Simply Mine

di Inucchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I : ...Il Mio Modo D'essere... ***
Capitolo 2: *** Atto II : ... Il Mondo Visto da Lei... ***
Capitolo 3: *** Atto III : ...La Fortuna è cieca...ma la sfiga ci vede benissimo... ***
Capitolo 4: *** Atto IV : Attrazione … e Poi? (Prima Parte) ***
Capitolo 5: *** Attrazione...e Poi? -Seconda Parte- ***
Capitolo 6: *** Atto VI: Il ritorno del passato... ***
Capitolo 7: *** Atto VII : ...Chi gioca col fuoco... ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII : Lui, lei e l'altro ***
Capitolo 9: *** Atto IX : Tradimento ***



Capitolo 1
*** Atto I : ...Il Mio Modo D'essere... ***


Simply Mine

Simply Mine

 

 

Atto I : Il Mio modo d’essere…

 

 

 

 

Esiste un bivio ad un certo punto della vita, in cui ci si domanda se quel che ci riguarda e quel che c’è riguardato sin ora, abbia effettivamente un senso.

Il celebre “To be or not to be”  Shakespiriano calza perfettamente sulle domande che giorno per giorno riguardano tutti, ci sono mille modi per raccontare una storia, costellata di momenti tristi, scoperte tragiche, di liete notizie, di felicità…

Quasi fosse un copione già scritto, del quale gli attori s’apprestano ad imparare le parti.

La vita è il nostro palcoscenico.

Noi siamo gli attori…

Sotto le luci dei riflettori sembriamo tutti uguali, finchè dietro le quinte non strappiamo quella maschera e torniamo ad essere semplicemente noi …

 

Ebbene. Due maschere non possono essere uguali, così due copioni, così due attori.

Ognuno è capace di recitare al meglio la propria vita, lasciando che sotto i riflettori appaia idilliaca. La sua vita aveva lo stesso sapore,appariva’ e basta.

Senz’anima. Un fantoccio che osservava il vuoto senza un apparente interesse, vivendo in simbiosi con la realtà circostante senza apprenderne il vero motivo.

Cos’era che lo spingeva a percorrere, ogni giorno lo stesso tragitto, sostare alla medesima piazzola, ritrovarsi nel medesimo gruppo di ‘amici’ se dentro di lui questo aveva solamente il nome di ‘routine’?

Non esistevano mezzi termini. Il gruppo e basta. Non il singolo, non la persona, ma il branco.

Personalità uniformate, plasmate nel medesimo essere, quasi a formare un’abominio di caratteri rimescolati.

Non capiva. Non voleva capire.

S’ergeva attorno a lui un mondo di barricate, imposte dalla società, dalle istituzioni.

Le regole.

Un’altra cosa che non capiva era perché ognuno doveva seguire queste maledette prescrizioni. Sforarne solamente una equivaleva all’anarchia.

Ciondolava con la mano apatico, lasciando dondolare con una spinta delle dita le chiavi di casa appese alla cintola. Il tintinnìo che queste producevano s’estingueva lento nell’aria circostante, spenta d’ogni rumore che non fosse il chiacchiericcio adoloscenziale delle quattordicenni.

Sbuffò sonoramente, distendendo l’altra mano sulla panca dove s’era appostato ormai da due ore buone.

La sua vita, infondo, non aveva nulla di sbagliato. Era iscritto ad uno dei college più rinomati del Giappone, seppur svolgesse, dopo l’orario già appesantito delle lezioni, anche la cosa che più lo distraeva da quel mondo sbagliato. Essere un Dj.

Si, si divertiva a muovere la mano su quel disco che riusciva a produrre, quasi magicamente mille sfumature diverse nel suono, riusciva in pochi giri a trasformarsi in quello che più lui desiderava, un miscuglio di sensazioni e rumori atipici che lo rendevano però diverso da altri.

Il lavoro d’un Dj regolato ad arte, non poteva somigliare a quello d’un altro.

Gli avevano sempre detto che era una stupidaggine, uno come lui che impiastrava con la sua musica un luogo accidioso come la discoteca.

Bè, cosa c’era di male infondo. Nulla. Ma gli altri non la vedevano di buon grado, gli altri non capivano…o forse…non volevano capire.

Non s’era dato un nome particolare, odiava quei nomignoli che s’affibbiava la gente solamente per essere qualcuno, se poi, a ben riflettere…tutto tornava ad uniformarsi. Tutti i Dj avevano un appellativo che li rendeva a loro parere diversi.

Eh no.

Altro sbaglio, scegliendo tutti, nessuno escluso d’essere qualcuno, si finiva inevitabilmente ad essere uniformati. Non c’era cosa che poteva renderti diverso.

Lui, di disparato qualcosa ce l’aveva.

L’antrophomorfismo. Lui apparteneva a due mondi diversi, contemporaneamente.

Da una parte demone.

Da una parte umano.

Diversità? No…semplice incongruenza. Non era di certo l’unico mezzo e mezzo al mondo, e questo sino ad ora non gli aveva creato particolari complicazioni emotive.

Da tempo aveva imparato adabituarsi’ a quel suo stato di precarietà emotiva. Era bella come contraddizione, non voleva che i sentimenti s’immischiassero a corrompere la sua vita, eppure, li possedeva inevitabilmente.

Non si può traviare una verità. C’era chi la considerava una maledizione, o chi, come lui…sfruttava a suo vantaggio l’essere un hanyou.

Ormai con il passare del tempo, aveva imparato ad essere un volta faccia. Era Falso. Una delle sue mille qualità infondo.

Aveva tutte le carte in regola per essere piacente. Le donne seguono, per natura, come del resto gli uomini…l’utopia.

Quello che risulta essere irraggiungibile è perseguito come oro. Lui come il Vento, era inarrivabile.

Le sue storie? Mordi e Fuggi. Non s’era mai ‘fermato’ più d’un mese o due con la stessa donna.

Un po’ per i suoi gusti, un po’ per il suo carattere.

Impervio per natura. Tutto questo per impedire al sentimento di consumarlo definitivamente e di trasformarlo in qualcosa di omogeneo alla società.

Lui non desiderava conoscere l’amore. Forse perché ritenuto superfluo, non gli serviva.

Così come non ne aveva mai ricevuto, mai ne avrebbe donato. A nessuno.

Scorse le iridi ambrate al cospetto di chi si doveva esser presentato ormai da un’ora. Ognuno, secondo lui, possedeva uno stigma, un’etichettatura insomma. Quello che ora sostava in piedi dinanzi a lui era Il Dongiovanni.

Per riconoscerne uno bastava guardare tre cose : La posizione. Gambe incrociate, braccia sovrapposte al petto, e volto che non rimane mai abbassato. Lo sguardo. Ovviamente, a differenza del viso, rivolto tendenzialmente verso il basso, piegato all’osservazioni delle parti più interessanti senza che l’interlocutore se ne renda effettivamente conto. Il modo di comportarsi. A record di logica, il Dongiovanni, esclude i mezzi termini, puntando su complimenti, accenni a riferimenti puramente sessuali ovviamente nascosti dal classico doppio senso.

Miroku era il massimo esponente di quella categoria. Non v’era giorno che non esprimesse la sua gioia di vivere attraverso battute sarcastiche rivolte al mondo femminile, adocchiate provocanti rivolte al medesimo soggetto o elogi sconsiderati o fuori luogo.

Non sapeva nemmeno come fossero divenuti amici. Loro due. Il Diavolo e L’Acqua Santa.

L’espressione di ‘Acqua Santa’ rivolta al mezzo demone ovviamente, espressa in modo prettamente voluto per delineare lo stato mentale completamente differente dei due.

Forse Inuyasha, era più riservato e meno ‘espansivo’ rispetto all’amico.

Un umano e Un mezzo demone. Pareva fossero stati presi da un fumetto e messi assieme contro la loro volontà.

Quello che per Inuyasha era Acqua, per Miroku era Vino. Mai d’accordo su nulla, sempre in discussione, ma amici.

“Ti pare l’ora d’arrivare?” formulò l’hanyou, evidentemente irritato dallieve’ ritardo dell’amico che aveva sgarrato ‘solamente’ di un’ora e poco più.

Le sopracciglia del mezzo demone erano inarcate, fronte corrugata, mezzo ringhio ed orecchie spostate ai lati del capo, già, perché le orecchie d’un mezzo demone potevano avere tratti d’ogni genere, animali, vegetali (Avete mai visto un incrocio tra un finocchio ed un’insalata? …Bè nemmeno io…) o qualsivoglia, nel suo caso, due orecchie canine. Bianche.Morbide…e tanti nomignoli del genere che gli venivano affibbiati, insomma, questo ‘spostamento’ equivaleva al primo stadio lampante della sua incazzatura.

Dal canto suo, il Dongiovanni, se la cavava (O almeno credeva di farlo) con un sorrisetto forzato, piegato sul lato destro delle labbra e quell’espressione da completo deficiente che s’era guadagnato negli anni della sua esistenza.

Non aveva funzionato.

Il silenzio delmonaco delle sventole’ aveva innestato nell’hanyou il secondo stadio della sua ira. Mani tremolanti, in fibrillazione da nevrotismo serrate sulle ginocchia. Un susseguirsi di bestemmie che solamente una visita nel più remoto dei santuari avrebbe potuto espiare e il successivo ringhio di disapprovazione che profondo s’osannava nelle profondità della gola del mezzo.

Miroku sapeva bene che, giunto al terzo ed ultimo stadio, il meticcio sarebbe passato alle mani.

Si limitò dunque a chinare il capo, sconsolato e ad emettere un guaìto di scuse. Probabilmente questa sua sottomissione compiacque all’hanyou che tornò a disegnare un’espressione atona sulle labbra, sbollendo in seguito la rabbia.

“Non solo mi chiami facendomi perdere un’ora di lavoro, ma arrivi pure in ritardo…cosa cazzo vuoi? Ti giuro che se è un’altra delle tue fesserie ti pesto a sangue tanto è vero che sono mezzo cane” formulò quasi sillabando le ultime parole.

Quando Inuyasha faceva riferimento al suo essere ‘ibrido’ significava che parlava sul serio. Miroku deglutì.

“Veramente…ti ho chiamato perché…” prese una pausa, se gli avesse detto il reale motivo della sua convocazione sarebbe stato trovato il giorno dopo fatto a pezzi in un cassonetto.

[Pensa Miroku…] Il piede sinistro del giovane dondolava irrequieto da destra a sinistra, battendo in seguito sul terreno frenetico. Portò l’indice alla bocca, cominciando a mordicchiare le unghie già irrimediabilmente consunte.

Inuyasha si stava spazientendo ancora. Quel povero diavolo non sembrava nemmeno avere una più lontana idea di cosa fosse la pazienza.

Uno.Due.Tre minuti ci vollero al Dongiovanni prima di trovare una scusa che fosse diversa dal ‘prestargli le chiavi dell’appartamento per una notte osè con la sua nuova fiamma’.

Poi quasi come un fulmine a ciel sereno, gli si accese una lampadina.

“Ehm…Una…mi ha chiesto il tuo numero…”  buttò la senza rifletterci ulteriormente.

Il mezzo demone inarcò un sopracciglio, susseguendo ad esso un innalzarsi compiaciuto degli angoli della bocca.

“Una…chi?” indagò ‘interessato’ all’argomento.

Se c’era una cosa che poteva attrarre l’hanyou oltre il suo lavoro e le moto, erano le donne.

Il ningen si ritrovò qualche istante a pensare, aveva trovato una scusa ma…non pensava di doverla anche ‘esplicare’.

“Una…ragazza” si limitò, alchè Inuyasha lo guardò torvo.

“Bè…speriamo che sia una ragazza…non mi piacerebbe ritrovarmi ad uscire con un trans” proferì sarcastico, spostando il braccio dalla gamba al bordo della panca, appurandone la consistenza senza interesse.

“Una…ragazza…mora…” continuò il poveretto che ormai non sapeva più come divincolarsi da quell’assurda situazione , dove per giunta s’era cacciato da solo.

Le informazioni che forniva l’amico, non erano per Inuyasha né più né meno che semplici tentativi di corruzione. Sapeva benissimo che nessuna aveva chiesto il suo numero in realtà, ma voleva vedere sin dove il casanova sarebbe arrivato.

“E…?” riprese Inuyasha, il sogghigno che s’era impossessato delle sue labbra diveniva mano a mano sempre più soddisfatto. Se c’era una cosa che sapeva fare era quella di saper rivoltare il coltello nella piaga, ovvero, di rispondere ad una presa per il culo, con altrettanta astuzia.

Miroku che voleva mettere in difficoltà il re delle cazzate? Non c’era storia.

E…carina…” ormai l’umano non sapeva più a cosa aggrapparsi. Sudava freddo e questo non contrubuiva ad altro che a soddisfare maggiormente il mezzo demone.

“…E?...” ribattè ancora l’hanyou, portando il gomito destro a poggiarsi sul ginocchio, posandovi sopra il mento.

“…Oddio Inuyasha…sei proprio stressante…Vaffanculo…Va bene…era tutta una cazzata…volevo solo chiederti le chiavi di casa tua per stanotte tutto qua…” sputò tutto d’un fiato.

Il mezzo demone s’alzò dalla sua postazione. Alzò entrambe le sopracciglia fingendo un’espressione bonaria.

Ma Miroku…potevi dirmelo subito…sai già cosa ti risponderò…vero?” Il ragazzo era pronto ad afferrare le chiavi in qualsiasi istante, il quanto all’espressione Inuyasha pareva averla presa bene.

L’hanyou s’avvicinò lentamente all’amico, facendoglisi a pochi centimetri dal volto.

“Miroku…” sorrise stringendo i denti.

“Si?” rispose l’altro pronto ad elogiare sfarzosamente l’amico.

“Ti darò le chiavi di casa mia quando arriverai a farmi una sega” proferì con una naturalezza tale da indurre al casanova di indietreggiare di qualche passo,ovviamente modo ironico per mandare il deviato felicemente a fare in culo. Detto questo, senza più nulla aggiungere, lasciando un Miroku abbastanza deluso, il mezzo girò i tacchi dirigendosi altrove.

[Ti conosco da diciannove anni…e in tutto questo tempo per tutte le volte che t’ho chiesto la chiave…chissà quante te ne avrei dovute fare…fortuna che non me l’hai mai data…La chiave] rabbrividì il ragazzo, sforzandosi di non pensare a nulla che non riguardasse una donna in quel momento.

 

Che opportunista la gente. La cosa migliore è dire no e basta.

Con un semplice no ti si risolvono mille e mille cose, mi dai una mano? No. Mi accompagni qui? No. Mi cerchi questo? No.

Le uniche cose a cui non si può mai dire di no sono due : 1) Quando una ragazza ti chiama chiedendoti ‘Hai mica gli appunti di Fisionomia?’

Certo che ho gli appunti, e se vuoi ti mostro anche le applicazioni.

2) Quando un amico disperato ti chiede se puoi dargli un ceffone, all’inizio forse dirai di no. Ma che cazzo, se continua, è da tempo che volevi dargli quel cazzotto nevvero?

 

Miroku era opportunista. Inuyasha No.

Miroku era cretino. Inuyasha No.

Miroku era umano. Inuyasha No.

Miroku però era sverginato. Inuyasha No.

 

Camminava con le mani in tasca, aveva lasciato la moto poco più in la. Figuriamoci se per fare quattro passi consumava benzina.

“Benza Costa” ripeteva tra sé L’hanyou. Una miriade di pensieri gli correvano a senso unico nella mente, in primis, come faceva quell’imbecille di Miroku ad avere già ‘provato’ e lui ancora a no. Cazzo. Aveva diciannove anni. Non era male, anzi.

E non aveva ancora…

Qua c’era qualcosa che non andava. Miroku veniva malmenato e picchiato perché non faceva altro che andare dietro alle studentesse del College…

Ma allora quelle zoccole facevano solo finta di rifiutarlo…

“Non riuscirò mai a capire la mente femminile…e nemmeno mai vorrò farlo…”. Sospirò.

Nel frattempo oltrepassò una caffetteria. Da tempo non rimetteva piede la dentro, chissà se quella vecchia befana che la conduceva prima era morta.

Al momento non aveva tempo di fermarsi però, era già in ritardo sul lavoro. Forse domani.

Forse aveva cambiato gestione. Il nome che ora v’era su scritto sull’insegna principale era ‘SYB’ chissà cosa diamine volevano dire quelle iniziali. Ma che cazzo gliene fregava a lui infondo?

Sbadigliò sonoramente. Giungendo finalmente alla moto parcheggiata accanto ad un vecchio stabilimento. Un’espressione crucciata gli traversò il volto nel notare il vecchio edificio, era scrostato, alle finestre non v’erano nemmeno più le tapparelle. Era disabitato, freddo.

Un’insegna traballante ancora portava qualche iniziale rovinata dal tempo.

INT.

Lui sapeva bene cosa significavano quelle iniziali.

Quando si perde una cosa. Inevitabilmente si torna a sognarla, si rivive il passato come un’esperienza trasportata nel presente. Non si dimenticano mai le cose, anche se queste son seppellite infondo all’animo, avvilite, sigillate nel cuore.

Solo una era la reminiscenza che lo riportava indietro, a quando quello stabilimento era in vita, a quando la sua stagione più bella era costellata da qualcosa alla quale aveva dato importanza.

 

Non so il tuo nome.

Che ti importa di saperlo? Tanto adesso me ne devo andare.

Perché mi hai regalato questa robaccia? . Una catena d’argento, nessun significato in particolare.

Perché sei buffo. Mi piacciono i mezzo demoni.

 

Non era un gran ricordo. Eppure, quella vocina ancora gli risuonava nella mente come un disco rotto. Quella bambina.

Portava da anni quel piccolo ‘regalo’ che all’inizio aveva disprezzato.

Poi, col passare del tempo, non se n’era più privato.

Seppur lo nascondesse sotto gli abiti, quel piccolo gioiello della sua infanzia dimorava sempre la, appeso al collo, come un segno inestinguibile di quel gesto.

A nessuno. Diciamo la verità. A nessuno piacevano i mezzi demoni, erano considerati ‘scherzi della natura’ o robe simili.

Gli era piaciuto quel gesto, che tra tanta ignoranza gli era sembrato il più considerevole.

L’innocenza non vede il male.

E di conseguenza è l’unica cosa che va preservata.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Atto II : ... Il Mondo Visto da Lei... ***


Simply Mine

Simply Mine

 

Atto secondo : Il mondo…Visto da Lei…

 

 

A prescindere da quel che si dice in giro. Esistono due tipi di donne, almeno in relazione alla visuale maschile.

Le suore e le puttane.

Non c’è nulla di male a dichiararlo apertamente. Anche perché è la visuale contorta che ‘li’ inculca pensar ‘a cazzo’ per l’appunto.

Non vedono  il lato vero gli uomini.

Non vedono il lato vero le donne. Che strano mondo quello dei sessi opposti, sono attratti, ma non capiscono una cicca l’uno dell’altra.

Eh no.

C’è chi le regole del sesso le conosce e come…chi l’ha inventata questa cazzata?

Gli uomini non si procacciano le prede. Mica son animali. Lo appaiono e basta su.

Le donne, non sono prede avete mai visto un uomo mangiare una donna? O viceversa?  Altra cazzata.

Sarebbe da immaginare un quadretto.Donna-Uomo.

Comincia la caccia.

Avete mai assistito ad un documentario dove le leonesse in branco cacciano uno gnu? (o robe simili) Immaginate che quello Gnu sia l’uomo. Un bel ragazzo è conteso da molte.

Idem vale per il sesso opposto.

La parte più interessante è divisa in due parti: Conquista,Preservazione.

La prima è abbastanza facile, basta sfoderare qualche arma di qui, qualche occhiata di la e il gioco è fatto. E’ la seconda che è veramente faticosa, trattenere la conquista per tempi prolungati è difficile. Soprattutto il maschio, che tende a svagarsi con altri tipi di ‘unione’.

Tornando dunque alla visione maschile, bisognerebbe che le donne fossero suore all’aggancio e zoccole quando le situazioni si fanno smorte.

Già, un colpo tra i coglioni ci starebbe bene eh ?

Ecco. Lei la pensava esattamente così. Gli uomini erano tutti uguali.

Bastardi e con l’unico pensiero del sesso. Di tre storie che aveva avuto, non una era andata come le aggradava. Una volta concesso il ‘tesoro’ non rimanevano più di tre o quattro mesi.

Inizialmente se l’era presa. E molto anche.

La sua prima storia pareva una favola. Lui. Un ragazzo meraviglioso, la ricopriva di regali, le faceva complimenti, la vezzeggiava in ogni modo. Tattica perfetta se vuoi farla cadere ai tuoi piedi subito.

C’era riuscito. Era pazza di lui, non passava giorno che non ne parlasse ad alcuno o che non lo chiamasse.

Dopo due mesi.Tracollo. Era successo, la loro prima volta, meravigliosa.

Con una scusa qualsiasi, poi, l’aveva lasciata. Tipico. (Se non lo so io che sono un maschietto … Nda).

Ora gli facevano schifo. No, non era lesbica. Però aveva perso la cosiddetta fiducia. Da dolce ed ingenua che era, s’era trasformata in quello che un uomo desidera veramente in una donna.

Una Stronza. Con la S maiuscola.

Un uomo la corteggiava? Bene. Cazzi suoi.

Aveva attuato una sottospecie di divertimento personale. Ogni qualvolta concedesse ad un uomo  ‘la sua mano’ , tentava di non affezionarsi al soggetto in questione. Dopo un mese di recitazione ben interpretata, prima ovviamente che lui s’era illuso ben benino sul successivo passo della loro ormai fondata relazione.

Lo mollava. Il suddetto test ci rimaneva di merda. Completamente spiazzato.

Grazie a questo, gli ex della mora tornavano sempre alla carica, tempo un mese o due. Un uomo torna sempre dal padrone quando vede in esso una sfida.

Era Bella. Si sentiva bella. Sapeva di poter avere tutto.

Le iridi brune correvano sul lastricato verdognolo, il rumore sordo del taccheggiare s’estendeva nell’aria circostante quasi fosse il sonar d’un sommergibile. Solo che al posto del classico ‘Tin’ v’era il ‘Tac’.

La mano destra, innalzata, come di consueto al pari delle labbra a consumare quella che secondo lei era la medicina del nervosismo. Una sigaretta.

Le piaceva degustare quel sapore di tabacco e fumo che  si rimescolano nella bocca, scendendo alla gola e ritornando sottoforma di respiro dai polmoni.

“Non vedevo l’ora”

Di fianco a lei, la sua ‘anima gemella’ camminava spedita, intenta ad attraversare lo stradone che divideva il parco dalla zona ‘malfamata’ di Tokyo.

“…Mmh…Sango…non è che io sia così sicura di volerlo fare…” sottolineò la mora gettando nervosamente il mozzicone sotto il tacco.

La bruna l’osservò Torva. Prima le faceva una tausana di quattro settimane, poi ci ripensava? Nemmeno per sogno.

Sango era il classico esempio di Amica Deviante colei che standoti accanto praticamente come l’ossigeno ai globuli rossi ‘in simbiosi’, ti induce a fare cose che non avresti mai fatto.

Anche se stavolta la bella idea di decollarsi a ‘piecingarsi’ l’aveva avuta Kagome.

Una cosa che sicuramente le riusciva bene era quella di pentirsi. Decisione.Ripensamento.Pentimento.

Ecco le tre cose che non sarebbero mai cambiate in lei. Sango era più decisa, se voleva una cosa o la otteneva subito o la otteneva subito. Non c’erano mezze vie.

 

Sango era testarda. Kagome era orgogliosa.

Sango era una pazza.Kagome la matta che la seguiva.

Sango era la mente. Kagome il braccio. (O Viceversa)

 

Stavolta la mente era stata la mora. S’impuntellò proprio all’entrata del negozietto ‘colorito’ poco distante da loro.

Ovviamente l’amica non voleva perdersi l’occasione di bucherellarsi una qualsiasi parte del corpo.

Trasgressiva.

“Lo sai che non sopporto gli aghi” piagnucolò Kagome. Stronza quanto le pare ma alla fine paurosa come pochi. Sango Inarcò  un sopracciglio, incazzata ovviamente.

“Senti Bella di notte, o entri da sola o sarò costretta a chiamare quell’aitante omaccione che risiede all’interno del negozio per trascinarti dentro”.

Kagome lanciò uno sguardo all’interno del negozio.

Sbarrò gli occhi. Un uomo, sulla quarantina forse, se ne stava ritto in mezzo alla stanza. Tatuaggi in ogni dove, barba incolta ed untuosa che gli solleticava il villoso petto semi-nudo, pareva un pappone se non fosse stato per quel sorriso bonario, troppo insolito per una faccia simile.

Si fece coraggio. Entrò.

Sango alzò il lato destro della bocca in un sorrisetto di malizia. Ora cominciava il bello.

All’entrata lo scacciapensieri posto all’altezza tra la porta e lo scorcio murale poco sopra, tinnò. Rumore che fece rizzare i capelli alla mora.

L’amica sembrava molto tranquilla, si osservava intorno, notando compiaciuta le moltitudini di disegni e prove per tatuaggi.

“La prossima volta anche quello” esordì decisa.

Decreto che a Kagome risultò quasi un cazzotto nello stomaco. Quella stronzetta della sua migliore amica voleva vederla morta. La trucidò con una sguardata omicida.

Non parve avere alcun effetto sulla bruna, che continuo ad osservarsi attorno interessata.

“Cosa desiderano queste belle figliole?” mormorò una voce poco più in la. Kagome osservò schifata l’omone di poc’anzi. Aveva uno sguardo del tipo ‘voglio farmiti in tre mosse’.Te pijo.Ti sbatto al muro. E ti impecoro.

Una smorfia le delineò le labbra immediata. Lo sguardo dell’uomo si portava vertiginosamente dal davanzale di lei, alle gambe di Sango pareva stesse ballando un valzer con le pupille. Gettò uno sguardo attorno a lei, giusto per distrarsi da quella vista poco genuina per la mente.

Una porta Chiusa.Un bagno.Una saletta che pareva disegnata per le bambole. Il tutto d’uno squallore fuori dalla media.

L’unica cosa che pareva più pulita era il cesso. Innalzò le iridi passando dall’omone al bagno in pochi istanti. Chissà cosa cazzo ci faceva dentro quel bagno quando vedeva clienti come loro.

La bocca s’inarco verso il basso in una smorfia di disgusto.

“Brutto Caprone, queste due figlione vogliono farsi due bei piecing” esordì Sango con la solita finezza che le si attribuiva.

Il ‘Caprone’ in questione non ribattè nemmeno che già era nella stanzetta adiacente per preparare l’altare dei sacrifici  per immolare le sue vittime.

“La sopra ci sono delle riviste per vedere dove v’aggrada il buco belle bambine”

Dove v’aggrada il buco. Ovviamente era uno scontatissimo doppio senso.

Sango lanciò una sguardata a Kagome che stava trattenendo un conato di vomito. Sapeva che per lei tutto equivaleva ad un doppio senso.

Che tarlata mentale.

Sango scagliò un occhiata torva al babbione insinuato nella mini-camera che pareva più un parente stretto di Budd Spencer che una persona normale.

Si immaginò una manata di quell’allegro signore dove l’avrebbe mandata.

L’espressione ‘belle bambine’ probabilmente le arrivò tardi all’orecchio, giacchè ebbe una bradipante sensazione.

Ringhiò appena, quasi fosse un’animale in preparazione ad un attacco. “Bambina? Ma s’è visto quel decrepito del cazzo? Potrebbe essere mio padre Cazzo” sbottò tirando a sé qualche santo.

Kagome rimase interdetta. Fregandosene altamente delle parole del grassone. A parte i doppi sensi ovviamente.

“Su vecchio barile, abbiamo deciso…ombelico” sottilizzò lei, con un evidente delusione da parte del barbuto signore che sperava in qualcosa di più hard. Si sarebbe accontentato di sbavare dietro quel ventre piatto e ben piazzato che sicuramente la ‘signorina’ possedeva.

“O-ombelico?” mormorò Kagome in preda al panico. Si guardò attorno, per nessuna ragione al mondo si sarebbe lasciata bucare la pancia.

L’amica la osservò minacciosa “…Decidi Ombelico…o labbra…” ancora meglio. Due scelte assolutamente differenti e con la stessa percentuale di dolore.

“…Labbra…” decise lei, buttando la quella parola quasi dovesse giocare al lotto.

Per prima entrò Sango, lasciando una paralizzatissima Kagome in sala d’aspetto che pareva attendere l’ora del giudizio.

Dieci minuti.

Sango nel frattempo s’era accomodata come meglio le aggradava sul ‘lettino’ che pareva quello del dentista.

L’omone s’avvicinò con cautela, stringendo tra le mani un ago dalle dimensioni mastodontiche e quello che pareva un rudimentale aggeggio per fermare il piercing una volta ‘bucata la ciccia’.

Deglutì appena. Non le metteva paura l’ago, ma l’espressione che quel grassone aveva stampata in volto. Pareva un arrapato cronico con quegli occhietti semi nascosti dalle occhiaie, indice di qualche nottata passata probabilmente nel bagno dello stesso negozio.

Schifo.

Nemmeno s’accorse che la mano del sudicione le correva sul ventre per indicarle il punto ‘x’ su cui effettuare l’opera di maniscalco.

“Fallo dove di pare, basta che mi rimandi a casa viva” ironizzò notando l’ indigenza del luogo ove l’uomo operava.

Perle di sudore, più che perle parevano pozze nel vero senso della parola scendevano lungo la fronte dell’uomo, impigliandosi talvolta tra le ispide e folte sopracciglia grigiastre.

La mano destra dell’uomo stritolava un sigaro il quale puzzo s’intrometteva pericoloso nella stanza, nauseando non poco la povera Sango.

Con un gesto rapido della mancina infilò l’ago sulla parte di pelle prescelta. Avvitando la piastrina del piercing con la maestria degna ad un illusionista.

Sango emise un piccolo uggiolìo. Nulla di più.

S’alzò seduta sul lettino e compiaciuta osservò la parte arrossata dove solamente un po’ di sangue n’era stillato.Niente di grave.

“Ti piace bambola?” sibilò l’omone mangiandosela con gli occhi.

L’espressione di Sango era paragonabile ad un misto tra disgusto ed un ‘sto per tirarti un bel calcio tra le gambe in modo da farti divenire la prossima donna barbuta del circo qui di fronte’.

“Passabile” confermò alzandosi e sculettando verso l’uscita.

Quando la porta s’aprì, Kagome fece uno scatto in avanti, alzandosi repentina dalla sua postazione. Al suo gesto, mille pezzi di carta appallottolati scesero dalle gambe sino al terreno, pareva una trincea.

La mora deglutì facendosi avanti di qualche passo, titubante.

Sango maliziosa, le sferrò una bella pacca sul sedere per farla avanzare maggiormente. “Zoccola” ringhiò l’altra.

“A dopo Troietta bella” le mormorò facendole ciao ciao con la mano.

La porta si richiuse dietro di lei. Paura.

In quel momento si sarebbe sotterrata volentieri.

Ci volle un’ora buona per fissarle quello stramaledetto piercing sotto il labbro inferiore, ma alla fine,gli sforzi del caprone s’erano rivelati non inutili.

“Perfetta” esordì Sango, notando l’amica uscire leggermente barcollante dalla sala di tortura. La stanza pareva girare da sola attorno alla testa, giacchè era svenuta ben tre volte alla vista dell’ago.

“Quanto vuoi grassone?” stormì la bruna inarcando pericolosamente il sopracciglio destro.

“Facciamo 10000 yen e non se ne parla più” Sango alzò le spalle, certo che l’omone non era per nulla caro. Di solito quella roba veniva a costare un bel sacco di soldi.

“Se mi viene l’infezione ti denuncio” lo minacciò la ‘mite brunetta’. L’omone sventolò allegramente la mano intimando alle ragazze di tornare presto con evidente desiderio perverso negli occhi.

 

“Che schifo” principiò Sango studiando ancora quella sottospecie di essere maschile che piano piano scompariva alla loro vista.

Kagome non osava muovere bocca, il dolore che si propagava dal labbro a tutto il resto della bocca era micidiale.

“Sembra che ti sia fatta un botulino” la canzonò Sango, indicando la parte del labbro che si stava lentamente gonfiando, effetto normale.

La mora inarcò le sopracciglia, avrebbe voluto ribattere qualcosa ma non le riusciva.

E’ buffo come un’amica può costringerti a fare ‘certe cose’.

Primo pensiero. Cos’avrebbe detto sua madre? Non era al corrente della ‘sua’ decisione.

Già perché era stata sua.

Sango s’era limitata a fargliela ‘attuare’.

Immaginava già la scena. Lei che entrava in casa, sua madre che la squadrava, sbiancava e rimaneva incazzata con lei una settimana.

Ottimo lavoro Kagome.

Secondo pensiero. Il sabato sera. Giorno sacro per gli adolescenti, soprattutto per mettere in mostra le novità. In questo caso il piercing.

Luogo d’incontro? Ovviamente l’ X-Zone la discoteca più frequentata di Tokyo.

 

Lanciò uno sguardo furtivo a Sango. Pareva rilassata. Lei al contrario era tesa come una corda di violino. Avrebbero usato la solita scusa per star fuori sino al mattino successivo.

Mamma, io vado a dormire da Sango.

Mamma, io vado a dormire da Kagome.

Mai state beccate. Mai state colte in flagrante.

E dire che era una scusa vecchia come il mondo, usata sapientemente da ben tre anni.

L’unico ostacolo. Il piercing. Col cavolo che sarebbe uscita con quella roba sigillata sul labbro. Perché non l’aveva fatto sull’ombelico come l’amica?

Al solito. Pentimento.

 

Sango s’era voltata ad osservata con un cipiglio perplesso disegnato in volto.

Kagome stava pensando,era preoccupata e pentita.

Lo si intuiva dal modo frenetico da come giocherellava con i capelli, a destra, sotto la spalla una ciocca nerissima faceva invidia al resto della liscia capigliatura.

Riccia. A forza di rivoltare quel povero ciuffo di capelli, l’aveva modellato secondo la forma dell’indice.

Fissata.

A volte pensava che l’amica fosse troppo in tensione. Tentò di rassicurarla.

“…Sei preoccupata?” chiese fingendo di non essere a conoscenza della sua situazione.

 

Kagome sobbalzò. “Ch-chi io?” farfugliò tendendo entrambe le braccia lungo i fianchi. Gesto sbagliato.

Quando era agitata o nervosa, o si faceva la permanente dell’abituale ‘ciocca’, o s’irrigidiva come un animale imbalsamato o arrossiva improvvisamente.

Questa volta era molto scossa. S’era impuntata sul marciapiede, lasciando che l’amica proseguisse da sola per qualche metro. Subito dopo era esplosa in un pomposo colorito cocciniglia.

 

“No La Befana…Si…mia cara Befana…devi essere molto preoccupata…” fece una pausa. Osservò per qualche istante la parte che Kagome aveva ‘forato’ e capì il messaggio subliminale delle reazioni dell’amica.

“…Mmh…conosco un modo per far si che tua madre non si accorga nemmeno che hai il piercing” lo sguardo di Sango aveva assunto una maliziosa tonalità più scura nello sguardo, questo non presagiva nulla di buono.

 

Ecco. Ora la mora era ancora più preoccupata di prima. Sentiva vampe di calore in ogni dove.

“Come?” s’azzardò. Non l’avesse mai detto.

Il sorrisetto di Sango le tolse ogni dubbio, alzò lo sguardo al cielo, maledicendosi d’aver posto quel quesito. Con sottomissione si lasciò trasportare dall’amica che l’afferrò per il braccio destro.

“Dove andiamo?”

Altro Sbaglio. Mai domandare a Sango dove ti porta.

 

Sorriso malpensante, seguito da un inarcarsi furbo delle sopracciglia.

Poteva voler dire solo una cosa. Sbarrò gli occhi, aprendo la bocca per dire qualcosa ma il dolore fu più in gamba di lei nel palesarsi.

“…No…No…No…” questa volta tentò di divincolarsi in modo disperato dalla stretta dell’amica. Il suo era un brutto. Un bruttissimo presagio.

 

La strada pareva lunga. Lunghissima. Quell’edificio alto, allungato tra le metà di due grattacieli la metteva in soggezione.

Pareva un bordello quel posto. L’unica volta che c’era stata era rimasta sconvolta per una settimana.

Le rampe delle scale sembravano infinite.

Sango la trascinava, ormai aveva smesso di ribellarsi da un pezzo. Però non osava procedere di sua sponte.

Ecco quella porta.

[Non suonare, non suonare …] Aveva bussato. Maledetta.

Una voce che tutto aveva tranne di mascolino sibilò un qualcosa dalla parte opposta. Spalancando la soglia con entusiasmo.

La cosa che vide dopo la traumatizzò come la prima volta.

“Amore!” eccolo … o meglio, eccola. Un ragazzo s’era affacciato alla porta, e che ragazzo. Unica pecca. Non esattamente, un lui.

“Tesoro!” rispose Sango travolgendo letteralmente l’amico/a. Si presentava sulla ventina, all’apparenza belloccio, un taglio di capelli decisamente fuori dal comune trattenuti da una sottospecie di chignon femminile. Ribrezzo.

Un demone. Mmh…no forse un mezzo demone. Bho.

Il fatto è che parlava con quella vocetta ‘effeminata’ che lo faceva apparire totalmente diverso da quel che sembrava.

In poche parole . Un finocchio.

“Sango, piccola…cosa può fare la tua Kenny per te?” gesticolò portando entrambe le mani, ovviamente, in modo ‘femminile’ sulle ginocchia, piegandole appena.

“Naraku-chan…la mia amica deve cammuffare il piercing se no sua madre stasera non la fa restar fuori…tu, puoi fare qualcosa?”

Kagome si sentì avviluppata da una sensazione stranissima. Ogni volta che vedeva quel Naraku, o Kenny che fosse, sentiva un magone allo stomaco. Forse di imbarazzo, o di inadeguatezza.

Il ragazzo/a, sorrise bonario facendo accomodare le due nel suo ‘studio’ tutto al maschile/femminile.

 

“Kagura, bella, vieni qui ho un lavoro per te mia cara” parlava con un tono talmente melenso da far accapponare la pelle.

Una ragazza, stavolta ‘una vera’ si presentò dinanzi all’ ‘incognito sessuale’ muta. Finchè non sfoggiò un sorriso fulgido che dalle labbra dipinte d’un rosso ben demarcato pareva ancora più grande. Si avvicinò a Kagome, studiandone il problema.

“Non c’è problema capa, risolvo io in pochi minuti” suggerì masticando una gomma rumorosamente.

Sango sorrise maliziosa all’amica, che le lanciò un’occhiataccia pericolosa. Ma che razza di gente frequentava la bruna?

La ‘pseudo ragazza-uomo’ sospinse Sango in una saletta d’aspetto, vistosamente dipinta d’un rosa appariscente che accecava la vista solo ad osservarlo.

Mentre Kagome, per la seconda volta rimasta Sola, se la doveva vedere con quella Kagura di cui non aveva mai sentito parlare.

“Tranquillizzati cocca, Kenny è una brava bambina…ti spaventano quelli dell’altra sponda?” farfugliò facendola sedere su d’una seggiola girevole.

“N-no…è solo che mi sento un po’…in soggezione” mormorò accavallando le gambe per mostrare la sua sicurezza. La donna sorrise continuando a ciancicare la gomma.

Quel rumore le dava i nervi.

Avrebbe voluto prendere quella Kagura e sbatterla al muro solo per quel casino.

La ragazza s’avvicinò al volto di Kagome, per controllare la situazione. Lo sentiva, si stava sentendo male. Sentiva il suo respiro così tremendamente vicino da esalarne il sapore mentolato.

“Tranquilla baby, io sono etero” la tranquillizzò.

Ma non era quello il problema della mora, più sentiva quel ciancichìo, più aveva voglia di malmenarla.

“Ferma così tesoro…ora sentirai un picchetto” oddio, cosa voleva farle? Dove cazzo s’era ficcata Sango? A prendere il thè col finocchio? Questa gliel’avrebbe pagata. Molto Cara.

Sentì un ‘immenso’ dolore al labbro dove era posato il piercing. Amplificato ulteriormente dal pensiero ‘del male’ che stava provando.

Emise un gemito soffocato.

[Sango…Vaffanculo…] l’unico pensiero che le attraversò la mente morì pochi istanti dopo, sostituito dal biascicare di Kagura che aveva preso una strana roba marroncina. Ma che cazzo stava facendo?

Perché aveva un’amica così deficiente...

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Capitolo 3
*** Atto III : ...La Fortuna è cieca...ma la sfiga ci vede benissimo... ***


Simply Mine

Simply Mine

 

 

Atto III : ...La fortuna è cieca…ma la sfiga ci vede benissimo…

 

 

E’ strano come alcuni di noi siano portati a lasciare che i problemi scivolino dal nostro subconscio inconsapevolmente.

Lasciamo che passino, col tempo, senza rendercene conto.

Alcuni lo chiamano Egoismo. Altri semplicemente Insofferenza.

Ebbene, invece a volte ci vuole un notevole coraggio per lasciare che i problemi ‘non ci sfiorino minimamente’.

 

Acqua. Lui lasciava si che incertezze, dubbi, affanni e qualsivoglia non arrivassero a sfiorarlo minimamente.

Come liquido. Questo è capace di scivolare via con estrema facilità da qualsiasi superficie, così lui, non pensava.

Piccoli grani incolori, frammenti d’acqua scendevano ormai da mezz’ora dalla valvola di sfogo della doccia.

Correvano silenziose, le stille a percorrergli i crini inargentati. Scivolavano leste a percorrere i contorni del volto. Chiuse gli occhi. Entrambe le mani sollevò a portar verso il viso, in un gesto quasi meccanico.

L’acqua aggirò il movimento, sovrastando palmi e dita, transitando sull’incavatura del collo, sul torace e sul bacino. Alzò appena il capo indietro, distogliendo le mani dall’appoggio precedente e lasciando che le scie stinte s’estinguessero sul volto.

Rilassamento. Quasi conforto provocava quel contatto mitigato sulla pelle.

Pensieri. Nascevano, numerosi ma non s’azzardavano a permanere nella mente del mezzo. Tentava in ogni modo di rifuggire quelle inutili preoccupazioni. Lui non aveva ansie, non poteva permettersi d’averne.

Mosse appena il busto indietro, sentendo crepitare i muscoli in tensione con le ossa. Allungò la destra per muovere il getto ad annullarsi.

Riaprì gli occhi, rimanendo per qualche istante ad osservare la bruma creata dal calore smorzarsi lentamente. I vapori scomparvero, lasciando che il calore che sino a poco prima avvolgeva il corpo capitollare improvviso nel contrasto dell’inverno.

Un lieve brivido gli percorse le spalle, scendendo a spandersi lungo gli arti mentre le gocce ancora slittavano sul corpo ignudo.

“Porca miseria che freddo” brontolò l’hanyou afferrando il primo asciugamano capitatogli a tiro. Scese dal ripiano della doccia percorrendo a freddo le piastrelle del pavimento.

Un sospiro. Le iridi calde scorsero accanto allo specchio, ove si soffermò per qualche istante.

Cosa ci vedeva? Niente.

Assolutamente nulla di diverso. Delusione. Questo però era in grado di scorgersi riflesso negli occhi.

Sembrava una barzelletta, lui, sfiduciato nel considerarsi uguale agli altri. Scosse le spalle, tanto come gli altri anche questa preoccupazione l’avrebbe abbandonato in poco tempo.

Uscì dal bagno, lanciando una rapida occhiata nel contempo all’orologio. Le 20.30. Inarcò un sopracciglio, cos’era che doveva fare?

Se l’era dimenticato. Un’altra sua pecca.

Per quanto si sforzasse di segnare le cose in ogni dove, non solo dimenticava queste ma anche i posti dove le aveva appuntate.

“Feh…non sarà stato nulla d’importante” s’autoconvinse sbrigativo. Fortuitamente non frequentava il college di sabato, però v’era ugualmente il lavoro.

Per quanto gli piacesse non poteva fare a meno di pensare alla svogliatezza che in quel momento s’era impossessata di lui.

Non aveva la ben che minima voglia di lavorare quel giorno.

[E se mi dessi malato?] Rimuginò nel mentre sulle labbra si delineava una sottile linea di immoralità. Era un’idea da scartare, niente lavoro, niente soldi, e senza quello addio studi.

Che ci andava ancora a fare in quella maledetta scuola nemmeno lui lo sapeva. Avrebbe potuto tranquillamente smettere e continuare col suo lavoro notturno.No, se si metteva una cosa in testa la portava a termine, l’aveva sempre fatto.

Uno dei suoi pochissimi bonus era la determinazione. Aveva scelto di andare a scuola, bene, allora doveva mantenersi fedele a quell’idea.

Portò la destra dietro il capo, a sollevare la cascata di crini accollata dietro la schiena.

Ma che sega…ora altre due ore per asciugarli…” s’era sempre chiesto perché, non aveva mai tagliato quegli stupidi capelli da fricchettone. Forse perché quel colore così inusuale attraeva di più se era in grande quantità piuttosto che quasi inesistente.

Si prese una pausa. I capelli avrebbero atteso.

S’avvicinò alla cucina, dopo la doccia pareva ancora più lontana di quel che in realtà non fosse. Fece per aprire il frigo, quando una smorfia gli contrasse le labbra lesta. Foglietti su foglietti attaccati sulla superficie del vano. Appuntamenti, memo, cazzate.

Ne staccò uno, dove c’era scritto ‘Miroku= 22.00’ ma che cazzo voleva dire quell’appunto?

Altro memo, non scrivere annotazioni senza significato. Tanto si sarebbe dimenticato anche di quello.

Lasciò cadere per terra il foglietto, introducendo completamente il capo all’interno del frigo per cercare qualcosa che gli bloccasse lo stomaco, non aveva ancora cenato.

Niente. Ma possibile che dopo due giorni quel ammasso di ghiaccio fosse già vuoto?

Le cose erano due, o il cibo spariva in un universo parallelo appena il frigo veniva richiuso o lui aveva cominciato ad ingozzarsi come una donna incinta.

Due sono le cose di cui ha bisogno un uomo che vive solo. 1) trovarsi una filippina alla quale affidare la custodia della casa 2) sposarsi al più presto se è così fortunato d’aver trovato una brava casalin….la donna della sua vita.

 

Nel caso di Inuyasha né l’una né l’altra cosa erano disponibili, dunque occorreva arrangiarsi. Non si lamentò oltre, afferrò il cordless posto accanto al frigo e compose il numero del ristorante più vicino.

 

“La cosa migliore che potevano inventare al mondo…” esordì dopo aver chiacchierato per venti minuti col proprietario del locale.

Prendi,paghi e magni. Proprio una bella trovata.

Fregandosene altamente del suo stato di spugna ambulante cambiò la direzione dei passi verso il salotto, il quale divano pareva invitarlo a sdraiarglisi sopra. Si sedette, abbandonando completamente le braccia sul tessuto in pelle del mobilio.

Prese il telecomando cominciando a scorrere tutti i canali possibili e inimmaginabili.

“Ma è una congiura…” borbottò sonoramente mentre dinanzi allo schermo passavano mille pubblicità raffiguranti primizie alimentari.

Lo stomaco comincio a brontolare, così una serie interminabile di imprecazioni furono rivolte al fattorino e alla sua incapacità di rispettare i termini di consegna.

“Porcaccia di quella miseria ladra…dove cazzo è andato a finire quel deficiente? Ma quanto ci vuole a voltare un angolo per consegnare un cazzo di piatto di Sashimi?

Poi a lui il pesce faceva pure schifo. Pace.

 

22.00. Il fattorino ancora non era arrivato. Il mezzo demone, ormai arresosi all’idea di rimanere a stomaco vuoto s’era mezzo addormentato sul divanetto in una posizione altresì poco ortodossa.

Stravaccato sul divano, gambe rigorosamente aperte a spaccata e braccia nella stessa posizione, pareva un cristo crocifisso a quattro di spade.

“Come sei sexy…” la voce altisonante del migliore amico lasciò che le orecchie bianche si smovessero appena sopra la testa. Le palpebre appena socchiuse si sforzarono d’aprirsi completamente sulla figura ancora poco nitida.

“Sai Inuyasha…va bè che ti sei dimenticato che dovevamo incontrarci al bar…su questo posso passarci sopra…” borbottò sarcastico incrociando le braccia al petto ed scorrendolo in tutta la sua figura.

“Ma metterti in questa posizione tipo sono qui violentatemi quando volete mi pare eccessivo…oltretutto con la porta aperta…capisco che hai una gran voglia di perdere la tua verginità…ma darlo alla prima che capita…su…non è da te…”.

Tutto il discorso del Dongiovanni fu assimilato con una lentezza bradipale da parte dell’hanyou.Sollevò il braccio destro per grattarsi il capo, lasciando che la mano scivolasse in successione sul volto, per poi tornare chiusa in un pugno.

“Mh?...Miro…Scopa…ma che cazzo stai a…” in quel momento un leggero ‘spiffero’ arrivò a saggiargli le parti basse, lasciando che la sua mente mettesse assieme le parole di Miroku.

E CHE CAZZO…” ringhiò tentando d’alzarsi in piedi di scatto, cosa che, lasciò che ricadesse completamente disteso sul pavimento a pancia in giù, poggiato sulle ginocchia.

 

Miroku lo osservò con un’espressione dapprima indecifrabile che via via divenne disgustata. “Oh…amici va bene ma metterti a capretta davanti a me…Inuyasha non sapevo fossi disperato così tanto…” assentì ironico.

Il mezzo demone si rialzò ancora più innervosito di quel che già non fosse, non solo quel cretino lo stava prendendo per il culo in modo eclatante ma anche la situazione abbastanza scoveniente giocava a suo favore.

“Se non esci di casa mia entro i prossimi cinque secondi ti spacco la testa…1…” nel mentre il mezzo cominciava la conta, Miroku volò direttamente verso la porta con l’agilità di un corridore di maratona.

“…2…” continuò il demone, portando la mano destra contro la sinistra a far crocchiare le dita. Sguardo visibilmente alterato, puntato con freddo dissenso verso la vittima e passo lento.

“…3…” il moro uscì di gran lena dalla porta, sparendo alla vista dell’hanyou.

Quando il mezzo lasciò scivolare entrambe le mani lungo i fianchi per tentare di riprendere l’autocontrollo sulla sua persona, ecco che il ragazzo col codino fece di nuovo capolino da dietro la porta d’entrata.

“Ah una cosa…” sibilò puntandogli il dito contro.

“Sei ancora li? Ma io ti…” l’hanyou stavolta cominciò a camminare vigile verso lo sprovveduto che rimase nella sua postazione seppur una lieve tremarella gl’era cominciata a scendere lungo il corpo.

Schiarì la voce, tentando di non dar a vedere l’evidente panico che gli muoveva le gambe ancora appostate fuori dalla porta.

“Ti ricordo che stasera c’è serata all’ X Zone vedi di non scordartelo…” mugugnò prima di darsela a gambe lungo i corridoi esterni della palazzina.

Inuyasha che, nel frattempo, stava premunendosi di forza bruta verso il migliore amico s’arrestò di colpo.La serata era…

Ecco. L’aveva dimenticato ancora una volta, maledetta testaccia. Non fece caso alla sparizione di Miroku, velocizzandosi nel levar le gambe verso la camera da letto.

“Maledizione…Maledizione…Maledizione…” ringhiò basso, catapultandosi praticamente all’interno dell’armadio a muro che faceva da sfondo alla stanza.

Stavolta quella che gli scendeva dalla fronte non era acqua, ma una sudorazione accelerata del corpo che aveva fatto partire una vampata immensa di calore dallo sterno sino al collo. Agitazione.

Aveva poco più d’un ora per prepararsi, ritrovare il cd remixato e fiondarsi in macchina.

Scrupolosamente passò in rassegna ogni ‘straccio’ che aveva nell’armadio, tassativamente gualcito o ridotto ad un cencio nel vero senso della parola.

Niente. Non trovava assolutamente nulla che potesse andar bene per una serata importante come quella.

Ma che cazzo di roba vado a comprarmi…da dove diamine esce sto schifo?” mugolò gettando l’ennesima maglietta dietro le spalle.

Sospirò. A volte gli pareva d’essere una di quelle donnicciole che per trovare un vestito adatto ci mettono secoli. Il punto era che era regolarmente in ritardo per ogni cosa, data la sua scarsa memoria e il poco tempo a disposizione per portare a termine la suddetta.

Per fortuna che proprio il giorno prima s’era lamentato della lentezza di Miroku. Ringhiò guardandosi addosso, era ancora mezzo nudo con i capelli umidicci.

Ma porca…non ho nemmeno asciugato i capelliii” ormai la disperazione cominciava a far breccia nella mente del mezzo.

Tentò di prendere un respiro profondo. A cosa serviva? A niente. Si chiedeva che cavolo di senso avesse avuto quel gesto se non aveva affatto il potere di calmarlo.

Scosse la testa, prese le prime cose che gl’erano capitate tra le mani, si fiondò in bagno accendendo il phon al massimo.

Alzò lo sguardo al cielo.

“Eh che cazzo…ora ti ci metti pure tu?” gridò avventandosi contro l’apparecchio che non dava segni di vita.

Possibile che la giornata potesse mettersi peggio di così?

Ma perché la sfortuna continuava a perseguitarlo?

Era vergine. Non aveva un cazzo di memoria. Era sempre in ritardo. Aveva una casa da schifo. Non aveva mangiato e per di più anche il phon non funzionava.

Si schiaffò una mano sul volto. Quanto avrebbe voluto essere da un’altra parte.

Uscì dal bagno, infilando con una mano i jeans e l’altra la maglietta, lasciando che l’asciugamano ricadesse sul terreno. Si fermò, e no, mancava qualcosa.

Cercò di eliminare il pensiero d’un eventuale suicidio correndo velocemente in camera, dove i boxer lo salutavano da sopra il letto.

Tutto daccapo.

Nel frattempo, il phon che aveva cominciato a funzionare stava praticamente mettendo a soqquadro il bagno gettando per terra ogni foglietto, sigaretta e quant’altro vi fosse intorno.

Finalmente era riuscito a vestirsi. Gettò una veloce sguardata all’orologio “SONO GIA’ LE 22.30?” no, qualcuno sul serio, ce l’aveva con lui.

Arroccìo le maniche della maglia sopra i gomiti, corse in bagno, riprese il phon con una velocità al pari di flash s’asciugò la folta chioma, lasciandola mezza bagnata e mezza asciutta.

Tornò in camera, prese le chiavi di casa e della macchina stringendole tra i denti, ovviamente mentre s’allacciava le scarpe.

Con l’impeto d’un ciclone si scagliò fuori dalla porta, lungo le scale.

Arrivato alla macchina tirò un sospiro di sollievo. “Ce l’ho fat…” un lampo gli attraversò maligno la mente.

“No…no…no…no” appoggiò il braccio destro sopra il tettuccio della macchina dando sonore zuccate sopra il metallo rossiccio dell’auto. Ok, era una congiura.

Dovette tornare sui suoi passi, riaprire la porta, per giunta rimasta mezza aperta, tornare in camera a prendere il cd abbandonato sul comodino.

Quando scese, passò in rassegna mentale una possibile dimenticanza. No, tutto apposto.

Aprì la portiera e al gesto del comando automatico la macchina emise unclac’ d’apertura.

Quando finalmente fu all’interno dell’abitacolo potè tirare un sospiro di sollievo.

Prese tra le mani il cambio portandolo lesto in prima, lasciò il freno a mano cominciando circa venti manovre per uscire dal piazzale di casa. Premè l’acceleratore con foga, passando dalla prima alla terza in una mossa soltanto, cosa che fece ringhiare di brutto l’auto.

Ora il problema era solo raggiungere la discoteca entro le 23.00. Orario d’apertura per lo staff. In quel momento, il cellulare cominciò a suonare stressante.

Ma che cazzo vogliono adesso…” sibilò il mezzo, già alterato visibilmente, lanciando un’occhiata malevola in direzione dell’apparecchio.

“Pronto” sbottò con una ‘grazia impressionante’. Dall’altra parte, l’interlocutore doveva essersi allontanato di circa tre centimetri dal microfono in quanto la voce dell’hanyou era amplificata 20 volte più del normale.

“Inuyasha…sono Miroku…ti sei ricordato del mio biglietto omaggio vero?” esordì ironico mentre dall’altra parte si sentì una frenata improvvisa. Inuyasha aveva arrestato la sua corsa proprio in mezzo alla tangenziale dove altre macchine avevano preso a suonare i clacson impazzite.

Aveva sbarrato gli occhi, nel mentre un rossore sempre più demarcato, di rabbia, gli aveva attraversato le guance.

“Miroku…” mormorò atono dall’altra parte, mentre si preparava alla retromarcia e al seguente ritorno verso casa, per l’ennesima volta.

“Dimmi” continuò lui calmo.

“Ma vedi di andare a fare in culo…” proruppe il mezzo lanciando il cellulare sul sedile posteriore, nel mentre Miroku continuava a richiamare il suo nome incessante…

Una giornata peggiore di quella non poteva prospettarsi. E ancora il peggio non era arrivato…

 

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Capitolo 4
*** Atto IV : Attrazione … e Poi? (Prima Parte) ***


Simply Mine

Simply Mine

 

 

Atto IV : Attrazione … e Poi?

Prima Parte

 

Lo scorrere del tempo è inevitabile. Ore, minuti, secondi.

Il tutto scandisce la nostra vita in una velocità impressionante, quasi non ce ne rendessimo conto.

Solamente una cosa è capace di fermare il tempo.

Qualcosa che ti colpisce. Se rimani scosso da qualcosa, rimani imbambolato, una faccia quasi inebetita si disegna sul volto quasi a voler imprimere quel momento nella mente, a scolpirlo nei ricordi.

I sogni non rimangono per troppo tempo, la realtà rimane per sempre.

Il primo amore, la prima volta, il primo giorno di scuola, il primo amico. Tutto rimane inalterato, solo il ricordo mantiene qualcosa in eterno.

 

Per lei quel tempo era parso interminabile.

La madre l’aveva guardata dall’alto in basso. Erano le 21.00 quando aveva messo piede in casa.

Era rimasta sulla porta. Immobile, pregando qualcuno che la genitrice non scoprisse il suo ‘segreto’.

Kagura aveva lavorato bene. Seppur quell’ambiente non le andasse particolarmente a genio.

In quel momento sua madre aveva assunto la medesima espressione di Naraku quando l’aveva salutata. Un misto di dolcezza e freddezza rimescolati assieme, il che rendeva la cosa abbastanza strana.

Una smorfia le contrasse le labbra. Doveva scacciar via il pensiero di quel finocchio. Cominciò ad altalenare il piede dall’alto in basso, attendendo che la signora Higurashi le dasse l’ok per rientrare.

A volte sua madre le pareva uno scanner, sentiva i suoi occhi correre su di lei come se la marchiassero a fuoco.

“Entra pure cara” mormorò la donna, senza aver il minimo sospetto che il piercing era stato abilmente cammuffato sotto un miscuglio di lattice e fondotinta da far invidia al miglior truccatore di Hollywood.

Il cuore le mancò di un battito, davvero era riuscita a sfangarla? Appunto breve. Ricordarsi di baciare appassionatamente Sango quando l’avrebbe rivista.

Varcò la soglia di casa, squadrandosi attorno. Troppo tranquillo.

La madre s’era fermata qualche istante ad osservarla interrogativa, come per chiederle cosa stesse aspettando.

La mora alzò le spalle, lasciando che qualche filo corvino le passasse dietro le scapole. Sospirò, avanzando poco tranquilla lungo il corridoio piastrellato di marmo.

Lanciò un’occhiata alla sua destra. Silenzio.

Un’altra alla sua sinistra. Silenzio.

Questa volta abbassò le spalle convinta, rilassandose e spiccando un lieve sorriso. Suo nonno non c’era.

“Kagome” come non detto.

Un vecchietto arzillo, sulla sessantina, le stava correndo incontro per abbracciarla. Quasi non l’avesse vista per chissà quanto.

Nei movimenti scattosi del vecchio, la barba a punta, curata seppur appena allungata sotto il mento dondolava allegramente da un lato all’altro del mento.

Avvicinatosi alla nipote, l’anziano la squadrò vistosamente, arrestandosi dal precedente gesto affettuoso.

“Nipotina mia…mhh…” in quel momento l’orologio a pendolo del salone che più d’ogni altra cosa spiccava, pareva scandire col lento ticchettìo, il ritmo che aveva preso il cuore della ragazza.

Ad ogni oscillo del grande orologio, equivaleva un palpito.

La mano rugosa del vecchio, traversata qua e la da qualche venatura bluastra corse sulla guancia della ragazza, soffermandosi proprio in corrispondenza del piercing celato.

Kagome deglutì pesantemente. Se fosse stata scoperta, addio serata, addio divertimento e addio Sango.

“N…Nonnino…devo andare a farmi il bagno” mugolò fissando contemporaneamente la severità dipinta nello sguardo del progenitore e le lancette del pendolo che rintoccavano le 21.10.

Le iridi scure dell’anziano sacerdote si fermarono in corrispondenza di quelle della nipote. Passarono alcuni minuti prima che rispondesse all’affermazione della mora.

“Bè…allora vai” concluse bonario, lasciando che le sopracciglia s’appianassero sulla fronte zigrinata.

Non aveva scoperto nulla? Meglio così. Doveva sbrigarsi, ci mancava che comparisse pure il fratellino poi tutto sarebbe degenerato.

A passo svelto cambiò direzione, aggirando il nonno e la madre che ancora la osservavano poco convinti. Perché doveva essere sempre così? Possibile che il fatto d’avere ormai diciannove anni compiuti non contasse nulla per loro?

No. I genitori non sono in grado di capire quando i figli crescono veramente. Per loro lei avrebbe continuato ad essere la loro ‘piccola’.

Quando avrebbe avuto quarant’anni? Non voleva pensare all’eventualità patetica di vivere ancora, a quella precaria età ancora con i suoi.

Sfrecciò in camera, percorrendo la rampa che conduceva al piano superiore in un nano secondo. Quando si ritrovò dinanzi alla porta del suo ‘mondo privato’ si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.

Posò la mano sul pomo d’ottone, dando una leggera spinta in avanti. Quella porta aveva bisogno d’un po’ d’olio in più.

Con un biego scricchiolìo s’aprì, anche se a fatica mostrando una camera inghiottita dal buio più pesto.

Calibrando bene i passi riuscì a non capitombolare per terra, raggiungendo l’interruttore per tempo. Rimase affiancata al muro per qualche istante. Alzò le sopracciglia scure, lasciando che la mano corresse dall’interruttore sino a saggiare la rasposità del muro bianco sotto il suo tocco.

Le iridi brune compirono un lieve movimento circolare, tracciando il riquadro della camera.

Aveva ragione Sango quando le diceva di cambiare un po’ quella tappezzeria.

S’era sempre relazionata ai suoi spazi per comprendere quanto, in realtà, dentro stesse crescendo. Da piccola, il colore predominante era il rosa. Tonalità chiare per sottolineare la sua fanciullezza, il rosa è il colore dell’innocenza, delle gote d’un bambino, della coccarda sulla porta il giorno della nascita d’una femmina.

Il colore del primo amore, quello per i genitori, dei primi passi, delle scoperte.

Poi, la fanciullezza aveva lasciato il passo all’adolescenza, il colore predominante era il bianco. Un colore neutro, perché l’adolescenza è un momento di passaggio, nel quale non si sa nulla del futuro, non si sa nulla dell’attuale presente, si vive il carpe diem.

Il bianco rappresentava la mente, nella quale mille e mille pensieri trovavano spazio nell’infinità di quel colore che meglio figurava il suo stato d’animo.

Dopo i quindici anni, il bianco e il nero erano stati i colori predominanti. I primi dubbi, le prime incertezze, che lottano tra quelle due tonalità poste nelle estremità remote della mente.

Il Bianco. La serenità.

Il Nero. L’incertezza.

Benchè nell’adolescenza non s’è capaci d’afferrare quella sfumatura che giace tra i due colori.

E ora? Quale colore sarebbe stato in grado di rappresentare la sua attuale situazione? Che colore aveva quella sfumatura?

Per lei era ancora Bianco e Nero.

Sango, aveva trovato la sua sfumatura. La decisione. Lei era cresciuta, seppur con qualche idea pazza in testa, ma sapeva bene qual’era il suo nuovo colore.

Grinta, coraggio, salvaguardia, cautela. L’arancio, il rosso, i toni caldi.

Il suo carattere, la sua pienezza si stava manifestando di giorno in giorno, lasciando Kagome indietro a rimuginare ancora sul bianco e il nero.

Lei era passata, in un istante, dalla dolcezza, l’igenuità, la gentilezza…all’egoismo, la ‘cattiveria’, il senso dell’io. Troppo radicale il suo cambiamento.

Per questo ancora sopravviveva nell’insicurezza.

Le iridi bronzee si discostarono dalle pareti, restringendo il campo negli oggetti presenti.

Una camera sobria, un computer, una scrivania, qualche libro accatastato in ordine sulla libreria. Il letto a sponda rigorosamente fissato alla parte destra del muro. Sulla sinistra, poco distanti dalla finestra erano adagiati altre tre piccole poltroncine piatte, che somigliavano ai classici triclini romani, ove gli antichi usavano consumare il pasto.

Uno strano gusto da parte della ragazza che però, rendeva la stanzetta originale.

Unica cosa che stonava con quella metafora di compostezza erano le miriadi di peluches sparsi per la stanza.

Ecco la sua insicurezza, seppur fosse subentrata nella maturità, aveva una certa paura d’abbandonare quel lato che ancora la rendeva bambina.

Il suo io era diviso in due parti.

La Kagome bambina e la Kagome adulta.

Lei era una via di mezzo tra le due, che attendeva di far sbocciare il suo lato di donna.

Mosse qualche passo, sedendosi sul bordo del letto. Bianche anche le coperte, sorrise, quel colore doveva essere sostituito al più presto.

Il bianco era il simbolo della purezza, e la sua purezza…ormai…era andata a farsi benedire da tempo.

 

Sei pronta?

…Non sono mai stata così sicura in vita mia…

 

Se avesse potuto tornare indietro, avrebbe evitato di pronunciare quelle fatidiche parole che l’avevano concessa a ‘lui’ per la prima volta, regalandogli la sua cosa più preziosa.

Imbronciò lo sguardo, si dice a volte ‘Non lamentarti d’una cosa se quando l’hai fatta eri felice’. Bè, quella frase avrebbe dovuto esser modificata ‘Non lamentarti di una cosa se MENTRE la fai sei felice, puoi lamentarti solamente quando questa s’è chiusa miseramente’. Sicuramente meglio.

 

Portò la longilinea mano a testare le lenzuola di raso sulla pelle, l’avvicinò al volto, saggiando ancora più a fondo il contatto col tessuto.

Era più freddo il lenzuolo, o la sua pelle? Non lo sapeva.

Forse il suo carattere s’era refrigerato più delle due. Era divenuta indifferente per certe cose. Ed erano due le cose in questione.

1)      I ragazzi 2) L’amore

Due cose etremamente correlate tra di loro, in quanto l’una era interdipendente dall’altra.

Aveva deciso così. Al momento contavano la sua carriera. Un giorno sarebbe divenuta una giornalista, il suo sogno.

Osservò il piccolo computer portatile posto di lato alla scrivania. Oltre Sango, ciò che amava di più era lo scrivere. Ogni qual volta le sue mani sfioravano quella tastiera, la mente cominciava a vagare in mille storie fantastiche. Ma ultimamente in quelle storie non v’era più l’amore, aveva preso pieghe troppo dark e tonalità troppo uniformate.

Quando c’era ‘lui’, quello che lei scriveva era dettato dal cuore.

Quando lui l’aveva lasciata, quello che lei scriveva era dettato dal raziocinio.

Gettò uno sguardo sull’orologio. Le 22.00.

Sorrise tentando di reprimere i ricordi.

V’era rimasta solamente una cosa da fare. Convincere la ‘madre’ a restare fuori durante la notte.

Il cellulare nella tasca interna della giacca cominciò a vibrare improvvisamente.

Allungò la mano destra, distendendosi a pancia in sotto sopra il letto. Frugò nelle tasche, trovando finalmente l’oggetto di suo interesse.

“Pronto?” fargugliò nel mentre piegava le gambe ad angolo retto a mezz’aria, muovendole appena avanti ed indietro.

“Kagome, allora? Per stasera tutto apposto?” la voce concitata di Sango, dall’altra parte dell’apparecchio fece sobbalzare la mora.

“Ehm…non ancora…devo parlarne a mia madre” proferì schietta.

L’amica, dall’altra parte della cornetta cacciò un urlo, intimandola di muoversi in quanto lei era già pronta da tempo.

Non diede nemmeno tempo alla mora di rispondere che Kagome si ritrovò a parlare con l’insistente ‘tubare’ del telefono.

Gettò il cellulare sul cuscino. Voltandosi stavolta a pancia in su.

Con uno scatto del bacino si rizzò a sedere, soffermandosi solo qualche istante a contemplare dinanzi a lei.

Doveva inventarsi una scusa plausibile. Perché andava a dormire da Sango?

Ormai sua madre era divenuta scettica, ed ogni qualvolta che doveva usare tale scusa domandava sempre un possibile perché.

I genitori sono partiti per una vacanza. Ovvia.

Vado a farle compagnia perché da tempo non trascorriamo del tempo un po’ da sole. Scontata, una settimana prima era già stata da lei.

Parente ammalato. Corna permettendo, lasciamolo per momenti veramente disperati.

Sango è stata mollata dal ragazzo ed ha bisogno del mio conforto. Bingo. Scusa plausibile, non utilizzata ed inoltre la madre non era a conoscenza della vita sentimentale dell’amica, non conosceva nemmeno la sua, figuriamoci.

Sorrise. Scusa Pronta.

Vestiti sistemati da una settimana nel cassetto a scomparsa inventato da Sango nell’armadio, soprannominato ‘hard boutique’ per i contenuti poco ‘monacali’ in ambito vestiario.

Scese lentamente le scale. Ora doveva solamente calarsi nella parte studiata, recitare al meglio il copione e goderne i frutti.

Si soffermò al penultimo scalino, prendendo un profondo respiro.

[Speriamo vada tutto per il meglio] s’augurò alzando gli occhi al cielo.

Le luci s’abbassino, l’atmosfera si riscaldi, entrano in scena gli attori.

“Mamma…” cominciò tristemente. Sguardo basso, mani tremolanti lungo i fianchi, giusto per dare quel tocco di classe alprovino’ e voce tendenzialmente abbassata.

La donna alzò lo sguardo, dapprima leggermente sospettoso. Sabato sera, ore 22.30, Kagome che con voce melensa la richiama.

Gatta ci cova.

Fece finta di nulla, tornando alla mansione di brava massaia che le si addiceva. Nell’avanzare, i rumori della cucina e i suoi odori inconfondibili si facevano strada nei sensi della giovane. Il profumo dei piatti appena lavati, rimescolato all’odore di rosa della madre. Le ricordava quando era piccola.

Il calore del microonde ancora acceso, il profumo delle okonomyaki soffritte ancora acceso nella sala.

L’immagine ‘caratteristica’ della madre affacendata a riassettare la cucina.

“Mamma…” riprovò, timbro ancora più sfiduciato sottolineato da una curvatura appena accennata delle spalle.

La donna continuò il suo fare “Dimmi cara…” proferì ancora diffidente, nel mentre il suo lavoro ‘rallentò’ appena.

La mora riprese, avanzando ancora pochi passi. “Stasera, devo andare a dormire a casa di Sango” parole fatidiche.

La madre scosse la testa, accennando appena appena un sogghigno malizioso sul volto intrinato dalle prime rughe.

“…Perché…?” domanda di rigore.

Stavolta Kagome era pronta ad una risposta più che dignitosa. La madre avrebbe ceduto.

“Il Ragazzo di Sango…che stronzo…l’ha lasciata poche ore fa…ora lei è a dir poco distrutta…io come sua migliore amica ho il dovere di restarle accanto” proferì solenne, quasi forse un discorso patriottico il suo.

La madre arrestò le faccende, inarcando un sopracciglio.

“E tu non puoi, consolarla, telefonandole?” rispose di rimando, astuta la donna.

Kagome non accennava a voler demordere. Il tono si fece stavolta sciovinistico, mentre alzava lo sguardo rattristato verso la madre.

“Come posso consolare la mia migliore amica, dietro quel freddo apparecchio qual è il telefono” concluse, forse era stata un po’ troppo recitata quella cosa? Troppo drammatica?

La madre s’arrese, anche se probabilmente aveva intuito che la figlia stava mentendo.

La mamma è sempre la mamma. (Se qualcuno si azzarda ad avvicinare la simmental al discorso interrompo la fanfic immediatamente Nda)

“Va bene… Ma domattina, per pranzo devi tornare a casa…” definì bonaria.

Kagome si limitò ad un grazie, avvicinandosi a baciare leggermente la guancia della donna.

Si voltò e tornò tranquillamente sui suoi passi.

Interiormente mille sensazioni contrastanti stavano dando sfogo ad una vera e propria tempesta ormonale. Doveva aspettare prima di festeggiare, altrimenti i suoi sforzi sarebbero stati vani.

Salì velocemente di sopra, un largo sorriso le illuminava radioso il volto.

Si buttò in ginocchio accanto all’armadio, aprendo il cassetto top-secret ed estraendovi gli abiti accuratamente selezionati con la migliore amica.

L’obiettivo non era quello di ‘conquistare qualche inbranato’ ma quello di far schiattare le altre ragazze presenti d’invidia.

L’altra mano, disimpegnata dal sorreggere gli abiti, afferrò il telefono componendo velocemente, soltanto con l’utilizzo del pollice il numero desiderato.

“Sango…ce l’ho fatta!” bisbigliò appena.

“Perfetto…alle 23.30 a casa mia…” sibilò l’altra con una vena d’impazienza mista a felicità nel tono.

“Prendo la macchina?” chiese la mora, piuttosto restìa al farlo. Sapeva già come sarebbe andata a finire, lei e Sango, mezze ubriache per la strada a cercare d’infilare la chiave nella portiera della macchina, senza successo.

“Guido io stasera…” propose l’altra, con evidente soddisfazione da parte di Kagome che sospirò di sollievo.

“Baci zoccoletta” sussurrò Sango interrompendo la conversazione prima che l’amica potesse ribattere.

Che maledetto vizio aveva, riattaccare a quel modo.

 

 

 

 

 

 

 

 

[Respiro profondo.

Chiudere gli occhi.

1…

2…

3…]

Ripeteva quella frase da tempo immemorabile ormai, l’aveva sempre aiutato a concentrarsi sulla musica giusta.

Odiava dover provare i suoi capolavori artistici davanti a quel gruppetto insulso che ogni tanto applaudiva solamente per invogliare il dj a tornare nuovamente la prossima volta.

Dj=Successo= Soldi per la discoteca.

Il mezzo se ne fregava altamente di quelle manifestazioni rivoltanti. L’unica cosa che gli importava era fare la sua musica.

Essere il PeaceMaker della serata. Occhi puntati su di te, urla, strepiti…

Quello che più lo compiaceva era l’adrenalina che ‘la sua magia’ scatenava nelpubblico adorante’.

E Il Live, adorava dare voce alla sua musica nelle serate come quella. Importanti.

Solo in quel momento era diverso da qualsiasi altro Dj, lui sapeva rendere quel Live Voice impressionante.

Miroku lo raggiunse nella sua postazione, tra le mani stringeva due bicchieri ricolmi di Vodka.

Inuyasha lanciò un’occhiata prima ai due bicchieri, poi all’amico.

Lo sguardo aveva un misto di compiacimento e diffidenza. Bere. Quella era la seconda cosa che lui e l’amico sapevano fare meglio…

Perché si sa : l’alcol è usato per sentirsi a proprio agio e lo stato di ubriachezza è un modo per creare l’intimità.

Nel loro caso, la prima e la seconda opzione valevano con o senz’alcol. Bevevano per divertimento, forse, o solo perché gli piaceva.

“Tiè” accennò Miroku, porgendo all’amico il recipiente. Inuyasha ne osservò per qualche istante il contenuto, non doveva abusarne quella sera, altrimenti sarebbe stato troppo ubriaco per rendere il suo lavoro perfetto, e non veniva pagato per bere.

Lasciò che il liquido gli bagnasse leggermente le labbra, prima di posarlo accanto ad una delle casse.

Continuò a smuovere le dita sul disco, lasciandole scivolare come carezze. Paragonava il suo lavoro ad una donna.

Sfiorarla all’inizio, cauto, docile.

Eccitarla con lo stuzzichiò delle dita giocose sulla pelle.

Farla sua,infine, con movimenti più sciolti e sicuri.

Se solamente avesse potuto attuare quei movimenti su una donna non sarebbe stato male. Un suo problema.

Si bloccava sempre sul più bello. Non ne sapeva il motivo, se l’avesse detto a Miroku gli avrebbe sicuramente dato dell’impotente.

Questa era una delle poche cose che custodiva per sé, per non lasciare che la sua virilità esteriore si deflorasse per quell’inconveniente. Grave, molto grave per un ragazzo.

Sconfortante, deludente.

Forse era per paura che rinunciava ogni volta, paura che ‘risuccedesse’.

Chiuse gli occhi, nascondendo le ambrate iridi sotto le palpebre. Non mancava molto all’inizio della serata.

Miroku osservò l’amico.

In realtà, infondo, ammirava la sua determinazione. Lui, non era mai stato capace di portare a termine una sola cosa in tutta la sua vita.

Aveva cominciato calcio, aveva abbandonato perché troppo faticoso, gli era presa la fissa del basket, troppo sudore e poche pupe a fare il tifo. Niente lo soddisfaceva.

Nemmeno in amore s’accontentava. Lui le voleva belle, intriganti, un po’ sottomesse e un po’ padrone. Chi troppo vuole nulla stringe.

Lui che aveva avuto? Niente. Non era mai riuscito ad avere una storia seria, nemmeno una. Era un libertino, non riusciva a restare legato per troppo tempo.

Forse. Questo aveva avvicinato lui e Inuyasha. Non erano poi così diversi infondo, solo che, si compensavano in qualcosa.

Ma Inuyasha era sempre una spanna sopra di lui. Per quanto ce la mettesse, per quanto volesse, in cuor suo raggiungerlo, non ci riusciva.

Quel mezzo demone, con la sua caparbietà, il suo essere deciso, sicuro.

Si sentiva inferiore. Incredibilmente.

Non dava mai a vedere il suo complesso nei confronti dell’altro ma, era geloso. Tremendamente geloso di Inuyasha.

Geloso del suo successo, geloso del suo menefreghismo, geloso di come riusciva a far si che i problemi che riguardavano il suo privato non risentissero minimamente nella vita pubblica.

Invidia.

Lui non sarebbe mai arrivato al livello dell’amico e questo lo rendeva livido di rabbia.

Solo in qualcosa andava fiero, lui era riuscito a perdere la sua verginità già da tempo ormai, e utilizzava questo particolare punto debole di Inuyasha, contro di lui.

Che amico che era. Poteva davvero ritenersi tale?

Aveva qualcosa che lo spingeva a voler far del male a quell’hanyou e qualcosa che al momento giusto, sapeva frenarlo in rare occasioni.

Per Inuyasha era il contrario.

Miroku era il suo migliore amico.

Infondo, ma proprio infondo, non gli dispiaceva affatto. Non mostrava mai la reale gratitudine che lo spingeva a restargli accanto. Gratitudine per cosa?

Per averlo tirato fuori da una situazione che rendeva il suo passato macchiato, incredibilmente sporco.

Debiti. Aveva avuto così tanti debiti in passato che aveva rischiato di rimetterci le penne.

Miroku l’aveva in un qualche modo ‘salvato’ per metà, anche se, ancora qualcosa celava anche al suo migliore amico.

Vergogna.

Se Miroku avesse realmente saputo che razza di pezzo di merda era stato in passato, l’avrebbe piantato in asso come persona oltre che come amico.

Non voleva.

Stava zitto.

La serata stava per cominciare.

La sala era ancora governata da luci soffuse, musica tranquilla.

In alto, sul soffitto basso, erano posizionati i fari luminosi. La serata dello Sweet babies era un avvenimento insolito e estremamente atteso.

Particolare. Il colore rosso, predominante su tutto, rifulgeva solenne a ricoprire ogni parte del locale. Rosso, simbolo del proibizionismo, della passione, dell’inarrivabile.

Del sesso, dell’anarchia, di ciò che è sbagliato.

Il colore senza dubbio, di Inuyasha.

 

 

Le macchine cominciavano ad affluire come il corso d’un fiume, sull’autostrada che conduceva al locale più rinomato.

A destra e a sinistra s’estendevano filate d’alberi, il cielo terso, obnubilato, rifulgeva dei riflettori che richiamavano l’attenzione degli ospiti.

L’insegna al di fuori, subito dopo l’uscita dedita alle vetture, sfolgorava d’un rosso cangiante, proprio come la serata.

Rosso in perfetta sincronia col nome, X Zone.

I fari della Mini illuminavano violenti la Berlina di fronte che si muoveva a passo d’uomo tanta era la coda aggrumatasi.

“Kagome, forse è meglio lasciare la macchina fuori e proseguire a piedi” propose la bruna, sospirando pesantemente.

La mora osservò al di la del parabrezza, non pareva affatto convinta sul da farsi. Poi lo sguardo ricadde sull’insegna fatiscente del locale “Forza, parcheggia andiamo a piedi”. La foga le attraversava le mani sudate, lasciando che la sigaretta stretta sulla destra cominciasse a tremare leggermente.

Portò le dita che stringevano l’ormai quasi spento bastoncino bianco, alle labbra, aspirando nevroticamente l’ultima boccata.

Sango fece qualche manovra, sorpassando in controsenso le altre macchine, finì sulla corsia adibita alla circolazione inversa, doveva essere veloce, rischiava molto.

Fece inversione, parcheggiando la macchina in una radura fortuita.

“Pronta?” scattò la bruna spegnendo il quadro.

Kagome emise un piccolo gemito, seguito da un assenso entusiasmato del capo.

Scesero.

Oltre a loro, qualcun altro aveva avuto la loro stessa idea, giacchè altri gruppetti di ragazzi s’unirono alla ‘passeggiata’.

Sango frugò sulle tasche degli attillatissimi pantaloni traslucidi, estraendo una sigaretta mezza schiacciata dalla tasca posteriore.

La accese velocemente, sorridendo verso l’amica.

“Spero tu abbia portato abbastanza soldi, stasera voglio ubriacarmi come una somara” ridacchiò palpandosi la tasca che conteneva 3 banconote da mille ¥*.

Kagome sorrise maliziosamente all’affermazione dell’amica “Tranquilla, mi sono premunita”.

La camminata non durò ancora molto. Giunte dinanzi all’entrata, le due dovettero subirsi una lunga coda di gente che partiva dall’ingresso sino alle porte esterne del locale.

“Maledizione…quanta fila” mugugnò la mora accendendosi una sigaretta, convinta che ormai, sarebbe stato maggiore il tempo passato fuori al freddo che all’interno.

La bruma notturna s’era infittita, creando una spettralità quasi innaturale attorno alla discoteca.

“Kagome…tu sai d’avere un’amica grandissima…quindi…non preoccuparti della fila, aspettami qui” pronunciò prima di sparire tra la folla.

“Sa…Andata” sbuffò, l’aveva lasciata sola in mezzo a quella marmaglia di rincoglioniti, pareva l’Assalto ai Forni dei Promessi Sposi tan’erano gli spintoni che riceveva da quell’orda di barbari.

Dopo circa un quarto d’ora, ricomparve Sango accompagnata da un losco figuro.

[Oddio No…] L’espressione di Kagome, da annoiata si fece disgusta.

“Amore bello” la vocetta sgraziata di Naraku diede affondo alle sue convinzioni lasciando che il/la permanentata si palesasse dinanzi al suo sguardo costernato.

Amore cosa? Avrebbe voluto rifilare un cazzotto su quelle perle bianchissime che erano i denti del delizioso uomo/donna.

Sango lanciò un’occhiataccia a Kagome, intimandole di ‘sopportare’ almeno al momento il finocchio.

“Vi fa entrare la vostra Kenny…cucciolotte!” esordì raggiante la donna un po’ troppo muscolosa.

Battè le mani un paio di volte contento, prima di mostrare una sottospecie di lasciapassare ad un uomo poco lontano che diede l’ok ai tre d’intrufolarsi all’interno del locale…o meglio…dell’Inferno.

Sango lanciò un’occhiata complice a Naraku che s’avvicinò a Kagome.

“Tesorino, sei mai stata ad uno Sweet?” chiese altisonante, tanto da far rabbrividire la povera mora.

Kagome rispose con un cenno di diniego.

“Bene, allora preparati mia cara…stasera vedrai l’Oltretomba” ridacchiò facendo cenno alla mora di passargli/le innanzi.

Assordante.

Kagome sbarrò gli occhi per qualche secondo. Ma quello era davvero l’ X-Zone? Non era il locale che ricordava.

Deglutì.

Sango le passò avanti, prendendola per mano.

“Kenny” gridò tra la bolgia “…Vieni con noi?” il ragazzo/a scosse il capo in un sorriso, indicando un gruppetto, tra i quali spiccava anche Kagura.

Quando la donna alzò la mano per salutare le due, Sango fu spinta via dall’amica.

“Sei pazza?” urlò la bruna in modo da farsi ben udire. Kagome non diede conto alle sue parole, forse perché non aveva sentito una mazza.

Un sorrisetto le si palesò sulle labbra, proprio una serata che si prospettava intrigante. La scollatura provocante che scendeva dietro la schiena della mora, era ben veduta da parte dei ragazzi.

Pizzicchi, palpatine e quant’altro non attardarono ad arrivare da non so dove.

La mora rispose con ceffoni e calci d’ogni genere, anche se da una parte, la cosa, la compiaceva.

 

 

 

La fronte del mezzo era imperlata di sudore, da quando aveva cominciato ad esibirsi, una vampata di calore s’era impossessata di lui, quasi se lo stesso Lucifero fosse entrato nel suo corpo.

Muoveva l’avambraccio vorticosamente sopra il disco, fissando con occhi a mezz’asta la sala già ricolma di gente che si scatenava, parevano una moltitudine di drogati in festa che si dimenavano come merluzzi all’ora dell’accoppiamento.

Ne aveva vista di gente strana.

Finocchi, Lesbiche che s’esibivano sui tavoli slinguazzandosi a più non posso, gente impasticcata, seduta alle estremità della sala che pareva avere scatti di paranoia e  smascellamenti in atto.

Scosse la testa, tornando a concentrare la sua attenzione al centro della pista.

Una pacca sulla spalla gli fece nuovamente volgere la direzione dello sguardo, ancora Miroku, ennesima Vodka.

“Vuoi farmi ubriacare vero?” biascicò l’hanyou osservando torvo l’amico. Il ragazzo col codino non rispose, tendendo ulteriormente uno dei due ‘calici’ in avanti.

Inuyasha decise di non dar udienza all’amico, prendendo semplicemente il bicchiere e bevendolo d’un fiato.

Ormai era il quinto, e l’alcol cominciava a farsi sentire.

Il calore cominciò ad impadronirsi anche del volto, stava avvampando.

Una donna s’avvicinò al dj, porgendoli le cuffie e il microfono. Era l’ora del Live.

“Stronzetti…pronti a fare un po’ di casino?” domandò sicuro lui, ricevendo ovviamente un si all’unisono da parte della sala.

“Perfetto…Sweet Babies Night…” lieve, sempre più lieve l’intonazione che si spense poco dopo,non pronunciò altro al momento, il Live sarebbe stato migliore a metà serata a quanto pare però già stava dando i suoi frutti.

La folla lo adorava, era divino.

 

 

“Appostiamoci la, ho caldo” bestemmiò Kagome, stufatasi di ricevere palpate sul sedere. Sango inarcò le sopracciglia contrariata “Io voglio ballare” s’immusonì.

“Fa come vuoi…io vado a bermi qualcosa” al suono di tali parole, l’amica cambiò immediatamente idea, notando che al tavolo v’erano consumazioni più che gratuite.

Una corsa avventata sul Waikiki** distribuito poco lontano.

Due bicchieri, due per ciascuna.

Pareva il mezzogiorno di fuoco tra le due ragazze. Scure le iridi di lei che si specchiavano sulle oltremare dell’altra.

“Chi perde paga il resto” la sfidò Kagome, la mano tremava al lato destro del fianco, accompagnata dalla sinistra al lato opposto.

E sia…” rispose l’altra convinta.

Iniziarono veloci come lampi, ad ingurgitare prima il rum contenuto nel bicchiere di destra, subito dopo la pera contenuta nell’altro.

Mix esplosivo che lasciò che entrambe lasciassero entrare aria alla fine della competizione che si rivelò paritaria.

“Un altro” ringhiò Kagome…

Sapeva bene di non reggere esattamente quel tipo di alcol, sentiva la testa già abbastanza alleggerita dal primo, bevuto a goccia. Non voleva però dare la soddisfazione a Sango di vincere, non questa volta.

Riprese in mano un altro bicchiere, estinguendo il suo contenuto in pochi istanti.

Rimasero in parità. Seppur avessero consumato cinque bicchieri ciascuna.

“Sango…” proferì la mora. Non ricevette risposta.

La testa le girava vorticosamente, però si sentiva bene da morire.

Caldo, aveva sempre più caldo.

L’amica era nel frattempo scomparsa. Troppo ubriaca per rendersene conto.

“Voglio bere” mugolò tirandosi in piedi a fatica e barcollando appena da destra a sinistra. Si diresse in mezzo alla pista, sculettando come una zoccola nel mentre sul volto le si dipingeva un sorrisetto di malizia.

“Vo-glio be-re” continuava a ripetere a stessa, adocchiando non molto distante il bar.

 

 

“Vuoi che prenda il tuo posto?”  Sakura, il dj di supporto, osservò la situazione dell’altro ponendosi nella sua postazione.

Inuyasha era fuori come un tetto. La mano muoveva sul disco una volta su tre, le altre due volte scapitollava addosso al muro  posto dietro la sua postazione.

“Nno…Iio…ffaccio dda…solo” borbottò il mezzo demone, ormai rosso in volto.

Miroku lo afferrò appena in tempo, prima che ricadesse indietro, anche lui non messo molto meglio dell’amico.

Lo volse in sua direzione, poggiando la fronte su quella dell’amico

“Ssei in piedi Inu?” domandò. La voce visibilmente contraffatta dall’alcool. L’altro mostrò una sottospecie di sorrisetto in segno d’assenso.

Si guardarono.

Scoppiarono a ridere come scemi.

“Ssai? Iio vadoo a bere ancora…” mormorò Inuyasha allontanandosi da Miroku che continuava a ridere incessante, pareva non l’avesse nemmeno ascoltato.

Accaldato.

Scendeva le scale, era sudato. Nemmeno si rendeva conto di dove si stesse dirigendo, pareva che non solo gli ‘ospiti’ del locale ballassero, ma anche la stanza attorno a lui.

Fradicio.

Si spostò leggermente verso destra, cadendo a ridosso d’un muro, appoggiò quindi la schiena, lasciandosi scivolare verso terra.

Tentò di serrare le palpebre, nella speranza di riprendere almeno la focalità visuale.

Nulla.

Vedeva doppio e sfocato. Tastò il muro al suo fianco, ottenendo solamente una ricaduta peggiore verso il terreno.

Doveva rialzarsi. Quel poco di lucidità ancora rimastagli, meno di zero, gli imponeva questo.

Soprattutto…l’eccitazione dell’alcool lo stava portando a desiderare qualcuno…o meglio…qualcuna.

Sospirò, tirandosi in piedi.

Rimase per qualche istante attaccato al muro, prima di fare qualche passo in avanti.

Peggio di prima.

Scosse la testa, tornando a finire contro il muro.

Emise una leggera smorfia, quando qualcosa lo urtò in modo considerevole. Rimase muto, non aveva nemmeno la forza di parlare.

“Ops…ti sono venuta addosso” Kagome sorrise malpensante, permanendo col capo poggiato sul petto del mezzo demone, come se nulla fosse.

Lui sorrise, capirai che gliene fregava se qualcuno gli veniva addosso in quelle condizioni.

“Non preoccuparti…tanto…io sono ubriaco…” neniò quasi incomprensibile. Lei portò le mani a poggiarsi sui pettorali dell’hanyou, lasciando che un brivido gli percorresse la schiena, freddo.

“Anche io…quindi…tu sei ubriaco…io sono ubriaca…” discorsi senza senso quelli che uscivano sia dalle labbra di lui che da quelle di lei, stranamente trovati divertenti da entrambi.

Inutile chiedere i rispettivi nomi. Capirai se si ricordavano anche solo quello.

Rimasero dunque in quella posizione, lui appiattito contro il muro, testa rivolta verso l’alto, respiro mozzato.

Lei contro il suo torace, di tanto in tanto ributtava la testa indietro, appesantita dal torpore intenso.

Inuyasha abbassò le iridi ambrate su di lei, scorrendola nella sua completezza.

“Sai che tu potresti togliermi la verginità?” confessò senza mezzi termini.

Memorandum. Mai ubriacarsi vergine.

La ragazza lo fissò per qualche istante, annuendo alle parole di lui come se ci avesse capito qualcosa.

Il mezzo demone tornò a sbattere il capo contro il muro “…Bè…allora…perché stiamo ancora qui?” continuò lui, se avesse parlato ancora per un po’ sicuramente non avrebbe nemmeno fatto in tempo ad arrivare fuori dal locale.

La ragazza continuò ad annuire semplicemente. Non stava bene per nulla.

Senza altre parole, lui avvolse il braccio destro attorno alla vita di lei, accompagnandola ‘fuori dal locale’.

Il buio aveva inghiottito ormai la serata, la foschia ancora avvolgeva silenziosamente il posto, lambendo le carni scoperte di lei, ovvero schiena e gambe, col freddo.

Kagome emise un sussulto, seguito da un fremito.

Il mezzo demone se ne accorse, imitando un mezzo sorriso “Hai freddo?” mormorò appena, vitreo lo sguardo, pareva che gli stessi occhi annegassero nell’alcol.

“Si…” rispose corta lei. Che domande sceme, meglio passare all’attacco.

Con una spinta, gettò il mezzo demone nuovamente contro un muro, il che non fece né caldo né freddo al ragazzo che si limitò a sorridere malizioso.

Si avvicinò arpia, tentando d’essere, per quanto il suo stato le potesse permettere, più desiderabile possibile.

Lasciò che la mano destra, gli sfiorasse la guancia, silenziosa.

Lui alzò il capo, emettendo una sottospecie di guaìto, segno che quel contatto gl’era gradito particolarmente.

Non poteva attendere oltre.

La afferrò per i polsi, attirandola a sé rude.

Solo pochi istanti attese per contemplarla, prima di bagnare la lingua con le labbra.

Le mani di lei si posarono maligne sulle spalle di lui, la destra che correva verso il petto, la sinistra sotto la spalla.

Non le baciò le labbra.

Scese sul collo invece, cominciando da li la sua opera. Intenso, languido, malizioso… lasciava correre la lingua sul collo d’alabastro con una naturalezza tale che qualsiasi altro gesto sarebbe apparso complesso.

Si divertiva a lambirle la pelle con fugaci morsi, alcuni lievi, altri più profondi.

Kagome fremette, un po’ per il dolore, un po’ per il piacere.

L’alcol porta inevitabilmente all’intimità.

L’hanyou scosse la testa. Chissà com’era possibile che ancora potesse pensare. Dischiuse le labbra, lasciando che queste fossero ora a guidare le danze lungo il collo di lei, leste, sino all’incavatura, dietro il lobo…

Accompagnò la mano destra ad alzarle gli scuri capelli che impedivano alle labbra di saggiare oltre, risalì sul collo, sotto il mento…

Kagome si strinse ulteriormente a lui, lasciando che la virilità di lui, ancora imprigionata, entrasse in contatto con la gamba destra di lei. Alchè Inuyasha emise un lieve uggiolìo, seguito da un respiro profondo.

Quella ragazzina stava riuscendo a risvegliargli i sensi sopiti. Che fosse stata la volta buona?

Il pensiero s’irradiò in ogni parte del corpo di lui, portando entrambe le mani sulla schiena della ningen, trasportandole in basso, sino a soffermarsi al termine della schiena.

La sollevò arroventato, portando quel contatto ad amplificarsi ulteriormente.

Involontariamente il mezzo, Inarco il collo indietro, poggiando la testa a ridosso del muro. Kagome sorrise maliziosa, lo imitò, chinandosi su di lui che la stringeva poco più in alto, sollevata.

Gli stuzzicò il collo con la lingua, scendendo stavolta più in basso, spostandogli il colletto della maglia tormentandogli la spalla con i baci.

Lui lasciò che il corpo della ningen discendesse contro il suo, riportandola lentamente a terra, lentamente, lasciando che l’enfasi di quel contatto lo catturasse completamente.

Scandiva ogni minima mossa col ritmo delle torture di lei, maliziosa, conturbante.

Portò la mancina a sfiorarle nuovamente la schiena, salendo su, ad affondarle tra i capelli scuri. La mancina, scorse in avanti, risalendo dal bacino al seno, in una carezza ‘violenta’.

La lasciò risalire ancora, vezzeggiandole il viso, lisciandole le labbra con l’indice. Socchiuse gli occhi, facendo in modo che lei s’interrompesse.

Riprese la sua dolce violenza, scendendo con le labbra dal collo, verso il decolteè. Le abbassò la spalla destra del vestito, in modo che solo una parte del seno di lei venisse scoperta.

S’abbassò a piegarsi appena sulle ginocchia, strisciando contro il muro, i baci turbolenti, divennero cinici, sensuali. La lingua giocava audace sul seno, irriverente.

Kagome emise un sospiro, lo desiderava in quel momento.

Portò entrambe le braccia attorno al collo di lui, in modo d’approfondire ulteriormente il contatto con le labbra d’Inuyasha sulla pelle.

Raziocinio. Ecco quel che mancava al momento. Sentivano quelle sensazioni, eppure, non se ne rendevano nemmeno conto.

Sentiva la lingua di lui rovente, quasi ferro caldo a contatto con l’acqua. Dischiuse le labbra, bagnandole con la lingua appena.

 

Uno scatto aprì improvvisamente la porta d’uscita.

Dove comparve Miroku trafelato.

“Ecco dove ti eri cacciato…” sussurrò ancora mezzo alticcio. Le iridi azzurrine del Dongiovanni scorsero sulla scenetta divertite.

S’avvicinò ai due, scrollando violentemente Inuyasha dal torpore del desiderio.

“Ti stanno aspettando…forza torniamo dentro…Scusami piccola…ma vi dovrete rivedere un’altra volta…” sorrise inebetito mentre il mezzo non si rendeva nemmeno conto della situazione.

“La…lasciami…non vedi che mi sto divertendo?” ringhiò l’hanyou alterato, muovendo appena le bianche orecchie sopra la testa.

Kagome s’arrestò, distaccandosi malvolentieri dall’abbraccio che sino a poco prima li aveva legati.

Inuyasha guardò lei e l’amico in sincronia

Che stronzo che è questo…” le sussurrò indicando Miroku che intanto aveva cominciato a strattonarlo per un braccio.

Kagome annuì, silenziosamente, ancora frastornata.

L’hanyou si scrollò dalla presa di Miroku, ponendo un ultimo bacio sul collo di lei “Ci rivediamo eh?” le bisbigliò all’orecchio.

Lei annuì soltanto, prima di vederlo scomparire dietro la porta antincendio.

Rimase la, immobile, prima di sentire un improvviso malessere salirle alla gola. Si chinò, coprendo la bocca, tentando di respirare profondamente.

Lo sguardo fu attratto da qualcosa, sul terreno.

Un luccichiò.

Un’allucinazione?

No.

Si chinò, lo raccolse

Una catenina d’argento. Sorrise inconsciamente appendendola al collo.

“Mi piace proprio…e mi sta bene…”

Le pareva d’averla già vista da qualche parte, ma era ebbra, e sono numerose le cose che passano per la mente di uno sbronzo…

Però in quello che si dice ed in quello che si pensa, infondo c’è sempre un fondo di verità.

Solo qualcosa sussurrò involontariamente…

 

“Mi piacciono i mezzi demoni”

 

 

 

 

 

Fine Prima parte…

 

 

 

 

 

 

*3000 yen = circa 19 €

** Waikiki, detto anche "shorts di rum e pera". Piu' che un cocktail e' un vero e proprio modo di bere il rum, quasi uno stile di vita oserei dire, veloce, rapido, indolore. Si preparano due bicchierini piccoli, uno con il rum ed accanto uno con il succo di pera, si butta giu' tutto d'un fiato il rum ed a seguire la pera... straordinario!

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Capitolo 5
*** Attrazione...e Poi? -Seconda Parte- ***


Simply Mine

Simply Mine

 

 

 

Atto V : Attrazione…e poi?

Seconda Parte

 

 

 

Desiderio. A volte può spingerti a commettere degli sbagli, a volte crea risvolti positivi. Questo fenomeno, sensazione, o sentimento quale a dir si voglia…porta comunque dei cambiamenti.

Fisici o Emotivi, a seconda della personalità.

Il Desiderio, rappresenta qualcosa di intimo, ricercato solamente quando alla razionalità s’unisce l’istinto.

Può essere carnale o sentimentale, può essere brutale o ascetico…

In mille forme è visto questo tipo di avvenimento.

A volte è sospinto dalla mancanza di logica, in altre solamente dall’impulso naturale. Tutto, inevitabilmente ruota attorno a questo.

 

Kagome era rimasta al di fuori dell’edificio, sola, col suo profumo ancora addosso. Il vento soltanto cantilenava placido la sua nenia, spezzata di tanto in tanto dal frusciare mesto del fogliame.

Un brivido di freddo. Una scossa. Un sussulto.

La testa aveva smesso di girare vorticosamente, però il senso di nausea, la pesantezza e il delirio non avevano ancora abbandonato il suo corpo.

S’era poggiata al muro, stringendosi nelle spalle. Immobile.

Le iridi nerastre erano ferme a fissare un punto indeciso sul terreno. Non riusciva a pensare al momento, ogni ragionamento era sconnesso e mancava di logica.

Solo una preoccupazione. Doveva trovare Sango, da un’ora a quella parte non l’aveva più vista, chissà se la stava cercando.

Paranoia. Si sa che l’alcol, dopo qualche tempo lascia unico spazio alle preoccupazioni, il mondo cade in un baratro di disordine e tutto pare grigio.

Non aveva la forza per muoversi al momento, sentiva freddo.

Chiuse gli occhi, sentiva il sonno partecipare maligno al suo senso di pesantezza. Le palpebre erano insostenibili.

La testa tornò a girarle peggio di prima.

Kagome?” Una voce, pareva lontana al momento. Una scossa.

Aprì gli occhi sbattendo un paio di volte le ciglia brune per focalizzare l’immagine dinanzi a lei. Annuì soltanto col capo, senza capire chi in realtà fosse la figura che s’era ritrovata davanti.

Si sentì sollevare delicatamente dal terreno, cullata tra le braccia di chissa chi.

Odeva passi, il rumore della ghiaia sotto le scarpe di qualcuno, poi erba. Non riusciva a distinguere i luoghi.

D’un tratto i passi si soffermarono. Il buio che aleggiava prima, pareva ora rischiarato appena da un lampioncino, una luce…

Focalizzò poco a poco le immagini circostanti. Sopra di lei, che la sorreggeva, la figura d’un ragazzo. Era Naraku. Non lo riconobbe.

Spiccò un lieve sorriso, portando la mano longilinea a carezzargli la guancia destra. Le iridi scure del ragazzo la osservarono bonarie. “Piccola cara, guarda come stai, ma ora c’è la tua Kenny vicino a te” le sussurrò, discostandole un ciuffo scuro che, ribelle le era ricaduto dinanzi al volto.

Un altro rumore, una portiera. La luce stavolta si fece più intensa.

“D…dove siamo?” riuscì a proferire lei, lottando tra il sonno e la veglia. Ora il rumore non s’odeva più, solamente un fischio sordo, probabilmente residuo della musica assordante della nottata.

Naraku la poggiò con riguardo sul sedile anteriore d’un auto. Le sorrise.

“Sei nella mia macchina, tranquilla…ora se vuoi, dormi…ti riporto io a casa” sussurrò gentilmente, senza imprimere troppo timbro nella voce, sapeva lo stato in cui si trovava la mora.

Lei sorrise flebilmente, seppur le iridi nocciola squadrassero il ragazzo/a interrogative. Naraku vi lesse disordine.

Kagura ha già riaccompagnato Sango a casa, quella sciocca s’era ubriacata di brutto stasera…s’è sentita male…ma stai tranquilla, stava dormendo…”.

Kagome, inconsciamente, sentì quel peso che prima l’attanagliava, improvvisamente rimosso dallo sterno.

Continuava a rimanere immobile nella posizione in cui Naraku l’aveva lasciata, accoccolata sul sedile, la gamba destra che scivolava appena sotto questo e le mani congiunte in grembo.

Naraku la osservò ‘paterno/materno’, cingendole il minuto corpo tra le braccia. Posizionò il capo di lei sulla spalla, pareva quasi una bambola da quanto era piccola.

Portò la manca a carezzarle gentilmente i capelli neri, rassicurandola.

“…Restiamo un po’ qui così ti riprendi un po’?” le propose affabilmente continuando a muovere la mano sul capo di lei, in un gesto cadenzato.

La mora annuì, chiuse nuovamente gli occhi, lasciandosi coccolare dalle carezze dell’amico/a e dalle sue parole.

Che buon profumo.

Il buon odore di Naraku si rimescolava alla fragranza di quello di Inuyasha, ancora impresso nella mente di lei. Unico ricordo che avrebbe serbato probabilmente, di quella serata.

Naraku se ne accorse. Anche lui, come il precedente ‘compagno di nottata’ della ragazza, era un mezzo demone, l’olfatto sensibile, notevolmente più sviluppato di quello umano, scorse questa nota contrastante sull’abituale odore della mora che seppur avesse scorto poche volte, era in grado di riconoscere.

“…Kagome, sei stata con qualcuno prima?” le chiese in tono disinteressato. Le sopracciglia di questo s’innalzarono appena, quasi avesse avvertito una sorta di ‘pericolo’ per lei.

La ragazza annuì mestamente, forse inconsapevolmente.

“Fammi un favore…” continuò lui, pareva leggermente alterato stavolta il tono che abitualmente appariva in falsetto e più gradevole.

Ora era maschile.

Kagome ascoltò, per quanto le era al momento concesso, le parole dell’hanyou. “Non immischiarti con lui…” concluse.

Lei emise un sospiro prolungato, nascondendo il volto sul petto del mezzo demone, quasi fosse una bambina.

Questo gesto, strappò un ulteriore sorriso alle labbra di Naraku che tornò a distendere i lineamenti del volto, ora, illuminati soltanto dal riflesso della luce intermittente dei fari delle altre macchine che s’apprestavano a lasciare il luogo.

Alzò lo sguardo, diritto avanti a sé, continuando quel gesto di consolazione nei confronti della ragazza.

“Piccola Kagome…non sai con chi hai avuto a che fare, dormi tesoro…e non pensarci più…” sussurrò tra sé, lo sguardo tornò serio per qualche istante. Sarebbe rimasto finchè lei non avrebbe ripreso coscienza.

Abbassò lo sguardo verso la mora, rimanendo qualche istante ad osservarla. Sospirò. Prima d’essere quel che era diventato, anche il suo cuore avrebbe potuto battere per una creatura simile, così bella e innocente tra le sue braccia.

Era cambiato tutto, aveva preso questa decisione per forza.

Tanti ricordi gli affioravano alla mente, quello stesso ebano che stava accarezzando, molto tempo prima era suo. I lineamenti di Kagome, erano così simili a quelli di ‘lei’.

Un nodo gli strozzò la gola. Il passato era passato.

Cos’era ora? Un finocchio…nient’altro che quello. Eppure, ancora quel contatto, d’un corpo femminile al suo, sapeva provocargli un brivido intenso lungo la schiena.

Smise di lisciarle i capelli. Lei dormiva, poteva sentire quel respiro a contatto con la pelle, caldo, regolato.

“…Vorrei poter tornare indietro…a volte…ma ora…sono felice così…” un commento amaro, aveva parlato con l’aspro in bocca, malinconico, la sua…infondo…era davvero felicità?

Non si chiese altro. Distaccò la ragazza dall’abbraccio, poggiandole il capo sul palmo della mano per permetterle d’adagiarsi sullo schienale del sedile.

Aprì la portiera, silenzioso, scendendo dalla macchina. Accostò lo sportello, soffermandosi in piedi, poggio gli avambracci tra l’apertura del portello e del tettuccio, allargandoli appena.

Intrecciò le mani l’una con l’altra, poggiando il mento su queste.

Lo sguardo s’era perso nuovamente, stavolta in direzione della discoteca, ancora, poco lontani, s’odevano la musica chiassosa e gli strepiti della folla.

L’espressione seriosa non cambiò. Fessurizzò le palpebre, socchiudendole a mezz’asta, quasi minacciose.

“…Inuyasha…se t’azzarderai a riavvicinarti a questa ragazza…giuro che te la vedrai con me…lei non merita di soffrire…e soprattutto non merita di venire a conoscenza del tuo schifoso passato…” si ripromise sottovoce, quasi si stesse rivolgendo al diretto interessato.

 

 

 

“Casanova…sei in casa?”

Inuyasha mugolò qualcosa, distorcendo appena la bocca. Tirò un sospiro, prima d’aprire lentamente gli occhi su ciò che rimaneva della serata.

Lentamente, mise a fuoco l’immagine dell’amico che, dinanzi a lui sostava con un sorrisetto malizioso dipinto sulle labbra.

Scosse più volte la testa, intontito. “Cosa…” mormorò appena, al suono della sua stessa voce però, gli sembrò come di sentire un forte tonfo. Istintivamente portò a parare entrambe le mani sulle orecchie sopra la testa, schiacciandole.

“Finalmente ti sei ripreso…Sakura mi ha detto che eravamo in uno stato a dir poco pietoso…” sussurrò, per non disturbare ulteriormente il suo udito.

Inuyasha lanciò un’occhiata verso la consolle. La festa era finita ormai.

Che ore sono?” mugolò basso nel tono. Le mani, si spostarono dalle orecchie, che rimasero basse, segno tipico dei canidi, se avesse avuto una coda, quella sarebbe stata tra le gambe in quel momento.

“Sono le sei…” rispose il ragazzo col codino, poggiando la destra sulla spalla dell’hanyou.

“…Il mio…” non finì la frase, portò le mani a sorreggere il capo, posizionando i gomiti sulle gambe aperte.

Miroku si morse il labbro superiore. Abbassò lo sguardo, pareva dispiaciuto. Era colpa sua se il suo migliore amico aveva rinunciato alla sua serata.

“Mi dispiace…” emise dolente. Era un pessimo amico, doveva farlo smettere e invece che aveva fatto? Per la sua stupida gelosia l’aveva incitato a continuare a bere.

Inuyasha distaccò appena i palmi dal capo, rivolgendo le iridi ambrate sul dongiovanni, erano fisse su di lui, senza un’espressione particolare, l’oro, lentamente aveva ceduto il posto ad un tiepido arancio.

Miroku rimase silente. Quando lo guardava a quel modo, significava solamente una cosa.

Delusione. Lo aveva deluso ancora, sentì quasi una fitta dolorosa al petto.

Non c’è peggior cosa di vedere disappunto negli occhi d’un amico. Discostò nuovamente le iridi oltremare da quelle di lui.

Lo sentiva, lo stava ancora fissando.

“Scusami…davvero…non l’ho fatto apposta…” si sforzò di discolparsi, questa volta era dispiaciuto veramente.

Probabilmente il mezzo demone non lesse questa verità nel suo sguardo, giacchè l’aveva abbassato. Si sollevò a fatica dalla poltrona su cui era stato adagiato dall’amico. Se così poteva chiamarsi al momento.

“Non è niente…” la sua voce.

Quel tono freddo e distaccato fece sollevare d’impulso il capo di Miroku. Gli dava le spalle.

Per qualche istante, le iridi cobalte del moro parvero tremare leggermente. “Inuyasha…” non proferì altro, cosa poteva dire? Era colpa sua, punto.

“Succede…” un’altra pugnalata al petto. Il timbro dell’amico, stavolta, era davvero pungente. Atono, alienato.

Non era da lui. Questa volta l’aveva combinata grossa e sapeva bene, che se avesse perso la fiducia che col tempo, Inuyasha, gli aveva concesso sarebbe stata solo colpa sua.

Non era una cazzata.

Se l’avesse fatto bere in una serata normale, non avrebbe detto nulla, forse si sarebbero messi a ridere il giorno dopo e tutto sarebbe finito la.

Questa volta però, per Inuyasha era importante, ci aveva messo mesi per completare quel cd.

Portò d’istinto la mano dinanzi alla bocca, come se la sua colpa si fosse trovata in quel punto e con quel gesto avesse potuto celarla.

Inuyasha s’avviò verso l’uscita. Non gli disse altro. Ora ne era certo, era arrabbiato con lui.

“Ti accompagno?” mormorò alzandosi impulsivamente dalla sua postazione, allungando la mano destra, come ad intimargli di fermarsi.

“No, ce la faccio a guidare…ci vediamo domani…” rimase ancora immobile per qualche istante, aprendo solamente la porta d’entrata con la destra.

Una folata gelida penetrò all’interno della stanza vuota. Lo stesso freddo percorse la schiena di Miroku, un brivido non dato dal vento, ma provocato dalle parole del mezzo demone che continuavano a ferirlo come coltelli ben indirizzati al petto.

L’hanyou volse il capo leggermente di lato, come per osservare l’amico di sbiego. Le sopracciglia scure erano inarcate di poco, emise un sospiro, poi lasciò la stanza.

Miroku rimase solo, immobile.

Cosa cazzo ho fatto…” si maledisse, avrebbe voluto prendere a cazzotti qualcosa in quel momento.

Stava male. Raramente gli succedeva, non aveva mai deluso Inuyasha prima d’ora, non aveva mai visto quell’espressione nei suoi occhi.

Le luci si spensero, lui s’avvicinò alla poltroncina sino a dove poco prima era seduto per riprendere la giacca.

Confusione.Pentimento.Tristezza.

 

 

Sango era distesa sul letto. Da quanto tempo si trovasse in quella posizione nemmeno lei lo sapeva, sbadigliò appena.

Portò entrambe le mani all’altezza degli occhi ancora impastati di sonno, fregò i pugni chiusi su di essi.

Mhh…” quando riuscì a rendersi conto di dove si trovasse, sobbalzò. Com’era tornata a casa? Si guardò attorno, accanto a lei, addormentata al bordo destro del letto, v’era Kagura.

Il volto della ragazza era nascosto tra le braccia, incrociate sul materasso, mentre lei sedeva su d’una seggiola.

Si tirò su a sedere, discostando appena i lembi della trapunta distanti dal corpo. Sorrise. Doveva essere stata lei a riaccompagnarla a casa.Kagome.

Sbarrò gli occhi, aveva lasciato da sola la sua migliore amica…e adesso?

Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra, ancora buio.

Si fiondò sul cellulare appostato sul comodino di fianco a lei, compose frettolosamente il numero dell’amica attendendo che questo squillasse.

Niente. Non c’era segnale.

Le iridi oltremare s’immalinconirono, non doveva bere così tanto, lei era la razionalità doveva stare accanto a Kagome, non abbandonarla.

Lanciò il cellulare infondo al letto, portando le braccia ad abbracciare le gambe ancora nascoste sotto le coperte. Posò il capo di lato, ponendolo sulle ginocchia.

Kagura emise un lieve gemito, aprendo lentamente gli occhi “MhSango…” mormorò alzando il capo dolorante dalla sua postazione, smosse le spalle in modo circolare per alcuni istanti prima di poggiare la mano sul collo.

“Tutto bene?” le domandò mista a curiosità e preoccupazione.

Sango annuì, senza cambiare posa. “Scusami se ti ho fatto scomodare…” borbottò flebile, quasi in un sussurro.

Kagura portò la mano destra sotto il mento di lei, sorridendole.

“Non dirlo nemmeno per scherzo, ti vedo preoccupata…è successo qualcosa?” sgranò appena gli occhi, mostrando le iridi fulve, maggiormente accese col riverbero della luce.

La bruna sospirò, lanciando una sguardata fuori dalla finestra a vetrata che dava spettacolo sullo stradone inalberato fuori casa.

La flebile luce lunare, pallida, illuminava appena il paesaggio cittadino giocando coi chiaro-scuri notturni fatti di bagliore ed ombra.

“Sono preoccupata per Kagome…” rispose secca. Inarcò appena le sottili sopracciglia, corrugando la fronte.

La demone portò una mano a sfiorarle il volto “Tranquilla…vedrai che è a casa in questo momento…” tentò di rassicurarla, la ragazza, non sapeva che Naraku s’era occupato del farlo.

Sango trasalì “No, non posso stare tranquilla…e se un malintenzionato l’avesse abbordata?” sbottò, rizzando lo sterno in alto, così da liberarsi dalla carezza dell’amica.

Occhi Lucidi. Sguardo ansioso.

La youkai, divenne seria, estraendo dalla borsa appesa alla seggiola il cellulare “Se ti può far star meglio, chiamo Kenny…è ancora la, le dico di cercarla ok?”.

Sango annuì, sporgendosi verso Kagura che cominciò a comporre il numero dell’amico.

Dopo qualche istante, la voce di Naraku, stranamente seria, rispose dall’altro capo dell’apparecchio.

Naraku…hai per caso visto Kagome?” s’affrettò la demone, senza girarci troppo intorno.

“Si, è qui con me…state tranquille…la riporto a casa ora…” non diede tempo all’amica di replicare, che solamente il rumoreggiare in sottofondo del cellulare continuò a parlare insistente.

Kagura scosse la testa, abbozzando un sorriso.

“E’ con Kenny, perciò rilassati” concluse riponendo nella tasca l’apparecchio telefonico.

La bruna emise un sospiro di sollievo, tornando ad abbassare le spalle in segno di distensione.

 

 

 

Nervoso.

Sentiva i nervi a fior di pelle, da quando era rientrato in casa non aveva fatto altro che sbattere tutto. Porte, finestre, armadi.

L’espressione disegnata sul volto dell’hanyou lasciava ben poca immaginazione a carpire il  suo attuale stato d’animo.

Da tempo camminava su e giù per il corridoio della stanza giungendo sino alla fine di questo, ove era situata la porta della sua stanza.

Si fermava, poi riprendeva il passo seccato.

Non sapeva s’essere arrabbiato più con Miroku o con stesso.

S’era dovuto ubriacare quella sera, certo.

[Maledizione, non questa sera, la MIA sera] lasciò che un ringhio basso s’estinguesse nelle profondità della sua gola, fuoriuscendo dalle labbra come un semplice uggiolìo sommesso.

Le iridi ambrate erano fisse sul terreno, a squadrare in modo quasi ossessivo le piastrelle del pavimento che brunite rispecchiavano ogni suo passo.

Sospirò, soffermandosi dinanzi alla porta della stanza. Inarcò le scure sopracciglia, posando la destra sul pomello di questa sospingendola violentemente in avanti.

Subentrò nella camera, rigorosamente avvolta nella semi-oscurità notturna. I battenti delle finestre parevano sigillati, tutto era imbrunito dal nero.

Richiuse la porta della stanza dietro di sé, furiosamente, per l’ennesima volta.

Si gettò sopra il letto a pancia in sotto, rimanendo in quella posizione per alcuni istanti.

Il volto affondato sul materasso, tra i cuscini.

Gli occhi ancora gli bruciavano tremendamente, non solo per non aver dormito, ma per la rabbia che in quel momento stava provando.

Ringhiò nuovamente.

Le braccia tremavano lungo i fianchi, immobili. Alzò l’avambraccio destro sopra il capo, dietro la schiena, richiuse la mano in un pugno lasciando che questo colpisse impetuosamente il materasso.

Il letto traballò appena, al contatto con la rabbia del mezzo demone.

L’unica cosa a cui teneva era rovinata.

Premette maggiormente il volto sul materasso, come a tentare di soffocare la collera in quel gesto.

Odiava quando qualcosa gli andava storto, soprattutto se quel qualcosa era il suo lavoro.

Si lasciò ricadere su un lato, stanco.

Ancora le mascelle erano serrate, mentre appena i canini aguzzi venivano mostrati attraverso il lato destro delle labbra.

Lanciò un’occhiata alle cataste di libri riposte sopra la scrivania.

Già, la scuola. Anche quella ultimamente non stava andando perfettamente.

Si volse sul davanti, lasciando che il braccio destro gli andasse a coprire la fronte, scendendo subito dopo sino a coprirgli la visuale.

Doveva fare qualcosa, non poteva lasciare che la sua vita gli scivolasse via di mano. Ora che finalmente ne aveva ricostruita una, la manica della maglia, sfiorò appena il naso, alchè un flebile, quasi inesistente odore gli traversò i sensi.Era nuovo, o, almeno così lui credeva.

Un misto di sapone e profumo di donna, un odore insolito, ma piacevole.Forse un odore che gl’era rimasto addosso durante la serata, tante erano le ragazze che avevano attraversato la pista.

Sospirò nuovamente, discendendo con la mano sino al collo.

“Cos…” si alzò di scatto a sedere, mancava qualcosa a completare il suo abbigliamento.

Continuò a saggiare la parte tra il collo e l’incavo, non v’era segno del ciondolo che era uso indossare.

“Accidenti…” strinse la mano contro il collo, come per voler apprendere realmente che l’oggetto non vi fosse.

Scosse la testa. No, non anche quello.

Morse il labbro inferiore, quasi in modo violento, tanto da formare un leggero taglio alla base del labbro.

Doveva ritrovare quell’oggetto…a tutti i costi.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Atto VI: Il ritorno del passato... ***


Simply Mine

Simply Mine

 

 

 

Atto VI : Il ritorno del passato…

 

 

 

A volte non basta il voler conoscere.

Bisogna spingersi oltre, sino all'estremo, raggiungere i limiti e

superarli ancora.

Voglia di crescere, d'andare avanti, di sapere perchè il male affascina

il perchè il commettere errori ci spinge a non imparare mai.

Quella barriera per lei era una sfida, doveva romperla e ci sarebbe

riuscita.

Stringeva la matita tra le dita, rigirandola ogni tanto e mordicchiandone

la gomma che fungeva da cappuccio.

Recinti i capelli neri sopra il capo, lasciando solamente qualche ribelle ciuffo

a discenderle dinanzi al volto impertinente.

Brune le iridi correvano sul foglio a lei dinanzi, quasi ciò che stesse

leggendo fosse la mappa d'un antico tesoro.

Domenica Mattina. Ore 10,30.

A quell'ora di solito la gente normale ancora riposava, immersa in qualche

strano impasto onirico. Lei no, studiava.

Non erano compiti scolastici, per la miseria, non era di certo una secchiona.

I voti più alti che riusciva ad ottenere erano si e no tra il sessanta e il settanta.

Non molto per le sue aspettative.

Quello che la affascinava era un mondo ben diverso, quello del sovrannaturale,

di ciò che seppur esistesse da millenni nel suo mondo...non era stato ancora approfondito

per i suoi gusti personali.

Divorava quelle pagine d'antichità con una velocità impressionante. La carta logora

pareva farsi ancora più vecchia ad ogni lettura accurata di lei.

Discostò celere una ciocca ribelle con la destra, riavviandola dietro l'orecchio,

durante quel frettoloso passaggio ne approfittò per acciuffare un biscotto

che riposava mesto assieme agli altri compagni in un cumulo.

Lo portò alle labbra addentandolo vorace, lo lasciò in sospeso tra le labbra

e l'aria per qualche istante, prima di riportarlo nella mano e distaccarlo dal resto

del boccone.

Era incuriosita da quelle creature che erano i demoni, mistiche e ciniche

che potevano assumere forme di più svariata natura e dimensione.

Ripensò alla sera precedente.

Le era preso un mezzo colpo nel vedere Naraku accanto a lei, nella macchina.

Già non lo sopportava, figurati ritrovarsi con lui...da sola.

Tutte i pensieri osceni che si sarebbe posta in un'altra situazione, sfumarono

in ricordo della sua natura omosessuale.

Riprese in mano la matita, scrivendo qualcosa al lato destro della pagina

del libro prestatole dal nonno.

Poggiò il capo sul palmo della mano, posando il gomito sulla scrivania.

Qualcosa in più dei demoni la affascinava, da sempre.

I mezzidemoni. Quella strana specie, derivante da un incrocio tra due razze

per natura avverse, quali i demoni e gli umani.

Non aveva idea che anche colui che l'aveva soccorda la notte precedente,

appartenesse alla famiglia degli ibridi. L'aspetto di Kenny,non aveva nulla

di semi-demoniaco, all'apparenza era un semplice umano.

Niente tratti caratteristici come orecchie strane,coda, altro.

Se Sango non le avesse spiegato che in lui v'era sangue demoniaco,lei

non se ne sarebbe fatta nemmeno idea.

Non aveva mai avuto a che fare, in realtà, con un meticcio.

Curiosità.

Avrebbe voluto conoscerne uno, studiarne i comportamenti, vedere se somigliava

di più ad un umano piuttosto che ad un demone o viceversa.

Le sue fantasticherie vennero interrotte da un altro pensiero.

Il pendente che portava al collo, prima della notte precedente non l'aveva mai

visto.

Promemoria, smettere di bere il sabato sera.

Chissà che sciocchezze aveva fatto.

Si stiracchiò, alzando entrambe le mani sopra il capo, doveva chiamare Sango

non la risentiva dal giorno prima, era preoccupata.

Osservò il cellulare poco distante dalla sua postazione, sorrise, quella dormigliona

di sicuro si trovava ancora nel mondo dei sogni.

Sarebbe stato stupido svegliarla, anche perchè s'immaginava benissimo le conseguenze

di quel gesto.

Scartò dunque l'opzione di chiamare l'amica, si sarebbero sentite più tardi.

Fuori il vento imperversava,ululava,stordiva i rami degli alberi che sbattevano

mesti alle vetrate della finestra con un lieve picchiettìo sordo.

Si sollevò dalla sua postazione, respingendo indietro la sedia.

Mosse qualche passo in direzione della finestra, soffermandosi a contemplare

i nembi bigi che si scontravano alti nella volta del cielo.

Peccato, forse sarebbe piovuto in giornata. Questo non avrebbe comunque fermato

lei e Sango.

Portò una mano a sfiorare il labbro inferiore, dove ancora v'era il segno del piercing.

Aveva deciso di toglierlo, rischiava un infezione per colpa di quel bastardo

di omaccione che gliel'aveva fatto.

Lunedì l'avrebbe ucciso.

Fregò entrambe le mani sulle spalle, certo che il freddo cominciava a farsi

sentire anche attraverso le ossa ultimamente.

Spostò le iridi nocciola in direzione del calendario. Sedici novembre.

Ormai l'inverno era inoltrato.

Inarcò appena le sopracciglia, rimanendo ad osservare quel giorno come se

vi fosse impresso sopra qualcosa.

"Oh mio..." sobbalzò avvicinandosi di gran lena all'oggetto della sua attenzione.

Panico.

Si era dimenticata di un giorno così importante? Che fosse veramente così imbecille?

Scordò completamente i pensieri che le avevano rapito la mente, catapultandosi

ai piani inferiori.

Prese tra le mani il cordless, evitando di grazia un capitombolo dall'ultimo gradino.

"Pronto? Mi scusi mica c'è..." non concluse la frase che fu assalita da un urlo

spasmodico dall'altra parte della cornetta.

"..." dopo il grido impressionante fu tutto silenzio.Kagome si staccò per qualche

istante dall'apparecchio, giusto per evitare d'essere insordita.

"Scusami Kou-kun, credimi...mi farò perdonare..." miagolò sofferente, tentando

di convincere colui che l'ascoltava dall'altra parte dell'apparecchio a rimaner calmo.

"Dopo due anni che mi conosci, ti dimentichi del mio compleanno? Sono offeso..."

ribattè lui seccato, rimanendo muto nei minuti che seguirono.

"Per favore...ti prometto che farò qualcosa...anzi...organizziamo una bella festa...

ti va?" esordì lei al settimo cielo, ovviamente con una nota di paraculismo nella voce.

Lui s'arrese. Perchè non riusciva a dirle di no. Era troppo buono, o forse, l'idea

che si organizzasse una festa 'per lui' infondo gli piaceva.Da tempo non festeggiava

più i suoi anni.

"Va bene..." s'arrese, infondo un di divertimento non gli avrebbe fatto male.

Senza nemmeno rispondere, la mora riattaccò la chiamata, componendo subito dopo

il numero della migliore amica, cazzi suoi se stava dormendo, le doveva tanti

di quei favori che se per una volta si fosse svegliata prima non sarebbe morta.

 

 

 

Sospirò, rigirando i pollici tra di loro. La domenica era il giorno più odiato della settimana

anche perchè non aveva la benchè minima idea di cosa inventarsi per passare il tempo.

Di solito chiamava Miroku. In quel momento era l'ultima persona che voleva vedere.

Studiare? Nemmeno a pensarci lontanamente.

Portò la destra sopra il volto, da poche ore prima non aveva abbandonato la sua posizione attuale,

nemmeno aveva dormito.

Troppi pensieri, già, decisamente troppi per i suoi gusti.

L'unica cosa che gli premeva al momento era recuperare quello stupido gingillo,unica cosa che

rendeva positivo il suo passato.

Discostò la mano destra, portandola a lisciare una ciocca inargentata della chioma,

era un gesto insolito il suo, ogni volta che diveniva nervoso usava compiere quel

gesto.

Smosse le orecchie nivee sopra la testa in un movimento sincrono.Doveva alzarsi e cercare quell'oggetto.

Si diede una leggera spinta in avanti col bacino, tentando di portarsi a sedere sul bordo del letto.

La stanchezza cominciava a farsi sentire, poco male, se avesse tentato di dormire sarebbe stato solamente

peggio.

Un tremendo mal di testa cominciava ad insidiarsi maligno nei pressi della cervicale.

"Ci mancava anche questa" sbottò incrociando le mani presso il ventre in modo da sollevare la

maglia che gli fasciava la parte superiore del corpo.

Con un gesto repentino della destra la lasciò cadere informe sul terreno, dandogli una spinta col

piede per accucciarla sotto il letto.

Le iridi ambrate scorsero lungo i cassettoni d'acero che giacevano lungo il muro portante della

stanza, nascosti solamente a tratti da sottili colonne.

"Ecco dov'era..." mugugnò squadrando il cellulare scuro sfavillare d'un verdognolo lume sul display.

Sette chiamate senza risposta.

tre messaggi.

Alzò un sopracciglio. Due chiamate di Miroku, scosse la testa distorcendo appena le labbra.

cinque chiamate da un numero che non conosceva.

Alzò le spalle, non aveva soldi da buttar via.

Indifferente si sprecò nel leggere i messaggi, l'ultimo di questi lo lasciò interdetto qualche

istante.

'Stalle lontano...o te la vedrai con me'

stare lontano da chi? Quello era il numero di...

"Naraku..." le palpebre s'assottogliarono a mezz'asta, mentre rimaneva con lo sguardo fisso sul

cellulare.

Non capiva a cosa si riferisse quel coglione. Morse il labbro inferiore, muovendo velocemente

il pollice ungulato sui tasti.

'...Non mi pare siano cazzi tuoi...smettila di immischiarti...o devo farti presente qualche evento

passato...Kane(si legge Kein)...'

Concluse così il messaggio.Gettando il cellulare sul materasso.

I tratti del viso s'irrigidirono per qualche istante, odiava ripensare a quel suo dannatissimo

passato.

Inarcò entrambe le sopracciglia, dirigendosi lesto in bagno, girò violentemente la manopola della doccia

in modo che l'acqua, simile a grandine, scendesse in enorme quantità bollente.

Osservò il nugulo di nebbiolina avvolgere la cabina trasparente.

Quell'immagine, come una nenia infernale gli tornava dinanzi al volto disperata. Quello sguardo, i suoi

occhi. Basta.

Si liberò anche della parte inferiore, lasciandola scivolare lungo le gambe.

Quando l'acqua entrò in contatto con la pelle emise un lieve uggiolìo, il bruciore pareva ferro caldo

passato sulla pelle.

Afferrò la manopola accanto, lasciando che la temperatura si mitigasse.

Le gocce correvano leste sulla pelle, martoriandolo con piacevoli carezze.

Socchiuse nuovamente gli occhi, portando il capo indietro e lasciando che la 'pioggia artificiale'

gli tergesse il volto.

Solitudine.

A questo portava una vita come la sua, costretto ad omettere parte della verità che era partecipe

della sua vita, reprimendo le sue angosce dietro quella maschera d'attore.

Recitava alla perfezione la sua parte, a lui andava bene ed andava bene agli altri.

Non aveva mai avuto problemi in famiglia, anche con suo fratello i rapporti parevano essere migliorati

rispetto a qualche anno prima.

Sesshomaru, da quant'è che non passava del tempo con lui? Non erano fratelli perfetti.Quale fratello lo è.

Però, lui , quel demone l'aveva 'tirato fuori' in un certo senso dai guai.

Non parlava molto, era passivo il più delle volte, ma quella busta che misteriosamente arrivava ogni

due o tre mesi, lo sapeva, ne era certo era sua.

Grazie a Sesshomaru, poteva permettersi quei piccoli lussi di cui avrebbe potuto far a meno solamente mantenuto

dal suo lavoro.

Da piccoli si odiavano, non erano proprio 'fratelli di sangue' e questo al maggiore non era mai andato giù.

Il padre aveva preferito 'lui' il bastardello e non il demone puro.

Nonostante questo, col tempo, dopo le difficoltà, gli astii s'erano acquietati, regalando ai due

fratellastri una nuova scoperta.

La complicità.

Non avrebbe mai pensato d'arrivare a chiamarlo 'Fratello', eppure c'era riuscito. L'orgoglio lo impediva

a volte, certo, ma quella volta quella parola Sesshomaru se l'era davvero meritata...

I pensieri del mezzo demone furono interrotti dal trillìo del cellulare, incessante e morboso.

Sospirò, se era ancora Miroku avrebbe spento il telefono, lo voleva capire o no che era incazzato

nero con lui?

Spense, a malavoglia il getto, trascinandosi per inerzia verso la stanza da letto, completamente bagnato

e senza nulla indosso.

"Pronto..." rispose seccato, senza nemmeno controllare chi fosse.

"Inuyasha...da quanto..." la voce dall'altra parte dell'apparecchio non era nuova. Abbassò il ricevitore dalle

orecchie canine, sin dinanzi al volto, attivando il vivavoce. Sul display compariva la voce 'Kouga'

Un sorrisetto ironico gli intrise le labbra di malizia "Ma guarda chi si risente...pensavo fossi morto"

scherzò quasi fraterno.

Kouga, in passato, 'ai tempi d'oro' come li definiva lui, era il suo migliore amico.

Insieme ne avevano passate di ogni specie e genere, fin quando Inuyasha non era 'caduto in errore'.

"Non ho mantenuto la promessa..." lo rimbeccò l'altro sarcastico, schiarendosi la voce profonda

per apparire rodomonte.

"...Sapevo non l'avresti fatto, secondo me sei frogio...non puoi starmi lontano nemmeno due anni?"

gongolò il mezzo demone, fingendo che l'argomento di cui stessero trattando fosse ormai storia vecchia.

Dall'altra parte, l'ex amico deglutì.

"...Cretino...comunque...sono venuto a sapere che ormai...è tutto apposto...l'altra volta..." non fece

tempo a concludere la frase che subito l'hanyou lo bloccò.

"...Ma che cazzo mi hai chiamato a fare? Guarda che ero sotto la doccia...secondo me sei frogio e

mi spii..." continuò sarcastico.

"Senti, se continui con questa solfa che sono finocchio ti castro...a proposito...stasera è il mio compleanno...

Mi chiedevo...se ti andrebbe di fare un salto da me...tanto conosci la strada...a no...mi dimenticavo

della tua memoria precaria...vuoi che ti mandi un fax col disegnino?" il mezzo demone scosse la testa sorridendo,

l'avrebbe ammazzato se l'avesse rivisto.

"...Non saprei..." rispose basso nel tono, infondo, dopo due anni...rivedere Kouga...

"Eddai...c'è una a cui vorrei dare una bottarella..." ridacchiò sapendo per certo d'attirare, a quel modo

l'attenzione del mezzo demone.

"Una...o due?" domandò malizioso, mentre l'angolo destro della bocca cominciava ad aguzzarsi verso l'alto.

Il demone, dall'altra parte ridacchiò, facendo intuire ad Inuyasha la serata che si sarebbe perso.

"Dimmi il posto e l'ora..." s'affrettò l'hanyou, spicciandosi a prendere un foglio di carta e una penna

accartocciati a poca distanza dalla sua posizione.

"Alle 21,00 a casa mia...se non ti ricordi dove abito..." ridacchiò, ovviamente interrotto nuovamente

dal ringhio dell'ex migliore amico.

"Mi ricordo...a dopo Schizzo..." ironizzò lui chiudendo la chiamata celere.

 

 

 

Kouga rimase inebetito, ancora si ricordava di quel ridicolo soprannome?

Sbuffò, riappendendo il ricevitore. Aveva fatto bene a chiamare Erez, infondo, non gli era parso così

contrariato dalla sua chiamata.

Scosse la testa, gettandosi sopra il letto a rimuginare sul passato, lanciò uno sguardo sul tavolinetto

basso, posto tra il letto e la seggiola.

Una foto, un sbiadita, di tre anni prima.

Loro quattro erano inseparabili una volta.

Da destra c'era lui, seguito da Inuyasha col quale stava accollato per un braccio.

Sotto, in ginocchio, altre due figure.

A destra Naraku, accanto a lui,Kikyou.

Lei e colui che le stava di fianco erano molto legati in passato, da qualcosa che superava

di gran lunga l'amicizia.Quel sorriso dipinto sulle labbra di lei pareva riscaldare

automaticamente quello di Naraku.

Un'amicizia che era durata da anni, la loro, spezzata per una cosa meschina.

E loro, Schizzo ed Erez.

Erano praticamente inseparabili, ci mancava poco che andassero in bagno assieme.

Ma tutto era finito...perchè...quella chiamata quel giorno, da parte di Inuyasha, nel quale

diceva che non avrebbe voluto più sentirlo, poi...aveva saputo.

L'avrebbe rivisto, dopo tanto tempo.

Sorrise, portando l'avambraccio ad adombrare la vista della foto...

Quella sera sarebbe stata la svolta.

Felicità, euforia.

Finalmente i suoi due migliori amici sotto il suo tetto, Inuyasha e Kagome.

Chissà che avrebbe detto quando gliel'avrebbe presentata...

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Capitolo 7
*** Atto VII : ...Chi gioca col fuoco... ***


Simply Mine

Simply Mine

 

 

 

Atto VII : ...Chi gioca col fuoco...

 

 

 

Amicizia. Una parola, un significato, un'emozione, un sentimento.

Tanti sono gli aggettivi che la descrivono, eppure, nessuno è mai riuscito

a definirne realmente il contenuto.

A tratti, in superficie, carezzandola nei contorni, l'amicizia è qualcosa di

tangibile.Un amico è colui che ti sta accanto.

Non solo, l'amicizia è qualcosa che va scoperto, non ha definizione alcuna.

Non si può scoprire cosa contenga, di una sola cosa, probabilmente siamo certi.

Un'amicizia vera non ha bisogno di conferme.

Osservò soddisfatta il proprio operato.Perfetto. Curato tutto nei minimi dettagli,

il 'piccolo' Kouga se lo meritava, infondo s'era dimenticata del suo compleanno.

Sorrise maliziosa, soffermandosi sulla porta del corridoio con lo sguardo.

Chissà come ci sarebbe rimasto quando sarebbe uscita da quella porta.

Squadrò il locale da cima a fondo, per una volta nella sua vita Sango aveva avuto

una buona idea.Affittare un locale.

Il costo non era risultato particolarmente esoso, con poche telefonate avevano raccolto

la somma adeguata ed in ancor meno tempo avevano organizzato qualcosa che l'amico non

si sarebbe scordato presto.

Un ambiente sobrio. Dall'entrata, si potevano scorgere due fila di colonne, disparate all'interno

della spaziosa stanza, partendo dal centro in prospettiva con i pilastri s'estendeva un corridoio,

ai lati, sui muri, spiccavano due grandi finestroni a vetrata che davano sul giardino esteriore.

Il riverbero della luce che, si specchiava sulla piscina di fuori, creando gioghi di luci bluastre

all'interno del locale ancora ottenebrato.

Al centro spiccava il bar ad isola, caratteristico del Shirenai di Tokyo.  Sopra d'esso, adagiati

v'erano alcolici d'ogni sorta, dalla grappa alla vodka, dai vini ai cocktails.

Le labbra s'incresparono in una piccola smorfia. Inarcò appena le sopracciglia incrociando le braccia

sotto il seno.

Mancava qualcosa. Non se l'era sentita di riempire lo stanzone con addobbi e roba simile,

ormai Kouga non aveva più l'età per permettersi tali fronzoli.

Rimase immobile ad osservare un punto indecifrabile del locale, la mano s'abbassò leggermente

verso la tasca destra, in modo d'estrarre il pacchetto di Marlboro da quest'ultima.

Ne estrasse una sigaretta, la portò alle labbra metodica, mordicchiando appena i bordi del filtro.

Cos'era che mancava?

La sinistra si spostò verso il taschino della camicetta, fregando con l'indice in cima alla bocchetta

in modo d'alimentare la fiamma.

Tirò una boccata rapida, giusto per infiammare la cicca.

Ripose il pacchetto e l'accendino nella medesima tasca, riportando la destra a cingere la vita nel

mentre poggiava il gomito lungo il braccio disposto attorno al ventre.

Riprese l'opera di danneggiamento dei polmoni, rimanendo nello stesso punto.

"'Sera bella stuatuina..." la voce di Sango irruppe nel silenzio della stanza, lasciando distrarre

Kagome dalle sue considerazioni sull'arredamento.La mora sobbalzò appena, non essendosi minimamente

accorta dell'arrivo dell'amica. Quella tipa aveva il passo d'un felino.

La bruna protese il piede destro in avanti, tacchettando col tallone sul terreno, in attesa d'una risposta.

"'Ao..." promosse l'altra, quasi stizzita dell'esser stata interrotta bruscamente, con indifferenza.

Sango alzò un sopracciglio, surclassando i motivi di tale responso.

"Bel lavoro Troietta...hai chiamato Kouga?" questionò incrociando le braccia al petto, sorniona.

Sapeva che Kagome non l'aveva ancora fatto.

La mora si immobilizzò. Ecco cosa mancava, cazzo.

Alzò le braccia al cielo, borbottando qualcosa, dirigendosi infine verso l'unica stanzetta che v'era

oltre il salone ed il bagno.

Aprì la porta, varcando la soglia di questa a passo vigile, pareva un soldato diretto in guerra.

Tastò per circa un quarto d'ora al buio per ritrovare l'interruttore.

"Dove diamine s'è cacciata la mia borsa?" sbottò ancora più indemoniata. Nel frattempo Sango che,

dalla fine del corridoio aveva assistito a tutta la scena, se la rideva sotto i baffi.

"...Prima fa le cose...poi avverte il diretto interessato...questa è tutta scema" commentò

tra sè.Inarcò appena un sopracciglio, portando la destra a tastare all'interno della giacca.

Vibrazione.Una chiamata.

"Pronto...ah sei tu...che palle...che vuoi... Come?...Ti dovrei fare un cosa?..."

la mascella di Sango per poco non sfiorò il terreno all'udire il commento dell'interlocutore dall'altra

parte dell'apparecchio. Inorridita riattaccò la chiamata, fregando il display del cellulare contro

la mini che, fungeva più da sciarpa che da gonna, tanto era corta.

"Se scopro chi è questo porco...lo ammazzo di botte..." da un mese a quella parte, puntualmente,

riceveva una di quelle chiamate 'osè' dove veniva invitata da una sensualissima quanto arrapata voce

a svolgere lavoretti più o meno puliti alle parti basse del soggetto in questione.

"Che schifo..." borbottò eliminando dalla mente tali pensieri osceni.

 

"Trovata" dopo numerosi tentativi falliti e zuccate contro il muro, Kagome riuscì finalmente ad impossessarsi

dell'agoniata borsa e ad impugnare il cellulare vittoriosa.

Compose il numero dell'amico in fretta e furia, spiegandogli nei minimi dettagli il suo ingegnoso

piano d'organizzazione pre-party.

 

 

"Si...ok...va bene...alle nove...Shi-re-nai..." il demone lupo sillabò il nome del locale nel mentre

tratteneva poggiato sulla spalla il ricevitore e si prodigava di segnarlo su d'un post-it.

Riattaccò la chiamata.Sorrise.

Che carina, gli aveva organizzato il compleanno nel locale dove s'erano conosciuti.

Discostò le iridi dal foglietto, scrutando soddisfatto la sua immagine allo specchio.

"Che figo che sono..." si complimentò schiaffeggiandosi appena le guance.

Un sorrisetto di malizia gli scivolò sulle labbra.Appagamento.

Dopo ore e ore di completa dedizione alla sua figura, poteva ritenersi soddisfatto del suo operato.

Lasciò scivolare l'accappatoio dalle spalle, vagando come mamma l'aveva lasciato alla nascita per

la casa (ste manie di nudismo sono molto in voga da quelle parti a quanto pare Nda).

Si diresse in camera, squadrando il vestiario disposto ordinatamente sul letto. Mamma Kodoka aveva

fatto proprio un bel lavoro, eh si, era proprio un bravo ometto di casa, lui.

Nessuna gli avrebbe resistito. Alzò lo sguardo verso il soffitto, mentre un'espressione depravata

cominciò ad impossessarsi del volto, solitamente quieto.

"Stasera si scopa" ghignò tra alimentando quell'idea verso le parti basse che cominciavano a scalpitare

già come cavalli impazziti.

"Calmo Schizzo...stasera papà ti da da mangiare..." tutto contento, si diresse nuovamente in bagno

fantasticando sull'esito della serata.

 

 

 

"E che cazzo..." ennesima bruciatura di sigaretta sulla maglia nuova. Ennesimo santo reclamato dalle

alture sconfinate del Nirvana.

Il mezzo demone cominciò a stiracchiare con l'indice la 'ciocca deturpata', come la chiamava Miroku,

nervoso. Quel continuo gesto a volte lo faceva somigliare ad un finocchio, però era più forte di lui.

Se era teso doveva toccarsi i capelli.

Cominciò a scavare una profonda fossa nel corridoio principale, tanto era il tempo che andava avanti

e indietro attraverso l'androne della casa.

Non c'era verso, la serata era già cominciata male. Da quando Kouga aveva nominato quelle magiche parole

assieme, ovvero : 'festa' e 'ragazze' , la mente aveva cominciato a selezionare ogni possibile ed inimmaginabile

tipo di abbigliamento 'adatto'.

Si sa che per far colpo bisogna avere tre cose fondamentali:

1) L'abito giusto. Chi cazzo ha detto che l'abito non fa il monaco?

2) La giusta dose di ormoni in fermento. Meglio non esagerare con la foga.

3) Il giusto tipo di armamentario. No preservativo? No party.

Festa era anche sinonimo di 'sesso', quindi, per lui, di conseguente abbandono

di quel peso insostenibile qual era la sua verginità.

Spostò pochi passi in direzione dell'armadio, aprendolo nuovamente.Portò una mano a fregare

il mento, inarcando appena un sopracciglio scuro.

"...Bene..." sorrise beffardo estraendo quella che definiva la sua 'mise da rimorchio'.

S'osservò allo specchio, poggiando il capo a ridosso del torso. Perfetto.

Il ticchettio insistente dell'orologio lo distrasse dalla contemplazione. Le venti e trentadue.

"Porcaccia di quella..." Solamente mezz'ora?

Un fulmine. Diede uno 'schiaffo' alle ante dell'armadio che si richiusero con un sonoro tonfo.

Si gettò sul letto, recuperando il telecomando dello stereo che s'accese con un click.

Adorava ascoltare le sue creazioni quando dava sfogo alla sua 'moda personale'.

Quel cd, da quanto tempo era che non l'ascoltava? Era il suo primo cd, un mezzo sorriso comparve

a saggiargli le labbra, amaro.

Da quando ‘era successo’, l'aveva recluso tra le cose da dimenticare, le note progressive e

cicliche della musica gli riportarono alla mente un episodio del suo passato, si soffermò

nel fissare le casse dello stereo, quasi incatenato da quel flashback...

 

"Hai un talento non indifferente" l'aveva pronunciato così, semplicemente, pareva un sospiro

tra quelle labbra rosse. Il fumo grigiastro aveva accompagnato quella sentenza, lasciandolo

'piacevolmente sorpreso'.

"Devo considerarlo un complimento?" aveva bofonchiato lui, sarcastico, scrutandola negli occhi

scuri, per cogliere cosa poi? Nulla. Era questo il bello di Kikyou, lei non mostrava niente, solamente

il vuoto sapeva trapelare da quel volto candido.

Lei era rimasta immobile, ad osservarlo. La stanza silenziosa diffondeva solamente quella musica, triste.

Aveva notato una cosa che l'aveva lasciato perplesso. Lei sorrideva solamente in presenza di Naraku.

Questo, aveva cominciato ad infastidirlo.

"...Dimmi una cosa, Inuyasha..." lo aveva ripreso, quasi malinconica nel timbro. Lui aveva continuato

ad osservarla, questa volta quasi sorpreso.

"Cosa..." aveva risposto senza mezzi termini, reclinando appena il capo di lato incuriosito.

"...Dovrei chiederti di aiutarmi..." lei, che gli chiedeva 'aiuto'?

Aveva sgranato appena gli occhi, lui, rimanendo in uno stato di trance temporanea.

"Non sono solito farlo...ma...dato che sei un'amica..." in realtà, forse, stava divenendo qualcosa

di diverso. Solamente nel suo cuore, qualcosa stava cambiando.

Lo sapeva, doveva ammetterlo anche a se stesso, Kikyou provava qualcosa per Kane, alias Naraku.

Lui, non poteva far altro che rimanere chiuso in se stesso.Un mezzo demone non ammette mai i propri

sentimenti dinanzi a qualcuno. Una regola stupida, eppure, lui la pensava così.

Kikyou l'aveva ringraziato con un simil sorriso, qualcosa che concedeva solamente 'all'altro'.

Da quel giorno, erano cominciati i guai...

 

 

Scosse la testa, tentando d'eliminare quel pensiero. Inutile ripensare al passato, infondo la vita

sarebbe continuata ugualmente.

Diede uno sguardo all'orologio da polso. Le nove. Si sbrigò nel vestirsi, come al solito sarebbe

arrivato in ritardo. Rifuggì i suoi tormenti ancora una volta, come era uso fare.

Non un pensiero era capace di scivolargli all'interno per più d'un minuto. Aveva imparato a castigare

le preoccupazioni in un angolo remoto della mente.

Si alzò in piedi, inarcando appena un sopracciglio.

S'era dimenticato del regalo per Kouga.

"Accidenti...ormai è tardi..." un lampo, un'idea. Sorrise.

Estrasse il cd dal lettore, riponendolo dentro la custodia apposita. Kouga adorava quel piccolo

contenitore di suoni...

 

 

 

Le casse, producevano una cadenzata melodia, quella d'inizio serata.

Kagome era seduta all'interno dello stanzino ove si sarebbe dovuta cambiare, chissà che faccia

avrebbe fatto Kouga-kun.

Rimase dinanzi allo specchio a fissare la sua immagine, mentre Sango, silenziosa le pettinava

gli scuri crini con gesti metodici e precisi.

"A Kouga prenderà un infarto..." ridacchiò la brunetta soffermando le sue movenze qualche istante.

Kagome sorrise, afferrando un flaconcino che risiedeva sopra il piccolo ripiano alla sua destra.

"Ne sono sicura" mormorò maliziosa, lanciando un'occhiatina furtiva alla migliore amica.

La bruna le sollevò la chioma, spostando con le labbra l'elastico che teneva stretto al polso destro,

verso la mano.

In pochi passaggi fece passare i capelli dell'amica tra un cappio e l'altro, innalzandoli in una

graziosa coda alta.

"Non mi piacciono i capelli legati Sango-chan..." borbottò lei, incrociando le braccia al petto.

"Lascia fare a me..." le sorrise, voltandola con un gesto verso di . S'abbasso sulle ginocchia,

piegandosi appena all'altezza di Kagome, seduta.

Prese la le mani l'occorrente. "Ora ti mostro la tecnica del trucco che c'è...ma non si vede..."

ridacchiò, cominciando ad operare sul volto dell'amica.

 

Kouga era rimasto seduto su una delle seggiole girevoli del bar, ormai da una buona mezz'ora si stava

gustando quella grappetta che tanto adorava.

Solamente che la bibita, seppur versata in un bicchiere piccolissimo, era ancora a metà, giacchè

il demone ne imbeveva solamente le labbra da tempo, tanto per passare il tempo, rigirandolo tra le mani

talvolta, snervato dall'attesa.

Gli invitati che, s'apprestavano a giungere numerosi, s'erano accalcati in gruppetti, ciarlando

tra di loro, dopo aver salutato il festeggiato.

Era solo.

Dov'erano finite quelle due sceme? Kagome e Sango assieme non gli piacevano per nulla.

Osservò l'orologio posto su una delle pareti del locale, dov'era Inuyasha?

In quel momento era la persona più attesa dal demone.

Poggiò entrambi i gomiti sopra il tavolo ad isola, dove la graziosa barista, dinanzi a lui

gli lanciava occhiatine seducenti da quando s'era seduto.

"Tesoro non hai nessuno con cui passare la serata?" l'aveva incitato la bionda, strizzandogli

l'occhio destro.

Kouga aveva sorriso, continuando poi ad osservare il contenuto del bicchiere. Il suo pensiero

al momento, era rivolto solamente al mezzo demone. L'attesa era snervante.

"Aspetti qualcuno?" lo rimbeccò la voce sarcastica di chi conosceva bene.

Si volse di scatto, lasciandosi trasportare dal movimento circolare della seggiola ben fissata sul terreno.

Un sorrisetto rodomonte gli piegò le labbra, rimasero ad osservarsi per qualche istante, silenti.

"Erez!" latrò il demone lupo alzandosi dalla sua postazione repentino. Inuyasha, smorzò il sorrisetto

sarcastico in una smorfia, odiava quel soprannome.

"Schizzo!" ridacchiò incrociando le braccia al petto, correndo con le iridi giallastre in corrispondenza

della figura del demone.

Non era cambiato affatto, sempre il solito atteggiamento, le solite battute.Era Kouga.

"Hai incontrato qualche altra bambinetta?" lo rimbeccò subito, ricordandogli il brutto

episodio che gli aveva affibbiato il nome di 'Erez'.

 

Spiaggia.

Agosto. Solito gruppetto, disteso a crogiolarsi sotto il torrido sole d'agosto.

Inuyasha s'era voltato ad osservare in faccia il rosso disco, per prendere un'abbronzatura

più evidente sul torace.

Kikyou e Naraku, dormivano della grossa. Il secondo, abbandonato al sole con la rivista

dei cruciverba in faccia.

Solamente Kouga e il mezzo demone erano svegli al momento.

In quel momento, una ragazza dalle forme generose, era corsa in corrispondenza dell'ombrellone

dei quattro, passando proprio accanto al mezzo demone che con sguardo lungimirante, s'era

'affacciato' per osservarla meglio.

Sbaglio.

Assieme alla giovane, una bimba, di poco più di quattro anni, rincorreva affaticata un palloncino

frignando assordante.

La reazione delle parti 'basse' del mezzo demone, nell'aver osservato la bella giovane in costume

aveva creato una sana incomprensione in Kouga che in quel momento, proprio quando era passata la

piccola, s'era volto in direzione dell'amico.

Quasi a non farlo apposta, aveva cominciato a ridere come un pazzo, suscitando la curiosità del mezzo.

"Ma che ti ridi?" Inuyasha l'aveva osservato di sbiego, confuso.

"...La verginità fa brutti scherzi...è solo una bambina Inuyasha" l'aveva canzonato il demone.

Il mezzo era divenuto d'un tenue porpora, sgranando gli occhi all'affermazione del lupo.

"Ma che cazzo stai..." quando analizzò la situazione, ovvero, la reazione dei suoi 'gioielli',

la ragazza e la bambina...ormai era tardi.

"...Sei un pedofilo....Erez...".

 

 

La mano destra del mezzo cominciò a fremere nevrotica lungo il fianco corrispondente.Odiava che gli

si ricordasse quella figuraccia.

"Senti chi parla...comunque...auguri..." borbottò 'schiaffandogli' tra le mani il cd che aveva

preparato per lui.

"Questo è..." Inuyasha annuì senza dargli tempo di continuare la frase.Silenzio.

Le iridi oltremare del lupo, andarono a scrutare quelle dell'hanyou, adombrate appena sotto

la frangia inargentata.

Non disse altro, poggiando il regalo accanto agli altri. S'avvicinò ulteriormente ad Inuyasha,

dandogli una pacca sulla spalla che lo scansò di qualche passo.

"Ma sei scemo?" ringhiò lanciandogli una brutta occhiataccia.

"Sempre il solito..." concluse il lupo, muovendo appena la lunga coda bruna dietro la schiena in un bieco

oscillare.

La fermò a mezz'aria, avvolgendola celermente attorno alla vita, ove era uso portarla.

Il mezzo s'osservò attorno, ce n'erano si di ragazze.

Abbassò lo sguardo, pensoso, Miroku avrebbe fatto salti mortali per essere con lui.Cazzi suoi.

La mano dell'ex migliore amico, posatasi sulla di lui spalla, lo risvegliò dal torpore della

sua temporanea trans mentale.

"Ah, volevo presentarti una persona...ma..." si guardò attorno, in cerca della migliore amica,

non notandone, con delusione, nemmeno l'ombra.

Rivolse una risatina nevrotica in direzione del mezzo demone.

Imbarazzo.

Inuyasha lo stava osservando perplesso, muovendo ritmicamente le orecchie avanti ed indietro

curioso.

"Ahem..." lo youkai si schiarì la voce. "Bevi qualcosa?" gli mormorò appena, da quando

il mezzo demone era entrato nella stanza, mille pensieri avevano cominciato ad irrompere nella

mente di Kouga. Doveva smettere di porsi tante domande e comportarsi normalmente, era il suo

compleanno.

Divertimento.

"Per chi mi hai preso? Certo che bevo..." alzò un sopracciglio il mezzo, sostenendo lo sguardo

dell'amico che pareva alquanto nervoso.

"Prima però devo trovare un bagno...sai...non ho avuto il tempo..." tossicchiò tentando di far capire

al demone il suo 'bisogno primario'.

Kouga sorrise ironico, incrociando le braccia al petto "Non mi spiacerebbe vedere la tua faccia

se non ti dicessi dove si trova..." ghignò maligno.

"Io credo che non ti piacerebbe invece vedere la tua faccia dopo che ti avrò pestato, se non me lo dici..."

rispose l'altro a tono.

Il lupo scosse la testa, indicando con l'indice il corridoio.

"Classico...infondo a destra..." rispose quieto.

 

 

Kagome era soddisfatta. Si rimirò allo specchio per svariati minuti.

Perfetta.

L'abito nero, scendeva lungo le forme, contenendole a dovere ed accentuandole maggiormente.

Si stringeva sui fianchi sino a ricadere spaccato di lato a partire dalla coscia superiore sino

al ginocchio.

Sulla schiena, una scollatura vertiginosa, lasciava ben poca immaginazione sul come si disegnasse

il fondo.

Il decolletè era lasciato completamente a nudo, sulle spalle, traversato solamente dalla stoffa che

giocava sul 'vedo non vedo' dei veli.

Scosse appena il capo, permettendo ad un romito filo d'ebano di ricaderle dinanzi al volto pulito,

scoperto dalla frangia e dagli impedimenti della folta chioma.

Inarcò un sopracciglio "La collana però..." portò entrambe le mani dietro la nuca, a sfilare

l'oggetto dal collo.

Sango sorrise "Vado ad intrattenere Kouga...altrimenti avrà sospetti..." ridacchiò scomparendo

dietro la porta.

Rimase qualche istante dinanzi allo specchio che rifulgeva del lume dei mini riflettori della stanza

utilizzati come illuminazione sobria di questa.

L'immagine riflessa era d'una donna ormai, non più d'una bambina. Sospirò, immaginando la faccia

di Kouga quando l'avrebbe vista finalmente come avrebbe dovuto.

Una donna.

Tale pensiero la accompagnò lungo il corridoio, finché s'arrestò dinanzi alla porta dei bagni.

[Meglio darmi una rinfrescata prima...]

Girò la maniglia della porta, lasciando che la porta fremesse d'un cigolio appena accennato.

Lasciò che si richiudesse dietro di lei, poggiandovi contro le spalle.

Un altro sospiro.

Si stava facendo troppo bella per il suo migliore amico.

Già, troppo.

Scartò quel pensiero dalla mente, aprendo di scatto il getto d'acqua del lavabo. Lasciò correre

il liquido incolore tra le mani, fregandole più d'una volta tra di loro.

Alzò lo sguardo in direzione dello specchio, di sfuggita, giusto per controllare il suo stato

ancora una volta.

Questa volta, qualcosa di nuovo, oltre lei v'era riflesso.

Rimase nella sua posizione, osservando quell' immagine poco distante. Un brivido le percorse

la schiena repentino.

"Oh mio..." cazzo, era finita nel bagno degli uomini?

Il mezzo demone, prima poggiato contro il muro di schiena, si distaccò appena, permanendo ad osservare

la ningen che gli donava le spalle.

"Non credevo che al compleanno di Kouga venissero pure i trans..." commentò tagliente. Quell'esclamazione

fece letteralmente innervosire la mora che intaccò la punta degli stivali sul pavimento, voltandosi

inviperita verso il suo interlocutore.

Per qualche istante permase silenzio, quasi si stesse svolgendo il classico 'mezzogiorno di fuoco'

tra i due.

"Non credevo ci fossero nemmeno i frogi..." rispose lei sarcastica, incrociando le braccia sotto

il seno.

L'hanyou, si limitò ad allargare ulteriormente il sogghigno sfacciato che quel momento gli

increspava le labbra.

"Visto? Si fanno ogni giorno scoperte interessanti..." rimase a sostenerle lo sguardo, avvicinandosi

solo di qualche passo.

Doveva ammettere che quel 'trans' non era proprio male, forse da scopare. Ovviamente, era tutto

tranne quello, date le prominenti forme che generose s'intravedevano dalle trasparenze del vestito.

Maliziosa, seguì lo stesso esempio.

Un uomo non doveva mai aver l'ultima parola, né tanto meno pensare lontanamente d'averla vinta.

La tecnica vincente era quella di far finta di starci, tutto qua, per poi lasciarlo come

un salame.

Parevano due leoni all'ora del pasto che, attorno alla preda cominciavano a preparare i rispettivi

attacchi.

Lei smosse appena la coda con l'indice, un gesto, sensuale nella sua semplicità.

Lui si limitò ad osservarne le movenze, se credeva d'infinocchiare proprio lui, si sbagliava di

grosso.

Conosceva ogni singola mossa femminile e quella, presagiva solamente una cosa.

Su scemo, cadici, così ti do il ben servito per ciò che mi hai detto. Si come no.

Falsità, il suo secondo nome.

Mosse le orecchie bianche dietro la testa, correndo con le iridi d'ambra sul corpo della

giovane, come ferro rovente.

Si squadravano smaliziati, quasi stessero attendendo entrambi la medesima cosa l'uno dall'altra.

"...Non sei in compagnia?" mormorò lei audace, ancheggiando provocante come solamente lei sapeva.

Il mezzo inarcò appena le labbra all'angolo destro della bocca.

Divertimento.

"...Lo sono..." rispose indolente.

Lo sentiva, poteva sentire quell'oro sul corpo, quasi la stesse carezzando con le mani. Quel timbro,

strafottente quando incisivo, sensualmente roco.

Sapeva giocare bene il mezzo demone.

[Non sarai mai in grado di tenermi testa...] sorrise con malizia a tale pensiero, senza scomporsi.

"Peccato...io no..." guaì fingendosi dispiaciuta.

Se fosse stato Miroku ci sarebbe caduto con tutte le scarpe. Era brava, brava davvero.

"Ce ne sono tanti di idiot...di ragazzi alla festa..." rispose malleabile lui, intrepido nelle movenze

del corpo.

Lei continuò ad osservarlo.

Non era male, per niente. Forse per una notte...

Le piaceva il suo gioco, nessuno le aveva mai tenuto così testa prima d'ora. Bene.

"Già...però non sono idioti che mi interessano..." profuse languida, ritrovandosi ora col passo

alle spalle di lui.

Continuavano a girarsi attorno come avvoltoi.

"Questo significa che ti interesso io?" .Scacco.

Kagome rimase spiazzata per un istante, sfacciato oltre che maleducato. Interessante.

Arrestò il suo passo, felina.

"Io non l'ho detto...sei tu che lo hai pensato..." Sagace e misteriosa. Scacco al re.

Anch'egli fermò il passo, in corrispondenza degli specchi disposti a file pari sopra i lavabi.

Osservò la sua immagine riflessa che giocava con quella della femmina in lontananza, la solita espressione.

Falso.Falso.Falso.

"...E' vero l'ho pensato...ma l'hai fatto anche tu...sei lo hai detto a me..." .Scacco matto.

Cazzo, era davvero bravo. Questo qua come se lo schiodava ora?

Doveva escogitare qualcosa, al più presto, si sarebbe dileguata con una scusa banale però ben

congegnata.

"Ma che bravo...direi che ora potrei anche tornarmene alla festa allora..." rispose sarcastica

come per fargli intuire d'aver detto qualcosa di sbagliato.

Inuyasha malizioso, attese che questa poggiasse la mano sul pomolo della porta.

Ops.

"Do...dov'è finito?" balbettò lei tastando sull'uscio bianco, senza trovare il bottone d'ottone.

Il mezzo demone tossicchiò appena, attirando l'attenzione di lei.

Basita.

"Cercavi questa?...Cazzo...temo mi sia rimasta tra le mani per sbaglio..." smorzò tranquillamente,

con una nota sarcastica nel timbro.

[Bastardo l'ha fatto apposta...e ora?]

Inuyasha ridacchiò con malizia, nessuno.

Nessuno la faceva in barba ad un Taisho, soprattutto se era Inuyasha.

[...Hai voluto competere con me?......chi gioca col fuoco prima o poi si scotta...]

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII : Lui, lei e l'altro ***


Simply Mine

Atto VIII : ...Lui, lei e l'altro...

A volte, la persona che ti è affianco è la meno indicata, pensi che sia solamente

un brutto scherzo del destino.

Ti ritrovi in una situazione assurda, incomprensibile, vorresti sparire.

Ne siamo veramente sicuri?

Mezz'ora.

Che ora s'era fatta? le 22.00, le 23.00, che importava? Ora la priorità

era liberarsi da quell'impiccio.

Era voltata di spalle, irrequieta. Lo si poteva scorgere dal suo frenetico

attorcigliare dei capelli attorno all'indice.

Lui era davanti a lei, avrebbe dato qualsiasi cosa per cancellare quell'espressione strafottente

da quel volto.

[Nemmeno so chi sei, ma già mi stai quassù] celere un pensiero le traversò la mente, bastardo.

Lei si limitò a voltarsi dalla parte opposta, spostando il braccio prima innalzato verso il

capo sotto il bacino, sul fianco, tamburellandovi le dita sopra.

"Dunque?" profuse lui falsamente languido, pareva si stesse divertendo a rivoltare il coltello nella

piaga.Contento lui.

L'hanyou lasciò volteggiare tra le dita artigliate la maniglia della porta, avanzando di qualche

passo in direzione di lei.

Lo sentiva, la distanza s'era fatta pericolosa.

"Stop!" enunciò lei volgendosi di scatto verso il mezzo demone che spiazzato dal gesto improvviso di lei

rimase in bilico su d'una gamba per circa cinque minuti buoni.

"Lo hai fatto apposta? Bene, dunque devo dedurre che sia IO quella che interessa a te" concluse vipera.

Cavolo, quella si che era una donna. Lui cincischìo qualcosa, riappoggiando il piede per terra.

Le si fece contro, sospingendola verso il muro poco distante.

Ghigno ironico.

"Non l'ho mai detto" la voce era spezzata solamente dal respiro che di tanto in tanto andava a muoverle

i ciuffi ribelli sulla fronte. Dio, non era per niente male. Però era stronzo, come la maggior parte degli uomini.

Odiava i bastardi.

Lei indietreggiò sino a ritrovarsi bloccata tra il muro e il corpo di lui, distanziato solamente di

pochi centimetri.L'hanyou alzò il braccio destro, posando il palmo sulla muratura, di fianco al capo di lei.

L'avrebbe preso a schiaffi volentieri.

"Ma l'hai pensato..." controbattè lei sicura, abbassandosi appena e aggirando il suo carceriere.

Lui emise un soffio, nient'altro, seguito da un sorrisetto malizioso.

Che donna, che donna.

Ne aveva incontrate di testarde ma questa sapeva proprio il fatto suo, ci sarebbe stato da divertirsi.

Quando lo sorpassò, una scia del suo profumo gli giunse quasi dispettosa all'olfatto.

Mosse le orecchie sino a farle scendere ai lati del capo.

Conosceva già quel profumo?

La sua memoria cominciava a far cilecca, merito della birretta scolata prima di raggiungere la festa.

Doveva assolutamente smettere di bere.

Discostò con un sospiro un filo d'argento calatosi impertinente sul volto.

Seguì le movenze della femmina con la coda dell'occhio, senza voltarsi.

"Abbiamo una chiromante" professò infine, applaudendo quasi avesse assistito ad una scenetta comica.

Lei s'irrigidì, non le piaceva quel sarcasmo tagliente di cui era provvisto l'hanyou.

Cominciò a camminare in tondo, percorrendo i quattro angoli della toilette nervosa. Kouga l'avrebbe uccisa.

Inutile gridare, la musica ormai era troppo alta perchè potessero sentire i suoi 'miagolii'.

Si sentiva in gabbia.

"Voglio andarmene" profuse a bassa voce, quasi trattenendo una sorta di avviluppo del tono. Lui smosse le orecchie

canine, volgendosi finalmente in modo completo verso la ragazza.

"Sei capace di buttar giù una porta?" ridacchiò lui sarcastico, uno scherzetto che stava cominciando

a durare più del previsto.

Lei respirò profondamente, irritante, oltre che stronzo. Doveva pensare a qualcosa, convincerlo ad

aprire quella maledetta porta, un mezzo demone ce l'avrebbe fatta sicuramente, forse con una facilità

impressionante ad abbatterla.

"Io no...ma tu si" rispose a tono, intrisa d'un acido delicato che le si estingueva dalle labbra.

Lui socchiuse le palpebre, osservandola sornione.

"Certo che potrei ma...il fatto è che non ne ho voglia..." .Scacco.

S'era arrabbiata, l'aveva visto dalle fossette ch'erano apparse sulle labbra della giovane,

dal suo tacchettare nervoso al terreno e dalle sopracciglia che s'erano pericolosamente inarcate.

Aveva cominciato ad avvicinarsi maligna, a passo vicile, con l'indice puntato verso di lui.

"Senti, non so chi tu sia, cosa ci faccia qui...ma ciò che è certo è che quando usciremo di qui

ti ammazzerò di botte" concluse iraconda.

Lui sorrise falso.

Scuotendo il capo da destra a sinistra, le si fece incontro avvicinandosi a malapena, giusto per

trovare le sue labbra all'altezza dell'orecchio di lei.

"Sei già pazza di me" le sussurrò strafottente, con una naturalezza disarmante che avrebbe fatto

spazientire anche uno di quei santoni Buddisti all'entrata dei Templi.

Lei rimase immobile, ascoltando l'insufflo caldo che proveniva dalle sue labbra, quasi un brivido

freddo le percorse la schiena scoperta in quell'istante.

"Io credo sia il contrario invece..." lui si ritrasse appena dalla sua posizione, giungendole a pochi

centimetri dal volto.

"Quanta sicurezza..." mormorò appena, talmente flebile e leggero che quelle parole parvero quasi uno

sbuffo di vento. Lei dischiuse le labbra per formulare qualcosa ma rimase muta.

Lo scontro con quelle iridi d'ambra la fece permanere in uno stato di trans momentanea.

Lui alzò il mento con l'indice, avvicinando ulteriormente il volto a quello di lei,

lei istintivamente chiuse gli occhi, ascoltando il suo respiro sempre più accorto. Stava cedendo ad un imbecille?

Ecco il primo sbaglio di tanti che seguirono.

Quando riaprì gli occhi, notando che l'attesa ormai s'era prolungata, rimase di stucco.

Lui la stava osservando, un sorrisetto divertito sul volto. L'aveva presa per il culo?

"Baccalà" aveva pronunciato sarcastico, imitando con le mani, quasi fosse un mimo l'azione

del pescare, quando il pescatore immerge l'amo sul pelo dell'acqua muovendo appena la 'mosca' sopra di esso,

quando il pesce s'avvicina il pescatore ritrae velocemente l'amo in modo che il malcapitato venga

catturato.

Così era stato per lei. S'era lasciata infinocchiare dal suo sguardo.

Lui rise, era palese che non lo conosceva.

Falso, incredibilmente falso. Era capace d'assumere così tante maschere che nemmeno lui si riconosceva

più ormai.

Irata, si sentiva presa in giro, indignata.

Digrignò i denti, la pece all'interno degli occhi parve bruciare. Strinse i pugni ulteriormente

lungo i fianchi.

"No, non credo che tu abbia capito con chi hai a che fare..." pronunciò senza mezzi termini lei.

Lui imitò un rabbrividire degli arti, fingendo d'essersi spaventato a cotali paure.

"Aiuto...cosa mi farai ora?"

A quell'affermazione lei ghignò maligna. Ecco, quello sguardo e quel sogghigno non presagivano nulla di buono.

Lui si parò sulla difensiva, quando una donna ti guarda in cagnesco vuol dire che è pronta a colpire

le parti basse con il tacco.

Ripensò a Miroku, a lui era successo una volta, ricordò che era rimasto piegato per ben tre ore.

Povero lui.

Continuarono ad osservarsi finchè lui non pose un quesito che gli sarebbe costato non poco "Dunque,

hai intenzione di piagnucolare o cosa?"

La risposta giunse immediata.

Rimase non di stucco, propriamente basito da quel gesto. Deglutì appena, sentendosi per la prima volta

spiazzato.

Aveva sentito le parole morirgli in gola quando s'era avvicinata, poi le labbra sulle sue e nient'altro.

Un semplice bacio, no cazzo. L'aveva preso alla sprovvista.

Non gli andava giù questo. Non a lui.

Non rispose, si limitò a rimanere freddo come il ghiaccio, immobile.

Lei sorrideva maligna intrinsecamente, gioiva di quella piccola vittoria, anche se avrebbe evitato

volentieri una simile vendetta.

Era come baciare un muro, che divertimento c'era?

Per lui la cosa era un pò diversa, sentiva qualcosa avvampargli dentro, rabbia, ira.

Non poteva essere atterrito da una femmina, non a quel modo.

La spinse via con forza, lasciando che ricadesse sulla schiena.

"Cosa cazzo credi, mica mi metto a sbaciucchiare tutte le zoccole che mi ritrovo a tiro..."

Ecco, la parola 'Zoccola', non era mai stata usata in riferimento alla dolce e indifesa Kagome.

Rimase ad osservarlo, quasi sofferente, dalla sua posizione, accasciata al terreno, trattenuta solamente

dagli avambracci.

"..." non rispose, cosa poteva rispondere ad un essere simile? Non la conosceva nemmeno.

Stronza e Battona erano due cose differenti. Completamente differenti.

Ferita.

Lui la squadrava dall'alto beffeggiatore. Incrociò le braccia al petto senza alcun rammarico.

"Sei come tutti gli altri...sei contento? Bene, ridi pure...conformista..." ecco...

questa parola fece si che egli s'incazzasse ulteriormente.

L'aveva paragonato agli altri? Lui che si sforzava d'essere diverso.

"Io, non sono gli altri..." rispose tagliente. L'ironia e la malizia di poco prima erano scomparsi

lasciando spazio solamente ad astio tra i due.

Lei tentò di risollevarsi goffamente da terra, quell'immagine, quegli occhi.

[Dio perchè voglio ripetere i miei errori ancora...non m'è bastato in passato?] il respiro dell'hanyou

si fece greve, il ricordo di quell'immagine lo accaldò tremendamente.

[Non respiro...cazzo...] ogni volta che il passato riaffiorava anche in minima parte alla mente,

qualcosa in lui si smuoveva.

Kagome rimase ad osservare il mezzo demone, inarcò appena un sopracciglio...

[Non di nuovo...non qui...] solamente un guaìto fu capace d'irrompere dalle labbra di lui, la testa era divenuta

pesante, quasi insostenibile, tutto volteggiava pericolosamente attorno a lui.

Si poggiò al muro poco distante col gomito, tentando di riprendere a respirare normalmente, nulla.

Senso di colpa.

Profondo vuoto.

Apatia.

Vertigine.

Buio.

Scivolò lentamente addosso alla murazione, ricadendo indietro sulla schiena, sbattendo violentemente il capo sul pavimento. Kagome rimase per qualche

istante interdetta, magari era solamente un altro scherzo di quel cretino.

Non sembrava.

"Eh...ehi..." niente, pareva svenuto.

Deglutì, inginocchiandosi al suo fianco. "Dai, cerca di alzarti...scemo, vedi fai tanto il rodomonte e poi

perdi coscenza...dai..." il tono di lei era cambiato nuovamente, era quasi, docile.

Le orecchie d'Inuyasha si mossero appena, sentiva un peso tremendo sulle spalle.

Non riusciva ad alzarsi.

Lei rimase cauta, senza allarmarsi poggiò il capo di lui sulle gambe, rimanendo in ginocchio.

"Svegliati..." lo richiamò una, due, tre volte.

Non voleva saperne. La sicurezza di lei svanì improvvisa, diavolo, perchè non si riprendeva?

Dov'erano gli altri, nessuno cazzo doveva andare in bagno?

Rimase per più di mezz'ora a sussurrargli all'orecchio di alzarsi, di tentare di farlo perlomeno.

"Mhh..." finalmente.

Lui riuscì a socchiudere le palpebre un poco, era abituato a quel genere di attacchi di svenimento

improvvisi.

Quando le immagini gli furono chiare, non aprì bocca. Tentò di focalizzare al meglio l'immagine

sopra di lui.

"Tu sei..." masticò appena, in un filo di voce. Lei annuì, intimandogli di fare silenzio "Sono Kagome,

non c'eravamo presentati...si si, sono la zoccola ricordi?" sorrise ironica, eppure, in quel sorriso

traspariva anche una sorta di amara dolcezza.

Lui abbassò le iridi, bella figura, un'altra l'avrebbe lasciato per terra.

Quella donna aveva il cuore troppo tenero, forse.

"E tu, signor svenimento...saresti?" domandò lei , con una sorta di cortesia che non sapeva di poter

possedere ,riferendosi ad un ragazzo simile.

"Inuyasha..." rispose quasi rabbonito dalla botta presa in precedenza alla testa. Lei sorrise appena,

espressione del tutto differente da quella precedente.

Portò l'indice a sfiorargli il retro del capo, facendogli emettere un guaìto sordo.

"Sei pazza o cosa? Fa male!" ringhiò sollevandosi sugli avambracci.

Lei questa volta rimase bonaria, stavolta negli occhi non aveva nulla di ostile nei confronti del

meticcio.

Lui la guardò perplesso, cosa diamine ...

Non aveva mai visto una donna tanto lunatica, prima ce l'aveva con lui poi sorrideva? Folle, o semplicemente...

che donna!

L'aveva ripetuto più volte a sè durante il corso della permanenza prolungata in bagno, quel deficiente

di Kouga non s'era accorto che mancava da più di un'ora?

Va bene 'natura clamat et homo respondet' ma ora c'era da essere cretini per non accorgersi dell'assenza

di un tuo ospite.

Magari s'era ubriacato e ora giaceva tra i cuscini d'una bella biondona.

Lui invece, era in una toilette, sdraiato sulle gambe di una ragazza...

Bè, forse non era tanto male come situazione infondo...nemmeno lei era così male...

Lui si sollevò ulteriormente, tenendo basso lo sguardo "Non è mia abitudine farlo...e non l'avrei detto se

non fossimo solamente io e te...ma...immagino che dovrei ringraz...si insomma quello..."

lei scosse la testa sorridendo. Ormai aveva ben capito che tipo di 'lui' era Inuyasha.

O forse, s'era convinta fosse a quel modo.

"Bè, di niente..." mormorò lei, era una cosa surreale, erano seduti sul pavimento di una toilette,

le veniva quasi da ridere.

Lui sollevò lo sguardo, ad incontrare nuovamente quello di lei. Ora, diavolo se era bella.

La fronte imperlata di sudore per il troppo caldo, respirava affannata, forse per imbarazzo,

era leggermente rossa, coi capelli arruffati sulla testa.

Quelle labbra rosse, gli occhi d'un ebano troppo scuro per vedere la differenza tra iride e pupilla.

Adesso si che, avrebbe risposto a quel bacio di prima.

Forse senza rendersi conto, quel pensiero fu moto di trasporto per il capo di lui che senza volerlo

s'avvicinò nuovamente al volto di lei...

Socchiuse appena le palpebre...

Lei lo imitò, nemmeno a farlo apposta, come se il sapore sentito poco prima non le fosse nuovo,

come se l'odore di lui l'avesse già sentito.

"KAGOME!INUYASHA!" ecco, quello che si poteva chiamare tempismo perfetto.

La porta s'era spalancata, lasciando i due galeotti presi alla sprovvista. Kouga, che non aveva avuto

di meglio da fare s'era smosso solamente in quel momento, riuscendo a forzare la porta d'entrata.

Ok, la situazione poteva sembrare alquanto equivoca.

Lui, con la camicia mezza slacciata che debordava dai pantaloni, col volto avvampato d'un lieve

porpora, un pò per il caldo, l'altra metà d'imbarazzo.

Lei, uguale, sconvolta il vestito s'era appena sdrucito sul davanti, mettendo in mostra 'ulteriormente'

le sue grazie, probabilmente quando s'era accasciata in ginocchio, aveva detto che quell'abito era

stretto.

Kouga rimase silente per qualche istante, correndo con lo sguardo dal meticcio alla ragazza in modo sincrono.

"Vedo che avete fatto conoscenza..." si limitò piuttosto freddo nel tono.

Gli dava fastidio, una cosa indicibile che Kagome si trovasse con l'ex migliore amico. Sottilizzò

gli occhi, fessurizzandoli.

Fulminò per un istante Inuyasha che nel frattempo si stava rialzando.

"Kou-kun..." lei gli corse incontro, poggiando la mano destra sulla spalla di dell'amico.

Inuyasha si limitò ad osservare il lupo, senza un espressione particolare. Aveva capito che qualcosa non andava da quando era

entrato in quella stanza.

Di solito avrebbe riso di una situazione simile ma, a quanto pare Kagome non gli era sconosciuta.

"Lo conosci?" chiese la ragazza, senza ottenere risposta. I due continuarono ad osservarsi per

un lasso di tempo che parve interminabile.

"Si lo conosco Kagome...un tempo era il mio migliore amico..." rispose freddo il lupo,

le iridi cobalde parvero tremare per un istante.

Mosse il braccio destro attorno alla vita della ragazza, segnalando con quel gesto, a colui

che gli era di fronte, che quella era 'proprietà privata'.

Inuyasha si limitò a sorpassare le due figure, ricomponendosi.

Passò di fianco a Kouga, increspando un lieve sogghigno "...Non c'è nessun marchio sul suo collo..."

sorrise infingardo, sparendo sulla porta.

Kouga sgranò gli occhi per un istante, non lui.

[Inuyasha non puoi farmi questo...credevo tu fossi mio amico...evidentemente, mi sbagliavo]

Kagome rimase ad osservare l'espressione di Kouga, s'era indurita, come facevano quei

due ad essere amici?

[No mio caro Kouga, farò in modo che tu non t'intrometta...lei è una mia preda...non è alla tua portata...]

Un sogghigno,

un sospiro e l'aria fredda al di fuori s'era condensata in fumo.

Un bivio...

Valeva la pena di rivaleggiare col suo ex migliore amico per un'umana?

Ecco, c'era da sottilineare una cosa rilevante...

La parola Ex...

"Non rifiuto mai una sfida..."

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Capitolo 9
*** Atto IX : Tradimento ***


Dopo averci pensato su e dato che ho avuto molti incentivi da alcuni lettori per farlo, ho deciso di continuare Simply Mine, anche perché mi spiaceva lasciarla da sola in disparte e anche perché mi ero promesso di continuarla non appena avessi finito Tra le corde del Pianoforte, ebbene. Buona lettura.

 

Atto IX : Tradimento

 

Amico. Colui che non t’abbandona. Affatto. La parola fedeltà ed amico il più delle volte non riescono a rimanere correlate sulla stessa retta. Infatti basta un nonnulla per concedere ad una vecchia fiamma d’ardere e d’accendersi ancora di più.

Basta una scintilla ed ecco il fuoco divampare largo. Esistono anche amici infedeli. Essi sono i reietti della specie, i volta gabbana. Coloro che ti tradiscono per una donna. Il gentil sesso è capacissimo d’interrompere se non deviare una relazione. E’ vista un po’ come una coppa d’avorio da vincere a tutti i costi e quando entra in gioco la lotta, eh no, in quel caso non c’è più nulla da fare.

E’ anche vero che per l’uomo viene prima di tutto l’amico. Una birra, una partita. Non si rifiuta mai, eppure c’è sempre quella piccola debolezza che s’insinua come una gramigna nella mente.

Se due uomini si contendono una donna due sono le possibilità : 1) Il vincitore taglia i ponti con lo sconfitto. 2) Orsù quando ci lasceremo forse ti darò un’altra possibilità.

Più probabile è la prima in quanto, quando un amico viene ferito è difficile che si lecchi le ferite.

Tradito. In tutti i sensi. Quello stronzo,invitarlo al suo compleanno per ottenere cosa? Un bel ringraziamento con tanto di presa per il culo e fermo immagine di un probabile bacio.

Da due ore rimuginava silenzioso nella sua posizione. Avambracci piegati sulle ginocchia, capo chino ed occhi socchiusi. Nemmeno sentiva più ormai i toni languidi delle musiche di sfondo che ancora dipingevano la festa.

Un completo disastro. Maledetto bastardo. L’aver visto con i suoi occhi quella scena ancora gli lasciava ribollire il sangue in vena.

Ritmico. Il movimento del piede che impertinente batteva ritmico sullo scalino. Iridi scure che si scostavano a destra e a manca.

Ebbene ora la mente era pervasa da due movimenti inibitori l’uno per l’altro. Il primo Scappare, il secondo prenderlo a cazzotti sino ad esser supplicato.

Furibondo. Era forse la parola più azzeccata per descriverne l’attuale stato. Pareva in trance. D’un lato, Kagome, silenziosa osservava la scena.

L’unico per cui sciogliere l’apparente sua malizia era Kouga. Vederlo in quello stato a causa sua le aveva soffocato in petto una morsa ben maggiore delle precedenti.

L’osservava seria. Non una parola era stata proferita in merito alla vicenda del bagno.

C’era solamente una cosa da fare e lei lo sapeva benissimo.

“Kouga-kun” un sibilo appena fuoriuscito dalle labbra. S’era poi fermata nel tentativo di riprender fiato inutilmente.

Alzando lo sguardo, lo youkai aveva automaticamente interrotto il flusso respiratorio all’interno del corpo.

Pregno di astio. Forse non nei confronti di lei, per lo più in quelli di lui. Inuyasha. Ecco qual’era il nome del problema in corso. Bastardo, infido e per di più seccante.

Eppure. Già, c’era un ma nella mente di lei che tornava a farsi vivo e ciclico da un po’ di tempo a quella parte. Il suo sapore.

Leccò le labbra solo per rendersi conto di che gesto stupido s’era macchiata. Come quelle bambinette dopo il primo bacio che, pur di ricordare la presenza del loro amante compiono gesti insulsi e romantici. Scosse la testa dandosi più volte della scema.

Infilando le mani in tasca, affondandole completamente mosse il passo in direzione del demone. Ora lui aveva bisogno di lei, seppur non avesse ancora inteso bene il motivo della sua apprensione e gelosia.

Erano amici no? Forse aveva sperato più volte in un qualcosa di diverso. Forse. Prese posto accanto a lui estraendo una sigaretta dalla borsetta, mentre l’altra stringeva le falde della giacca lunga per

Mascherare i segni di quel che era accaduto poc’anzi.

Lui aveva rivolto lo sguardo altrove, più in La. In corrispondenza della macchina dal tettuccio rosso. Chissà dov’era finito quel bastardo. La vettura era ancora la, se la ricordava benissimo.

Le iridi bluastre compirono un movimento antiorario dall’alto verso il basso, come a voler sottolineare la scocciatura della sua presenza.

Gli pareva persino di sentirlo quel puzzo di cane. Non l’aveva mai definito a quel modo, pur sapendo di che pasta fosse fatto l’altro. Avrebbe dovuto aspettarsi un simile colpo basso.

“Non ti chiederò nulla perché alla fine non sono affari miei” sbottò di colpo con una tonalità talmente distaccata ch’ebbe per Kagome una parvenza quasi informale all’orecchio.

Le pozze scure d’ella si spostarono veloci in sua corrispondenza, stavolta in modo più diretto.

Quasi in uno scatto.

“Cos’hai detto?” formulò quieta. Quasi quella frase l’avesse disturbata. Aveva utilizzato un verbiare talmente finto da sottolineare perfettamente quel che in realtà doveva essere sott’inteso, del resto Kouga non era mai stato ferrato in materia di ‘mostra solo l’essenziale’.

Lui non ripetè altro, si limito ad uno sbuffo per poi tornare a smuoversi poggiando i palmi sotto il mento. Possibile che lei non l’avesse ancora capito dopo tutto quel tempo?

Testarda come poche. Era lei infondo.

Pareva che l’ultima frase avesse voluto concludere il tutto. Era calato un improvviso silenzio, disturbato soltanto dal vociare insistente di quel che era rimasto della festa.

Un respiro profondo da parte di lei ruppe la momentanea tensione.

Pareva uno di quei giochini del silenzio che si fanno da mocciosi, quando la maestra tanto per farti star zitto finge che sia solamente un modo per divertirsi. Che cazzata.

“Hai frainteso” cominciò lei, tentando d’instaurare una possibile conversazione. In realtà nemmeno lei sapeva cos’avesse voluto intendere con quella frase.

Un sottile nodo aveva cominciato a stringerle la gola in modo soffocante, quasi si trattasse d’un senso di colpa improvviso.

Lui finalmente le concesse lo sguardo. Tutto quello che lei vi scorse fu stavolta, solamente divertimento.

Lunatico il ragazzo. Le labbra si lui s’accesero in una fattispecie di sorrisetto ironico ed amaro nel contempo, come se con quelle parole l’avesse preso per il culo in tutto e per tutto.

“Frainteso cosa? D’averti visto praticamente in principio di pre-copulata col mio ex-migliore amico nel MIO bagno?” e sollevò le mani per applaudirla.

Nell’istante in cui avvenne il primo contatto tra le due mani, un’altra assai più veloce colpì in pieno il volto dello youko arrestandone immediatamente l’ilarità derisoria.

Rimase immoto. Mentre per un attimo gli parve addirittura che la mano di Kagome gli si fosse incollata pienamente sulla guancia.

Uno schiocco, niente di più.

Livida di rabbia era. Lo si scorgeva dalle iridi che avevano assunto una specie di colorazione tendente al rossiccio, tipico di quando era arrabbiata.

Non disse nulla. Si limitò ad alzarsi abbandonandolo sugli scalini con tanto d’occhi sbarrati. Era la prima volta che riceveva uno schiaffo e dato da lei, cazzo, faceva venti volte più male.

Incurante di Sango che se ne stava placidamente distesa su d’un divanetto con uno sconosciuto si diresse verso la piazzola poco distante per recuperare la macchina parcheggiata, per di più, dietro altre due.

Impossibile uscire al momento.

Rabbiosa. Delusa e presa per il culo. Cosa ci poteva essere di meglio nella serata?

Oh si. Qualcosa d’ancora meglio. Eccolo il motivo di tanto scalpore, beatamente poggiato sul cofano della SUA macchina, anzi, disteso a fumarsi chissà quali schifezze.

Inarcò le sopracciglia ulteriormente osservandolo dall’alto in basso da lontano. [Ma guardalo, perfettamente consapevole d’aver scatenato il pandemonio. Sorride lui, contento della sua vittoria eh?] In un modo o nell’altro era palesemente infastidita da quella particolare posizione, da quel che si palesava ai suoi occhi ad ogni passo ed ancor maggiormente Lui.

“Sei contento vero?” proruppe maligna, quasi ormai si conoscessero da chissà quanto. Proprio non le importava nulla di quel che sarebbe potuto succedere prima, ora non era esattamente al centro dei suoi pensieri.

Lui non emise parola. Si limitò a smuovere appena le orecchie sulla testa avendo avvertito la voce di lei in avvicinamento, aveva sollevato il braccio per avvicinare la sigaretta alla bocca e null’altro.

Lei fumava nevrotica, pareva che tutto il corpo le stesse andando a fuoco tanto era inviperita.

Spense la sigaretta pestandola per ben tre volte sotto il tacco.

Non gliel’avrebbe data vinta a quel pagliaccio, non ancora. Doveva calmarsi al momento, sapeva, per quel poco che l’aveva conosciuto di che giochetti era capace.

Si limitò dunque a circoscrivere la prima macchina, poi la seconda per poi raggiungere la posizione di lui.

Incrociate le braccia al petto si sforzò d’emettere un sorrisetto compiaciuto in direzione di lui.

Infingarda.

Lui ancora, si limitò a smuovere le orecchie quasi infastidito. Nient’altro.

Odioso, era questo solamente. Un bulletto smargiasso e nient’altro. Il suo comportamento non fece altro che far trapelare la palese scocciatura di lei che sbottò.

“Sei uno stronzo” fece per voltarsi, quando finalmente parve esserci una reazione da parte del meticcio che si sollevò completamente dalla macchina.

Diavolo, da sottolineare per l’ennesima volta che la vettura in questione era di lei.

“Mi pare che prima non tu non fossi di questo parere” puntuale come un orologio svizzero dalle parole dell’hanyou cominciò a farsi viva quella sottile ironia mista a malizia di cui era padrone ed aveva anche ragione per giunta.

Le labbra di lei si sollevarono verso l’alto in un sorriso di scherno. Quanto più lui la stuzzicava, tanto attraeva la sua attenzione.

Si volse a mezzo busto, posando la mancina sul fianco.

“Allora ce l’hai ancora la lingua” proferì spinosa. Nascondere la rabbia infondo era quel che sapeva fare meglio, anche se la situazione più che rovente parve divenire mano a mano sempre più simile a quella precedente.

Aveva uno strano potere quel meticcio, dal quale era bene porsi sulla difensiva.

Sollevò un poco il busto lasciando la giacca libera d’aprirsi sul davanti.

Da che mondo è mondo, gli occhi di un uomo son sempre attenti a certi ‘particolari’ e nemmeno quelli di Inuyasha furono immuni, stavolta dalla mercanzia messa la in bella mostra come a dire ‘guardale’.

Emise un colpo di tosse sollevandosi in piedi.

Qual’era il motivo per il quale lei se n’era andata? Il fatto è che cominciava a piacerle quello strano gioco d’odio e attrazione.

Pericoloso. Tanto meglio.

Un solo, sottilissimo pensiero riuscì a passare la mente ingegnosa di lui e se questo fosse andato in porto avrebbe ottenuto una vittoria schiacciante da tutti i punti di vista.

[Povero scemo] lei sorrise arpia ricominciando quel che poco prima aveva lasciato in sospeso a causa dell’attimo di debolezza.

Chissà cosa le era venuto in mente, si stava arrendendo davanti alle labbra di lui come una povera cogliona.

Eh no, ci voleva ben altro per metterle i piedi in testa.

Molto di più.

Lui mosse qualche passo, lasciando cadere la sigaretta di lato.

Emise un sospiro appena accennato mentre la linea retta delle labbra aveva assunto una strana conformazione, quasi fosse stato pronto a violentarla da un momento all’altro.

Oh no, lui era un signore con la S maiuscola, figuriamoci se aveva intenzione di scoparsi la prima sciaguatta di turno, anche se era stata capace di spiazzarlo.

Ecco, se l’era dimenticato quel particolare. Ed era quello che gli rodeva più di tutto.

Smosse di lato il capo, quasi in una mossa calcolata per riavviare la frangia di sbiego. Silenzio.

[Hai davvero in testa di potermi trattare uno zerbino? Dei, questa è pazza].

Ed intanto malpensanti l’uno dell’altra erano a poca distanza l’uno dall’altra. Il problema Kouga, pareva essersi accantonato per un istante.

“Cosa vuoi da me … eh?” chiese lui sprezzante, smuovendo la destra in direzione della guancia di lei in una di quelle languide carezze d’indice che avrebbero fatto imbestialire anche la più quieta delle sacerdotesse.

Lei no, rimase affabile e gli permise quel gesto.

Smosse leggermente l’anca di lato, chinandosi appena in avanti col busto. “Da te nulla, la domanda è… cosa posso volere di te”.

Che donna! Ah, adorava quando lo si metteva alle strette. Lei smosse alcuni passi in avanti bloccandolo tra cofano e corpo, cosa che ad Inuyasha non dispiaque affatto.

La lasciò fare, esattamente come lei poc’anzi.

“Di me? Interessante. Spiegati meglio” quanto gli piaceva provocarla. Gli piaceva provocare LEI.

Questa novità lo lasciò abbastanza perplesso, d’un tratto s’era ritrovato a pensarla davvero come una possibile preda.

Lo era in effetti. Dannatamente intrigante.

Lei continuò il gioco spostando l’indice sul petto di lui, lasciandolo correre lungo la superficie di questo sino all’addome per poi risalire.

Il sorrisetto malizioso di lui s’accentuò maggiormente. La stava lasciando fare apposta questo era il bello.

Lei, lo sapeva benissimo però continuò per puro gusto di farlo.

Slacciò il primo bottone della camicia di lui, andando a sfiorare col palmo la pelle di lui. Mani fredde contro corpo bollente.

“Questo ad esempio?” lo schernì lei sollevando il ginocchio tra le gambe di lui.

Socchiuse le palpebre il mezzo, mostrandosi ora quasi ‘eccitato’ dai gesti di lei. Tutta finzione ovviamente.

Avrebbe potuto continuare quello spettacolino divertente ma non lo fece. Si scansò di botto lasciandolo con un palmo di naso.

“Ti piacerebbe eh?” si volse di spalle con il chiaro intento di abbandonarlo li, come aveva già fatto con i precedenti.

Inuyasha però, non parve essere della sua stessa idea. Lui, non era gli altri.

Probabilmente quel piccolo particolare le era sfuggito. Infatti non gli ci volle molto ad afferrarle il braccio ed attirarla nuovamente contro di sé.

“Eh no, se cominci un gioco non puoi interromperlo secondo il tuo volere. Io non sono

Un giocattolo.” sibilò basso nel tono, andando a sussurrarle al lobo destro in un sospiro.

La fece fremere.

Maledizione, era dannatamente sensuale quel bastardo.

Deglutì appena ma lo nascose con un suono strozzato della voce. “Quindi vorresti che io continuassi…” rispose convinta con una sottile malia.

Lui scosse la testa portando l’indice dinanzi al volto.

“No, era solamente per mettere una cosa chiaro” prese una pausa discostandosi dalla sua posizione per aggirarla.

Si volse di spalle ghighando perfido.

“Io decido quando finiscono i giochi” concluse schioccando la lingua al palato ed allontanandosi palesemente soddisfatto.

Ancora una volta, scacco matto.

Kagome rimase li, spiazzata. Maledetto stronzo.

Credeva d’avergliela fatta e lui aveva subito ripreso le redini della situazione. Cazzo.

Ebbene. Questa è la tipica situazione di rovescio della medaglia. Quando credi d’avere una vittoria in mano essa non è altro che sconfitta.

Le bruciò e tanto anche.

Per la prima volta, qualcuno le teneva testa e quel qualcuno non era altri che un mezzo demone con un autostima un po’ troppo sopra la media.

Il cellulare di lei cominciò a squillare interrompendo i pensieri che ora, stavano giungendo in un’unica direzione ed erano, casualmente tutti colpi rivolti ad Inuyasha.

“Pronto” la voce dell’amica dall’altra parte dell’apparecchio la risvegliò finalmente, ed ormai il meticcio era già lontano dalla sua postazione.

Quanta rabbia.

“Kagome, devo essermi addormentata. Mi accompagni tu a casa?”

D’un tratto un’idea le balzò alla mente, piuttosto ardimentosa.

“Mh, Sango ti spiace farti accompagnare da Kouga? Io stanotte non torno a casa” non diede tempo all’altra di rispondere, si limitò ad attaccare.

Smosse qualche passo in avanti prendendo ad accelerare sempre di più il passo.

Lui si fermò di botto, osservandola di sbiego.

Chissà perché si era immaginato quel tipo di reazione, d’essere seguito ovviamente.

Lei si fermò non molto lontana.

Sottilizzò le iridi un poco. “Stronzo, stanotte dormo da te” emise soltanto, questo non sorprese Inuyasha più di tanto che rimase in silenzio per qualche istante prima di voltarsi verso di lei completamente.

Cioè, gli si stava offrendo su un piatto d’argento? Avrebbe passato la notte con uno di cui conosceva a malapena il nome?

Era pazza? No. Che donna! Quella parola cominciava a tuonargli in mente da un pezzo ormai.

“Scusa, che hai detto?” si limitò ponendo entrambe le mani in tasca.

Lei non rispose si limitò a sorpassarlo silenziosa.

[Allora hai proprio intenzione di giocare col fuoco. Bene, adoro i giochi. Attenzione però, conoscermi potrebbe essere pericoloso].

Le si affiancò nuovamente, stavolta il riso malizioso divenne serio.

“Hai idea che potrei essere qualsiasi malintenzionato vero?”

Si fermò lei, contemplandolo per un istante. Da qui avrebbe cominciato il suo gioco, eh no, il signorino l’avrebbe pagata per il suo acume deviato.

Eccome.

“Un malintenzionato che sin ora non mi ha sfiorato nemmeno con un dito? Mfh” emise prima di continuare.

Lui sorrise, aveva ragione infondo, su questo punto almeno.

Volse un poco lo sguardo indietro, alzando le spalle.

Di nuovo le si affiancò.

Una sfida.

Quale migliore inizio.

Chissà che la preda stavolta, non fosse stata realmente lui.

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