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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Atto I : ...Il Mio Modo D'essere... *** Capitolo 2: *** Atto II : ... Il Mondo Visto da Lei... *** Capitolo 3: *** Atto III : ...La Fortuna è cieca...ma la sfiga ci vede benissimo... *** Capitolo 4: *** Atto IV : Attrazione … e Poi? (Prima Parte) *** Capitolo 5: *** Attrazione...e Poi? -Seconda Parte- *** Capitolo 6: *** Atto VI: Il ritorno del passato... *** Capitolo 7: *** Atto VII : ...Chi gioca col fuoco... *** Capitolo 8: *** Capitolo VIII : Lui, lei e l'altro *** Capitolo 9: *** Atto IX : Tradimento ***
Capitolo 1 *** Atto I : ...Il Mio Modo D'essere... ***
Simply Mine
Simply Mine
Atto I :Il Mio modo d’essere…
Esiste un bivio ad un certo punto della vita, in cui ci si
domanda se quel che ci riguarda e quel che c’è
riguardato sin ora, abbia effettivamente un senso.
Il celebre “To be or
not to be”Shakespiriano calza
perfettamente sulle domande che giorno per giorno riguardano tutti, ci sono mille modi per raccontare
una storia, costellata di momenti tristi, scoperte tragiche, di liete notizie,
di felicità…
Quasi fosse un copione già scritto, del quale gli attori s’apprestano
ad imparare le parti.
La vita è il nostro palcoscenico.
Noi siamo gli attori…
Sotto le luci dei riflettori sembriamo tutti uguali, finchè dietro le quinte non strappiamo quella maschera e torniamo
ad essere semplicemente noi …
Ebbene. Due maschere non possono
essere uguali, così due copioni, così due attori.
Ognuno è capace di recitare al meglio la propria vita,
lasciando che sotto i riflettori appaia idilliaca. La sua vita aveva lo stesso
sapore, ‘appariva’ e basta.
Senz’anima. Un fantoccio che
osservava il vuoto senza un apparente interesse, vivendo in simbiosi con la
realtà circostante senza apprenderne il vero motivo.
Cos’era che lo spingeva a percorrere, ogni giorno lo stesso
tragitto, sostare alla medesima piazzola, ritrovarsi
nel medesimo gruppo di ‘amici’ se dentro di lui questo aveva solamente il nome
di ‘routine’?
Non esistevano mezzi termini. Il gruppo e basta. Non il singolo, non la persona, ma il branco.
Personalità uniformate, plasmate nel medesimo essere, quasi
a formare un’abominio di caratteri rimescolati.
Non capiva. Non voleva capire.
S’ergeva attorno a lui un mondo di barricate, imposte dalla
società, dalle istituzioni.
Le regole.
Un’altra cosa che non capiva era perché ognuno doveva seguire queste maledette prescrizioni. Sforarne
solamente una equivaleva all’anarchia.
Ciondolava con la mano apatico,
lasciando dondolare con una spinta delle dita le chiavi di casa appese alla
cintola. Il tintinnìo che queste producevano s’estingueva lento nell’aria
circostante, spenta d’ogni rumore che non fosse il
chiacchiericcio adoloscenziale delle quattordicenni.
Sbuffò sonoramente, distendendo l’altra mano sulla panca
dove s’era appostato ormai da due ore buone.
La sua vita, infondo, non aveva nulla di sbagliato. Era
iscritto ad uno dei college più rinomati del Giappone,
seppur svolgesse, dopo l’orario già appesantito delle lezioni, anche la cosa
che più lo distraeva da quel mondo sbagliato. Essere un Dj.
Si, si divertiva a muovere la mano su quel disco che
riusciva a produrre, quasi magicamente mille sfumature diverse nel suono,
riusciva in pochi giri a trasformarsi in quello che più lui desiderava, un
miscuglio di sensazioni e rumori atipici che lo rendevano però diverso da altri.
Il lavoro d’un Dj regolato ad arte,
non poteva somigliare a quello d’un altro.
Gli avevano sempre detto che era
una stupidaggine, uno come lui che impiastrava
con la sua musica un luogo accidioso come la discoteca.
Bè, cosa c’era di male infondo. Nulla. Ma
gli altri non la vedevano di buon grado, gli altri non capivano…o forse…non volevano capire.
Non s’era dato un nome particolare,
odiava quei nomignoli che s’affibbiava la gente solamente per essere qualcuno,
se poi, a ben riflettere…tutto tornava ad uniformarsi. Tutti i Dj avevano un appellativo che li rendeva a
loro parere diversi.
Eh no.
Altro sbaglio, scegliendo tutti, nessuno escluso d’essere
qualcuno, si finiva inevitabilmente ad essere uniformati. Non c’era cosa che
poteva renderti diverso.
Lui, di disparato qualcosa ce l’aveva.
L’antrophomorfismo.
Lui apparteneva a due mondi diversi, contemporaneamente.
Da una parte demone.
Da una parte umano.
Diversità? No…semplice incongruenza. Non era di certo
l’unico mezzo e mezzo al mondo, e questo sino ad ora non gli aveva creato
particolari complicazioni emotive.
Da tempo aveva imparato ad ‘abituarsi’
a quel suo stato di precarietà emotiva. Era bella come contraddizione, non
voleva che i sentimenti s’immischiassero a corrompere la sua vita, eppure, li
possedeva inevitabilmente.
Non si può traviare una
verità. C’era chi la considerava una maledizione, o chi, come lui…sfruttava
a suo vantaggio l’essere un hanyou.
Ormai con il passare del tempo, aveva imparato ad essere un volta faccia. Era Falso. Una delle sue mille qualitàinfondo.
Aveva tutte le carte in regola per essere piacente. Le donne seguono, per natura,
come del resto gli uomini…l’utopia.
Quello che risulta essere irraggiungibile è perseguito come
oro. Lui come il Vento, era inarrivabile.
Le sue storie? Mordi e Fuggi. Non s’era mai ‘fermato’ più d’un mese o due con la stessa donna.
Un po’ per i suoi gusti, un po’ per il suo
carattere.
Impervio per natura. Tutto questo per impedire al sentimento di consumarlo definitivamente
e di trasformarlo in qualcosa di omogeneo alla
società.
Lui non desiderava conoscere l’amore. Forse perché ritenuto
superfluo, non gli serviva.
Così come non ne aveva mai
ricevuto, mai ne avrebbe donato. A nessuno.
Scorse le iridi ambrate al cospetto di chi si doveva esser
presentato ormai da un’ora. Ognuno, secondo lui, possedeva uno stigma, un’etichettatura insomma. Quello
che ora sostava in piedi dinanzi a lui era Il Dongiovanni.
Per riconoscerne uno bastava guardare tre cose : La posizione. Gambe incrociate,
braccia sovrapposte al petto, e volto che non rimane mai abbassato. Lo sguardo.
Ovviamente, a differenza del viso, rivolto tendenzialmente verso il basso, piegato all’osservazioni
delle parti più interessanti senza che l’interlocutore se ne renda
effettivamente conto. Il modo di comportarsi. A record di logica, il
Dongiovanni, esclude i mezzi termini, puntando su complimenti, accenni a
riferimenti puramente sessuali ovviamente
nascosti dal classico doppio senso.
Miroku era il massimo esponente di quella categoria. Non
v’era giorno che non esprimesse la sua gioia di vivere
attraverso battute sarcastiche rivolte al mondo femminile, adocchiate
provocanti rivolte al medesimo soggetto o elogi sconsiderati o fuori luogo.
Non sapeva nemmeno come fossero divenuti amici. Loro due. Il
Diavolo e L’Acqua Santa.
L’espressione di ‘Acqua Santa’ rivolta
al mezzo demone ovviamente, espressa in modo prettamente voluto per delineare
lo stato mentale completamente differente dei due.
Forse Inuyasha, era più riservato e meno ‘espansivo’
rispetto all’amico.
Un umano e Un mezzo demone. Pareva fossero stati presi da un
fumetto e messi assieme contro la loro volontà.
Quello che per Inuyasha era Acqua, per Miroku era Vino. Mai
d’accordo su nulla, sempre in discussione, ma amici.
“Ti pare l’ora d’arrivare?” formulò l’hanyou, evidentemente
irritato dal ‘lieve’ ritardo dell’amico che aveva
sgarrato ‘solamente’ di un’ora e poco più.
Le sopracciglia del mezzo demone erano inarcate, fronte
corrugata, mezzo ringhio ed orecchie spostate ai lati
del capo, già, perché le orecchie d’un mezzo demone potevano avere tratti
d’ogni genere, animali, vegetali (Avete mai visto un incrocio tra un finocchio
ed un’insalata? …Bè nemmeno io…) o qualsivoglia, nel suo caso, due orecchie
canine. Bianche.Morbide…e tanti nomignoli del genere che gli venivano
affibbiati, insomma, questo ‘spostamento’ equivaleva al primo stadio lampante
della sua incazzatura.
Dal canto suo, il Dongiovanni, se la cavava (O almeno
credeva di farlo) con un sorrisetto forzato, piegato sul lato destro delle
labbra e quell’espressione da completo deficiente che s’era guadagnato
negli anni della sua esistenza.
Non aveva funzionato.
Il silenzio del ‘monaco delle
sventole’ aveva innestato nell’hanyou il secondo stadio della sua ira. Mani
tremolanti, in fibrillazione da nevrotismo serrate sulle ginocchia. Un susseguirsi di bestemmie che solamente una visita nel più remoto
dei santuari avrebbe potuto espiare e il successivo ringhio di
disapprovazione che profondo s’osannava nelle profondità della gola del mezzo.
Miroku sapeva bene che, giunto al terzo ed ultimo stadio, il
meticcio sarebbe passato alle mani.
Si limitò dunque a chinare il capo, sconsolato e ad emettere
un guaìto di scuse. Probabilmente questa sua sottomissione compiacque
all’hanyou che tornò a disegnare un’espressione atona sulle labbra, sbollendo
in seguito la rabbia.
“Non solo mi chiami facendomi perdere un’ora di lavoro, ma arrivi pure in ritardo…cosa cazzo vuoi? Ti giuro
che se è un’altra delle tue fesserie ti pesto a sangue
tanto è vero che sono mezzo cane” formulò quasi sillabando le ultime parole.
Quando Inuyasha faceva riferimento al suo essere ‘ibrido’ significava che parlava sul serio. Miroku deglutì.
“Veramente…ti ho chiamato perché…” prese una pausa, se gli
avesse detto il reale motivo della sua convocazione
sarebbe stato trovato il giorno dopo fatto a pezzi in un cassonetto.
[Pensa Miroku…] Il piede sinistro
del giovane dondolava irrequieto da destra a sinistra, battendo in seguito sul
terreno frenetico. Portò l’indice alla bocca, cominciando a mordicchiare le
unghie già irrimediabilmente consunte.
Inuyasha si stava spazientendo ancora. Quel povero diavolo
non sembrava nemmeno avere una più lontana idea di cosa fosse
la pazienza.
Uno.Due.Tre minuti ci vollero al Dongiovanni prima di
trovare una scusa che fosse diversa dal ‘prestargli le
chiavi dell’appartamento per una notte osè con la sua nuova fiamma’.
Poi quasi come un fulmine a ciel sereno, gli si accese una
lampadina.
“Ehm…Una…mi ha chiesto il tuo numero…”buttò la senza rifletterci
ulteriormente.
Il mezzo demone inarcò un sopracciglio, susseguendo ad esso un innalzarsi compiaciuto degli angoli della bocca.
“Una…chi?” indagò ‘interessato’ all’argomento.
Se c’era una cosa che poteva
attrarre l’hanyou oltre il suo lavoro e le moto, erano le donne.
Il ningen si ritrovò qualche istante a pensare, aveva trovato
una scusa ma…non pensava di doverla anche ‘esplicare’.
“Una…ragazza” si limitò, alchè Inuyasha lo
guardò torvo.
“Bè…speriamo che sia una ragazza…non mi piacerebbe
ritrovarmi ad uscire con un trans” proferì sarcastico, spostando il braccio
dalla gamba al bordo della panca, appurandone la consistenza senza interesse.
“Una…ragazza…mora…” continuò il poveretto che ormai non
sapeva più come divincolarsi da quell’assurda situazione ,
dove per giunta s’era cacciato da solo.
Le informazioni che forniva
l’amico, non erano per Inuyasha né più né meno che semplici tentativi di
corruzione. Sapeva benissimo che nessuna aveva chiesto il suo numero in realtà,
ma voleva vedere sin dove il casanova sarebbe arrivato.
“E…?” riprese Inuyasha, il sogghigno che s’era impossessato
delle sue labbra diveniva mano a mano sempre più
soddisfatto. Se c’era una cosa che sapeva fare era quella di saper rivoltare il
coltello nella piaga, ovvero, di rispondere ad una
presa per il culo, con altrettanta astuzia.
Miroku che voleva mettere in difficoltà il re delle cazzate?
Non c’era storia.
“E…carina…” ormai l’umano non
sapeva più a cosa aggrapparsi. Sudava freddo e questo non contrubuiva ad altro
che a soddisfare maggiormente il mezzo demone.
“…E?...” ribattè
ancora l’hanyou, portando il gomito destro a poggiarsi sul ginocchio, posandovi
sopra il mento.
“…Oddio Inuyasha…sei proprio stressante…Vaffanculo…Va
bene…era tutta una cazzata…volevo solo chiederti le chiavi di casa tua per
stanotte tutto qua…” sputò tutto d’un fiato.
Il mezzo demone s’alzò dalla sua postazione. Alzò entrambe
le sopracciglia fingendo un’espressione bonaria.
“Ma Miroku…potevi dirmelo
subito…sai già cosa ti risponderò…vero?” Il ragazzo era pronto ad afferrare le
chiavi in qualsiasi istante, il quanto all’espressione Inuyasha pareva averla
presa bene.
L’hanyou s’avvicinò lentamente all’amico, facendoglisi a
pochi centimetri dal volto.
“Miroku…” sorrise stringendo i denti.
“Si?” rispose l’altro pronto ad elogiare sfarzosamente
l’amico.
“Ti darò le chiavi di casa mia quando
arriverai a farmi una sega” proferì con una naturalezza tale da indurre al
casanova di indietreggiare di qualche passo,ovviamente modo ironico per mandare
il deviato felicemente a fare in culo. Detto questo, senza
più nulla aggiungere, lasciando un Miroku abbastanza deluso, il mezzo
girò i tacchi dirigendosi altrove.
[Ti conosco da diciannove anni…e in
tutto questo tempo per tutte le volte che t’ho chiesto la chiave…chissà quante
te ne avrei dovute fare…fortuna che non me l’hai mai data…La chiave] rabbrividì
il ragazzo, sforzandosi di non pensare a nulla che non riguardasse una donna in
quel momento.
Che opportunista la gente. La cosa
migliore è dire no e basta.
Con un semplice no ti si risolvono mille e
mille cose, mi dai una mano? No. Mi accompagni qui? No. Mi cerchi
questo? No.
Le uniche cose a cui non si può mai dire di no sono due : 1)
Quando una ragazza ti chiama chiedendoti ‘Hai mica gli appunti di Fisionomia?’
Certo che ho gli appunti, e se vuoi
ti mostro anche le applicazioni.
2) Quando un amico
disperato ti chiede se puoi dargli un ceffone, all’inizio forse dirai di no. Ma
che cazzo, se continua, è da tempo che volevi dargli quel cazzotto nevvero?
Miroku era opportunista. Inuyasha No.
Miroku era cretino. Inuyasha No.
Miroku era umano. Inuyasha No.
Miroku però era sverginato. Inuyasha No.
Camminava con le mani in tasca, aveva lasciato la moto poco
più in la. Figuriamoci se per fare quattro passi
consumava benzina.
“Benza Costa” ripeteva tra sé L’hanyou. Una miriade di
pensieri gli correvano a senso unico nella mente, in
primis, come faceva quell’imbecille di Miroku ad avere già ‘provato’ e lui
ancora a no. Cazzo. Aveva diciannove anni. Non era male, anzi.
E non aveva ancora…
Qua c’era qualcosa che non andava. Miroku veniva
malmenato e picchiato perché non faceva altro che andare dietro alle
studentesse del College…
Ma allora quelle zoccole facevano
solo finta di rifiutarlo…
“Non riuscirò mai a capire la mente femminile…e nemmeno mai
vorrò farlo…”. Sospirò.
Nel frattempo oltrepassò una caffetteria. Da tempo non
rimetteva piede la dentro, chissà se quella vecchia befana che la conduceva
prima era morta.
Al momento non aveva tempo di fermarsi
però, era già in ritardo sul lavoro. Forse domani.
Forse aveva cambiato gestione. Il nome che ora v’era su scritto sull’insegna principale era ‘SYB’ chissà cosa
diamine volevano dire quelle iniziali. Ma che cazzo
gliene fregava a lui infondo?
Sbadigliò sonoramente. Giungendo
finalmente alla moto parcheggiata accanto ad un vecchio stabilimento.
Un’espressione crucciata gli traversò il volto nel notare il vecchio edificio,
era scrostato, alle finestre non v’erano nemmeno più le tapparelle. Era
disabitato, freddo.
Un’insegna traballante ancora portava qualche iniziale
rovinata dal tempo.
INT.
Lui sapeva bene cosa significavano quelle iniziali.
Quando si perde una cosa.
Inevitabilmente si torna a sognarla, si rivive il
passato come un’esperienza trasportata nel presente. Non si dimenticano mai le
cose, anche se queste son seppellite infondo all’animo, avvilite, sigillate nel
cuore.
Solo una era la reminiscenza che lo riportava indietro, a quando quello stabilimento era in vita, a quando la sua
stagione più bella era costellata da qualcosa alla quale aveva dato importanza.
Non so il tuo nome.
Che ti
importa di saperlo? Tanto adesso me ne devo andare.
Perché mi hai regalato questa robaccia? . Una catena d’argento, nessun significato in particolare.
Perché
sei buffo. Mi piacciono i mezzo demoni.
Non era un gran ricordo. Eppure,
quella vocina ancora gli risuonava nella mente come un disco rotto. Quella
bambina.
Portava da anni quel piccolo ‘regalo’ che all’inizio aveva
disprezzato.
Poi, col passare del tempo, non se n’era più privato.
Seppur lo nascondesse sotto gli abiti, quel piccolo gioiello
della sua infanzia dimorava sempre la, appeso al
collo, come un segno inestinguibile di quel gesto.
A nessuno. Diciamo la verità. A
nessuno piacevano i mezzi demoni, erano considerati
‘scherzi della natura’ o robe simili.
Gli era piaciuto quel gesto, che tra tanta ignoranza gli era
sembrato il più considerevole.
L’innocenza non vede il male.
E di conseguenza è l’unica cosa che
va preservata.
Capitolo 2 *** Atto II : ... Il Mondo Visto da Lei... ***
Simply Mine
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Atto secondo : Il
mondo…Visto da Lei…
A prescindere da quel che si dice in giro. Esistono due tipi
di donne, almeno in relazione alla visuale maschile.
Le suore e le puttane.
Non c’è nulla di male a dichiararlo apertamente. Anche
perché è la visuale contorta che ‘li’ inculca pensar ‘a cazzo’ per l’appunto.
Non vedonoil lato vero gli uomini.
Non vedono il lato vero
le donne. Che strano mondo quello dei sessi opposti, sono attratti, ma non
capiscono una cicca l’uno dell’altra.
Eh no.
C’è chi le regole del sesso le conosce e come…chi l’ha
inventata questa cazzata?
Gli uomini non si procacciano
le prede. Mica son animali. Lo appaiono e basta su.
Le donne, non sono prede
avete mai visto un uomo mangiare una donna? O viceversa?Altra cazzata.
Sarebbe da immaginare un quadretto.Donna-Uomo.
Comincia la caccia.
Avete mai assistito ad un documentario dove le leonesse in
branco cacciano uno gnu? (o robe simili) Immaginate che quello Gnu sia l’uomo. Un
bel ragazzo è conteso da molte.
Idem vale per il sesso opposto.
La parte più interessante è divisa in due parti:
Conquista,Preservazione.
La prima è abbastanza facile, basta sfoderare qualche arma
di qui, qualche occhiata di la e il gioco è fatto. E’ la seconda che è
veramente faticosa, trattenere la
conquista per tempi prolungati è difficile. Soprattutto il maschio, che tende a
svagarsi con altri tipi di ‘unione’.
Tornando dunque alla visione maschile, bisognerebbe che le
donne fossero suore all’aggancio e zoccole quando le situazioni si fanno
smorte.
Già, un colpo tra i coglioni ci starebbe bene eh ?
Ecco. Lei la pensava esattamente così. Gli uomini erano
tutti uguali.
Bastardi e con l’unico pensiero del sesso. Di tre storie che aveva avuto, non una era andata come le
aggradava. Una volta concesso il ‘tesoro’
non rimanevano più di tre o quattro mesi.
Inizialmente se l’era presa. E molto anche.
La sua prima storia pareva una favola. Lui. Un ragazzo
meraviglioso, la ricopriva di regali, le faceva complimenti, la vezzeggiava in
ogni modo. Tattica perfetta se vuoi farla cadere ai tuoi piedi subito.
C’era riuscito.
Era pazza di lui, non passava giorno che non ne parlasse ad alcuno o che non lo
chiamasse.
Dopo due mesi.Tracollo.
Era successo, la loro prima volta, meravigliosa.
Con una scusa qualsiasi, poi, l’aveva lasciata. Tipico. (Se
non lo so io che sono un maschietto … Nda).
Ora gli facevano schifo. No, non era lesbica. Però aveva
perso la cosiddetta fiducia. Da dolce
ed ingenua che era, s’era trasformata in quello che un uomo desidera veramente
in una donna.
Una Stronza. Con
la S maiuscola.
Un uomo la corteggiava? Bene. Cazzi suoi.
Aveva attuato una sottospecie di divertimento personale. Ogni qualvolta concedesse ad un uomo‘la sua mano’ , tentava di non affezionarsi
al soggetto in questione. Dopo un mese di recitazione
ben interpretata, prima ovviamente che lui s’era illuso ben benino sul
successivo passo della loro ormai fondata
relazione.
Lo mollava. Il suddetto test
ci rimaneva di merda. Completamente spiazzato.
Grazie a questo, gli ex della mora tornavano sempre alla
carica, tempo un mese o due. Un uomo torna sempre dal padrone quando vede in
esso una sfida.
Era Bella. Si sentiva bella. Sapeva di poter avere tutto.
Le iridi brune correvano sul lastricato verdognolo, il
rumore sordo del taccheggiare s’estendeva nell’aria circostante quasi fosse il
sonar d’un sommergibile. Solo che al posto del classico ‘Tin’ v’era il ‘Tac’.
La mano destra, innalzata, come di consueto al pari delle
labbra a consumare quella che secondo lei era la medicina del nervosismo. Una
sigaretta.
Le piaceva degustare quel sapore di tabacco e fumo chesi rimescolano nella bocca, scendendo alla
gola e ritornando sottoforma di respiro dai polmoni.
“Non vedevo l’ora”
Di fianco a lei, la sua ‘anima gemella’ camminava spedita,
intenta ad attraversare lo stradone che divideva il parco dalla zona
‘malfamata’ di Tokyo.
“…Mmh…Sango…non è che io sia così sicura di volerlo fare…”
sottolineò la mora gettando nervosamente il mozzicone sotto il tacco.
La bruna l’osservò Torva. Prima le faceva una tausana di
quattro settimane, poi ci ripensava? Nemmeno per sogno.
Sango era il classico esempio di Amica Deviante colei che standoti accanto praticamente come
l’ossigeno ai globuli rossi ‘in simbiosi’, ti induce a fare cose che non
avresti mai fatto.
Anche se stavolta la bella idea di decollarsi a
‘piecingarsi’ l’aveva avuta Kagome.
Una cosa che sicuramente le riusciva bene era quella di pentirsi.
Decisione.Ripensamento.Pentimento.
Ecco le tre cose che non sarebbero mai cambiate in lei.
Sango era più decisa, se voleva una cosa o la otteneva subito o la otteneva
subito. Non c’erano mezze vie.
Sango era testarda. Kagome era orgogliosa.
Sango era una pazza.Kagome la matta che la seguiva.
Sango era la mente. Kagome il braccio. (O Viceversa)
Stavolta la mente era stata la mora. S’impuntellò proprio
all’entrata del negozietto ‘colorito’ poco distante da loro.
Ovviamente l’amica non voleva perdersi l’occasione di
bucherellarsi una qualsiasi parte del corpo.
Trasgressiva.
“Lo sai che non sopporto gli aghi” piagnucolò Kagome.
Stronza quanto le pare ma alla fine paurosa come pochi. Sango Inarcòun sopracciglio, incazzata ovviamente.
“Senti Bella di notte, o entri da sola o sarò costretta a
chiamare quell’aitante omaccione che risiede all’interno del negozio per trascinarti
dentro”.
Kagome lanciò uno sguardo all’interno del negozio.
Sbarrò gli occhi. Un uomo, sulla quarantina forse, se ne
stava ritto in mezzo alla stanza. Tatuaggi in ogni dove, barba incolta ed
untuosa che gli solleticava il villoso petto semi-nudo, pareva un pappone se
non fosse stato per quel sorriso bonario, troppo insolito per una faccia
simile.
Si fece coraggio. Entrò.
Sango alzò il lato destro della bocca in un sorrisetto di
malizia. Ora cominciava il bello.
All’entrata lo scacciapensieri posto all’altezza tra la
porta e lo scorcio murale poco sopra, tinnò. Rumore che fece rizzare i capelli
alla mora.
L’amica sembrava molto tranquilla, si osservava intorno,
notando compiaciuta le moltitudini di disegni e prove per tatuaggi.
“La prossima volta anche quello” esordì decisa.
Decreto che a Kagome risultò quasi un cazzotto nello
stomaco. Quella stronzetta della sua migliore amica voleva vederla morta. La
trucidò con una sguardata omicida.
Non parve avere alcun effetto sulla bruna, che continuo ad
osservarsi attorno interessata.
“Cosa desiderano queste belle figliole?” mormorò una voce
poco più in la. Kagome osservò schifata l’omone di poc’anzi. Aveva uno sguardo
del tipo ‘voglio farmiti in tre mosse’.Te pijo.Ti sbatto al muro. E ti
impecoro.
Una smorfia le delineò le labbra immediata. Lo sguardo
dell’uomo si portava vertiginosamente dal davanzale di lei, alle gambe di Sango
pareva stesse ballando un valzer con le pupille. Gettò uno sguardo attorno a
lei, giusto per distrarsi da quella vista poco genuina per la mente.
Una porta Chiusa.Un bagno.Una saletta che pareva disegnata
per le bambole. Il tutto d’uno squallore fuori dalla media.
L’unica cosa che pareva più pulita era il cesso. Innalzò le
iridi passando dall’omone al bagno in pochi istanti. Chissà cosa cazzo ci
faceva dentro quel bagno quando vedeva clienti come loro.
La bocca s’inarco verso il basso in una smorfia di disgusto.
“Brutto Caprone, queste due figlione vogliono farsi due bei
piecing” esordì Sango con la solita finezza che le si attribuiva.
Il ‘Caprone’ in questione non ribattè nemmeno che già era
nella stanzetta adiacente per preparare l’altare
dei sacrificiper immolare le sue
vittime.
“La sopra ci sono delle riviste per vedere dove v’aggrada il
buco belle bambine”
Dove v’aggrada il
buco. Ovviamente era uno scontatissimo doppio senso.
Sango lanciò una sguardata a Kagome che stava trattenendo un
conato di vomito. Sapeva che per lei tutto equivaleva ad un doppio senso.
Che tarlata mentale.
Sango scagliò un occhiata torva al babbione insinuato nella
mini-camera che pareva più un parente stretto di Budd Spencer che una persona
normale.
Si immaginò una manata di quell’allegro signore dove
l’avrebbe mandata.
L’espressione ‘belle bambine’ probabilmente le arrivò tardi
all’orecchio, giacchè ebbe una bradipante sensazione.
Ringhiò appena, quasi fosse un’animale in preparazione ad un
attacco. “Bambina? Ma s’è visto quel decrepito del cazzo? Potrebbe essere mio
padre Cazzo” sbottò tirando a sé qualche santo.
Kagome rimase interdetta. Fregandosene altamente delle
parole del grassone. A parte i doppi sensi ovviamente.
“Su vecchio barile, abbiamo deciso…ombelico” sottilizzò lei,
con un evidente delusione da parte del barbuto signore che sperava in qualcosa
di più hard. Si sarebbe accontentato di sbavare dietro quel ventre piatto e ben
piazzato che sicuramente la ‘signorina’ possedeva.
“O-ombelico?” mormorò Kagome in preda al panico. Si guardò
attorno, per nessuna ragione al mondo si sarebbe lasciata bucare la pancia.
L’amica la osservò minacciosa “…Decidi Ombelico…o labbra…”
ancora meglio. Due scelte assolutamente differenti e con la stessa percentuale
di dolore.
“…Labbra…” decise lei, buttando la quella parola quasi
dovesse giocare al lotto.
Per prima entrò Sango, lasciando una paralizzatissima Kagome
in sala d’aspetto che pareva attendere l’ora
del giudizio.
Dieci minuti.
Sango nel frattempo s’era accomodata come meglio le
aggradava sul ‘lettino’ che pareva quello del dentista.
L’omone s’avvicinò con cautela, stringendo tra le mani un
ago dalle dimensioni mastodontiche e quello che pareva un rudimentale aggeggio
per fermare il piercing una volta ‘bucata la ciccia’.
Deglutì appena. Non le metteva paura l’ago, ma l’espressione
che quel grassone aveva stampata in volto. Pareva un arrapato cronico con
quegli occhietti semi nascosti dalle occhiaie, indice di qualche nottata
passata probabilmente nel bagno dello stesso negozio.
Schifo.
Nemmeno s’accorse che la mano del sudicione le correva sul
ventre per indicarle il punto ‘x’ su cui effettuare l’opera di maniscalco.
“Fallo dove di pare, basta che mi rimandi a casa viva”
ironizzò notando l’ indigenza del luogo ove l’uomo operava.
Perle di sudore, più che perle parevano pozze nel vero senso
della parola scendevano lungo la fronte dell’uomo, impigliandosi talvolta tra
le ispide e folte sopracciglia grigiastre.
La mano destra dell’uomo stritolava un sigaro il quale puzzo
s’intrometteva pericoloso nella stanza, nauseando non poco la povera Sango.
Con un gesto rapido della mancina infilò l’ago sulla parte
di pelle prescelta. Avvitando la piastrina del piercing con la maestria degna
ad un illusionista.
Sango emise un piccolo uggiolìo. Nulla di più.
S’alzò seduta sul lettino e compiaciuta osservò la parte
arrossata dove solamente un po’ di sangue n’era stillato.Niente di grave.
“Ti piace bambola?” sibilò l’omone mangiandosela con gli
occhi.
L’espressione di Sango era paragonabile ad un misto tra
disgusto ed un ‘sto per tirarti un bel calcio tra le gambe in modo da farti
divenire la prossima donna barbuta del circo qui di fronte’.
“Passabile” confermò alzandosi e sculettando verso l’uscita.
Quando la porta s’aprì, Kagome fece uno scatto in avanti,
alzandosi repentina dalla sua postazione. Al suo gesto, mille pezzi di carta
appallottolati scesero dalle gambe sino al terreno, pareva una trincea.
La mora deglutì facendosi avanti di qualche passo,
titubante.
Sango maliziosa, le sferrò una bella pacca sul sedere per
farla avanzare maggiormente. “Zoccola” ringhiò l’altra.
“A dopo Troietta bella” le mormorò facendole ciao ciao con
la mano.
La porta si richiuse dietro di lei. Paura.
In quel momento si sarebbe sotterrata volentieri.
Ci volle un’ora buona per fissarle quello stramaledetto
piercing sotto il labbro inferiore, ma alla fine,gli sforzi del caprone s’erano
rivelati non inutili.
“Perfetta” esordì Sango, notando l’amica uscire leggermente
barcollante dalla sala di tortura. La stanza pareva girare da sola attorno alla
testa, giacchè era svenuta ben tre volte alla vista dell’ago.
“Quanto vuoi grassone?” stormì la bruna inarcando pericolosamente
il sopracciglio destro.
“Facciamo 10000 yen e non se ne parla più” Sango alzò le
spalle, certo che l’omone non era per nulla caro. Di solito quella roba veniva
a costare un bel sacco di soldi.
“Se mi viene l’infezione ti denuncio” lo minacciò la ‘mite
brunetta’. L’omone sventolò allegramente la mano intimando alle ragazze di
tornare presto con evidente desiderio perverso negli occhi.
“Che schifo” principiò Sango studiando ancora quella
sottospecie di essere maschile che piano piano scompariva alla loro vista.
Kagome non osava muovere bocca, il dolore che si propagava
dal labbro a tutto il resto della bocca era micidiale.
“Sembra che ti sia fatta un botulino” la canzonò Sango,
indicando la parte del labbro che si stava lentamente gonfiando, effetto
normale.
La mora inarcò le sopracciglia, avrebbe voluto ribattere
qualcosa ma non le riusciva.
E’ buffo come un’amica può costringerti a fare ‘certe cose’.
Primo pensiero.
Cos’avrebbe detto sua madre? Non era al corrente della ‘sua’ decisione.
Già perché era stata sua.
Sango s’era limitata a fargliela ‘attuare’.
Immaginava già la scena. Lei che entrava in casa, sua madre
che la squadrava, sbiancava e rimaneva incazzata con lei una settimana.
Ottimo lavoro Kagome.
Secondo pensiero.
Il sabato sera. Giorno sacro per gli adolescenti, soprattutto per mettere in
mostra le novità. In questo caso il piercing.
Luogo d’incontro? Ovviamente l’ X-Zone la discoteca più frequentata di Tokyo.
Lanciò uno sguardo furtivo a Sango. Pareva rilassata. Lei al
contrario era tesa come una corda di
violino. Avrebbero usato la solita scusa per star fuori sino al mattino
successivo.
Mamma, io vado a
dormire da Sango.
Mamma, io vado a
dormire da Kagome.
Mai state beccate. Mai state colte in flagrante.
E dire che era una scusa vecchia come il mondo, usata
sapientemente da ben tre anni.
L’unico ostacolo. Il piercing. Col cavolo che sarebbe uscita
con quella roba sigillata sul labbro. Perché non l’aveva fatto sull’ombelico
come l’amica?
Al solito. Pentimento.
Sango s’era voltata ad osservata con un cipiglio perplesso
disegnato in volto.
Kagome stava pensando,era preoccupata e pentita.
Lo si intuiva dal modo frenetico da come giocherellava con i
capelli, a destra, sotto la spalla una ciocca nerissima faceva invidia al resto
della liscia capigliatura.
Riccia. A forza di rivoltare quel povero ciuffo di capelli,
l’aveva modellato secondo la forma dell’indice.
Fissata.
A volte pensava che l’amica fosse troppo in tensione. Tentò
di rassicurarla.
“…Sei preoccupata?” chiese fingendo di non essere a
conoscenza della sua situazione.
Kagome sobbalzò. “Ch-chi io?” farfugliò tendendo entrambe le
braccia lungo i fianchi. Gesto sbagliato.
Quando era agitata o nervosa, o si faceva la permanente
dell’abituale ‘ciocca’, o s’irrigidiva come un animale imbalsamato o arrossiva
improvvisamente.
Questa volta era molto
scossa. S’era impuntata sul marciapiede, lasciando che l’amica proseguisse
da sola per qualche metro. Subito dopo era esplosa in un pomposo colorito
cocciniglia.
“No La Befana…Si…mia cara Befana…devi essere molto
preoccupata…” fece una pausa. Osservò per qualche istante la parte che Kagome
aveva ‘forato’ e capì il messaggio subliminale delle reazioni dell’amica.
“…Mmh…conosco un modo per far si che tua madre non si
accorga nemmeno che hai il piercing” lo sguardo di Sango aveva assunto una
maliziosa tonalità più scura nello sguardo, questo non presagiva nulla di
buono.
Ecco. Ora la mora era ancora più preoccupata di prima.
Sentiva vampe di calore in ogni dove.
“Come?” s’azzardò. Non l’avesse mai detto.
Il sorrisetto di Sango le tolse ogni dubbio, alzò lo sguardo
al cielo, maledicendosi d’aver posto quel quesito. Con sottomissione si lasciò
trasportare dall’amica che l’afferrò per il braccio destro.
“Dove andiamo?”
Altro Sbaglio. Mai domandare a Sango dove ti porta.
Sorriso malpensante, seguito da un inarcarsi furbo delle
sopracciglia.
Poteva voler dire solo una cosa. Sbarrò gli occhi, aprendo
la bocca per dire qualcosa ma il dolore fu più in gamba di lei nel palesarsi.
“…No…No…No…” questa volta tentò di divincolarsi in modo
disperato dalla stretta dell’amica. Il suo era un brutto. Un bruttissimo
presagio.
La strada pareva lunga. Lunghissima. Quell’edificio alto,
allungato tra le metà di due grattacieli la metteva in soggezione.
Pareva un bordello quel posto. L’unica volta che c’era stata
era rimasta sconvolta per una settimana.
Le rampe delle scale sembravano infinite.
Sango la trascinava, ormai aveva smesso di ribellarsi da un
pezzo. Però non osava procedere di sua sponte.
Ecco quella porta.
[Non suonare, non suonare …] Aveva bussato. Maledetta.
Una voce che tutto aveva tranne di mascolino sibilò un
qualcosa dalla parte opposta. Spalancando la soglia con entusiasmo.
La cosa che vide dopo la traumatizzò come la prima volta.
“Amore!” eccolo … o meglio, eccola. Un ragazzo s’era
affacciato alla porta, e che ragazzo. Unica pecca. Non esattamente, un lui.
“Tesoro!” rispose Sango travolgendo letteralmente l’amico/a.
Si presentava sulla ventina, all’apparenza belloccio, un taglio di capelli
decisamente fuori dal comune trattenuti da una sottospecie di chignon
femminile. Ribrezzo.
Un demone. Mmh…no forse un mezzo demone. Bho.
Il fatto è che parlava con quella vocetta ‘effeminata’ che
lo faceva apparire totalmente diverso da quel che sembrava.
In poche parole . Un finocchio.
“Sango, piccola…cosa può fare la tua Kenny per te?” gesticolò
portando entrambe le mani, ovviamente, in modo ‘femminile’ sulle ginocchia,
piegandole appena.
“Naraku-chan…la mia amica deve cammuffare il piercing se no
sua madre stasera non la fa restar fuori…tu, puoi fare qualcosa?”
Kagome si sentì avviluppata da una sensazione stranissima.
Ogni volta che vedeva quel Naraku, o Kenny che fosse, sentiva un magone allo
stomaco. Forse di imbarazzo, o di inadeguatezza.
Il ragazzo/a, sorrise bonario facendo accomodare le due nel
suo ‘studio’ tutto al maschile/femminile.
“Kagura, bella, vieni qui ho un lavoro per te mia cara”
parlava con un tono talmente melenso da far accapponare la pelle.
Una ragazza, stavolta ‘una vera’ si presentò dinanzi all’
‘incognito sessuale’ muta. Finchè non sfoggiò un sorriso fulgido che dalle
labbra dipinte d’un rosso ben demarcato pareva ancora più grande. Si avvicinò a
Kagome, studiandone il problema.
“Non c’è problema capa, risolvo io in pochi minuti” suggerì
masticando una gomma rumorosamente.
Sango sorrise maliziosa all’amica, che le lanciò
un’occhiataccia pericolosa. Ma che razza di gente frequentava la bruna?
La ‘pseudo ragazza-uomo’ sospinse Sango in una saletta
d’aspetto, vistosamente dipinta d’un rosa appariscente che accecava la vista
solo ad osservarlo.
Mentre Kagome, per la seconda volta rimasta Sola, se la
doveva vedere con quella Kagura di cui non aveva mai sentito parlare.
“Tranquillizzati cocca, Kenny è una brava bambina…ti
spaventano quelli dell’altra sponda?” farfugliò facendola sedere su d’una
seggiola girevole.
“N-no…è solo che mi sento un po’…in soggezione” mormorò
accavallando le gambe per mostrare la sua sicurezza. La donna sorrise
continuando a ciancicare la gomma.
Quel rumore le dava i nervi.
Avrebbe voluto prendere quella Kagura e sbatterla al muro
solo per quel casino.
La ragazza s’avvicinò al volto di Kagome, per controllare la
situazione. Lo sentiva, si stava sentendo male. Sentiva il suo respiro così
tremendamente vicino da esalarne il sapore mentolato.
“Tranquilla baby, io sono etero” la tranquillizzò.
Ma non era quello il problema della mora, più sentiva quel
ciancichìo, più aveva voglia di malmenarla.
“Ferma così tesoro…ora sentirai un picchetto” oddio, cosa
voleva farle? Dove cazzo s’era ficcata Sango? A prendere il thè col finocchio?
Questa gliel’avrebbe pagata. Molto Cara.
Sentì un ‘immenso’ dolore al labbro dove era posato il
piercing. Amplificato ulteriormente dal pensiero ‘del male’ che stava provando.
Emise un gemito soffocato.
[Sango…Vaffanculo…] l’unico pensiero che le attraversò la
mente morì pochi istanti dopo, sostituito dal biascicare di Kagura che aveva
preso una strana roba marroncina. Ma che cazzo stava facendo?
Capitolo 3 *** Atto III : ...La Fortuna è cieca...ma la sfiga ci vede benissimo... ***
Simply Mine
Simply Mine
Atto III : ...La fortuna è cieca…ma la sfiga ci vede benissimo…
E’ strano come alcuni di noi siano
portati a lasciare che i problemi scivolino dal nostro subconscio
inconsapevolmente.
Lasciamo che passino, col tempo, senza rendercene conto.
Alcuni lo chiamano Egoismo.
Altri semplicemente Insofferenza.
Ebbene, invece a volte ci vuole un
notevole coraggio per lasciare che i problemi ‘non ci sfiorino minimamente’.
Acqua. Lui lasciava si che
incertezze, dubbi, affanni e qualsivoglia non arrivassero a sfiorarlo
minimamente.
Come liquido. Questo è capace di
scivolare via con estrema facilità da qualsiasi superficie, così lui, non pensava.
Piccoli grani incolori, frammenti d’acqua scendevano ormai
da mezz’ora dalla valvola di sfogo della doccia.
Correvano silenziose, le stille a percorrergli i crini
inargentati. Scivolavano leste a percorrere i contorni del volto. Chiuse gli
occhi. Entrambe le mani sollevò a portar verso il
viso, in un gesto quasi meccanico.
L’acqua aggirò il movimento, sovrastando palmi e dita,
transitando sull’incavatura del collo, sul torace e sul bacino. Alzò appena il
capo indietro, distogliendo le mani dall’appoggio precedente e lasciando che le
scie stinte s’estinguessero sul volto.
Rilassamento.
Quasi conforto provocava quel contatto mitigato sulla pelle.
Pensieri.
Nascevano, numerosi ma non s’azzardavano a permanere
nella mente del mezzo. Tentava in ogni modo di rifuggire quelle inutili
preoccupazioni. Lui non aveva ansie, non potevapermettersi d’averne.
Mosse appena il busto indietro, sentendo crepitare i muscoli
in tensione con le ossa. Allungò la destra per muovere il getto ad annullarsi.
Riaprì gli occhi, rimanendo per qualche istante ad osservare
la bruma creata dal calore smorzarsi lentamente. I vapori scomparvero, lasciando
che il calore che sino a poco prima avvolgeva il corpo capitollare improvviso
nel contrasto dell’inverno.
Un lieve brivido gli percorse le
spalle, scendendo a spandersi lungo gli arti mentre le gocce ancora slittavano
sul corpo ignudo.
“Porca miseria che freddo” brontolò l’hanyou afferrando il
primo asciugamano capitatogli a tiro. Scese dal ripiano della doccia percorrendo
a freddo le piastrelle del pavimento.
Un sospiro. Le iridi calde scorsero accanto allo specchio,
ove si soffermò per qualche istante.
Cosa ci vedeva? Niente.
Assolutamente nulla di diverso. Delusione. Questo però era in grado di scorgersi riflesso negli
occhi.
Sembrava una barzelletta, lui, sfiduciato nel considerarsi
uguale agli altri. Scosse le spalle, tanto come gli
altri anche questa preoccupazione l’avrebbe abbandonato in poco tempo.
Uscì dal bagno, lanciando una rapida occhiata nel contempo all’orologio. Le 20.30. Inarcò
un sopracciglio, cos’era che doveva fare?
Se l’era dimenticato. Un’altra sua
pecca.
Per quanto si sforzasse di segnare le cose in ogni dove, non
solo dimenticava queste ma anche i posti dove le aveva
appuntate.
“Feh…non sarà stato nulla d’importante” s’autoconvinse
sbrigativo. Fortuitamente non frequentava il college di
sabato, però v’era ugualmente il lavoro.
Per quanto gli piacesse non poteva fare a meno di pensare
alla svogliatezza che in quel momento s’era impossessata di lui.
Non aveva la ben che minima voglia di lavorare quel giorno.
[E se mi dessi malato?] Rimuginò
nel mentre sulle labbra si delineava una sottile linea di immoralità. Era
un’idea da scartare, niente lavoro, niente soldi, e
senza quello addio studi.
Che ci andava ancora a fare in
quella maledetta scuola nemmeno lui lo sapeva. Avrebbe potuto tranquillamente
smettere e continuare col suo lavoro notturno.No, se si metteva una cosa in
testa la portava a termine, l’aveva sempre fatto.
Uno dei suoi pochissimi bonus era la determinazione. Aveva scelto di andare a scuola,
bene, allora doveva mantenersi fedele a quell’idea.
Portò la destra dietro il capo, a sollevare la cascata di
crini accollata dietro la schiena.
“Ma che sega…ora altre due ore per
asciugarli…” s’era sempre chiesto perché, non aveva mai tagliato quegli stupidi
capelli da fricchettone. Forse perché quel colore così inusuale
attraeva di più se era in grande quantità piuttosto che quasi inesistente.
Si prese una pausa. I capelli avrebbero atteso.
S’avvicinò alla cucina, dopo la doccia pareva ancora più
lontana di quel che in realtà non fosse. Fece per
aprire il frigo, quando una smorfia gli contrasse le labbra
lesta. Foglietti su foglietti attaccati sulla
superficie del vano. Appuntamenti, memo, cazzate.
Ne staccò uno, dove c’era scritto ‘Miroku= 22.00’ ma che cazzo voleva dire quell’appunto?
Altro memo, non scrivere annotazioni senza significato.
Tanto si sarebbe dimenticato anche di quello.
Lasciò cadere per terra il foglietto, introducendo
completamente il capo all’interno del frigo per cercare qualcosa che gli
bloccasse lo stomaco, non aveva ancora cenato.
Niente. Ma possibile che dopo due giorni quel
ammasso di ghiaccio fosse già vuoto?
Le cose erano due, o il cibo spariva in un universo
parallelo appena il frigo veniva richiuso o lui aveva
cominciato ad ingozzarsi come una donna incinta.
Due sono le cose di cui ha bisogno un uomo che vive solo. 1) trovarsi una filippina alla quale affidare la
custodia della casa 2) sposarsi al più presto se è così
fortunato d’aver trovato una brava casalin….la donna
della sua vita.
Nel caso di Inuyasha né l’una né
l’altra cosa erano disponibili, dunque occorreva arrangiarsi. Non si lamentò
oltre, afferrò il cordless posto accanto al frigo e compose il numero del
ristorante più vicino.
“La cosa migliore che potevano inventare al mondo…” esordì
dopo aver chiacchierato per venti minuti col proprietario del locale.
Prendi,paghi e magni. Proprio una bella trovata.
Fregandosene altamente del suo stato di spugna ambulante
cambiò la direzione dei passi verso il salotto, il quale divano pareva
invitarlo a sdraiarglisi sopra. Si sedette, abbandonando completamente le
braccia sul tessuto in pelle del mobilio.
Prese il telecomando cominciando a scorrere tutti i canali
possibili e inimmaginabili.
“Ma è una congiura…” borbottò sonoramente
mentre dinanzi allo schermo passavano mille pubblicità raffiguranti
primizie alimentari.
Lo stomaco comincio a brontolare,
così una serie interminabile di imprecazioni furono rivolte al fattorino e alla
sua incapacità di rispettare i termini di consegna.
“Porcaccia di quella miseria ladra…dove cazzo è andato a
finire quel deficiente? Ma quanto ci vuole a voltare
un angolo per consegnare un cazzo di piatto di Sashimi?
Poi a lui il pesce faceva pure schifo. Pace.
22.00. Il fattorino ancora non era arrivato. Il mezzo
demone, ormai arresosi all’idea di rimanere a stomaco vuoto s’era mezzo
addormentato sul divanetto in una posizione altresì poco ortodossa.
Stravaccato sul divano, gambe rigorosamente aperte a
spaccata e braccia nella stessa posizione, pareva un cristo crocifisso
a quattro di spade.
“Come sei sexy…” la voce
altisonante del migliore amico lasciò che le orecchie bianche si smovessero
appena sopra la testa. Le palpebre appena socchiuse si sforzarono d’aprirsi
completamente sulla figura ancora poco nitida.
“Sai Inuyasha…va bè che ti sei dimenticato che dovevamo
incontrarci al bar…su questo posso passarci sopra…” borbottò sarcastico
incrociando le braccia al petto ed scorrendolo in
tutta la sua figura.
“Ma metterti in questa posizione tipo sono qui violentatemi quando volete mi pare eccessivo…oltretutto con
la porta aperta…capisco che hai una gran voglia di perdere la tua verginità…ma
darlo alla prima che capita…su…non è da te…”.
Tutto il discorso del Dongiovanni fu assimilato con una
lentezza bradipale da parte dell’hanyou.Sollevò il braccio destro per grattarsi
il capo, lasciando che la mano scivolasse in successione sul volto, per poi
tornare chiusa in un pugno.
“Mh?...Miro…Scopa…ma che cazzo stai
a…” in quel momento un leggero ‘spiffero’ arrivò a saggiargli le parti basse,
lasciando che la sua mente mettesse assieme le parole di Miroku.
“E CHE CAZZO…” ringhiò tentando
d’alzarsi in piedi di scatto, cosa che, lasciò che ricadesse completamente
disteso sul pavimento a pancia in giù, poggiato sulle ginocchia.
Miroku lo osservò con un’espressione dapprima indecifrabile
che via via divenne disgustata. “Oh…amici va bene ma
metterti a capretta davanti a me…Inuyasha non sapevo fossi disperato così
tanto…” assentì ironico.
Il mezzo demone si rialzò ancora più innervosito di quel che
già non fosse, non solo quel cretino lo stava prendendo per il culo in modo eclatante ma anche la situazione abbastanza
scoveniente giocava a suo favore.
“Se non esci di casa mia entro i
prossimi cinque secondi ti spacco la testa…1…” nel mentre il mezzo cominciava
la conta, Miroku volò direttamente verso la porta con l’agilità di un corridore
di maratona.
“…2…” continuò il demone, portando la mano destra contro la
sinistra a far crocchiare le dita. Sguardo visibilmente
alterato, puntato con freddo dissenso verso la vittima e passo lento.
“…3…” il moro uscì di gran lena
dalla porta, sparendo alla vista dell’hanyou.
Quando il mezzo lasciò scivolare
entrambe le mani lungo i fianchi per tentare di riprendere l’autocontrollo
sulla sua persona, ecco che il ragazzo col codino fece di nuovo capolino da
dietro la porta d’entrata.
“Ah una cosa…” sibilò puntandogli il dito contro.
“Sei ancora li? Ma io ti…” l’hanyou stavolta cominciò a camminare vigile verso lo sprovveduto che rimase
nella sua postazione seppur una lieve tremarella gl’era cominciata a scendere
lungo il corpo.
Schiarì la voce, tentando di non dar a vedere l’evidente panico che gli muoveva le
gambe ancora appostate fuori dalla porta.
“Ti ricordo che stasera c’è serata all’ X Zone vedi di non scordartelo…” mugugnò
prima di darsela a gambe lungo i corridoi esterni della palazzina.
Inuyasha che, nel frattempo, stava premunendosi di forza
bruta verso il migliore amico s’arrestò di colpo.La
serata era…
Ecco. L’aveva dimenticato ancora una volta, maledetta
testaccia. Non fece caso alla sparizione di Miroku,
velocizzandosi nel levar le gambe verso la camera da letto.
“Maledizione…Maledizione…Maledizione…” ringhiò basso,
catapultandosi praticamente all’interno dell’armadio a
muro che faceva da sfondo alla stanza.
Stavolta quella che gli scendeva dalla fronte non era acqua,
ma una sudorazione accelerata del corpo che aveva fatto partire una vampata
immensa di calore dallo sterno sino al collo. Agitazione.
Aveva poco più d’un ora per
prepararsi, ritrovare il cd remixato e fiondarsi in macchina.
Scrupolosamente passò in rassegna ogni ‘straccio’ che aveva
nell’armadio, tassativamente gualcito o ridotto ad un cencio nel
vero senso della parola.
Niente. Non trovava assolutamente nulla che potesse andar
bene per una serata importante come quella.
“Ma che cazzo di roba vado a comprarmi…da
dove diamine esce sto schifo?” mugolò gettando l’ennesima maglietta dietro le
spalle.
Sospirò. A volte gli pareva d’essere una di quelle
donnicciole che per trovare un vestito adatto ci mettono
secoli. Il punto era che era regolarmente in ritardo per ogni cosa, data la sua
scarsa memoria e il poco tempo a disposizione per portare a termine la
suddetta.
Per fortuna che proprio il giorno prima
s’era lamentato della lentezza di Miroku. Ringhiò
guardandosi addosso, era ancora mezzo nudo con i capelli umidicci.
“Ma porca…non ho nemmeno asciugato
i capelliii” ormai la disperazione cominciava a far breccia nella mente del
mezzo.
Tentò di prendere un respiro profondo. A cosa serviva? A
niente. Si chiedeva che cavolo di senso avesse avuto quel gesto se non aveva affatto il potere di calmarlo.
Scosse la testa, prese le prime cose che gl’erano
capitate tra le mani, si fiondò in bagno accendendo il phon al massimo.
Alzò lo sguardo al cielo.
“Eh che cazzo…ora ti ci metti pure tu?” gridò avventandosi
contro l’apparecchio che non dava segni di vita.
Possibile che la giornata potesse mettersi peggio di così?
Ma perché la sfortuna continuava a
perseguitarlo?
Era vergine. Non aveva un cazzo di memoria. Era sempre in
ritardo. Aveva una casa da schifo. Non aveva mangiato
e per di più anche il phon non funzionava.
Si schiaffò una mano sul volto. Quanto avrebbe voluto essere
da un’altra parte.
Uscì dal bagno, infilando con una mano i
jeans e l’altra la maglietta, lasciando che l’asciugamano ricadesse sul
terreno. Si fermò, e no, mancava qualcosa.
Cercò di eliminare il pensiero d’un
eventuale suicidio correndo velocemente in camera, dove i boxer lo salutavano
da sopra il letto.
Tutto daccapo.
Nel frattempo, il phon che aveva cominciato a funzionare stava
praticamente mettendo a soqquadro il bagno gettando
per terra ogni foglietto, sigaretta e quant’altro vi fosse intorno.
Finalmente era riuscito a vestirsi. Gettò una veloce
sguardata all’orologio “SONO GIA’ LE 22.30?” no, qualcuno sul serio, ce l’aveva con lui.
Arroccìo le maniche della maglia sopra i gomiti, corse in
bagno, riprese il phon con una velocità al pari di flash s’asciugò la folta
chioma, lasciandola mezza bagnata e mezza asciutta.
Tornò in camera, prese le chiavi di casa e della macchina
stringendole tra i denti, ovviamente mentre s’allacciava le scarpe.
Con l’impeto d’un ciclone si scagliò fuori
dalla porta, lungo le scale.
Arrivato alla macchina tirò un sospiro di
sollievo. “Ce l’ho fat…” un lampo gli
attraversò maligno la mente.
“No…no…no…no” appoggiò il braccio destro sopra il tettuccio
della macchina dando sonore zuccate sopra il metallo rossiccio dell’auto. Ok,
era una congiura.
Dovette tornare sui suoi passi, riaprire la porta, per
giunta rimasta mezza aperta, tornare in camera a prendere il cd abbandonato sul
comodino.
Quando scese, passò in rassegna
mentale una possibile dimenticanza. No, tutto apposto.
Aprì la portiera e al gesto del comando automatico la
macchina emise un ‘clac’ d’apertura.
Quando finalmente fu all’interno
dell’abitacolo potè tirare un sospiro di sollievo.
Prese tra le mani il cambio
portandolo lesto in prima, lasciò il freno a mano cominciando circa venti
manovre per uscire dal piazzale di casa. Premè l’acceleratore con foga,
passando dalla prima alla terza in una mossa soltanto, cosa che fece ringhiare
di brutto l’auto.
Ora il problema era solo raggiungere la discoteca entro le
23.00. Orario d’apertura per lo staff. In quel
momento, il cellulare cominciò a suonare stressante.
“Ma che cazzo vogliono adesso…”
sibilò il mezzo, già alterato visibilmente, lanciando un’occhiata malevola in
direzione dell’apparecchio.
“Pronto” sbottò con una ‘grazia impressionante’. Dall’altra
parte, l’interlocutore doveva essersi allontanato di circa tre centimetri dal
microfono in quanto la voce dell’hanyou era amplificata 20 volte più del
normale.
“Inuyasha…sono Miroku…ti sei ricordato del mio biglietto
omaggio vero?” esordì ironico mentre dall’altra parte
si sentì una frenata improvvisa. Inuyasha aveva arrestato la sua corsa proprio
in mezzo alla tangenziale dove altre macchine avevano preso a suonare i clacson impazzite.
Aveva sbarrato gli occhi, nel mentre
un rossore sempre più demarcato, di rabbia, gli aveva attraversato le guance.
“Miroku…” mormorò atono dall’altra parte, mentre si
preparava alla retromarcia e al seguente ritorno verso casa, per l’ennesima
volta.
“Dimmi” continuò lui calmo.
“Ma vedi di andare a fare in culo…”
proruppe il mezzo lanciando il cellulare sul sedile posteriore, nel mentre
Miroku continuava a richiamare il suo nome incessante…
Una giornata peggiore di quella non poteva prospettarsi. E ancora il peggio non era arrivato…
Capitolo 4 *** Atto IV : Attrazione … e Poi? (Prima Parte) ***
Simply Mine
Simply Mine
Atto IV : Attrazione … e Poi?
Prima Parte
Lo scorrere del tempo è inevitabile. Ore,
minuti, secondi.
Il tutto scandisce la nostra vita in una velocità
impressionante, quasi non ce ne rendessimo conto.
Solamente una cosa è capace di fermare il tempo.
Qualcosa
che ti colpisce.Se rimani scosso da qualcosa, rimani imbambolato, una faccia
quasi inebetita si disegna sul volto quasi a voler imprimere quel momento nella
mente, a scolpirlo nei ricordi.
I sogni non rimangono per troppo tempo, la
realtà rimane per sempre.
Il primo amore, la prima volta, il primo
giorno di scuola, il primo amico. Tutto rimane
inalterato, solo il ricordo mantiene qualcosa in eterno.
Per lei quel tempo era parso interminabile.
La madre l’aveva guardata dall’alto in basso. Erano le 21.00 quando aveva messo piede in casa.
Era rimasta sulla porta. Immobile,
pregando qualcuno che la genitrice non scoprisse il suo ‘segreto’.
Kagura aveva lavorato bene. Seppur
quell’ambiente non le andasse particolarmente a genio.
In quel momento sua madre aveva assunto la medesima
espressione di Naraku quando l’aveva salutata. Un
misto di dolcezza e freddezza rimescolati assieme, il
che rendeva la cosa abbastanza strana.
Una smorfia le contrasse le labbra. Doveva scacciar via il
pensiero di quel finocchio. Cominciò ad altalenare il piede dall’alto in basso,
attendendo che la signora Higurashi le dasse l’ok per rientrare.
A volte sua madre le pareva uno scanner, sentiva i suoi
occhi correre su di lei come se la marchiassero a fuoco.
“Entra pure cara” mormorò la donna, senza aver il minimo
sospetto che il piercing era stato abilmente cammuffato sotto un miscuglio di
lattice e fondotinta da far invidia al miglior truccatore di Hollywood.
Il cuore le mancò di un battito, davvero
era riuscita a sfangarla? Appunto breve. Ricordarsi di baciare
appassionatamente Sango quando l’avrebbe rivista.
Varcò la soglia di casa, squadrandosi attorno. Troppo
tranquillo.
La madre s’era fermata qualche istante ad osservarla
interrogativa, come per chiederle cosa stesse
aspettando.
La mora alzò le spalle, lasciando che qualche filo corvino
le passasse dietro le scapole. Sospirò, avanzando poco tranquilla lungo il
corridoio piastrellato di marmo.
Lanciò un’occhiata alla sua destra. Silenzio.
Un’altra alla sua sinistra. Silenzio.
Questa volta abbassò le spalle convinta,
rilassandose e spiccando un lieve sorriso. Suo nonno non c’era.
“Kagome” come non detto.
Un vecchietto arzillo, sulla sessantina, le stava correndo
incontro per abbracciarla. Quasi non l’avesse vista per chissà quanto.
Nei movimenti scattosi del vecchio, la
barba a punta, curata seppur appena allungata sotto il mento dondolava
allegramente da un lato all’altro del mento.
Avvicinatosi alla nipote, l’anziano la squadrò vistosamente, arrestandosi dal precedente gesto affettuoso.
“Nipotina mia…mhh…” in quel momento l’orologio a pendolo del
salone che più d’ogni altra cosa spiccava, pareva scandire col lento
ticchettìo, il ritmo che aveva preso il cuore della ragazza.
Ad ogni oscillo del grande orologio,
equivaleva un palpito.
La mano rugosa del vecchio, traversata
qua e la da qualche venatura bluastra corse sulla guancia della ragazza,
soffermandosi proprio in corrispondenza del piercing celato.
Kagome deglutì pesantemente. Se
fosse stata scoperta, addio serata, addio divertimento e addio Sango.
“N…Nonnino…devo andare a farmi il bagno” mugolò fissando
contemporaneamente la severità dipinta nello sguardo del progenitore e le
lancette del pendolo che rintoccavano le 21.10.
Le iridi scure dell’anziano sacerdote si fermarono in
corrispondenza di quelle della nipote. Passarono alcuni
minuti prima che rispondesse all’affermazione della mora.
“Bè…allora vai” concluse bonario,
lasciando che le sopracciglia s’appianassero sulla fronte zigrinata.
Non aveva scoperto nulla? Meglio così. Doveva sbrigarsi, ci
mancava che comparisse pure il fratellino poi tutto sarebbe
degenerato.
A passo svelto cambiò direzione, aggirando il nonno e la
madre che ancora la osservavano poco convinti. Perché doveva essere sempre così? Possibile che il fatto
d’avere ormai diciannove anni compiuti non contasse nulla per loro?
No. I genitori non sono in grado di capire
quando i figli crescono veramente. Per loro lei avrebbe continuato ad
essere la loro ‘piccola’.
Quando avrebbe avuto quarant’anni?
Non voleva pensare all’eventualità patetica di vivere ancora, a quella precaria
età ancora con i suoi.
Sfrecciò in camera, percorrendo la rampa che conduceva al
piano superiore in un nano secondo. Quando si ritrovò dinanzi alla porta del
suo ‘mondo privato’ si lasciò sfuggire un sospiro di
sollievo.
Posò la mano sul pomo d’ottone, dando una leggera spinta in avanti. Quella porta aveva bisogno d’un po’ d’olio in più.
Con un biego scricchiolìo s’aprì, anche se a fatica
mostrando una camera inghiottita dal buio più pesto.
Calibrando bene i passi riuscì a non capitombolare per
terra, raggiungendo l’interruttore per tempo. Rimase affiancata al muro per
qualche istante. Alzò le sopracciglia scure, lasciando che la mano corresse
dall’interruttore sino a saggiare la rasposità del muro bianco sotto il suo
tocco.
Le iridi brune compirono un lieve movimento circolare,
tracciando il riquadro della camera.
Aveva ragione Sango quando le
diceva di cambiare un po’ quella tappezzeria.
S’era sempre relazionata ai suoi
spazi per comprendere quanto, in realtà, dentro stesse crescendo. Da piccola,
il colore predominante era il rosa.
Tonalità chiare per sottolineare la sua fanciullezza,
il rosa è il colore dell’innocenza, delle gote d’un bambino, della coccarda
sulla porta il giorno della nascita d’una femmina.
Il colore del primo amore, quello per i
genitori, dei primi passi, delle scoperte.
Poi, la fanciullezza aveva lasciato il passo
all’adolescenza, il colore predominante era il bianco. Un colore neutro, perché l’adolescenza è un momento
di passaggio, nel quale non si sa nulla del futuro, non si sa nulla
dell’attuale presente, si vive il carpe diem.
Il bianco rappresentava la mente, nella quale mille e mille pensieri trovavano spazio nell’infinità di quel colore
che meglio figurava il suo stato d’animo.
Dopo i quindici anni, il
bianco e il nero erano stati i colori predominanti. I primi dubbi, le prime incertezze, che lottano tra quelle due tonalità poste
nelle estremità remote della mente.
Il Bianco. La serenità.
Il Nero. L’incertezza.
Benchè nell’adolescenza non s’è capaci d’afferrare quella
sfumatura che giace tra i due colori.
E ora? Quale colore sarebbe stato
in grado di rappresentare la sua attuale situazione? Che
colore aveva quella sfumatura?
Per lei era ancora Bianco e Nero.
Sango, aveva trovato la sua sfumatura. La decisione. Lei era cresciuta, seppur con qualche idea pazza in
testa, ma sapeva bene qual’era il suo nuovo colore.
Grinta, coraggio, salvaguardia, cautela. L’arancio, il rosso, i toni
caldi.
Il suo carattere, la sua pienezza
si stava manifestando di giorno in giorno, lasciando Kagome indietro a
rimuginare ancora sul bianco e il nero.
Lei era passata, in un istante, dalla dolcezza, l’igenuità,
la gentilezza…all’egoismo, la ‘cattiveria’, il senso dell’io. Troppo radicale
il suo cambiamento.
Per questo ancora sopravviveva nell’insicurezza.
Le iridi bronzee si discostarono dalle pareti, restringendo
il campo negli oggetti presenti.
Una camera sobria, un computer, una
scrivania, qualche libro accatastato in ordine sulla libreria. Il letto
a sponda rigorosamente fissato alla parte destra del muro. Sulla sinistra, poco
distanti dalla finestra erano adagiati altre tre piccole poltroncine piatte,
che somigliavano ai classici triclini romani, ove gli antichi usavano consumare il pasto.
Uno strano gusto da parte della ragazza che però, rendeva la
stanzetta originale.
Unica cosa che stonava con quella metafora di compostezza erano le miriadi di peluches sparsi per la
stanza.
Ecco la sua insicurezza, seppur fosse subentrata nella maturità,
aveva una certa paura d’abbandonare
quel lato che ancora la rendeva bambina.
Il suo io era diviso in due parti.
La Kagome bambina e la Kagome adulta.
Lei era una via di mezzo tra le due, che attendeva di far
sbocciare il suo lato di donna.
Mosse qualche passo, sedendosi sul bordo del letto. Bianche
anche le coperte, sorrise, quel colore doveva essere sostituito al più presto.
Il bianco era il simbolo della purezza, e la sua purezza…ormai…era andata a farsi benedire da tempo.
Sei pronta?
…Non sono mai stata
così sicura in vita mia…
Se avesse potuto tornare indietro,
avrebbe evitato di pronunciare quelle fatidiche parole che l’avevano concessa a
‘lui’ per la prima volta, regalandogli la sua cosa più preziosa.
Imbronciò lo sguardo, si dice a
volte ‘Non lamentarti d’una cosa se quando l’hai fatta eri felice’. Bè, quella
frase avrebbe dovuto esser modificata ‘Non lamentarti
di una cosa se MENTRE la fai sei felice, puoi lamentarti solamente quando
questa s’è chiusa miseramente’. Sicuramente meglio.
Portò la longilinea mano a testare le
lenzuola di raso sulla pelle, l’avvicinò al volto, saggiando ancora più
a fondo il contatto col tessuto.
Era più freddo il lenzuolo, o la sua pelle? Non lo sapeva.
Forse il suo carattere s’era refrigerato più delle due. Era
divenuta indifferente per certe cose.
Ed erano due le cose in questione.
1)I ragazzi
2) L’amore
Due cose etremamente correlate tra di
loro, in quanto l’una era interdipendente dall’altra.
Aveva deciso così. Al momento contavano la sua carriera. Un
giorno sarebbe divenuta una giornalista, il suo sogno.
Osservò il piccolo computer portatile posto di lato alla
scrivania. Oltre Sango, ciò che amava di più era lo scrivere.
Ogni qual volta le sue mani sfioravano quella tastiera, la
mente cominciava a vagare in mille storie fantastiche. Ma ultimamente in quelle storie non v’era più l’amore, aveva
preso pieghe troppo dark e tonalità troppo uniformate.
Quando c’era ‘lui’, quello che lei
scriveva era dettato dal cuore.
Quando lui l’aveva lasciata, quello
che lei scriveva era dettato dal raziocinio.
Gettò uno sguardo sull’orologio. Le 22.00.
Sorrise tentando di reprimere i ricordi.
V’era rimasta solamente una cosa da fare. Convincere la
‘madre’ a restare fuori durante la notte.
Il cellulare nella tasca interna della giacca cominciò a
vibrare improvvisamente.
Allungò la mano destra, distendendosi a pancia in sotto
sopra il letto. Frugò nelle tasche, trovando finalmente l’oggetto di suo
interesse.
“Pronto?” fargugliò nel mentre
piegava le gambe ad angolo retto a mezz’aria, muovendole appena avanti ed
indietro.
“Kagome, allora? Per stasera tutto apposto?” la voce
concitata di Sango, dall’altra parte dell’apparecchio fece sobbalzare la mora.
“Ehm…non ancora…devo parlarne a mia madre” proferì schietta.
L’amica, dall’altra parte della cornetta cacciò un urlo,
intimandola di muoversi in quanto lei era già pronta da tempo.
Non diede nemmeno tempo alla mora di rispondere che Kagome
si ritrovò a parlare con l’insistente ‘tubare’ del telefono.
Gettò il cellulare sul cuscino. Voltandosi stavolta a pancia
in su.
Con uno scatto del bacino si rizzò a sedere, soffermandosi
solo qualche istante a contemplare dinanzi a lei.
Doveva inventarsi una scusa plausibile. Perché
andava a dormire da Sango?
Ormai sua madre era divenuta scettica, ed ogni qualvolta che
doveva usare tale scusa domandava sempre un possibile perché.
I genitori sono
partiti per una vacanza. Ovvia.
Vado a farle compagnia
perché da tempo non trascorriamo del tempo un po’ da
sole. Scontata, una settimana prima era già stata da lei.
Parente ammalato.
Corna permettendo, lasciamolo per momenti veramente disperati.
Sango è stata mollata
dal ragazzo ed ha bisogno del mio conforto. Bingo. Scusa plausibile, non
utilizzata ed inoltre la madre non era a conoscenza della vita sentimentale
dell’amica, non conosceva nemmeno la sua, figuriamoci.
Sorrise. Scusa Pronta.
Vestiti sistemati da una settimana nel
cassetto a scomparsa inventato da Sango nell’armadio, soprannominato ‘hard
boutique’ per i contenuti poco ‘monacali’ in ambito vestiario.
Scese lentamente le scale. Ora doveva solamente calarsi
nella parte studiata, recitare al meglio il copione e goderne i frutti.
Si soffermò al penultimo scalino, prendendo un profondo
respiro.
[Speriamo vada tutto per il meglio]
s’augurò alzando gli occhi al cielo.
Le luci s’abbassino, l’atmosfera si riscaldi, entrano in scena gli attori.
“Mamma…” cominciò tristemente. Sguardo basso, mani
tremolanti lungo i fianchi, giusto per dare quel tocco di classe al ‘provino’ e voce tendenzialmente abbassata.
La donna alzò lo sguardo, dapprima leggermente sospettoso.
Sabato sera, ore 22.30, Kagome che con voce melensa la richiama.
Gatta ci cova.
Fece finta di nulla, tornando alla mansione di brava massaia
che le si addiceva. Nell’avanzare, i rumori della
cucina e i suoi odori inconfondibili si facevano
strada nei sensi della giovane. Il profumo dei piatti appena
lavati, rimescolato all’odore di rosa della madre. Le ricordava
quando era piccola.
Il calore del microonde ancora
acceso, il profumo delle okonomyaki soffritte ancora acceso nella sala.
L’immagine ‘caratteristica’ della madre affacendata a
riassettare la cucina.
“Mamma…” riprovò, timbro ancora più sfiduciato sottolineato da una curvatura appena accennata delle spalle.
La donna continuò il suo fare “Dimmi cara…” proferì ancora
diffidente, nel mentre il suo lavoro ‘rallentò’
appena.
La mora riprese, avanzando ancora
pochi passi. “Stasera, devo andare a dormire a casa di Sango” parole fatidiche.
La madre scosse la testa, accennando appena appena un
sogghigno malizioso sul volto intrinato dalle prime rughe.
“…Perché…?” domanda di rigore.
Stavolta Kagome era pronta ad una risposta più che
dignitosa. La madre avrebbe ceduto.
“Il Ragazzo di Sango…che stronzo…l’ha lasciata poche ore
fa…ora lei è a dir poco distrutta…io come sua migliore amica ho il dovere di
restarle accanto” proferì solenne, quasi forse un discorso patriottico il suo.
La madre arrestò le faccende, inarcando un sopracciglio.
“E tu non puoi, consolarla, telefonandole?” rispose di rimando, astuta la donna.
Kagome non accennava a voler demordere. Il tono si fece
stavolta sciovinistico, mentre alzava lo sguardo rattristato verso la madre.
“Come posso consolare la mia migliore amica, dietro quel
freddo apparecchio qual è il telefono” concluse, forse era
stata un po’ troppo recitata quella cosa? Troppo drammatica?
La madre s’arrese, anche se probabilmente aveva intuito che
la figlia stava mentendo.
La mamma è sempre la mamma. (Se qualcuno si azzarda ad
avvicinare la simmental al discorso interrompo la fanfic immediatamente Nda)
“Va bene… Ma domattina, per pranzo
devi tornare a casa…” definì bonaria.
Kagome si limitò ad un grazie, avvicinandosi a baciare
leggermente la guancia della donna.
Si voltò e tornò tranquillamente sui suoi passi.
Interiormente mille sensazioni contrastanti stavano dando
sfogo ad una vera e propria tempesta ormonale. Doveva
aspettare prima di festeggiare, altrimenti i suoi sforzi sarebbero stati
vani.
Salì velocemente di sopra, un largo
sorriso le illuminava radioso il volto.
Si buttò in ginocchio accanto all’armadio, aprendo il
cassetto top-secret ed estraendovi gli abiti accuratamente selezionati con la
migliore amica.
L’obiettivo non era quello di ‘conquistare qualche
inbranato’ ma quello di far schiattare le altre ragazze presenti d’invidia.
L’altra mano, disimpegnata dal sorreggere gli abiti, afferrò
il telefono componendo velocemente, soltanto con l’utilizzo del pollice il numero desiderato.
“Sango…ce l’ho fatta!” bisbigliò
appena.
“Perfetto…alle 23.30 a casa mia…” sibilò l’altra con una
vena d’impazienza mista a felicità nel tono.
“Prendo la macchina?” chiese la mora, piuttosto restìa al
farlo. Sapeva già come sarebbe andata a finire, lei e Sango, mezze ubriache per
la strada a cercare d’infilare la chiave nella portiera della macchina, senza
successo.
“Guido io stasera…” propose l’altra, con evidente
soddisfazione da parte di Kagome che sospirò di sollievo.
“Baci zoccoletta” sussurrò Sango interrompendo la
conversazione prima che l’amica potesse ribattere.
Che maledetto vizio aveva, riattaccare
a quel modo.
[Respiro
profondo.
Chiudere gli occhi.
1…
2…
3…]
Ripeteva quella
frase da tempo immemorabile ormai, l’aveva sempre aiutato a concentrarsi
sulla musica giusta.
Odiava dover provare i suoi
capolavori artistici davanti a quel gruppetto insulso che ogni tanto applaudiva
solamente per invogliare il dj a tornare nuovamente la prossima volta.
Dj=Successo= Soldi per la
discoteca.
Il mezzo se ne fregava altamente
di quelle manifestazioni rivoltanti. L’unica cosa che gli importava era fare la
sua musica.
Essere il PeaceMaker della serata. Occhi puntati su di te, urla, strepiti…
Quello che più lo compiaceva era
l’adrenalina che ‘la sua magia’ scatenava nel ‘pubblico
adorante’.
E Il Live, adorava dare voce alla sua musica
nelle serate come quella. Importanti.
Solo in quel momento era diverso
da qualsiasi altro Dj, lui sapeva rendere quel Live Voice impressionante.
Miroku lo raggiunse
nella sua postazione, tra le mani stringeva due bicchieri ricolmi di Vodka.
Inuyasha lanciò un’occhiata prima
ai due bicchieri, poi all’amico.
Lo sguardo aveva un misto di
compiacimento e diffidenza. Bere. Quella era la seconda cosa che lui e l’amico
sapevano fare meglio…
Perché si sa :
l’alcol è usato per sentirsi a proprio
agio e lo stato di ubriachezza è un modo per creare l’intimità.
Nel loro caso, la prima e la seconda opzione
valevano con o senz’alcol. Bevevano per divertimento, forse, o solo perché gli
piaceva.
“Tiè” accennò Miroku, porgendo all’amico il recipiente. Inuyasha ne osservò per qualche istante il contenuto, non doveva
abusarne quella sera, altrimenti sarebbe stato troppo ubriaco per rendere il
suo lavoro perfetto, e non veniva pagato per bere.
Lasciò che il liquido gli bagnasse leggermente le labbra, prima di
posarlo accanto ad una delle casse.
Continuò a smuovere le dita sul disco, lasciandole scivolare come
carezze. Paragonava il suo lavoro ad una donna.
Sfiorarla all’inizio, cauto, docile.
Eccitarla con lo stuzzichiò delle dita giocose sulla pelle.
Farla sua,infine, con movimenti più sciolti e sicuri.
Se solamente avesse potuto attuare quei movimenti su una donna non sarebbe stato
male. Un suo problema.
Si bloccava sempre sul più bello. Non ne sapeva il motivo, se l’avesse
detto a Miroku gli avrebbe sicuramente dato
dell’impotente.
Questa era una delle poche cose che custodiva per sé, per non lasciare
che la sua virilità esteriore si deflorasse per quell’inconveniente. Grave,
molto grave per un ragazzo.
Sconfortante, deludente.
Forse era per paura che rinunciava ogni volta, paura
che ‘risuccedesse’.
Chiuse gli occhi, nascondendo le ambrate iridi sotto le palpebre. Non
mancava molto all’inizio della serata.
Miroku osservò l’amico.
In realtà, infondo, ammirava la sua determinazione. Lui, non era mai
stato capace di portare a termine una sola cosa in tutta la sua vita.
Aveva cominciato calcio, aveva abbandonato perché troppo faticoso, gli
era presa la fissa del basket, troppo sudore e poche pupe a fare il tifo.
Niente lo soddisfaceva.
Nemmeno in amore s’accontentava. Lui le voleva belle, intriganti, un po’
sottomesse e un po’ padrone. Chi troppo vuole nulla stringe.
Lui che aveva avuto? Niente. Non era mai riuscito ad avere una storia
seria, nemmeno una. Era un libertino, non riusciva a
restare legato per troppo tempo.
Forse. Questo aveva avvicinato lui e Inuyasha. Non erano
poi così diversi infondo, solo che, si compensavano in qualcosa.
Ma Inuyasha era sempre una spanna sopra di lui. Per quanto ce la mettesse, per quanto volesse, in cuor suo raggiungerlo, non
ci riusciva.
Quel mezzo demone, con la sua caparbietà, il
suo essere deciso, sicuro.
Si sentiva inferiore. Incredibilmente.
Non dava mai a vedere il suo complesso nei confronti dell’altro ma, era geloso. Tremendamente geloso di Inuyasha.
Geloso del suo successo, geloso del suo menefreghismo, geloso di come
riusciva a far si che i problemi che riguardavano il
suo privato non risentissero minimamente nella vita pubblica.
Invidia.
Lui non sarebbe mai arrivato al livello dell’amico e questo lo rendeva livido di rabbia.
Solo in qualcosa andava fiero, lui era riuscito a perdere la sua
verginità già da tempo ormai, e utilizzava questo particolare punto debole di Inuyasha, contro di lui.
Che amico che era. Poteva davvero ritenersi tale?
Aveva qualcosa che lo spingeva a voler far del male a quell’hanyou e
qualcosa che al momento giusto, sapeva frenarlo in rare occasioni.
Per Inuyasha era il contrario.
Miroku era il suo migliore amico.
Infondo, ma proprio infondo, non gli dispiaceva
affatto. Non mostrava mai la reale gratitudine che lo spingeva a
restargli accanto. Gratitudine per cosa?
Per averlo tirato fuori da una situazione che
rendeva il suo passato macchiato, incredibilmente sporco.
Debiti. Aveva avuto così tanti debiti in passato che aveva rischiato di
rimetterci le penne.
Miroku l’aveva in un qualche modo ‘salvato’ per metà,
anche se, ancora qualcosa celava anche al suo migliore amico.
Vergogna.
Se Miroku avesse realmente saputo che razza di pezzo di merda era stato in passato, l’avrebbe piantato in asso come persona
oltre che come amico.
Non voleva.
Stava zitto.
La serata stava per cominciare.
La sala era ancora governata da
luci soffuse, musica tranquilla.
In alto, sul soffitto basso, erano
posizionati i fari luminosi. La serata dello Sweet babies era un avvenimento insolito e
estremamente atteso.
Particolare. Il colore rosso,
predominante su tutto, rifulgeva solenne a ricoprire ogni parte del locale.
Rosso, simbolo del proibizionismo, della passione, dell’inarrivabile.
Del sesso, dell’anarchia, di ciò
che è sbagliato.
Il colore senza dubbio, di Inuyasha.
Le macchine cominciavano ad
affluire come il corso d’un fiume, sull’autostrada che
conduceva al locale più rinomato.
A destra e a sinistra
s’estendevano filate d’alberi, il cielo terso,
obnubilato, rifulgeva dei riflettori che richiamavano l’attenzione degli
ospiti.
L’insegna al di fuori, subito dopo
l’uscita dedita alle vetture, sfolgorava d’un rosso
cangiante, proprio come la serata.
Rosso in perfetta sincronia col
nome, X Zone.
I fari della Mini illuminavano violenti la Berlina di fronte che si muoveva a passo
d’uomo tanta era la coda aggrumatasi.
“Kagome, forse è meglio lasciare
la macchina fuori e proseguire a piedi” propose la bruna, sospirando
pesantemente.
La mora osservò al di la del parabrezza, non pareva affatto convinta sul da
farsi. Poi lo sguardo ricadde sull’insegna fatiscente del locale “Forza,
parcheggia andiamo a piedi”. La foga le attraversava le mani sudate, lasciando
che la sigaretta stretta sulla destra cominciasse a tremare leggermente.
Portò le dita che stringevano
l’ormai quasi spento bastoncino bianco, alle labbra, aspirando nevroticamente
l’ultima boccata.
Sango fece
qualche manovra, sorpassando in controsenso le altre macchine, finì
sulla corsia adibita alla circolazione inversa, doveva essere veloce, rischiava
molto.
Fece inversione, parcheggiando la
macchina in una radura fortuita.
“Pronta?” scattò la bruna
spegnendo il quadro.
Kagome emise un piccolo gemito,
seguito da un assenso entusiasmato del capo.
Scesero.
Oltre a loro,
qualcun altro aveva avuto la loro stessa idea, giacchè altri gruppetti di
ragazzi s’unirono alla ‘passeggiata’.
Sango frugò sulle tasche degli
attillatissimi pantaloni traslucidi, estraendo una sigaretta mezza schiacciata
dalla tasca posteriore.
La accese velocemente, sorridendo
verso l’amica.
“Spero tu abbia portato abbastanza
soldi, stasera voglio ubriacarmi come una somara” ridacchiò palpandosi la tasca
che conteneva 3 banconote da mille ¥*.
Kagome sorrise maliziosamente
all’affermazione dell’amica “Tranquilla, mi sono premunita”.
La camminata non durò ancora
molto. Giunte dinanzi all’entrata, le due dovettero subirsi una lunga coda di
gente che partiva dall’ingresso sino alle porte esterne del locale.
“Maledizione…quanta fila” mugugnò la mora accendendosi una sigaretta, convinta che ormai,
sarebbe stato maggiore il tempo passato fuori al freddo che all’interno.
La bruma notturna s’era infittita,
creando una spettralità quasi innaturale attorno alla discoteca.
“Kagome…tu sai d’avere un’amica
grandissima…quindi…non preoccuparti della fila, aspettami qui” pronunciò prima
di sparire tra la folla.
“Sa…Andata” sbuffò, l’aveva
lasciata sola in mezzo a quella marmaglia di rincoglioniti, pareva l’Assalto ai Forni dei Promessi Sposi
tan’erano gli spintoni che riceveva da quell’orda di
barbari.
Dopo circa un quarto d’ora,
ricomparve Sango accompagnata da un losco figuro.
[Oddio
No…] L’espressione di Kagome, da annoiata si fece disgusta.
“Amore bello” la vocetta sgraziata
di Naraku diede affondo alle sue convinzioni lasciando che il/la permanentata
si palesasse dinanzi al suo sguardo costernato.
Amore cosa? Avrebbe voluto
rifilare un cazzotto su quelle perle bianchissime che erano i denti del
delizioso uomo/donna.
Sango lanciò un’occhiataccia a
Kagome, intimandole di ‘sopportare’ almeno al momento il finocchio.
“Vi fa entrare la vostra
Kenny…cucciolotte!” esordì raggiante la donna un po’ troppo muscolosa.
Battè le mani un
paio di volte contento, prima di mostrare una sottospecie di lasciapassare ad
un uomo poco lontano che diede l’ok ai tre d’intrufolarsi all’interno del
locale…o meglio…dell’Inferno.
Sango lanciò un’occhiata complice
a Naraku che s’avvicinò a Kagome.
“Tesorino, sei mai stata ad uno
Sweet?” chiese altisonante, tanto da far rabbrividire la povera mora.
Kagome rispose con un cenno di
diniego.
“Bene, allora preparati mia
cara…stasera vedrai l’Oltretomba” ridacchiò facendo cenno alla mora di
passargli/le innanzi.
Assordante.
Kagome sbarrò gli occhi per
qualche secondo. Ma quello era davvero l’ X-Zone? Non era il locale che ricordava.
Deglutì.
Sango le passò avanti, prendendola per mano.
“Kenny” gridò tra la bolgia
“…Vieni con noi?” il ragazzo/a scosse il capo in un sorriso, indicando un
gruppetto, tra i quali spiccava anche Kagura.
Quando la
donna alzò la mano per salutare le due, Sango fu spinta via dall’amica.
“Sei pazza?” urlò la bruna in modo
da farsi ben udire. Kagome non diede conto alle sue parole, forse perché non
aveva sentito una mazza.
Un sorrisetto le
si palesò sulle labbra, proprio una serata che si prospettava
intrigante. La scollatura provocante che scendeva dietro la schiena della mora,
era ben veduta da parte dei ragazzi.
Pizzicchi, palpatine e quant’altro
non attardarono ad arrivare da non so dove.
La mora rispose
con ceffoni e calci d’ogni genere, anche se da una parte, la cosa, la compiaceva.
La fronte del mezzo era imperlata
di sudore, da quando aveva cominciato ad esibirsi, una
vampata di calore s’era impossessata di lui, quasi se lo stesso Lucifero fosse
entrato nel suo corpo.
Muoveva l’avambraccio
vorticosamente sopra il disco, fissando con occhi a mezz’asta la sala già
ricolma di gente che si scatenava, parevano una moltitudine di drogati in festa
che si dimenavano come merluzzi all’ora
dell’accoppiamento.
Ne aveva
vista di gente strana.
Finocchi, Lesbiche che s’esibivano
sui tavoli slinguazzandosi a più non posso, gente
impasticcata, seduta alle estremità della sala che pareva avere scatti di
paranoia esmascellamenti in atto.
Scosse la testa, tornando a
concentrare la sua attenzione al centro della pista.
Una pacca sulla spalla gli fece
nuovamente volgere la direzione dello sguardo, ancora Miroku, ennesima Vodka.
“Vuoi farmi ubriacare vero?”
biascicò l’hanyou osservando torvo l’amico. Il ragazzo col codino non rispose,
tendendo ulteriormente uno dei due ‘calici’ in avanti.
Inuyasha decise di non dar udienza
all’amico, prendendo semplicemente il bicchiere e bevendolo d’un
fiato.
Ormai era il quinto, e l’alcol
cominciava a farsi sentire.
Il calore cominciò ad impadronirsi
anche del volto, stava avvampando.
Una donna s’avvicinò al dj, porgendoli
le cuffie e il microfono. Era l’ora del Live.
“Stronzetti…pronti a fare un po’
di casino?” domandò sicuro lui, ricevendo ovviamente un si
all’unisono da parte della sala.
“Perfetto…Sweet Babies Night…” lieve,
sempre più lieve l’intonazione che si spense poco dopo,non
pronunciò altro al momento, il Live sarebbe stato migliore a metà serata a
quanto pare però già stava dando i suoi frutti.
La folla lo adorava,
era divino.
“Appostiamoci la, ho caldo” bestemmiò Kagome, stufatasi di ricevere palpate
sul sedere. Sango inarcò le sopracciglia contrariata
“Io voglio ballare” s’immusonì.
“Fa come vuoi…io vado a bermi
qualcosa” al suono di tali parole, l’amica cambiò immediatamente idea, notando
che al tavolo v’erano consumazioni più che gratuite.
Una corsa avventata sul Waikiki**
distribuito poco lontano.
Due bicchieri, due
per ciascuna.
Pareva il mezzogiorno di fuoco tra
le due ragazze. Scure le iridi di lei che si
specchiavano sulle oltremare dell’altra.
“Chi perde paga il resto” la sfidò Kagome, la mano tremava al lato destro del fianco,
accompagnata dalla sinistra al lato opposto.
“E sia…”
rispose l’altra convinta.
Iniziarono veloci come lampi, ad
ingurgitare prima il rum contenuto nel bicchiere di
destra, subito dopo la pera contenuta nell’altro.
Mix esplosivo che lasciò che
entrambe lasciassero entrare aria alla fine della
competizione che si rivelò paritaria.
“Un altro” ringhiò Kagome…
Sapeva bene di non reggere
esattamente quel tipo di alcol, sentiva la testa già
abbastanza alleggerita dal primo, bevuto a goccia. Non voleva però dare la
soddisfazione a Sango di vincere, non questa volta.
Riprese in mano
un altro bicchiere, estinguendo il suo contenuto in pochi istanti.
Rimasero in parità. Seppur avessero consumato cinque bicchieri ciascuna.
“Sango…” proferì la mora. Non
ricevette risposta.
La testa le girava vorticosamente,
però si sentiva bene da morire.
Caldo, aveva sempre più caldo.
L’amica era nel frattempo
scomparsa. Troppo ubriaca per rendersene conto.
“Voglio bere” mugolò tirandosi in
piedi a fatica e barcollando appena da destra a sinistra. Si diresse in mezzo
alla pista, sculettando come una zoccola nel mentre
sul volto le si dipingeva un sorrisetto di malizia.
“Vo-glio be-re” continuava a
ripetere a sé stessa, adocchiando non molto distante il
bar.
“Vuoi che prenda
il tuo posto?” Sakura, il dj di
supporto, osservò la situazione dell’altro ponendosi nella sua postazione.
Inuyasha era fuori come un tetto.
La mano muoveva sul disco una volta su tre, le altre due volte scapitollava
addosso al muroposto
dietro la sua postazione.
“Nno…Iio…ffaccio dda…solo”
borbottò il mezzo demone, ormai rosso in volto.
Miroku lo afferrò appena in tempo,
prima che ricadesse indietro, anche lui non messo molto meglio dell’amico.
Lo volse in sua direzione, poggiando
la fronte su quella dell’amico
“Ssei in piedi Inu?” domandò. La
voce visibilmente contraffatta dall’alcool. L’altro mostrò una sottospecie di
sorrisetto in segno d’assenso.
Si guardarono.
Scoppiarono a ridere come scemi.
“Ssai? Iio vadoo a bere ancora…”
mormorò Inuyasha allontanandosi da Miroku che continuava a ridere incessante,
pareva non l’avesse nemmeno ascoltato.
Accaldato.
Scendeva le
scale, era sudato. Nemmeno si rendeva conto di dove si stesse dirigendo,
pareva che non solo gli ‘ospiti’ del locale ballassero, ma anche la stanza
attorno a lui.
Fradicio.
Si spostò
leggermente verso destra, cadendo a ridosso d’un muro, appoggiò quindi
la schiena, lasciandosi scivolare verso terra.
Tentò di serrare le palpebre,
nella speranza di riprendere almeno la focalità visuale.
Nulla.
Vedeva doppio e sfocato. Tastò il
muro al suo fianco, ottenendo solamente una ricaduta peggiore verso il terreno.
Doveva rialzarsi. Quel poco di
lucidità ancora rimastagli, meno di zero, gli imponeva questo.
Soprattutto…l’eccitazione
dell’alcool lo stava portando a desiderare qualcuno…o meglio…qualcuna.
Sospirò, tirandosi in piedi.
Rimase per qualche istante
attaccato al muro, prima di fare qualche passo in avanti.
Peggio di prima.
Scosse la testa, tornando a finire
contro il muro.
Emise una leggera smorfia, quando
qualcosa lo urtò in modo considerevole. Rimase muto, non
aveva nemmeno la forza di parlare.
“Ops…ti sono venuta addosso”
Kagome sorrise malpensante, permanendo col capo poggiato sul petto del mezzo
demone, come se nulla fosse.
Lui sorrise, capirai che gliene fregava se qualcuno gli veniva addosso in quelle condizioni.
“Non preoccuparti…tanto…io sono
ubriaco…” neniò quasi incomprensibile. Lei portò le mani a poggiarsi sui
pettorali dell’hanyou, lasciando che un brivido gli percorresse la schiena,
freddo.
“Anche io…quindi…tu sei ubriaco…io
sono ubriaca…” discorsi senza senso quelli che uscivano sia dalle labbra di lui che da quelle di lei, stranamente trovati
divertenti da entrambi.
Inutile chiedere i rispettivi
nomi. Capirai se si ricordavano anche solo quello.
Rimasero dunque in quella
posizione, lui appiattito contro il muro, testa rivolta
verso l’alto, respiro mozzato.
Lei contro il suo torace, di tanto
in tanto ributtava la testa indietro, appesantita dal torpore intenso.
Inuyasha abbassò le iridi ambrate
su di lei, scorrendola nella sua completezza.
“Sai che tu potresti togliermi la
verginità?” confessò senza mezzi termini.
Memorandum. Mai ubriacarsi vergine.
La ragazza lo fissò per qualche
istante, annuendo alle parole di lui come se ci avesse
capito qualcosa.
Il mezzo demone tornò a sbattere
il capo contro il muro “…Bè…allora…perché stiamo ancora qui?” continuò lui, se
avesse parlato ancora per un po’ sicuramente non avrebbe nemmeno fatto in tempo
ad arrivare fuori dal locale.
La ragazza continuò ad annuire
semplicemente. Non stava bene per nulla.
Senza altre parole, lui avvolse il
braccio destro attorno alla vita di lei,
accompagnandola ‘fuori dal locale’.
Il buio aveva inghiottito ormai la
serata, la foschia ancora avvolgeva silenziosamente il posto, lambendo le carni
scoperte di lei, ovvero schiena e gambe, col freddo.
Kagome emise un sussulto, seguito
da un fremito.
Il mezzo demone se ne accorse, imitando un mezzo sorriso “Hai freddo?” mormorò
appena, vitreo lo sguardo, pareva che gli stessi occhi annegassero nell’alcol.
“Si…” rispose corta lei. Che domande sceme, meglio passare all’attacco.
Con una spinta,
gettò il mezzo demone nuovamente contro un muro, il che non fece né caldo né
freddo al ragazzo che si limitò a sorridere malizioso.
Si avvicinò arpia, tentando
d’essere, per quanto il suo stato le potesse
permettere, più desiderabile possibile.
Lasciò che la mano destra, gli
sfiorasse la guancia, silenziosa.
Lui alzò il capo, emettendo una
sottospecie di guaìto, segno che quel contatto gl’era
gradito particolarmente.
Non poteva attendere oltre.
La afferrò per i polsi,
attirandola a sé rude.
Solo pochi istanti attese per contemplarla, prima di bagnare la lingua con le
labbra.
Le mani di lei
si posarono maligne sulle spalle di lui, la destra che correva verso il petto,
la sinistra sotto la spalla.
Non le baciò le labbra.
Scese sul collo invece,
cominciando da li la sua opera. Intenso, languido,
malizioso… lasciava correre la lingua sul collo d’alabastro con una naturalezza
tale che qualsiasi altro gesto sarebbe apparso complesso.
Si divertiva a lambirle la pelle
con fugaci morsi, alcuni lievi, altri più profondi.
Kagome fremette, un po’ per il
dolore, un po’ per il piacere.
L’alcol porta inevitabilmente
all’intimità.
L’hanyou scosse la testa. Chissà com’era possibile che ancora potesse pensare.
Dischiuse le labbra, lasciando che queste fossero ora a guidare le danze lungo
il collo di lei, leste, sino all’incavatura, dietro il
lobo…
Accompagnò la mano destra ad
alzarle gli scuri capelli che impedivano alle labbra di saggiare oltre, risalì
sul collo, sotto il mento…
Kagome si strinse ulteriormente a
lui, lasciando che la virilità di lui, ancora
imprigionata, entrasse in contatto con la gamba destra di lei. Alchè Inuyasha
emise un lieve uggiolìo, seguito da un respiro profondo.
Quella ragazzina stava riuscendo a
risvegliargli i sensi sopiti. Che fosse stata la volta
buona?
Il pensiero s’irradiò in ogni
parte del corpo di lui, portando entrambe le mani
sulla schiena della ningen, trasportandole in basso, sino a soffermarsi al
termine della schiena.
La sollevò arroventato, portando
quel contatto ad amplificarsi ulteriormente.
Involontariamente il mezzo, Inarco
il collo indietro, poggiando la testa a ridosso del muro. Kagome sorrise
maliziosa, lo imitò, chinandosi su di lui che la stringeva poco più in alto,
sollevata.
Gli stuzzicò il collo con la
lingua, scendendo stavolta più in basso, spostandogli il colletto della maglia
tormentandogli la spalla con i baci.
Lui lasciò che il corpo della
ningen discendesse contro il suo, riportandola lentamente a terra, lentamente,
lasciando che l’enfasi di quel contatto lo catturasse completamente.
Scandiva ogni minima mossa col
ritmo delle torture di lei, maliziosa, conturbante.
Portò la mancina a sfiorarle
nuovamente la schiena, salendo su, ad affondarle tra i capelli scuri. La mancina, scorse in avanti, risalendo dal bacino al seno, in una
carezza ‘violenta’.
La lasciò risalire ancora,
vezzeggiandole il viso, lisciandole le labbra con l’indice. Socchiuse gli
occhi, facendo in modo che lei s’interrompesse.
Riprese la sua dolce violenza,
scendendo con le labbra dal collo, verso il decolteè. Le abbassò la spalla
destra del vestito, in modo che solo una parte del seno di
lei venisse scoperta.
S’abbassò a piegarsi appena sulle
ginocchia, strisciando contro il muro, i baci turbolenti, divennero cinici,
sensuali. La lingua giocava audace sul seno, irriverente.
Kagome emise un
sospiro, lo desiderava in quel momento.
Portò entrambe le braccia attorno
al collo di lui, in modo d’approfondire ulteriormente
il contatto con le labbra d’Inuyasha sulla pelle.
Raziocinio. Ecco
quel che mancava al momento. Sentivano quelle
sensazioni, eppure, non se ne rendevano nemmeno conto.
Sentiva la lingua
di lui rovente, quasi ferro caldo a contatto con l’acqua. Dischiuse le
labbra, bagnandole con la lingua appena.
Uno scatto aprì improvvisamente la
porta d’uscita.
Dove
comparve Miroku trafelato.
“Ecco dove ti eri cacciato…”
sussurrò ancora mezzo alticcio. Le iridi azzurrine del Dongiovanni scorsero sulla scenetta divertite.
S’avvicinò ai due, scrollando
violentemente Inuyasha dal torpore del desiderio.
“Ti stanno aspettando…forza
torniamo dentro…Scusami piccola…ma vi dovrete rivedere
un’altra volta…” sorrise inebetito mentre il mezzo non si rendeva nemmeno conto
della situazione.
“La…lasciami…non vedi che mi sto
divertendo?” ringhiò l’hanyou alterato, muovendo appena le bianche orecchie
sopra la testa.
Kagome s’arrestò, distaccandosi
malvolentieri dall’abbraccio che sino a poco prima li aveva legati.
Inuyasha guardò lei e l’amico in sincronia
“Che
stronzo che è questo…” le sussurrò indicando Miroku che intanto aveva
cominciato a strattonarlo per un braccio.
Kagome annuì, silenziosamente,
ancora frastornata.
L’hanyou si scrollò dalla presa di
Miroku, ponendo un ultimo bacio sul collo di lei “Ci
rivediamo eh?” le bisbigliò all’orecchio.
Lei annuì soltanto, prima di
vederlo scomparire dietro la porta antincendio.
Rimase la, immobile,
prima di sentire un improvviso malessere salirle alla gola. Si chinò, coprendo
la bocca, tentando di respirare profondamente.
Lo sguardo fu attratto da
qualcosa, sul terreno.
Un luccichiò.
Un’allucinazione?
No.
Si chinò, lo
raccolse…
Una catenina d’argento. Sorrise
inconsciamente appendendola al collo.
“Mi piace proprio…e mi sta bene…”
Le pareva d’averla già vista da
qualche parte, ma era ebbra, e sono numerose le cose
che passano per la mente di uno sbronzo…
Però in
quello che si dice ed in quello che si pensa, infondo c’è sempre un fondo di
verità.
Solo qualcosa sussurrò
involontariamente…
“Mi piacciono i mezzi demoni”
Fine Prima parte…
*3000 yen = circa 19 €
** Waikiki, detto anche "shorts di rum e pera". Piu' che un cocktail e'
un vero e proprio modo di bere il rum, quasi uno stile di vita oserei dire,
veloce, rapido, indolore. Si preparano due bicchierini piccoli, uno con il rum
ed accanto uno con il succo di pera, si butta giu'
tutto d'un fiato il rum ed a seguire la pera... straordinario!
Desiderio. A volte
può spingerti a commettere degli sbagli, a volte crea risvolti positivi. Questo
fenomeno, sensazione, o sentimento quale a dir si voglia…porta comunque dei
cambiamenti.
Fisici o Emotivi, a seconda della personalità.
Il Desiderio,
rappresenta qualcosa di intimo, ricercato solamente quando alla razionalità
s’unisce l’istinto.
Può essere carnale o sentimentale, può essere brutale o
ascetico…
In mille forme è visto questo tipo di avvenimento.
A volte è sospinto dalla mancanza di logica, in altre
solamente dall’impulso naturale. Tutto, inevitabilmente ruota attorno a questo.
Kagome era rimasta al di fuori dell’edificio, sola, col suo
profumo ancora addosso. Il vento soltanto cantilenava placido la sua nenia,
spezzata di tanto in tanto dal frusciare mesto del fogliame.
Un brivido di freddo. Una scossa. Un sussulto.
La testa aveva smesso di girare vorticosamente, però il
senso di nausea, la pesantezza e il delirio non avevano ancora abbandonato il
suo corpo.
S’era poggiata al muro, stringendosi nelle spalle. Immobile.
Le iridi nerastre erano ferme a fissare un punto indeciso
sul terreno. Non riusciva a pensare al momento, ogni ragionamento era sconnesso
e mancava di logica.
Solo una preoccupazione. Doveva trovare Sango, da un’ora a
quella parte non l’aveva più vista, chissà se la stava cercando.
Paranoia. Si sa
che l’alcol, dopo qualche tempo lascia unico spazio alle preoccupazioni, il
mondo cade in un baratro di disordine e tutto pare grigio.
Non aveva la forza per muoversi al momento, sentiva freddo.
Chiuse gli occhi, sentiva il sonno partecipare maligno al
suo senso di pesantezza. Le palpebre erano insostenibili.
La testa tornò a girarle peggio di prima.
“Kagome?” Una voce, pareva lontana
al momento. Una scossa.
Aprì gli occhi sbattendo un paio di volte le ciglia brune
per focalizzare l’immagine dinanzi a lei. Annuì soltanto col capo, senza capire
chi in realtà fosse la figura che s’era ritrovata
davanti.
Si sentì sollevare delicatamente dal terreno, cullata tra le
braccia di chissa chi.
Odeva passi, il rumore della ghiaia sotto le scarpe di qualcuno, poi
erba. Non riusciva a distinguere i luoghi.
D’un tratto i passi si
soffermarono. Il buio che aleggiava prima, pareva ora rischiarato appena da un
lampioncino, una luce…
Focalizzò poco a poco le immagini circostanti. Sopra di lei, che la sorreggeva, la figura d’un ragazzo. Era
Naraku. Non lo riconobbe.
Spiccò un lieve sorriso, portando la mano longilinea a
carezzargli la guancia destra. Le iridi scure del ragazzo la osservarono
bonarie. “Piccola cara, guarda come stai, ma ora c’è la tua Kenny
vicino a te” le sussurrò, discostandole un ciuffo scuro che,
ribelle le era ricaduto dinanzi al volto.
Un altro rumore, una portiera. La luce stavolta si fece più
intensa.
“D…dove siamo?” riuscì a proferire lei, lottando tra il
sonno e la veglia. Ora il rumore non s’odeva
più, solamente un fischio sordo, probabilmente residuo della musica assordante
della nottata.
Naraku la poggiò con riguardo sul
sedile anteriore d’un auto. Le sorrise.
“Sei nella mia macchina, tranquilla…ora se vuoi, dormi…ti
riporto io a casa” sussurrò gentilmente, senza imprimere troppo timbro nella
voce, sapeva lo stato in cui si trovava la mora.
Lei sorrise flebilmente, seppur le iridi
nocciola squadrassero il ragazzo/a interrogative. Naraku
vi lesse disordine.
“Kagura ha già riaccompagnato Sango a casa, quella sciocca s’era ubriacata di brutto
stasera…s’è sentita male…ma stai tranquilla, stava
dormendo…”.
Kagome, inconsciamente, sentì quel
peso che prima l’attanagliava, improvvisamente rimosso dallo sterno.
Continuava a rimanere immobile nella posizione in cui Naraku l’aveva lasciata, accoccolata sul sedile, la gamba
destra che scivolava appena sotto questo e le mani
congiunte in grembo.
Naraku la osservò
‘paterno/materno’, cingendole il minuto corpo tra le braccia. Posizionò il capo di lei sulla spalla, pareva quasi una
bambola da quanto era piccola.
Portò la manca a carezzarle gentilmente i capelli neri,
rassicurandola.
“…Restiamo un po’ qui così ti riprendi un po’?” le propose
affabilmente continuando a muovere la mano sul capo di lei,
in un gesto cadenzato.
La mora annuì, chiuse nuovamente gli occhi, lasciandosi
coccolare dalle carezze dell’amico/a e dalle sue
parole.
Che buon profumo.
Il buon odore di Naraku si
rimescolava alla fragranza di quello di Inuyasha, ancora impresso nella mente di lei. Unico ricordo
che avrebbe serbato probabilmente, di quella serata.
Naraku se ne accorse.
Anche lui, come il precedente ‘compagno di nottata’ della ragazza, era un mezzo demone, l’olfatto
sensibile, notevolmente più sviluppato di quello umano, scorse questa nota
contrastante sull’abituale odore della mora che seppur avesse scorto poche
volte, era in grado di riconoscere.
“…Kagome, sei stata con qualcuno
prima?” le chiese in tono disinteressato. Le sopracciglia di questo
s’innalzarono appena, quasi avesse avvertito una sorta
di ‘pericolo’ per lei.
La ragazza annuì mestamente, forse inconsapevolmente.
“Fammi un favore…” continuò lui, pareva leggermente alterato
stavolta il tono che abitualmente appariva in falsetto e più gradevole.
Ora era maschile.
Kagome ascoltò, per quanto le era
al momento concesso, le parole dell’hanyou. “Non
immischiarti con lui…” concluse.
Lei emise un sospiro prolungato, nascondendo il volto sul
petto del mezzo demone, quasi fosse una bambina.
Questo gesto, strappò un ulteriore
sorriso alle labbra di Naraku che tornò a distendere
i lineamenti del volto, ora, illuminati soltanto dal riflesso della luce
intermittente dei fari delle altre macchine che s’apprestavano a lasciare il
luogo.
Alzò lo sguardo, diritto avanti a sé, continuando quel gesto
di consolazione nei confronti della ragazza.
“Piccola Kagome…non sai con chi
hai avuto a che fare, dormi tesoro…e non pensarci più…” sussurrò
tra sé, lo sguardo tornò serio per qualche istante. Sarebbe
rimasto finchè lei non avrebbe ripreso
coscienza.
Abbassò lo sguardo verso la mora, rimanendo qualche istante
ad osservarla. Sospirò. Prima d’essere quel che era diventato, anche il suo cuore
avrebbe potuto battere per una creatura simile, così bella e innocente tra le
sue braccia.
Era cambiato tutto, aveva preso
questa decisione per forza.
Tanti ricordi gli affioravano alla mente, quello stesso
ebano che stava accarezzando, molto tempo prima era
suo. I lineamenti di Kagome, erano così simili a
quelli di ‘lei’.
Un nodo gli strozzò la gola. Il passato era passato.
Cos’era ora? Un finocchio…nient’altro che quello. Eppure, ancora quel contatto, d’un corpo femminile al suo,
sapeva provocargli un brivido intenso lungo la schiena.
Smise di lisciarle i capelli. Lei dormiva,
poteva sentire quel respiro a contatto con la pelle, caldo, regolato.
“…Vorrei poter tornare indietro…a volte…ma
ora…sono felice così…” un commento amaro, aveva parlato con l’aspro in bocca,
malinconico, la sua…infondo…era davvero felicità?
Non si chiese altro. Distaccò la ragazza dall’abbraccio,
poggiandole il capo sul palmo della mano per permetterle d’adagiarsi sullo
schienale del sedile.
Aprì la portiera, silenzioso, scendendo dalla macchina.
Accostò lo sportello, soffermandosi in piedi, poggio gli avambracci tra
l’apertura del portello e del tettuccio, allargandoli appena.
Intrecciò le mani l’una con l’altra, poggiando il mento su
queste.
Lo sguardo s’era perso nuovamente, stavolta in direzione
della discoteca, ancora, poco lontani, s’odevano la
musica chiassosa e gli strepiti della folla.
L’espressione seriosa non cambiò. Fessurizzò
le palpebre, socchiudendole a mezz’asta, quasi minacciose.
“…Inuyasha…se t’azzarderai a
riavvicinarti a questa ragazza…giuro che te la vedrai con me…lei non merita di
soffrire…e soprattutto non merita di venire a
conoscenza del tuo schifoso passato…” si ripromise sottovoce, quasi si stesse
rivolgendo al diretto interessato.
“Casanova…sei in casa?”
Inuyasha mugolò qualcosa,
distorcendo appena la bocca. Tirò un sospiro, prima d’aprire lentamente gli
occhi su ciò che rimaneva della serata.
Lentamente, mise a fuoco l’immagine dell’amico che, dinanzi
a lui sostava con un sorrisetto malizioso dipinto sulle
labbra.
Scosse più volte la testa, intontito. “Cosa…” mormorò
appena, al suono della sua stessa voce però, gli
sembrò come di sentire un forte tonfo. Istintivamente portò a parare entrambe
le mani sulle orecchie sopra la testa, schiacciandole.
“Finalmente ti sei ripreso…Sakura
mi ha detto che eravamo in uno stato a dir poco
pietoso…” sussurrò, per non disturbare ulteriormente il suo udito.
Inuyasha lanciò un’occhiata verso
la consolle. La festa era finita ormai.
“Che ore sono?” mugolò basso nel
tono. Le mani, si spostarono dalle orecchie, che rimasero basse, segno tipico
dei canidi, se avesse avuto
una coda, quella sarebbe stata tra le gambe in quel momento.
“Sono le sei…” rispose il ragazzo col codino, poggiando la
destra sulla spalla dell’hanyou.
“…Il mio…” non finì la frase, portò le mani a sorreggere il
capo, posizionando i gomiti sulle gambe aperte.
Miroku si morse il labbro
superiore. Abbassò lo sguardo, pareva dispiaciuto. Era
colpa sua se il suo migliore amico aveva rinunciato
alla sua serata.
“Mi dispiace…” emise dolente. Era un pessimo amico, doveva
farlo smettere e invece che aveva fatto? Per la sua
stupida gelosia l’aveva incitato a continuare a bere.
Inuyasha distaccò appena i palmi
dal capo, rivolgendo le iridi ambrate sul dongiovanni, erano fisse su di lui,
senza un’espressione particolare, l’oro, lentamente aveva
ceduto il posto ad un tiepido arancio.
Miroku rimase silente. Quando lo guardava a quel modo, significava solamente una
cosa.
Delusione. Lo aveva deluso ancora, sentì quasi una fitta dolorosa al
petto.
Non c’è peggior cosa di vedere disappunto negli occhi d’un amico. Discostò nuovamente le iridi oltremare da quelle
di lui.
Lo sentiva, lo stava ancora
fissando.
“Scusami…davvero…non l’ho fatto apposta…” si sforzò di discolparsi, questa volta era dispiaciuto
veramente.
Probabilmente il mezzo demone non lesse
questa verità nel suo sguardo, giacchè l’aveva
abbassato. Si sollevò a fatica dalla poltrona su cui era stato adagiato
dall’amico. Se così poteva chiamarsi al momento.
“Non è niente…” la sua voce.
Quel tono freddo e distaccato fece sollevare d’impulso il
capo di Miroku. Gli dava le spalle.
Per qualche istante, le iridi cobalte
del moro parvero tremare leggermente. “Inuyasha…” non
proferì altro, cosa poteva dire? Era colpa sua, punto.
“Succede…” un’altra pugnalata al petto. Il timbro
dell’amico, stavolta, era davvero pungente. Atono, alienato.
Non era da lui. Questa volta l’aveva combinata grossa e
sapeva bene, che se avesse perso la fiducia che col tempo, Inuyasha,
gli aveva concesso sarebbe stata solo colpa sua.
Non era una cazzata.
Se l’avesse fatto bere in una
serata normale, non avrebbe detto nulla, forse si sarebbero messi a ridere il
giorno dopo e tutto sarebbe finito la.
Questa volta però, per Inuyasha
era importante, ci aveva messo mesi per completare quel cd.
Portò d’istinto la mano dinanzi alla bocca, come se la sua
colpa si fosse trovata in quel punto e con quel gesto
avesse potuto celarla.
Inuyasha s’avviò verso l’uscita.
Non gli disse altro. Ora ne era certo, era arrabbiato
con lui.
“Ti accompagno?” mormorò alzandosi impulsivamente dalla sua
postazione, allungando la mano destra, come ad intimargli di fermarsi.
“No, ce la faccio a guidare…ci vediamo domani…” rimase
ancora immobile per qualche istante, aprendo solamente la porta d’entrata con
la destra.
Una folata gelida penetrò all’interno della stanza vuota. Lo
stesso freddo percorse la schiena di Miroku, un
brivido non dato dal vento, ma provocato dalle parole del mezzo demone che
continuavano a ferirlo come coltelli ben indirizzati al petto.
L’hanyou volse il capo leggermente
di lato, come per osservare l’amico di sbiego. Le
sopracciglia scure erano inarcate di poco, emise un sospiro, poi lasciò la
stanza.
Miroku rimase solo, immobile.
“Cosacazzo
ho fatto…” si maledisse, avrebbe voluto prendere a cazzotti qualcosa in quel
momento.
Stava male. Raramente gli succedeva, non aveva mai deluso Inuyasha prima d’ora, non aveva mai visto quell’espressione nei suoi occhi.
Le luci si spensero, lui s’avvicinò alla poltroncina sino a dove
poco prima era seduto per riprendere la giacca.
Confusione.Pentimento.Tristezza.
Sango era distesa sul letto. Da
quanto tempo si trovasse in quella posizione nemmeno
lei lo sapeva, sbadigliò appena.
Portò entrambe le mani all’altezza degli occhi ancora
impastati di sonno, fregò i pugni chiusi su di essi.
“Mhh…” quando riuscì a rendersi
conto di dove si trovasse, sobbalzò. Com’era tornata a casa? Si guardò attorno, accanto a lei, addormentata al bordo destro del
letto, v’eraKagura.
Il volto della ragazza era nascosto tra le braccia,
incrociate sul materasso, mentre lei sedeva su d’una
seggiola.
Si tirò su a sedere, discostando appena i lembi della
trapunta distanti dal corpo. Sorrise. Doveva essere stata lei a riaccompagnarla
a casa.Kagome.
Sbarrò gli occhi, aveva lasciato da
sola la sua migliore amica…e adesso?
Lanciò un’occhiata fuori dalla
finestra, ancora buio.
Si fiondò sul cellulare appostato
sul comodino di fianco a lei, compose frettolosamente il numero dell’amica
attendendo che questo squillasse.
Niente. Non c’era segnale.
Le iridi oltremare s’immalinconirono, non doveva bere così tanto, lei era la
razionalità doveva stare accanto a Kagome, non
abbandonarla.
Lanciò il cellulare infondo al
letto, portando le braccia ad abbracciare le gambe ancora nascoste sotto le
coperte. Posò il capo di lato, ponendolo sulle ginocchia.
Kaguraemise un
lieve gemito, aprendo lentamente gli occhi “Mh…Sango…” mormorò alzando il capo dolorante dalla sua
postazione, smosse le spalle in modo circolare per alcuni istanti prima di
poggiare la mano sul collo.
“Tutto bene?” le domandò mista a curiosità e preoccupazione.
Sango annuì, senza cambiare posa.
“Scusami se ti ho fatto scomodare…” borbottò flebile, quasi in un sussurro.
Kagura portò la mano destra sotto
il mento di lei, sorridendole.
“Non dirlo nemmeno per scherzo, ti vedo preoccupata…è
successo qualcosa?” sgranò appena gli occhi, mostrando le iridi fulve,
maggiormente accese col riverbero della luce.
La bruna sospirò, lanciando una sguardata fuori
dalla finestra a vetrata che dava spettacolo sullo stradone inalberato
fuori casa.
La flebile luce lunare, pallida, illuminava appena il
paesaggio cittadino giocando coi chiaro-scuri notturni
fatti di bagliore ed ombra.
“Sono preoccupata per Kagome…”
rispose secca. Inarcò appena le sottili sopracciglia, corrugando la fronte.
La demone portò una mano a
sfiorarle il volto “Tranquilla…vedrai che è a casa in questo momento…” tentò di
rassicurarla, la ragazza, non sapeva che Naraku s’era
occupato del farlo.
Sangotrasalì
“No, non posso stare tranquilla…e se un malintenzionato l’avesse abbordata?”
sbottò, rizzando lo sterno in alto, così da liberarsi dalla carezza
dell’amica.
Occhi Lucidi. Sguardo ansioso.
La youkai, divenne seria,
estraendo dalla borsa appesa alla seggiola il cellulare “Se ti può far star
meglio, chiamo Kenny…è ancora la, le
dico di cercarla ok?”.
Sango annuì, sporgendosi verso Kagura che cominciò a comporre il numero dell’amico.
Dopo qualche istante, la voce di Naraku,
stranamente seria, rispose dall’altro capo dell’apparecchio.
“Naraku…hai per caso visto Kagome?” s’affrettò la demone,
senza girarci troppo intorno.
“Si, è qui con me…state tranquille…la
riporto a casa ora…” non diede tempo all’amica di replicare, che
solamente il rumoreggiare in sottofondo del cellulare continuò a parlare
insistente.
Kagura scosse la testa, abbozzando
un sorriso.
“E’ con Kenny, perciò rilassati”
concluse riponendo nella tasca l’apparecchio telefonico.
La bruna emise un sospiro di sollievo,
tornando ad abbassare le spalle in segno di distensione.
Nervoso.
Sentiva i nervi a fior di pelle, da quando
era rientrato in casa non aveva fatto altro che sbattere tutto. Porte,
finestre, armadi.
L’espressione disegnata sul volto dell’hanyou
lasciava ben poca immaginazione a carpire ilsuo attuale stato d’animo.
Da tempo camminava su e giù per il corridoio della stanza
giungendo sino alla fine di questo, ove era situata la porta della sua stanza.
Si fermava, poi riprendeva il passo
seccato.
Non sapeva s’essere arrabbiato più con Miroku
o con sé stesso.
S’era dovuto ubriacare quella sera, certo.
[Maledizione, non questa sera, la
MIA sera] lasciò che un ringhio basso s’estinguesse nelle profondità della sua
gola, fuoriuscendo dalle labbra come un semplice uggiolìo
sommesso.
Le iridi ambrate erano fisse sul terreno, a squadrare in
modo quasi ossessivo le piastrelle del pavimento che brunite rispecchiavano
ogni suo passo.
Sospirò, soffermandosi dinanzi alla porta della stanza.
Inarcò le scure sopracciglia, posando la destra sul pomello di questa sospingendola
violentemente in avanti.
Subentrò nella camera, rigorosamente avvolta nella
semi-oscurità notturna. I battenti delle finestre parevano
sigillati, tutto era imbrunito dal nero.
Richiuse la porta della stanza dietro di
sé, furiosamente, per l’ennesima volta.
Si gettò sopra il letto a pancia in sotto, rimanendo in
quella posizione per alcuni istanti.
Il volto affondato sul materasso, tra i cuscini.
Gli occhi ancora gli bruciavano tremendamente, non solo per
non aver dormito, ma per la rabbia che in quel momento stava provando.
Ringhiò nuovamente.
Le braccia tremavano lungo i fianchi, immobili. Alzò
l’avambraccio destro sopra il capo, dietro la schiena, richiuse la mano in un
pugno lasciando che questo colpisse impetuosamente il materasso.
Il letto traballò appena, al contatto con la rabbia del
mezzo demone.
L’unica cosa a cui teneva era rovinata.
Premette maggiormente il volto sul materasso, come a tentare
di soffocare la collera in quel gesto.
Odiava quando qualcosa gli andava
storto, soprattutto se quel qualcosa era il suo lavoro.
Si lasciò ricadere su un lato, stanco.
Ancora le mascelle erano serrate, mentre appena i canini
aguzzi venivano mostrati attraverso il lato destro delle
labbra.
Lanciò un’occhiata alle cataste di libri riposte sopra la
scrivania.
Già, la scuola. Anche quella
ultimamente non stava andando perfettamente.
Si volse sul davanti, lasciando che il braccio destro gli
andasse a coprire la fronte, scendendo subito dopo sino a coprirgli la visuale.
Doveva fare qualcosa, non poteva lasciare che la sua vita
gli scivolasse via di mano. Ora che finalmente ne aveva
ricostruita una, la manica della maglia, sfiorò appena il naso, alchè un flebile, quasi inesistente odore gli traversò i
sensi.Era nuovo, o, almeno così lui credeva.
Un misto di sapone e profumo di donna, un odore insolito, ma piacevole.Forse un
odore che gl’era rimasto addosso durante la serata,
tante erano le ragazze che avevano attraversato la pista.
Sospirò nuovamente, discendendo con la mano sino al collo.
“Cos…” si alzò di scatto a sedere, mancava
qualcosa a completare il suo abbigliamento.
Continuò a saggiare la parte tra il collo e l’incavo, non
v’era segno del ciondolo che era uso indossare.
“Accidenti…” strinse la mano contro il collo, come per voler
apprendere realmente che l’oggetto non vi fosse.
Scosse la testa. No, non anche quello.
Morse il labbro inferiore, quasi in modo violento, tanto da
formare un leggero taglio alla base del labbro.
Dopo averci pensato su e dato che ho avuto molti incentivi da
alcuni lettori per farlo, ho deciso di continuare Simply Mine, anche
perché mi spiaceva lasciarla da sola in disparte e anche
perché mi ero promesso di continuarla non appena avessi
finito Tra le corde del Pianoforte, ebbene. Buona lettura.
Atto IX : Tradimento
Amico. Colui che non t’abbandona. Affatto. La parola
fedeltà ed amico il più delle volte non riescono
a rimanere correlate sulla stessa retta. Infatti basta un nonnulla per
concedere ad una vecchia fiamma d’ardere e
d’accendersi ancora di più.
Basta una scintilla ed ecco il fuoco divampare largo. Esistono
anche amici infedeli. Essi sono i reietti della specie, i
volta gabbana. Coloro che ti tradiscono per una donna.
Il gentil sesso è capacissimo d’interrompere se
non deviare una relazione. E’ vista un po’ come una
coppa d’avorio da vincere a tutti i costi e quando entra in
gioco la lotta, eh no, in quel caso non c’è
più nulla da fare.
E’ anche vero che per l’uomo
viene prima di tutto l’amico. Una birra, una
partita. Non si rifiuta mai, eppure c’è sempre
quella piccola debolezza che s’insinua come una gramigna
nella mente.
Se due uomini si contendono una donna due sono le
possibilità : 1) Il vincitore taglia i ponti con
lo sconfitto. 2) Orsù quando ci lasceremo forse ti
darò un’altra possibilità.
Più probabile è la prima in quanto,
quando un amico viene ferito è difficile che si lecchi le
ferite.
Tradito. In tutti i sensi. Quello
stronzo,invitarlo al suo compleanno per ottenere cosa? Un bel
ringraziamento con tanto di presa per il culo e fermo immagine di un
probabile bacio.
Da due ore rimuginava silenzioso nella sua posizione.
Avambracci piegati sulle ginocchia, capo chino ed occhi socchiusi.
Nemmeno sentiva più ormai i toni languidi delle musiche di
sfondo che ancora dipingevano la festa.
Un completo disastro. Maledetto bastardo. L’aver
visto con i suoi occhi quella scena ancora gli lasciava ribollire il
sangue in vena.
Ritmico. Il movimento del piede che impertinente batteva
ritmico sullo scalino. Iridi scure che si scostavano a destra e a manca.
Ebbene ora la mente era pervasa da due movimenti inibitori
l’uno per l’altro. Il primo Scappare, il
secondo prenderlo a cazzotti sino ad esser supplicato.
Furibondo. Era forse la parola
più azzeccata per descriverne l’attuale stato.
Pareva in trance. D’un lato, Kagome, silenziosa osservava la
scena.
L’unico per cui sciogliere l’apparente sua
malizia era Kouga. Vederlo in quello stato a causa sua le aveva
soffocato in petto una morsa ben maggiore delle precedenti.
L’osservava seria. Non una parola era stata
proferita in merito alla vicenda del bagno.
C’era solamente una cosa da fare e lei lo sapeva
benissimo.
“Kouga-kun” un sibilo appena fuoriuscito
dalle labbra. S’era poi fermata nel tentativo di riprender
fiato inutilmente.
Alzando lo sguardo, lo youkai aveva automaticamente interrotto
il flusso respiratorio all’interno del corpo.
Pregno di astio. Forse non nei confronti di lei, per lo
più in quelli di lui. Inuyasha. Ecco
qual’era il nome del problema in corso. Bastardo, infido e
per di più seccante.
Eppure. Già, c’era un ma nella mente di
lei che tornava a farsi vivo e ciclico da un po’ di tempo a
quella parte. Il suo sapore.
Leccò le labbra solo per rendersi conto di che
gesto stupido s’era macchiata. Come quelle bambinette dopo il
primo bacio che, pur di ricordare la presenza del loro amante compiono
gesti insulsi e romantici. Scosse la testa dandosi più volte
della scema.
Infilando le mani in tasca, affondandole completamente mosse
il passo in direzione del demone. Ora lui aveva bisogno di lei, seppur
non avesse ancora inteso bene il motivo della sua apprensione e gelosia.
Erano amici no? Forse aveva sperato
più volte in un qualcosa di diverso. Forse. Prese posto
accanto a lui estraendo una sigaretta dalla borsetta, mentre
l’altra stringeva le falde della giacca lunga per
Mascherare i segni di quel che era accaduto poc’anzi.
Lui aveva rivolto lo sguardo altrove, più in La. In
corrispondenza della macchina dal tettuccio rosso. Chissà
dov’era finito quel bastardo. La vettura era ancora la, se la
ricordava benissimo.
Le iridi bluastre compirono un movimento antiorario
dall’alto verso il basso, come a voler sottolineare la
scocciatura della sua presenza.
Gli pareva persino di sentirlo quel puzzo di cane. Non
l’aveva mai definito a quel modo, pur sapendo di che pasta
fosse fatto l’altro. Avrebbe dovuto aspettarsi un simile
colpo basso.
“Non ti chiederò nulla perché
alla fine non sono affari miei” sbottò di colpo
con una tonalità talmente distaccata ch’ebbe per
Kagome una parvenza quasi informale all’orecchio.
Le pozze scure d’ella si spostarono veloci in sua
corrispondenza, stavolta in modo più diretto.
Quasi in uno scatto.
“Cos’hai detto?”
formulò quieta. Quasi quella frase l’avesse
disturbata. Aveva utilizzato un verbiare talmente finto da sottolineare
perfettamente quel che in realtà doveva essere
sott’inteso, del resto Kouga non era mai stato ferrato in
materia di ‘mostra solo l’essenziale’.
Lui non ripetè altro, si limito ad uno sbuffo per
poi tornare a smuoversi poggiando i palmi sotto il mento. Possibile che
lei non l’avesse ancora capito dopo tutto quel tempo?
Testarda come poche. Era lei infondo.
Pareva che l’ultima frase avesse voluto concludere
il tutto. Era calato un improvviso silenzio, disturbato soltanto dal
vociare insistente di quel che era rimasto della festa.
Un respiro profondo da parte di lei ruppe la momentanea
tensione.
Pareva uno di quei giochini del silenzio che si fanno da
mocciosi, quando la maestra tanto per farti star zitto finge che sia
solamente un modo per divertirsi. Che cazzata.
“Hai frainteso” cominciò lei,
tentando d’instaurare una possibile conversazione. In
realtà nemmeno lei sapeva cos’avesse voluto
intendere con quella frase.
Un sottile nodo aveva cominciato a stringerle la gola in modo
soffocante, quasi si trattasse d’un senso di colpa improvviso.
Lui finalmente le concesse lo sguardo. Tutto quello che lei vi
scorse fu stavolta, solamente divertimento.
Lunatico il ragazzo. Le labbra si lui s’accesero in
una fattispecie di sorrisetto ironico ed amaro nel contempo, come se
con quelle parole l’avesse preso per il culo in tutto e per
tutto.
“Frainteso cosa? D’averti visto
praticamente in principio di pre-copulata col mio ex-migliore amico nel
MIO bagno?” e sollevò le mani per applaudirla.
Nell’istante in cui avvenne il primo contatto tra le
due mani, un’altra assai più veloce
colpì in pieno il volto dello youko arrestandone
immediatamente l’ilarità derisoria.
Rimase immoto. Mentre per un attimo gli parve addirittura che
la mano di Kagome gli si fosse incollata pienamente sulla guancia.
Uno schiocco, niente di più.
Livida di rabbia era. Lo si scorgeva dalle iridi che avevano
assunto una specie di colorazione tendente al rossiccio, tipico di
quando era arrabbiata.
Non disse nulla. Si limitò ad alzarsi
abbandonandolo sugli scalini con tanto d’occhi sbarrati. Era
la prima volta che riceveva uno schiaffo e dato da lei, cazzo, faceva
venti volte più male.
Incurante di Sango che se ne stava placidamente distesa su
d’un divanetto con uno sconosciuto si diresse verso la
piazzola poco distante per recuperare la macchina parcheggiata, per di
più, dietro altre due.
Impossibile uscire al momento.
Rabbiosa. Delusa e presa per il culo. Cosa ci poteva essere di
meglio nella serata?
Oh si. Qualcosa d’ancora meglio. Eccolo il motivo di
tanto scalpore, beatamente poggiato sul cofano della SUA macchina,
anzi, disteso a fumarsi chissà quali schifezze.
Inarcò le sopracciglia ulteriormente osservandolo
dall’alto in basso da lontano. [Ma guardalo, perfettamente
consapevole d’aver scatenato il pandemonio. Sorride lui,
contento della sua vittoria eh?] In un modo o nell’altro era
palesemente infastidita da quella particolare posizione, da quel che si
palesava ai suoi occhi ad ogni passo ed ancor maggiormente Lui.
“Sei contento vero?” proruppe maligna,
quasi ormai si conoscessero da chissà quanto. Proprio non le
importava nulla di quel che sarebbe potuto succedere prima, ora non era
esattamente al centro dei suoi pensieri.
Lui non emise parola. Si limitò a smuovere appena
le orecchie sulla testa avendo avvertito la voce di lei in
avvicinamento, aveva sollevato il braccio per avvicinare la sigaretta
alla bocca e null’altro.
Lei fumava nevrotica, pareva che tutto il corpo le stesse
andando a fuoco tanto era inviperita.
Spense la sigaretta pestandola per ben tre volte sotto il
tacco.
Non gliel’avrebbe data vinta a quel pagliaccio, non
ancora. Doveva calmarsi al momento, sapeva, per quel poco che
l’aveva conosciuto di che giochetti era capace.
Si limitò dunque a circoscrivere la prima macchina,
poi la seconda per poi raggiungere la posizione di lui.
Incrociate le braccia al petto si sforzò
d’emettere un sorrisetto compiaciuto in direzione di lui.
Infingarda.
Lui ancora, si limitò a smuovere le orecchie quasi
infastidito. Nient’altro.
Odioso, era questo solamente. Un bulletto smargiasso e
nient’altro. Il suo comportamento non fece altro che far
trapelare la palese scocciatura di lei che sbottò.
“Sei uno stronzo” fece per voltarsi,
quando finalmente parve esserci una reazione da parte del meticcio che
si sollevò completamente dalla macchina.
Diavolo, da sottolineare per l’ennesima volta che la
vettura in questione era di lei.
“Mi pare che prima non tu non fossi di questo
parere” puntuale come un orologio svizzero dalle parole
dell’hanyou cominciò a farsi viva quella sottile
ironia mista a malizia di cui era padrone ed aveva anche ragione per
giunta.
Le labbra di lei si sollevarono verso l’alto in un
sorriso di scherno. Quanto più lui la stuzzicava, tanto
attraeva la sua attenzione.
Si volse a mezzo busto, posando la mancina sul fianco.
“Allora ce l’hai ancora la
lingua” proferì spinosa. Nascondere la rabbia
infondo era quel che sapeva fare meglio, anche se la situazione
più che rovente parve divenire mano a mano sempre
più simile a quella precedente.
Aveva uno strano potere quel meticcio, dal quale era bene
porsi sulla difensiva.
Sollevò un poco il busto lasciando la giacca libera
d’aprirsi sul davanti.
Da che mondo è mondo, gli occhi di un uomo son
sempre attenti a certi ‘particolari’ e nemmeno
quelli di Inuyasha furono immuni, stavolta dalla mercanzia messa la in
bella mostra come a dire ‘guardale’.
Emise un colpo di tosse sollevandosi in piedi.
Qual’era il motivo per il quale lei se
n’era andata? Il fatto è che cominciava a piacerle
quello strano gioco d’odio e attrazione.
Pericoloso. Tanto meglio.
Un solo, sottilissimo pensiero riuscì a passare la
mente ingegnosa di lui e se questo fosse andato in porto avrebbe
ottenuto una vittoria schiacciante da tutti i punti di vista.
[Povero scemo] lei sorrise arpia ricominciando quel che poco
prima aveva lasciato in sospeso a causa dell’attimo di
debolezza.
Chissà cosa le era venuto in mente, si stava
arrendendo davanti alle labbra di lui come una povera cogliona.
Eh no, ci voleva ben altro per metterle i piedi in testa.
Molto di più.
Lui mosse qualche passo, lasciando cadere la sigaretta di
lato.
Emise un sospiro appena accennato mentre la linea retta delle
labbra aveva assunto una strana conformazione, quasi fosse stato pronto
a violentarla da un momento all’altro.
Oh no, lui era un signore con la S maiuscola, figuriamoci se
aveva intenzione di scoparsi la prima sciaguatta di turno, anche se era
stata capace di spiazzarlo.
Ecco, se l’era dimenticato quel particolare. Ed era
quello che gli rodeva più di tutto.
Smosse di lato il capo, quasi in una mossa calcolata per
riavviare la frangia di sbiego. Silenzio.
[Hai davvero in testa di potermi trattare uno zerbino? Dei,
questa è pazza].
Ed intanto malpensanti l’uno dell’altra
erano a poca distanza l’uno dall’altra. Il problema
Kouga, pareva essersi accantonato per un istante.
“Cosa vuoi da me … eh?” chiese
lui sprezzante, smuovendo la destra in direzione della guancia di lei
in una di quelle languide carezze d’indice che avrebbero
fatto imbestialire anche la più quieta delle sacerdotesse.
Lei no, rimase affabile e gli permise quel gesto.
Smosse leggermente l’anca di lato, chinandosi appena
in avanti col busto. “Da te nulla, la domanda
è… cosa posso volere di te”.
Che donna! Ah, adorava quando lo si metteva alle strette. Lei
smosse alcuni passi in avanti bloccandolo tra cofano e corpo, cosa che
ad Inuyasha non dispiaque affatto.
La lasciò fare, esattamente come lei
poc’anzi.
“Di me? Interessante. Spiegati meglio”
quanto gli piaceva provocarla. Gli piaceva provocare
LEI.
Questa novità lo lasciò abbastanza
perplesso, d’un tratto s’era ritrovato a pensarla
davvero come una possibile preda.
Lo era in effetti. Dannatamente intrigante.
Lei continuò il gioco spostando l’indice
sul petto di lui, lasciandolo correre lungo la superficie di questo
sino all’addome per poi risalire.
Il sorrisetto malizioso di lui s’accentuò
maggiormente. La stava lasciando fare apposta questo era il bello.
Lei, lo sapeva benissimo però continuò
per puro gusto di farlo.
Slacciò il primo bottone della camicia di lui,
andando a sfiorare col palmo la pelle di lui. Mani fredde contro corpo
bollente.
“Questo ad esempio?” lo schernì
lei sollevando il ginocchio tra le gambe di lui.
Socchiuse le palpebre il mezzo, mostrandosi ora quasi
‘eccitato’ dai gesti di lei. Tutta finzione
ovviamente.
Avrebbe potuto continuare quello spettacolino divertente ma
non lo fece. Si scansò di botto lasciandolo con un palmo di
naso.
“Ti piacerebbe eh?” si volse di spalle con
il chiaro intento di abbandonarlo li, come aveva già fatto
con i precedenti.
Inuyasha però, non parve essere della sua stessa
idea. Lui, non era gli altri.
Probabilmente quel
piccolo particolare le era sfuggito. Infatti non gli ci volle molto ad
afferrarle il braccio ed attirarla nuovamente contro di sé.
“Eh no, se cominci un gioco non puoi interromperlo
secondo il tuo volere. Io non sono
Un giocattolo.” sibilò basso nel tono,
andando a sussurrarle al lobo destro in un sospiro.
La fece fremere.
Maledizione, era dannatamente sensuale quel bastardo.
Deglutì appena ma lo nascose con un suono strozzato
della voce. “Quindi vorresti che io
continuassi…” rispose convinta con una sottile
malia.
Lui scosse la testa portando l’indice dinanzi al
volto.
“No, era solamente per mettere una cosa
chiaro” prese una pausa discostandosi dalla sua posizione per
aggirarla.
Si volse di spalle ghighando perfido.
“Io decido quando finiscono i giochi”
concluse schioccando la lingua al palato ed allontanandosi palesemente
soddisfatto.
Ancora una volta, scacco matto.
Kagome rimase li, spiazzata. Maledetto stronzo.
Credeva d’avergliela fatta e lui aveva subito
ripreso le redini della situazione. Cazzo.
Ebbene. Questa è la tipica situazione di rovescio
della medaglia. Quando credi d’avere una vittoria in mano
essa non è altro che sconfitta.
Le bruciò e tanto anche.
Per la prima volta, qualcuno le teneva testa e quel qualcuno
non era altri che un mezzo demone con un autostima un po’
troppo sopra la media.
Il cellulare di lei cominciò a squillare
interrompendo i pensieri che ora, stavano giungendo in
un’unica direzione ed erano, casualmente tutti colpi rivolti
ad Inuyasha.
“Pronto” la voce dell’amica
dall’altra parte dell’apparecchio la
risvegliò finalmente, ed ormai il meticcio era
già lontano dalla sua postazione.
Quanta rabbia.
“Kagome, devo essermi addormentata. Mi accompagni tu
a casa?”
D’un tratto un’idea le balzò
alla mente, piuttosto ardimentosa.
“Mh, Sango ti spiace farti accompagnare da Kouga? Io
stanotte non torno a casa” non diede tempo
all’altra di rispondere, si limitò ad attaccare.
Smosse qualche passo in avanti prendendo ad accelerare sempre
di più il passo.
Lui si fermò di botto, osservandola di sbiego.
Chissà perché si era immaginato quel
tipo di reazione, d’essere seguito ovviamente.
Lei si fermò non molto lontana.
Sottilizzò le iridi un poco.
“Stronzo, stanotte dormo da te” emise soltanto,
questo non sorprese Inuyasha più di tanto che rimase in
silenzio per qualche istante prima di voltarsi verso di lei
completamente.
Cioè, gli si stava offrendo su un piatto
d’argento? Avrebbe passato la notte con uno di cui conosceva
a malapena il nome?
Era pazza? No. Che donna! Quella parola cominciava a tuonargli
in mente da un pezzo ormai.
“Scusa, che hai detto?” si
limitò ponendo entrambe le mani in tasca.
Lei non rispose si limitò a sorpassarlo silenziosa.
[Allora hai proprio intenzione di giocare col fuoco. Bene,
adoro i giochi. Attenzione però, conoscermi potrebbe essere
pericoloso].
Le si affiancò nuovamente, stavolta il riso
malizioso divenne serio.
“Hai idea che potrei essere qualsiasi
malintenzionato vero?”
Si fermò lei, contemplandolo per un istante. Da qui
avrebbe cominciato il suo gioco, eh no, il signorino
l’avrebbe pagata per il suo acume deviato.
Eccome.
“Un malintenzionato che sin ora non mi ha sfiorato
nemmeno con un dito? Mfh” emise prima di continuare.
Lui sorrise, aveva ragione infondo, su questo punto almeno.
Volse un poco lo sguardo indietro, alzando le spalle.
Di nuovo le si affiancò.
Una sfida.
Quale migliore inizio.
Chissà che la preda stavolta, non fosse stata
realmente lui.