprezzò la cosa e annuì.
"Così va meglio!"
"Bene! Adesso, però, lascia che ti dica una cosa, fratellino: tu non hai un vero problema! Insomma, capisco che la cosa può sembrarti difficile perchè sei un ragazzino e senti di provare per la prima volta qualcosa per una ragazza che conosci, ma i veri problemi sono altri. Questo è...facilmente risolvibile!"
"Ah si? E come?" - chiese Stefano.
"Beh...siamo in vacanza, usa questo tempo per fare chiarezza nella tua testa e capire cos'è che vuoi dirle esattamente. Non appena torniamo a casa, poi, vi rivedrete, parlerete tra voi, le prenderai la mano e le dirai per filo e per segno come ti senti. Non è nulla di ufficiale, non c'è bisogno di essere troppo cerimoniosi, sii semplicemente te stesso e deciderete insieme se non dire nulla a nessuno e restare solo molto amici, oppure se parlarne a tutti e ritrovarvi tra appena qualche anno con una casa vostra e figli al seguito." - rispose Damiano.
"Non scherzarci su!" - lo ammonì Stefano.
"Non sto scherzando! E' così che vanno le cose ed è così che si fanno quando si vogliono fare le cose per bene!"
"Tu non hai mai fatto nulla del genere, però."
"Io non ho mai fatto le cose per bene!" - ghignò Damiano.
"Perchè mi sembra che la cosa non ti turbi affatto?" - fece Stefano.
"Perchè è vero, non mi turba affatto, tutt'altro direi, mi ci trovo benissimo a fare le cose senza seguire le regole!"
"Ed è per questo che finisci sempre nei guai."
"La mia vita è divertente!"
"Quindi la mia non lo è?"
"La tua è esattamente come dev'essere, Stefano: normale e il più serena possibile!" - concluse Damiano.
Stefano sorrise debolmente e annuì, rimettendo al suo posto il foglio bianco che aveva ancora davanti e allontanando da se penna d'oca e calamaio.
Forse Damiano aveva ragione, forse stava davvero prendendo tutta quella faccenda troppo seriamente. Avrebbe dovuto godersi l'erstate, godersi i suoi sentimenti senza lasciare che la paura di esternarli gli rovinasse l'attimo.
"Dicevi che dovrei uscire di qui e provare a svagarmi?" - fece, riferito alla prima cosa che Damiano gli aveva detto entrando nella stanza.
Suo fratello annuì.
"Stasera dovrebbe esserci una specie di festa in un paesino qui vicino, una di quelle feste dove si balla per strada, si lasciano i titoli a casa e ci si diverte celebrando la bella stagione. Ho sentito dire che ci sarà anche una piccola compagnia teatrale itinerante che metterà su qualche scenetta comica, ti va di andarci?"


"Quel tizio era completamente pazzo!"
Damiano si voltò verso il fratello e sorrise della sua esclamazione e della fragorosa risata che seguì subito dopo.
Alla fine avevano fatto esattamente come lui aveva proposto. Si erano cambiati d'abito, lasciando le giacche a casa, erano saliti in groppa a due cavalli ed erano corsi via uno di fianco all'altro fino ad arrivare ad un paesino fuori mano, abitato per lo più da contadini grassocci che li avevano accolti con grandi sorrisi e qualche riverenza da parte delle signore che avevano riconosciuto in loro due nobili.
Stefano si era lasciato trascinare tra la folla di persone allegre che accompagnavano le note della musica di un quartetto di suonatori improvvisati con movenze del corpo sgraziate, ma divertite ed era rimasto affascinato dalla vita del posto, dalle bancarelle rifornite di ogni cosa e soprattutto da quel gruppo di disgraziati che avevano montato un palchetto in legno con qualche pedana rubata ai commercianti di frutta e si erano messi a decantare frasi celebri di importanti autori greci e latini con una buona dose di melodramma nei gesti e nella voce per poi storpiare il tutto con qualche entrata non prevista, qualche loro considerazione da "gente quasiasi" e una valanga di battutacce spesso volgari che erano però riuscite nell'intento di ingraziare loro il folto grutto di persone che avevano riunito.
Stefano, appunto, era tra quelli che erano riusciti ad ingraziarsi. Damiano lo aveva visto arrossire a qualche battuta un pò spinta, ma ridere di gusto per la maggior parte del tempo.
Di solito Giuseppe non permetteva mai che loro assistessero a spettacolini simili, ma il bello dell'estate era proprio quello: Giuseppe, come ogni anno, diceva che li avrebbe accompagnati con la servitù e alla fine se ne restava a Firenze impegnato in qualche suo affare piuttosto che raggiungerli.
I due fratelli, quindi, restavano soli per quasi tre mesi durante i quali Damiano sentiva di poter mettere da parte i rancori e le preoccupazioni per un pò e lasciarsi totalmente andare, assecondando ogni suo istinto e desiderio. Non era esattamente il comportamento adatto a qualcuno del suo rango e spesso anche Stefano sembrava biasimarlo, ma a Damiano importava poco. Aveva conosciuto così poche gioie nella sua vita che quando aveva la possibilità di darsi solo ai divertimenti senza pensare alle regole e alle conseguenze allora la coglieva al volo perchè, in fondo, sentiva di meritarselo.
Stefano era diverso da lui, meno complicato forse. A lui bastava poco per essere sereno, passava sulle cose, buttava su carta i suoi dolori e guardava avanti con fiducia, ma Damiano....no, lui le cose se le legava al dito, si lasciava tormentare dalle sofferenze e ad ogni batosta rialzava la testa soltanto per mostrare uno sguardo sempre più cupo e vendicativo. Lui aveva bisogno di assecondare i suoi desideri di tanto in tanto.
"Probabile, si!" - sogghignò in risposta dando una leggera gomitata a Stefano che camminava al suo fianco tutto esaltato.
"Sai? E' stata proprio una grande idea venire qua! Mi piace questo posto..." - gli disse, voltandosi a salutare con la mano un gruppo di donne e ragazze che gli avevano rivolto un cenno riverente di saluto - "...e le persone sono molto gentili!"
"Si aspettano che tu ti dia da fare e spenda parecchio alle loro bancarelle..." - fece Damiano.
"E allora facciamolo, no? Compriamo delle cose!" - fece Stefano.
Damiano si voltò a guardarlo con un sopracciglio alzato.
"Compriamo delle cose?"  - ripetè.
Tutta quella leggerezza da parte di Stefano era inusuale, di solito lui era sempre coscienzioso in tutto.
"Certo che si! L'hai detto tu che devo godermi l'estate e svagarmi, no? Sto facendo come fai tu!" - rispose Stefano, scrollando le spalle.
"Come faccio io?"
"Si! Faccio tutto quello che mi va, quando mi va. Lascio i pensieri a casa e mi diverto. Prima ho pensato che forse hai ragione tu, che forse non dovrei prendere sempre tutto troppo sul serio, dopotutto sono ancora un ragazzo, certe cose mi sono ancora permesse, no? E' inutile che faccio l'adulto prima del tempo!"
Damiano strabuzzò gli occhi e rise di gusto, dando una pacca su una spalla al fratello.
"Sai cosa? Vuoi fare quello che ti va, quando ti va? E chi sono io per impedirtelo?" - fece.
Stefano scoppiò a ridere di nuovo, saltò sul posto una volta sola e poi corse via mentre Damiano lo guardava e scuoteva la testa.
L'avrebbe tenuto d'occhio, quello era ovvio, ma ormai Stefano stava crescendo, presto Giuseppe avrebbe cominciato a caricare anche lui di nuove responsabilità e, inoltre, aveva come la sensazione che qualcosa nell'aria stesse per cambiare. Per questo voleva, quindi, che suo fratello si lasciasse andare adesso che poteva ancora permettersi di farlo perchè sapeva bene che, nel momento in cui le cose sarebbero davvero cambiate e avrebbe smesso di essere considerato un ragazzo per essere definito invece un uomo, allora Stefano avrebbe preso la cosa molto più sul serio di quanto non avesse fatto lui in passato.
Damiano non era stupido, conosceva suo fratello, sapeva che se Giuseppe si fosse fatto avanti allora Stefano ci avrebbe pensato per davvero ad assecondarlo e a seguire i piani che il padre avrebbe predisposto per lui.
Prima che questo accadesse, quindi, ci teneva a dare al suo fratellino un assaggio di quella che era la vita lontana dalle restrizioni e dalle regole perchè si, gli avrebbe fatto bene.
Trascorsero ore su ore, la sera calò mentre le stradine venivano illuminate dalle fiaccole e Stefano continuava ad andarsene liberamente in giro. Damiano lo aveva visto comprare di tutto, a volte lasciando anche più denaro di quanto pattuito solo perchè gli era sembrato che il figlio del venditore in questione fosse smagrito o perchè la donna che gli aveva servito la cena in una taverna aveva lo scialle scucito.
Era buono, non ci si poteva fare niente.
A tarda notte la musica e i balli ancora continuavano. Stefano aveva stretto amicizia praticamente con tutti e ad un certo punto aveva deciso che era giunto anche per lui il momento di ballare, quindi Damiano se l'era ritrovato improvvisamente di fronte e aveva dovuto lasciare in sospeso l'intrigante chiacchierata che aveva intavolato con una ragazza del posto abbastanza carina.
"Dovremmo ballare!" - se ne uscì Stefano.
Damiano si accigliò.
"Io e te? Insieme? Preferirei di no, grazie tante!" - rispose Damiano.
Stefano alzò gli occhi al cielo, infilò la mano in una botte piena d'acqua fresca e poi se la passò sul viso e intorno al collo sudato.
"Non intendevo io e te insieme, stupido! Dicevo solo che dovremmo metterci a ballare!" - precisò.
Peccato solo che Damiano si fosse bloccato alla prima metà della frase.
"Mi hai dato dello stupido?" - gli chiese.
"Si e allora?"
"Dì un pò, fratellino, hai bevuto?"
"Vino! Lo producono loro, lo sai? Era buono, veramente buono!"
Damiano lo fissò qualche attimo e poi scoppiò a ridergli in faccia.
"Perchè ridi adesso?" - chiese, confuso, Stefano.
"Perchè sembra che tu ti sia preso la tua prima sbronza.."
"Beh, almeno è avvenuto sotto la tua supervisione." - disse, ovvio, suo fratello.
Damiano trattenne a stento una nuova ondata di risate.
"Incredibile! Responsabile sempre e comunque tu, eh?" - fece.
Ma Stefano si era già stancato del loro scambio di battute e aveva preso a saltellare sul posto, seguendo il ritmo della musica.
"Che fai?" - fece Damiano.
"Io vado a ballare!" - rispose Stefano, allontanandosi.
Damiano lo vide correre dall'altra parte della strada, afferrare la mano di una ragazzina più o meno della sua età, non molto alta, graziosa, coi capelli biondi e un sorriso solare, per poi portarla con se al centro dello spiazzo in cui numerose coppie ballavano e saltavano gli uni di fianco agli altri.
Per l'ennesima volta quel giorno, Damiano rise e rise ancora osservando la spensieratezza di suo fratello e poi seguì il suo consiglio, riacciuffando dalla mischia la ragazza con la quale parlava poco prima e ballando prima con lei e poi con altre ancora, fino al mattino dopo quando lui e Stefano ripresero i cavalli e si riavviarono verso casa.
"Non credo di reggermi in piedi, sono stanco!" - si lamentò Stefano.
"Infatti non devi reggerti in piedi. Ti faccio notare che sei seduto su un cavallo, fratellino." - ridacchiò Damiano.
"Ah! Già! Hai ragione!"
"Allora? Ti sei divertito?"
Gli occhi di Stefano si illuminarono e lui annuì.
"Dovremmo farlo di nuovo, divertirci insieme!" - disse.
"Abbiamo tutta l'estate ancora davanti!" - lo rassicurò Damiano.


Caro diario,
Ora che l'estate è trascorsa e siamo tornati alla villa, con tutto quello che è accaduto mi pento davvero molto di non averti portato con me. Però, ho scritto delle cose, ho preso delle annotazioni e presto comincierò a farti un resoconto dei mesi trascorsi con Damiano lontano da Firenze.
Quest'anno è stato diverso. Forse perchè io ormai sono cresciuto e allora Damiano poteva portarmi in giro con se. Non scriverò tutto ciò che abbiamo fatto, le persone che abbiamo conosciuto e i posti che abbiamo visto adesso, ma ti basti sapere che mio fratello aveva ragione! Ho soltanto quindici anni, dopotutto, dovrei avere degli amici e vivere senza preoccuparmi troppo del futuro.
Si, so che per tutti io sono già un uomo a quest'età, ma non mi sento tale, non ho vissuto abbastanza per definirmi tale, non ho provato abbastanza.
Damiano, lui alla mia età era già un adulto, lui si è sempre preso cura di me, non è mai stato davvero un ragazzino, ma si è impegnato affinchè io crescessi come tale e adesso....si, vorrei provare a rendere felice anche mio padre, ma ho capito che lasciar perdere tutto ogni tanto mi fa bene, mi fa guardare le cose da un'altra prospettiva, mi alleggerisce la mente e lo spirito, aiutandomi ad essere ancora più ottimista del solito.
Ne ho parlato anche con Cecilia e le ho confessato della lettera che volevo scriverle e non le ho scritto, le ho confessato ciò che avrei voluto dirle e lei mi ha sorriso, dicendomi che è giusto vivere i nostri giovani sentimenti per quello che sono adesso, ancora così acerbi e innocenti, e aspettare il momento giusto per riuscire a comprenderli in pieno e a capire se sarà oppure no il caso di renderli ufficiali e più seri.
Sono felice, lo sono davvero, mi sento senza pensieri....

Stefano lasciò cadere la penna d'oca sul tavolo non appena Damiano entrò senza preavviso nella sua stanza e si buttò sospirando sul suo letto.
Si accigliò. Erano tornati da meno di qualche ora e suo fratello aveva già trascorso molto tempo da solo con Giuseppe che gli aveva detto di volergli parlare con urgenza.
Stefano si sentì improvvisamente preoccupato senza saperne neppure il perchè.
"Damiano? Che succede?" - gli chiese.
"Vuole che io lasci Firenze!" - si sentì rispondere.
Stefano spalancò gli occhi, interdetto.
"Come, scusa? E perchè mai?"
"Dice che è giunta l'ora che prosegua i miei studi lontano da qui, in una specie di università o come diavolo l'ha chiamata..."
"Per quanto tempo?" - chiese.
Damiano scosse la testa.
"Tutto quello che sarà necessario! Anni, forse.."
"Anni? E...e dove andrai di preciso?"
"Non ne ho idea, credo che sia indeciso anche lui. L'unica cosa di cui è sicuro è che mi vuole fuori da questa casa entro dieci giorni al massimo!" - rispose Damiano.
Stefano si ammutolì, non sapeva che pensare.
Perchè suo padre aveva preso una decisione del genere? Da quanto tempo ci stava pensando senza dire nulla?
"E tu vuoi andare via?" - chiese.
Damiano si tirò su a sedere di scatto.
"Ovvio che no! E non andrò da nessuna parte. Io non ti lascio qui da solo con lui! M'inventerò qualcosa, vedrai!" - gli rispose.
Stefano annuì e abbassò gli occhi che gli caddero sul diario ancora aperto sulla scrivania e sull'ultima frase che aveva scritto: Sono felice, lo sono davvero, mi sento senza pensieri.
Osservò quelle parole per qualche istante ancora, poi riafferrò la penna e le cancellò via tutte. Se Damiano se ne fosse andato via, per anni lontano da lui, non sarebbe mai stato felice, affatto.





NOTE:
Ciao a tutti e buon givedì sera!!!
Come va? Come sempre inizio ringraziando tutti coloro che hanno letto e/ o recensito lo scorso capitolo! Grazie mille davvero!**
Che dire di questo capitolo, più leggero di tutti quelli che ho scritto fino ad adesso, senza dubbio.
Il protagonista di sicuro è stato Stefan alle prese con 15 anni e le sue prime preoccupazioni amorose e non.
L'unica nota dolente arriva sul finale, con Giuseppe che vuole spedire Damon via di casa, ma questo verrà approfondito in seguito quindi qui ho preferito soltanto accennarlo.
Ormai mancano tre capitoli alla fine e proprio questo sarà l'inizio dello step finale che porterà alla lenta rottura tra i due fratelli, quindi si, mi sa che un capitolo abbastanza leggero ci stava tutto prima di quelli che verranno adessoXDXDXDXD
Adesso, scusate se non scrivo le mie solite note lunghissime, ma già sono in ritardo nel postare e vado un pò di fretta, quindi...
Vi aspetto lunedì 24 settembre sul blog per lo spoiler mentre per il capitolo..
A giovedì 27...BACIONI..IOSNIO90!!!







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Capitolo 9
*** Frattura ***


Frattura

"No! Assolutamente no!" - era da ore che Damiano non faceva che ripetere sempre la stessa cosa, sin dalle prime luci dell'alba quando aveva raggiunto suo padre nel suo studio prima che facesse in tempo ad uscire di casa solo per potergli ribadire il suo categorico rifiuto.
Da dieci giorni non faceva altro che pensare e ripensare all'imposizione di Giuseppe, al fatto che aveva deciso, in un improvviso quanto sospetto lampo di interesse per le sue sorti, di spedirlo all'università, un'università un bel pò lontana dalla loro villa, dalla loro vita e dalla vita di Stefano.
Damiano non riusciava a non vederci una cospirazione dietro tutto ciò. In altre circostanze sarebbe stato ben felice di lasciare la casa paterna per cominciare a vivere il mondo così come aveva sempre voluto, ma qualcosa continuava a non tornargli e, dopotutto, capitava davvero raramente che qualcosa gli fosse chiara delle azioni di suo padre e delle motivazioni che le dettavano.
Per quanto gli riguardava era completamente da escludere che Giuseppe avesse preso a cuore il suo futuro e che avesse preso quella decisione soltanto per il suo bene, doveva esserci qualcosa sotto e quel qualcosa, Damiano ci si sarebbe giocato le mani, doveva per forza avere a che fare con suo fratello e con chissà quali progetti Giuseppe aveva in serbo per lui.
Suo padre aveva rinunciato ormai da tempo a qualsiasi piano avesse mai avuto nei suoi riguardi, ma con Stefano aveva trovato terreno fertile. Si era ritrovato davanti ad un ragazzo che non gli serbava tutto il rancore che gli serbava lui, che ancora lo considerava un padre magari addirittura capace di amare i propri figli e che sarebbe stato disposto anche a passare oltre ad anni ed anni di indifferenza e torti pur di allacciare un rapporto con lui, il tutto a causa di una naturale indole mansueta che Stefano aveva ereditato da Margherita e che nulla aveva a che fare con quella ben più combattiva che era la sua.
Damiano credeva molte cose di suo padre, ma di certo non aveva mai pensato che fosse un'idiota, indi per cui gli veniva facile pensare che Giuseppe si fosse fatto un calcolo ben preciso di come, da quel giorno in avanti, avrebbe voluto che la vita di suo fratello si svolgesse. Sicuramente voleva inserirlo a pieno titolo negli affari di famiglia per poi trovargli una ragazza docile e carina con la quale fargli contrarre un matrimonio che avrebbe giovato alla loro famiglia e a quella della prescelta, così come si confaceva ad ogni giovane uomo del rango di Stefano.
L'unico ostacolo, quindi, era lui e Damiano credeva che Giuseppe avesse calcolato anche questo.
Lui che si era sempre battuto per suo fratello non avrebbe mai accettato che finisse col diventare soltanto un'altra ruota del carro trainato da Giuseppe, uno dei tanti ingranaggi che serviva soltanto a mantenere alto l'onore della famiglia anche a discapito della personale felicità. Si sarebbe messo in mezzo, avrebbe fatto in modo che Stefano capisse una volta per tutte che non era il loro astuto padre a dovere decidere del suo destino, ma che poteva benissimo farlo da solo, scegliere ciò che più lo avrebbe reso felice e che se Giuseppe davvero desiderava far parte della sua vita, allora lo avrebbe aiutato e accettato lo stesso.
Ma tutto questo Giuseppe non poteva permetterselo, quindi aveva deciso di tentarlo offrendogli l'occasione che lui aveva sempre desiderato di avere: una vita lontana da lui con l'opportunità di decidersi in autonomia la strada che più avrebbe voluto percorrere senza alcuna interferenza paterna. Questo, ovviamente, con la speranza che lui dicesse di si e che gli lasciasse via libera con Stefano.
Nella mente di Damino il ragionamento era semplice e lineare.
"La mia è una decisione definitiva, Damiano, non ho alcuna intenzione di tornare sui miei passi. Domani lascerai questa casa. Il fratello del marchese Carpin ti aspetta a Venezia dove ti ospiterà per tutto il tempo necessario fino alla fine dei tuoi studi, qualsiasi argomento essi trattino. I tuoi bagagli saranno ultimati in mattinata e verrano spediti già tra qualche ora. In quanto al denaro, ne avrai a sufficenza e te ne arriverà una consistente quota ogni venti giorni. E' deciso. Come vedi è già tutto pronto." - gli rispose Giuseppe, con un'irritante nota di calma e indifferenza nella voce, mentre era intento a rileggere sommariamente qualche documento pieno zeppo più di numeri che di parole.
"Ovviamente! Peccato che io non ho alcuna intenzione di lasciare questa casa!" - si ostinò Damiano.
Giuseppe scosse di poco la testa e gli lanciò un'occhiata, fermandosi in piedi alle spalle della sua grossa scrivania.
"Eppure pensavo che ci saresti andato a nozze con l'idea di andartene da qui."
"E sarebbe anche così, se questo non significasse lasciare Stefano nella tue mani!"
"Questa discussione non riguarda tuo fratello, ma il tuo futuro." - obiettò Giuseppe.
"Certo che riguarda Stefano! Riguarda sempre Stefano. Ho promesso alla mamma che l'avrei protetto, che avrei fatto in modo che fosse felice."
Damiano tacque, lasciando spazio soltanto al silenzio per diversi minuti. Giuseppe lo fissava con gli occhi socchiusi, come a rimproverarlo per il fatto che avesse appena violato uno delle sue più ferree regole: mai parlare di Margherita in sua presenza.
Un regola, quella, che Damiano fin da bambino odiava più di tutte le altre messe insieme, una regola che da sola era bastata, nel momento in cui era stata stabilita per la prima volta ad alta voce, a far scattare quel disprezzo che da allora aveva preso ad associare sempre alla figura di suo padre.
"Avete un piano per Stefano, un piano che non mi piace." - riprese.
"Non ho nessun piano per tuo fratello, non essere paranoico adesso."
"Volete farlo diventare come voi." - quelle parole, dette da Damiano, sembrarono un'accusa bella e buona.
Giuseppe lo trafisse con lo sguardo. Damiano gli restituì il favore. In quel momento i suoi occhi neri erano più scuri del solito, senza alcuna luce ad illuminarli dall'interno, un'unico insieme di determinazione e sfrontata aggressività.
"Voi volete manipolarlo." - continuò.
Giuseppe lasciò cadere i fogli che ancora teneva stretti e battè con forza le mani sul legno duro della scrivania.
"Mi dipingi come un mostro! Io sono vostro padre!" - urlò, perdendo tutta la compostezza che era solito sfoggiare.
"Sulla carta, ma non vi siete mai comportato come tale. Da quando la mamma ci ha lasciati voi non avete fatto altro che delegare tutto ciò che riguardava me e Stefano a qualcun altro. Prima la balia, poi il precettore...non avete mai mostrato il minimo interesse per noi e adesso pretendete di decidere del nostro futuro spacciandovi per un padre che ha davvero a cuore l'avvenire dei suoi figli! Io e Stefano siamo cresciuti da soli!"
"Io ho sofferto...per la morte di mia moglie!" - fece Giuseppe in risposta.
"Noi eravamo dei bambini e l'abbiamo vista morire. Voi avreste dovuto sostenerci, avrete dovuto starci accanto e non lo avete fatto. Adesso non avete alcun diritto di lamentarvi perchè io non riconosco in voi più alcuna autorità paterna nè alcun nobile sentimento celato dietro le vostre azioni. Sono cresciuto senza l'aiuto di nessuno avendo a cuore solo Stefano, solo la promessa fatta a mia madre. Mi sono occupato solo di mio fratello, lasciando che la mia vita fosse completamente votata alla felicità che avevo giurato che lui avrebbe conosciuto."
"Damiano....sto cercando di occuparmi di te. Prova a credermi."
"Voi non me lo porterete via! Io non ve lo lascerò fare!"
"Damiano!"
Il richiamo di suo padre lo raggiunse quando già aveva lasciato la stanza e si era avviato a grandi passi lungo il corridoio.
Si sentiva completamente fuori di se. E messo alle strette. Più di ogni altra cosa si sentiva messo alle strette.
Il pensiero che ci fosse la remota possibilità che Giuseppe si stesse realmente dando da fare per lui non riusciva minimamente a farsi strada nella sua testa, inondata com'era dall'unica idea che suo padre fosse solo un usurpatore.
Ancora una volta, riusciva a formulare un unico ragionamento: Giuseppe all'epoca della morte di Margerita non aveva saputo come affrontare la cosa e aveva lasciato i suoi due figli da soli, rimanendo a guardare distrattamente negli anni mentre lui, il maggiore, prendeva in mano le redini della situazione e aiutava se stesso e suo fratello a crescere, a costruirsi una vita. Infine, adesso che sia lui che Stefano erano diventati abbastanza grandi da non avere più bisogno costantemente di una guida paterna, Giuseppe aveva deciso di infilarsi nel mezzo, cercando di mostrarsi pentito tramite stupide paroline e stupidi gesti, con la pretesa di fare il padre adesso che la parte più dura del crescere due figli che avevano dovuto affrontare una perdita simile in così giovane età era passata.
Damiano era convinto che Giuseppe volesse mandarlo via perchè sapeva che lui non avrebbe mai abboccato e perchè sapeva anche che Stefano, nonostante fosse in grado di perdonargli qualsiasi cosa al suo primo accenno di pentimento, non avrebbe mai dato retta soltanto a lui benchè fosse il padre, ma avrebbe continuato a fare affidamento anche e soprattutto sull'unica persona che gli aveva sempre badato, cioè Damiano.
Doveva essere così. Non poteva esserci altra spiegazione. Doveva essere per forza così.

Il grande orologio a pendolo esposto in salotto battè le due di notte quando Stefano realizzò che, preso com'era dai suoi pensieri, oramai era impossibile che riuscisse ad addormentarsi tranquillo e a riposarsi per ciò che lo attendeva la mattina dopo.
Si era ripromesso che si sarebbe stampato in faccia un bel sorriso nel salutare Damiano in partenza per l'università e non poteva permettersi di non rispettare quel giuramento fatto a se stesso. Un pò per lui, un pò per suo fratello.
Nonostante lo sbigottimento iniziale causato dalla notizia, in quei dieci giorni Stefano aveva trascorso molto tempo a riflettere ed era giunto alla conclusione che forse era un bene che suo fratello si allontanasse per terminare i suoi studi. Sapeva che Damiano era molto preoccupato per cosa ne sarebbe stato di lui una volta rimasto solo, ma Stefano era più che convinto che fosse giunto il momento, per suo fratello, di cominciare a pensare un pò più a se stesso che a lui.
Lui sarebbe stato bene. Era cresciuto, aveva imparato molte cose, spesso proprio da Damiano stesso. In definitiva: poteva farcela. E passare del tempo da solo con suo padre non credeva potesse causargli poi tanto danno. Insomma, era pur sempre di suo padre che si stava parlando!
Conosceva da sempre l'opinione che Damiano aveva di Giuseppe, ma Stefano non poteva fare a meno di credere che un'opportunità, soprattutto adesso che Giuseppe sembrava desideroso di guadagnarsela, gliela si poteva concedere.
Suo padre era un uomo, quindi sbagliava. Non era perfetto, ma era tutto ciò che avevano. Disprezzarlo per le azioni compiute in passato non avrebbe portato a nulla; al contrario, provare a dargli un pò di fiducia, voltando le spalle a ciò che era stato e volgendo lo sguardo al futuro, forse un giorno avrebbe dato dei risultati positivi, forse addirittura quel piccolo atto di perdono e comprensione avrebbe restituito loro una famiglia vera, unita.
Stefano non credeva che tutto ciò fosse soltanto pura utopia, anzi si era convinto che con un pò di buona volontà da parte di tutti fosse un qualcosa di fattibile, di realizzabile.
Per questo motivo aveva messo da parte ogni sua lamentela, ogni dubbio ed ogni attacco di tristezza per il fatto che presto non avrebbe più avuto il supporto dato dalla presenza costante di suo fratello nella sua vita e aveva provato a mettersi l'anima in pace, a guardare la cosa da un punto di vista diverso, più maturo.
Li aveva ascoltati i litigi tra suo padre e suo fratello che avevano fatto da sottofondo alla vita della villa per i dieci giorni precedenti, sapeva che l'unico motivo per cui Damiano si ostinava tanto a combattere era lui. Si sentiva in colpa per questo ed anche un pò a disagio.
Negli anni Damiano aveva ricoperto per lui non soltanto il ruolo di fratello maggiore e di questo gli era grato, ma adesso che gli anni erano passati Stefano cominciava a sentirsi un peso ingombrante sulle spalle di suo fratello, un peso che non gli permetteva di andare avanti, di guardare oltre quel ruolo che sì ricopriva nella sua vita, ma che non doveva essere l'unica cosa che per Damiano avesse senso ed importanza.
Si sentiva in debito con suo fratello di tutta quella serenità, di quella felicità che crescendo gli aveva donato. Per ripagarlo doveva lasciarlo libero, libero di vivere la sua vita così come voleva. Era la libertà - libertà dalle restrizioni, dai compromessi, dalle imposizioni, dalle regole - il miglior dono che potesse fare a Damiano.
Stefano, che conosceva la vera indole del fratello, spesso si era ritrovato a pensare che Damiano, per la persona che era e per le idee che aveva, fosse nato nel secolo sbagliato o magari solo nel luogo sbagliato. Forse, con un interno mondo di possibilità ai suoi piedi, con un intero mondo in via d'espanzione da conoscere e scoprire e senza più le costanti preoccupazioni date dal suo fratellino, Damiano sarebbe riuscito a trovare, da qualche parte, un angolo di quel mondo fatto su misura per lui, in cui poter essere nient'altro che se stesso.
Stava ancora parlando con se stesso quando la sua attenzione venne attirata da un rumore sordo molto simile a quello di passi leggeri e strascicati proveniente dal corridoio.
Si irrigidì ed i suoi sensi scattarono tutti in allerta quando la porta della sua camera venne socchiusa leggermente e il fascio di luce di una candela illuminò una lunga striscia di pavimento.
Chi poteva essere a quell'ora della notte?
Ogni sua impovvisa paura si placò soltanto nel momento in cui ascoltò e riconobbe la voce che prese a pronunciare il suo nome dall'oscurità oltre la porta dopo un lungo attimo di silenzio angosciante.
"Stefano! Stefano! Stefano, sei sveglio?" - il sussurro di Damiano era frettoloso e concitato.
Tirò fuori completamente la testa dalle coperte e scattò a sedere, annuendo.
Damiano allora entrò nella camera e si richiuse subito la porta alle spalle. Stando attento ad ogni minimo rumore, portò la candela che reggeva in mano accanto allo scaffale dove riposavano spenti i candelabri della camera di Stefano e ne accese un paio.
"Damiano? Che succede? E' notte fonda!" - fece Stefano.
Suo fratello non gli rispose, ma spalancò le ante del suo armadio, ne tirò fuori un grosso baule e cominciò a ficcarci dentro tutti gli indumenti su cui riusciva a mettere le mani. Afferrò anche il suo diario dal cassetto in cui lo riponeva e lo mise insieme al resto.
Stefano cominciò ad agitarsi.
"Damiano! Rispondimi, per favore, si può sapere che sta succedendo?" - chiese ancora.
Damiano afferrò con una mano la vestaglia che teneva ripiegata ai piedi del letto e gliela lanciò.
"Alzati e vestiti. Alla svelta! E non fare rumore! Non deve sentirci nessuno." - lo istruì.
Stefano spalancò gli occhi, ma afferrò la vestaglia e se la infilò, mentre scendeva dal letto e raggiungeva suo fratello. Un terribile pensiero circa le intenzioni di Damiano gli si formò nella mente.
"Damiano..." - provò a chiamarlo.
"Bravo! Ti sei alzato. Adesso và a vestirti, coraggio." - lo incitò, afferrandolo per le spalle e spingendolo più in la, verso lo specchio, mentre prendeva a cercare scarpe e camicie da aggiungere a ciò che già era finito disordinatamente in quel baule.
Stefano non si mosse.
"Sei ancora lì? Ti ho detto di fare in fretta. Forza!"
"Perchè? Perchè dovrei vestirmi a quest'ora della notte? E perchè stai facendo tutto...questo?"
"Smettila di lamentarti! Fà come ti ho detto!"
"Perchè?" - pretese Stefano.
"Perchè ce ne andiamo. Ecco perchè! Contento? Adesso muoviti."
Stefano scosse la testa e abbassò lo sguardo.
Suo fratello....sembrava fuori di se, non lo aveva mai visto in quelle condizioni, così poco ragionevole poi. Ciò che voleva fare era una follia, non se ne rendeva conto?
Damiano diede un'ultima occhiata al baule e lo chiuse prima di tornare a fissarlo, con gli occhi lucidi d'impazienza.
"Stefano ti ho detto di--"
"No!"
"No?"
"Non verrò con te. Non ce ne possiamo andare. Io non posso venire con te!" - disse.
Damiano scosse la testa.
"Non hai la minima idea di ciò che stai dicendo..."  - gli rispose.
"No, sei tu che non hai la minima idea di ciò che stai facendo, invece!" - ribattè Stefano - "Cosa vuoi? Che noi due fuggiamo dalla casa di nostro padre? E' una pazzia!"
"Vuole dividerci!" - obiettò Damiano - "Vuole spedirmi a Venezia cosicchè possa avere campo libero per manipolare la tua vita. Vuole farti diventare come lui, togliendoti ogni libertà di scelta. Vuole prendere il mio posto. Vuole tenerti lontano da me!"
Stefano si fece avanti, un pò timoroso di fronte a tanta ostilità, ma riuscì a poggiargli entrambe le mani sulle spalle. Benchè avessero tre anni di differenza, ormai avevano raggiunto più o meno la stessa altezza.
"Damiano, è di nostro padre che stai parlando, non di un mostro. Hai mai provato a pensare che forse si è reso conto degli errori che ha commesso in passato e sta cercando di sforzarsi per riuscire a fare la cosa più giusta per il tuo futuro? Pensaci! Vuole che tu vada a Venezia perchè sa quanto tu hai bisogno di sapere di poter prendere le tue decisioni senza nessuna influenza esterna. Ti ha concesso di poter studiare qualsiasi cosa tu voglia per poter intraprendere qualsiasi strada tu scelga, che sia anche all'opposto della sua. Ci sta provando veramente, me lo sento!"
Damiano scosse la testa e sfuggì alla sua presa, distogliendo lo sguardo e facendo un passo indietro, con le braccia incrociate al petto.
"Tu sei troppo buono, Stefano. Vedi il bene ovunque. Ti fidi troppo." - gli disse.
"E se non fossi io quello che si fida troppo? Se, invece, fossi tu quello che si fida troppo poco? Non siamo noi due contro il mondo intero, non c'è marcio ovunque."
Suo fratello tornò a guardarlo. Aveva il respiro corto e una profonda ruga gli segnava la fronte aggrottata.
"Tu vuoi che io me ne vada? Vuoi che ti lasci da solo?" - gli chiese, nella sua voce Stefano riconobbe incredulità.
"No è questo il punto. Non si tratta più di me, ma di te. Ti sei dato tanto da fare per darmi una vita degna di questo nome, una vita felice, che spesso penso che tu, per occuparti di me, abbia trascurato te stesso e non è giusto. Anche tu meriti la tua dose di felicità e se lasciare questa casa, lasciare me, ti aiuterà ad ottenerla....allora si, voglio che tu insegua il tuo desiderio di libertà, voglio che tu lasci Firenze, lasci ogni incombenza che riguardi la mia buona crescita a me e a nostro padre per fare quello che ti riesce meglio: scoprire ciò che è nascosto dietro l'angolo e che ancora non conosci. Voglio che provi a pensare soltanto a te stesso per una volta e a vedere che succede!"
Stefano aveva parlato col cuore, mettendoci l'anima in ogni parola da lui pronunciata, ma ciò che gli parve di scorgere negli occhi tumultuosi di suo fratello non era ciò che si era aspettato di vedere quando aveva cominciato quel discorso.
"Già parli come lui!" - lo accusò - "Non si tratta di te? Certo che si tratta di te! Per quanto mi riguarda si è sempre trattato di te. Tu non puoi volere che io vada via perchè io non posso andarmene, lo capisci? Io devo proteggerti, devo assicurarmi che tu stia bene. E' questo il mio compito. E' questo ciò che faccio, ciò che ho sempre fatto, giorno dopo giorno, negli ultimi dodici anni. Non potete portarmelo via. Non potete pretendere che io lasci perdere tutto adesso e semplicemente....pensi al mio futuro. Non esiste. E' al tuo futuro che devo pensare. L'ho promesso a nostra madre e l'ho promesso a te il giorno del suo funerale. Ti ho promesso che non me ne sarei mai andato, come puoi non ricordartelo? Me l'hai chiesto tu!"
"Me lo ricordo! Mi ricordo tutto! Ma tu non capisci! Non è così che devi vivere. Proteggere me non può essere l'unica cosa che conta. Io ormai sono cresciuto, posso cavarmela, me lo hai insegnato tu stesso. Adesso devi preoccuparti della tua vita! Hai fatto un ottimo lavoro con me, ma è arrivata l'ora che tu la smetta di combattere per me e cominci a combattere per te stesso, per trovare il tuo posto nel mondo. Quando nostra madre ti ha chiesto di farmi conoscere cosa significava essere felici, sono convinto che non volesse che, per onorare una simile promessa, tu mettessi da parte te stesso. Ed io ti ho chiesto di non andartene mai, è vero, ma noi siamo fratelli, siamo sangue dello stesso sangue, non importa quanta distanza fisica ci sia tra di noi, ci saremo sempre l'uno per l'altro."
Un pesante silenzio travolse entrambi. Stefano si ritrovava stanco e spostato dopo tutto ciò che si erano detti. Per un attimo, un attimo solo, si permise di distogliere lo sguardo da suo fratello per farlo volare ad una delle candele accese, la cui fiamma aveva improvvisamente preso a tremolare come conseguenza ad uno spiffero d'aria causato dalla lenta chiusura di una delle ante del suo armadio.
"Quindi tu vuoi che io me ne vada." - concluse Damiano.
Stefano tornò a guardarlo e annuì, una sola volta, con serietà.
"Si, voglio che tu vada via." - confermò.
Damiano prese un respiro, diede un piccolo colpo con un ginocchio al baule che giaceva lì, ricolmo di cose ai suoi piedi, poi gli voltò le spalle e si diresse alla porta, fermandosi solo per riprendere la candela con la quale era entrato.
"Damiano?" - Stefano lo fermò mentre faceva leva sulla maniglia per poter uscire - "Tu hai capito, vero, il perchè? Hai capito il motivo per il quale io voglio che tu vada a Venezia, giusto?"
Damiano restò immobile per parecchi istanti, fermo sulla soglia della porta, dandogli le spalle.
Stefano, in cuor suo, desiderava soltanto che si voltasse e che gli dicesse di non preoccuparsi, che alla fine aveva compreso le sue ragioni.
Damiano non si voltò. Non si voltò nè gli rispose.
Lasciò la stanza.

Sentiva di aver perso.
Non appena Giuseppe gli aveva detto che presto sarebbe partito, Damiano aveva cominciato a lottare perchè sapeva che se fosse andato via qualcosa gli sarebbe stato strappato, ma quella sera, faccia a faccia con Stefano, era stato come se quel qualcosa gli fosse già stato portato via prima ancora che lasciasse quella casa.
Quel qualcosa di così tanto indefinito era il suo ruolo tra quelle mura, il suo ruolo nella vita di Stefano, l'unica vita di cui gli era mai importato qualcosa, effettivamente.
Cosa gli rimaneva senza più quel ruolo? In quella villa in cui aveva l'impressione di essere diventato quello di troppo, quello senza uno scopo da perseguire, sicuramente non gli rimaneva più nulla.
Salì su quella carrozza quando il sole era soltanto un lieve e lontano bagliore aranciato e la luna era ancora alta nel cielo e non dava segno di voler sparire, molte ore prima dell'ora fissata per la sua partenza.
C'era soltanto lui, lui e il cocchiere.
Disse all'uomo di partire dopo essersi concesso soltanto una breve occhiata alla finestra della camera di suo fratello.
Voleva che se ne andasse e lui lo stava accontentando, ma la promessa che gli aveva fatto quando erano bambini ancora gli scalpitava nel petto.
Con o senza il suo consenso, per proteggerlo oppure no, non lo avrebbe lasciato. Mai. Per il resto dei suoi giorni.

Stefano riaprì gli occhi il giorno dopo un paio d'ore prima del solito. Neppure ricordava quando era riuscito ad  addormentarsi, sapeva soltanto che, dopo che Damiano aveva lasciato la sua camera, si era messo a letto a fissare le fiamme di quelle candele ancora accese per non pensare, fino a che probabilmente le palpebre gli erano diventate pesanti ed aveva ceduto al sonno.
Nonostante avesse dormito poco, però, si era svegliato presto per assistere agli ultimi preparativi per la partenza di Damiano e per poter salutare suo fratello ribadendogli brevemente che se voleva che partisse non era perchè non lo voleva più nella sua vita, ma che lo desiderava per lui, per il suo avvenire.
Si buttò un pò d'acqua sul viso e si vestì in fretta, precipitandosi al piano di sotto.
A metà scala, però, si era già reso conto che qualcosa non andava.
A quell'ora avrebbe già dovuto essere tutto pronto, con tanto di carrozza all'ingresso e porta spalancata, ma non c'era niente e non c'era nessuno.
Si guardò intorno, confuso, poi sentì dei passi e la voce di suo padre provenire dall'esterno. Si affrettò a raggiungere una finestra e vide Giuseppe scambiare poche parole con il loro secondo cocchiere prima di ritornare in casa, sfuggendo al freddo del mattino.
Stefano si accigliò e lo raggiunse.
"Padre! Cosa succede? Dov'è la carrozza? E Damiano? Dov'è mio fratello? Avrebbe già dovuto essere qui, pronto per il suo viaggio..." - fece.
Giuseppe annuì e gli posò una mano su una spalla.
"Damiano è già partito." - gli rivelò.
"Cosa? E' impossibile! Io...non ho neppure avuto modo di salutarlo. Perchè nessuno mi ha avvertito?"
"Nessuno è riuscito a salutarlo, Stefano. Tuo fratello è partito in piena notte" - gli rispose - "Non ti angosciare, vedrai che statà bene."
Stefano avrebbe voluto davvero seguire il consiglio di suo padre e non angosciarsi, ma non ci riusciva, non poteva.
La notte prima aveva detto a Damiano che loro due non si sarebbero mai persi, ma proprio quella discussione, la partenza solitaria e notturna di suo fratello, la freddezza con cui aveva lasciato la sua camera....
Stefano cominciava a non essere più tanto certo di poter credere alle sue stesse parole.




NOTE:
Ciao a tutti! Ecco qui il nuovo capitolo, l'ottavo. Dopo questo, tra due settimane ci sarà il nono e poi l'epilogo di questa storia.
Che dire...ve l'avevo detto che, nonostante il titolo, nessuno si rompeva un osso, no?XD
La frattura, a parte gli scherzi, è ovviamente di tipo diverso, riguarda il rapporo tra i fratelli, ma la si vedrà maggiormente nel prossimo capitolo che sarà narrato a due anni di distanza, giusto poco prima dell'arrivo di una certa vampira.
In questo capitolo, infatti, il salto temporale è stato di appena dieci giorni, quelli che Giuseppe aveva concesso a Damon nello scorso capitolo prima della sua partenza.
E alla fine Damon parte.
Insomma, lo sapevamo che partiva, nel primo libro viene detto chiaramente che Damon torna alla villa e incontra Katherine dopo essersene tornato a casa dall'università.
Il fatto interessante, credo, era capire perchè partiva, visto e considerando che sembrava piuttosto deciso a non volerlo fare.
Non è un bel capitolo per Damon, si mostra immaturo, attaccato alle promesse che ha fatto prima a sua madre e poi a Stefan e al ruolo che si è ritagliato negli anni e non vuole lasciare perchè crede di non avere nient'altro.
Dal mio punto di vista - magari sbaglio, fatemi sapere voi come la pensate - tra i due, nonostante tutto, quello che più dipende dall'altro fratello non è Stefan, ma proprio Damon.
Stefan ha una vita sua, grazie alla sua indole e grazie al fratello è stato in grado di crearsela abbastanza serenamente. La vita di Damon, invece, mi è sempre sembrato che ruotasse intorno a quella del fratello. Vuoi per proteggerlo, vuoi per distruggerlo, Stefan sembra sempre il perchè di fondo di ciò che Damon fa.
Ma questo è solo un mio pensiero random, eh!XDXDXD
Vabbè...vi lascio.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo**
Vi aspetto lunedì 8 ottobre sul blog per lo spoiler, mentre per il capitolo...
A giovedì 11 ottobre...BACIONI...IOSNIO90!!!




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Capitolo 10
*** Estranei ***


Estranei

"Stefano!" - la voce di Giuseppe risuonò per l'intera villa.
Poco dopo la porta della camera del ragazzo si spalancò rivelando la figura alta dell'uomo.
"Figliolo? La carrozza è già pronta, se non ci affrettiamo, finiremo con l'arrivare in ritardo alla festa in onore del fidanzamento della giovane Cecilia e non sarebbe educato, soprattutto da parte tua."
Stefano, seduto al suo scrittoio, si voltò a guardare il padre e annuì.
"Avete ragione. Arrivo tra un attimo, devo soltanto annotare brevemente una cosa." - spiegò.
Giuseppe sospirò e gli intimò con lo sguardo di sbrigarsi, dopodichè si richiuse la porta alle spalle e marciò via lungo il corridoio.
Stefano allora intinse la penna d'oca nell'inchiostro e prese a scrivere.

Caro diario,
sono trascorsi oggi due anni dalla partenza di Damiano ed io ho appena riposto nella solita scatola nascosta nel fondo del mio armadio la ventiquattresima lettera che gli ho scritto, ma non ho mai spedito. C'era scritto il solito, quello che l'ultima volta che abbiamo parlato ho cercato di fargli capire e che vorrei continuare a ripetergli adesso, cioè che voglio che sia felice.
Credo che in fondo lo sappia, però. Mio fratello mi conosce, non penserebbe mai che voglio il suo male perchè sa che non è così. O almeno è questo che mi piace ancora pensare dopo due anni di silenzio.
Mi rendo conto, però, che in parte la colpa è anche mia. Lui conosce me, ma anch'io conosco lui e forse dovevo o dovrei farlo io il primo passo, magari inviandogli una di quelle lettere. Però solo a pensarci provo paura. Ho il timore che si rifiuti ancora di capirmi e che le nostre strade si dividano ancora di più.
A volte mi sento sbagliato, sento sbagliato il nostro rapporto e tutti i pensieri in merito da cui mi lascio affliggere. Mi capita spesso di soffermarmi a guardare il legame che lega alcuni compagni della mia stessa età ai loro fratelli maggiori o minori che siano e mai nulla mi ricorda me e Damiano.
E' facile pensare che sia stata la vita a renderci così indispensabili l'uno per l'altro, che se nostra madre fosse guarita e sopravvissuta alla malattia le cose sarebbero state diverse, ma spesso....non so...ho la sensazione che noi due siamo così perchè siamo diversi e che, in un modo o nell'altro, sarebbe sempre stato quello il legame che ci avrebbe unito. Non so più se è un bene, se è una cosa di cui rallegrarmi. Legami simili portano immense gioie, comprensione totale, la certezza che ci sarà sempre qualcuno sul quale contare, ma portano anche grandi complicazioni, grandi distanze e grandi paure quando le cose non vanno per il meglio.
Mi sento confuso. E' difficile capire cosa fare. L'unica cosa che vorrei è potergli parlare, appianare ogni cosa rimasta in sospeso, dimostrargli che davvero posso essere indipendente da lui e che di sicuro lo sono da nostro padre e vorrei non deluderlo ancora. Damiano....è fragile...

Qualche ora più tardi, mentre si aggirava tra la folla di nobili radunatisi nella lussuosa villa dei marchesi Venotti alla periferia nord di Firenze, Stefano ripensava ancora alla lettera scritta nel pomeriggio, alle parole che aveva riversato nel suo diario e a suo fratello. Era difficile non pensarci in quel particolare giorno, nonostante si stesse sforzando con tutto se stesso di mostrarsi spensierato e felice per la sua amica e il suo fidanzamento.
Cecilia e Ludovico Venotti si erano conosciuti circa sei mesi prima in occasione di una festa che, solo in seguito, si era scoperto fosse stata organizzata di proposito dai loro genitori nella speranza che si conoscessero e trovassero piacevole l'uno la compagnia e la presenza al proprio fianco dell'altra.
Si diceva, infatti, che entrambi i ragazzi avessero in ogni modo cercato di imporsi sui genitori per evitare un matrimonio combinato e d'interesse, quindi le due coppie di marchesi avevano fatto ricorso ai sotterfugi e quando la cosa era venuta alla luce sia Cecilia che Ludovico avevano già scoperto di provare dei forti sentimenti d'affetto l'uno per l'altra per tirarsi indietro dinanzi alla concreta prospettiva di una vita non soltanto agiata, ma anche felice.
Stefano era contento per lei. Crescendo, infatti, aveva capito che ciò che lo legava alla ragazza era una forte amicizia che all'inizio, per la giovane età e la totale inesperienza sia nei sentimenti sia nel rapportarsi con il sesso opposto, avevano entrambi scambiato per qualcosa di ben più profondo. Lei era stata il suo primo amore, ma si era trattato di un qualcosa di così puro e totalmente innocente che delle volte anche il termine "amore" non gli sembrava adatto. Preferiva definire il loro rapporto come una connessione platonica a livello emotivo. Si erano capiti. Cecilia era stata la prima persona, dopo suo fratello, con la quale aveva sentito di potersi aprire e questo gli aveva insegnato molto, gli aveva fatto capire, sopra ogni altra cosa, che esisteva un mondo al di fuori dei confini della sua villa, un mondo fatto di persone diverse le une dalle altre che valeva la pena incontrare e conoscere. Se adesso si sentiva più forte e sicuro, in un certo senso, lo doveva a lei.
"Ti vedo giù di morale. Non ti è permesso essere giù di morale alla mia festa di fidanzamento."
Cecilia lo sorprese arrivandogli alle spalle. Stefano si voltò a guardarla e le sorrise.
"Hai ragione, scusa. Ancora congratulazioni, a proposito. Sono felice per te." - le disse.
"Lo so che lo sei. E mi piacerebbe poterti dire lo stesso, ma come posso essere felice per te se tu per primo non sei felice? C'è qualcosa che ti angoscia, lo vedo." - si sentì rispondere.
Stefano scosse la testa, ma il sorriso gli morì sulle labbra e si trasformò in una piccola smorfia.
"Dovresti tornare alla festa e non preoccuparti per me."
"Lo farei anche, ma ero venuta per chiederti di ballare con me e adesso c'è un problema: un compagno di danze musone non lo voglio, quindi prima parliamo. Si tratta di tuo fratello? Guarda che lo so che lo so che questo è un giorno strano anche per te, anche se non per i miei stessi bei motivi ovviamente."
Stefano tentò invano di farle cambiare argomento, di convincerla a tornare ai suoi invitati che presto l'avrebbe raggiunta e avrebbero potuto ballare così come lei desiderava, ma Cecilia era testarda quindi alla fine sospirò e cedette, annuendo.
"Hai avuto delle notizie da lui?" - gli chiese.
Stefano scosse la testa.
"No, nessuna notizia. Non da lui direttamente, comunque. Le poche cose che sappiamo ci vengono dette dal marchese Carpin quando riceve notizie da suo fratello lì a Venezia presso cui è ospite Damiano e si lascia sfuggire qualcosa su di lui." - rispose, scrollando le spalle mentre si appoggiava al lungo tavolo imbandito alle sue spalle.
Cecilia afferrò un acino d'uva bianca e lo mangiò distrattamente prima di tornare a parlare.
"Quindi non ha mai risposto neppure a tutte le lettere che gli hai inviato?"
"Lettere? Quali lettere?"
"Quelle che mi hai detto che gli scrivi ogni mese, ricordi?"
Ah! Già! Quelle che era stato costretto a confessarle che scriveva perchè qualche mese prima lo aveva scoperto sul portico della villa mentre rimetteva l'ennesima lettera al sicuro nella sua scatola, ecco quali.
Stefano sospirò nuovamente socchiudendo per un attimo gli occhi.
"No, non ha mai risposto e neppure avrebbe potuto visto che non gli ho mai inviato nulla." - confessò.
Cecilia spalancò gli occhi, per un attimo parve confusa, ma presto si riprese e gli assestò un leggero buffetto su un braccio.
"Non gliele hai mai inviate? E potrei sapere il perchè?"
"Perchè....tu non lo conosci, Cecilia. Probabilmente avrei soltanto peggiorato le cose insistendo a dire ciò che ha travisato e per cui si è sentito tradito due anni fa quando è andato via."
"Oh, ma andiamo, smettila di rendere tutto così difficile!" - lo rimproverò lei - "Và a Venezia e parlaci di persona se temi tanto che possa fraintendere la parola scritta."
"Non vuole vedermi!"
"E tu come fai a saperlo se non ci parli da due anni?"
"Appunto per questo lo so! E poi...non è esattamente vero che non ha mai scritto. L'ha fatto in occasione di tutte le sacre Feste. Mandava un biglietto alla villa e non mancava mai di farci sapere casualmente che non avrebbe potuto raggiungerci e noi nemmeno perchè aveva in programma di partire per questa o quella città e con questo o quell'altro conoscente. Si è tenuto lontano e ha tenuto lontani me e nostro padre. Non vuole vedermi. Se programmassi un viaggio simile e lo avvertissi del mio arrivo sono sicuro che non sprecherebbe tempo e manderebbe subito a dirmi di non partire perchè tanto non lo troverei..." - rispose Stefano mestamente.
Cecilia scosse la testa e gli poggiò una mano su una spalla, delicatemente, ma stringendo appena con le dita per fargli capire che era seria.
"E tu allora non avvertirlo! Arriva di soppiatto e coglilo di sorpresa come ho fatto io poco fa con te. Hai bisogno di parlare con tuo fratello, Stefano? E allora fallo. Punto!"
"Non posso partire così....all'improvviso. E poi non è detto che mio padre sarebbe d'accordo."
"Non cercare di trovare scuse che non esistono solo perchè hai paura di ciò che potresti trovare a Venezia. In questi due anni sei stato un perfetto giovane conte, tuo padre non può negarti il suo permesso perchè te lo deve, perchè ormai sei un uomo capace di prendere le tue decisioni da solo e perchè si tratta di tuo fratello, se vuoi fargli visita è a tua discrezione ed è un tuo diritto."
Stefano alzò gli occhi e li incorciò con quelli incoraggianti di Cecilia.
Per il resto della serata non fece che pensare alle parole della sua amica. Forse lei aveva ragione. Lui indubbiamente sentiva la necessità di poter tornare a parlare con Damiano come faceva una volta, ma era vero che un pò temeva ciò che avrebbe trovato ad attenderlo. Temeva che nulla fosse più come prima. Temeva che suo fratello avesse smesso di considerarlo parte della sua vita così come in passato aveva già fatto con Giuseppe.
Cecilia, però, aveva ragione anche su un'altra cosa: adesso ero un uomo in grado di prendere le sue decisioni e, in quanto tale, doveva anche dimostrarsi capace di affrontare le sue paure.
Aspettò che la festa volgesse al termine prima di parlare della sua decisione con suo padre. Erano in una delle loro carrozze sulla strada di ritorno alla villa quando prese la parola. Era notte, era buio e faceva già freddo. Si strinse nelle spalle e tentò di scaldarsi le mani soffiandoci l'aria calda del fiato.
"Alla festa vi ho visto ridere con un uomo che non mi è mai parso di incontrare in città. Chi era?" - fece, non per vero interessamento quanto più per intavolare un discorso dato il silenzio che regnava.
Giuseppe si ridestò dai suoi pensieri e si voltò a guardare il figlio.
"Ti riferisci di sicuro al barone Von Swartzschild. Era l'unica faccia nuova alla festa." - fece - "Io stesso lo conosco soltanto da qualche mese. E' straniero. Tedesco. Affari di famiglia lo hanno portato a Milano e poi a Firenze dove ci siamo ritrovati a collaborare. E' un brav'uomo. Mi raccontava della sua unica figlia scampata per miracolo alla morte dopo aver passato quasi tutta la vita a letto per la salute cagionevole. Ora sembra essersi ripresa del tutto ed lui era in vena di festeggiamenti."
Stefano prestò giusto quel minimo di attenzione necessaria al racconto del padre. Annuì e abbozzò un sorriso.
"Mi sembra giusto." - convenne.
Temporeggiò ancora qualche minuto, guardandosi le mani e strofinandole tra loro, poi tornò ad alzare gli occhi su suo padre e richiamò la sua attenzione con un leggero colpo di tosse.
"Padre? Ho deciso di partire per Venezia. Voglio vedere Damiano." - disse, infine.
Giuseppe aggrottò la fronte e sospirò.
"Tuo fratello ha sempre fatto intendere chiaramente che non gradisce l'idea di tornare a vederci..." - fece.
"Lo so, ma non mi importa. E' da due anni che non parlo con lui, non ricevo sue notizie...." - rispose - "Prima o poi dovrà pur tornare, lo so, ma non voglio che passi ancora altro tempo prima di rivederlo. E' mio fratello e anche se è lontano fa parte della mia vita e della nostra famiglia. La distanza non deve pregiudicare tutto. Non è giusto che le cose vadano così. Voglio assicurarmi coi miei occhi che sta bene e che ha trovato il modo di essere felice. E' per questo, dopotutto, che l'ho spinto ad andare via."
Suo padre annuì e, mentre la carrozza di fermava alle spalle della loro villa, gli poggiò una mano su una spalla e gli diede una leggera pacca.
"Vedo che sei deciso."
"Si, lo sono." - confermò Stefano.
"E a quando la partenza?"
"Domani stesso. Starò via solo qualche giorno, ve lo assicuro."
Giuseppe sospirò ed annuì nuovamente, ragionevole e stanco.
"Fà preparare subito i bagagli allora." - gli suggerì.
Stefano non se lo fece ripetere e, non appena mise piede in casa, ordinò che un baule grande abbastanza per un breve viaggio di qualche giorno gli venisse preparato. Dopodichè fece convocare uno dei cocchieri, il più giovane tra i due e gli comunicò che il mattino seguente all'aba sarebbero partiti alla volta di Venezia.
Fu un viaggio lungo, ma limitando le soste al minimo indispensabile e spingendo i cavalli alla corsa, Stefano mise piede a Venezia in appena un giorno e mezzo. Il fratello minore del marchese Carpin aveva ricevuto un suo biglietto che lo avvertiva del suo arrivo e lo pregava di non farne parola con Damiano soltanto qualche ora prima, ma lo accolse cordialmente a braccia aperte dicendosi felice che il suo ospite ricevesse la sua visita finalmente ed indicandogli la via per la biblioteca, dove avrebbe potuto trovare suo fratello.
Stefano ringraziò, si scusò educatamente per il poco preavviso e per il disturbo, lasciò che il suo bagaglio venisse portato nella camera che gli era stata fatta preparare in fretta da qualche domestica e poi si avviò lungo il corridoio. A tre metri dalla porta aperta della biblioteca risentì dopo due anni la voce di suo fratello.

"Dovresti smetterla di fare resistenza..."
"Ma...potrebbero vederci. Io non dovrei neppure essere qui."
"Il pericolo rende le cose più allettanti, non trovi anche tu?"
"Damiano!" - la voce della ragazza raggiunse al suo orecchio una nota talmente stridula che Damiano dovette chiudere gli occhi e voltare di poco la testa per assicurarsi che il suo timpano non fosse andato in mille pezzi.
Serena Carpin, la figlia del padrone di casa quasi felicemente in procinto di sposarsi - il "quasi" era d'obbligo visto che il suo futuro marito era sì dotato di un patrimonio estremamente cospicuo, ma anche della stazza di un bue e del cervello di un mulo, il che rendeva la povera ragazza una preda facile per le sue attenzioni e la soddisfazione delle sue voglie - era carina, certo, coi suoi capelli biondi e la sua pelle chiara, ma a lungo andare tendeva ad annoiarlo. Durante i primi tempi del suo soggiorno a Venezia era stato addirittura piacevole e stimolante passare ore ed ore a macchinare modi per sedurla e situazioni in in cui mettere in pratica le sue idee, quantomeno era un buon passatempo nelle giornate vuote, ma a distanza di due anni perdere ancora così tanto tempo gli pareva inutile. Se aveva già ceduto, cadendogli letteralmente tra le braccia molte, moltissime volte, proprio non riusciva a capire che altri problemi si facesse ancora e, soprattutto, perchè pretendeva che lui ascoltasse le sue remore. Le titubanze - a detta di Damiano - Serena doveva farsele venire quando era ancora in tempo, quando aveva ancora una virtù da preservare.
Strinse maggiormente la presa che le sue mani avevano sulla vita sottile di lei e fece per attirarla di più a se, in un ultimo tentativo prima di perdere completamente la pazienza. Lei, in risposta, sorrise timida e voltò la testa dall'altra parte quando lui si sporse per baciarla e allora, alzando gli occhi oltre la sua spalla, Damiano la sentì irrigidirsi.
- Bene! - pensò - Fantastico! E adesso chi è? -
Serena gli diede un piccolo colpetto su un braccio e si divincolò dalla sua presa.
Damiano sospirò e si preparò alla ramanzina del padrone di casa o, peggio ancora, alla prevedibile scenata di gelosia da parte di una qualsiasi delle giovani domestiche che potevano dire di aver goduto delle sue attenzioni almeno per una notte.
Ciò che arrivò, però, non se l'era immaginato e lo spiazzò: la voce di suo fratello.
"Scusate. Non era mia intenzione interrompere nulla." - fece Stefano.
Sempre educato e attento al prossimo lui.
"No, no. No! Non avete interrotto proprio niente. Non c'era nulla da interrompere..." - rispose Serena in tutta fretta per poi scappare letteralmente via dalla porta laterale dalla quale era entrata in biblioteca poco prima.
Damiano, allora, represse ogni cosa, ogni minima sensazione e ogni pensiero causatogli dal risentire la voce di suo fratello e dalla consapevolezza che era arrivato a Venezia per cercarlo e si voltò, stampandosi in faccia un sorriso che esprimeva pura ironia e menefreghismo e che Damiano aveva imparato ad usare alla perfezione per nascondere ciò che si celava, invece, nel fondo dei suoi occhi, cioè quanto in realtà gli importasse, quanto gli importasse di tutto.
"Scusala tanto, fratellino, a volte dimostra di non sapere proprio cosa sia l'educazione. Non ha nemmeno lasciato che vi presentassi." - fece.
Stefano scosse la testa e fece qualche passo nella sua direzione, spostandosi dall'uscio della biblioteca.
"Chi era?" - gli chiese.
Damiano scrollò le spalle.
"Serena, la figlia del mio ospite." - rispose.
"La tua fidanzata?"
Ovviamente! Quasi dimenticava che Stefano era troppo buono per non pensare subito che, data la situazione in cui li aveva trovati, lei fosse la sua promessa.
"Assolutamente no!" - esclamò con una leggera risata.
"Allora sei il suo...amante?"
"Le piacerebbe! Io preferisco considerarla come una distrazione abbastanza piacevole nei momenti di noia, ma temo che lei creda davvero di potermi considerare il suo fedele amante. E non c'è da strupirsi, dopotutto Serena è una giovane donna nobile e, si sa, le nobili già impegnate tendono a credere che, non appena si rialzano dal letto di un'altro uomo, questi diventa subito una loro proprietà, il loro amore segreto sul quale possono avere diritti e pretese anche quando non è così."
"Quindi stai soltanto giocando coi suoi sentimenti?" - la nota di sconcerto e forse delusione nella voce di suo fratello, Damiano di certo non se l'era sognata. Nonostante i due anni passati lontani da lui ad evitare ogni tipo di contatto, lo conosceva ancora bene come le sue tasche e quello forse non sarebbe mai riuscito a cambiarlo.
"Sei venuto a farmi la predica, Stefano?"
"No, ma....con dei sentimenti come l'amore penso che non ci si dovrebbe giocare." - gli rispose, più mesto stavolta, quasi timido.
"Ma l'amore è...un gioco." - ribattè - "E comunque chi hai mai parlato d'amore? Io non provo affetto per nessuno e di certo non per lei."
"Non è vero che non provi affetto per nessuno." - fece Stefano.
Damiano sorrise appena mentre si risistemava i capelli leggermente in disordine e i polsini di broccato.
"Un pò presuntuoso da parte tua dire una cosa simile, non credi?" - lo rimbeccò, poggiandogli una mano su una spalla e schivando egregiamente il discorso - "Andiamo a pranzo. Avrai fame."
Damiano guidò suo fratello fino alla porta che dava sul cortile interno della villa e lasciò detto che sarebbe stato fuori tutto il giorno.
Optò per due cavalli invece che per una carrozza. In carrozza non avrebbe potuto estraniarsi come sentiva il bisogno di fare, non con suo fratello sedutogli di fronte. Doveva trovare la giusta calma per affrontare il resto di quella visita che sperava vivamente si sarebbe rivelata il più breve possibile e una cavalcata poteva dargliene l'occasione.
Era da due anni che lavorava su se stesso, reprimendo il senso di colpa che sentiva ogni volta che ripensava alla promessa fatta a sua madre. A suo dire non l'aveva onorata fino alla fine, nonostante Stefano pareva piuttosto certo del contrario. A dire il vero, Damiano non sapeva dire neppure se mai un giorno, anche se avesse continuato a vivere a Firenze, sarebbe riuscito ad onorarla del tutto. Per quanto gli riguardava, suo fratello avrebbe sempre avuto bisogno di qualcuno che gli guardasse le spalle, avrebbe sempre avuto bisogno di lui.
Era logico, no? Lui era il fratello maggiore, guardare le spalle a quello più piccolo era quello che doveva fare.
Non poteva essere davvero lui l'unico a crederlo!
Si sentiva ferito, nonostante fossero trascorsi ben due anni la sensazione che gli fosse stato portato via qualcosa era ancora lì e bruciava ancora. Però si era reso conto che forse all'epoca aveva sbagliato ad addossare tutta la colpa a Giuseppe ed aveva cominciato ad addossare la maggior parte di colpa a Stefano che aveva voluto allontanarlo....per cosa? Per il suo bene? Come poteva pretendere di fare il suo bene ferendolo?
Damiano non era un'ipocrita, non troppo almeno. Nonostante ciò che aveva detto poco prima, sapeva di aver mentito. Era vero che non provava assolutamente niente per quell'ingenua di Serena, ma teneva ancora molto a suo fratello  anche se l'orgoglio era più forte e lo spingeva a non ammetterlo. Un giorno, forse, ci sarebbe riuscito di nuovo. Un giorno, forse, avrebbe confessato che lui a Firenze ci era tornato spesso, da solo, in segreto, così come era partito, per osservare tutto da lontano così come si era ripromesso di fare. Un giorno, forse, sarebbe anche riuscito a confessare che in quei due anni, persino mentre era Venezia, a dispetto della lontananza, non aveva fatto altro che continuare a tenere d'occhio Stefano, concentrando ogni sua forza e risorsa lì, nell'unica cosa che sapeva fare bene e che sentiva essere sua, il suo compito, la sua natura, la sua priorità.
Il resto, la sua vita, il tempo che gli rimaneva quando non era impegnato a vegliare su suo fratello lo utilizzava per "rendersi felice". Dopotutto doveva essere quello lo scopo del suo viaggio, giusto?
Arrivarono presto in una taverna situata presso il più grande porto della città. Non era un posto elegante nè raffinato, ma Damiano lì dentro ci aveva trascorso parecchie serate e notti "felici", quindi perchè non portarci Stefano in modo da mostrargli la sua nuova vita?
Lasciarono i cavalli ad un ragazzino tenuto lì come tuttofare e varcarono la porta, accolti subito dall'odore acre di vino scadente che imbrattava ogni cosa.
Stefano fece per sfilarsi la giacca, ma Damiano lo fermò con un'occhiata.
"Ti consiglio di tenertela stretta se dopo vuoi ritrovarla." - fece.
Avanzarono all'interno fino al solito tavolo all'angolo che Damiano occupava quasi ogni sera prima di recarsi sul retro e gettarsi nel gioco d'azzardo, che aveva scoperto essere un'altra fida fonte di "felicità" se le cose giravano a tuo favore.
"Siediti qui." - disse, agitando la mano in aria affinchè chi era al bancone potesse sapere che era arrivato il momento di servirlo.
Una delle ragazze ammiccanti della taverna gli si accostò e Damiano le afferrò la vita, strattonandola e mettendola a sedere sulle sue ginocchia.
"Chi è lui?" - fece lei - "Ti somiglia molto."
"Il mio fratellino in visita da Firenze. Vedi di tenere a posto le mani che lui è un ragazzo per bene, eh!"
"Ma davvero?"
"Già! Dillo pure alle tue amichette, mi raccomando."
Stefano, nel frattempo, sembrava confuso e smarrito.
La ragazza si spostò leggermente in avanti per sporgersi dal tavolo.
"Non se ne vedono spesso di ragazzi per bene..." - commentò.
Damiano le diede una spinta, pizzicandole un fianco e la rimise in piedi, scostandola con poco grazia.
"Mio fratello è una merce rara che presto tornerà da dove è venuto, giusto Stefano? Dopotutto sei venuto qui per controllare che stessi bene, ho ragione? Per accertarti che fossi felice....Beh! Lo sono. Come potrei non esserlo ora che sono libero di fare qualsiasi cosa mi piaccia senza impiccio alcuno."
Mentre la ragazza andava via, Damiano vide la confusione negli occhi di Stefano aumentare e venire accompagnata da una forte nota di delusione. Non era quella l'accoglienza che si era aspettato, lo sapeva bene. Sicuramente non era neppure quello il fratello che aveva desiderato rivedere, ma, rimanendo a distanza, quella parte di Damiano, la parte che lui stesso aveva sempre cercato di tenere a freno perchè così era meglio per Stefano, era venuta fuori e si era fatta strada senza problemi.
Era timore, era distacco, era autodifesa, il tutto mascherato da una buona dose di veleno e sarcasmo che, a suo dire, lo aiutavano nella vita. Erano in pochi quelli che potevano vantarsi di essere come Stefano - anime buone - e lui di certo non era tra questi. Per lui era troppo facile provare rabbia, rancore, disprezzo per essere un'anima buona. Le anime buone perdonavano, lui non lo faceva, lui si lasciava guidare dall'orgoglio e dal primo istinto che credeva sempre essere il miglior consigliero, cadendo spesso nell'errore e non curandosene.
A conti fatti, forse era stato meglio così, che lui fosse partito per Venezia e che Stefano si fosse allontanato da lui perchè, a lungo andare, corromperlo sarebbe stato facile ed inevitabile. Meglio osservare dall'ombra la bontà di suo fratello senza correre il rischio di intaccarla.
Magari sua madre sarebbe stata contenta ugualmente così.
Lui avrebbe preso ciò che la vita gli avrebbe offerto. Qualsiasi cosa sarebbe andato bene e forse un giorno Stefano avrebbe capito tutto e lo avrebbe accettato, avrebbe accettato il fatto che lui non pretendeva la felictà per se stesso, anzi, a dire il vero, non pretendeva un bel niente.
"Damiano..." - mormorò Stefano - "Ma cosa ti è successo? Questo - tutto questo - non sei tu!"
"Certo che sono io, sono sempre stato io! Prima eri soltanto troppo ragazzino per accorgertene." - gli rispose.
Stefano scrollò la testa.
"Sembri...vuoto." - fece.
Damiano aggrottò la fronte.
"Vuoto, dici? Nient'affatto! Io sono perfettamente soddisfatto di essere dove mi trovo. La mia vita va benissimo, Stefano. Era questo che volevi sapere, no?"
"Io volevo sapere se stavi bene, se eri felice, se..."
"Se, cosa? Cosa vuoi che ti dica? Sto bene! Puoi vederlo tu stesso. Sto pensando a me stesso, come mi avevi detto di fare. Adesso che lo sai puoi anche tornartene a Firenze, no? Non hai nulla da fare qui, fratellino, fidati."
"Ma...se stai bene allora perchè non vuoi tornare a casa, non ci scrivi mai nulla, non ci fai sapere niente di te?"
"Forse perchè non mi va? Forse perchè mi sono finalmente scrollato Giuseppe di dosso e voglio vederlo il meno possibile? Forse perchè...com'era che dicevi? Adesso sei cresciuto e posso lasciarti libero di vivere la tua vita da solo mentre io vivo la mia?" - rispose Damiano - "Non voglio litigare con te, Stefano, non mi interessa minimamente farlo. Se voi restare ancora qui, fai pure. Sappi soltanto che da me non otterrai più di quello che hai già ottenuto adesso. Ti ho detto che va tutta meravigliosamente e tant'è." - continuò - "Mi dicesti di andarmene da Firenze e l'ho fatto, adesso sono qua e seguo le tue direttive, non puoi sconvolgerti tanto se le cose sono andate diversamente da come avevi immaginato. Io non avevo bisogno di allontanarmi da Firenze. Lì avevo un mio posto, un mio ruolo, ma tu hai voluto che ci rinunciassi e va bene, adesso la mia vita a Venezia mi va bene. Vedi di non impuntarti su problemi e questioni che non esistono. Non siamo una famiglia perfetta, non lo saremo mai. Rassegnati!"

Stefano trascorse altri due giorni a Venezia, ma, esattamente come Damiano gli aveva detto in quella loro prima discussione, restare lì non era servì a nulla. All'inizio era convinto più che mai che suo fratello avesse qualcosa che non andava, poi pian piano si era lasciato persuadere dall'idea che forse non lo conosceva più tanto bene come in passato. Forse lui era cambiato. Forse Damiano era cambiato. Forse tutto era cambiato e doveva farsene una ragione benchè fosse difficile anche soltanto pensarci.
Rimise piede a Firenze a distanza di sei giorni dalla sua partenza e Giuseppe lo accolse con un sorriso, rimandando a dopo qualsiasi domanda sul viaggio soltanto per poterlo informare subito di una questione che gli stava molto a cuore.
"La sera prima che partissi ti ho parlato del barone Von Swartzschild e di sua figlia, ricordi?  Beh...dal momento che il barone è costretto a lasciare di nuovo l'Italia per degli affari nonostante sua figlia avesse espresso il desiderio di fermarsi ancora un pò qui, ho acconsentito affinchè la ragazza venga a stare alla nostra villa per tutto il tempo che suo padre impiegherà per ritornare dal suo viaggio. E' davvero una cosa positiva che tu sia tornato oggi, Stefano, così avrai tutto il tempo di riposarti per l'arrivo previsto per domani in mattinata della giovane Katherine."







NOTE:
Ciao a tutti e buon venerdì sera!!!**^^
Eccomi qui con il nono capitolo appena finito. Vi dico subito che non sono esattamente convintissima del risultato, ma ormai questa è storia vecchia visto che non sono esattamente convinta del risultato di ogni captolo di questa storia.XD E' cortina, ma è stata veramente difficile riuscire a scriverla, mannaggia a me e alle mie idee contorteXD
Allora....che dire....
Ormai ci siamo. Il prossimo capitolo sarà l'epilogo. Vi avevo avvertito che Katherine l'avrei soltanto accennata alla fine perchè, ripeto, la sua storia con i due fratelli la conosciamo tutti fino alla nausea, non mi pareva il caso di mettermi a riscriverla.XD
Sul capitolo non ho molto da dire, serviva essenzialmente per mostrare le conseguenze della lite dello scorso capitolo e Damon che comincia ad assomigliare sempre più al vampiro che diventerà tra non molto ormai.
Che ne pensate?
Ringrazio coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo.
In occasione dell'epilogo, come sempre, non posterò nessuno spoiler quindi ci "rivediamo" direttamente tra due settimane qui su EFP.
A giovedì 25 ottobre...BACIONI...IOSNIO90!!!








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Capitolo 11
*** Epilogo ***


Epilogo

Caro Diario,
E' notte fonda ed è trascorso soltanto un giorno da quando ho lasciato Venezia. Prima di partire il mio più grande timore era quello di non essere abbastanza preparato per ciò che avrei trovato al mio arrivo. Però, avevo tentato di convincere me stesso che non potesse trattarsi di nulla che non fossi in grado di gestire. Era da Damiano che mi stavo recando, era mio fratello ciò che avrei trovato alla fine del mio viaggio!
Mi sono illuso. Lui non ci ha messo molto a farmi comprendere che i miei timori erano fondati. Perchè davvero –
davvero! - mi sono riscoperto ad essere del tutto incapace di affrontare ciò che mi ero ritrovato davanti: la sua freddezza, il suo distacco ad ogni costo.
Ho sempre saputo che Damiano non era come me, che tra di noi, che tra l'indole mia e la sua, c'era un abisso enorme, ma sono stato così ingenuo da non preoccuparmene abbastanza, forse. Vedevo qual era il suo atteggiamento nei confronti degli altri, dei nostri conoscenti e amici, di nostro padre e mi rendevo perfettamente conto che era un atteggiamento completamente diverso da quello che teneva con me. Con me era attento, premuroso a modo suo, protettivo oltre ogni limite ed estremamente rassicurante, nei modi e nelle parole. Forse sono stato troppo presuntuoso; ho creduto che per me avrebbe sempre fatto un'eccezione, che mi avrebbe sempre mostrato soltanto il suo lato più gioioso e comprensivo.
La realtà è stata dura d'accettare, lo è tutt'ora.
Ho la terribile sensazione che, d'ora in avanti, lui continuerà davvero ad esserci sempre per me, ma che il suo atteggiamento sarà questo: freddo, cinico, scostante...
Non so a cosa mai di buono porterà, non so neppure se finirò io stesso per cambiare così come è successo a lui. Sempre ammesso che a Damiano sia soltanto capitato e che lui non l'abbia voluto, certo. Mi riesce difficile, tuttavia, credere che lui non abbia avuto il controllo di qualcosa. Persino per quanto riguarda i sentimenti, gli unici in grado davvero di sfuggire al suo comando, mio fratello è riuscito a trovare un modo per esercitare il suo controllo, nel bene o nel male, semplicemente escludendoli quasi del tutto quando diventano troppo forti ed ingombranti. Anche in questo caso, nel caso dei sentimenti, avevo creduto di essere l'unica eccezione, l'unico per il quale non bloccava nulla di ciò che sentiva, eppure...
Mi sento terribilmente confuso, caro diario. Io ho desiderato la mia indipendenza e sono certo della mia scelta, ma sapere che avrei sempre potuto contare su un appoggio positivo di Damiano mi rincuorava. Ora dovrò camminare da solo, realmente da solo. Non escludo che addirittura le cose potrebbero mettersi peggio tra di noi, in futuro, perchè ormai tutto potrebbe essere.
E' giusto così? E' normale per due fratelli arrivare ad un punto di così forte distacco com'è quello a cui sento che siamo arrivati noi? Prima o poi va così per tutti? Ognuno fa la sua vita e...basta?
Domande, domande, domande....

Avrò mai delle risposte vere?

                                                                                                                                                                  Stefano



Le cose si mossero in fretta per entrambi i fratelli dopo la partenza di Stefano da Venezia.
Damiano, che sentiva che la sua vita era stata di nuovo messa in subbuglio da quella visita più di quanto volesse dare a vedere, si ritrovò in preda alla rabbia e cominciò a
sbagliare.
L'errore divenne presto una costante per lui a cui era bello aggrapparsi. Gli dava divertimento, soddisfazione e la serie di problemi che causava a se stesso gli davano da pensare quel tanto che gli serviva per non tornare sempre sul suo punto fisso: la sua famiglia che, essenzialmente, per lui era risieduta sempre in suo fratello soltanto e nel ricordo lontano di sua madre.
L'università aveva perso d'attrattiva e l'abbandonò senza rifletterci neppure troppo. Presto, Venezia stessa cominciò a stargli stretta e decise di spostarsi. Cominciò a vagabondare. Stefano una volta gli aveva detto che desiderava che lui trovasse la sua strada, lui sentiva di star facendo proprio quello, conoscendo il mondo alla sua maniera, ovviamente. Forse suo fratello aveva altro in mente, voleva per lui una vita degna di essere vissuta, ma era Damiano quello che non era così convinto di volerla una vita simile, non alle misere e ristrette condizioni che il mondo in cui vivevano imponeva, comunque.
C'era un motivo se si era sempre dato da fare per suo fratello e mai per se stesso. Aveva capito presto, infatti, che quello portato per la costruzione di un'esistenza degna entro quei canoni era Stefano, non di certo lui. Se mai fosse esistito qualcosa di adatto a lui, era piuttosto certo che non era lì, in quel mondo. Ma quello era l'unico mondo possibile, giusto? Non ne esistevano di altri. Tutto ciò che poteva fare era arrangiarsi di conseguenza.
Vagabondava da tre mesi quando si ritrovò vicino Firenze senza neppure accorgersene. Era da un bel pezzo che non faceva una sosta segreta in quella città e, dato che doveva essere ormai giunta la notizia della sua partenza da Venezia, decise che si sarebbe fatto vedere, avrebbe spillato qualche soldo a Giuseppe, avrebbe dato un'occhiata a Stefano e sarebbe ripartito per ritornare forse mai.
Il destino, però, era crudele. Spesso Damiano se l'era figurato come un grosso uomo vestito d'oro che puntava il dito a caso su un poveretto e gli rovinava l'esistenza. Mai aveva pensato che un giorno quel dito si sarebbe puntato su di lui e su Stefano, nello stesso momento e sotto forma di un angelo biondo dalle fattezze di donna, detentrice, tra l'altro, del mistero di quel mondo diverso nella cui esistenza Damiano non aveva mai davvero sperato.
Katherine entrò nella sua vita così, come aveva già fatto con Stefano, sulla soglia della villa dei Salvatore, con un sorriso timido e un inchino.
Tutto, da quel momento in avanti, senza che né l'uno né l'altro fratello potesse farci nulla, cambiò.




                                                                                FINE

NOTE:
Ciao a tutti e buon giovedì sera**
Allora, come sono andate queste settimane? A me praticolarmente bene, devo dire. Questa settimana soprattutto** Causa compleanno e prossimo weekend di festeggiamenti con le mie migliori amiche. XD
Ma, dato che della mia vita comprensibilmente poco vi interessa, passiamo a noi!
Siamo arrivati all'epilogo di questa prima storia tutta incentrata sul passato del Salvatore. Che dire, spero che vi sia piaciuta. Mi rendo conto che è stata una fanfiction diversa da quelle che scrivo di solito, parecchio triste, lo ammetto, ma anche difficile per me da scrivere. Questa, davvero, è stata fino ad ora la più complicata fanfiction che la mia povera mente abbia mai partoritoXD
Vorrei ringraziare tutti coloro che l'hanno letta silenziosamente. 
Ringrazio chi l'ha inserita tra le preferite, le seguite e le ricordate.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e, in particolare, annaterra che con i suoi meraviglisi commenti mi ha sempre fatto sciogliere *.* Tu, donna, sappi che ti lovvo un saccoXD 
Ma no, ma che dico? Io vi lovvo tutti!!!!! <3<3<3<3<3
Tornando seri, però, sapete - perchè mi rendo conto che ve l'ho ripetuto fino alla nausea XD - che questa era soltanto la prima storia di una serie di tre. Perfetto! Quindi, immagino che adesso starete pensando che mi prenderò un pò di tempo e poi tornerò con "Le Porte del Tempo: Presente".
Beh...vi sbagliateXD Dato che, come vi dicevo, questa prima storia è stata particolarmente complicata da buttare giù e già so che altrettanto lo saranno le altre due, per dare un pò di tregua a voi, indomiti lettori, e a me, pazza pseudo-scrittrice, ho deciso di intervallare "Le Porte del Tempo: Passato" e "Le Porte del Tempo: Presente" con una storia del tutto nuova e molto, ma molto più leggera il cui titolo, già deciso, sarà "Teorema". Non so quanto sarà lunga, ma sarà abbastanza sulla falsariga di "Se io, se lei! Se io, se lui!" per quanto riguarda la leggerezza e - udite udite - in questa nuova ff, per la prima volta almeno per me, saranno tutti umani. 
Se ve lo state chiedendo: si, il titolo (Teorema) l'ho preso dalla canzone. U.U 
Avete presente "Prendi una donna e dille che l'ami" bla bla bla e poi "Prendi una donna e trattala male" bla bla bla? Ecco! Quella canzone là mi ha dato l'idea. XD
Vabbè, adesso vado che ho delirato anche troppoXD Ringrazio ancora tutti e vi aspetto tra un mesetto circa (per la fine di novembre, l'inizio di dicembre massimo) con la nuova fanfiction "Teorema"!
A presto....BACIONI...IOSNIO90!!!

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