La Terra conquistata

di Mikky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Hope ***
Capitolo 3: *** Al ministero ***
Capitolo 4: *** Ciò che posso chiamare famiglia ***
Capitolo 5: *** L'importante è come si cresce... ***
Capitolo 6: *** Allons-y ***
Capitolo 7: *** Tutta sua padre ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Era mattina, o almeno era quello che credeva Donna quando si svegliò. In mezzo all’Universo non si capiva molto bene. Erano ormai mesi che viaggiava con il Dottore e le sembrava ancora assurdo trovarsi nello spazio più profondo e visitare pianeti così diversi dal suo, la Terra.
Si alzò carica, pronta per una nuova avventura con il suo amico, a correre di nuovo per salvarsi da qualche nuova minaccia aliena. Così si vestì e raggiunse il Dottore nella sala di controllo della navicella spaziale. L’uomo stava saltando da una parte all’altra della console schiacciando pulsati e tirando leve, in quello che per Donna era sempre una sequenza casuale.
“Buongiorno, Donna!” urlò il Dottore, cercando di superare il rumore assordante del motore.
“Buongiorno!” salutò la donna “Dove andiamo, oggi? Quale pianeta visiteremmo, che cosa vedremmo?”.
“Uhm…Non lo so. Dove ci porterà il TARDIS”.
“Ma come?” chiese confusa. Capitava che ogni tanto la cabina blu decidesse dove dovevano atterrare, ma altre volte era il Dottore che decideva dove fermarsi ed era una casualità che ogni volta che arrivavano finissero nei guai.
“Ho inserito le coordinate della Terra, il TARDIS sceglierà il periodo storico in cui atterrare. T’immagini potremmo incontrare gli antichi Romani, oppure andare nell’Agora di Atene. Magari, potrei andare a fare una visita all’oracolo di Delfi, è da tanto che non la vedo. Oppure andare alla corte di Francia a bere la cioccolata con Maria Antonietta, era una bambina all’epoca, probabilmente le farebbe…” il Dottore cominciò a parlare, parlare e parlare, senza mai fermarsi. Come al solito.
“Lasciamoci trasportare dal fato!” urlò gasata Donna.
“Esattamente! Allons-y, allora!”.
Donna sospirò, alcune volte non lo capiva proprio. Così si appoggiò alla console e guardò la colonna al centro illuminarsi mentre il TARDIS cominciava a viaggiare nel tempo e nello spazio, verso chi sa quale anno.
Il viaggio era abbastanza tranquillo, finche non ci fu uno scossone parecchio violento che fece cadere entrambi sul pavimento.
“Che succede?” urlò Donna, mentre si aggrappava alla ringhiera per non andare addosso a una delle pareti.
Il Dottore aprì la bocca per rispondere, ma poi la richiuse, per poi dire “Non lo so!”.
Si alzò e aprì le porte del TARDIS, si sporse fuori e guardò in giro, per poi ritornare dentro, sbattendo le ante di colpo. Ritornò ai comandi e ricominciò a controllare, probabilmente i dati del viaggio.
“Siamo in orbita sulla Terra, ma non riusciamo a passare. Forse meglio fare retromarcia e…No, non si può! Fantastico! Siamo bloccati in una barriera di contenimento, o qualcosa del genere. È composta da due barriere, che fanno da intercapedine…E’ magnifico! Per muoverci dobbiamo passare una specie di controllo, probabilmente…”.
“Dottore!” lo richiamò Donna.
“Ah, sì, vero, scusami! E’ così fantastico tutto questo, ma ora, devo concentrarmi, dobbiamo riuscire ad andarcene!”.
Il dottore cominciò a camminare avanti e indietro, passandosi una mano tra i capelli. Il suo cervello lavorava all’impazzata, trovando idee e scartandole. Il TARDIS non riusciva a viaggiare nel tempo in quella barriera, probabilmente perché non autorizzato a farlo. Doveva farsi autorizzare, oppure…
“Donna, prendi il telefono e componi questo numero!” ordinò l’uomo, mentre riabbassava tutte le leve del pannello di controllo della cabina blu.
Donna eseguì gli ordini e cominciò a comporre il numero che il Dottore le stava dettando, mentre lui era preso da una stramaledetta follia. Saltava da un comando all’altro con agilità, e lei non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa.
Donna stava ragionando quando una voce giovanile la risvegliò, veniva dall’altro capo del telefono.
“Buongiorno! Come posso esserle utile?”.
Donna si trovò spiazzata. Cosa avrebbe dovuto dire? Il Dottore si era dimenticato di dirle quel piccolo dettaglio del suo piano geniale. Lo guardò confusa, cercando di beccare il momento in cui si sarebbe fermato solo un secondo, per prendere fiato, per lanciare il suo messaggio d’aiuto. Ma lui non si fermava, così tentò.
“Salve, ehm…avremmo bisogno…”.
L’alieno si fermò, capendo le difficoltà dell’amica, e le fece il labiale di quello che doveva dire. La donna era ancora più confusa, ripete più volte le ultime parole solo con le labbra e ogni volta il Dottore annuiva e le faceva Ok con le dita.
Be’ di una cosa era sicura: non voleva rimanere lì bloccata ancora per molto! Così tentò!
“Noi stiamo cercando…Speranza”.
“Oh! Capisco…Scusi un attimo…”.
“No! Nonononono! Non metta giù, la prego!” implorò la compagna del Signore del Tempo “Lo so che ci prenderà per pazzi, anzi, che mi prenderà per pazza, visto che sono io che sto parlando! Comunque, la nostra navicella è bloccata nell’orbita terrestre e non riusciamo a muoverci, può darci una mano?”.
“Signora, volevo solo prendere un foglio per appuntare la vostra posizione e nient’altro”.
Donna arrossì leggermente “Oh! La nostra posizione è…Sconosciuta!?” trillò preoccupata la donna quando vide il Signore del Tempo che scuoteva la testa e sillabando sottovoce la parola.
“Allora, mi dica il modello dell’astronave, riuscirò a risalire a voi, almeno che non abbiate la comunissima SE3312FG, perché ce ne sono diciassette in orbita”.
“Non lo so…E’ una cabina blu e dentro è enorme…”.
“Una cabina blu?” e la voce rise, era una risata infantile e gioiosa “Un attimo e sarete agganciati!”.
La telefonata si spense e dopo pochi attimi il TARDIS tremò.


Continua

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Capitolo 2
*** Hope ***


Hope

Erano atterrati! Il Dottore si alzò e prese al volo il soprabito, il suo preferito, catapultandosi fuori dal TARDIS.
Adorava quel posto, così pieno di materiale utile, d’invenzioni da perfezionare o da completare…Lui amava quell’angolo di universo!
Girò su sé stesso ammirando le tonnellate di rotami che lo circondavano, non vedeva l’ora di mettersi al lavoro. Il suo cervello si era già messo in moto…
“Dove siamo?” chiese Donna, che stava scendendo dalla navicella.
“Hangar Moon” rispose il dottore sorridendo beffardo.
“Immagino che sia su una luna” disse in un soffio la donna.
“Esattamente! Siamo sulla Luna, l’unico satellite della Terra!”
“Ma non si può vivere sulla Luna!” ricordò Donna.
“E’ solo tecnologia mediocre. E’ uno shuttle che avete lanciato sullo spazio, chi ci abbita ha solo creato una barriera simile a quella del TARDIS che potesse dare origine a un campo gravitazionale ideale, oltre a fornire ciò che è necessario per la sopravvivenza di qualsiasi forma di vita. Qui dentro ci potrebbero vivere venti specie diverse di alieni, con diverse necessità, e…sarebbero tutti al loro agio! È così fantastico…”.
“E allora perché non sei in giro a esplorare?” chiese la sua compagna.
Di solito, se il Dottore trovava interessante qualcosa, si metteva a osservare tutto con attenzione, mettendosi i suoi occhiali, per concentrarsi meglio su ogni particolare. Invece era ancora lì, con le mani in tasca a guardarsi intorno in modo distratto…Anche se probabilmente nulla di ciò che faceva era fatto distrattamente, senza un piano ben progettato dietro.
“Sto aspettando” fu la risposta dell’uomo.
“Cosa?”. “Dottore!”.
Un piccolo uragano le passò di fianco e si fiondò sul Dottore, che lo bloccò, con un abbraccio. Era una ragazzina di circa diciotto anni, i capelli rossi erano raccolti in una treccia disordinata e indossava dei jeans strappati e una felpa enorme.
Il Signore del Tempo la stringeva forte a sé, aveva appoggiato la guancia tra quelle ciocche ribelle e sorrideva, come non aveva mai visto. Gli occhi che di solito erano nostalgici o tristi erano pieni di gioia…
Donna era felice per lui, ma continuava a chiedersi chi fosse quella misteriosa ragazza…
“Sono già passati sei mesi?” chiese la ragazza “E’ già Natale? Incredibile, nessuno è venuto a fare le riparazioni dell’ultimo…”.
“No, sono passati poco più di tre mesi, cara. Siamo qui per un errore, volevamo fare un giro sulla Terra, in un’epoca a caso, ma il TARDIS si è bloccato”.
“In che periodo eravate?” chiese la ragazza allontanandosi e salendo sul TARDIS, seguita dal Dottore.
Andò sicura verso il monitor, dove erano segnate le coordinate storiche del viaggio intrapreso, e seguì con il dito l’infinita serie di numeri che lo riempivano.
“Ecco!” esclamò “Terra, 15 Settembre…2068. Be’, allora è normale…Sì, cioè...è normale per l’epoca”.

“Che cosa è normale?” chiese il Dottore “Non mi sembrava che, l’ultima volta che sono venuto, la Terra avesse delle barriere che impedissero alle forme di vita aliene di passare l’atmosfera…”.
“Infatti, tre mesi fa la barriera non c’era. In fin dei conti i tizi hanno attaccato appena te ne sei andato”.
“Che tizi?” domandò Donna, guardando la ragazzina.
“Non so esattamente che cosa o chi siano. Sembrano normali umani, ma hanno una tecnologia che non ho mai visto prima in vita mia! Sono molto avanzati. So solo che hanno conquistato la Terra in una velocità incredibile e hanno obbligato molte persone a lavorare per loro”.
Il Dottore si avvicinò a lei, lentamente, e le prese il volto tra le mani. La guardò negli occhi come in cerca di qualcosa e poi con fermezza le chiese “Sono venuti anche da te?”.
“Sì” fa la risposta “Dottore, ho fatto cose orribili per loro…”.


Erano seduti in quello che doveva essere il salotto. Donna si era accomodata sul divano, mentre il Dottore si era letteralmente lanciato sulla poltrona. La ragazza si era seduta per terra con le gambe incrociate, circondata da mille cuscini.
Aveva raccontato con calma quello che era successo, di questi uomini così potenti che avevano ucciso ogni persona importante e avevano preso in pochissimo tempo le massime posizioni del pianeta. Nessuno se ne era veramente accorto, perché i cambiamenti erano veloci e passavano abbastanza in sordina.
“Cos'è successo agli uomini?” domandò Donna.
“Non lo so” rispose la ragazza “Le notizie non arrivavano fino a qui, siamo troppo fuori portata, ma qualcuno dice che stanno lentamente sparendo. Non so come…”.
“Almeno qui sei al sicuro” disse il Dottore, passandosi una mano tra i capelli, capendo che doveva affrontare un nuovo mistero.
“Mio carissimo Dottore, da quant’è che non guarda una cartina stellare?” domandò la giovane “La barriera circonda la Terra e tutto ciò che gravita intorno a lei”.
“Compresa la Luna” sospirò “Ma allora come fai a teletrasportare i clienti?”.
“Se conosci la tecnologia, ci riesci perfettamente!” e sorrise.
Donna rimase con la bocca aperta quando vide che il sorriso della ragazza e del Dottore si assomigliavano. “Chi sei tu?” chiese confusa, facendo sobbalzare gli altri due.
“Lei è Hope” fu la risposta dell’uomo “una mia allieva sotto alcuni punti di vista”.
“E tu devi essere Donna, vero?” chiese dolcemente Hope sorridendo.
“Come fai a saperlo?” domandò l’altra sempre più confusa.
La ragazzina si morse il labbro inferiore “So molte cose”
“Tranquilla” disse l’uomo con il suo solito sorriso “Ci possiamo fidare di lei, davvero!”
Donna ci credeva, quella ragazza, quella Hope, sembrava una a posto, aveva in alcuni momenti quel barlume di pazzia che aveva anche il Dottore, ogni tanto, ma nulla che le facesse temere per la propria vita.
“Donna!” la chiamò il Dottore. “Eh, sì! Dimmi!”.
“Ti va di accompagnare me e Hope al Ministero delle Nuove Tecnologie sulla Terra?” le chiese sorridendo.
“Certamente”.


Donna era andata a letto abbastanza presto, Hope l’aveva seguita poco dopo. Il Dottore invece era rimasto ancora in piedi. Si era perso ad osservare gli schizzi e i progetti che erano appesi alle pareti. I fogli erano pieni di calcoli o di termini meccanici. L’uomo li aveva studiati uno ad uno, controllando se ci fossero eventuali errori, ma non c’erano. Erano tutti perfetti, sembravano usciti dai suoi geniali neuroni!
Hope era sempre stata una fantastica costruttrice di motori e di apparecchiature elettroniche sin da piccola, se la ricordava quando girava per il TARDIS rubandogli qualche piccolo arnese o circuito per poter costruire i suoi piccoli animali meccanici. Stava facendo lo stesso, ora, solo in scala più grande!
“Dottore”.
L’uomo si girò togliendosi gli occhiali, si trovò davanti la ragazzina. Era tutta in disordine, i capelli, la maglietta…
“Non dovresti essere a letto a quest’ora?” chiese.
“Quando ragioni fai rumore” brontolò Hope “Borbotti”.
“Non me ne sono accorto. Scusa, ora torna sotto le coperte…”.
“E tu continuerai a borbottare. A questo punto non vale nemmeno la pena”.
“Domani sarà una giornata difficile, ti conviene riposare” il Dottore si avvicinò e le scompigliò i capelli “Non obbligarmi ad accompagnarti a nana!”.
Hope sorrise furba “Dottore, raccontami una delle tue storie, allora”.


Continua

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Capitolo 3
*** Al ministero ***


Al ministero

Donna si era messa uno dei migliori vestiti che aveva trovato nell’enorme cabina armadio che c’era nel TARDIS. Voleva avere un abbigliamento adeguato al luogo dove sarebbe andata. Varcò la soglia della cabina blu aspettandosi il solito sorriso del suo adorato Dottore, ma non lo trovò.
“Dottore?” lo chiamò un po’ confusa. Sperava che non l’avessero abbandonata sulla Luna.
Avanzò nell’enorme officina, cercando di ricordarsi la strada per raggiungere il salotto dove aveva bevuto il the con gli altri la sera prima. Fece alcuni metri, quando all’improvviso sentì il trillare divertito del suo compagno.
“Brillante!”.
“Dottore…”.
L’uomo era circondato da cavi e chip, frammenti di macchinari e tante altre cose. Il Dottore continuava a far passare il cacciavite sonico sui meccanismi che aveva intorno a lui. Alzò lo sguardo e le sorrise.
“Buongiorno, Donna!” trillò gasato.
“Che stai facendo?”, Donna era scioccata. Era tutto…stropicciato!
“Sto studiando, conoscendo…Questi aggeggi sono…”.
“Siamo in ritardo!” urlò Hope avanzando rapidamente verso di loro sistemava la cintura con gli attrezzi sul fianco “Su, su, muoversi!”.
“Ma come?” chiese Donna “Vieni vestita così?! Capisco il Dottore, ma tu…sei stata convocata…”.
“E allora?” domandò Hope, mentre si sistemava in mezzo ad un arco, vicino a una console.
Il Dottore si posizionò vicino a lei con le mani ficcate in tasca “Non l’hanno convocata per prendere un the insieme, bensì per riparare qualche cosa. Quindi perché vestirsi eleganti?”.
“In effetti…” Donna si avvicinò a loro. Sapeva già cosa sarebbe successo, l’aveva visto già quell’apparecchio. L’aveva costruito una specie di ragazzino supergenio sulla Terra e l’avevano anche provato in una delle loro tante avventure. Era un teletrasporto.
“Interessante, costruito da sola?”.
“No, con l’aiuto degli omini verdi di Marte” rispose la ragazza, mentre schiacciava alcuni tasti sulla console.
“Omini Verdi? Esistono davvero?” chiese Donna confusa.
“No, non esistono. Hope non è mai stata molto brava ad usare il sarcasmo”.
“Antipatico! Be’, allora, Allons-y”.



Si ritrovarono in mezzo ad un corridoio completamente bianco. C’era solo un ragazzo davanti all’arco, probabilmente attendeva loro, con un completo scuro, che avrebbe fatto invidia a un Man in Black dei film.
“Signorina Hope”.
“Sì, sì, portarmi nella sala di controllo. Prima faccio il mio lavoro prima torno a casa!”.
Il ragazzo cominciò a camminare, percorrendo il corridoio. Era completamente deserto, cosa molto strana poiché doveva essere un ministero che riguardava lo sviluppo delle nuove tecnologie. Si fermarono davanti ad una parete. Si aprì un varco e il gruppo lo attraversò.
Finalmente si ritrovarono in mezzo agli uffici del ministero. C’erano molti uomini e donne che giravano portando in mano vere e proprie torri di fogli.
Il Dottore inforcò i suoi occhiali e cominciò a studiare ogni persona che gli passava di fianco mentre continuava a camminare per il corridoio.
Il loro accompagnatore si fermò e li fece entrare in una sala. Donna rimase a bocca aperta quando vide che cosa conteneva. Sembrava una sala di controllo degna dell’UNIT o della NASA. Enormi schermi illuminavano la stanza con la loro luce bluastra. Enormi console percorrevano la stanza, munite di controlli e schermi che davano precise informazioni su chissà che cosa…
Il ragazzo chiuse la porta dietro di loro, con un tonfo, che fece girare Donna spaventata.
“Io…”
“Shhh!” fece il Dottore sottovoce “Fra poco”.
Hope si avvicinò ad una console e sfiorò con le dita i pulsanti “Sì, mi sa che…Sentite!” urlò rivolta verso il soffitto “Mi serve un bel po’ di energia, quindi spegnerò le telecamere, solo di questa zona…Insomma, come al solito, ma questa volta sarà per un po’ più di tempo. ‘Notte ragazzi!”.
“Con chi stai parlando?” domandò Donna rivolta al Dottore, continuando a sussurrare.
“Potete parlare tranquillamente, nessuno ci sentirà. Siamo isolati”.
“Immagino che vedrai grazie a qualche programma se qualcuno proverà ad attivare la sorveglianza” dedusse l’uomo mentre si avvicinava a lei.
“Più o meno” Hope si tolse la felpa enorme, rimanendo, così, con una semplice maglia addosso. Si sedette a una console e cominciò a spingere alcuni bottoni.
La donna che li accompagnava si avvicinò a loro “Scusami, ma non avevi detto che gli umani stavano sparendo?”.
“Be’, erano voci”.
“Ma quel ragazzo ti conosceva?”
“Hope, facciamo una cosa intelligente, che cosa è successo dopo che me ne sono andato?” domandò il Dottore, sedendosi vicino a lei.
“Hanno preso il controllo dei sistemi della difesa. Mi hanno chiamato più volte per sistemare i circuiti e le navicelle che sorvegliano l’atmosfera e il campo gravitazionale. Ma sono sempre venuta di notte, quindi non ho mai visto la gente e quelli che ci lavorano”.
“Ma allora non sono alieni” disse Donna “cioè, sono ancora vivi, non stanno sparendo”.
“Non penso siano umani, Donna. Sembrano ma non lo sono. Cosa possono essere?” chiese retoricamente il Dottore, guardando il soffitto e dondolandosi sulla sedia.
“Scusate, ma stanno controllando che cosa sto facendo e…” spinse un tasto a caso e un enorme schermo si accese dietro Donna “non voglio dargli un motivo per venire a controllare”.
Lo schermo si accese. Dopo pochi secondi nello schermo apparve l’immagine della Terra, ma, invece di essere del suo caratteristico colore, che gli aveva valso il sopranome di Pianeta Azzurro, era circondato da un alone rosso, percorso da alcuni filamenti bianchi. Ogni intanto in mezzo a quel mare di rosso passava un piccolo pallino nero.
“Che cos’è?” chiese il Dottore appoggiando i gomiti sulle ginocchia e unendo le mani.
“La Terra e tutto ciò che la circonda. Quella rossa è la barriera che vi ha bloccato. È crepata, è per questo che mi hanno chiamato”.
“E quelle cose? Quei puntini che ogni tanto si vedono?” Donna si sistemò vicino a loro e guardò lo schermo.
“Sono delle navicelle che contengono i motori per mantenere lo schermo di difesa acceso e attivo”, la ragazzina si girò e cominciò a digitare qualcosa. A Donna sembrò di essere tornata indietro, a quando faceva il corso per diventare segretaria, non aveva mai visto nessuno battere così velocemente su una tastiera.
“Di che tipo sono queste navi?” chiese il Dottore guardando lo schermo.
“Sono…Erano navi da salvataggio, ma le hanno sequestrate prima che partissero per la loro missione”.
“Ma quelle navi dovevano aiutare delle persone! Come hanno osato prenderle?” chiese Donna.
“Loro possono tutto!” borbottò il Dottore.
Hope all’improvviso alzò lo sguardo dalla tastiera e guardò lo schermo. Era confusa e sembrava preoccupata “Non si può riparare…”.
“Meglio così, no?” disse Donna.
“Dipende da cosa volete fare” rispose qualcuno dietro di loro.
I tre si girarono sorpresi trovandosi davanti ad un uomo in giacca e cravatta. Sembrava un uomo piuttosto burbero e cupo.
Donna si avvicinò al Dottore, che aveva messo le mani in tasca e lo guardava con il suo solito sguardo indagatore. Hope si era alzata lentamente, stava leggermente tremando, ma era così impercettibile che nessuno sembrò accorgersene.
“Buongiorno, Ministro!” rispose la ragazza cupa.
“Ah, allora è lei il famoso Ministro? Piacere, io sono il Dottore…”.
“Che ci fa un estraneo nella sala di controllo della difesa?” chiese l’uomo, continuando a tenere le braccia incrociate dietro la schiena.
“E’ un mio amico, mi sta aiutando a sviluppare un nuovo campo difensivo. Ha bisogno di meno navi per il segnale ed è più efficace. In teoria dovrebbe rompersi meno…” Hope si perdeva a descrivere dettagli tecnici con gli occhi persi nel vuoto. Per qualsiasi persona sarebbero sembrati sparati a caso, tanto per prendere tempo, ma per chi era un esperto in materia sarebbe stato un idillio.
Il Dottore avrebbe scommesso 200 sterline che se fosse esistito veramente un campo difensivo così, chiunque sarebbe riuscito a comprarlo o ad avere anche solo il prototipo non avrebbe più dovuto temere un attacco nemico.
“Ma è qui senza permesso!” sbottò il Ministro “Lo sa, che non mi piacciono gli sconosciuti!”.
“Mi scusi….”
“Oh” sospirò il Dottore, venendole in aiuto “andiamo! Le ha appena detto che voleva migliorare i motori, non le sembrava un ottimo motivo per portare qualcuno di capace qua dentro!”.
“Ha mai sentito il detto ‘Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio’? Io non mi fido mai, per nessun motivo, di qualcuno che non conosco!”.
Il Dottore fece un passo verso di lui e gli porse la mano “Il Dottore e lei è Donna Noble. Adesso non siamo più sconosciuti!”.
Il Ministro guardò la mano che gli veniva offerta in modo schifato, alzò lo sguardo e guardò di nuovo la ragazzina.
“Comunque non è solo di questo che volevo parlare con lei, signorina Hope. Ho un altro incarico per lei. Mi segua!”.
Il Ministro si girò e uscì dalla porta. I tre furono, così, obbligati a seguirlo.
Il Dottore strinse la mano della ragazzina, cercando di infonderle coraggio, perché ora lo vedeva chiaramente il tremore che la percuoteva. Era sempre stata una peste, coraggiosa e vivace, e se tremava voleva dire che c’era veramente un pericolo nell’aria.
Presero un ascensore piuttosto grande che li condusse a circa cinque piani più sotto a quello precedente. Quando uscirono si ritrovarono nuovamente in corridoi bianchi, senza un filo di colore. Sembravano quelli di un ospedale.
“Avete mai pensato di mettere un po’ di colore qua e là? Darebbe più allegria!” disse il Dottore sorridendo, cercando anche di rompere il pesante silenzio che si era andato a creare.
“Il colore non serve” sbottò il Ministro “Questo è un corridoio che viene utilizzato solo nelle grandi occasioni e non si ha mai il tempo di fermarsi per guardarsi in giro per ammirare stupidi quadri!”.
“I quadri non sono stupidi!” protestò Donna.
“Per il mio popolo sì!”.
“Da dove venite?” chiese il Dottore curioso. Ora poteva conoscere la provenienza di quei tipi e aiutare maggiormente la sua piccola amica.
“Da un pianeta lontano, esploso ormai 400 anni fa. Quelli che popolano questo pianeta sono i pochi rimasti!”
“E questo Pianeta vi ricordava casa?”.
“In parte. La vegetazione e l’atmosfera sono simili, ma per quanto riguarda il tempo…non si avvicina nemmeno lontanamente!” disse l’uomo.
“Non capisco!” ammise Donna.
“Un anno, per la mia gente, corrisponde a venti di questo pianeta.” spiegò il Ministro “Ma adesso basta con queste domande”
Hope, intanto, si era fermata appena aveva sentito il corrispondere degli anni del pianeta di provenienza di quegli alieni a quelli della Terra. Il Dottore le fece segno di continuare a camminare. Che non se ne fosse accorto? Che non avesse capito?
La giovane ricominciò a camminare e si aggiunse alla silenziosa comitiva. Continuavano a camminare per un'altra mezz’ora e alla fine arrivarono alla metà. Era una stanza con pareti completamente di vetro, così permetteva alla gente di vedere all’interno.
Donna emise un gemito rocco, mentre il Dottore e Hope rimasero ad osservare cupi. Quello era uno spettacolo tremendo.
Dentro la stanza c’erano dei bambini che si allenavano con armi che avevano tutto forche l’area di essere finte.
“Loro sono i nostri futuri combattenti!” disse orgoglioso il Ministro “Mia cara Hope, voglio che tu costruisca una tecnologia in grado di allenare i nostri ragazzi ad una guerra”.
“Una domanda” fece Hope “Come dovrei fare? Se provo a fare qualcosa rischio di fare qualcosa di pericoloso o di traumatizzante!”.
Il Ministro rise “Nessuno di loro si traumatizzerà, stanne certa! Hanno combattuto contro gli umani e hanno visto il colore del sangue. Sono i più forti, quelli che hanno superato la prova”.
“E quelli che non superano la prova?” domandò il Dottore.
“Abbandonati, con le loro madri in qualche pianeta”.
“Come avete potuto!” urlò Donna “Erano bambini! Non avete cuore!”.
“Donna, sono le loro usanze” le ricordò il Dottore, appoggiandole una mano sulla spalla.
“Esatto, sono le nostre usanze. 18 anni fa, o meglio 360 anni fa del mio pianeta abbandonai mia figlia e la mia compagna in un pianeta, perché non era una combattente. Non aveva superato la prova!”.
“Dove?” domandò Hope.
“In un pianeta pronto ad esplodere nella galassia di Andromeca. Non mi ricordo il nome, ma non ha importanza, in fin dei conti non è più in nessuna mappa galattica!” rispose l’uomo con leggerezza.
Non gli importava proprio nulla della sua famiglia, che aveva abbandonato.
A Hope invece interessava. Fece un passo indietro, mentre nella sua mente iniziavano ad apparire datti, numeri, calcoli…Non ci poteva credere!
Guardò nuovamente i bambini e capì. Nella sua testa apparve la soluzione, che faceva male. Cosa poteva fare se non scappare? E così cominciò a correre verso il teletrasporto.



Al ministero


Angolino tutto mio
Grazie mille MARS88 per aver recensito!! Nel prossimo capitolo risponderò a tutte le tue domande, intanto ti lascio ancora un po’ sulle spine XD un bacione!!!

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Capitolo 4
*** Ciò che posso chiamare famiglia ***


Ciò che posso chiamare famiglia

Hangar Moon.
Donna uscì dal teletrasporto con tantissime domande per la testa, aveva provato a farsi dire qualcosa dal Dottore, ma lui era rimasto zitto.
Quando Hope se n’era andata, il suo compagno d’avventura aveva continuato a fare domande al Ministro, apparentemente disinteressato dalla fuga della ragazzina, ma le risposte che gli furono date non erano soddisfacenti. Così il Dottore aveva deciso di tornare a ‘casa’.
“Dottore…” provò nuovamente Donna, seguendo l’alieno fino al TARDIS.
“Dimmi” mormorò l’altro entrando nella sua navicella.
“Che tipo di alieni sono?” domandò la donna.
“Sono guerrieri. Molto antichi, per i cannoni terrestri, per i loro sono un popolo mediamente nuovo” il Dottore andò verso la cucina del TARDIS.
“Hanno delle tradizioni barbare!” protestò Donna seguendolo.
“E allora, anche le vostre tradizioni sono barbare per alcuni pianeti! Quindi non lamentarti!” cominciò a cercare qualcosa nella dispensa.
Donna rimase in silenzio. Era vero, aveva conosciuto popoli che trovavano grottesco il semplice tagliare l’erba del prato, ma per lei rimaneva orrenda l’idea di allenare i bambini al combattimento mandandoli direttamente in battaglia. Si zittì anche perché in quel momento il Dottore sembrava…non riusciva bene a capire quale era lo stato d’animo del suo amico. Sembrava arrabbiato, preoccupato…milioni di cose insieme.
Eppure, sentiva che quello era il momento in cui avrebbe potuto ottenere le risposte alle sue domande e poi era troppo testarda per lasciar perdere.
“Dottore, chi è Hope?”.
“Te l’ho già detto: un’allieva” rispose brusco l’altro.
“Ok, ma non è tutto! Chi è veramente Hope? Perché si è rabbuiata quando ha sentito dei vent’anni e dell’esplosione del pianeta di quegli alieni?” domandò Donna.
Il Dottore si fermò, rimanendo sempre di spalle “Perché pensava di essere l’ultima…l’ultima della sua specie”.
“Come te?”.
Lui annuì e si girò, poteva così guardare negli occhi la sua compagna d’avventura e amica.
“Lei è tutto ciò che posso chiamare famiglia…”.



Il TARDIS lo aveva portato in un pianeta completamente deserto. Uscì dalla navicella guardandosi attorno, cercando il motivo del cambiamento di rotta.
Non c’era nessuno, apparentemente. Stava risalendo quando sentii dei gemiti, tipici dei bambini appena nati.
Ritornò sui suoi passi e cominciò a camminare per la pianura desolata, guardando dietro ogni masso, ramo, arbusto l’origine del suono.
Alla fine trovò una donna accoccolata dentro una grotta, che teneva tra le braccia un piccolo fagottino. A prima vista sembrava umana, ma in quel momento sulla Terra si stavano scoprendo il fuoco e la ruota, dubitava che qualche umano sarebbe arrivato in un pianeta così lontano. Allora, da dove veniva quella donna?
L’unico modo per saperlo era chiederlo all’interessata!
Così il Dottore si chinò e cercò di svegliare la donna, che però crollò a terra, fu allora che controllò le funzioni vitali. Assenti!
Un urlo frantumò l’aria, proveniva dal fagottino. Lo aprì è trovò dentro una bambina, piccolissima, di pochi mesi.
Non poteva certo lasciarla là!
La prese con sé e la portò sul TARDIS dove si assicurò del suo stato di salute. Era in piena forma, aveva solo un po’ di fame e bisogno di essere cambiata.
Così l’alieno si trovò a destreggiarsi tra pannolini e pappe per neonati. Quando la bambina si addormentò, soddisfatta dalle attenzioni dell’improvvisato padre, il Dottore cominciò a cercare la provenienza della misteriosa bambina.
Asciugò con un fazzoletto la saliva che usciva dalla boccuccia semichiusa della creatura e la fece analizzare dalle apparecchiature del TARDIS.
Il suo pianeta era Zxrko, esploso quarant’anni umani prima, due anni per la popolazione Zxrkiana. Probabilmente quella bambina era nata prima dell’esplosione e la madre aveva trovato un modo per salvarsi e raggiungere un nuovo pianeta. Peccato che la sorte non era stata clemente! Il destino aveva scelto un pianeta veramente ostile…
Guardò le analisi, studiando tutti i dati…
“Com’è possibile?” chiese al nulla, quando arrivò alla voce Età.
L’attrezzatura del TARDIS non si sbagliava mai! E allora com’era possibile che quella bambina fosse nata poco più di sei mesi prima? Dov’era suo padre? Perché di certo una donna non poteva concepire un figlio senza un aiutino…Insomma, cos’era questa storia!
“Andiamo a cercare il tuo papà, piccola!”



Inutile. Era stato completamente inutile girare per tutto il pianeta alla ricerca del padre della bambina non aveva portato a nessun risultato. Probabilmente era morto anche lui e la donna, con le sue uniche forze, gli aveva dato degna sepoltura, oppure lo aveva bruciato, o ogni altra cosa che celebrasse la morte secondo la loro tradizione.
Si era così arreso e in un posto indefinito dell’Universo, il Dottore aveva cercato dei superstiti all’esplosione di Zxrko, per dare la bambina ad una famiglia che se ne occupasse, ma a quanto sembrava non ce n’erano.
Era l’unica sopravissuta. Era sola come lui…
Ma che doveva fare? Tenersela con sé o trovare una famiglia adottiva di un’altra razza?
Guardò la bambina che si era svegliata e si divertiva a giocare con una cravatta, che aveva trovato in giro, chissà in quale buco della navicella.
Tenerla con sé era troppo pericoloso, la sua vita non era certo adatta ad una bambina così piccola e lui non aveva certamente il tempo per starle dietro!
“Allora, che facciamo?” domandò sedendosi davanti a lei, guardandola negli occhi.
Di risposta ebbe solo un gemito.
“Ti potrei lasciare ad orfanotrofio galattico” propose.
La bambina lo guardò male, come a dirgli che era una pessima idea.
“Ehi, non osare guardarmi in questo modo!” poi sospirò “La solitudine mi fa proprio male, sto parlando con una bambina troppo piccola per capire che cosa sto dicendo!”.
E che c’è di male?sembrò dirgli con un sorrisino. O almeno interpretò così anche quella scrollata di spalle.
“Sicura di non voler andare all’orfanotrofio? Dicono che è un bel posticino” tentò nuovamente il Dottore.
La bambina mise il broncio.
“Ok, non ti va…Allora, che ne dici se…Non lo so…” alzò lo sguardo pensieroso “Potresti rimanere un po’ com’è finche non ti trovo una famiglia, va bene?”.
Un sorriso dolcissimo apparve sul visino della creatura, strappandone uno anche al vecchio Dottore.
“Finche rimarrai qui, però, ti servirà qualcosa, tipo un nome! Non posso dirti tutte le volte
Ehi, tu, vieni qui!Giusto?”.
La bambina sorrise ancora.
Cominciava a credere che quello scricciolo capisse veramente tutto quello che diceva.
Sorrise a quegli occhi marroni così radiosi. Gli sembrava di ricevere una seconda possibilità. Una seconda possibilità di essere padre, di avere una nuova famiglia…Ma questo voleva dire fermarsi, rinunciare alla sua vita da viaggiatore. Si sarebbe fermato veramente per…
“Hope” . Ecco il suo nome!
La bambina lo guardò curiosa. Gli stava chiedendo il perché di quel nome.
“Sulla Terra significa speranza, sul tuo pianeta vuol dire forza d’animo, su Z45 significa vita, a Ryox fortuna…Nel mio vuol dire possibilità. A questo suono corrispondono solo significati positivi”.
La bambina, pardon, Hope sorrise, felice più che mai del suo nome.



La bambina era cresciuta in salute e seguendo i tempi del suo pianeta natale.
Era molto intelligente ed era portata per la meccanica, tanto che molto spesso il Dottore era costretto a fermare le sue pazze corse perché lei voleva fermarsi ad aiutare qualche viaggiatori dello spazio a cui si era rotto il motore.
Molte volte aveva trovato una famiglia che sarebbe stata adatta a quella bambina, che dimostrava ormai 10 anni, ma che invece ne aveva più di 200, eppure ogni volta non riusciva a lasciarla.
L’aveva cresciuta da solo con le sue sole forze, le aveva insegnato il più possibile, tutto ciò che poteva.
Ormai la considerava sua figlia, la sua famiglia. E lei molte volte lo chiamava
Papà e lui ogni volta le ricordava di chiamarlo invece Dottore .
In quegli anni si era abituato ad avere il suo adorato TARDIS sempre in disordine, perché a quella peste rossa non bastava più la sua stanza per appendere i suoi progetti di strani marchingegni o le sue mappe stellari. Forse era stata ampiamente colpa sua la passione di Hope per le stelle, tanto che per insegnarle i misteri dell’Universo aveva creato,nel TARDIS, che contenesse una stanza con una ricostruzione dell’intero Universo all’interno.
Lo aveva fatto per lei, per vederla sorridere e felice.
Era la sua piccola bambina e non l’avrebbe mai lasciata.
Per questo era stato tremendo quel giorno, quando il giorno del 236 anno di Hope, lei le aveva chiesto una casa. Un posto stabile in cui stare.
Amava viaggiare con lui, ma aveva bisogno di fermarsi, almeno un po’.
Provò a farla desistere, ma non c’era riuscito. Hope era convita della sua scelta, così le trovò un vecchio shuttle, abbandonato sulla superficie lunare, in mezzo alle stelle come amava lei. Quella sarebbe stata la nuova casa della sua bambina.
Lasciò così quel pazzo e rosso tornado lì, con una promessa. Ogni sei mesi sarebbe tornato, precisamente il 25 giugno, il giorno del suo compleanno, e il 25 dicembre, data terrestre, per stare insieme, come la famiglia che erano.



Continua


Angolino tutto mio Allora, MARS88 ho risposto a tutte le tue domande???XD
Spero che seguirai anche gli altri capitoli, perché il bello deve ancora venire, e che continuerai a recensire….UN bacione enormeXD

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Capitolo 5
*** L'importante è come si cresce... ***


L’importante è come si cresce…


Il Dottore alla fine trovò quello che cercava: un vaso pieno di dolciumi alla fragola.
Lo prese e uscì dalla cucina. Questa volta Donna non lo seguì, forse perché aveva capito che in quel momento, quei due, dovevano parlare da soli.
Il Dottore le fu grato per questo. Si diresse, così, da solo verso le ultime stanze del TARDIS, dove aveva custodito tutto ciò che era stato di Hope.
Sapeva che l’avrebbe trovata lì, nel suo Spazio personale.
Entrò nella stanza, dove aveva rinchiuso personalmente l’Universo e trovò la ragazza. Era seduta sul divano che era subito oltre la porta, da lì si potevano vedere i segreti dello Spazio più profondo, semplicemente pronunciando il nome del Pianeta che si voleva visitare.
Di solito, davanti al divano, c’era la riproduzione di Gallifrey, invece quella volta c’era un altro corpo celeste di un bellissimo verde smeraldo.
“E’ il mio pianeta” mormorò la ragazza, quando il Dottore si accomodò vicino a lei “prima che esplodesse”.
“Un bel posto” rispose l’alieno “Ci sono andato un paio di volte…”.
“Lo so. Mi ricordo che mi raccontavi che era verdeggiante, le città erano ricche e vive…Ti sei però dimenticato di dirmi che era un popolo guerriero!”.
“Saresti stata meglio?”.
La ragazza si morse il labbro inferiore, pensierosa.
Il Dottore le porse il barattolo dei dolciumi, che lei prese sorridendo tristemente.
Rimasero a guardare il pianeta girare su sé stesso per alcuni minuti, in silenzio.
“Forse sì” rispose infine la giovane “Almeno avrei saputo perché mi hanno abbandonato, in quel pianeta deserto”.
“Ti saresti fatta solo dei complessi inutili” borbottò il Signore del Tempo.
“Secondo te non me ne sono fatta fino ad adesso?” chiese la ragazza cupa “Ero convita di essere l’ultima di una specie morta 400 anni fa. Ero convita di essere sola!”.
“Non sei mai stata sola, c’ero io!”.
“Oh, alcune volte sembri veramente un’idiota! Sai perfettamente cosa intendo!”.
Sì, aveva capito. Era convinta di essere la sola a portare avanti una razza estinta, l’unica a tenere all’interno del suo corpicino un DNA unico, speciale. Era destinata a essere sola, a essere considerata l’ultima di una specie rara, di una specie in via d’estinzione.
“Ora sai che non lo sei” disse il Dottore.
“No, so solo di essere uno scarto del mio popolo, quella sbagliata” ribatte la ragazza prendendo un'altra caramella “Adesso so che dentro di me c’è un mostro assettato di sangue e che un giorno uscirà!”.
“Non dire cavolate!”.
L’uomo appoggiò il contenitore sul pavimento e si alzò in piedi. Mise le mani nelle tasche e sorrise.
“Tu non sei un’assassina, non lo sei mai stata. È per questo che ti hanno abbandonato, perché non avevi la sete di sangue che caratterizzava il tuo popolo. E poi non è importante che cosa dice il tuo DNA. L’importante è come cresci…”.
“Non capisco…” mormorò la ragazza confusa.
“Sei cresciuta sviluppando la tua parte intellettuale, perché sei cresciuta circondata dalla scienza, dall’amore per l’ignoto, con una persona geniale, come me!” e sorrise compiaciuto per il complimento che si era fatto da solo “Eppure, sono certo, che se fossi cresciuta con il tuo popolo, avresti imparato a combattere ad essere un’invincibile guerriera. Quello che sei dipende da come cresci, dall’ambiente che ti ha circondata sin da piccola”.
La sua bambina si mise a ridere “Allora devo tutto a te, Dottore, se non sono un’assassina”.
“Sì, diciamo di sì!”.
“Evviva la modestia!” Hope continuò a ridere, ormai con le lacrime agli occhi.
“Bene, adesso che sei tornata la solita allegra ragazzina, penso che tu abbia capito che, forse, il simpaticissimo Ministro, che ho incontrato poco fa, può essere tuo padre. La posizione del pianeta in cui ti ho trovato e le sue condizioni erano quelle che ha descritto lui. Potresti dirgli che sei una della sua razza, raccontargli di te, della tua passione per le caramelle alla fragola…”.
“Nah” borbottò la giovane con la bocca piena di queste ultime.
“Come mai?”.
“Perché se anche fosse il mio padre biologico, non è stato lui a crescermi. Non mi ha cullato quando avevo gli incubi, non mi ha raccontato le storie della buona notte, non mi ha insegnato i misteri dell’Universo, non mi ha regalato una casa dove potessi vivere come volevo, facendo quello che amavo…Lui mi ha permesso di nascere, ma tu mi hai fatto vivere”.
“Rinunci così alla possibilità di non essere più…sola?!” chiese incredulo.
Pensava di aver capito che soffrisse per questo! Ora, invece, aveva deciso di rinunciare volontariamente al suo popolo! Cominciava a far fatica a seguirla!
Hope si alzò dal divano e lo abbracciò forte “Io non sono sola, ho te, papà!”.
Sbuffò, mentre appoggiava una mano tra i capelli disordinati della ragazza e le schioccava un bacio in fronte “Solo per questa volta”.



Continua


Angolino tutto mio
mi è venuto stra corto questo capitolo, ma va be’, capita, no?
e ho risposto ad un’altra domanda di MARS88!!! Yahoo! Mi sento potente!XD grazie mille per le domande che mi fai, mi permettono di andare avanti con la storia, perché se no mi sarei bloccata al secondo capitolo perché non avrei più saputo cosa scrivere. Grazie millissime!XD spero che continuerai a seguire e a recensire! Un bacione!!!

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Capitolo 6
*** Allons-y ***


Allons-y!


Nessuno poteva considerare l’enorme garage per navicelle spaziali di Hope un posto ordinato, ma dopo che quei due cervelloni si erano messi a lavoro l’hangar sembrava essere stato lo scenario di una guerra apocalittica, con tanto di bombe e mine antiuomo, colpito, in aggiunta, da un tornado e una pioggia di meteore…non c’era più uno spazio vivibile!
Donna si guardò intorno. Era sicura che dieci minuti prima c’era un corridoio ricavato dai vari pezzi di lamiera che portavano al “salotto” ed ora non c’era più…Oh, santissimo cielo! Si era persa!
“Dottore!” chiamò allarmata.
“Dimmi, Donna?” urlò lui. sembrava abbastanza vicino.
“Ehm, mi sono persa!”.
“No, non mi pare, Donna” e la faccia del Dottore apparve dietro di lei “e solo che le strade sono cambiate!”.
La donna sbuffò ed raggiunse finalmente gli altri due. L’uomo era rannicchiato sul divano che studiava la struttura di una delle navi che giravano intorno al pianeta, tenendo così gli scudi ancora attivi. La ragazza invece era su una poltrona che studiava un macchinario. Donna non aveva voluto indagare ulteriormente, soprattutto dopo aver letto quello che era.
Cercò di ricordarselo mentre versava il the nelle tazze. Era un trasportatore di molecole ultra-qualcosa a onde elettro-qualcos’altro a neutroni poli-che -cavolo-è?.
Scosse la testa, l’unica cosa che poteva fare, ora come ora, era preparare il the e i biscotti per quei due cervelli e aspettare un piano.
All’improvviso il Dottore alzò il capo e osservò davanti a sé. I suoi occhi furono attraversati da un lampo.
Illuminazione! Ecco il geniale piano del Dottore che adesso spiegherà…in religioso silenzio! Donna rimase sorpresa. Di solito quando faceva quel movimento voleva dire che aveva capito qualcosa e che introduceva urlando Geniale, Fantastico, Perché non c’ho pensato prima!. Eppure in quel momento era in silenzio. Tornò a guardare la planimetria, ma non la guardava veramente. Era come se vedesse oltre, come se fosse lontano miglia di anni luce.
“Dottore…” lo chiamò dolcemente la donna porgendogli la tazza.
“Sì, Donna, dimmi” chiese alzando nuovamente lo sguardo.
“Che…” cominciò prima di guardare Hope, che non si era accorta di nulla “Che cosa ha in mente?”.
“Niente, d’importante, solo un nuovo modo per riordinare le cravatte” e sorrise. Un sorriso strano anche per lui.



Hope si era addormentata, facendo cadere a terra l’ultimo progetto che aveva preso in mano per studiare. I due adulti si alzarono e decisero che era anche per loro il momento di andare a dormire.
“Dottore, seriamente” chiese nuovamente Donna “che cosa ha in mente? È tutta la sera che fa finta di studiare come è costruita una stupida nave di salvataggio!”.
“Io e Hope abbiamo pensato che potremmo mandare via quegli esseri trovando qualcosa con cui minacciarli. Ma penso che utilizzare le navi che orbitano intorno alla Terra è inutile, perché hanno una tecnologia molto elevata e penso che non sarà un grandissimo problema rimediare a qualsiasi danno vogliamo fare”.
“Hai pensato solo a questo?” chiese ancora.
“No, ho trovato anche un modo per mandarli via”.
“E’ fantastico! Allora dobbiamo dirlo ad Hope!” Donna stava per tornare indietro, con l’intento di svegliare la ragazza, ma il Dottore la fermò.
“Aspetta, ci sono ancora delle cose da sistemare. Prima voglio essere sicuro e poi…gliene parleremo, ok?”.
Donna annuì lentamente e lo seguì fino al T.A.R.D.I.S., per poi dirigersi nella sua camera. Si buttò a letto confusa, non capiva il comportamento del Dottore, da quando in qua i suoi piani avevano bisogno di essere ricontrollati?
Mah, la cosa era strana, ma forse voleva essere certo che nulla andasse storto. Non era la prima volta che salvava il mondo, ma non l’avevano mai fatto in una scala così grande. Forse, era per questo che era incerto, il suo piano non doveva funzionare in un’area limitata, dov’è collocato in quartier generale degli alieni, ma farlo funzionare in tutto il mondo.
Ecco! pensò la rossa chiudendo gli occhi Il Dottore non nasconderebbe nulla né a me né ad Hope!.



Il Dottore spense le schermate della sala di controllo della sua amata cabina e si tolse gli occhiali. Meccanicamente andò a massaggiarsi gli occhi, ormai stanchi dopo una giornata passata, prima, sui libri e, adesso, suoi monitor.
Aveva un piano ben delineato nella sua testa, anche se aveva detto diversamente alla sua compagna di viaggio, ma era per proteggerla…o proteggere sé stesso?
Doveva ammetterlo, il suo piano era pericoloso e soprattutto molto distruttivo. Probabilmente le due donne, quando lo avrebbero scoperto, si sarebbero infuriate.
Forse non solo quello ma avrebbero anche tagliato i ponti con lui, ma avevano solo quella possibilità, fare leva sulla Natura degli invasori e sperare che conservassero ancora quel orgoglio che aveva fatto leggenda.
Sperava ci fosse ancora, se no poteva andare pure in pensione come salvatore dell’Universo!
Si alzò e prese la giacca, che aveva buttato su una sedia. Aveva si e no una notte per mettere in moto tutto e non aveva tempo da perdere.
Uscì dal T.A.R.D.I.S. e ritornò nel salotto improvvisato, dove trovò la sua bambina che dormiva ancora accoccolata nella poltrona. Le diede un bacio sulla fronte e le rubò i progetti dei motori che tenevano su gli scudi di protezione.
Prese dal bancone gli attrezzi e andò al teletrasporto.
“Allons-y!” disse prima di sparire.



Continua


Angolino tutto mio
Scusate il ritardo, ma ho avuto parecchi impegni! Ringrazio nuovamente MARS88 per aver commentato nuovamente, grazie mille!!:) e grazie mille a tutti quelli che hanno letto questa storia! Un bacione, al prossimo capitolo! Ciao!!!

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Capitolo 7
*** Tutta sua padre ***


Tutta sua padre


“Geniale!” un urletto deliziato superò il rumore del motore che riempiva l’aria, seguito poi da un piccolo suono acuto “Oh, è vero devo muovermi”.


Hope si svegliò e si stiracchiò. Era tanto che non prendeva sonno sulla poltrona, da quando aveva lavorato per la nave di Sua Eccellenza il Governatore della Stella di Sirius, due mesi fa. Be’, non era esattamente passato così tanto tempo.
“Hope!” urlò Donna.
“Ti sei persa ancora?” chiese, mentre si alzava e sistemava i vari progetti delle macchine che producevano gli scudi.
“No! So perfettamente dove sono…Non è che per caso hai visto il Dottore?”.
“Non è sul T.A.R.D.I.S.?” domandò la ragazza. Mancavano due fogli, quelli su cui erano riportate le modifiche fatte durante l’ultima riparazione.
La rossa apparve davanti a lei con le mani sui fianchi “Pensi che se fosse lì dentro ti avrei chiesto se l’hai visto?”.
Hope, però, non rispose. Stava spostando e controllando ogni foglio che era intorno lei. Sembrava preoccupata, arrabbiata, fuori di sé, quasi.
“Hai visto dei progetti in giro?”.
“Hope, il Dottore non si trova e tu pensi a dei progetti?” chiese furiosa Donna “Se imparassi a mettere in ordine forse non perderesti le cose”.
“Non c’entra l’ordine, Donna!” sbottò la ragazzina “Se sparisce qualcosa e nello stesso momento anche il Dottore vuol dire che siamo messi male. Molto male!”.
“Come, scusa?”.
“Se il Dottore ha rubato i miei progetti vuol dire che ha in mente qualcosa”.
“Non è detto, potresti averli persi, prova a ricontrollare. Forse sono nascosti …”.
La ragazza scosse la testa, facendo danzare quella chioma vermiglia, sempre ribelle, come lei.
“Sono sicura, non ci sono”.
Le due donne rimasero a guardarsi, una che cercava di capire, l’altra che voleva assolutamente capire che cosa stava succedendo. Nessun biglietto, nessuna spiegazione, cosa gli era saltato in mente a quel idiota di un Signore del Tempo?
Il tempo passava e nessuna delle due dava segno di muoversi. A rompere quella situazione di stallo fu la ragazzina, alzandosi. Si diresse al T.A.R.D.I.S. e alla console che studiò attentamente, come se dentro ci fosse la risposta.
Schiacciò alcuni pulsanti, ma le risposte non c’erano. Si sedette sulla poltrona che di solito usava il Dottore e accavallò le gambe e incrociò le braccia. Avrebbe voluto sapere quello che succedeva a casa sua e nella testa del suo padre adottivo. Non meritava di sapere?< br> No, lei rimaneva la sua piccola e non doveva essere in pericolo, per fare ciò doveva rimanere all’oscuro di tutto. Ma quanto si sbagliava! Lei era un genio, glielo aveva detto nemmeno due giorni prima, e avrebbe capito qual’era il suo piano.
Si rialzò e cominciò a cercare, nella memoria del computer centrale, le ultime cose fatte dal Dottore all’interno della sua amata cabina blu. Aveva cancellato la cronologia, questo voleva dire che voleva nascondere qualcosa, no?
Così andò a recuperare i dati, li cercò in ogni angolo della memoria del T.A.R.D.I.S, perché non veniva mai cancellato niente, avrebbe potuto andare a cercare le rotte di trecento anni fa, le avrebbe trovato senza problemi. Ma riguardo la sera prima non rivelava niente.
“Ti prego, non tradirmi” mormorò rivolta al computer.
Il computer rispose alle sue preghiere mostrando una serie di chiamate fatte giusto poche ore prima.
Dalek, Sontaran, Cyberman…perché li aveva contatati?
“Hope…” Donna apparve alla porta “C’è una luce rossa sullo schermo in salotto”.
La ragazza corse e andò a vedere. Lo schermo segnalava una grandissima quantità di navicelle delle centinaia specie aliene chiamate dal Dottore.
“No! Non puoi…”sussurrò sconvolta.
“Che cosa sta succedendo?” domandò la compagna di viaggio del Dottore.
“Il Dottore non lo farebbe mai! Sa che cosa significa la guerra, non può voler…” Hope andò nella sua stanza “Però avrebbe ragione! Come puoi sconfiggere un popolo guerriero se non combattendo”.
“Che cosa significa?”.
“Oh, semplice, cara Donna Noble! Se vuoi mandare via un popolo devi dargli qualcosa che li porti lontani” e la giovane riapparve.
Si era cambiata, indossava i jeans che vestiva la prima volta che l’aveva vista e una felpa larghissima.
“E cosa sarebbe quello che vogliono i Zxrkiani?”.
“Semplice!” rispose prontamente Hope “La guerra!”.
“Sono navi da guerra?” chiese spaventata Donna indicando lo schermo “Mi stai dicendo che a pochi metri da noi ci sono delle navicelle piene di gente che vuole combattere?”.
“Primo, non si parla di metri nello spazio, bensì di anni luce. Secondo, le navi sono piene dei più grandi guerrieri dell’intero Universo. Terzo, quelle navi sono intorno a noi. Siamo circondati”.
Lo disse con una tale leggerezza che pensò di essere davanti al Dottore.
Gli occhi castani, così simili a quelli del suo amico, erano incollati ai monitor, entusiasta come se avesse appena ricevuto il regalo più bello della sua vita, ma stava anche studiando. Gli occhi rimbalzavano da un parte all’altro del monitor.
Donna sorrise. Anche se il Dottore non gli avesse detto che quella era sua figlia lo avrebbe capito da sola. Erano così simili, sembravano la coppia dell’altro.
In quel momento cominciò a suonare un allarme.
“Che cos’è questo rumore?” chiese Donna.
“Un allarme” rispose lei, sistemandosi la giacca.
“No, ma non mi dire!” sbottò la rossa “Che cosa significa?”.
“Significa che il Ministro mi vuole parlare” la ragazza si sedette su una sedia girevole e schiacciò un pulsante sulla console del computer.
Sullo schermo apparve il volto dell’uomo, che sembrava veramente arrabbiato.
“Signorina Hope, che cosa significa tutto questo?” chiese burbero il Ministro.
“Questo? Non so di che cosa stia parlando!”.
Il volto dell’uomo si rimpicciolì, occupando un quarto dello schermo, che ora era occupato da foto delle navette spaziali che avevano visto poco prima.
“Sono arrivate questa mattina, sono tutte razza piuttosto violente…”.
“Lo vedo! Ci sono proprio tutti i guerrieri dell’Universo” rispose fingendo di studiare le immagini.
“Esattamente!” il Ministro si stava alterando “E io sono senza scudi! Non c’è nessuna difesa sul nostro pianeta!”.
Hope arriciò le labbra “Uno. La Terra non è il vostro pianeta. Due. Gli scudi ci sono. Li ho controllati due giorni fa e non c’era nessun cenno di cedimento!”.
“Eppure lo scudo tra i sensori 1E e 9C è debole, un colpo e si rompe”.
“Farò tutto quello che posso, signore. Adesso vado a vedere i motori e….”.
La faccia del Ministro occupò il computer “Prima che vada vorrei ricordarle che c’è un accordo tra di noi”.
“Certo, che me lo ricordo” rispose Hope alzandosi e sistemando intorno alla vita la cintura degli attrezzi “Ma i miracoli non li so ancora fare, quindi tenga pronte una flotta, nel caso non riesca a sistemare tutto”.
“Certamente, ma se gli scudi non saranno sistemati avrà la punizione che lei sa…”.
Hope schiacciò nuovamente il pulsante, facendo terminare la conversazione. Aveva il respiro pesante, come se avesse corso per chilometri…No, sarebbe stato più facile, che tenere a freno le mille emozioni che aveva in corpo!
Doveva riflettere, con calma….
“Devo andare dal Dottore” disse sottovoce.
“Ma non sappiamo dov’è!” le ricordò Donna.
“Sì, invece, ce l’ha detto quel idiota del Ministro e poi l’unico modo per andarsene da qui è il teletrasporto, quindi basterà cercare le ultime coordinate inserite”.
“Ok, andiamo! Lasciami prendere la giacca…” Donna si avviò verso il T.A.R.D.I.S., ma Hope le bloccò la strada.
“No, mi dispiace tu non vieni!”.
“Perché?” domandò la rossa indispettita.
“Devo parlargli da sola ed è troppo pericoloso, e poi mi serve qualcuno che controlli la situazione”.
Dopo una veloce lezione sul funzionamento del computer a Donna, Hope andò al teletrasporto. Ora iniziava la parte più difficile: convincere il Dottore a non portare a termine il suo piano!
Era più facile convincere un Vashta Nerada a diventare vegetariano!



Continua


Angolino tutto mio
Ringrazio nuovamente MARS88 per aver nuovamente commentato, grazie millissime!!!
Ringrazio anche Elisabet J Hansen per aver recensito e aver messo questa storia tra le seguite.
Ringrazio Doctor Smith per aver inserito questa storia nelle seguite.
Ringrazio anche Reinette per averla inserita tra le seguite e le preferite.
Grazie mille!!!! Spero che questo capitolo vi piaccia come i precedenti!! Un bacione!!!

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