The Scientist

di Aelin_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima: la ricerca. ***
Capitolo 2: *** Parte seconda: il dolore. ***



Capitolo 1
*** Parte prima: la ricerca. ***





Rose non sapeva più che pesci pigliare.

Seduta su uno dei sedili del TARDIS, stette a guardare il Dottore che si affaccendava attorno a dei cavi, in silenzio. Era già un’ora che non le rivolgeva la parola. Ed erano quasi due giorni che non avevano una conversazione civile, o un contatto fisico di alcun genere, tipo un abbraccio, una pacca sulla spalla, qualsiasi cosa. Era diventato taciturno, spento, quasi apatico. E non l’ascoltava, era come se per lui lei non esistesse più.

Lo sentì sbuffare piano, e lo vide sollevare la testa, fissando un punto indistinto nelle pareti della pseudocabina, arruffandosi i capelli con una mano. Le faceva tenerezza in questi momenti, quando mostrava questi attimi di stanchezza o… di qualsiasi altra emozione\sensazione umana, sembrava quasi un bambino. E lei doveva fare violenza su se stessa per non correre ad abbracciarlo. Sapeva che era un alieno, ma, dopo averlo visto sbuffare, avvilirsi o gioire come un qualsiasi umano, tendeva a scordarlo.

Si alzò lentamente e si fermò appena dietro di lui. Era disteso sulla grata del pavimento, quasi sotto la console al centro del TARDIS, e lambiccava con il suo cacciavite sonico. Ma non sembrava aver concluso un bel niente. Si chinò sulle ginocchia, tentennando prima di parlare.

-          Ehi, posso aiutarti in qualche modo? – gli chiese, ma lui non diede segno di averla sentita.
-          Dottore? –

Uno sbuffo irritato le diede la conferma che, questa volta, lui aveva sentito. Girò la testa e la fissò con uno sguardo talmente severo che lei s’immobilizzò all’istante.

-          In questo momento, l’unica cosa che puoi fare è tacere. Quindi taci. –

Il suo tono era gelido, privo di emozione, inflessibile. Rose sentì i bordi dei propri occhi cominciare a pizzicare, mentre nella sua gola cominciava a formarsi un groppo che sapeva di lacrime.

-          Okay, io… faccio un giro. – la ragazza si diresse velocemente verso la porta.

Uscì quasi di corsa, per non fargli vedere le prime gocce trasparenti che già le rigavano le guance candide e andavano a morire nella curva morbida delle labbra e del collo.
Fuori Londra era come la ricordava. Rumorosa, piena di persone e… uggiosa. Terribilmente uggiosa. Pioveva a dirotto, e Rose si ritrovò fradicia in pochi secondi.
Ma non le dispiaceva. Cosa c’era di meglio della pioggia per nascondere le lacrime?
Si fermò in mezzo ad un marciapiede per alzare lo sguardo verso il cielo. Era cupo, e i lampi di tanto in tanto illuminavano le nuvole scure. Non sapeva dove andare. In un altro momento sarebbe andata da sua madre, per approfittare che il TARDIS fosse approdato là, ma non era dell’umore giusto.

Un singhiozzo la fece tremare e, cercando di distrarsi, si sedette su una panchina bagnata per pensare. Cosa era rimasto nella sua vita? Niente, nessuna certezza, nessuno su cui contare. Prima credeva che sarebbe stata sempre con il Dottore, a viaggiare per le galassie nel TARDIS, ma da quando lui aveva cambiato aspetto era come se… una barriera invisibile si fosse messa i mezzo a loro. E ormai sapeva che, in un futuro non troppo lontano, lui si sarebbe stancato e l’avrebbe mollata sulla Terra, lasciandola sola. Sola come era adesso, sotto la pioggia. Se qualcuno avesse guardato fuori dalla finestra, lei sarebbe parsa come un fantasma, una cosa non reale, eterea. Non era la solitudine a spaventarla. No, se fosse stato per questo lei non avrebbe avuto problemi, aveva convissuto con il vuoto per diciannove anni. Quello che la terrorizzava e la faceva stare male era il pensiero di perdere quella vita, di perdere il TARDIS e le stelle, di perdere… LUI. Dio, cosa avrebbe fatto? Aveva visto la sua vecchia compagna, e nei suoi occhi, anche se celato, era ancora vivo il dolore lancinante dell’abbandono, lo sapeva.

Lui era diventato tutto il suo mondo, dannazione!, aveva lasciato pure Mickey per stare con quel… Pazzo. Ogni volta che rischiavano di morire, Rose non temeva per se stessa. No, lei poteva pure scoppiare in tanti mille pezzettini, ma aveva bisogno di sapere che lui era al sicuro, che era vivo.
Lui. L’ultimo Signore del Tempo.
Ancora non si era abituata all’idea, le sembrava talmente assurdo che le venne quasi da ridere. Ma invece le sfuggì un altro singhiozzo.

-          Ehi, ma… stai bene? –

Una voce le fece alzare un sguardo speranzosa, ma il sorriso le morì sulle labbra vedendo che davanti a lei c’era solo un ragazzo.

-          No, non credo… -

Era biondo, e gli occhi verdi apparivano vivaci nella nebbia londinese. Si sedette accanto a lei.

-          Allora ti faccio compagnia. –
-          Non hai niente di meglio da fare? –
-          A dir la verità, non proprio, e poi… non mi piace veder piangere le belle ragazze come te. –

Rose fece un piccolo sorriso, alzando lo sguardo verso il cielo.

-          E tu saresti? – gli chiese.
-          Chiamami Garth. –
-          Io sono Rose. –
-          Lo so. –
-          Aspetta, come fai a… -

Prima che potesse reagire, il ragazzo le premette un panno umido contro la bocca e il naso. La ragazza riconobbe l’odore del cloroformio. Poi tutto divenne indistinto.
 
 





Una nube di fumo si levò contro il soffitto\cupola del TARDIS, e un’imprecazione risuonò nell’aria, satura di puzza di bruciato. La grata di uno dei pannelli del pavimento venne messa a posto, e un uomo emerse dalla “nebbia”, con un sorriso luminoso sulle labbra. In mano roteava lentamente un bastoncino di metallo, con una lucina blu all’estremità. I capelli castani erano arruffati, la faccia aveva l’aria stanca, ma gli occhi color nocciola erano vividi e curiosi. Non era riuscito a riparare il TARDIS… perché non c’era niente da aggiustare! La sua macchina era sana come un pesce (se così si poteva dire). Il problema era la volontà. La “nave” non VOLEVApartire. Restava solo da capire il perché. 

Mettendosi le mani sui fianchi e spostandosi davanti alla console, il Dottore cominciò a borbottare tra sé, formulando teorie e scartandole subito dopo. Pian piano, la sua fronte cominciò ad aggrottarsi. Alzò di scatto la testa, guardando la stanza. C’era troppo silenzio, dentro la cabina. Dov’era Rose?
Si ricordò che, circa un’ora prima, la ragazza gli aveva chiesto se poteva aiutarlo e lui, seccato perché non riusciva a capire cosa aveva il TARDIS, le aveva risposto male. E lei era uscita fuori… Si fiondò verso la porta, l’aprì e si bloccò quando la sua visuale si riempì della pioggia di Londra e il suo rumore li giunse alle orecchia. Un senso d’inquietudine lo invase. Lei odiava stare sotto un acquazzone… Si spinse fuori e, ignorando la sua giacca che cominciava ad inzupparsi, si guardò intorno, chiamandola ad alta voce, cercando di sovrastare gli scrosci d’acqua. Il Dottore cominciò ad aver paura.
 
 




Rientrò una decina di minuti dopo, con i vestiti fradici e la gola indolenzita. Era stato tutto il tempo ad urlare il suo nome, aveva cercato nei dintorni, ma niente. Era sparita. Si sedette su uno dei sedili, con i capelli appiccicati alla fronte e gli occhi spalancati e allarmati, colmi di preoccupazione. Forse è andata da sua madre, pensò, alzandosi. Sperava di si, anche se… lei glielo avrebbe detto. Ma valeva la pena tentare.
 
 



Jackie stava guardando la televisione, ne sentiva il volume attraverso la porta. Avrebbe potuto aprire la porta senza problemi, ma preferì suonare il campanello. Dopo qualche minuto, Jackie apparve, e sorrise, vedendolo. Ma, notando che era solo lui, il sorriso scomparve. E il Dottore ebbe la conferma che la ragazza non era lì.

-          Dov’è Rose? –
-          La stavo cercando. –
-          Che vuol dire “La stavo cercando”?! Dottore, lei ha promesso di proteggerla! –

Uno schiaffo gli arrivò all’improvviso, e sulla guancia comparve l’impronta della mano.

-          Ahia! – protestò, guardandola male.
-          Veda di trovarla!!! –

La porta gli fu chiusa ad un palmo dal naso.
 
 






Non gli rimase altro che tornare al TARDIS e aspettare lì. Probabilmente Rose aveva deciso di abbandonarlo. E come biasimarla? Lui la metteva in pericolo ogni volta, e, nonostante la bellezza delle stelle e dei pianeti che avevano visto e visitato, questa vita stancava. E poi… si rese conto che era tutta colpa sua. Già dall’inizio si era innamorato di lei, ma, forse per paura, non le aveva mai permesso di… avvicinarsi emotivamente a lui. L’aveva invischiata in un tira-e-molla perpetuo e quasi sicuramente lei se ne era tirata indietro per non soffrire più. Un sorriso triste comparve sul suo viso. All’inizio aveva creduto che lei fosse una delle tante che lo avevano accompagnato nel corso dei suoi lunghi anni, ma solo ora realizzava che, in fondo, aveva sempre saputo che era diversa. Gli era entrata dentro, e questo non poteva cambiarlo.

La amava?

Questo pensiero lo sorprese così tanto che inciampò e finì spalmato sull’asfalto, ma non se ne preoccupò, tanto era già bagnato fino al midollo. Se non si fosse asciugato, si sarebbe preso un malanno. In questo era molto umano. In tutti i suoi 900 e passa anni non si era mai innamorato veramente. Non se l’era permesso. Aveva chiuso in gabbia il suo cuore (i suoi due cuori, ma questi sono dettagli) e aveva evitato di legare troppo con qualcuno. Perché aveva perso troppe persone. Il suo popolo, i suoi familiari…
Aveva provato affetto per le sue compagne, era vero, e si era permesso qualche bacio per farle felici, ma non si era mai spinto altre a questo. E ora Rose… Dio, era riuscita a superare tutte le sue barriere e ad insinuarsi dentro di lui.
Doveva trovarla. Se aveva deciso di lasciarlo, allora doveva dirle, per la prima e ultima volta, che l’amava. Anche se non poteva stare con lei. Era umana, e la sua vita era infinitamente più breve di quella del Signore del Tempo. Scacciò via quel pensiero. Ora il problema era trovarla. Riprese a camminare, pensando a qualche soluzione, fino a quando non posò lo sguardo sul TARDIS.

E un sorriso gli illuminò il volto. Rose aveva guardato nel cuore della macchina, ne aveva assorbito l’essenza, e, anche se poi l’aveva restituita, aveva lasciato un segno. Segno che poteva usare per trovarla. Si fiondò dentro la cabina blu, e, senza neanche preoccuparsi di chiudere la porta, si inginocchiò su una grata, spalancando poi un pannello inferiore della console. Dovette chiudere gli occhi, accecato dall’intensa luce bianca che si sprigionò, e, dopo che si fu abituato, vi immerse lo sguardo.

Nessuno sapeva cosa c’era dentro il TARDIS, nei suoi luoghi più nascosti. Alcuni dicevano che vi era un segreto in grado, al solo udirlo, di uccidere un uomo. Altri ipotizzavano che vi era una creatura sconosciuta molto potente, e ciò era riconducibile al fatto che la macchina era un’entità vivente e cosciente. Altri ancora affermavano (e il Dottore era più incline a questa teoria) che vi era una tale energia che, se finita nelle mani sbagliate, sarebbe stata in grado di distruggere tutte le galassie e i pianeti esistenti e di cancellare definitivamente ogni essere vivente nell’universo. Mentre la guardava, gli parve di scorgere due occhi, anziani e sapienti, che lo fissavano con accondiscendenza. Ma un secondo dopo erano spariti, quindi pensò di averli immaginati. Sporse il viso, e, con l’aumento d’intensità della luce, chiuse le palpebre, cominciando a concentrarsi. Immaginò Rose, vide i suoi capelli biondi, le ciglia lunghe e arcuate, gli zigomi perfetti, la pelle candida e le labbra rosee e piene, che avrebbe tanto voluto…

Smise di pensare a questo, e intrise la propria richiesta di preoccupazione e ansia. Capì che aveva funzionato quando con uno scossone fu allontanato di slancio dalla console mentre il TARDIS cominciava a sussultare e a muoversi. Il Dottore chiuse allora il pannello e corse ai comandi, dove cominciò ad abbassare leve, a premere bottoni e a dare martellate ad alcuni bulloni. Dopo qualche secondo, la macchina si fermò. Si mise un altro completo, e, dopo essersi infilato il soprabito e aver controllato di avere il cacciavite sonico, aprì la porta.

Il rumore assordante lo sorprese talmente tanto che rimase bloccato per alcuni secondi. Era in una stanza quadrata, in penombra, e l’abbondanza di cappotti e giacche sulle sedie e per terra lo portò alla conclusione che, molto probabilmente, quello era un guardaroba. La musica pulsante e ripetitiva proveniva da una porta di fronte a lui, di legno scuro. Quando l’aprì, il rumore si fece più forte, tanto che dovette quasi tapparsi le orecchie. Una sala enorme era gremita di gente che si dimenava come assatanata a tempo di musica. Ai lati, in dei divani o delle sedie, numerose coppiette limonavano. Il Dottore sollevò un sopracciglio. Perché il TARDIS lo aveva portato in una discoteca? Si mosse scivolando in mezzo alla folla, cercando di passare inosservato. Ma evidentemente non funzionò, perché nel giro di cinque minuti si ritrovò due ragazze totalmente ubriache spalmate addosso, che cercarono di baciarlo. Stufo di quella situazione, se le scrollò di dosso e puntò il cacciavite contro le casse, premendo il bottone. La musica si interruppe di botto. Nella confusione generale, un ragazzo gli si avvicinò.

Era biondo, e gli occhi verdi erano calmi e controllati.

-          Venga con me, Dottore. –
-          Dov’è Rose? –
-          Venga con me. –

Il Signore del Tempo lo seguì attraverso la folla verso una porta che, inizialmente, non aveva visto. Quando la oltrepassò, due uomini spuntarono dall’ombra dietro di lui, afferrandolo e trascinandolo in avanti, quasi di peso.

-          Grazie, non sapevo di non essere in grado di camminare. – replicò lui sarcastico.
-          La stavamo aspettando. –
 
 




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Capitolo 2
*** Parte seconda: il dolore. ***






Lo portarono dentro una specie di magazzino, annesso alla discoteca. Era buio, c’erano scatoloni dappertutto e, accanto ad uno di essi, vide… Lei.

Era riversa su una specie di vecchio divano, senza sensi. Sembrava star bene, non aveva ferite visibili, o sangue, che potesse segnalargli qualche trauma.

-          Cosa le avete fatto? –

Il Dottore si avvicinò velocemente, si inginocchiò davanti a lei e le controllò il battito cardiaco, che, fortunatamente, era forte e regolare. Le sollevò una palpebra e controllò con una piccola torcia la pupilla. Ma era tutto a posto.

-          Non sapevo che fossi un vero dottore. – constatò il ragazzo, che si era fermato dietro di lui.
-          Non lo sono, infatti. So solo alcune cose di base. Perché lei è qui? – chiese, alzandosi.
-          L’abbiamo presa come… incentivo. – poi, cogliendo il suo sguardo, precisò – ma non abbiamo intenzione di farle del male. L’ho stordita con del semplice cloroformio. –
-          Cosa volete da me? – il Dottore si passò una mano tra i capelli, continuando a guardarlo.
-          Vogliamo tornare a casa. E abbiamo bisogno del tuo aiuto. –
-          Cos’è successo? –
-          La nostra nave è precipitata sulla terra circa… cento anni fa. Durante tutto questo tempo abbiamo cercato dei corpi da usare, e per il resto abbiamo aspettato una mente superiore  che potesse aiutarci a tornare sul nostro pianeta. –
-          Dei corpi? Che cosa siete? –
-          Siamo Taleriani. –
-          Taleriani… - il Signore del Tempo camminò per il magazzino, aggrottando la fronte. – Intendi quella specie di alieni, provenienti dal pianeta Diana, famosi per il loro altissimo tasso di mortalità? –
-          Siamo noi. –
-          Mi sono sempre chiesto… perché tutti quei morti? Non fate altro che morire.
 


Il ragazzo guardò uno degli uomini presenti nella stanza. – Mostrati. – gli disse.

Quello fece un piccolo cenno di assenso, e poi parve perdere i sensi, accasciandosi sul pavimento. Dalla sua bocca, un sottile filo di fumo verde cominciò a sollevarsi, sempre di più, fino a formare, accanto al corpo, il contorno di una forma grottesca, tutta curve e protuberanze, simile ad un’enorme blob. Pian piano cominciò a prendere consistenza, per poi rivelarsi. Era un ammasso di gelatina verde, con una forma vagamente umana, come si vedeva dagli arti abbozzati. Due enormi occhi si aprivano su quella che doveva essere la testa, e uno squarcio rappresentava la bocca.

-          Meraviglioso. – il Dottore si avvicinò, girando attorno all’alieno e studiandolo.

Curioso, immerse un dito nel blob, percependolo leggermente umido e gelatinoso.

-          Ma non ho ancora capito perché continuate a morire. – disse ad alta voce.
-          Il nostro corpo è fragile, Sir. Anche un minuscolo cambio di pressione, o un suono troppo forte, è letale. –
-          Non ho ancora affermato il tuo nome. –
-          Chiamami Garth. – disse il ragazzo.
-          Ok. Allora, Garth… praticamente vi serve un corpo per vivere, giusto? –
-          Dice bene. In forma umana siamo più resistenti. –
-          Come fate ad entrare? –
-          Ci insinuiamo nella mente, tra le varie sinapsi e i circuiti, fino a prendere il controllo. –
-          Quindi… il ragazzo di cui hai preso possesso è vivo. –
-          No, Signore. Siamo una razza estremamente pacifica, e, quando siamo atterrati qui, per evitare di fare del male abbiamo preso dei corpi incoscienti dall’ospedale. –
-          Avete preso delle persone in coma? –
-          Si, ma la loro mente era già andata. Erano corpi vuoti, abbiamo controllato. –

Il Dottore si sedette sul divano, prendendo poi il capo di Rose sul proprio grembo. Era ancora svenuta, e i capelli biondi le ricoprivano il volto. Li scostò, passandoci poi le dita in mezzo.

-          Cos’è successo alla vostra nave? –
-          Non lo so con certezza, il nostro comandante, che era anche il capo tecnico, è morto quando la navicella è entrata nell’atmosfera. La troppa pressione l’ha ucciso. Però credo sia solo un problema con i circuiti. –
-          Mostratemeli. –
 
 
 




Rose aprì piano le palpebre, percependo qualcosa che ondeggiava, sotto di sé. Leggermente stordita, alzò la testa, guardando in avanti. Era in una strada, il TARDIS poco distante, e si stava avvicinando. Ma non era lei a camminare.

-          Ben tornata, Rose Tyler. – mormorò una voce poco sopra il suo orecchio sinistro.

Un respiro caldo la fece rabbrividire. Girando la testa, vide il Dottore che le sorrideva, mentre la portava dentro la cabina. L’aveva tenuta in braccio per tutto il tragitto.

-          Cos’è successo? – chiese la ragazza, mentre lui le faceva poggiare i piedi per terra e l’aiutava a rimanere in equilibrio.

Un capogiro la sorprese e il Signore del Tempo la sorresse, stringendola contro il proprio petto. Rose sentì le proprie guance avvampare.

-          Solo un paio di alieni che avevano bisogno di un tecnico. –
-          Che vuoi dire? –
-          Niente di preoccupante. Gli ho solo sistemato un paio di circuiti e loro sono tornati a casa. –
-          Ah. Ok. – Rose si scostò improvvisamente a disagio. – Non mi sono persa niente, allora.

Un silenzio imbarazzante calò dentro la sala. La ragazza si appoggiò con il bacino contro la console, incrociò le braccia sullo stomaco e alzò lo sguardo verso il Dottore, che, dopo esser tornato serio, le rivolse uno sguardo di scuse.

-          Rose, mi dispiace per come ti ho trattato stamattina. –
-          Non importa. –
-          Invece si. Mi dispiace. – si avvicinò, fino ad essere di fronte a lei.
-          Tranquillo, Doc. Va tutto bene. –
-          Non chiamarmi Doc! –
-          Perché, se no che mi fai? – chiese, sorridendo.

Un secondo dopo, le labbra del Dottore erano sulle sue, leggere, quasi titubanti. La ragazza rimase immobile, stordita e incredula, indecisa sul da farsi. Solo quando percepì l’altro allontanarsi riuscì a muoversi, poggiandogli una mano sul collo e l’altra nei capelli, trattenendolo, e approfondendo il bacio. Non riusciva a pensare lucidamente, l’unica cosa che sentiva era il corpo premuto contro il suo, e il principio di un’erezione che le premeva contro la coscia. Lo strinse più forte, mettendosi a sedere sulla console e posizionando le proprie gambe attorno ai suoi fianchi. Lo sentì gemere nella sua bocca, e percepì distintamente il limite che, inconsapevolmente, si erano posti, venire infranto.

La sua maglietta venne sfilata via, e Rose rabbrividì, venendo a contatto con l’aria un po’ fredda presente nel TARDIS. Aiutò il Dottore a liberarsi del soprabito, della giacca. Quasi gli
strappò via la cravatta, e un paio dei bottoni della camicia saltarono, tintinnando contro le grate ai loro piedi. Si prese un minuto per contemplare il petto davanti a lei. Era magro, e glabro, con un lievissimo accenno di addominali, quasi inesistente, ma a lei piaceva, come le piacevano quelle labbra che le stavano vezzeggiando il collo e la clavicola, e che le fecero alzare il viso in alto, e chiudere gli occhi.

Si sbilanciò leggermente all’indietro, per permettergli di raggiungere il seno, trattenuto da un semplice reggiseno bianco, e così facendo fece scattare per sbaglio una leva e tutta la macchina ebbe uno scossone. Ma a quanto pare il Dottore non voleva, e forse non poteva, fermarsi, perché, senza smettere di baciarle il seno, premette un bottone, che fece fermare il meccanismo che lei aveva erroneamente innescato.

-          Forse dovremmo spostarci… - propose lei, facendogli alzare la testa e guardandolo negli occhi.
-          Forse è meglio. Finisce se no che ci ritroviamo a Timbuctu. – concesse lui, prima di strapparle l’ennesimo bacio.
 
 
 



Il Dottore sfiorò con la punta delle dita la schiena nuda di Rose che, distesa parzialmente su di lui, dormiva. Erano sul letto, avvolti in uno stropicciato lenzuolo bianco che li copriva fin sopra la vita. Non sapeva cosa pensare. Non era pentito di quello che aveva, anzi, avevano fatto, ma non riusciva a fare a meno di pensare a quali sarebbero state le conseguenze.
Non voleva lasciarla, fosse stato per lui avrebbe rinunciato alla sua vita immortale per stare per sempre al suo fianco, ma era impossibile, e sapeva che la separazione, inevitabile, ora sarebbe stata più dolorosa. Per entrambi.
Rose si mosse un poco, e si strinse un po’ di più a lui, affondando il viso nel suo petto e continuando a dormire. Il Signore del Tempo si chiese se per caso non fosse ora di svegliarla, ma rimase incantato a guardarla. Era così bella…
 
 




-          Buongiorno… - mormorò una voce al suo orecchio.

La ragazza aprì piano un occhio, leggermente stordita dal sonno. La prima cosa che vide fu la curva di un collo bianco davanti a lei. Svegliandosi del tutto, sollevò la testa, si stropicciò gli occhi e sorrise al Dottore, che la guardava divertito.

-          Che c’è? – chiese con voce impastata.
-          Niente, sei tenera quando dormi. –
-          Io non sono tenera. –
-          No, certo…  - il sarcasmo nella sua voce era evidente, quindi lasciò perdere.

Scostandosi un poco, cominciò a stiracchiarsi, facendo una smorfia quando i muscoli, indolenziti dall’ “attività fisica” della sera prima, si fecero sentire, doloranti. E questo le fece venire in mente che non sapeva esattamente come comportarsi. Insomma, aveva fatto sesso con il Dottore! Chissà che cosa avrebbe comportato.

-          Quanto ho dormito? – chiese, scostando leggermente il lenzuolo e sollevandosi.
-          Dieci ore, a occhi e croce, direi… -
-          Tu non hai dormito? – notò che lui era perfettamente sveglio.

E anche a proprio agio, come se finire a letto con una sua compagna gli succedesse tutti i giorni, constatò una vocina nella sua mente, e Rose sentì subito una morsa di gelosia che gli stringeva lo stomaco. Si agitò un pochino, cercando di non fargli vedere il fastidio che provava.

-          Giusto un paio d’ore. Non mi serve realmente il sonno. –
-          Cosa sei, Edward? –

Il Signore del Tempo aggrottò la fronte. – Ehm… non credo di capire il paragone. –

-          Lascia perdere. – mai paragone fu meno azzeccato, concluse tra sé, guardando rapita il suo corpo.
-          Ok. –
 




Calò un maledetto silenzio imbarazzante. Rose si agitò un altro po’, si schiarì la voce, ma non sapeva cosa dire. Il Dottore era anche lui imbarazzato, cercava di non guardarla. La cosa poteva apparire giusta.

-          E ora cosa accadrà? – sbottò infine la ragazza, mentre la gelosia e soprattutto il terrore le occludevano quasi del tutto la gola.
-          Che vuoi dire? –
-          Intendo… ora che… beh, abbiamo fatto sesso, mi manderai via, no? –

Lui si alzò a sedere, guardandola accigliato.

-          Ma cosa stai dicendo? – le chiese,  confuso.

Lei evitò il suo sguardo, abbassando il volto.

-          È quello che fai, no? Giri con delle compagne, e, quando si sfocia in… questo, le mandi via e te ne cerchi un’altra. –

Rimase con la testa abbassata, stringendo un lembo del lenzuolo al proprio petto, senza avere il coraggio di alzare lo sguardo e trovare la conferma nei suoi occhi che si, quella per lui
era stata solo una scopata, magari neanche una delle migliori, e che, come con tutte le altre, ora l’avrebbe mandata via. Sentì già le lacrime salirle agli occhi, ma le scacciò via sbattendo velocemente le palpebre, non voleva mostrarsi debole.
Quindi rimase piuttosto sorpresa quando il Dottore le alzò la testa e la guardò severo.

-          Rose Tyler, sento le rotelle del tuo cervello che corrono all’impazzata, e sono sicuro che quello che stai pensando è ciò di più sbagliato che esiste al mondo. Io non ti manderò via. –
-          Ma… -
-          Sh. – le mise un dito sulle labbra. – Solo perché abbiamo fatto l’amore, perché è questo che abbiamo fatto, non vuol dire che tutto debba cambiare. Io so cosa provo per te, so che ti amo, e sappiamo entrambi che non è una cosa che può durare. Mi dispiace, vorrei tanto che tutto fosse diverso, ma è così. E non mi pentirò mai di essere qui, in questo letto, con te. –

Lei rimase in silenzio, a guardarlo.

-          E poi... non è mai successo niente con le altre. -

Rose non riuscì a dire niente. Lo stritolò soltanto.
 
 
 
 

Come aveva previsto il Signore del Tempo, non durò.

Quattro mesi dopo, Rose era in lacrime, in ginocchio sulla sabbia della Bad Wolf Bay. Sentiva una voragine che le si apriva nel petto, mentre tutto il dolore le si riversava addosso. Il Dottore se ne era andato, e lei non l’avrebbe visto mai più.

Si strinse le braccia attorno alla pancia, rannicchiandosi, incurante della sottile polvere che le si infilava nel vestiti, dentro le scarpe, e non percepì ciò che c’era di diverso.
Rimase solo a piangere, addolorata, fino a quando non ebbe più lacrime da versare. E allora, sfinita, e vuota, si alzò, con gli occhi rossi e incavati. Doveva andare avanti. Ma senza di lui niente aveva più senso.
 



Ciò che Rose Tyler non sapeva, era che dentro di lei, quasi all’unisono, battevano tre cuori. 
 
 
 
 
 
 
 
 




Angolo autrice:
Buonasera a tutto il mondo, a tutti gli esseri viventi e non, terrestri o meno!
Ok, sto sclerando!
Niente, che devo dire?
Spero che, a chi abbia letto, questa storiella sia piaciuta, e proprio per questo mi sento in dovere di ringraziare MARS88, che mi ha dato un motivo valido per concluderla! Se non l’avesse fatto, probabilmente l’avrei riscoperta tra un anno o due e l’avrei cancellata.
Quindi… GRAZIE!!!
 

Bacioni,
Aelin.

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