Il conte e la serva

di Cipppo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
 
 
Vi era una strana atmosfera nell’aria, la notte in cui Isabella nacque. Il cielo era uggioso, tetro, quasi spaventoso, grandi nuvoloni neri lo invadevano, coprendo il bel colore scuro di una serata di ottobre. Il vento soffiava forte, facendo sbattere gli alberi contro le grandi vetrate del cottage. L’immenso giardino al buio di quel giorno sembrava metter ancor più timore, le fontane sembravano  risucchiare ogni cosa a loro vicina e portarla giù, fino a dove non si vede la luce. Le grandi querce sembravano nascondere ombre, i sassolini parevano animati, mentre picchiavano nel portone e nelle finestre, provocando rumori agghiaccianti. Rumori che venivano coperti dalle urla di Renèe, che aiutata dalle sole due serve pativa le pene dell’inferno, cercando di far nascere la sua bambina. Era stanca, coperta di sudore, nella sua vestaglia da notte bianca ormai macchiata di sangue e di acqua. Spingeva e urlava, ormai priva di forze, stringendo la mano di sua sorella, serva come lei in quel cottage in cui erano cresciute.  Spingeva e urlava, fino a quando un altro urlo non si sentì in quella stanza. Isabella era nata, e piangeva contorcendosi in quel buio. E allora le grida di Renèe cessarono, e ormai priva di forze, dopo aver perso molto sangue, si lasciò andare sul cuscino improvvisato con gli indumenti delle serve, e si abbandonò ad un sonno senza fine.






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Chi segue anche le altre mie storie si chiederà: come mai ne stai iniziando un'altra? E io risponderò: perchè sono idiota!
Detto questo, spero che il prologo vi abbia incuriosito, e che in seguito la storia vi piaccia.
Alla prossima!
M

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Capitolo 2
*** 1. ***


 
 
Isabella sedeva ai piedi del grande albero del giardino, e si godeva quei pochi momenti liberi della giornata, nei quali poteva stare tranquilla, senza che le venisse ordinato di fare alcunché. E in quelle ultime settimane i momenti liberi erano tanti, e tanto lunghi, e tanto angoscianti.
Chiuse il libro che leggeva e lo tenne per un po’ in mano, ammirando la copertina oramai rovinata e macchiata. L’aveva letto tante volte, lo sapeva quasi a memoria. Era il suo libro preferito tra i tanti tenuti nella biblioteca di famiglia, quell’immenso paradiso che profumava di racconti e di fantasia. Percorse con le dita il titolo nella copertina, e rimase per alcuni minuti così, rinfrescata dall’aria primaverile che le scompigliava i lunghi capelli castani.
Quando il sole tramontava, lasciando spazio al cielo cupo, Isabella decise di rientrare in casa. Si alzò, cercò di sistemare il vecchio vestito rendendosi più presentabile, si pettinò i capelli ribelli con le mani e attraversando il lungo sentiero alberato si avviò verso la sua stanza. Prima però decise di rimettere il libro al suo posto. Perciò si diresse verso la biblioteca, passando per una strada secondaria, poiché non voleva disturbare il medico che stava visitando la sua anziana padrona. Dopo la morte di sua madre, avvenuta il giorno della sua nascita, Isabella venne cresciuta da una serva che era stata amica della madre, e dalla donna nobile, che la trattava sempre in modo gentile, insegnandole a leggere e a scrivere, e permettendole di usare i suoi libri. Isabella le era molto riconoscente per quello che faceva per lei, per questo era dispiaciuta che stesse così male. Era come se stesse perdendo un’altra volta la madre.
Andò poi proprio nella stanza di Esme, che gemeva per il dolore. Non entrò, ma la guardò attraverso la porta di legno socchiusa. Il medico le stava vicino, ascoltando il battito del suo cuore, mentre teneva un fazzoletto accanto alla bocca della donna, che tossiva sangue.
“Bella!” urlò una serva riprendendola. La ragazza si spostò per non far vedere ai due signori nella stanza che stava guardando, e andò dalla donna.
“Alice, che ci fai qui?” domandò incuriosita, dato che sarebbe dovuta essere in cucina a svolgere le faccende.
“Volevo vedere come stava la padrona.” Rispose allusiva.
“Continua a sputare sangue.” La informò Bella sconsolata.
“Credi che ce la farà?”
“Non credo.”
“Ho sentito che ha mandato una lettera ai due figli, chiedendo loro di venire al cottage per passare gli ultimi giorni insieme.”
Al sentire quelle parole, Bella si ridestò dai pensieri e guardò la donna negli occhi.
“Davvero?” chiese curiosa.
“Si. Si dice che siano molto belli. Girano per l’Inghilterra andando di villa in villa, partecipando a balli di lusso. Si dice anche che abbiamo molte amiche di letto, soprattutto il più giovane,Edward.”
Bella si immaginava già i due figli. Pensava a loro come mostri con due teste, come quelli di un libro che aveva letto, magari con due bocche e nessun naso.
Aveva sentito anche lei parlare dei due ragazzi, e del fatto che avessero un pessimo carattere, in particolar modo nei confronti della servitù. Non era proprio entusiasta del fatto di averli in quella dimora, anche se lei era solo un’ospite.
“Beh, mi auguro solo che la padrona si riprenda e che i figli tornino da dove sono venuti.” Borbottò Bella prima di andare a sistemare le camere.
 
 
Mentre sistemava le lenzuola candide, la serva sentì un fischio proveniente da fuori. Si affacciò svelta alla finestra e vide una testa bionda, che si muoveva frenetica muovendo i capelli ribelli. La spalancò e si mise a ridere, vedendo il suo amico Jasper che ballava da solo, con occhi chiusi.
“Ma che fai?” bisbigliò divertita guardando che intorno non ci fosse nessuno che potesse vederli.
“Ballo!” rispose lui,  osservandola con quei suoi due occhi blu cielo.
Lei ridacchiò coprendosi la bocca per non farsi sentire e scosse la testa.
“Che c’è? Non vieni a ballare con me?” chiese quasi deluso vedendo che lei non accennava a muoversi.
“No, la padrona sta molto male, e se la dittatrice mi vedesse ballare mi punirebbe.” Spiegò quindi la ragazza.
Jasper fece una smorfia nel sentire quel nome.
‘La dittatrice’ era una donna robusta, scorbutica, muscolosa e acida, che non avendo avuto la fortuna di maritarsi se la prendeva con gli altri servi, controllandoli, a modo suo, e facendoli lavorare come bestie. E quando la servitù non lavorava bene trovava il modo per punirli, e ci riusciva bene.
Bella era quella che sopportava di meno, e molto spesso si prendeva la colpa anche se non aveva fatto nulla.
Nella schiena aveva ancora i lividi causati dai colpi ricevuti giorni prima.
“Dai, selvaggia, salta su! Scappiamo per un po’, solo io e te!”
Isabella stava per accettare e saltare dalla finestra per raggiungerlo, ma entrambi sentirono delle urla.
Si scambiarono uno sguardo preoccupato e poi la ragazza corse fuori da quella camera per dirigersi nel grande salone.
Ma  si accorse ben presto che le urla provenivano dalla stanza della padrona, e così si precipito per vedere cosa stesse succedendo. Quello che vide non le piacque per niente.
Esme era riversa a terra, dalla bocca usciva un rivolo di sangue che le sporcava la pelle pallidissima. Alice, la serva che era più affezionata a lei, piangeva accanto a quel corpo oramai privo di vita, mentre il medico ascoltava il battito del cuore, battito assente.
Dietro di lei apparve Jasper, che guardò la scena di fronte a sé.
“è morta?” sussurrò a Isabella nell’orecchio.
“Già” rispose lei facendosi il segno della croce.





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Wow, non immaginavo di avere così tante visualizzazioni già nel primo capitolo, e sono molto contenta!
Il capitolo era un pò corto, ma prometto che i prossimi saranno più lunghi, e migliori. 
Grazie a chi seguirà questa storia, spero di non deludervi.
Un bacione,
alla prossima!!

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Capitolo 3
*** 2. ***


 
 
 
“Rosalie, ahia, mi fai male.” Si lamentava Isabella mentre Rosalie, serva come lei, le pettinava i lunghi capelli corvini.
Isabella era sempre stata intimorita da Rose, intimorita dalla sua bellezza extraterrena, impaurita dai suoi grandi occhi color ghiaccio e dai suoi capelli biondi.
In confronto a lei si sentiva uno schifoso insetto, di quelli che temi, anche se sei consapevole che potresti ucciderlo con un piccolo colpo.
Rosalie la guardò dolcemente e le sorrise.
“Lo so che ti sto facendo male, ma non puoi non curarli, guardali, sono così belli.” E mentre lo diceva ammirava la piccola testa scura. Isabella evitava accuratamente di guardare il piccolo specchio rotto di fronte a loro, per non vedere il paragone che vi era tra le due.
Isabella fece spallucce, e quando Rose finì di torturarla, si girò verso di lei e fece un inchino per ringraziarla. L’altra ragazza rise divertita, e quel suono era per Isabella il più musicale di tutti. Quando sorrideva sembrava una bambina, e non dimostrava i quasi trent’anni che in realtà aveva.
Una bambina entrò nella piccola stanza poco illuminata, e corse nelle braccia della madre, che la strinse baciandole la fronte.
Isabella, intenerita da quella scena, quasi si dimenticò delle faccende che aveva da sbrigare, ma una volta ricordatasi, lasciò le due piccole donne e corse giù per le scale, dirigendosi fuori.
Prese una vecchia sedia che stava ai piedi dell’albero, e la adoperò come scala per raggiungere i frutti oramai maturi. Una mela cadde per terra, e lei quasi scivolò dalla precaria struttura che la sosteneva per afferrarla. Ma due forti braccia la tennero stretta e la riportarono a terra sana e salva. Isabella alzò lo sguardo e le sue guance si imporporarono immediatamente. Di fronte a lei c’era il più bel ragazzo che avesse mai visto. Non che ne vedeva tanti, restando sempre nel cottage a servire la padrona. Ma quell’uomo che le stava di fronte e che la guardava con fare divertito sembrava uscito da quei libri che amava tanto leggere. Non si sarebbe mai aspettata di incontrarne uno.
Lui aveva grandi occhi blu e gioiosi, che insieme al suo sorriso ampio gli illuminavano il viso dalla pelle chiara. I capelli dorati erano tenuti corti e ben sistemati sotto un cappello, cappello che lui tolse. Era molto alto, dotato di spalle larghe e un fisico scolpito coperto dagli indumenti primaverili.
Isabella non si concesse di vedere altro, e si rimproverò mentalmente per ciò che aveva ammirato.
La ragazza si spostò i capelli ribelli dal viso e fece un piccolo inchino, mantenendo lo sguardo basso.
“Scusatemi, sono stata poco prudente.” Sussurrò fissando la mela che giaceva sul terreno.
Lui ridacchiò. “Si, lo siete stata, ma vi perdono solo se mi promettete di stare più attenta la prossima volta.”
Isabella alzò lo sguardo e gli sorrise timidamente, annuendo.
“Allora io vado.” Disse l’uomo, e dopo averle baciato la mano si dileguò tra gli alberi del grande giardino.
Isabella raccolse la mela e si avviò verso l’interno del cottage, ancora rossa in viso.
 
 
Il compito di sistemare la camera della defunta padrona toccò proprio alla ragazza dai capelli corvini, che rattristata dal drammatico evento, cambiava le lenzuola bianche sporche di sangue con altre pulite, sospirando di tanto in tanto, e pensava allo sguardo dolce di Esme ed ai suoi modi di fare sempre gentili. Pensò al suo sorriso e in un flash le venne in mente quello dell’uomo che aveva conosciuto poche ore prima. Si mise una mano nel petto per controllare il battito del cuore che improvvisamente era accelerato. Aveva conosciuto il primo dei due figli della signora.
Decise che non lo avrebbe detto a nessuno, e avrebbe mantenuto il segreto, sperando che l’uomo avrebbe fatto lo stesso.
Continuò a sistemare la stanza per altri minuti, e quando ebbe finito afferrò i libri che vi erano sulla poltrona accanto al letto, e uscì in punta di piedi sperando di non incontrare anche l’altro figlio.
Ma purtroppo i suoi desideri non vennero avverati.
Era nella biblioteca di famiglia, mettendo al loro posto i libri, quando sentì dei passi dietro di lei. Si immobilizzò all’istante, pregando che non fosse il ragazzo che aveva conosciuto. Chiuse gli occhi e si impose di voltarsi, poiché oramai era inutile fingere di non essersi accorta che c’era un’altra persona.
Se pensava che il ragazzo dagli occhi blu fosse bello, rivalutò il concetto di bellezza quando i suoi occhi incontrarono quelli verdi dello sconosciuto. Questi occhi erano simili agli occhi della defunta signora, ma al contrario di loro, questi erano freddi, di ghiaccio, incutevano paura. Isabella era incantata da quei due pozzi, e nonostante sapesse che una serva non può permettersi di guardare così sfacciatamente un uomo di rango superiore, lei non riusciva ad abbandonare il contatto visivo. Lui inarcò un sopraciglio con fare indispettito, e un angolo della sua bocca si incurvò in un ghigno di sorpresa.
Era diverso dall’altro ragazzo. Lui era leggermente più basso –ma sempre molto più alto di lei- e non sembrava un orso. Le sue spalle erano larghe, ma meno delle spalle che aveva ammirato poco prima, e il fisico era più asciutto, ma comunque perfetto. Sentì dei brividi pervaderle la schiena, e le sue labbra si seccarono. Si accorse di provare un forte desiderio per quello sconosciuto, ma rimase ferma a fissare quell’uomo che pareva pericoloso, e la guardava come se fosse un essere inferiore.
“Avete mangiato la lingua?” disse lui infastidito, guardandola dall’alto in basso.
Lei si riprese e si inchinò leggermente, per poi incrociare nuovamente lo sguardo con il suo.
“No.” Rispose lei fiera.
Questo atteggiamento non piacque al ragazzo, che scrutò quegli occhi scuri della ragazza di fronte a sé che parevano ardere.
“Sono Edward Anthony Cullen, figlio della vostra padrona.”
“So chi siete.”
Edward socchiuse la bocca per lo stupore.
Si avvicinò a passi lenti verso di lei, e Isabella indietreggiò fino a toccare lo scaffale dei libri con la schiena.
“Avrei gradito un’accoglienza migliore da parte vostra.”  sussurrò vicino a lei guardando il corpo della ragazza così esile in confronto al suo.
Guardò il collo candido scoperto, e scese giù, fino alla scollatura che lasciava vedere delle forme generose, che a lui piacevano molto.
Allungò una mano a toccare il ventre piatto e proseguì il suo percorso verso le gambe lunghe e sode, gambe che camminano, che lavorano.
Isabella tratteneva il respiro, osservando quella mano che l’accarezzava come seta. Sentiva il cuore battere forte e poteva scommettere che un intenso rossore le aveva colorato le guance. Percepiva calore ovunque la mano la toccasse, ed un altro calore, molto più acuto, si estendeva dove lui attardava a toccarla.
Lo sconosciuto aveva poggiato la fronte sulla spalla, e ora la baciava avidamente, spostando del tutto il vestito e succhiando la pelle scoperta.
La ragazza, inerme, era combattuta dal desiderio, dall’orgoglio e dalla dignità da mantenere. Emetteva lunghi sospiri e ansimava di tanto in tanto.
Quando Edward insinuò una mano sotto il suo vestito Isabella lo spinse via con tutta la forza che poteva. Si sistemò la spallina e lo guardò con disprezzo, perché in pochi minuti stava riuscendo ad abbattere il muro che si era costruita intorno a sé, lasciandola vulnerabile.
Lui sorrise soddisfatto.
“Si accoglie così un nobile?”
Domandò toccandosi il labbro inferiore con l’indice.
Isabella si sentì ribollire dalla collera.
“Sentite, non so con quali persone voi siate abituate a relazionarvi, ma io non sono una di quelle puttanelle che vi portate a letto durante i balli.”
Cercò di pulirsi la spalla che ancora sapeva di lui, e con uno sguardo furente uscì dalla libreria, sconvolta e delusa da sé stessa. Pregò che quei due uomini andassero via presto. 


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Scusatemi, sono passati secoli dall'altro aggiornamento! è solo che è estate, e le spiagge sono bellissime, e io sono sempre al mare a prendere il sole. Pardon! Grazie a tutti voi! Un bacione, alla prossima
M
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