You ever love me?

di Virgi Chris Salvatore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Damon Salvatore. ***
Capitolo 3: *** Welcome to Mystic Falls. ***
Capitolo 4: *** Mystic Falls High School. ***
Capitolo 5: *** The Dance. ***
Capitolo 6: *** What do you want from me? ***
Capitolo 7: *** The Lake House. ***
Capitolo 8: *** Remember. ***
Capitolo 9: *** Truth Below. ***
Capitolo 10: *** You're not. ***
Capitolo 11: *** The Past. ***
Capitolo 12: *** My only Sunshine. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


You Ever Love Me?
 

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Prologo.

 

Era una sera di Giugno, faceva caldo come mai aveva fatto a Dreep, un paesino sperduto del North Caroline.
Mamma e papà avevano promesso di portarmi al lago, dove andavamo ogni estate e dove non saremmo più andati, visto che ci saremmo trasferiti in Virginia per via di un importante promozione che papà aveva ottenuto dopo anni e anni di estenuante lavoro nell'azienda del nonno, ovvero suo padre, il prestigioso imprenditore nonché miliardario Sue John Hollister.
Io non passavo molto tempo in sua compagnia, e non potevo dire di essermi affezionata a lui perché per lui esisteva solo una cosa; quella cosa che chiunque vorrebbe avere, quella cosa che crea dipendenza, quella cosa per cui la gente è pronta ad uccidere. Sì esatto, avete indovinato: il denaro.
Il nonno credeva che con il denaro si potesse comprare tutto, persino l'affetto di una persona.
Infatti, quelle due volte al mese che mamma lo invitava a cena per via delle festività, arrivava fornito di magnifiche bambole di porcellana che alcuni bambini potevano solo sognare, quelle con i vestiti di seta, gli occhi di diamanti e la pelle di una porcellana pregiata che fabbricavano solo in Italia.
Io le accettavo e ringraziavo sempre, come mamma mi aveva insegnato, ma quando il nonno diceva che doveva andarsene presto per via dei suoi affari, le mettevo nello sgabuzzino insieme a tutti i suoi altri regali. Io ero una bambina testarda, mamma e papà me lo dicevano sempre.
Ero monella con un caratterino niente male. In poche parole, sin da bambina, non mi facevo mettere i piedi in testa proprio da nessuno nemmeno a scuola, quando i soliti bulletti cercavano di prendermi la merenda: quando intimorivano i miei compagni loro abbassavano immediatamente la testa, si guardavano la punta delle scarpe e ubbidivano, io no.
Infatti spesso tornavo a casa con qualche livido o qualche graffio, ma non mi importava; non mi sarei mai abbassata alla loro tirannia. Tuttavia, devo dire che mi piaceva quella piccola città di campagna, mi sarebbero mancati i miei amici, il mio cavallo e il mio lago.
Ci passavo sempre i pomeriggi, quelli caldi da morire, quelli in cui a casa proprio non ci si poteva stare.
Mi sedevo sulla riva del fiume e cercavo di acchiappare le rane, e spesso me le portavo a casa. Io amavo le rane, le amavo da quando mamma mi raccontò la favola
La Principessa e il Ranocchio.
E' sempre stata la mia favola preferita, infatti al lago le trattavo bene e cercavo di dar loro un po' d'affetto.
A nessuno piacevano le rane e i rospi, e per questo dovevano sentirsi molto soli. Secondo me, però, non era giusto.
Loro erano nati così, con gli occhi un po' sporgenti e la pelle verde e rugosa, ma non era colpa loro.
Loro non ne potevano
nulla.
Cercavo sempre di vedere le cose con il cuore, non con gli occhi; cosa che spesso la gente non fa.
ùNon sempre si decide cosa essere, lo si è e basta.
E' ciò che facciamo ciò che determina
quello che siamo.
Papà mi ripeteva una frase, quella frase tanto vera quanto famosa, che diceva così: “Non si vede bene che con il cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi.” Esatto,
Il Piccolo Principe.
Era il suo libro preferito, me lo leggeva sempre prima di andare a dormire. Poi mamma mi dava un dolcissimo bacio sulla fronte e mi cantava una ninna nanna che mi cullava dolcemente nei mie sonni sereni:

 

Io ti regalerò ogni singolo

risveglio la mattina

e poi lascerò i capelli

scivolarmi fra le dita,

ti regalerò ogni singola carezza

quando è sera,

ho imparato già

ad amarti senza più riserva alcuna.”

 

Eravamo in viaggio ormai da qualche ora, l'alba era salita, e mancava poco più di mezzora all'arrivo. Io avevo preso qualche barattolo con della marmellata che mamma teneva per merenda e colazione, ma io lo presi per dare la marmellata alle rane e, magari, intrappolarci dentro qualche rana per poi portarla a casa.
Mamma si sarebbe arrabbiata. Oh si.
Scendemmo dalla macchina e io corsi subito verso il lago togliendomi le scarpette rosse fuoco che s'intonavano perfettamente ai miei capelli mossi e selvaggi che mi cadevano spesso sul viso, coprendo i mie due grandi occhi che sembravano due smeraldi. Immersi le gambe nell'acqua fino al ginocchio, tirando su con le manine affusolate il mio vestitino bianco, casto e puro, quello che a mamma piaceva tanto. Diceva che sembravo una bambola. Infatti era così, non solo lei me lo diceva. Intanto mamma e papà si erano sdraiati sull'altra riva del lago, avevano chiuso gli occhi e si erano abbandonati al più completo e assoluto relax. D'altronde se lo meritavano. Mentre stavo giocando con le rane che saltellavano di qua e di là, sentii gracchiare. Cra. Mi guarda attorno. Cra. Cra.
Eccolo lì. Un grosso e magnifico corvo era appollaiato su un ramo e mi fissava. Dio, quant'era bello. Il più bello che avessi mai visto: occhi profondi e neri, piume lunghe e lucenti e un becco lucido e senza graffi o sfumature. Ero quasi ipnotizzata da quegli occhi così belli ma allo stesso tempo così misteriosi, pieni di odio, di dolore e anche molto amore. Lo seguii. Non avevo più possesso delle mie azioni, mi muovevo senza accorgermene, imitando i movimenti di quel pennuto così misterioso ma allo stesso tempo così... rassicurante. All'improvviso il pennuto cominciò a volare in alto, sempre più veloce e all'improvviso svanì dalla mia vista. Solo quando lo feci mi accorsi in che diavolo di guaio mi ero cacciata. Mi guardai attorno: alberi.
Solo enormi e possenti alberi che mi fissavano, e mi impedivano la vista del sole.
Avevo davvero paura: non sapevo dov'ero, isolata dal mondo, nessuno mi avrebbe trovata. In quel momento mi sentivo una bambina come le altre, e non come mamma mi diceva che ero, “speciale”. Volevo la mamma e volevo tornare a casa.
Avevo paura, tanta paura.
Mi sedetti sulla terra umida ricoperta di erbetta verde e scura, appoggiai la schiena contro un albero, misi le ginocchia contro il petto e ci appoggiai la testa sopra. Leggeri brividi percorrevano la mia schiena, e così iniziai a canticchiare quella dolce melodia :
Io ti regalerò ogni singolo risveglio la mattina e poi lascerò i capelli scivolarmi fra le dita, ti regalerò ogni singola carezza quando è sera, ho imparato già ad amarti senza più riserva alcuna.”
E continuai così, ancora e ancora, fino a quando non mi tranquillizzai. Ad un certo punto, però, successe qualcosa che mi fece sussultare: una mano fredda si appoggiò sulla mia esile spalla coperta solo dalla bretellina del mio vestitino.
Alzai la testa e li vidi,
di nuovo.
Quegli occhi misteriosi, pieni di odio, dolore e amore.
Davanti a me, a un metro dal mio visto. Era un uomo alto, dai capelli neri e gli occhi...
Dio, che occhi.
Erano freddi e così glaciali. Di un azzurro ancora per me sconosciuto ma allo stesso tempo così bello.
Poi mi sorrise, un mezzo sorriso laterale, quasi
sarcastico?, e mi disse: “Ma ciao bella bambina, ti sei persa?” Io timidamente annuii, e così continuò: “Mi dispiace davvero tanto. Vuoi che ti aiuti a cercarli?” Non so come mai, ma sentivo un forte tocco di sarcasmo in quelle parole.
Non ci feci caso, ma mi sentivo...
Al sicuro.
Annuii ancora, cercandomi di alzare, cosa in cui fallii miseramente.
E fu un secondo. Improvvisamente mi ritrovai in braccio a lui, gli serrai dolcemente le braccia intorno al collo e posai la mia testolina sul suo petto. A quel gesto lo sentii irrigidirsi. S'incamminò, e dopo un lungo silenzio mi chiese: “Allora,
riccioli rossi,come ti chiami?”rimasi in silenzio per cercare di elaborare la risposta, così semplice, ma che in quel momento sembrava una legge di fisica avanzata: “Christelle” risposi solo. A quelle parole si fermò. Avevo detto qualcosa di male? Allora continuai per rilassare l'atmosfera: “Ma tutti mi chiamano Ranocchio”lui rise e poi mi disse, con il suo solito sorrisino sarcastico: “Ranocchio? Sul serio? Non sei così male da essere paragonata ad una rana o ad un rospo!” rise ancora. Quella sua frase mi diede sui nervi.
Non avrebbe dovuto dirlo, così avrei evitato di rispondergli a tono: “Ehi! Come ti permetti di insultare le rane?! Ma sarai bello tu, mister. Presunzione!” pure con gli sconosciuti dovevo avere battibecchi?, fatto sta che lui rise,
ancora. Che nervi! “E non posso darti torto: io non sono bello, sono magnifico.” Mentre lo diceva si avvicinò al mio viso e mi guardò con convinzione, come se fosse un avvertimento, come se volesse che non lo contraddicessi. Così dissi: “Si si, come vuoi tu, ma fatto sta che non per questo devi deridere le rane. E' vero, sono viscide e rugose, ma cosa ne possono loro? Non sono state loro a deciderlo, lo sono e basta. Anche loro hanno il diritto di amare e di essere amate, anche se sono i mostri che tutti disprezzano.”
A quelle parole si fermò, e il suo sorrisino sarcastico scomparve.
Stranamente cambiò direzione, senza proferire parole. E poi erano le rane quelle strane, tzè.
Dopo qualche minuto di silenzio, mi mise per terra, e riuscii ad intravedere la riva e i mie genitori che erano ancora assorti in quel sonno che doveva essere davvero profondo.
Non glielo avrei detto che mi ero persa e che un misterioso uomo dagli occhi di ghiaccio mi aveva salvata.
Si sarebbero preoccupati. E fu proprio lui ad interrompere i miei pensieri: “Allora, riccioli rossi, siamo arrivati. Non combinare danni, mi raccomando.” mi disse, strizzando l'occhio. Io non risposi, semplicemente corsi verso la riva, ma poi mi fermai girandomi verso di lui che ancora mi fissava: “E tu cerca di essere meno presuntuoso, mister. Presunzione!” gli sorrisi e corsi via, tornando nel mio laghetto in mezzo alle rane.
Ma sono più che sicura lui mi rispose con un “Arrivederci
Ranocchietta mia.”

 

 

                                                                                                                                                                                                   Non sapevo che quella sarebbe stata la mia ultima giornata felice per tanto tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Heilà, TVD dipendenti! ;)

Tanti di voi penseranno, “Ma chi cavolo è questa tizia squilibrata che ci importuna?!

Ebbene, sono Virginia, e questa è la mia prima FF su TVD, che emozioneeeeeee!

Scusate molto, ho pubblicato la storia senza però accorgermi di non aver pubblicato il capitolo.

Eggià, sono davvero brava ad usare il computer, se non si era capito! E, visto che sono malata, in

'sti giorni aggiornerò molto, spero! Scusatemi ancora, ma sono mooolto imbranata. D:

Intanto che aspettiamo con questa dannata 3x19, sto sclerando, leggetevi sti capp! ;)

Bacioni,

Virgi.

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Capitolo 2
*** Damon Salvatore. ***


*Volevo solo avvertire che in questo capitolo, Damon ha già visto Christelle da quando lei si è trasferita a Mystic Falls, ma di come e quando l'abbia vista è ancora un mistero... Ma è tutto programmato! Si saprà solo più avanti, con l'evolversi delle cose. Vi auguro una buona lettura!

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2. Damon Salvatore.

 

                                                                                                                                                                                 Damon Pov.

Quella ragazza.
Aveva qualcosa di familiare, di tremendamente familiare.
Quegli occhi così verdi, profondi.. belli.
Pensai mentre mi versavo un altro bicchiere di bourbon, dall'armadietto della pensione Salvatore.
Da quando Klaus aveva lasciato andare Stefan, che non si sapeva ancora molto bene controllare con il sangue umano, la mia dolce Elena lo aveva riaccolto tra le sue braccia, e tutto era tornato come prima, Stefan vince, Damon perde.
La storia si ripete, amici miei.
Io e la mia dannata umanità.
Riuscissi a spegnerla definitivamente, non chiederei di meglio. Ma no, arriva Elena con i suoi occhioni da cerbiatto, che sorride. Ma chissà a chi è che sorride? Sorride con Stefan e per Stefan, come al solito.
L'umanità, che cosa da idioti, lo sono stato anche io, riaccendendola, ma non succederà più. Sono tornato, baby.
Presi la giacca, uscii di casa, diretto al Grill.

 

Quel locale aveva un non so che di accogliente.
Quante volte mi sono sbronzato dentro quelle quattro mura!
Per Elena, Katherine.. Una vale l'altra! Con le donne ci si
gioca, ci si nutre, e poi le fai dimenticare tutto o, più comodo, le si uccide.
Quella ragazzina così innocente e..
invitante. Ecco, sarà lei a farmi rinascere, sarà lei che mi riporterà sulla retta via. E' così invitante, cazzo.
Ci giocherò un po', tanto per farmi quattro risate, o magari.. no, ucciderla no, c'è qualcosa in lei che mi impedisce di farlo, e voglio seguire l'istinto.
Ma un po' di divertimento non guasta mai. Detto questo uscii dal locale, per andare al Consiglio dei fondatori.
Parcheggiai la macchina e vidi Liz che mi veniva in contro “Buongiorno Damon”- “Buongiorno a te, Liz” dissi sorridendole .“Volevo solo avvisarti che c'è un nuovo membro nel consiglio, un pezzo grosso, un miliardario trasferitosi da poco da Seattle. Damon, mi raccomando:
sii gentile.” Le sorrisi, e mi diressi verso la tenuta dei Loockwood.

Entrai disinvolto, salutando cordialmente tutti i membri fino a quando arrivai ad un volto sconosciuto: “Lei dev'essere il nuovo membro, lo sceriffo Forbes mi ha parlato di lei, io sono Damon Salvatore, la mia è una delle famiglie fondatrici” dissi, stringendogli la mano.
Il mio occhio acuto non tardò a notare un cimelio simile al mio, ma non era un vampiro, sentivo l'odore del suo sangue e sentivo il suo battito cardiaco.
Doveva essere un anello simile più a quello che indossavano Alarick e Jeremy, che quello che indossano i vampiri per ripararsi dalla luce del sole.
“Piacere io sono Sue John Hollister, mi sono trasferito da poco da Seattle”
“Che cosa la porta qui, in questa sperduta cittadina di Mystic Falls?” Chiesi io. “Sono in Virginia per affari, e visto che la discendenza di mia moglie era una delle famiglie fondatrici di Mystic Falls, volevo poterla visitare con i miei occhi” mi disse, sorridendo. Quell'uomo era cordiale e gentile, ma non mi convinceva. Fa niente, salutai e svogliatamente, ascoltai le solite cose che ripetevano ad ogni riunione sui vampiri.

Uscii dall'edificio, e mi diressi alla pensione, dove trovai Stefan e Elena avvinghiati sul divano del soggiorno. Patetici. “Per favore, se volete fare “certe cose”-gesticolai con le mani- affittate una camera d'albergo invece di farlo sul mio divano.” dissi, sarcastico.
Vidi Elena avvampare, mentre Stefan mi sorrise sarcastico “Primo. Il divano è mio quando tuo. Secondo. Siamo pari, con tutte le volte che fai le tue orge e le tue festicciole sul
mio divano.”- “Fanculo, Stefan.” dissi con un sorrisetto sghembo, prima di uscire nuovamente dalla porta.

Non avevo una meta precisa fino a quando, camminando, arrivai alla casa in cui abitava mia nonna insieme al nonno, all'epoca del 1853.
Era rimasta disabitata per tanto tempo, da quando, qualche anno fa, la famiglia che ci abitava si trasferì.
Mi avvicinai alla finestra, e sfruttando le mie “capacità” spiai dalla finestra nelle vesti di un
corvo.
Era di una camera da letto, probabilmente femminile, quella su cui mi posai.
E poi sentii dei passi, che salivano su per le scale, e una voce familiare che urlava:
“Nonno vado a letto, non fare danni!” poi la porta si aprii ed eccola.
La ragazzina dai capelli rossi, gli occhi verdi, il sorriso angelico e puro.
Stava canticchiando qualcosa, quando si accorse della mia presenza e cadde all'indietro, facendo una capriola sul letto, oltrepassandolo e cadendo con un tonfo sordo sul pavimento. Che imbranata!
Si alzò massaggiandosi la testa con una smorfia in volto. “Ehi, mi hai spaventato!” mi disse ridendo. “Lo sai che ti ho già visto? Sei tremendamente familiare. Non è che ci conosciamo?” Allora anche lei aveva avuto la mia stessa sensazione, forse davvero c'eravamo già visti? In ogni caso, gracchiai in risposta.
E lei rise.
Mi piaceva la sua risata era... Ma che stavo dicendo, non ci sarei cascato di nuovo. Lei si avvicinò, cercando di toccarmi, ma io mi spostai e volai via, riuscendo a sentire un “Corvo presuntuoso” come risposta.

 

                                                                                                                                                                                                              Quella ragazza era davvero strana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Buoooooongiorno a tutti, miei carissimi spettatori!

Parlando della mia storia volevo chiarire che in questo capitolo Damon ha già visto Chris, ma di come e quando l'ha vista è ancora un mistero.. Infatti si saprà solo più avanti, ma è studiato apposta! (solo per chiarire !) Comunque ho visto la 3x19 ehhhh.. Diamine, che bomba!

Forever Delena, forever...!!” * Canta con la sua voce stonata! *

Ma intantdo dicono che (vi avverto spoiler 3x20)

Elena chiederà a Stefan di farle da accompagnatore al ballo anni '20. D:

Vabbe', comunque, volevo mettere in chiaro alcune cose:

Ultimamente sto scrivendo tantissimo, infatti ho scritto già 4 capitoli belli lunghi, ma ne pubblico uno alla volta in base alla vostra presenza... Eggià, non fate finta di niente... Recensite, o scrivetemi messaggi privati, così so che non sono pazza e non scrivo solo per il mio amico immaginario Timmy Turner * “Ehi, ciao ragazzi!”- “Basta Timmy, non intrometterti!” *

Alloraaaaaaa, ditemi come trovate la storia!

Un bacione

La vostra Pazza

Virgi. :)

 

P.s. Capitolo un po' corto, lo so, infatti il cap. 4 lo pubblico ora!

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Capitolo 3
*** Welcome to Mystic Falls. ***


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1.Welcome to Mystic Falls.

 

Dolore, tristezza, rabbia, rancore, malinconia.
Erano queste le emozioni che irrompevano continuamente nella mia testa da quando i miei genitori erano morti e, quello stesso giorno, un'infermiera senza tatto mi disse distrattamente che ero stata adottata. Bella mossa, ragazza mia. Mi ricordo solo che un forte odore di disinfettante mi svegliò in una stanza di ospedale e il nonno era al mio fianco.
Mi raccontò che io, mamma e papà eravamo andati al lago e, mentre tornavamo in macchina a casa, papà andò fuori strada e finimmo giù per una collina.
Solo io, per miracolo, mi salvai.
Quando me lo disse, per un anno, non parlai più.
Prima di quell'incidente, io suonavo il piano. Fu papà ad insegnarmelo. Suonavamo insieme per ore, fino a quando non arrivava mamma e ci sgridava dicendo che la cena era pronta e che si sarebbe freddata se non andavamo a mangiare.
Le dita scivolavano veloci sui tasti, chiudevo gli occhi e mi lasciavo trasportare.
Papà diceva che ero bravissima e che un giorno mi avrebbe portato a Milano, al teatro
La Scala, per ascoltare un vero concerto di pianisti professionisti. Non ci saremmo più potuti andare. Quando i miei genitori morirono andai a vivere da nonno Sue, ma la mia infanzia fu tutt'altro che felice.
Nonno mi voleva bene, si vedeva dai piccoli gesti che ogni tanto mi mostrava, ma era un uomo freddo ed autoritario e, per via dei suoi affari, viaggiava molto e io con lui. Non ho mai potuto avere dei veri amici, un fidanzato, un'amica del cuore, una scuola, una nemica,
niente di niente.
Non ne ho mai avuto il tempo, ogni due mesi cambiavo casa, città, paese e vita.
Avevo imparato a non affezionarmi alle persone, a non amare. Credevo di non esserne più in grado. Ma, non fraintendetemi, ero un'ottima
attrice.
Non ero falsa, per carità.
Non esprimevo giudizi o sentimenti che non pensavo o provavo, ma non ero la depressa emarginata che non ha amici. Ero dolce, carina, sempre con un sorriso felice in volto, anche se di sorridere non ne avevo il motivo.

***

 

Una raggio di luce mi illuminò il viso, svegliandomi.
Era un sabato mattina e quel giorno non avrei avuto scuola.
Motivo in più per dormire ancora un po'. Seattle il sabato mattina sembrava spenta, ma era comunque gremita di gente che urlava, camminava e andava a fare compere. Quella città non dormiva mai, ma io si. Infatti quella mattina non avrei fatto niente.
Feci leva con le braccia sul materasso quanto bastava per scorgere la sveglia. Le dieci e ventisette.
Mi girai a pancia in su e fissai il soffitto per una buona decina di minuti, cercando di non pensare a niente, ma per me la cosa era abbastanza complicata. Mi era impossibile non pensare. Così mi alzai dal letto e mi stiracchiai le braccia, e grattandomi la testa mi diressi in bagno, pronta per farmi una doccia rilassante.
Rimasi una buona mezzora sotto quel getto caldo di acqua bollente, uscii dal box, mi misi dei pantaloncini corti di jeans e una canotta rossa. Mi sistemai i capelli rossi in una coda alta con un nastro blu, con qualche ciocca che mi ricadeva di fianco al viso. Entrai in camera ed era lì, come tutti gli altri giorni, che mi fissava. Il pianoforte a coda di papà.
Mi avvicina e, leggermente, feci scorrere le dita affusolate sul legno nero e lucido di quello strumento che mi tormentava con i suoi ricordi, con quei momenti che non ci sarebbero stati più. Mi asciugai velocemente quella lacrima solitaria che mi aveva graffiato il viso, respirai, sorrisi, e scesi sotto. Claire, la cameriera, stava preparando la colazione, mentre nonno Sue era seduto al tavolo, mentre sorseggiava il suo caffè e leggeva il giornale, ovviamente, nella sezione “affari e borsa”.
“Buongiorno Christelle” mi disse senza distogliere gli occhi dal giornale “'Giorno nonno” gli dissi mentre svogliatamente addentavo una frittella. “Siediti, ti devo parlare” mi disse guardandomi, questa volta, negli occhi. Allungai un braccio e presi una sedia su cui mi sedetti. “L'azienda sta avendo sempre più profitti, e gli azionisti sono pronti a comprare sempre più azioni. Vogliamo espanderci in altri punti dell'America come, ad esempio, in Virginia.” Continuò lui. “E quindi?” Dissi, addentando un'altra frittella.
“Dovrò andare lì per degli affari, non so quanto tempo dovrò rimanerci, quindi tu verrai con me.”Sbuffai, presi la borsa ed uscii di casa, senza proferire parola. Ero stufa.
Volevo bene al nonno, ovviamente a modo mio, ma questa città iniziava a piacermi, e Matt, un ragazzo che veniva a scuola con me, stava iniziando davvero a piacermi. Camminai per un'altra mezzora, assorta nei miei pensieri, e poi tornai a casa.
Entrai a passo fermo e, quando trovai il nonno seduto sul divano al computer, dissi: “Okay, ci sto. Intanto ci sono abituata vero, nonnino?”pronunciai quelle ultime parole con sarcasmo, cosa che lui percepì subito. “Christelle Jane Hollister, non rivolgerti con quel tono sarcastico con me!” mi sbottò contro severamente “Tu vivi sotto il mio tetto e mangi dal mio piatto, e finché sarà così tu rispetterai me e le mie regole, intesi?!”ormai le lacrime volevano uscire insistenti, ma con un sospiro le ricacciai indietro e, con un sibilo sommesso, dissi “No, perché tu non sei mio padre.” detto ciò mi girai e corsi in camera mia, da cui non uscii più fino al mattino successivo.

***

 

Era mattina e mi ero addormentata ai piedi del letto ancora vestita.
Avevo gli occhi gonfi per le lacrime che non ero riuscita a trattenere. Mi guardai allo specchio. Ero orribile.
I capelli arruffati, le occhiaie, e gli occhi gonfi non aiutavano affatto chi aveva problemi di autostima. No, per niente.
Mi spogliai, accartocciando i vestiti sulla sedia della mia scrivania su cui c'erano le foto di me, mamma, papà e il nonno.
Forse ero stata troppo dura con lui. Anche lui non aveva più nessuno al mondo da quando la nonna ci aveva lasciato, così come avevano fatto anche mamma e papà.
Entrambi eravamo soli, e lui mi ha accolto come se fossi figlia sua, mi ha dato una casa e, a modo suo, dell'affetto e io mi vergognavo di averlo trattato così. Mi diressi in bagno e mi feci una doccia veloce, indossai un paio di shorts rossi con una canotta bianca e raccolsi i capelli in una coda alta con un nastro rosso.
Scesi in fretta le scale, feci un respiro profondo ed entrai in cucina. Mio nonno era seduto sulla sua solita sedia con il giornale in mano “Nonno, mi dispiace per ieri sera, ho esagerato, non pensavo davvero quello che ti ho detto.. Mi dispiace davvero tanto” dissi tutto d'un fiato “Ti voglio bene e voglio seguirti. Voglio venire con te in Virginia, e ne sono davvero felice” aggiunsi, accompagnato da un finto sorriso.
Lui scostò il giornale e mi disse “Bene, prepara le valigie, partiamo tra due ore” annuii e corsi su in camera, pronta a traslocare,
ancora e ancora.

 

L'aereo era decollato da quasi un'ora, e io guardavo distrattamente fuori dal finestrino. Presi il cellulare dalla borsa e scrissi un messaggio:

 

*To: Matt.

 

Ehi Matt, come stai? Non so proprio come dirtelo... quindi lo faccio e basta. Mio nonno si deve

trasferire in Virginia per affari e...vuole che lo segua. Mi dispiace tanto. Non volevo che lo

sapessi così, ma non avevo scelta. Spero che un giorno potrai perdonarmi e... devo ammettere che

mi piacevi davvero. Non ti dimenticherò, spero di poterti rivedere presto

un bacio,

Tua Chris.

 

 

Inviato. Quel ragazzo mi era davvero simpatico, era solo questione di tempo e mi ci sarei affezionata. Che sciocca, non ne ero capace.

 

Dopo dieci minuti una voce femminile ci avvisò che eravamo arrivati in Virginia e, dopo le varie procedure, salimmo in macchina, pronti ad andare....Dove di preciso? Non lo avevo ancora chiesto al nonno. Così, mi avvicinai al nonno e gli chiesi: “Nonno, ma in che città siamo diretti?” Lui mi fece segno con la mano di non disturbarlo: stava parlando al telefono con qualche suo collega. Che palle. Allora mi affacciai verso i sedili anteriori e chiesi all'autista: “Scusi, ma dove siamo diretti precisamente?” Lui mi guardò, tornò a guardare la strada e, con un sorrisino sghembo, mi rispose:
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      “A Mystic Falls, signorina.”

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Capitolo 4
*** Mystic Falls High School. ***


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3. Mystic Falls High School.

 

Mi sveglia di soprassalto quella notte.
Ero la prima notte che passavo nella nuova villetta in quell'anonima cittadina di Mistyc Falls.
Fuori pioveva e il giorno dopo sarei dovuta andare nella nuova scuola, incontrare nuove persone, essere quella nuova. Wow, che emozione.
Ormai ero abituata, anche se avrei incontrato le persone più antipatiche sulla faccia della terra poco importava. Tra massimo due mesi avrei dovuto cambiare casa, di nuovo.

Mi alzai dal letto e scesi le scale insonnolita, dirigendomi verso la cucina. Quella casa era una villetta antica, doveva avere almeno due secoli. Era molto grande, ma abbastanza confortevole.
Trovai la cucina e presi un bicchiere che riempii d'acqua. Faceva caldo e così andai in veranda con una coperta sulle spalle. Alzai la testa e guardai il cielo.
Cavolo, in quella Mystic Falls c'era una vista magnifica. Le stelle splendevano come non mai. A Seattle non si vedevano quasi mai le stelle perché le luci della città le nascondevano. Qui invece era magnifico.
Sentii vibrare. Mi toccai in tasca, il telefono. Un messaggio. Chi poteva scrivermi a quell'ora della notte? Aprii il messaggio senza pensarci troppo.

 

*From: Matt.

 

Ehi... Ciao Chris. Scusa l'ora, ma prima non sapevo cosa risponderti... Mi dispiace che tu te ne

sia andata così, senza un saluto, un addio, un arrivederci. Sei ed eri molto importante per me,

e mi stavo davvero affezionando a te, da amico e magari.. qualcosa di più. Spero di rivederti,

piccola catastrofe. Sei importante, e giuro che non ti dimenticherò.

Un bacione,

Tuo Matt.

 

Mi accorsi di piangere solo quando una lacrima cadde sul display. Stavo piangendo troppo ultimamente.
Un brivido freddo mi percorse la schiena. Un rumore proveniente dal giardino bloccò i miei pensieri.
Mi alzai, allerta, e tornai in camera. Ora ero sicura che quella notte non avrei dormito.

***

 

 

Qualcosa di assordante mi rapì dal mio adorato mondo dei sogni.
Erano le sei e trenta e dovevo alzarmi. Diamine, mi ero addormentata all'alba e già dovevo svegliarmi?!
Mi alzai svogliatamente, dirigendomi verso la doccia. Finita di lavarmi, uscii dal box e mi guardai allo specchio. Ero un disastro!
Mi misi un asciugamano stretto sopra il seno, inesistente, e andai all'armadio: eccola, la domanda che mi assillava:
Cosa mi metto? Poco importava, tanto non ero mai stata abbastanza bella o popolare per essere guardata dai ragazzi.
Così mi misi dei jeans chiari e stretti, una canotta bianca e una maglia rossa larga e morbida, che mi lasciava scoperta una spalla. Mi legai i capelli nella mia solita coda alta con un nastro rosso, presi la borsa e scesi le scale.

Andai in cucina e trovai il nonno che sorseggiava il suo solito caffè “'Giorno nonno!” gli dissi, sorridendogli.
Lui mi guardò, ricambiando il sorriso. Addentai una frittella e gli chiesi “Nonno mi accompagni tu a scuola? Non che non abbia capito le tue indicazioni per arrivarci, ma non ho molta voglia di andarci a piedi.” gli dissi, concentrandomi sul bicchiere di succo che stavo sorseggiando “No, mi dispiace, ci andrai da sola” mi rispose, continuando a guardare il giornale. “Dai nonno! Per favore! Sono stanca stanotte ho dormito poco! Non ho voglia di camminare! Ti prego!”piagnucolai io.
Lui mi sorrise e disse facendomi l'occhiolino: “E chi ha detto che ci andrai a piedi?” All'inizio non capii, ma poi una folle ipotesi mi saltò per la testa “Nonno, non avrai mica..”- “Si, l'ho fatto” mi disse sorridente, lanciandomi un mazzo di chiavi luccicanti “Vai fuori, è davanti al vialetto” gli sorrisi sinceramente, e corsi fuori.
Ciò che vidi mi spiazzò e quasi persi un battito.
Una magnifica e lucente Mercedes grigio metallizzato decappottabile, brillava alla luce del sole in tutta la sua bellezza.
Non potevo crederci, non era neanche il mio compleanno!
Mi avvicinai piano, come se fosse un miraggio e per essere sicura che ci fosse davvero dovetti toccare i magnifici sedili in pelle beige. “Nonno non ci credo!” urlai correndo ad abbracciarlo “Okay, calma così mi soffochi” disse ridendo.
Ero sinceramente felice, si per la macchina, ma anche perché il nonno aveva eliminato l'ipotesi di comprarmi la macchina, visto quello che era successo solo tredici anni prima. Significava che si fidava di me, e questo lo apprezzavo. D'altronde mi aveva comunque fatto fare la patente, perché entrambi sapevamo che, prima o poi, avrei dovuto avere anche io la mia prima macchina.
E quel giorno fu così: ricevetti la mia prima macchina, ed era davvero bellissima! “Grazie nonno, grazie significa che ti fidi di me e questa macchina è bellissima, grazie davvero!” dissi sinceramente grata. “Figurati Chris, te la meriti. Ora vai a scuola che se no fai tardi!” mi disse sorridendomi.
Annui e corsi in macchina, mettendo in moto. Quando il motore partì, una scarica di adrenalina mi percorse: mi sentivo bene.
Mi infilai i miei Ray-Ban e sfrecciai verso la scuola.

Parcheggiai, e scesi dalla macchina, timidamente.
Tutti mi guardarono, e dei ragazzi mi fecero dei fischiolini e dei commenti idioti.
Era ancora presto per entrare, mancavano cinque minuti al suono della campanella, così mi appoggiai al cofano della mia nuovissima auto.
Ne approfittai per guardarmi intorno.
Le solite cose che avevo visto un migliaio di volte: il gruppo dei giocatori di football, il gruppo dei secchioni, quello delle snob, quello degli sfigati..
Poi mi soffermai su un gruppo: se ne stavano vicini ad una macchina nera, vintage, notavo che c'erano quattro ragazzi e tre ragazze: dei ragazzi ne vedevo solo due in faccia, gli altri due erano girati di schiena. Le ragazze invece erano tutte molto carine, ma non erano snob, e questo mi piaceva.
Quando sentii suonare la campanella, presi la borsa che avevo appoggiato sul sedile anteriore della mia Mercedes e intanto continuavo a guardare quei ragazzi, che avevano rivolto lo sguardo verso di me, ricambiai lo sguardo, ma quando ne incrociai uno in particolare rimasi fulminata:
quegli occhi... così familiari, così
misteriosi, pieni di odio, dolore e amore.
Così infinitamente...
belli. Li avevo già visti..
Ma mentre riflettevo mi accorsi che ormai una buona metà dei ragazzi era entrata nell'istituto, e io lo continuavo a guardarlo insistentemente.
Scrollai la testa e velocemente mi diressi in segreteria, dove la signora Hobnisk, mi diede l'orario delle lezioni: inglese, geografia, matematica, storia... le solite cose.
Al cambio dell'ora, mentre ero concentrata a leggere la cartina dell'edificio, andai a sbattere contro qualcuno.

Christelle Hollister sei la solita idiota. “Scusami tanto, sono nuova e imbranata! Mi dispiace” dissi senza guardare il malcapitato. “Figurati, non preoccuparti” mi rispose una voce maschile. Raccolti i libri, alzai la testa. Era un ragazzo moro dagli occhi verdi, molto attraente devo dire. “Piacere comunque, io sono Stefan Salvatore” disse porgendomi la mano che io prontamente stretti con un sorriso “E io sono Christelle Hollister, e per te un piacere non dovrebbe essere stato dato il modo in cui ci siamo incontrati!” dissi ridendo, e lui si unii a me “Non preoccuparti, Christelle. Allora ci vediamo in giro magari” disse mentre si allontanava “Okay, va bene” risposi girandomi.

Le altre ore passarono in fretta, tutti gli argomenti li avevo già fatti, quindi sarebbe stata una passeggiata. Uscii dalla classe e un ragazzo mi fermò “ Ehi, so che sei nuova, io sono James, piacere” disse porgendomi la mano.
Gli sorrisi ricambiando la stretta “Piacere mio, io sono Christelle” sorrise “Andiamo allo stesso corso di inglese, sono tre banchi dietro di te” mentre parlava lo osservavo: biondo, occhi verdi, bel sorriso, alto... non male. Aveva una sacca sportiva con le iniziali “MFHS”, il solito giocatore di football gasato.
Gli sorrisi e dissi: “Si, con il professor Drew”- “Si, quella carogna!” aggiunse ridendo “ Ora devo andare, magari ci vediamo in giro” continuò strizzando l'occhio “Okay, ciao!” gli sorrisi e me ne andai.
Quando uscii dall'edificio incontrai Stefan insieme allo stesso gruppetto in cui era la mattina, ed erano a pochi metri dalla mia macchina, vicina alla solita decappottabile nera. Non volevo salutarlo, non che mi stesse antipatico, anzi, ma perché temevo che mi presentasse alla sua allegra compagnia, e quindi anche a
Occhi di Ghiaccio.
Così, velocemente, mi diressi verso la macchina, e proprio mentre stavo per salire, inciampai su un gradino facendo cadere tutti i libri.
Brava, complimenti. Ad un certo punto, sentii qualcuno che mi toccava la spalla e una voce conosciuta mi chiese: “Ehi, tutto okay?” Alzai lo sguardo, mi pulii le ginocchia con la mano e dissi: “Meravigliosamente! Mi sento solo un po' imbranata oggi” sorrisi, alzandomi.
Ma prima che Stefan potesse rispondermi, qualcuno s'intromise: “Magari è perché
lo sei.”disse con sarcasmo, mentre sentivo delle voci femminili che lo “sgridavano” e dicevano di piantarla. Ehi, aspetta, quel tipo mi aveva appena dato dell'imbranata? Come scusa?! Diamine io sono una Hollister, non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno!
Lentamente mi girai e chiesi con fermezza:“Chi è stato a dirlo?”- “Sono stato io” il mio cuore sobbalzò. Quella voce, così familiare e tremendamente sensuale.
Era
Occhi di Ghiaccio! “Damon Salvatore, lusingato” disse prendendomi le mano per poggiarsi le labbra sopra. Respirai scocciata e dissi, cercando di non far tremare la voce: “Beh, io no!” tolsi la mano dalla sua e dalle sue labbra. Mi girai, salutai Stefan, riuscendo a scorgere le risatine sommesse delle ragazze e degli altri tre ragazzi, e misi in moto, indossando i miei Ray-Ban per poi sfrecciare verso casa.

 

                                                                                                                                                                                                            Mystic Falls non era poi così male.

 

 

 

*Salveeeeeeeeee, bei giovincelli (parlo come se avessi quarant'anni .-.)

Comunque il capitolo è riuscito!

Seguitemi, se non avete di meglio da fare e la vostra vita non ha più senso! xD

Un bacio,

Virgi.

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Capitolo 5
*** The Dance. ***


You Ever Love Me?


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4. The Dance.



Quella mattina qualcosa mi svegliò.
Un picchiettare insistente sul vetro della mia finestra. Mi alzai con le braccia di qualche centimetro, solo per riuscire a girare la faccia verso la finestra.
Ancora quel corvo.
Era diventato un maniaco! Uno stalker! Presi il cuscino e glielo lanciai addosso, era salvo solo grazie al vetro che lo aveva protetto dall'impatto.
Guardai la sveglia, erano le sei e quindici. Era presto, ma sapevo che quel corvo non mi avrebbe dato tregua. Mi alzai stiracchiandomi le braccia, e mi diressi verso la finestra, dove il corvo mi guardava con la testa inclinata.
Aprii la finestra: “Io ti lascio entrare, ma tu piantala di picchiettare su quel maledetto vetro! Okay? Mi sono appena svegliata e non ho voglia di litigare con te, mister. Presunzione!” dissi, ridendo. Mi tolsi il pigiama e andai in bagno.
Rimasi per una decina di minuti sotto il getto caldo della doccia, poi mi misi un asciugamano stretto sopra il seno e andai in camera a prendere la biancheria che mi misi in bagno, per nascondermi dagli occhi maliziosi di quel corvo. “ Non sarai mica un maniaco, vero?” urlai dal bagno ridendo. Tornai in camera in biancheria intima, con un asciugamano in mano con cui mi strofinavo i capelli.
Intanto il corvo era ancora lì, che mi fissava e ogni tanto gracchiava qualcosa come risposta. Presi un paio di jeans blu scuro stretti, una maglia larga bianca leggermente scollata, mi raccolsi i capelli in una coda alta e morbida con un nastro bianco, mi misi un po' di matita attorno agli occhi, presi la borsa e uscii.
Cavolo, il corvo! Me ne stavo quasi dimenticando! Rientrai in camera e gli dissi “Per oggi, basta, devo andare a scuola! Ci vediamo più tardi okay?” dissi sorridendogli, mentre lo guardavo volare via.
Scesi le scale, salutai il nonno, mi misi le mie converse, e uscii da casa.
Quel giorno c'era il sole, ne approfittai per indossare i miei amati Ray-Ban, e saltai in macchina, diretta alla mia nuova scuola.

Parcheggiai, mentre i soliti ragazzotti facevano i loro soliti commenti stupidi.
Scesi dalla macchina e un volto conosciuto mi sorrise “Ehi, buongiorno Chirstelle” Stefan Salvatore sfoggiava uno dei suoi migliori sorrisi “Buongiorno anche a te, Stefan” gli sorrisi anche io. Stefan, tuttavia, aveva l'aria di un bravo ragazzo, mi sarebbe piaciuto averlo come amico. “Volevo presentarti i miei amici, so che sei nuova, e insomma.. mi sembra una buona idea.” continuò lui, girandosi verso il solito gruppetto.
E' vero, erano simpatici e mi sarebbe piaciuto molto averli come amici, anche se ciò, nella mia vita, non mi era mai stato concesso. In ogni caso, c'era sempre quell'affascinante ragazzo quanto stronzo che mi tormentava con quegli occhi così... profondi.
“Non lo so Stefan, è molto gentile da parte tua, ma.. non sono abituata a fare “amicizia”- gesticolai con le mani- ma non fraintendermi, è molto carino da parte tua ma...”- “Dai, andiamo Chris, non preoccuparti, sono tutti impazienti di conoscerti!”mi interruppe Stefan, prendendomi per il braccio e trascinandomi verso il gruppo di amici “Non è il caso..” cercai di oppormi ma invano.
Ed eccomi lì, davanti a quei ragazzi che avevo visto chiacchierare insieme solo il giorno prima. “Ragazzi, lei è Christelle Hollister, si è trasferita da poco ed è nuova.” disse il moro “Christelle, loro sono Elena, la mia ragazza, Bonnie, Caroline, Jeremy, Matt e lui è Damon, mio fratello” aggiunse poi, indicandoli uno a uno.
Dopo nemmeno un secondo dimenticai già i nomi, ma poco importava. L'importante era non incrociare quegli occhi freddi di quel l'uomo dai capelli neri e il sorriso sarcastico, ovviamente, rivolto a me.
Sorrisi, cercando di non arrossire. “Da dove vieni, Christelle?” mi chiese la graziosa ragazza dai capelli bruni, Elena, mi sembra, la ragazza di Stefan. “Da Seattle. Mio nonno aveva degli affari in Virginia e sono stato costretta a seguirlo” dissi, sottolineando con la voce la parola costretta. “E perché mai? Non potevi rimanere con i tuoi?” mi chiese il corvino dagli occhi di ghiaccio. Diamine, mi girai verso di lui, cercando di non dar a vedere la mia emozione. Non sapevo cosa rispondere, non volevo di certo che la gente stesse con me solo perché le facevo pena. “I miei genitori, diciamo che... non hanno potuto” balbettai, cercando di non far tremare la voce “Ora devo andare, scusatemi.”dissi, voltandomi ed entrando nell'edificio, mentre riuscivo a sentire in lontananza solo qualche -Damon! Che hai fatto!-
-Ma cos'ho detto! Smettetela!-.

 

Le ore passavano, e di concentrarmi sulle parole del professore proprio non c'era verso.
Nell'ora di pranzo mi sdraiai sotto un albero del cortile della scuola, e iniziai a scarabocchiare un quadernetto che mi ero portata per gli appunti da casa, mentre addentavo una mela. “Ehi Chris” una ragazza bionda mi sorrise: Carmen? Ca... Ca.. Caroline, ecco.
“Ehi, Caroline”dissi, ricambiando il sorriso. “Scusa Damon per prima.. a volte può essere un po'.. insensibile.” continuò, sedendosi vicino a me “Non preoccuparti, sono cose che capitano” scrollai la testa e le sorrisi.
“Comunque.. stasera c'è un ballo a scuola e io sono la coordinatrice dei balli scolastici.. e, insomma, sei la benvenuta. E' un buon modo per iniziare, no?” aggiunse lei, fin troppo convinta. “Non lo so.. non conosco nessuno...” le risposi io, insicura.
“Non preoccuparti, ci siamo noi! Siamo tutti entusiasti di averti con noi, e stasera potresti venire a casa mia a prepararti, c'è anche Elena, poi andiamo al ballo insieme! Ti passo a prendere alle sei e trenta, abiti alla tredicesima di Brokelin Street, giusto?”
“Si, ma...” Non riuscì a finire la frase che ormai lei stava già sgambettando verso a delle altre ragazze che non conoscevo.

Alla fine delle lezioni tornai a casa, in cerca di qualcosa da indossare. La sera partecipavo spesso a convegni eleganti per via degli affari di mio nonno, quindi un vestito l'avrei tirato fuori. Alla fine optai per un vestito di seta verde pino senza spalline che aveva una fascia stretta che mi copriva il seno del medesimo colore e poi ricadeva morbido con delle sfaccettature all'altezza del ginocchio. A quello ci abbinai dei tacchi dodici nero lucido, una collana elaborata d'oro e dei vistosi orecchini pendenti dello stesso colore. Misi tutto in borsa, presi i trucchi, il cellulare, e uscii di casa.
Raggiante e puntualissima, Caroline Forbes mi aspettava appoggiata alla sua fiammeggiante Camaro rosso fuoco. “Si parte, dolcezza” esordì prima di sfrecciare sulla strada, diretta alla sua abitazione.

 

Entrammo a casa Forbes e trovammo Elena che ci aspettava seduta sul divano rosso del salotto. “Ehi Chris, allora Care è riuscita a convincerti!” mi disse correndomi incontro per abbracciarmi. Elena mi sembrava una brava ragazza, come Stefan d'altronde. Ricambiai l'abbraccio, un po' esitante. “Si, alla fine ce l'ha fatta” le risposi, sorridendole. “Allora?! Che aspettiamo?! I tuo capelli non si arricceranno da soli, tesoro!” disse Caroline, ridendo.

Eravamo bellissime, anzi, loro erano bellissime.
Elena aveva la sua macchina, mentre io dovetti andare su quella di Care, visto che la mia era rimasta a casa. “Su, forza scendi!” urlammo a Caroline, mentre si stava passando per la terza volta un altro strato di lucidalabbra. “Si, ora scendo!” urlò, prima di correre giù per le scale.

 

La palestra della scuola era decorata benissimo, Caroline era stata proprio brava.
Iniziai a guardarmi in giro, cercando dei volti conosciuti: Josh, di fisica, Fred, di Biologia, Marienne, di storia... ad un certo punto Matt, Stefan, Bonnie e Jeremy si avvicinarono a noi “Ehi” ci sorrisero “State davvero bene” disse Matt, il ragazzo biondo “Grazie anche tu” rispose Elena per tutte e tre.
Ero intenta a guardarmi le unghie, quando qualcuno attirò la mia attenzione.
Damon Salvatore ci stava raggiungendo, ed era davvero sexy quella sera.
Indossava un semplice smoking con una camicia sbottonata sotto, mentre sfoggiava uno dei suoi più bei sorrisi. “Ehi ragazzi” disse facendo segno con la mano “Caroline, voglio dirti che il punch fa schifo. Non potevi mettere qualche bottiglia di Bourbon, Tequila... non lo so, anche soltanto qualche birra. Mi hai deluso, Barbie.” sbottò con sarcasmo. “Si dà il caso che questa sia un ballo scolastico e non una delle tue festicciole proibite” rispose acida Caroline.
Notavo che Damon non mi staccava gli occhi di dosso, e ciò mi metteva a disagio.
Avevo paura di incrociare il suo sguardo. “Fa niente, per stasera mi accontento.” disse Damon, girando i tacchi e facendo cenno con le mani.

 

Era ormai passata mezzora e io mi stavo annoiando a morte.
Mi diressi alla bancarella delle bevande e presi un bicchiere di punch: Damon aveva ragione faceva davvero schifo.
Buttai il bicchiere e ritornai dal mio solito gruppetto di conoscenze ma, poco dopo, il Dj annunciò di formare le coppie e la musica rallentò.
Elena prese per il braccio Stefan, e così fecero Caroline con Tyler e, più timidamente, Bonnie con Matt.
Io rimasi sola, fino a quando una mano mi si appoggiò su un fianco “Mi concedi questo ballo?” quella voce l'avevo già sentita.. ma certo!
Mi girai e trovai James, quello che faceva inglese con me, alla prima ora. “Ciao, James.. Non lo so, non so ballare” dissi, abbassando lo sguardo, sinceramente imbarazzata. “Non preoccuparti, tu seguimi e basta” disse strizzandomi l'occhiolino. Non mi convinceva quel ragazzo. Non c'è che dire era davvero un bel ragazzo, ma a volte mi guardava con insistenza, in modo malizioso e languido.

Mi trascinò sulla pista da ballo, stringendomi a lui.
Sentivo la sua stretta sempre più forte attorno ai miei fianchi e il suo respiro pesante sul mio collo.
Mi dava fastidio “Ehi, non me la sento..” dissi, cercando di liberarmi dalla sua presa.
Riuscii a scappare e raggiunsi il corridoio, attraversando la mensa. Mi appoggiai ad un armadietto, cercando di riprendere fiato. “Ehi, ragazzina, cosa c'è che non va?” quel ragazzo era davvero troppo insistente, mi dava sui nervi.
Presi un respiro e mi voltai, ritrovandomi schiacciata dal corpo del quaterback della squadra di football, nonché James Hamilton. “James, che diavolo stai facendo?! Lasciami!” cercai di urlargli, ma le mie parole uscirono con un sussurro. “Dai, su Hollister, lo vedo come mi guardi, l'ho capito che ti piaccio, e sono felice di dire che ricambio pienamente, non fingere più, è da sciocchi.” disse languido. “No, lo sciocco sei tu a credere che io possa provare qualcosa per te, e ora lasciami!” sbottai, agitandomi nella sua presa più ferrea che mai. “Ah davvero? Allora se faccio questo non ti fa nessun effetto?” mi disse, mentre scendeva a baciarmi il collo fino alla mandibola.
Io mi agitai inutilmente, fino a che non girai la testa e morsi violentemente il lobo del suo orecchio.
Lui mi lasciò per toccarsi l'orecchio sanguinante, e io ne approfittai per correre nella mensa, diritta alla palestra.

I miei tacchi non aiutarono la fuga e, infatti, mi raggiunse, sbattendomi violentemente contro la macchinetta per le merendine, e bloccandomi con il suo corpo “Vedo che ti piace giocare..” mi disse, prima di prendermi in braccio e accarezzarmi la coscia.
Poi tutto fu un attimo: non sentii più la presenza di James su di me e caddi a terra.
Vidi solo una figura, Damon?, che scaraventava il mio aggressore sulla porta della mensa e mentre Stefan e Tyler lo trattenevano “Damon, calmati! Siamo pur sempre in una scuola, trattieniti! Non abbiamo già abbastanza problemi?!” urlò Stefan.
“Oggi è il tuo giorno fortunato, amico” disse Damon, o almeno così mi sembrava. Sentivo la testa pesante mentre Caroline e Elena cercavano di farmi alzare dicendo che sarebbe andato tutto bene.
Finalmente mi alzai, ma subito ricaddi a terra. Mi sentivo pesante e le gambe mi tremavano.

Tentai di nuovo ma fu inutile, fino a quando non sentii più i piedi sul pavimento e due braccia forti mi cinsero i fianchi e le spalle. Alzai la testa e li incrociai: gli occhi glaciali ma bellissimi di Damon Salvatore.
“Riesco a camminare da sola” balbettai, cercando di scendere ma come risposta ricevetti solo “ Non fare la bambina, non ti reggi neanche in piedi” in quel momento mi lasciai andare. Tornavo una bambina tra le sue braccia, ma non la bambina “oh mio Dio, poverina ha perso i genitori, povera cara” ma la bambina felice, che corre e che suona il piano con il padre, la bambina con i sogni nel cassetto e con una vita ancora da scrivere.

                                                                                                                                          ***

 

Mi trovavo in macchina quando mi svegliai.
Ma non era la mia. Mi guardai intorno.
Ero sola.
Infatti in macchina non c'era nessuno insieme a me. Guardai fuori dal finestrino, e capii che ero davanti alla scuola, e in lontananza notai Stefan, Caroline, Elena e Damon che parlavano, poi si fecero cenno con la mano e vidi Damon venire verso di me, mentre Elena e gli altri tornavano all'interno dell'edificio. Poi capii. Ero nella macchina di Damon Salvatore e stavo rischiando di andare in iperventilazione.
Feci due respiri profondi e cercai di essere meno visibilmente tesa. Damon aprii la portiera e salii in macchina sfoggiandomi un magnifico sorrisetto sarcastico “Buongiorno Cenerentola, è mezzanotte, è ora di tornare a casa”mi stava ridicolizzando anche in questa situazione? “Non vorrei mai che la carrozza si trasformasse in una zucca, quindi credo che andrò a piedi” dissi alzandomi e aprendo la portiera, ma lui bloccò prendendomi per il polso “Dove credi di andare? Sei svenuta, non pensare minimamente di tornare a casa a piedi!” mi disse, sporgendosi per chiudere la portiera e mettendo in moto.

 

Dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio, gli chiesi: “Cos'è successo di preciso?” lui, continuando a guardare la strada mi rispose: “Quando? Stasera? Niente di che, le solite cose da ballo scolastico”in ogni situazione riusciva sempre ad essere sarcastico o malizioso, non poteva essere serio per una buona volta? “Sii serio, mi ricordo di James ma... Chi me lo ha tolto di dosso? Cos'è successo dopo?” lui sembrava impassibile, continuava a guardare la strada senza muoversi “Abbiamo sentito delle urla e Stefan te lo ha tolto di dosso. Poi mi ha costretto a portarti a portarti a casa” disse freddo, accentuando il tono sulla parola costretto come a sottolinearla. “Ah, ho capito.” dissi, fredda.
E' vero, ero svenuta, ma ero riuscita a vederlo chiaramente, sia mentre mi toglieva addosso quella cariatide, sia quando Tyler e suo fratello cercavano di trattenerlo mentre cercava di picchiarlo.
Come mai mentirmi? Mi sentivo offesa, magari si vergognava di me.. “Siamo arrivati” interruppe i miei pensieri proprio colui che mi induceva a farli. “Grazie per il passaggio” dissi fredda, prima di uscire dalla macchina e di entrare in casa.

 

Il nonno stava già dormendo quando arrivai a casa.
Così salii le scale e andai in camera mia dove, puntualmente, il solito corvo picchiettava il becco lucido sulla finestra.
L'aprii senza proferire parola, mentre mi sfilavo il vestito e indossavo un pigiama dai pantaloncini corti.
Mi guardai allo specchio. I capelli erano arruffati e sul collo avevo dei lividi rossastri per via dei baci violenti che James mi aveva dato. Le gambe erano piene di lividi bluastri. Ero un disastro. Mi appoggiai alla scrivania, sospirando. Alzai gli occhi e le vidi, ancora e ancora. Quelle foto felici, di quei momenti felici, con i miei genitori felici.
Quei momenti e quella gioia che non ci sarebbe stati più. Quella gioia che mi era stata strappata all'età di quattro anni, quel vuoto che avevo dentro, che pian piano si espandeva e cresceva, mangiandosi le parti più belle di me. Ero stufa, stanca di quel vuoto che mi controllava, che s'impossessava di me, impedendomi di vivere e di godermi le cose belle che una ragazza di diciassette anni poteva fare, ero stanca di non riuscire più ad amare e di non sentirmi più realmente amata.

Con gli occhi lucidi mi diressi verso il pianoforte a coda di papà che avevo sempre in camera mia, mi seguiva in ogni casa, in ogni città, in tutto il mondo, me lo portavo sempre dietro. Sentivo papà, ricordavo le sue dolci melodie, quando mi insegnava a suonarlo e quando ridevamo quando sbagliava.
Mi sedetti sulla panchetta di pelle nera, e alzai il coperchio lucido che copriva i tasti.
Ero lì, potevo farlo, bastava stendere le mani, muovere le dita e il gioco è fatto.
Invece no.
Qualcosa mi bloccava, il vuoto si espandeva sempre di più, mi lacerava anima e cuore. E non ci riuscivo. Qualcosa di più forte di me, me lo impediva. Mi accorsi che i tasti bianchi e neri erano bagnati: ormai lacrime prepotenti graffiavano il mio viso, e non mi davano tregua. Mi alzai, sbattendo violentemente il coperchio dei tasti, e corsi in bagno dove, chiusa la porta, iniziai a piangere cercando di trattenere singhiozzi che ormai avevano perso il controllo.

 

                                                                                                                     *****

 

Damon Pov.

 

Ed eccola, così pura e innocente che piange senza controllo.
Quella ragazza riusciva a tirare fuori la mia umanità e, se non esiste più, ne crea della nuova.

Non ha mai fatto nulla per tirarla fuori, ma è più forte di me.
Quei suoi sorrisi, quel suo viso così tondo e giocondo, mi ricorda tanto un bambina.
Una bambina pura, ma anche triste, lacerata dal dolore.
A volte mi basta leggerlo nei suoi occhi. Il suo sorriso dice una cosa, ma i suoi occhi ne dicono un'altra.

Ma io non dovrei guardarla, non dovrei desiderarla così ardentemente, non dovrei perdere le staffe appena un ragazzo flirta con lei.

Quella sera lo avrei ucciso, giuro.
Se non fosse stato per Stefan e Tyler avrei perso il controllo, spezzandogli il collo sotto i suoi occhi.
Quando sentii che era una Hollister mi venne voglia di usarla per minacciare suo nonno così da farmi dire che cosa nasconde, ma non volevo.
Quando la vidi piangere tutto passò.
Una ragazza così giovane, così viva, eppure così sofferente, piena di odio, rancore.
Non le avrei fatto del male, ma questo non significava che mi importasse di lei.
Le sarei semplicemente restato lontano, cercando di non creare danni e di non complicarle la vita.
Sì avrei fatto così.
Ma ancora un dubbio mi assaliva: come mai era così dannatamente familiare?

 

Christelle entrò nella camera, con gli occhi ancora umidi, e quando mi vide, mi sfoderò un enorme sorriso “Ciao, come va?” rise “Quello che hai visto rimarrà un nostro segreto, ok?” mi fece l'occhiolino con quegli occhi ancora umidi di lacrime. Gracchiai e volai via, mentre lei chiudeva la finestra alle mie spalle.

                                                                                                                                                                                                        Chi era davvero Christelle Hollister?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Buongiorno miei seguaci! * MUHAHAHAHAH *

Ecco un altro capitolo, yep!

Vi è piaciuto? Eh?

Recensite ! * tira fuori la pistola*

O la recensione o la vita! :P

Ma quanto sono scema?! Ahahahaha :D

Un bacione,

Virgi.

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Capitolo 6
*** What do you want from me? ***


You Ever Love Me?


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5. What do you want from me?

 

Un suono assordante mi svegliò.
La sveglia segnava le sei e trenta e io di alzarmi proprio non ne avevo voglia.
Quella notte non avevo chiuso occhio. Mi sentivo stanca e la testa mi scoppiava.
In ogni caso, mi feci una doccia calda, mi preparai, presi la borsa e uscii di camera, pensando che quella mattina il mio solito amichetto non era passato a farmi visita. Scesi le scale e incontrai mio nonno, indaffarato a parlare con il cameriere e la nostra governante. “Buongiorno nonno” dissi, sorridendogli. “Buongiorno Chris” disse, senza spostare gli occhi dalle cartelle che stava esaminando “Stasera la Signora Loockwood ha pensato di fare una festa in onore del nostro trasferimento a Mystic Falls. Non è un gesto cordiale?” continuò.
Non ero in vena di altre feste e di certo non volevo essere al centro dell'attenzione “Non lo so nonno...” borbottai in sottofondo.
“Non scherzare nemmeno, tu verrai e non farai storie, intesi?” mi ordinò severo.
Annuii, uscii di casa e salii in macchina, diretta a scuola.

 

 

Appena scesi dalla macchina Elena e Caroline mi raggiunsero, abbracciandomi “Chris! Come stai? Ti sei ripresa?” mi chiesero, con la voce di un ottava più alta del normale.
“Si, tranquille, sto bene, ho solo un gran mal di testa. Stasera c'è la festa nella tenuta dei Lookwood e io non ho la minima voglia di andarci” borbottai, tenendomi la testa dolorante con le mani “Ma come! E' la festa in tuo onore! Non puoi mancare” Mi urlarono, insieme.
“Ok, va bene, basta solo che non urliate...” dissi, strizzando gli occhi.
“Scusaci, dimenticavamo il tuo mal di testa.” dissero prima di salutarmi ed entrare nell'istituto.
Presi la borsa e i mi diressi verso l'entrata anche io, passando davanti a Stefan e Tyler, sempre accompagnati da Damon.
Feci cenno a tutti e tre, guardando negli occhi uno solo: ero stufa di dover abbassare lo sguardo, chi era lui per intimorirmi? Era soltanto una spregevole persona senza un minimo di tatto pronto ad offendermi in qualunque situazione.

Proprio quando ormai stavo per entrare nell'edificio, mi ricordai di aver dimenticato le chiavi nel cruscotto della macchina.

Corsi indietro, le tolsi e le infilai nella borsa.

Sentivo gli occhi del corvino addosso, infatti non se n'era ancora andato.
Che cosa aspettava? Scocciata mi voltai, ma un'imponente figura mi bloccò la strada.
James Hamilton era davanti a me.
“Ehi Chris, ciao.. senti mi dispiace per il ballo.. ero ubriaco e sono stato un idiota.. mi dispiace tanto..” sembrava sinceramente dispiaciuto, e non mi sfuggì il livido che aveva sopra il sopracciglio.
Ma, prima che potessi rispondergli, qualcuno lo fece al posto mio “Non sono un po' tardi le scuse?” Occhi di ghiaccio teneva James per il colletto della sua polo “ Ti avverto, prova ancora una volta ad avvicinarti a lei, e continuerò quello che avevo iniziato.” sibilò al suo orecchio.
Ero scioccata: come si premetteva, chi era lui per potersi intromettere nella mia vita?
“Ehi, stai calmo, stavamo solo parlando. James si è scusato, e io accetto le sue scuse.”dissi, sorridendo a James, ancora sotto la morsa del corvino.
“Damon lascialo.” aggiunsi, severa.
Lui mi guardò come per chiedermi che stessi facendo, ma io entrai nell'edificio dandogli le spalle, mentre lui mi guardava senza capire.

 

 

Alla termine delle lezioni, tornai a casa.
James sembrava veramente dispiaciuto e, anche se quello che mi aveva fatto era spregevole, volevo dargli un'altra possibilità.
Scesi dalla macchina e entrai in casa, dove subito nonno mi accolse, impaziente “Chris, muoviti su! I Loockwood ci staranno aspettando, non c'è tempo da perdere!” mi disse correndo di sopra, sempre seguito da Carmela, la nuova governante.
Salii le scale e iniziai a prepararmi per un'altra dannata festa a cui proprio non avevo voglia di andare. Mi truccai leggermente con una matita marrone e del mascara, mentre tiravo su i capelli in un'acconciatura complessa con il diadema di diamanti di mamma.
Me lo regalò la nonna pochi anni prima, dicendomi che era appartenuto a lei.
Andai in camera e scelsi un vestito blu notte di seta, che scendeva morbido fino al ginocchio e lasciava la schiena scoperta. Presi la mia pochette nera che si abbinavano alle scarpe, e scesi le scale.
Il nonno mi aspettava più elegante che mai “Andiamo c'è limusine che ci sta aspettando.”

Entrammo in macchina, ma nessuno proferì parola. Solo quando stavamo scendendo dall'auto mi sussurrò qualcosa all'orecchio “Sei bellissima stasera, Chris” mi disse, sorridendomi. “Anche tu, nonno” risposi sincera, ricambiando il sorriso.

 

Entrammo nella tenuta dei Loockwood e quasi non ci credevo: era magnifica, sembrava un palazzo reale, quelli di cui senti parlare nelle fiabe.
Venimmo accolti da un applauso e, mentre sorridevo, notai Care, Elena e Bonnie che applaudivano.
Ringraziai tutti e mi diressi verso di loro “Siete bellissime ragazze” le dissi, sincera. “Mai quanto lo sei tu, sei stupenda” mi rispose con un sorriso Elena.
Volevo bene a quelle ragazze, erano.. speciali.
Mi guardai intorno e li vidi, quei due occhi che costantemente mi fissavano.
“Damon Salvatore ti sta fissando” mi disse Caroline, in un sussurro. “Ah, davvero? Sarebbe scortese non andarlo a salutare” risposi sarcastica, mentre mi dirigevo verso di lui.
Era appoggiato al tavolino degli alcolici, con il suo solito bicchiere di bourbon in mano, mentre chiacchierava con una donna bionda, probabilmente lo sceriffo Forbes.
“Scusi, posso rubarglielo un secondo?” esordì, con un sorriso sarcastico.
Lei mi sorrise “Certamente” disse, allontanandosi. “Allora, punto uno: non mi fissare. Punto due: non intrometterti nella mia vita se intanto non te ne frega niente. Punto tre: prova a fare il finto tonto e ti giuro che non esci vivo da quest'abitazione”sbottai, arrabbiata.
Sul suo viso si formò un sorriso sghembo, sarcastico “Punto uno: non ti stavo fissando. Punto due: scusa se stamattina ho cercato di difenderti dal tuo aggressore, sono stato davvero imperdonabile-gesticolò con le mani- e punto tre: credo che non riusciresti ad uccidermi molto facilmente” Mi stava prendendo in giro? “Allora, Mister Presunzione, se mi stai anche in questa situazione prendendo in giro, sei proprio un idiota! Tu non sai niente di me, non sai niente della mia vita, quindi non intrometterti perché non voglio che tu ne faccia parte.” dissi, girandomi.
Ma la sua ferrea stretta mi strinse il polso, impedendomi di andarmene. “Ascoltami bene, riccioli rossi, tu non sai neanche minimamente chi sono, quindi non provocarmi. Poi scusa, ma non capisco: io ti ho salvato da uno stupro bello e buono, e non mi ringrazi neanche?” mi chiese, sarcastico. In quel momento persi le staffe
“Perché dovrei ringraziarti? Non era stato Stefan a salvarmi? Va' al diavolo Damon, non mi rivolgere più la parola!” dissi, voltandomi e tornando a passo deciso dalle mie amiche.


La serata percorse tranquilla, ad eccezione, ovviamente, di quella “piccola discussione” avuta con il corvino. Arrivai a casa con i piedi doloranti e tanta stanchezza addosso, infatti mi buttai direttamente sul letto, abbandonandomi al sonno.

***

 

Quella mattina avrei dormito fino a tardi, non m'importava di niente. Era un sabato, e non ci sarebbe stata scuola.
Un messaggino fastidioso mi fece tornare alla realtà: che ore erano? Mi allungai verso la sveglia. Erano le undici e cinque. Cavolo, avevo dormito davvero tanto. Poi, portai la mano sul cellulare, lo presi e lessi il messaggio:

 

*From: Elena

 

Ehi, Chris :) Come stai? Appena puoi chiamami, ho ottime novità!

Un bacio.

 

Presi il telefono e composi il numero.
Dopo due squilli qualcuno rispose, una voce maschile e conosciuta “Buongiorno, la persona desiderata al momento non è in casa, la preghiamo di richiamare, grazie.” Damon. “Piantala di fare il cretino e passami Elena” sbottai, ancora insonnolita.
Senti un vociare in sotto fondo: “Piantala di fare il cretino e passami Elena” dissi sentendo la voce di Elena “Ehi Chris! Scusami! Damon è il solito idiota! Comunque volevo solo avvisarti che oggi pomeriggio partiamo tutti per la casa al lago di Stefan, passiamo il week-end lì. Volevo chiederti se volevi unirti a noi, se la benvenuta!” Mi chiese gentilmente “Non lo so.. Sai, i compiti, mio nonno..” dissi, ero un'ottima attrice. “Non ti far pregare, Christelle! Passo a prenderti alle due, fatti trovare pronta!” esordì, prima che io le potessi rispondere, aveva già attaccato il telefono.
Mi feci una doccia e mi preparai, pregando che quella casa fosse abbastanza grossa/piccola per me e Damon Salvatore.

         ***

                                                                                                                                                                                         Damon Pov.

 

Quella ragazza era di un'insolenza assurda! Come si permetteva! Non sapeva chi ero, se no non avrebbe osato parlarmi con quel tono.
Pensai, mentre sorseggiavo una Tequila sdraiato sul divano della pensione.
Elena si era fermata a dormire qui, insieme al suo amatissimo Stefan. Li sentivo ridere, erano ancora a letto. Che buoni a nulla.
Sentii i passi felpati di Elena scendere le scale con il telefono in mano, lo appoggiò sul mobiletto del salotto e andò in cucina.
Sentii il suo cellulare vibrare una volta. Un messaggio?. Due volte, e poi tre. Doveva essere sicuramente una chiamata.
Mi alzai e guardai il display: Christelle H.
Mi sarei divertito un po'.
“Buongiorno, la persona desiderata al momento non è in casa, la preghiamo di richiamare, grazie.” dissi, con sarcasmo.
Elena arrivò alle mie spalle urlando di passarle il telefono.
“Piantala di fare il cretino e passami Elena” la voce di Christelle mi piaceva da morire, soprattutto quella mattina, quando era ancora insonnolita.
Elena prese il telefono e si allontanò “Ehi Chris! Scusami! Damon è il solito idiota! Comunque volevo solo avvisarti che oggi pomeriggio partiamo tutti per la casa al lago di Stefan, passiamo il week-end lì. Volevo chiederti se volevi unirti a noi, se la benvenuta!”

Stavano parlando del week-end al lago, quello a cui ero stato invitato ma avevo rifiutato.

Quello a cui Christelle Hollister, la ragazza che mi aveva parlato con sfrontatezza solo la sera prima, aveva accettato.
“Elena” urlai, mentre la ragazza saliva le scale “Si, Damon?” mi rispose, fermandosi e girandosi verso la mia direzione “Verrò anche io al lago con voi. Ho cambiato idea” esortai, continuando a sorseggiare il mio bourbon.

                                                                                                                                                                     Quel week-end mi sarei divertito come mai in vita mia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Buongiorno amici miei! Come state? Io sto benissimo

e voglio pubblicare questo bel capitolino!

Cosa succederà in quella bella casetta sul lago?

Lo saprete quando deciderò di aggiornare!

Un bacione

Vostra Virgi.
Ps. Visto che ho pubblicao tanti bei capitolini, vi lascio proprio sul più bello! Che cattiva che sono :P
Recensite e io pubblico! <3

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Capitolo 7
*** The Lake House. ***


You Ever Love Me?

6. The lake house.

 

 

“Christelle scendi! Muoviti, manchi soltanto tu!” Elena urlava dal soggiorno impaziente, mentre io, al piano di sopra, stavo ancora preparando il mio bagaglio.

Misi le ultime cose dentro la piccola valigia. “Si, ho finito, ora scendo!”

Presi il cellulare, la borsa, il bagaglio e scesi le scale. In soggiorno Elena mi aspettava, con le braccia conserte al seno e picchiettava nervosamente il piede sul pavimento. “Era l'ora! Ci staranno già aspettando tutti!” disse, aprendo la porta e invitandomi ad uscire dall'abitazione.

“Le vere Star si devono sempre far aspettare!” le risposi ridendo e facendole l'occhiolino, riuscendo così a strapparle un sorriso.

Caricammo i nostri piccoli bagagli nell'auto di Elena e salimmo in macchina, pronte a passare un week-end normale tra amici.

 

Dopo un'ora di macchina, mi sentivo stanca e mi si erano addormentate le gambe, così io proposi ad Elena di fermarci in un' autogrill. Scese dalla macchina, entrammo in quella piccola stazione di servizio. “Vado un attimo in bagno, aspettami qui.”mi disse Elena, ad un certo punto.

Io, invece, presi un pacchetto di patatine e una bottiglietta d'acqua e mi diressi alla cassa. “Prendo questi” dissi, cercando il portafoglio nella borsa. “Sono quattro e settanta” mi rispose il cassiere, un uomo sulla quarantina cicciottello, con indosso una camicia sudicia e un odore sgradevole. Gli diedi i soldi e mi girai, pronta ad andarmene. “Ehi, zuccherino, non mi lasci il tuo numero?” mi chiese il lurido cassiere ad un tratto. “Si, nei tuoi sogni, zuccherino.” gli risposi sarcastica, uscendo dall'edificio.

Poco tempo dopo mi raggiunse Elena. “Cosa voleva quel cassiere?” mi chiese lei curiosa, mentre ci dirigevamo alla macchina. “Niente, il solito porco che ti chiede il numero.” risposi scrollando la testa.

 

Dopo un'altra oretta di viaggio ci fermammo davanti ad una bellissima villetta che si affacciava direttamente sul lago cristallino. “Siamo arrivati” esordì Elena d'un tratto “prendiamo i bagagli, ci staranno aspettando.” continuò lei, e così feci.

 

Attraversammo il vialetto ed entrammo in quella bellissima casa: all'ingresso c'erano molti cimeli antichi, e davanti a noi un lunghissimo corridoio “Wow, qui è bellissimo” dissi, continuando a guardarmi intorno. “Lo so” mi rispose Elena, sorridente.

Un bellissimo ragazzo dagli occhi verdi ci corse incontro: Stefan. “Ehi, ce ne avete messo di tempo!” disse, correndoci incontro. “Meglio tardi che mai, no?” gli risposi, ridendo.

Ci accompagnò alle nostre stanze. Ovviamente Elena avrebbe dormito con Stefan, mentre a me era stata assegnata una stanza, alla fine del corridoio, anch'essa accogliente e ben arredata. “ Grazie, è stato molto gentile da parte vostra invitarmi qui. E' tutto bellissimo” gli sorrisi sincera. “Non devi preoccuparti, sei la benvenuta” mi rispose Elena, abbracciata al suo fidanzato.

 

Andai nella mia camera per darmi una rinfrescata. Ci eravamo dati appuntamento sul ponte che si affacciava sul lago, direttamente attaccato alla villa Salvatore. Presi una borsa di paglia, gli occhiali da sole e il cellulare.

Indossai qualcosa di comodo, quel pomeriggio faceva particolarmente caldo, ma non avevo intenzione di fare il bagno, infatti non indossai il costume. Anche essendo un'ottima nuotatrice mi sarei vergognata troppo a rimanere in costume da bagno davanti al maggiore dei Salvatore.

Mi infilai degli shorts in jeans, un top rosso e tirai su i capelli in una coda alta con un nastro rosso.

 

Sulla veranda c'erano Stefan ed Elena che mi aspettavano. “Dai, sbrighiamoci, gli altri sono già tutti là e ci staranno aspettando” disse Elena, incamminandosi.

E infatti era così: Tyler, Caroline, Jeremy, Matt, Bonnie e Damon erano sul ponte che ci aspettavano.

“Finalmente” urlò Caroline, correndoci incontro. “Scusate, ma la principessa qui presente era occupata a flirtare con il cassiere dell'autogrill!” disse Elena facendomi l'occhiolino e spintonandomi scherzosamente. “Si certo come no, l'importante è crederci” le risposi, ridendo.

“Su forza non c'è tempo da perdere, il tempo scorre!” esordì Caroline, tuffandosi in acqua, subito seguita da Tyler e Matt. “Tu non vieni?” mi chiese Elena, seguendo gli amici in quella pozza cristallina, insieme a Stefan. “No, non..” non riuscii a finire la frase che mi ritrovai in acqua, completamente zuppa, tra una ferrea stretta che mi bloccava la vita. “Brutto idiota!” dissi, girandomi, pronta a lanciare una sberla al cretino che mi aveva buttato in acqua, ma quel che vidi mi lasciò senza parole: un bellissimo Damon Salvatore era a pochi centimetri dal mio viso, e mi guardava negli occhi.

In quel momento cessai di respirare, e i rumori divennero ovattati, sentivo solo una debole scia di risate in sottofondo.

Scrollai la testa e uscii da quella meravigliosa trance, schizzando il bellissimo Salvatore e cercai di liberarmi da quella sua calda e forte morsa. “Lasciami, cretino!” sbottai, urlando. “Ah, cretino a me?” mi chiese, con un sorriso sghembo sul viso.

In quel preciso istante mi spinse sott'acqua, facendomi riemergere solo qualche secondo dopo.

“Chris, non eri tu quella che non voleva fare il bagno?” mi chiese sarcastico Tyler. “Ah, ah” gli risposi, con una finta risata.

“Chris, se non ti vai ad asciugare ti prenderai qualche malanno, fai attenzione” continuò il corvino, imitando il tono canzonatorio di un genitore. Aspetta. Genitore... Il nonno! Oddio, non lo avevo avvisato del mio normale week- end tra amici.

Nuotai fino al ponte, feci leva con le braccia, uscii dall'acqua, presi il cellulare e corsi verso casa. “Chris, dove vai! Non ti sarai mica offesa, vero? Stavo scherzando!” urlò Tyler, ma io non lo stetti ad ascoltare, il nonno doveva essere in pensiero e furioso. Mi fermai in veranda e composi il numero, aspettando che rispondesse. “Pronto?” la vocè di mio nonno risuonò dall'altro capo del telefono. “Nonno, sono io, Chris. Senti lo so, sarai preoccupato, ma sono viva e sto bene. Mi sono solo dimenticata di avvertirti. Sono al lago, nella casa dei miei amici di scuola, rimarrò qui per tutto il week-end, per te va bene?” gli chiesi, con la voce più dolce del normale “Ah, davvero? Cioè si, stai tranquilla, un bacio ti voglio bene.” mi rispose, staccando il telefono.

Non si era neanche accorto della mia mancanza. Non ero a casa da almeno cinque ore, e lui torna a casa sempre alla stessa ora, ovvero alle due.

Ero davvero così invisibile nella sua vita?

Non si era neanche preoccupato di sapere di dove e con chi fossi.,

Delusa ed amareggiata, entrai in casa, mi cambiai i vestiti bagnati e tornai al ponte, senza proferire parola. “Ehi, tutto okay?” mi chiese Bonnie, preoccupata. “Sisi, tutto a posto” sorrisi fintamente. Tutti però si accorsero del mio malumore, infatti nei miei occhi traspariva una profonda tristezza e delusione. “State tranquilli, sto bene. Vado a fare due passi, se non vi dispiace, torno presto.” aggiunsi, alzandomi e continuando a sorridere.

Stavo camminando in quelle stradine tra gli alberi, che circondavano completamente il lago. Mi fermai in un piccolo spiazzo e mi sedetti sotto un albero, a pensare.

 

Pensai al nonno, a di come era entrato a far parte nella mia vita, ma di come ancora io non ero riuscita ad entrare nella sua.

Pensai alla mamma, di come mi mancasse e di quanto le volessi bene,

Pensai a papà, e al suo maledetto pianoforte. A quel blocco morale che mi impediva di suonare.

Pensai a Damon, a come fosse così dannatamente bello quanto impossibile.

E pensai al giorno dell'incidente, come mai non ricordavo niente? Perché non riuscivo a ricordare uno dei miei ultimi momenti felici?

 

Una voce interruppe i miei pensieri “A cosa pensi?” Aprii gli occhi e trovai l'immagine di quel magnifico scrigno conservava e faceva risplendere quei diamanti color ghiaccio, sdraiato proprio di fianco a me. “Ad un po' di cose.” risposi, cercando di riottenere il controllo del mio respiro. “Ad esempio?” mi chiese, girando la testa verso di me. “E perché interessarti?” sbottai, schietta. Chiuse gli occhi e mise le mani sotto la testa, mostrando il suo petto scolpito coperto solo da una leggerissima camicia nera. “Tu rispondi e basta.” Presi un respiro e gli risposi. “Pensavo al nonno, ai miei genitori, al giorno dell'incidente e alla mia vita. In pratica a cose che a te non interessano” Mi guardò, serio in viso. “Perché te ne sei andata prima?” mi domandò lui. “Perché qualcuno mi aveva bagnato da capo a piedi, e dovevo chiamare mio nonno.” gli risposi, seccata.

Ci fu un lungo silenzio, io ascoltavo i suoi respiri che si confondevano con il rumore del vento.

Poi lui ruppe quel magico silenzio con un'altra domanda. “Non ci sono più vero?” mi chiese girandosi a guardarmi. “No.” gli risposi solamente. “Avevo quattro anni, un incidente d'auto, solo io mi salvai. Sono cose che capitano.” aggiunsi, cercando di non far trasparire le emozioni che mi dilaniavano il cuore e l'anima. Non lo avevo mai detto a nessuno, almeno non così apertamente.

Ci fu un altro lungo silenzio, poi lui disse: “Si è fatto tardi, sarà meglio rientrare” si alzò agile, e anche io lo imitai.

 

Nel viaggio di ritorno era calato un silenzio quasi imbarazzante “Perché mi avevi detto che era stato Stefan a salvarmi la sera del ballo, e non tu?” gli chiesi, cercando di romperlo.

Perché è così che di solito vanno le cose, a casa Salvatore. E' mio fratello l'eroe, io sono sempre stato quello “cattivo”- gesticolò con le mani- non volevo solo modificare il ciclo naturale delle cose” mi rispose, con tono sarcastico. “Beh, non bisogna mai essere ciò che la gente si aspetta di vedere.” aggiunsi io, continuando a camminare. Lui non mi rispose, il silenzio era calato di nuovo.

 

Quando arrivammo al ponticello di casa Salvatore, ormai non c'era più nessuno.

Ormai erano le sette, e tutti erano dentro casa.

La tavola era apparecchiata, e vidi uno Stefan sorridente ai fornelli, mentre Elena cercava di “rubare” qualcosa da mangiare dalla pentola con cui stava armeggiando Stefan.

“Alla buon'ora!” Matt ci sorrise, facendoci cenno con la mano. “Salve a tutti” continuai io, sorridendo. “Vado sopra a darmi una ripulita e scendo” dissi, correndo su per le scale.

Indossai dei pantaloni attillati, neri, molto eleganti, con una maglia larga e lunga rossa, semplice ma elaborata. Mi lasciai i capelli sciolti, e scesi le scale, pronta per la cena.

 

La serata trascorse tranquilla, ad eccezione di qualche frecciatina e qualche sguardo malizioso che mi lanciava Damon.

 

“Buonanotte a tutti!” disse Elena, andando al piano di sopra insieme a Stefan.

“Dai, Elena non fare la vecchietta, la notte è ancora giovane!” le rispose Care, completamente sbronza.

“Ci penso io a portarla di sopra.” ci rassicurò Tyler, prendendo in braccio la bionda.

E così fece Bonnie, Matt e Jeremy, lasciando me e Damon soli in soggiorno.

“Allora buonanotte.” dissi io, congiungendo le mani, cercando di spaccare quel fastidioso imbarazzo.

Lui non mi rispose, continuò a bere quel liquore ambrato dal bicchiere, facendomi cenno con la mano.

 

Salii le scale, confusa. Non mi parlava nemmeno più ora? Perché mai comportarsi così? Eppure quella sera era stata tranquilla e così anche il pomeriggio...piacevole.

Non lo capivo, e la mia testardaggine non mi avrebbe permesso di concludere così quella serata.

Presi un respiro e tornai nuovamente in soggiorno. “Damon?” chiesi, con un filo di voce. “Si?” mi rispose, indifferente. “E' tutto okay? Cioè intendo dire.. ho fatto qualcosa che ti turba? Mi sembri freddo tutto d'un colpo..” continuai, cercando di non guardarlo negli occhi. “Perché mai scusa? Per rimanere ferito da una persona, questa deve avere un'importanza nella tua vita. Non vedo come tu possa avermi ferito.”mi rispose lui, spiazzandomi. Era questo ciò che pensava di me? Ero solo un'illusa, quel pomeriggio era così... diverso.

Mi ero illusa un'altra volta, ancora e ancora.

A chi poteva importare di una ragazza come me? La ragazza sfigata che non ha amici, né fidanzato, non che la odino, sarebbe stato bello, almeno qualcuno avrebbe provato dei sentimenti per me, ma semplicemente la gente non sa della sua esistenza. “Ah.” risposi solamente, cercando di trattenere le lacrime che prepotenti volevano bagnare il mio pallido viso.

Salii le scale, andai in camera e mi abbandonai al sonno, sperando di poter sognare una vita migliore.

*****


 

Damon Pov.

 

Quella sera era stata tranquilla, la vedevo sorridere di tanto in tanto.

 

Quel pomeriggio lei si era aperta con me, o almeno ci aveva provato, facendomi così capire quanta tristezza prepotente facesse parte tutt'oggi nella sua vita.

Una bambina a cui vengono strappati i genitori, una bambina con un'infanzia sola ed infelice.

Persino un mostro come me riusciva a capirlo.

Ed io infatti ero un mostro e non volevo entrare nella sua vita, peggiorandola irrimediabilmente.

Quella sera l'avevo trattata davvero male, avevo visto la delusione strapparle quel suo magnifico sorriso e i suoi occhi spegnersi.

L'avrei fatto per il mio e il suo bene.

Io non la meritavo, ma sapevo anche che, accettandola o prendendomela mi avrebbe di nuovoo spezzato il cuore, strappandomelo dal petto e calpestandolo, proprio come avevano fatto le due donne a cui l'avevo regalato.

Era così, tutte le volte la storia era sempre la stessa.

Ma lei era così dolce, il suo sorriso, i suoi occhi, il suo profumo così dolce e invitante..

E poi avevo visto tutta la sua bellezza frantumarsi in mille pezzi davanti a me, a causa mia.

 

Misi il bicchiere nel lavandino e salii in camera, pronto ad abbandonarmi ad un sonno triste e malinconico.

 

                                                                                                                                                                                                          Questa volta avrei fatto la cosa giusta.

 

 

 

 

 

 

 

 

*Buongiorno, miei bellissimi fans.

(Oggi uso questa scrittura, mi piace di brutto * w *)

 

Allora, Damon ha deciso di lasciare perdere Chirstelle per il bene di lei.

 

Che cosa dolce .

 

Non vi resta che attendere fino al prossimo capitolo per scoprire che cosa accadrà, miei bellissimi prodi.

 

Un bacione,

Virginia.

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Capitolo 8
*** Remember. ***


You Ever Love Me?

 

7. Remember.

 

Christelle, piantala di cantare!” mi urlò mamma, dopo l'ottava volta che ripetevo la ninna nanna che mi cantava sempre prima di andare a dormire.

Io ti regalerò ogni singolo risveglio la mattina...” continuai senza darle ascolto.

Christelle Jane Hollister, se non la smetti vengo io lì, papà sta guidando e non devi deconcentrarlo!” mi sgridò mamma, per l'ennesima volta.

Non ti preoccupare cara, è solo una bambina.” disse, girandosi per sorridermi.

 

Una luce.

Un urlo. “Oddio, Paul!”

Fuoco, rumore, silenzio, lacrime, rabbia, ghiaccio. Un vortice di cose e emozioni che vedevo e provavo in quel momento.

 

Papà!” un urlo strozzato di bimba di quattro anni.

Sangue. Papà respirava piano, sfinito.

Mamma. Non la vedevo. Le lacrime scendevano copiose sul mio viso.

Un dolore alla gamba.

Un uomo. In piedi, davanti a papà. Mi guardava, e sorrideva.

Papà.”sussurrai, mentre quell'uomo si avvicinava a lui, ormai morente.

Addio, Paul.” disse l'uomo.

Buio.

Dolore.

Sangue.

Lacrime.

Fuoco.

Ghiaccio.

Rabbia.

Rancore.

Morte.

 

Mi sveglia di colpo.

Ero sola nel mio letto. Avevo la fronte bagnata di sudore freddo, e le guance bagnate dalle lacrime.

Mi alzai, scesi le scale e andai in cucina, dove presi un bicchiere d'acqua che bevvi tutto d'un sorso.

 

Mi appoggiai al muro della cucina, ripensando a quel sogno.

Era tutto così reale, così vero. Non era sfocato come i soliti sogni che facevo, sembrava di più... un ricordo.

Provai a rivedere quelle scene, così chiare e limpide, così dure e così follemente vere.

Non era possibile, non poteva essere. Non poteva essere vero, chi era quell'uomo?

Cos'era successo quel giorno di giugno di tredici anni fa?

Che cos'era successo ai miei genitori?

Che cosa voleva quell'uomo dai miei genitori?

Che cosa aveva fatto loro?

Perché io ero viva?

Qual era la verità?

 

Iniziai a scivolare con la schiena sulla parete, lasciandomi cadere sul pavimento, le mani in mezzo ai capelli.

Che cos'era successo ai miei genitori?

Che cosa non sapevo?

Gli occhi iniziarono a riempirsi di lacrime, non avevo più il controllo di me stessa.

Piansi ancora, sempre più forte, come se le lacrime potessero colmare il vuoto che mi lacerava, che si faceva spazio nella mia mente e nel mio cuore.

 

Una mano fredda mi si poggiò sulla spalla, mentre io continuavo a piangere.

“Christelle, Christelle, che succede?” Quella voce forte, quella voce che mi aveva spezzato per l'ennesima volta il cuore, si fece largo con prepotenza nella mia mente. “Ehi, guardami.” mi ordinò il corvino, accovacciandosi davanti a me e prendendomi il mento tra il pollice e l'indice. “No.” risposi dura, spostandogli nervosamente la mano e asciugandomi le lacrime con il palmo della mia.

 

Mi alzai bruscamente, schivandolo e corsi verso la porta d'ingresso, ma lui più veloce me lo impedì.

Volevo andarmene, volevo scappare il più lontano possibile da colui che mi aveva spezzato il cuore.

Mi prese per il polso e mi girò verso di lui, stringendomi al suo petto. “Dove credi di andare?” mi chiese con sarcasmo. “Lontano da te.” risposi con ribrezzo, cercando di tirargli una sberla in piena faccia, ma lui, prendendomi per il polso, non me lo permise.

Mi strinse ancora di più al suo petto di marmo, e io iniziai a tirare forti pugni contro esso con entrambe le mani, cercando di allontanarlo. Tutto fu inutile, visto che non lo spostai di un millimetro, mentre lui continuava a cingermi i fianchi con prepotenza. Così dopo vari tentativi mi lasciai andare, appoggiando la fronte sul suo petto. E piansi ancora più forte, mentre lui mi accarezzava i capelli arruffati. “Shhh, va tutto bene.” continuava a dirmi, mentre io piangevo insistente sul suo petto.

Ero sfinita, le gambe erano molli e il respiro affannoso. “Su, forza, ti porto a letto.” mi disse, sollevandomi con le sue braccia muscolose.

“Lascia, faccio da sola.” tentai di divincolarmi dalla sua presa.

“Non dire sciocchezze.” mi disse, senza lasciarmi scelta.

 

Mi porto al piano di sopra, nella mia stanza e mi coricò sul letto.

“Riposati.” mi disse, dirigendosi verso la porta.

“Aspetta.” dissi senza nemmeno pensarci. “Rimani con me, ti prego. Non voglio rimanere di nuovo sola.” continuai io, implorante.

Senza proferire parola il corvino si avvicinò al mio letto, io gli feci spazio spostandomi, e lui si coricò agilmente.

Rimanemmo in quella posizione per non so quanto tempo: secondi, minuti, ore. Poco importava.

Eravamo insieme, solo io e lui.

Nessuna barriera, nessuna congettura.

 

Lo guardavo.

Era sdraiato a pancia in su, guardava il soffitto con una mano sotto la testa.

Un raggio di luna gli sfiorava il viso, rendendolo ancora più bello.

“Perché piangevi?” mi chiese, d'un tratto. “E perché dovrebbe interessante?” risposi io, atona.

Ci fu un lungo silenzio. Un silenzio angosciante, quei silenzi che ti straziano l'anima.

Io ero il polmone e lui era l'ossigeno.

Lui per me era fondamentale, e io ne ero ormai dipendente.

Trattenevo il respiro, alla ricerca di quell'ossigeno che, probabilmente, non mi sarebbe stato concesso.

“Tu rispondi e basta.” ribadì, continuando a guardare il soffitto bianco.

“Ho fatto un sogno.” risposi velocemente. “Era così terribilmente.. vero. Ma non è per questo che piango. Il motivo è un altro.” continuai, tutto d'un fiato.

“Cioè?” mi chiese nuovamente, questa volta girandosi verso di me.

“Non era un sogno. Era.. era.. un ricordo.”continuai fredda.

“Che ricordo?” mi chiese, facendo leva con l'avambraccio per guardarmi, curioso.

“Di quel giorno, Damon. Di quel giorno in cui sono morti. Io c'ero, e ricordo. Ma è un ricordo folle,

impossibile. Eppure è così io lo ricordo.” risposi con la voce tremante, mentre sentivo le lacrime riaffiorare sui miei occhi. “E' così. Non ce la faccio più, sto impazzendo. Dimmi che non sono matta, ti prego.”aggiunsi. Ormai le lacrime rigavano le mie guance e la voce non era che un sussurro tremante.

“Ehi, non sei pazza. Guardami.- mi prese il mento tra l'indice e il pollice, per guardarmi negli occhi appannati dalle lacrime- Non lo sei, magari sei solo un po' stravagante” continuò sorridendo, riuscendo a strapparmi un sorriso. “Non pensarlo nemmeno un secondo. Le cose si sistemeranno e andrà tutto bene. Te lo prometto.” mi disse, stringendomi al petto.

 

E in quel momento tutto cessò d'esistere.

Il dolore, la rabbia, il rancore, la tristezza scomparirono.

Mi sentivo... a casa.

E così mi addormentai, come non facevo da tempo.

Ero a casa ed ero felice.

 

***

 

 

Mi alzai, non sapendo che ore fossero.

Tutto mi sembrava confuso, annebbiato.

Sogno o realtà?

Andai in bagno, dove un getto di acqua bollente mi aspettava. Uscii dal box con un asciugamano stretto sopra il seno e attraversai il lungo corridoio, diretta in camera.

Entrai nella mia stanza e vidi qualcosa sul comodino del letto.

Un orologio. Mi avvicinai, cercando di capire come ci fosse arrivato proprio lì, sul mio comodino.

Era l'orologio di Damon, ecco dove l'avevo già visto.

Aspetta.

Allora... Non era stato solo un sogno.

Damon Salvatore aveva “dormito” abbracciata a me quella notte.

Ne ero inevitabilmente felice, ma anche confusa e spaventata. Aveva detto che non ero nulla nella sua vita. Niente di niente.

Perché si comportava così?

Mi vestii velocemente, mi legai i capelli ancora umidi in una coda alta con un nastro rosso e scesi le scale. Elena, era in cucina insieme a Stefan, li salutai e mi unii a loro.

“Stanotte abbiamo sentito dei rumori provenienti da piano di sotto. Li hai sentiti anche tu?” mi chiese Elena schietta.

Sono scesa a prendere un bicchiere d'acqua stanotte, è probabile che abbia fatto più rumore di quanto pensassi, mi dispiace.”risposi, cercando di non balbettare. Allora era davvero successo tutto, non me l'ero immaginato: sia Damon che il sogno.

Quella storia non mi era chiara. Era tutto troppo reale per essere solo un incubo. Dovevo sapere di più, e per questo presi una decisione.

“Sentite, vi devo dire una cosa. Non posso trattenermi ancora. Siete stati molto gentili, ma ho delle cose urgenti da sbrigare e devo tornare a Mystic Falls” esordì, trattenendo il respiro.

“Ma come... Non puoi sbrigarle stasera? Rimani ancora qui con noi, non puoi abbandonarci così!” sbottò Elena, delusa. “Lo so, mi dispiace da morire, mi sono divertita molto, ma si tratta di una questione di vita o di morte, mi dispiace davvero, scusate” dissi, sinceramente dispiaciuta.

Erano stati gentilissimi ad invitarmi, ma io dovevo sapere.

“E con il viaggio? Come farai a tornare? Non hai la macchina!”aggiunse Elena, leggermente preoccupata. “State tranquilli, tra un ora parte un autobus, non scomodatevi.” dissi, alzandomi.

“Non ci pensare neanche.. Non preoccuparti. Chiederò a mio fratello di accompagnarti, non ci sono problemi.” mi rispose Stefan, salendo per le scale. “No, Stefan, va benissimo l'autobus, non preoccuparti, non voglio che Damon si scomodi per me” cercai di bloccare Stefan, ma come risposta ricevetti solo un cenno con la mano. “Damon!” urlò il moro. “Damon scendi!” provò nuovamente. Il bel corvino non si fece aspettare e, infatti, in men che non si dica era in cucina, più bello che mai. Quando i nostri sguardi s'incrociarono una scarica elettrica mi percorse la schiena.

Mi sentivo in imbarazzo come non mai. “Si, fratellino?”rispose il maggiore, appoggiandosi alla parete. “Christelle non si può trattenere, deve tornare a Mystic Falls entro questo pomeriggio. Potresti accompagnarla?”

“Non ti scomodare, Stefan insiste ma posso benissimo prendere un autobus..”cercai di dissuaderlo.

“Non preoccuparti, tanto anche io devo tornare a Mystic Falls, ti do io uno strappo” mi rispose, guardandomi negli occhi. “Okay, grazie.” risposi, tornando in camera mia, a preparare i bagagli.

 

Il viaggio fu silenzioso, io ero in imbarazzo, Damon quel giorno era bellissimo.

Il silenzio era perenne, ad eccezione di quando io gli chiedevo l'ora o quanto mancasse.

“Come mai torni a Mystic Falls così presto?” mi chiese ad un certo punto.

“Devo chiedere delle cose a mio nonno.” gli risposi, infilando le dita affusolate nei capelli rossi e arruffati dal vento.

“Riguardo i tuoi genitori?” mi chiese ancora, schietto.

“Si.” risposi solo, non volevo toccare di nuovo quell'argomento.

Poi il silenzio calò definitivamente.

 

Arrivammo a Mystic Falls, sul presto, verso l'ora di pranzo.

“Grazie del passaggio Damon.” gli dissi, aprendo la portiera.

“Figurati e... buona fortuna.” mi rispose, sorridendomi.

Prima di scendere però, girai di colpo il viso, posandogli un leggero bacio sulla guancia.

Grazie di tutto, Damon.” aggiunsi, prima di scendere dalla macchina.

Mi tirai una lieve pacca sulla testa, ricordandomi di una cosa. Corsi indietro e riaprii la portiera dell'abitacolo.

“Dimenticavo, questo deve essere tuo” gli dissi sorridente, porgendogli l'orologio.

Lui l'accettò, senza proferire parola. Fatto ciò chiusi la portiera, dirigendomi verso l'entrata della mia casa.

Il bel corvino partì solo dopo che io fossi arrivata alla fine del vialetto e non immediatamente come era solito a fare.

 

Presi un respiro profondo, ed entrai.

Ero pronta e determinata a sapere la verità.

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Capitolo 9
*** Truth Below. ***


You Ever Love Me?

8. Truth Below.

 

“Nonno, sono a casa!” urlai, togliendomi la giacca e posando la borsa.

“Ehi Christelle! Ti sei divertita?” mi chiese, comparendo dalla cucina.

“Si, sono stati molto ospitali” risposi, facendo un respiro profondo. “Sono tornata prima, mi sarei dovuta fermare fino a questa sera.” continuai, cercando di non far tremare la voce.

“Ah. Perché mai?” mi chiese, non spostando gli occhi dalle cartelle che stava esaminando.

“Perché dovevo parlare con te, nonno.” gli dissi, riuscendo a catturare il suo sguardo, ora puntato su di me.

“Bene, dimmi tutto. Di cosa mi devi parlare?” mi chiese, sedendosi sul divano e io subito lo imitai.

Presi un respiro profondo.

Ora o mai più.

Era un biglietto di sola andata.

Niente più bugie, niente più storielle da quattro soldi.

Mi stavo giocando tutto quanto.

Volevo parlarti di mamma e papà. Di quel giorno. Io stanotte ho fatto un sogno, ma non era un sogno come gli altri. Era più.. un ricordo.” dissi, tutto d'un fiato, guardando negli occhi il nonno e

dentro quelle grandi pozze marroni vidi tutto. Malinconia, tristezza, gioia, sollievo, rabbia. Tutto mescolato insieme, in un vortice d'emozioni.

“Cosa hai visto esattamente?” mi chiese, cercando di non far trasparire le emozioni.

“Ho visto.. l'incidente. Ho visto papà che usciva fuori strada, mamma che urlava, il fuoco, il sangue... ma quello che più mi ha colpito – continuai, ormai la voce era spezzata.- è stato un uomo.

Un uomo che uccideva papà sotto i miei occhi, nonno. Io non ce la faccio più, io... voglio sapere la verità, nonno. Ti prego.” Ormai la mia era una supplica spezzata dalle lacrime che iniziarono a scendere dai miei occhi.

Il nonno si alzò, e iniziò a camminare avanti e indietro. Era nervoso, aveva le mani nei capelli brizzolati.

Si girò, tornò a sedersi e mi prese le mani nelle sue. “Ti spiegherò tutto, tesoro. E' ora che tu sappia, però dobbiamo cominciare dal principio.

 

Eravamo seduti attorno al tavolo della cucina, entrambi con una tazza di tè fumante tra le mani.

“Non hai mai sentito parlare delle leggende folkloristiche?” mi chiese, guardandomi negli occhi.

“Tipo le leggende popolari attribuite ai paesini o alle città?” chiesi, curiosa.

“Esattamente. Beh, anche Mystic Falls ne ha, è famosa proprio per questo.” mi disse, sorridendomi sghembo.

“E che cosa narrano queste dicerie?”

Demoni della notte che si nutrono di sangue umano. Vampiri.” mi disse in un sibilo sommesso e io non proferì parola, cercando di capirci qualcosa. “Dicono che questi demoni infestano Mystic Falls fin dalla sua fondazione. Ma è questo il punto – sospirò.- non sono solo dicerie.” concluse, guardandomi negli occhi.

Non ci credevo, ma non mi scandalizzai più di tanto per il momento. Volevo sapere la verità, sia bella che brutta. I commenti e le urla le avrei conservati per dopo. “Continua” dissi solo.

Così come esistevano i vampiri, esistevano anche licantropi e streghe, in eterno conflitto con i demoni della notte. Ma alcune streghe incoscienti decisero di aiutarli. Tramite degli incantesimi, i vampiri riuscirono a camminare alla luce del sole, indossando dei cimeli stregati.” continuò, preso dal discorso. “Quindi senza di essi sarebbero morti alla luce del sole?” chiesi, sinceramente curiosa quanto sorpresa.

“Esattamente. Un altro punto debole per i vampiri, come il sole, è la verbena.” disse, sorseggiando il liquido dalla tazza. “Verbe... che?!” chiesi, strabuzzando gli occhi.

“Verbena. E' una pianta che indebolisce i vampiri. E' un po' come l'acqua santa per il conte Dracula.” disse, sorridendo. “Ingerendola o toccandola i vampiri si indeboliscono, e qualunque umano l'indossi o l'ingerisca è immune al soggiogamento.” continuò l'uomo, sicuro.

“Soggiogamento? Tipo controllo mentale?” chiesi, la situazione stava diventando fin troppo assurda.

“Esattamente. Un vampiro è in grado di controllare la mente di una persona, ma solo se non indossa verbena o non sia presente nel suo organismo.

Comunque, i vampiri e le streghe sono presenti a Mystic Falls dalla sua fondazione e la invadono tutt'oggi.” a quella frase il sangue mi si gelò nelle vene. “Infatti esiste un consiglio segreto, di cui io faccio parte, proprio per capire le attività dei vampiri in questa città.” Consiglio segreto? Ora non eravamo più sul set di Twilight ma di James Bond? Ma, come mi ero promessa, ora o mai più. Non potevo cedere, dovevo andare fino in fondo.

“Continua nonno.” dissi, sicura.

“I vampiri “nacquero” più di tremila anni fa, quando in un villaggio bulgaro arrivò un branco di licantropi, devastandolo e uccidendo molte persone, tra cui donne e bambini.

Una strega di questo villaggio, madre di sei ragazzi e una ragazza, decise di dare loro delle “doti”, così da potersi difendere. Con un'altra strega, nonché sua grande amica, lanciarono un incantesimo ai figli, ma facendo ciò distrusse l'equilibrio della natura e le sue discendenti, indignate da ciò, condannarono i suoi figli, costringendoli ad una vita eterna, schiavi di sangue umano. Tra questi sette figli ce n'era uno, Kylhe, perdutamente innamorato della strega che aveva aiutato la loro madre nell'incantesimo. Nei primi anni, ci fu un periodo che venne chiamato “periodo della luna nascente” proprio perché in quel periodo tutte le creature soprannaturali potevano concepire, cosa che a loro non era concessa. E proprio in quel periodo, Sarayon, così si chiamava la strega originale, rimase incinta di Kylhe. Un legame condannato alla clandestinità. Infatti tutti cercavano di eliminare questo bambino, il risultato del legame tra due specie destinate ad odiarsi per sempre. Il bambino era riuscito a salvarsi, e riuscì anche a procreare, mandando avanti la stirpe.

La leggenda narra che il sangue del primo e del centesimo figlio o figlia di questa generazione, possa spezzare un antico legame che da secoli milioni e milioni di vampiri cercano di spezzare: il legame tra strega e vampiro. Ovvero il loro sangue può far sì che le streghe non abbiano più nessun potere sui vampiri, così da non imprigionarli più tramite incantesimi e di eliminare quelli già creati. Questa generazione continua tutt'oggi.” mi disse, continuando a guardarmi dritta negli occhi.

“Bene Chris... Sai di essere stata adottata, no?” mi chiese timoroso il nonno.

“Si nonno, non ricordi?” risposi confusa. Questo cosa c'entrava?

“Adottandoti i tuoi genitori hanno fatto un patto col diavolo. Anche se sapevano a cosa andavano in contro ti hanno voluta lo stesso, perché ti amavano e ti desideravano. Ciò li avrebbe inevitabilmente condotti alla morte, però.”

“Perché nonno? Cosa c'entra questo?” gli chiesi. Non riuscivo a capire.

Perché tu, Christelle Jane Hollister, sei colei che spezzerà la maledizione, tu sei la centesima figlia della generazione originale, tu sei la prescelta.” continuò il nonno, tutto d'un fiato.

 

Non era possibile.

Era solo un brutto sogno e io mi sarei svegliata al più presto, con la fronte bagnata di sudore.

Ma ciò non accadde.

Ero sveglia ed ero la prescelta. I miei genitori erano morti a causa mia, e i miei genitori biologici mi avevano dovuto abbandonare per non rischiare la vita.

Ma io ero forte, ero una Hollister, dannazione.

Respirai profondamente, mi alzai e strinsi i pugni talmente forte da farmi sbiancare le nocche.

“Chris, lo so che sei sorpresa, arrabbiata, ti capisco... Tutto ciò è una follia, ma.. è tutto vero. E' la verità che tanto agognavi.” mi disse il nonno, accarezzandomi una spalla.

Mi asciugai una lacrima che mi era scivolata lungo la guancia con il dorso della mano e sospirai profondamente.

“Si nonno, dovevo sapere e ora so.” dissi, sorridendogli.

“Chris, col tempo imparerai a conviverci, sei una ragazza forte e passerai anche questa.”

Ero stufa.

Nella mia vita non avevo fatto altro che combattere, a passare sopra a tutto.

Tutti che mi dicevano che ero forte, che ce l'avrei fatta.

Basta. Ero stufa di dover sempre subire, di vedere la compassione negli occhi degli altri.

Io ero Christelle Hollister, la prescelta, una specie di Principessa Guerriera, insomma.

“Si nonno.” risposi solo. “Non avresti un po' di verbena da darmi?” gli chiesi. Se bisognava combattere l'avrei fatto con le armi giuste.

“Certo Chris, ce ne tutta quella che vuoi, meglio averne sempre un po' dietro. Comunque non devi preoccuparti, tu sei immune al soggiogamento. E' una tua dote, la possiedi dalla tua nascita.” mi disse, sorridendomi.

“Sul serio? Abbiamo finito con le sorprese, o devi ancora dirmi che se dico una parola magica mi spuntano le ali e spicco il volo?” chiesi, sarcastica.

“Per ora le sorprese sono finite. Sono felice di averti detto tutta la verità.” continuò, sorridendo ed abbracciandomi. “Un'ultima cosa- continuò lui- Qui a Mstic Falls ci sono molti vampiri, soprattutto nelle famiglie fondatrici. Io so molte più cose dei membri del consiglio. D'altronde mia nipote è la prescelta, ne ho tutto il diritto.” aggiunse, quasi vantandosi.

“Tipo?” chiesi, mentre toccavo quei ramoscelli di quella pianta violetta.

“Ad esempio i Salvatore e la figlia dello sceriffo Forbes. Poi ci sono i Bennet, antica famiglia di streghe e i Loockwood, discendenza di licantropi.”

 

Stop.

Il respiro aumentava.

Il cervello non riusciva ad elaborale quella semplice frase, fatta di verità sepolte e nomi conosciuti.

Era impossibile, non ci potevo credere.

Era una follia, magari avevo capito male io.

Magari stavo fraintendendo tutto.

Mi misi le mani trai capelli, mentre cercavo di stabilizzare il respiro.

“Chris, che succede?” mi chiese il nonno, allarmato.

Non risposi. Non ne avevo la forza.

“Ehi, Chris, che succede?!”mi chiese ancora una volta, seriamente preoccupato.

“Niente nonno, sono solo un po' scombussolata... tutte queste novità in così poco tempo..” finsi, scrollando la testa.

Non potevo dirglielo, si sarebbe solo allarmato inutilmente.

Quegli amici, quelle persone che ormai erano entrate nella mia quotidianità, quelle persone a cui volevo bene, quelle persone con cui avevo trascorso il mio tempo e che avevo visto solo poche ore fa, non erano persone. Erano mostri.

Lui, il mio bellissimo sogno, non era altro che un incubo.

Il mio bellissimo corvino non era altro che un mostro senz'anima.

E, in fondo, sapevo che una parte di lui, chissà quanto importante aveva sete del mio sangue.

Ero sconvolta. Ma, alla fine, anche io ero un mostro, no?

Ero la prescelta, la discendente di una strega e un vampiro originari.

“Nonno, ora voglio andare a far due passi, voglio schiarirmi le idee.” proposi, ancora su di giri.

“Certo cara, prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno.” mi rispose, sorridendomi.

E così uscii di casa, diretta chissà dove.

 

Dopo un'ora trascorsa a pensare, decisi di fare una cosa.

Un'altra scelta fondamentale, un altro salto nel vuoto.

Una decisione che avrebbe segnato la mia vita, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.

 

Me la trovai davanti, possente, che mi fissava.

La pensione Salvatore.

Quel luogo intriso nel mistero, stampato su un foglio con un inchiostro invisibile.

Non potevo sapere se il nonno mi stesse davvero dicendo la verità, non mi rimaneva che controllare.

Uno stupido agnello che entra nella tana del leone.

 

Ora o mai più.

Bussai decisa, a quell'ora dovevano essere già tornati.

Una Elena sorridente venne ad aprire la porta.

“Ehi Chris! Sono felice di vederti!” esordì la mora, abbracciandomi.

“Anche io.. sei sola in casa?” chiesi, guardando oltre le sue spalle.

“No ci sono Stefan e Damon. Vuoi che te li chiami?” mi rispose, curiosa.

“Si grazie, potresti chiamarmi solamente Stefan? Vorrei chiedergli una cosa.” dissi, cercando di mostrare indifferenza.

“Certo, vado subito a chiamartelo.”sorrise e corse su per le scale.

Il momento era arrivato. Ora o mai più.

 

Stefan scese dalle scale, sorridendomi, seguito da Elena.

“Ehi Chris! Dimmi tutto.” mi sorrise ancora, mostrandomi i denti perfetti.

“Mi dispiace, ma devo sapere.” dissi solo.

I due mi guardarono non capendo, ma poi ogni dubbio svanì, le mie intenzioni furono chiare.

Buttai a terra un vaso che era poggiato sul mobiletto del soggiorno, facendolo frantumare in mille pezzi taglienti.

Mi accovacciai veloce, ne presi e ci incisi un profondo taglio sul palmo della mia mano destra.

Elena era sconvolta, riuscì solo ad urlare uno “Stefan!”, terrorizzata.

Stefan iniziò a respirare affannosamente. I suoi occhi divennero neri, inespressivi e attorno ad essi nascevano tante piccole vene blu.

In men che non si dica mi si avventò addosso.

Spalancò le fauci mostrandomi i grossi canini.

Poi accadde l'impensabile.

Vidi Stefan volare dall'altro lato della stanza e, con la stessa impressionante velocità, qualcuno gli si avventò addosso.

Damon, il maggiore dei Salvatore, il maggiore dei due bellissimi fratelli dannati.

Ci fu una sorta di combattimento tra i due, fino a quando Damon non sovrastò il fratello, bloccandolo.

“Respira Stefan, respira.” gli disse, cercando di calmarlo.

In poco tempo il moro riusci a riottenere il controllo, alzandosi normalmente, e non con la sua super velocità.

Mi guardò ansante, confuso.

Tutti in quella stanza lo erano.

“Perché lo hai fatto?” mi chiese avvicinandosi cautamente a me.

“Te l'ho detto, dovevo sapere.” farfugliai, cercando di alzarmi dal pavimento.

Era vero, il nonno non mi aveva mentito.

Era così dannatamente reale e allo stesso tempo folle.

Ero agitata, avevo provocato un demone che aveva dimostrato di desiderare il mio sangue.

Mentre pensavo affannosamente, girai la testa, e li vidi.

Ogni preoccupazione scomparve.

Non mi avrebbe fatto del male, non era il mostro che pensavo.

Un mostro non poteva avere degli occhi così dolci, non poteva avere degli occhi con quella vita al loro interno, non poteva possedere quelle pozze piene di mistero e di.. umanità.

Ero io il vero mostro.

Ero io quella che aveva dubitato di lui, ero io quella persona che aveva pensato che lui poteva esserlo.

Ma in quel momento in quei bellissimi occhi di ghiaccio vedevo solo sconforto e.. delusione.

Una profonda delusione che mi straziava, lacerandomi l'anima.

“Ora sei felice, eh? Ora che hai scoperto che siamo dei mostri sei felice di poter dire di essere migliore di noi? Ti senti confortata ora?!” sbottò il corvino, furioso.

Come poteva dirmi questo?

Lui me lo aveva nascosto, mi aveva mentito, mentre io mi ero aperta a lui, regalandogli parti di me che non avevo mai concesso a nessuno.

“Damon tu mi hai mentito, voi tutti lo avete fatto. Non dovevate avvicinarmi se poi il vostro obbiettivo era quello di ferirmi, mentendomi.” sbottai io, ormai la voce era sempre più spezzata, mentre i miei occhi diventavano lucidi. “Se il vostro obbiettivo era quello di ferirmi, beh ci siete riusciti.” proseguii, cercando di usare un tono impassibile, cosa che ormai mi era impossibile.

Elena aveva le lacrime agli occhi, era sul punto di scoppiare.

Non volevo che stesse male, le volevo bene.

Era mia amica. Loro tutti lo erano.

Volevano proteggermi, e se avessero davvero voluto farmi del male lo avrebbero già fatto da tempo, ne avevano avuto più volte occasione ma, invece, mi avevano soltanto salvato: da James e da me stessa.

Se non fosse stato per loro non avrei mai avuto degli amici. E Damon.. Lui ormai era tutto.

Lui c'era sempre e c'era sempre stato.

Non potevo fargli questo.

“Elena... ascoltatemi tutti per favore.” dissi io, guardandoli.

“Ormai fate parte della mia vita, non si torna più indietro. Scusate, prima ho esagerato, ma ero solo arrabbiata, non ci potevo credere, non potevo credere che mi aveste nascosto qualcosa di così importante” continuai con voce spezzata, guardando Damon.

La sua espressione non cambiava: fredda e furiosa.

Chris, cerca di capire.. dopo che una persona lo viene a sapere non è più al sicuro e la sua vita cambia, per sempre. L'abbiamo fatto per il tuo bene, per la tua sicurezza. Non volevamo coinvolgerti.” mi interruppe Stefan che manteneva ancora le distanze, probabilmente per lui la vista del sangue doveva essere uno strazio, cercava con tutte le forze di non farmi del male.

Sei solo una bambina viziata.” sbottò Damon, guardandomi con disgusto. “Tu puoi avere tutti i segreti che vuoi, ma appena ce li hanno gli altri e te li tengono nascosti per il tuo bene, ti incazzi” continuò il corvino, infilandosi la giacca e aprendo la porta d'ingresso.

“Aspetta Damon!” urlai io, ma ormai era già uscito dalla pensione.

*****

 

Damon Pov.

 

Incazzato, ecco cos'ero.

Era solo una bambina, ma questa volta nel senso negativo della parola.

Ed io ero un mostro e ora lei lo sapeva.

Sapeva ogni cosa.

Dovevo esserne felice? Beh, non lo ero.

Proprio per niente.

Ormai non avevo più nessuna armatura, il trucco era svanito.

Ero nudo sotto i suoi occhi e sapevo che lei non mi avrebbe mai accettato, non avrebbe mai potuto provare qualcosa per un mostro, se non disgusto e odio.

 

Pensai, mentre mi dirigevo al Grill.

Se ormai lei sapeva tutto non avrei più dovuto fingere, avrei potuto schiacciare quel famoso pulsante, quello che spegne le emozioni, quello che non ti fa provare più niente.

Lei era così fragile e anche così dannatamente bella.

Mi piaceva la sua compagnia, mi piaceva la sua goffaggine e le sue gote sempre rosse.

E perché mai una persona così speciale avrebbe mai dovuto provare dei sentimenti per un essere come me?

Io ero un mostro, e lo sarei stato per l'eternità, dovevo smetterla di fingere di essere qualcosa che non ero e che non sarei stato mai.

Portami un doppio whisky e aspettami nel retro del locale” dissi, soggiogando la cameriera, una biondina sulla ventina, dall'aria molto invitante.

 

Non mi sarei illuso un'altra volta, non questa volta,

non con lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Ma buonasera bellissimi!

Come state? Io bene!

Scusatemi ancora per il ritardo!

Mi dispiace immensamente!! * piange disperata *

 

Christelle scopre delle “verità sepolte” (cit. del titolo) ma Damon sa che non potrà mai essere alla sua altezza quindi sceglie di schiacciare il famoso “pulsante”.

In questo capitolo ho aggiunto un originario che non esiste nella serie, ma mi serviva e quindi l'ho inventato. E' nato Kylhe!!

 

Che cosa succederà? Che cosa farà la nostra Chris?

Lo saprete nel prossimo capitolo!!

Un bacio,

Virgi.

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Capitolo 10
*** You're not. ***


You Ever Love Me?


 9. You're not.

Pov. Damon

 

Mi svegliai con un gran mal di testa quella mattina.

Quella notte avevo bevuto alcol e tanto, tanto, tanto sangue.

Mi ero divertito con qualche ragazza, le avevo soggiogate e portate alla pensione, dove poi ci eravamo divertiti.

Mi ero comportato come mostro, la mia umanità era andata a farsi fottere quella notte.

Eppure non ero soddisfatto.

Quel vuoto continuava ad espandersi, quel vuoto non voleva andare via.

Non parlavo con Stefan ed Elena da quel pomeriggio, da quando me ne ero andato senza spiegazioni.

Ero scappato, ero stato codardo.

Non avevo fatto come Stefan o Elena, non ero rimasto ad affrontare quella situazione, ero stato un coniglio, scappando dalla realtà, aggrappandomi all'alcol come ero solito a fare.

Dovevo spegnere le mie emozioni, dovevo dimenticare. E in teoria lo avevo fatto.

Eppure perché continuavo a pensare a lei? Perché il suo ricordo continuava a tormentarmi se non provavo più sentimenti?

Mi chiesi infilandomi i jeans scuri. Le ragazze se n'erano andate da almeno un'ora.

Seduci, mordi, cancella.

Semplice, no?

Era quello che mi riusciva meglio, potevo solo usare ed essere usato, l'amore era una cosa che non mi era mai stata concessa.

Scesi le scale mentre indossavo una t-shirt grigio perla. Elena e Stefan erano abbracciati sul divano. “Buongiorno” un sorriso ironico apparse sul mio viso. “Come ve la passate?” chiesi, avvicinandomi a loro.

Non dovevo dar a vedere il mio malumore, dovevo opprimerlo come facevo sempre, dovevo essere lo stronzo menefreghista che se ne frega di tutti e di tutto. Era l'unica soluzione, dato che le cose non sarebbero cambiate. “Buongiorno anche a te, Damon” mi rispose Elena. Il suo sguardo scrutava impercettibilmente ogni dettaglio del mio viso, cercando una seconda emozione nascosta.

Era scettica come sempre. Anzi era ottimista, credeva che in me ci fosse ancora un briciolo di umanità che mi permettesse di provare qualche sentimento. “Damon, sicuro che sia un Buongiorno?” mi chiese Stefan, guardandomi perplesso. “E perché mai dovrebbe essere un “cattivo giorno”?-gesticolai con le mani- il sole brilla nel cielo azzurro, gli uccellini cantano, il mondo gira e io sono affamato, vado a mangiare un boccone” dissi, allontanandomi dai due e sottolineando con la voce la parola boccone.

Volevano odiarmi? L'occasione non mancava mai.

Ieri quando te ne sei andato abbiamo parlato con Christelle, e così hanno fatto anche gli altri.. Dovevi vedere che faccia ha fatto quando ha saputo che Alarick Saltzman, il suo diligentissimo professore di storia, era un cacciatore di vampiri.” continuò Elena, con un risolino sommesso alla fine. “E a me cosa dovrebbe importarmi scusa? Ora sa che cosa sono, non devo più fingere di essere gentile con lei.” le risposi seccato, senza nemmeno guardarla negli occhi.

Abbiamo anche parlato di te, Damon. Avrebbe voluto parlarti ieri, ma tu sei scappato. Dovete parlare. Le cose non stanno come credi.” aggiunse la bella mora, facendomi sobbalzare internamente.

Che cosa voleva Christelle Hollister da me?

Uscii di casa senza rispondere, non ne avevo voglia.

Cosa voleva ancora dirmi? Non volevo sentirla mentre mi diceva che ero un mostro senz'anima e che dovevo starle lontano. Non avrei retto.

Mi diressi al Grill. Il mio migliore amico mi stava aspettando. Lui almeno c'era sempre, non gli importava se ero vivo o morto, lui mi faceva dimenticare e mi dava quel poco sollievo che tanto bramavo.

Portai il bicchiere alle labbra e sentii quel magico liquido ambrato scendermi giù per la gola.

E poi lo sentii, di nuovo.

Quel profumo dolce e familiare, un odore delicato di rose mescolato a quello più intenso e invitante del suo sangue.

Mi girai appena per vedere quei due smeraldi meravigliosi che mi fissavano, dritti nei mie.

I nostri sguardi si fusero, e, per un istante, sentii il cuore ricominciare a battere, all'impazzata.

Vidi la sua immagine delicata avvicinarsi cautamente a me, come per cercare di non far svanire la magia.

Damon, ho bisogno di parlarti.” mi disse lei seria. “Sono tutt'orecchi.”risposi, ingoiando l'ultimo sorso di quel nettare prezioso dal bicchiere trasparente.

Non qui, Damon.” continuò lei, pronunciando dolcemente il mio nome. Adoravo quando lo pronunciava, lo rendeva speciale, quasi.. umano.

Dai su,- sbuffai alzandomi- facciamo questa cosa così ce la leviamo di torno.” ero stato freddo e acido, ma era quello il mio obbiettivo, o sbaglio?

Lei uscii dal locale e io la seguii.

Conosci un posto tranquillo dove parlare?” mi chiese, aprendo la portiera della macchina. “La pensione andrà benissimo.” risposi seccato, battendo nervosamente il piede sul terreno. “Va benissimo, basta che non ci sia nessuno apparte noi due.” disse, spostando lo sguardo su di me.

Ah, allora credo di no, perché Stefan ed Elena sarebbero rimasti a casa questo pomeriggio per amoreggiare.” sbuffai, spostando lo sguardo oltre le sue spalle con fare indifferente.

Allora conosco io un posto tranquillo, sali.” disse, aprendomi la porta, invitandomi a salire.

Va bene, come vuoi.” borbottai salendo nell'abitacolo.

 

Eravamo in viaggio da una ventina di minuti. Non ci eravamo scambiati neanche una parola per tutto il tragitto.

Ogni tanto notavo che sbirciava il mio profilo con la coda dell'occhio, proprio come facevo anche io.

Siamo arrivati.” esordì lei, rompendo il silenzio.

Parcheggiò la Mercedes su una stradina sterrata e scese dalla macchina. “Seguimi.” esordì, dirigendosi verso un piccolo sentiero e per poi sbucare in una grandissima distesa verde, con un ciliegio al centro, mentre la seguivo. Attraversammo quel campo verde. Dovevo ammettere che era davvero stupendo. Avanzammo fino ad arrivare sotto quell'albero, dove Christelle si sedette, appoggiando la schiena sul tronco.

Io la imitai, cercando di mantenere una certa distanza. Sapevo che quella distanza faceva male ad entrambi, ma era la cosa giusta.

Non ho molto tempo, sbrigati.” dissi, guardandomi intorno con aria indifferente. “Damon, smettila.” disse solo, con occhi imploranti. “Cosa vuoi da me?! Me lo vuoi spiegare, dannazione!” sbottai, cercando di alzarmi, ma qualcosa me lo impedì. La mano della Hollister mi teneva stretto per il polso, trattenendomi. “Per favore, non fare così. Ho bisogno di parlarti.” mi disse, con voce tremante. Mi sedetti solo, sbuffando.

Ero uno stronzo, lo sapevo.

Ma era la cosa migliore. Io non la meritavo, come non avevo meritato Elena.

Lei doveva odiarmi e dimenticarmi.

Cosa potevo offrire io, morto senz'anima, ad un angelo come lei?

Damon, ci ho messo un po' per elaborare le cose.. Dopo quel sogno avevo capito che qualcosa non andava. Dovevo sapere, non potevate più tenermelo nascosto. All'inizio ero arrabbiata con voi, mi avevate nascosto una parte fondamentale della vostra vita, e io mi ero fidata, cosa che non facevo da molto tempo. Ero furiosa, non potevo..”

Basta così, Chris.” la interruppi io. “Non puoi continuare a farmi questi discorsi, non in questa situazione. Tu non dovresti essere qui, da sola, con un mostro come me, potrei farti del male o ucciderti.” dissi, sibilando.

Ma lei rimase impassibile, con lo stesso luccichio negli occhi, pieni di rancore.

No, tu non mi farai del male.” dichiarò solo. In quelle parole sentì un accenno di sfida.

Mi stai sfidando, per caso?” dissi suadente, cercando di spaventarla.

No, Damon. Non lo farai, perché tu non lo sei. Tu non sei un mostro e mai lo sarai.” rispose solo, incatenando i suoi occhi ai miei.

Il sangue mi si gelò nelle vene.

Davvero era così ingenua?

Lo credi davvero, Chris? Non hai paura?” gli chiesi, avvicinandomi a lei.

Si, in realtà ho paura.” rispose, avvicinandosi a sua volta. “Non ho mai avuto più paura in tutta la mia vita. Ho paura di perderti, Damon. Ho paura di vederti volare via, proprio come hanno fatto tutte le persone a cui tenevo. E io tengo molto a te. Non sei un mostro e mai lo sarai, per me.” continuò, la voce le tremava e gli occhi erano lucidi.

Era tutto così folle, così inaspettato. Io non la meritavo e mai l'avrei meritata.

Come mai non voleva capirlo?

Perché non capisci? Io sono morto.” le dissi, prendendole la mano e posizionandola dove, una volta, c'era il mio cuore. “Che cosa senti? Niente. E' solo un ammasso di cemento e pietra freddo come il ghiaccio. Io non ho un cuore, Christelle. Quando lo vorrai capire?” gli chiesi, guardandola in quegli occhi così malinconici.

Le stavo davvero facendo tutto questo male?

Damon, a volte le persone non scelgono che cosa essere, lo sono e basta. Tu sei umano. Lo sei più di me. Se non lo fossi io non sarei qui, non sarei qui per te.” una lacrima solitaria varcò il suo viso.

Come potevano degli occhi così belli essere così tristi?

Lei era così dolce e infinitamente buona.

Lei era lei.

La mia Chris.

La ragazza coraggiosa che sfidava ogni legge della natura per stare affianco ad un mostro come me.

La ragazza che facevo continuamente soffrire.

E io soffrivo a mia volta.

Stare lontani sarebbe la cosa giusta.

Ma, infondo, la mia vita non è un enorme errore?

Ho continuamente sbagliato, in tutta la mia vita.

Sempre e comunque.

Sono pronto.

Sono destinato a sbagliare?

Bene, questa volta sbaglierò ancora.

 

Farò lo sbaglio più giusto di tutta la mia vita.

Riesci solamente immaginare l'errore che stai commettendo?”

La guardai negli occhi lucidi, un sorriso dolce sul viso.

Se davvero tu sei un errore, beh, sono pronta a sbagliare ogni singolo istante.”

Mi sorrise, asciugandosi con il dorso della mano le guance umide.

Era così dannatamente tenera e sexy allo stesso tempo.

Com'era possibile?

Come potevo io, Damon Salvatore, perdere le staffe per una ragazzina?

E' una ruota che gira, ragazzo mio.

E ora, in questo preciso istante, saresti pronta a sbagliare?” gli domandai, sporgendomi verso di lei.

Lei mi guardò senza capire, un'espressione confusa sul volto.

Di colpo mi avvicinai al suo viso, solo pochi millimetri ci separavano.

Lei avvampo visibilmente, sorpresa.

Riuscì solo a sussurrare un tremante “Si” e io subito appoggiai le mie labbra sulle sue.

Erano morbide e piene, dolci e piccanti.

Un mare di emozioni mi invasero.

Mi travolsero portando via ogni parte di me.

Le sue labbra premevano sulle mie, le mie mani arrivarono ai capelli e gli sfilai il nastro rosso che intrappolava la sua morbidissima chioma rossa dove, subito, affondai le dita, intrecciandole a quelle ciocche infuocate.

Iniziai a socchiudere la bocca, chiedendo accesso con la lingua alle sue tanto bramate labbra.

Lei subito la accolse, socchiudendole a sua volta, cosa che mi fece sorridere.

Lei nostre lingue s'intrecciavano, si rincorrevano e giocavano assieme.

Fuoco e ghiaccio.

Terra e aria.

Bianco e nero.

Eravamo come un puzzle, tutti i nostri pezzi s'incastravano perfettamente, dando vita a mille emozioni.

Durante quella danza infuocata, mi accorsi della sua goffaggine, e ciò mi fece intuire che quello era il suo primo bacio.

Mi sentii onorato.

Ero stato il primo a cui lo aveva concesso.

Io, un demone senz'anima, ricevevo un dono così grande da un angelo come lei.

Sorrisi ancora.

Ero felice.

Ero a casa.

Dolcemente mi staccai dalle sue labbra, ancora incatenato ai suoi meravigliosi occhi verdi.

Le sue guance gioconde erano rosse, e tutto ciò le dava un aspetto terribilmente adorabile.

Il suo telefonò iniziò a squillare, rompendo la magia.

Lo tirò fuori dalla tasca, guardò lo schermo e rispose.

Ciao Stefan” disse, alzandosi dal terreno ricoperto d'erbetta verde.

Oh grazie al cielo Christelle! Stai bene?!” riuscii percepire con il mio acutissimo udito.

Si, sto bene, non preoccuparti!” rispose lei, cercando di calmare mio fratello.

Sapevamo che eri andata a cercare Damon e.. sai com'è.. vedendo che non rispondevi.. e Damon era furioso, ecco..” Stefan pensava davvero che le avrei fatto del male? Beh, infondo, come dargli torto? Non mi ero comportato nei modi migliori quella mattina.

In realtà siamo insieme, abbiamo parlato un po'. Non mi ha fatto del male, non me ne farebbe mai.” gli rispose, girando lo sguardo verso di me.

Ci guardammo negli occhi per un istante che parve essere infinito, solo la voce di Stefan ci riportò alla realtà.

Bene, sono felice che tu sia riuscita a parlarci. Raggiungeteci alla pensione, ormai il sole sta calando.” effettivamente eravamo stati sotto quell'albero per tutto il pomeriggio e ormai il sole stava tramontando.

Si, tranquillo. Ciao Stefan” gli rispose attaccando il telefono.

Lo rimise in tasca e si sedette di nuovo sotto l'albero, affianco a me.

Dovremmo andare a casa, capisco che il tuo primo bacio sia stato emozionante e che tu ne voglia altri, ma si sta facendo tardi e ci stanno aspettando” le dissi, un sorriso sghembo sul viso.

Lei arrossi visibilmente cercando una risposta da darmi.

Mi tirò un pugno sulla spalla con fare offeso e si tirò in piedi.

Mi porse la mano, mi sorrise e mi disse “Su, andiamo a casa.”

Io gli afferrai la mano e la guardai negli occhi “Io sono già a casa.”

Erano attimi speciali, attimi da fotografare e rivivere in ogni singolo istante.

Prima erano sogni, ora erano emozioni e più avanti sarebbero stati meravigliosi ricordi.

Ricordi di momenti che ti entrano dentro, marchiandoti l'anima.

Momenti unici e inimitabili.

 

Momenti che solo lei riusciva a darmi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Buonsalve cari spettatori.

Anzitutto volevo scusarmi per il ritardo.

Mi dispiace da morire!!

Sorry, sorry, sorry!!

Beh non voglio e non mi piace imporre cose alla gente, ma con 9 capitoli, solo tre recensioni, non mi piace molto come cosa.

A me piace scrivere questa ff, ma voglio anche sapere altre opinioni.

In questo capitolo voglio minimo 10 recensioni e pubblico il 10 cap, okay?

Fatevi sentire, io mi sto impegnando da morire.

Un bacione,

vostra

Virgi :) 

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Capitolo 11
*** The Past. ***


You Ever Love Me?

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10. The Past.

Eravamo appena scesi dalla mia macchina, diretti verso la pensione dei Salvatore.

Prima che potessi suonare il campanello, Stefan venne ad aprire la porta sorridente.

Finalmente! Entrate, Elena ha insistito nel voler cucinare per tutti noi stasera.”
Il bel moro mi prese per il braccio trascinandomi dentro, seguita dal maggiore dei fratelli.

Elena trafficava con i fornelli in cucina, il suo bel volto sporco di farina.

Chris! Stasera assaggerai la mia magnifica e indimenticabile lasagna! In onore delle origini italiane dei fratelli Salvatore!” la bella mora si avvicinò a noi, pulendosi le mani con uno strofinaccio.

Si avvicinò al suo fidanzato e gli diede un bacio a fior di labbra.

A quel gesto, notai chiaramente che l'espressione di Damon, del mio Damon, mutò.

I suo lineamenti, prima morbidi e rilassati, divennero duri e strinse i pugni talmente forte che le sue nocche sembrarono sbiancare.

Come mai tutta quell'ostilità?

Era forse.. geloso?

Il bellissimo ragazzo immortale che poche ore prima mi aveva baciato era geloso della ragazza di suo fratello?

Anche se fosse, come dargli torto? Elena era così.. perfetta.

Io ero solo una povera illusa che non aveva niente da offrire a una creatura come lui.

Scossi la testa, cercando di scacciar via quei brutti pensieri.

Avete origini italiane?” chiesi, guardando il minore dei Salvatore.

Si, ma alla lontana. Il padre del padre di nostro padre era italiano. Noi conosciamo qualche parola in italiano. Ci ha sempre affascinato l'Italia.”

Negli occhi di Stefan c'era una profonda malinconia.

Probabilmente avevo risvegliato dei ricordi per lui dolorosi.

Brava Christelle, sei sempre la solita inappropriata!

Allora, chi vuole assaggiare le mie favolose lasagne?” Elena intervenne, salvandomi da quell'imbarazzante situazione: sfoggiava una bellissima teglia fumante di lasagne appena sfornate.

Diamine, erano davvero invitanti!

Prima di mangiarle volevo dirvelo ragazzi: è stato bello conoscervi. Sai com'è.. potremmo non uscirne vivi!” disse il corvino con un sorriso sarcastico in volto.

Elena gli diede uno schiaffo sulla spalla, mettendo il broncio. “Ridi, ridi! Però, ricorda che quando mi chiederai il bis, io non te lo darò!” gli disse, facendo la linguaccia come una bambina.

 

Mangiammo ridendo e scherzando, io cercavo di non incrociare lo sguardo di Damon.

Ero davvero in imbarazzo! Sia per il bacio sia per la gelosia riguardo Elena.

Come poteva, dopo avermi baciata, essere geloso della ragazza di suo fratello?!

L'imbarazzo d'un tratto scomparse, lasciando spazio soltanto ad una cosa: Rabbia.

Rabbia verso di lui, verso Elena e verso me.

Cercai di mantenere la calma, torturando le lasagne nel mio piatto con la forchetta.

Ad un certo punto, un voce, quella voce, interruppe i miei pensieri.

Allora Chris, ti sei divertita oggi?” mi chiese Damon, facendomi l'occhiolino.

Brutto pezzo di... Come si permetteva?! Come poteva parlare di questo come se fosse uno scherzo?! Probabilmente per lui lo era stato, ma per no. Non che non lo era.

E come diamine poteva parlare del nostro bacio quando era geloso di Elena?!

Una scarica di rabbia mi pervase, offuscandomi la vista.

'Fanculo, Damon.” sbottai, alzandomi dal tavolo e uscendo dalla porta.

Non ero il tipo che diceva “parolacce” ma in quel momento tutta la razionalità era svanita, spazzata via dal vento come le foglie d'autunno.

Svanita come erano svaniti i miei sogni, i miei sogni assieme a lui.

 

Corsi fuori dalla pensione, sbattendo la porta alle mie spalle.

Salii in macchina frettolosamente e spinsi sull'acceleratore, diretta a casa.

 

Chiusi la portiera della mia Mercedes e corsi dentro l'abitazione.

Dentro casa non c'era traccia del nonno. Solo un biglietto:

 

* Ciao tesoro,

sono ad una importante cena di lavoro. Torno presto.

Un bacio,

Nonno Sue.

 

Salii in camera mia lentamente. Ero stanca di correre.

Mi sdraiai sul letto a pancia in su, guardando il soffitto.

Perché la vita fa così schifo?

No, riformulo la domanda.

Perché la mia vita fa così schifo?

Che domanda. Qualcuno sa darmi una risposta? Sono tutt'orecchi.

 

Un picchiettare alla finestra mi riportò alla realtà.

Aspetta un secondo, stavo forse sognando?

Damon Salvatore era davvero appollaiato sul ramo della mia finestra e picchiettava insistentemente sul vetro?

Che situazione divertente, ero diventata persino pazza.

Riccioli rossi, apri questa finestra!” la sua magnifica voce mi riportò alla realtà.

Non era un sogno e non stavo sognando.

Damon Salvatore era davvero appollaiato sul ramo della mia finestra e picchiettava insistentemente sul vetro!

Dammi una buona ragione per farlo e la apro” risposi solo, riportando lo sguardo sul soffitto bianco.

Dobbiamo parlare, lo sai.” quelle parole mi fecero sobbalzare.

Erano le tipiche parole che tutti temevano: Dobbiamo parlare.

Mi alzai sbuffando e aprii bruscamente la finestra.

Mi voltai e tornai nuovamente sul mio letto, a gambe incrociate.

Lo guardai, aspettando che entrasse.

Perché diavolo non lo faceva?

Ehi, che diavolo aspetti?” lo guardai seccata.

Mi prendeva ancora in giro?

Non fare la sciocca. Sai benissimo che non posso entrare finché non mi inviti a farlo.” il bel corvino mi guardava seccato, batteva freneticamente il piede sul davanzale di marmo bianco.

Giusto! Stefan me ne aveva parlato.

L'invito era necessario per tutti i vampiri che desideravano entrare in una casa di un umano.

Era una sorta di “protezione” per i mortali.

Allora, prima di tutto cambia tono quando parli con me se vuoi entrare nella mia casa- pronunciai diversamente la parola mia come a sottolinearla- e poi lo sciocco sei tu, vampiro accovacciato su un albero mentre aspetta di entrare!” lo guardai seria.

Mi aveva fatto imbestialire quella sera.

Ora era il mio turno.

Allora, se vuoi parlare bene, invitami ad entrare, se non vuoi farlo io me ne vado, ho già perso abbastanza tempo.”

Brutto stron.. No, basta parolacce. Non mi sarei abbassato al suo livello.

Avevo proprio voglia di dirgliene quattro, ma non gli avrei concesso la soddisfazione di vincere anche questa volta.

No no, voglio parlare con te. Ma non sarai tu ad entrare, sarò io ad uscire.” la mia bocca s'incurvò in un sorrisino sghembo.

Nel suo viso apparse un'ombra di nervosismo e fastidio.

Era proprio quello a cui stavo puntando.

Si alzò in piedi aggraziatamente e, dopo aver pronunciato un seccato “Okay”, scese dall'albero.

 

Mi infilai un golfino e scesi le scale, diretta in veranda.

Un bellissimo Salvatore mi aspettava.

Eccomi.- cominciai, chiudendomi la porta alle spalle- Inizia pure, non dovevi parlarmi?”

Si, devo parlarti e qualcosa mi dice che anche tu devi dirmi qualcosa.” un sorriso nervoso, ma pur sempre bellissimo, apparse sul suo volto.

E cosa te lo fa pensare?” chiesi, fingendo indifferenza.

Non saprei.. Forse il modo in cui si è conclusa la serata?”

Sentii le guance bruciare, dovevano essere rosse come i miei capelli.

Non ero io quella che ci provava con la ragazza di mio fratello!” ero arrabbiata, ecco cos'ero.

Come si permetteva di fare il finto tonto?

Contrasse la mascella e strinse le mani a pugno alle mie parole.

Avevo fatto centro.

E' una lunga storia... se davvero vuoi ascoltarla ci conviene sederci in un luogo più.. appartato della veranda di casa tua.” mi disse il corvino guardandosi intorno. Stranamente, anzi miracolosamente, non ci fu traccia di doppi sensi o di malizia nelle sue parole.

Sbuffai ed entrai in casa.

Entra, idiota.” dissi solo, vedendo il compiacimento sulla faccia del bellissimo vampiro.

Fece un passo avanti e solcò la soglia di casa mia.

Carino qui.” disse, guardandosi intorno.

Non perdiamo tempo, Damon. Saliamo in camera.” dissi seria, salendo le scale.

Ah, sei una ragazza che non usa mezzi termini. Non ti facevo così audace.. Ma se davvero vuoi già fare questo passo..” ridacchiò Damon mentre la mia faccia diventava paonazza.

Mi girai di scatto, ritrovandomi a pochi centimetri dalla faccia del Salvatore.

Alzai la mano pronta a lanciargli un sonoro schiaffo sul viso, ma qualcosa me lo impedì.

Il mio polso era intrappolato tra la ferrea presa del corvino che mi guardava beffardo.

Io non ci proverei, Riccioli Rossi.”

Ringhiai innervosita e salii le scale con falcate pesanti.

Entrai in camera e lo trascinai dentro, richiudendo poi la porta.

Mi sedetti sul letto e incrociai le gambe.

Forza, siediti, parliamo.” dissi brusca, sbattendo la mano sul lenzuolo leggero, come a fargli cenno di sedersi.

Lui accettò il mio invito ma, invece di sedersi, si sdraio appoggiandosi al mio cuscino con una mano sotto la testa.

Sospirò.

Sono nato a Mystic Falls nel 1842. Cinque anni dopo nacque mio fratello Stefan.

La nostra fu una delle famiglie fondatrici, una delle più benestanti dell'intera città.

Nostro padre era un uomo severo e freddo, infatti non ricordo di aver mai ricevuto una carezza da lui.

Io per lui ero un primogenito diverso da come lo avrebbe voluto, ero una delusione.

Stefan invece era sempre stato il migliore, il bambino e ragazzo modello da presentare e sfoggiare davanti all'intera Mystic Falls.

Io ero la pecora nera della famiglia.

Mia madre invece ci ha sempre voluto bene allo stesso identico modo, non ha mai fatto preferenze di nessun tipo, ci amava, mi amava.

Morì quando ero ancora molto piccolo, io avevo nove anni mentre Stefan ne aveva quattro.

Soffrì molto la sua perdita.

Poi, nel 1864, conobbi la bellissima Katherine Pierce, nonché Katerina Petrova.

La donna che mi rubò il cuore e che me lo spezzò.

Lei infatti giocava con entrambi i fratelli Salvatore. La condividevamo.

Noi l'amavamo e lei ci portava a letto e beveva il nostro sangue.” Sul viso del vampiro intravidi odio e disprezzo, ma anche tanto tanto dolore.

Aspetta, quindi questa... Katherine era...” chiesi impacciata.

Si, era un vampiro.” Damon non mi lasciò terminare la domanda e continuò.

Comunque, mio padre e le altre famiglie fondatrici avevano creato una sorta di “Consiglio”, quello che esiste ancora oggi e ne facciamo parte anche io e tuo nonno, dove si complottava per distruggere i vampiri che infestavano Mistyc Falls.

Nostro padre scoprì che Katherine era un vampiro e ci usò per catturarla. Ci fece ingerire della verbena e lei, mordendoci, perse le forze quanto bastava per permettere agli uomini di mio padre di catturarla e imprigionarla in una cripta insieme ad altri ventisette vampiri.

Io e mio fratello ci sacrificammo per salvarla. Nel tentativo di farlo venimmo fucilati, proprio mentre il sangue di Katherine era in circolo nel nostro organismo.

Io avevo diciannove anni e mio fratello diciassette quando entrambi diventammo dei vampiri.

Io cercai un modo di aprire quella cripta chiusa da un incantesimo fino a poco tempo fa. Quando riuscì ad aprirla scoprì che mi aveva solo preso in giro.

Lei non era mai entrata in quella cripta. Era libera sin dal 1864, ma non era mai tornata da me.

Intanto, mentre cercavo disperatamente la donna che credevo mi amasse, mio fratello riuscì a dimenticarla, incontrando e fidanzandosi con Elena Gilbert.

La copia sputata di Katherine.” soffiò quelle ultime parole con astio e rammarico.

Aspetta in che senso...” lo interruppi.

Nel senso che sono identiche. Almeno fisicamente intendo. Ogni dettaglio.. ogni piccolo particolare. Identiche. Infatti Elena è stata adottata. Lei è una lontana discendente di Katherine.”

Era impossibile. Katherine ed Elena... Impossibile.

Poco tempo fa la bella Petrova è tornata a farci visita. E' venuta a Mystic Falls per dirmi che non mi ha mai realmente amato e che amerà sempre e solo Stefan.

Il ragazzo che non mi amava abbastanza e quello che mi amava troppo”, così ci definiva.

Ma Stefan era innamorato follemente, e lo è ancora, di Elena.

E così è successo anche a me.

Mi sono innamorato di Elena Gilbert.

Quando le ho confessato il mio amore le mi ha risposto che amava Stefan. Che sarebbe stato solo e sempre Stefan.

Serrò la mascella e strinse i pugni.

Ecco perché tutta quell'ostilità verso suo fratello e verso ad Elena.

Era solo, come sempre.

Lo aveva rifiutato, ancora e ancora.

L'unica donna che mi abbia mai amato è stata mia madre. Mi ha lasciato quando ero ancora troppo giovane. Mi manca da morire.” il volto del vampiro si accese. Rancore e malinconia erano marcati sul suo viso.

La dovevi amare molto. Te lo leggo negli occhi.” pronunciai quelle parole senza nemmeno accorgermene.

Lui incatenò i suoi meravigliosi diamanti di ghiaccio ai miei smeraldi.

I nostri sguardi si sciolsero.

Si è così. Io assomiglio a lei. Mio fratello, invece, assomiglia di più a mio padre.” continuò schiarendosi la voce come per riprendersi da quella trance.

Come si chiamava?” gli chiesi in un sussurro. Le parole uscivano dalla mia bocca senza neanche arrivare al cervello. Stavo bene con lui..

Riuscivo ad essere me stessa.

 

Dawson,- mi rispose- Christelle Dawson.”

 

 

 

 

 

 

 

*Buongiorno bella gente!

Come si fa intrigante la storia!

Dal prossimo capitolo le cose si faranno molto più movimentate!

Siete curiosi di sapere?!

Beeeeeeene, e io non vedo l'ora di dirvelo!

Proviamo ad arrivare a cinque. (?)

5 recensioni e pubblico!

Un bacione,

Virgi:)

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Capitolo 12
*** My only Sunshine. ***


You Ever Love Me?

 
 

You are my sunshine,

my only sunshine, 
You make me happy when skies are gray 
You'll never know dear,

how much I love you 
Please don't take my sunshine away.”


 

 

11. My only Sunshine.

Dawson- mi rispose- Christelle Dawson.”

Ci misi un attimo ad elaborare le parole appena pronunciate dal bel vampiro.

Dawson...

Christelle.

Sua madre si chiamava come me?

L'unica donna che il centenario vampiro dal cuore e gli occhi di ghiaccio abbia mai amato, si chiamava come la sottoscritta?

Come dovevo sentirmi?

Lusingata, forse?

Magari per lui ciò non significa e non ha mai significato niente.

Che sciocca, erano soltanto coincidenze!

Come potevo farmi certi film mentali solo per una stupida e insensata coincidenza?

Ah” un sussurro impercettibile, se non per un vampiro, uscì dalle mie labbra.

Non doveva accorgersene. Non volevo fare la figura della bambina che si esalta per un nonnulla.

Il Salvatore mi guardava attentamente, cercando di riconoscere qualche emozione sul mio viso.

Sapere che la madre di una persona così... importante per me si chiamava con il mio stesso nome mi aveva scombussolata non poco, ma ciò che in quel momento provavo non era ricambiato.

Scrollai la testa, accennando un lieve e dolcissimo sorriso.

Bene, adesso sai la mia storia. Tocca a te raccontarmi la tua.”

Il corvino si stiracchiò e mi guardò, attendendo che parlassi.

Dovevo davvero raccontargli tutta la mia storia?

Lui lo aveva fatto, si era fidato di me.

Si, lo avrei fatto.

Gliela avrei raccontata, ovviamente tralasciando i dettagli scoperti dal nonno pochi giorni fa.

Non ero neanche pronta a raccontarli a me stessa, come potevo raccontarli a lui.. il perfetto Damon Salvatore?

Sospirai.

Sono nata a Dreep, un paesino del North Caroline. Vivevo in campagna, in mezzo alla natura.

Adoravo gli animali, passavo interi pomeriggi a giocare assieme a loro. Poco distante da Dreep, c'era un lago.

Il mio lago.

I miei genitori mi portavano spesso lì, ero molto affezionata a quel luogo. Un giorno di Giugno insistetti per andare al lago e mia madre, ovviamente persuasa da mio padre, accettò. E quel giorno, proprio quel giorno dove avevo tanto insistito per andarci, ci fu l'incidente.

Di quel giorno non mi ricordo niente, neanche le ore che precedettero l'incidente. Solo dei flashback in cui vedo i miei genitori morire. Da quel giorno venni affidata a mio nonno, anche se non avevo mai avuto nessun tipo di rapporto con lui. Il giorno dopo l'incidente, dopo aver saputo della morte dei miei genitori e aver scoperto di essere stata adottata, non parlai più per circa un anno. Mio nonno mi portò da molti psicologi, molti dei quali gli dissero che ero un caso perso. Così mi definirono. Stando con mio nonno non sono mai riuscita a relazionarmi con nessuno. Mi trasferivo ogni mese in posto del tutto nuovo per me. E oggi sono qui, a Mystic Falls, in mezzo a licantropi , streghe e vampiri.

Buffo, no?” conclusi, ironica.

Il vampiro mi guardava perso, mi ascoltava quasi ipnotizzato.

Scrollò la testa .

Eri molto legata ai tuoi genitori?” mi chiese.

Beh, a quelli adottivi sicuramente. Li amavo da morire. Soprattutto mio padre, era il mio migliore amico. Fu lui ad insegnarmi a suonare il pianoforte. Mi diceva sempre che ero bravissima, ma probabilmente lo diceva solo per compiacermi. Non ero altro che una bambina. Mi aveva promesso che un giorno mi avrebbe portato alla Scala, in Italia. Promesse che non potrà mai mantenere.” Sospirai, guardandomi le mani con fare impacciato.

Un velo di malinconia si celava sul mio viso.

Non suoni più?” il vampiro mi spiazzo con quella domanda.

No, non suono più dal giorno dell'incidente. Non credo di esserne più capace. Ogni volta che ci provo qualcosa mi blocca.” scrollai la testa nervosa.

E come mai hai il pianoforte in camera tua se non suoni più?” mi chiese perplesso, indicando il pianoforte a coda davanti al letto. “Era di mio padre. Lo tengo sempre nella mia camera. E' assurdo ma.. mi sembra di sentirlo in qualche modo … con me.” Okay, quella conversazione era diventata davvero imbarazzante.

Eppure con lui mi sentivo bene, protetta. Come se potessi dirgli tutto.

Ad un tratto si alzò dal letto, io lo guardai sorpresa e titubante.

Vai già via?” chiesi con aria troppo dispiaciuta.

Cavolo, se n'era accorto.

Si, mi dispiace, Riccioli Rossi.” mi sorrise, dirigendosi verso la finestra.

No, per favore, resta.” lo guardai con occhi imploranti.

Oramai la mia copertura era saltata.

Ma questo non importava. L'unica cosa che importava era che lui rimanesse con me.

Ora.

Il mio vampiro dai magnifici occhi azzurri si avvicinò a me, sorridendo dolce.

Mi prese il volto tra le mani fredde ma che in quel momento sembravano braci ardenti.

Mi dispiace, ma dobbiamo entrambi riposare. Oggi è stata una giornata impegnativa.”

Posò le sue morbide labbra sulle mie, un bacio leggero e dolce a fior di labbra.

Sogni d'oro, Riccioli Rossi.” sentii sussurrare.

Aprii gli occhi ma ormai in quella stanza non c'era più nessuno.

Solo io e il sapore di quel bacio che ancora aleggiava nell'aria.

 

***

 

Quella sera non avevo dormito.

Continuavo a pensare a quel bacio e a quelle parole così spontanee e genuine.

Non c'era tensione come le altre volte.

Era naturale e semplice.

 

Continuavo a guardare il display del mio cellulare ogni secondo, aspettando una sua chiamata o semplicemente un messaggio, ma niente di niente.

Erano ormai quattro ore che, sdraiata sul letto con il cellulare in mano, guardavo il soffitto.

Dovevo fare qualcosa per far passare quel tempo che sembrava irremovibilmente fermo.

Mi alzai dal letto e andai alla mia scrivania.

Fra qualche giorno avrei avuto un test importante di biologia e non avevo ancora iniziato a studiare.

Presi il libro rilegato e iniziai a sfogliarlo, ma niente.

Proprio non riuscivo a concentrarmi! Presi il libro e lo poggia sgarbatamente sul letto.

Ad un tratto il telefono iniziò a squillare.

Mi lanciai sul letto cercando di raggiungere con la mano il cellulare che continuava a vibrare sul comodino.

Guardai lo schermo e, delusa, lessi: Stefan.

Sospirai.

Perché doveva essere tutto così deludente?

Pronto?” risposi, schiacciando il tastino raffigurante la cornetta verde.

Ehi Chris, sono io, Stefan!” la sua voce del vampiro era raggiante e calda. Mi piaceva Stefan, era davvero un ottimo amico. Lui meritava Elena e lei meritava Stefan. Erano entrambi due persone belle e dall'animo buono.

Ciao Stefan! Sono felice di sentirti. Come stai?”

Bene e tu? Come te la passi?”

Ero seduta sul letto e arricciavo nervosamente gli angoli del mio libro di biologia.

Non molto bene... tra poco ho un test di biologia e io non ci capisco niente!” sbuffai demoralizzata.

Sentii dall'altro capo del telefono il vampiro ridacchiare.

Ehi, stai tranquilla! Io ho una A in biologia. Puoi venire da me se vuoi, ti posso dare delle ripetizioni.”

Oh Stefan, sei la mia salvezza!

Davvero? Non ti disturbo?” la mia voce era entusiasta e molto alta.

Si, stai tranquilla. Gli amici servono a questo, no?” lo sentii sorridere dall'altra parte del telefono.

Non so come ringraziarti! Arrivo tra poco, okay?” lui era la dimostrazione che i vampiri erano più umani di quanto si pensa.

Certo, a dopo.” Stefan chiuse la chiamata.

Come avrei fatto senza di lui?

 

Mi vestii, presi le mie cose ed uscii di casa.

Il sole emanava una luce brillante e un tiepido calore.

Era piacevole, anche perché poche volte si vedeva un sole così, nella piovosa cittadina di Mystic Falls.

 

Parcheggiai la macchina davanti alla possente pensione Salvatore.

Ad un tratto una ipotesi si fece largo nei miei pensieri.

Mi fermai a metà del giardino dei Salvatore.

E se Damon fosse stato in casa?

Come mi sarei comportata?

 

Proprio in quell'istante la porta si aprii ed Stefan mi sorrise.

Ehi Chris! Entra ti stavo aspettando.” mi fece cenno con la mano di seguirlo, mentre mi girava le spalle e entrava nell'abitazione.

E così lo seguii.

Senza sapere che cosa mi aspettasse in quella tana che racchiudeva misteri e segreti.

Misteri e segreti che non avrei mai scoperto e mai svelato.

Misteri e segreti che neanche i proprietari sapevano.

Misteri e segreti che neanche Mystic Falls conosceva.

Misteri e segreti che nessuno conosceva e che mai avrebbe conosciuto.

E io, che ci facevo lì?

Cosa c'entravo io con tutto ciò?

Era davvero questo il mio destino?

In bilico tra la vita e la morte.

Solo un leggero e precario filo a dividerci.

Ma se davvero lo era, era davvero il mio destino, come avrei fatto a saperlo?

E se non lo era, come avrei fatto a evitarlo?

Io ero solo una ragazza di diciassette anni.

Una ragazza sola.

Un'intera vita da scrivere.

Eppure qualcosa mi spingeva dentro quella casa, in mezzo a quelle persone che conoscevo poco o niente.

Ero ancora in tempo: un passo indietro e sarei potuta scappare, scappare lontano da quell'anonimata Mystic Falls e da tutti i suoi succubi misteri.

La scelta più facile, quella più ovvia e sicura.

Invece avanzai ed entrai dentro a quello che sarebbe stato il mio baratro.

Mi sedetti sul divano e tamburellai le mani sulle ginocchia, guardandomi intorno.

Allora, sei pronta per studiare un po' di biologia?” mi chiese Stefan, entusiasta.

Quell'entusiasmo che io non avevo.

Non almeno per biologia.

 

Studiammo per alcune ore, erano le cinque passate.

Mi stiracchiai e mi alzai dal divano di pelle.

Per oggi abbiamo fatto abbastanza, non credi?” mi sorrise comprensivo il bel vampiro moro.

Direi di si- sorrisi a mia volta- sarà meglio che vada.” accennai, iniziando ad infilare i libri dentro la borsa.

Si, ma... Chris?” aggiunse impacciato il ragazzo. “Stai bene? Cioè, intendevo.. Ieri, sai, la discussione con Damon..”

Si, tranquillo, abbiamo risolto. E' stato solo un fraintendimento.” lo interruppi, cercando di sviare l'argomento.

Probabilmente sapeva, o per lo meno sospettava quello che c'era tra me e Damon.

Ma cosa c'era tra me e lui?

C'era davvero qualcosa, qualcosa di forte e travolgente, oppure era solo una mia impressione, come i filmini mentali che si fa un'adolescente sul ragazzo che l'ha guardata, sogni di una ragazza che deve ancora crescere.

Uscii dalla pensione Salvatore sovrappensiero.

Non mi ero neanche preoccupata se Damon fosse in casa mentre studiavo con suo fratello.

Avevo la testa da un'altra parte, assolta nei miei pensieri.

 

Tornai a casa e, come al solito, mio nonno non c'era.

Di Damon neanche l'ombra.

Non si era fatto sentire tutto il giorno.

Ero stata davvero stupida.

Andai in cucina, volevo prepararmi una camomilla.

Ero stressata, era proprio quello che mi ci voleva. In più aggiunsi un po' di verbena, tanto per tener lontano qualche demone della notte che brama il mio sangue vergine.

Mentre sorseggiavo il liquido caldo dalla tazza bollente, qualcuno suonò il campanello di casa.

Senza nemmeno badare al fatto di essere in pantofole e di tenere in mano una tazza di camomilla, andai alla porta ad aprire.

Dannazione.

Damon Salvatore era davanti a casa mia e mi guardava, il solito sorriso strafottente stampato sulle labbra.

Indossava uno smoking nero, da qui si intravedeva la camicia bianca.

Era bellissimo.

Buongiorno Riccioli Rossi. Oggi sei un raggio di sole.” mi canzonò il bel corvino, indicando le mie pantofole fucsia.

Damon, se sei venuto qui a prendermi in giro, puoi anche..”

Damon entrò in casa.

Arricciò il naso in segno di disgusto.
“Quella roba fa ogni giorno più schifo!” mi interruppe, guardando la mia camomilla alla verbena.

Comunque, meglio che ti prepari, abbiamo poco tempo, e tu non sei nei migliori degli stati, Raggio di Sole.

Aspetta, un secondo... dove andiamo? Prepararci per cosa?” ero confusa.

Si piombava così senza preavviso?

E' una sorpresa. Vestiti elegante, possibilmente. Ti aspetto qui, corri vai a prepararti.”

Ancora intontita e disorientata dalla situazione, salii in camera e feci come mi era stato detto.

Salii in camera e infilai un vestito che avevo comprato qualche anno prima.

Il corpetto era stretto, impreziosito da piccoli brillanti, mentre dalla vita in giù scendeva morbido, con delle sfumature di azzurro che si abbinavano perfettamente al bianco puro e casto del resto del vestito.

Mi raccolsi i capelli con un diadema di brillanti, e misi un filo di trucco per dare luminosità al viso stanco e segnato dalle ore insonni.

Presi una pochette bianca dove infilai le cose essenziali e calzai delle scarpe alte del medesimo colore.

Ero pronta.

Presi un respiro e scesi le scesi le scale lentamente.

Notai la figura di Damon voltarsi e qualcosa nella sua espressione mutò.

Era forse.. Stupore?

I suoi occhi erano bellissimi, di un blu puro e cristallino, con tante venature di un azzurro molto chiaro, agghiacciante.

Possiamo andare.” dissi, cercando di rompere l'imbarazzo.

Lui non proferì parola, si limitò ad aprirmi la porta.

Salimmo nell'auto di Damon.

Dove siamo diretti?” chiesi, rompendo il silenzio che ormai era calato.

Lo scoprirai.” mi rispose sorridendomi, lasciandomi da sola con le mie mille domande.

 

Erano passate ormai due ore da quando eravamo partiti.

Ci fermammo davanti ad un grande, grandissimo palazzo.

Sembrava quello di una fiaba.

Il palazzo dove la Principessa e il Principe ballano per tutta la notte, scambiandosi note d'amore.

Uao!” esordì entusiasta. “E' bellissimo.”

Lo so. Entriamo, lo spettacolo sta per iniziare.”

Il palazzo era antico, maestoso.

Il cornicione era decorato da precisi intrecci e il soffitto era affrescato da chissà quale importante artista.

Appeso ad esso, in tutta la sua bellezza, un enorme lampadario ottocentesco, la luce filtrava attraverso i pezzi di vetro attaccati ad esso.

Il pavimento era di un marmo pregiato, lucido e bianco.

Damon mi diresse lungo un grande corridoio, ed entrammo in una sala, da qui spiccava un grande palco, coperto da delle grandi tende di velluto rosso.

Uno spettacolo?” guardai perplessa il bel corvino.

No, un'opera. Non è la Scala, ma credo che ti piacerà comunque.

Lo guardai nei suoi grandi occhi blu.

E mi persi.

Così, in un momento che sembrò essere infinito.

Mi sciolsi.

Erano questi i nostri momenti.

Senza parlare, capirsi e basta.

Le luci si spensero e un'orchestra venne accolta da un sonoro applauso che ruppe la nostra trance.

Il direttore iniziò a scuotere la bacchetta, dirigendo l'intera orchestra che iniziava a suonare un'incantevole melodia.

Grazie Damon, davvero.” lo guardai e gli sorrisi dolce.

Per te questo e altro.” sussurrò lui.

La melodia accompagnò le sue parole e la sua soffice voce, rendendole ancora più dolci.

 

http://youtu.be/9qvglWAHDak – Ludovico Enaudi, Divenire.

 

Dopo due ore, uscimmo dal teatro.

Era tardi e tutti gli altri spettatori, ormai, erano usciti dalla sala.

Damon mi prese per il braccio e mi trascinò di nuovo dentro il grande Palazzo Ottocentesco.

La serata non è ancora finita.” disse malizioso, soggiogando il guardiano con lo scopo di poter entrare senza impicci.

Mi riportò su quel palco dove poco prima si erano esibiti i musicisti.

Con grande agilità, sollevò il grande pianoforte a coda e lo posizionò al centro del palco.

Mi guardò soddisfatto.

Su forza, fammi vedere cosa sai fare.”

Cavolo, che cosa si aspettava?

No, Damon, sai bene che non ci riesco.”

Sollevò un sopracciglio.

Oh, andiamo Christelle! Sai benissimo di potercela fare!”

Mi trascinò lungo il palco e mi fece sedere sullo sgabello del pianoforte.

Non ci riesco...” balbettai, con le lacrime agli occhi.

No Christelle. Tu ce la fai, ce l'hai sempre fatta e ce la farai anche adesso.”

Mi prese il viso tra le mani e incatenò i suoi lapislazzuli ai miei smeraldi. “Ci sono io con te, non sei sola.”

Presi un respiro profondo.

Lui era con me.

Ce l'avrei fatta.

Chiusi gli occhi e lasciai le dita scivolare sui tasti.

Era così semplice, sorrisi.

Mi ricordavo ancora le note della ninna che mi cantava mamma.

Non ricordo per quanto suonai.

Secondi, minuti, ore.

Mi ricordo solo quando smisi di suonare.

Ero felice.

Stavo bene.

Damon mi guardava e sorrideva.

Si avvicinò al mio viso e mi baciò lentamente, con dolcezza e passione.

Era mio, solo mio.

Lo sapevo.

E sapevo anche di appartenergli.

La parte più profonda di me era incatenata a lui.

Il mio cuore gli apparteneva.

Oggi, domani e per sempre.

 

*****

 

 

Damon Pov.

Si era aperta a me come non aveva fatto con nessuno da ormai tanto tempo.

Era coraggiosa, lo era sempre stata.

Quando suonava mi perdevo.

Uscivo dal mondo e ne entravo in un altro, completamente diverso.

Io ero vivo.

Avevo un cuore che batteva ed ero in grado di amare.

E lei mi apparteneva.

Mi vedeva e sorrideva.

Era mia, la mia Chris.

Dolce e corraggiosa.

Testarda e romantica.

Semplicemente lei, in tutta la sua naturale bellezza.

Lei infatti era bellissima.

Sia dentro che fuori.

Bella come poche.

 

Pensavo, mentre guidavo verso casa.

In quel tragitto non parlammo.

Solo sguardi dolci e complici.

Parcheggiai davanti casa Hollister.

Qualcosa non andava.

La porta era spalancata e c'era un forte odore di sangue.

Non mi avrebbe dato fastidio, ormai sapevo controllarmi molto bene.

Mi misi davanti a Christelle, dicendole di aspettare in macchina.

Non era sicuro per lei.

Non avrei sopportato che qualcuno le facesse del male.

Non a lei.

Avanzai lungo il vicolo e solcai la porta d'ingresso.

C'era sangue dappertutto.

Entrai e lo vidi.

Cazzo.

Il nonno di Christelle era ai piedi sul divano, il collo dilaniato.

Non sentivo nessun battito.

Sentii un corpo cadere.

Christelle, sulla soglia della porta, era inginocchiata e immobile.

Il suo viso era cupo, nessun emozione era presente.

Ma poi mutò.

Delle lacrime silenziose varcarono il suo viso.

Ai piedi del cadavere solo un biglietto.

 

* Sono venuto a prenderti.

Klaus.

 

Era tornato.

E voleva lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Buon salve.

Le cose diventano più movimentateeeee, yep :D

Che cos'accadrà?

Bene, recensite e io pubblico. <3

Ho gli esami e non potrò essere molto presente questa settimana D:

Grazie ai lettori silenziosi e a quelli che recensiscono.

Siete magnifici.

Un bacio,

Virgi. :)

Ps. Scusate per gli errori di battitutra, non ho avuto tempo di rilleggere il capitolo! :)

 

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