Talith - Il Banchetto di Desideri

di Aleena
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Talith ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Sogni ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Ancilla ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Acciaio e Raso ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Sogni ♯2 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - L'Altro Mondo ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Giro d'Orologio ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Gaster ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Sangue ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Sogni ♯3 - Il Banchetto di Desideri ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Talith ***


CAPITOLO 1



TALITH 

 
 
  La distanza fra i loro corpi si era ridotta così velocemente che Talith quasi non se n'era accorta, distratta dal sorriso per metà sardonico e per metà ammaliante di Kay'den.
La piccola, perfetta macchina fotografica – quel gioiellino in rame ed acciaio per il quale aveva sgobbato più di tre anni – rischiò di scivolarle al suolo e fu solo grazie al laccio di cuoio che le avvolgeva la nuca se non rovinò disastrosamente. Rimase inerme a penzolare nel vuoto, a un passo da quella distruzione da cui la separava solo quel legame tanto sottile quanto tenace; come Talith, la cui mente danzava su un baratro nella cui oscurità poteva trovarsi parimenti gioia o dolore, vittoria o rovina.
Il peso della macchinetta fotografica, simbolo dello status sociale che aveva raggiunto, le premeva sulla nuca come un ammonimento gentile, quasi volesse dirle di chinare il capo, scartare di lato e fuggire: in fondo, quel che le serviva l'aveva ottenuto, no? Le erano occorsi sette anni, sette lunghi e degradanti anni per arrivare a quel momento, raggiungere l'ultimo nodo di un groviglio che le era sembrato sempre più inestricabile.
Aveva sprecato la vita per quel sogno, svenduto corpo e anima, e alla fine c'era riuscita: avrebbe scritto l'articolo più importante della sua vita. C'era così vicina ormai...
Le labbra di Kay'den si fecero più vicine ancora e Talith cercò di sottrarsi, tentando uno strattone che non rimase altro che un'intenzione: pareva che l'aria stessa si fosse fatta densa come ambra e che lei dovesse nuotarvi, quando perfino respirare era difficile.
Ogni suo moto di ribellione, ogni decisione, ogni singola volontà era annientata dal momento, da quella piega ironica sulle labbra dell'Incubo per il quale aveva sempre provato qualcosa a metà fra l'odio e il disprezzo, e che adesso ardeva dal desiderio di cancellare col contatto della propria bocca.
Siryo.
La sua mente cominciò d'improvviso a mandarle immagini di lui e dei loro ultimi giorni assieme. Talith le scansò come si fa con le mosche, agitando una mano senza emozione, cancellando in un istante vent'anni di vita assieme – perché ormai lui era così vicino.
Ne poteva percepire l'odore sottile di erbe notturne e glicine, quella fragranza tipica della Casa, mischiata ad un sentore che Talith avrebbe potuto solamente definire mascolino e che forse era semplicemente l'odore della sua pelle o dei suoi capelli – che importanza aveva? Kay'den le stava cingendo la vita e le spalle, l'attirava a sé con una dolcezza che Siryo non aveva mai avuta, cullandola e reclamandola ad un tempo, la brama che danzava nei suoi occhi di fiamma talmente lascivi e lussuriosi che Talith non avrebbe potuto tirarsi indietro.
Una mano di Kay'den – quella che le accarezzava piano la pelle scoperta del collo – scivolò delicatamente lungo la curva della spalla trascinandosi dietro il sottile pezzo di stoffa che reggeva la canotta di Talith; l'altra mano, invece, ne sollevò il lembo inferiore, per carezzare la schiena della mezz'elfa con gesti più imperiosi, quasi volesse, con le sue mani troppo calde, imprimerle cicatrici di fuoco a perenne monito del suo tradimento.
Talith lo lasciò fare, registrando solo marginalmente il senso di colpa bruciante che le attanagliava il cuore, la mente già per metà dell'Incubo, funestata da quella voce che le diceva di lasciarsi andare, che era giusto così.
Kay'den restò bloccato a meno di un centimetro dalle labbra di Talith, che poteva sentire il respiro caldo di lui. La lasciò sospesa, tesa e desiderosa di tuffarsi in quel baratro al quale essa stessa si era  diretta sette anni prima.
L'incubo rallentò, solleticandole la schiena con le dita, temporeggiando: sapeva come prenderla e cosa fare, era un cacciatore esperto e lei era la sua ultima, inafferrabile preda; dunque attese quelli che a Talith sembrarono al tempo steso secondi ed ere, prima di avventarlesi addosso.
Le labbra dell'Incubo erano calde e morbide, la sua bocca pregna di un sapore che poteva essere foglia da fumo e risacca o, chissà, semplicemente il sapore che aveva avuto la Dea Notte.
Talith smise di preoccuparsene all'istante, così come non badò alla forza con la quale le mani di fuoco di Kay'den le lacerarono la stoffa della canotta e il tessuto semplice della biancheria che indossava sotto. La mezz'elfa non pensava, avvolta dalle spire infuocate del desiderio che lui avvolgeva attorno ai loro corpi, ora privi di veli e uniti. Rimase silente, pregna solamente di lussuria, in balia completa del maschio che un tempo aveva voluto distruggere e che ora la avvolgeva con la pelle ardente, reclamandone il possesso.
Talith gli si concesse senza remore, sospirando e accasciandosi sul suo petto glabro quando la scia dell'orgasmo lasciò posto ad un sonno indotto.
Così Kay'den ebbe soddisfazione della fame e alla sua lussuria. 


 


Piccolo Spazio-Me: Questa è una storia che ho scritto qualche tempo fa e che deriva, come la maggior parte delle idee che non pubblico e che amo, da un sogno. Certo, l'idea era molto più lunga di così, e spero di riuscire a svilupparla come penso, in futuro... ovvero farla diventare un thriller urban fantasy :D 
L'ambientazione è, appunto, a metà fra un urban fantasy e uno steampunk (spero si capisca :D ).
Non vi metto una spiegazione razziale sui mezz'elfi, ma nel caso non sapeste cosa sono Incubi e Succubi, cliccate sui nomi :D in ogni caso, arrivati alla fine capirete cosa sono e fanno :D
Che altro... ah, giusto: la mia prestavolto l'ho trovata QUI :) adoro Deviantart *_*
Commentino? :S 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Sogni ***


CAPITOLO 2
SOGNI

 
  

  Talith sognava un passato che non avrebbe saputo ricordare.
Rivedeva il borgo nel quale era nata, un villaggio modesto che l'elettricità non aveva ancora raggiunto.
Era nella piazza principale, quella sulla quale si affacciava da un lato il piccolo Tempio della Terra e dall'altro la stazione di posta in cui lavorava suo padre, un mago mediocre il cui solo talento era quello di far viaggiare lettere e persone fino alla vicina Capitale. Quella mattina, tuttavia, il piccolo ufficio in cui il genitore lavorava era chiuso e le campane del Tempio suonavano per richiamare i fedeli. 
Talith si era attardata fuori assieme ad un gruppo di suoi coetanei, tutti raccolti attorno ad una vecchia che raccontava storie della sua giovinezza e delle guerre che gli Elfi avevano mosse contro di loro, figli bastardi di una génia pura.
Era stato allora che, per la prima volta, Talith aveva iniziato a pensare al tempo, a quanto ne aveva ancora e a come impiegarlo: sarebbe vissuta per tre, quattro secoli al massimo e non aveva alcuna intenzione di passarli lì. Aveva poco più di trent'anni a quel tempo ed era ancora una bambina...

 


 

  Dei tanti, solamente tre erano gli ordini il cui nome non fosse decaduto nelle ere a causa di scandali: il Regio Esercito, la cui élite era un vanto della nazione intera,  l'Accademia di Arcani, celebre per l'elevato potere che maghi e stregoni potevano raggiungervi e l'Ordine degli Informatori, ovvero la gilda il cui scopo era diffondere notizie e proclami nell'intero regno. Ognuna di queste caste aveva un severo protocollo d'ammissione e Talith era sicura di non essere in grado di sostenere la prova di abilità militare necessaria a ottenere l'affiliazione al Regio Esercito.
Dunque tentò l'Accademia, cui mancò di entrare per la scarsa voglia con cui s'era disposta allo studio dell'Arte.
Nonostante i fallimenti, Talith sognava la grandezza: voleva rendere fieri i suoi genitori e ancor più sé stessa, dimostrandosi capace. Dunque considerò l'ultima possibilità, quella che non avrebbe vanificato il viaggio, costringendola ad attendere altri tre anni prima del nuovo tentativo d'ammissione: l'Ordine.

Esservi ammessa fu più facile di quanto credesse: le parole parvero sorgere dalla carta pesante sulle quali le vergò e l'articolo, nulla più di un saggio sulla sua vita – come richiesto – fu giudicato positivamente.
Le restavano ora gli anni dell'apprendistato, scanditi da due traguardi; ma ora aveva degli amici e non si sentiva così nostalgica, così sola...
 


 

  Sua madre era morta.
Glielo avevano detto così, sterilmente, mentre Talith, ignara e felice, si apprestava a scendere per la colazione.
Sua madre era morta e suo padre la pregava di recarsi alla stazione di posta più vicina e farsi Trasportare nel minor tempo possibile.
Talith era rimasta ferma, una fitta al cuore e la testa spenta: quel giorno sarebbe divenuta un membro della stampa a pieno diritto, un traguardo cui anelava da quando, non meno di dieci anni prima, se n'era scappata da quel paesello dimenticato dagli Dei.

Ed ora...
 


 

  Aveva sacrificato ogni cosa alla sua arte.
Scattava foto e scriveva articoli, denunciando senza remore o pietà tutto ciò che, in coscienza, trovava ingiusto o degno d'essere portato all'attenzione della Capitale.
Sapeva cosa fare della sua vita, l'aveva sempre saputo: decisa, aveva tirato avanti lasciandosi alle spalle paure o rimpianti per amore della sua arte, nella speranza di magnificarla. 

 


 

  Dunque, il complotto. La caduta, la disperazione, gli avvertimenti, la lunga notte e di nuovo Siryo, ancora Shaun e Ancilla e infine lui, Kay'den e il suo patto.
E sette anni, sette interi anni...

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Ancilla ***


CAPITOLO 3


ANCILLA

 
 
  Quando Talith si svegliò non ricordò nulla. Era una sconosciuta senza nome e senza arte, svuotata di ogni memoria, privata di ogni emozione.
Durò poco, un'ora e un quarto per l'esattezza, ma la trasformazione era già in atto.

Era sola, e lo fu per lungo tempo prima che qualcuno arrivasse a farle visita. Talith era rimasta distesa senza vestiti e senza forza su quel letto troppo duro, in quella stanza che non aveva mai visitato e della quale, tuttavia, sapeva ogni cosa.
Quando infine la porta si aprì, Talith non si sorprese nel vedere Ancilla con un'espressione ferita e irosa sul volto perfetto. La giovane donna1 – la Succuba, si corresse mentalmente Talith – attraversò velocemente la stanza e poggiò sul letto un vassoio carico di frutti per lo più aspri prima di voltare le spalle alla mezz'elfa.

«Ancilla.» disse Talith con una voce così fioca da non sembrarle la sua. L'altra rimase interdetta un istante e poi si volse, puntando gli occhi di brace su di lei.
«Il Padrone mi ha detto di servirti il cibo e tanto ho fatto. Non rientra nei miei compiti l'intrattenerti.» sibilò Ancilla, il volto atteggiato a superbia e ira ad unico beneficio di Talith.
«Non... bhe, no.» sussurrò Talith, abbassando lo sguardo sulle lenzuola grigie che le sue mani stringevano.
«Parla chiaro.» sibilò l'altra, la voce tagliente e musicale a un tempo, corrotta dalla trasformazione.
«Volevo dirti che non ho intenzione di rubarti tempo prezioso, ma credo di essermi ricordata che il tuo tempo non vale poi molto, ora.» sussurrò Talith con semplicità, osservando la figura dell'altra: una donna fatta, mutata nel fiore degli anni, colta con maestria e congelata in eterna perfezione. Nulla era cambiato nella sua figura in quei sette anni: era ancora una donna alta e dalle forme esili, lunghi capelli vaporosi di un biondo denso che Talith le aveva in segreto sempre invidiato.
Era così che Kay'den le voleva: perfette.

«Cosa vuoi dire?» domandò Ancilla con voce carica d'ira, muovendo di un passo verso Talith.
«Voglio dire che non devi più adescare nessuno. È fatta, hai quel che volevi, amica mia.» sospirò la mezz'elfa, allungandosi verso il vassoio per afferrare un'arancia dall'aroma intenso.
«Cosa ne sai di quello che voglio?» disse Ancilla, arricciando il piccolo naso in una smorfia di disgusto forse causata dal corpo nudo di Talith.
«Ti ho conosciuta. Sono tua amica da quando avevi nove anni, Ancilla. Tu volevi essere ammirata. Ricordo com'eri da bambina, amica mia.» Talith ammiccò con un mezzo sorriso, lo stesso che, anni addietro, scambiava con la ragazzina offrendole gelati sul molo ad ovest, nella bottega dove lavorava Siryo.
«Grassa e senza classe. Lo so. Credi abbia paura di ammetterlo?» la voce di Ancilla grondava superiorità ma Talith non riuscì ad incontrare l'algido sguardo dell'amica di un tempo, ora puntato sulle mani piccole della prigioniera, intenta a togliere la buccia aranciata al frutto.
«No. Eppure sono sicura che sia importante.» rispose la mezz'elfa, scansando gli scarti dell'arancia e dividendo il frutto in due «Vuoi?» domandò alla succube, allungandole una fetta.
«Ovvio che lo è. Mi ha fatta essere quella che sono. Bellissima e immortale.» disse Ancilla, ignorando il gesto di Talith con un disprezzo malcelato.
«Bellissima. Non c'è nulla di male in questo. Ma non sei nata immortale.» sottolineò Talith con voce leggera, noncurante, mentre una mano saliva al volto e poi alla fronte, a scansare fili di capelli lasciandovi impressa una scia fruttata.
«E cosa vuoi che importi? Ora lo sono.»
«A prezzo della tua dignità e del tuo corpo.» soffiò Talith, contraendo le labbra come disgustata dalla sola idea.
«Come chiunque. Lui ci prende per questo, no? Ognuna di noi.»
«Ognuna di voi. Io non ho la pretesa di essere bella come te o come Shaun.» disse con sincerità Talith, accogliendo il fatto come la più normale delle ammissioni. La Succuba sembrò indispettita da questa frase ma non disse nulla. «Ancilla, capisci cosa vi ha fatto? Cosa sta facendo a me?» ora la voce di Talith si era riempita di una nota dolente, quasi supplice, che distorceva la melodia di per se poco armoniosa dei suoi toni.
«Ti ha data una scelta, come a tutte noi. Anzi, più che a noi. Sei venuta tu, qui, a rovinare ogni cosa. Tu, nonostante Shaun t'avesse messa in guardia, nonostante tutti noi ti avessimo intimato di restarne fuori!» la voce di Ancilla era salita man mano di intensità mentre il suo volto si congestionava, deturpato da un furore che a stento pareva contenere.
«Avevano Siryo.» disse Talith in un sussurro accorato fin troppo simile ad una richiesta di perdono.
«Siryo! Bella scusa. L'hai avuto indietro, no? Dunque perché infilarti in un letto che era mio?»
«Riprenditelo. Io non voglio Kay'den tanto più di quanto non voglia essere la sua puttana.» gridavano entrambe, la voce stridula dell'una che sovrastava quella disperata dell'altra.
«Eppure lo sei. E quanti maschi hai attirato nella nostra ragnatela?»
«È... diverso! Tu davi...»
«Io li attiravo con la mia bellezza e la lussuria, Shaun con il suo fascino e la sua prepotenza, tu con la persuasione e quei capelli biondi come il grano. Ma la conclusione è la medesima: ognuna di noi s'è fatta scopare da qualcuna delle vittime. Era inevitabile e necessario. L'ho fatto io e non temo il dire che mi sia piaciuto. L'hai fatto tu e so che hai avuto delle belle, succulente informazioni da quelle notti, informazioni che ti hanno permesso di farti ammirare da Kay'den. L'ha fatto Shaun, per quanto prediliga le donne. È quello che ci si aspetta da noi e ti vieto di farmene una colpa, per gli Dei!» sbottò Ancilla, furente, gli occhi ora animati da un incendio che le scendeva fino al collo, arrossandole la pelle solitamente pallida.
«Era.. diverso.» tentò di difendersi Talith, la scarsa convinzione nella voce suffragata da un movimento repentino delle mani che tiravano la coperta a coprire le sue nudità come uno scudo.
«Diverso da cosa? Dal tradire Siryo con Kay'den? Il sesso è sesso, con chiunque lo si faccia. Dunque cosa cambia? L'amore?» Talith abbassò gli occhi, ferita. Ancilla rise di gusto, beandosi della stoccata appena inferta «Ah, capisco. Bhe, amica mia, è solo la sua malia. Lui ti prende i sogni e il corpo e l'anima. Lui ti fa sua, ti cambia e ti rende migliore, eterna, ma lo fa sapendo che non potrai andartene mai, mai da qui.» un altro colpo; Ancilla sfruttava il vantaggio che era riuscita ad ottenere con maestria, infierendo sulla ferita all'anima che Talith cercava stupidamente di nascondere oltre coperte.
«Tu non desideri lasciare questo posto?» mormorò dopo pochi attimi la prigioniera.
«Io non desidero lasciare lui. È il mio Padrone e presto diverrà anche il tuo. Allora capirai e scorderai Siryo. Scorderai ogni cosa e sarai parte del tutto.» disse Ancilla, e si voltò, incamminandosi in un frusciare delle vesti rosso chiaro. La porta si chiuse alle sue spalle, lasciando Talith nuovamente da sola. 
 


1 preciso che i termini “uomo” e “donna” sono riferiti non generalmente al sesso dei personaggi ma, nello specifico, alla loro razza: come donna, in questo caso, si intende infatti un'umana di sesso femminile; i termini come ragazzo/a, giovane ecc, invece, sono generalizzabili dunque slegati dalla razza ;) probabilmente è una precisazione inutile ma non volevo creare confusione :D

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Acciaio e Raso ***


CAPITOLO 4
ACCIAIO E RASO

 
  
  Kay'den era nuovamente in lei, fremente di desiderio.
Talith l'aveva accolto con gioia al suo rientro, rinnovando quell'ardore malcelato che da qualche sera l'invadeva. Aveva baciato le labbra del suo carceriere e l'aveva stretto a sé, implorandogli di farla sua nonostante sapesse che ogni amplesso era un passo che l'avvicinava alla perdita di sé.
Non aveva visto più nessuno dall'incontro con Ancilla, ma aveva ricordato molto: altri sogni della sua infanzia, ripescati nell'abisso del tempo e strappati dalla testa con voracità. Kay'den si nutriva del suo passato come di un pasto delizioso da lungo tempo desiderato: ne assaggiava ogni istante, gustandolo sulla punta della lingua e assaporandone la natura, la consistenza, l'emozione, sorbendone a volte un sorso appena, come chi assaggi un vino d'annata.
Talith era sua compagna e suo pasto al tempo stesso: riviveva con lui ogni secondo di una vita che, pian piano, diveniva sempre meno sua mentre il suo corpo mutava – una scintilla di brace già invadeva il verde tipico dell'iride della sua génia.
Ogni mattina Talith si svegliava con il proposito di fuggire; ogni sera cedeva al desiderio e finiva per accasciarsi, dormiente ed esposta, sotto la fame dell'Incubo. Come ora: avvolta dal sonno, vedeva il piacere orgasmico di Kay'den trasformarsi un appetito vorace, amplificato dall'attesa del sonno di lei: ebbe un attimo di lucidità e raccolse a se ogni pensiero, ogni emozione provata negli ultimi sette anni. Sapeva che Kay'den non li avrebbe ancora gustati, che c'era molto, molto altro prima che le avrebbe portato via.
Sette anni...
Talith sapeva che la sua macchinetta fotografica era lì, avvolta nell'intrico delle vesti che le Kay'den le aveva lacerate la prima notte: nessuno l'aveva toccata, a nessuno pareva importare. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Sogni ♯2 ***


CAPITOLO 5
SOGNI ♯2 

 
 
  C'era stata la grande sala ovale, prima di tutto. I Maestri erano riuniti sugli spalti, tutt'attorno a lei, e l'osservavano con occhio critico o benevolo.
Talith sollevò la pergamena e lesse il saggio introduttivo prima di dare la parola ai suoi colleghi. Uno ad uno gli studenti le sfilarono dinnanzi, pronunciando le parole di circostanza che da rituale avevano scritte; dunque toccò di nuovo a Talith, che si schiarì la voce e declamò con perfetta, ammaliante precisione il discorso sul quale aveva lavorato nell'ultimo mese, condendolo di quel carisma alla cui perfezione era giunta in pochissimo tempo.
Quando la sua voce si fermò un applauso sentito le risuonò nella testa. Il Maestro Mullerore scese a stringerle la mano con calore prima di rivolgersi all'uditorio. Recitò le frasi di circostanza, invitando ogni allievo a ritirare la propria tesi e annunciandone il voto coi toni più alti che la sua vecchia, stanca voce riusciva a produrre: era stato banditore alla Corte per anni prima di finire, stanco e con l'ugola danneggiata, dietro la cattedra.
Trenta ragazzi e ragazze sfilarono fino al palchetto di legno scricchiolante e ricevettero la piuma di rame e bronzo, simbolo del loro status. Talith, nell'attesa del suo turno, pensò che solamente un terzo di loro avrebbe studiato da Reporter: gli altri sarebbero tornati come Scriba nelle corti vicine a casa o, se la fortuna l'avesse voluto, negli uffici privilegiati delle caste cittadine. Talith non aveva mai anelato a quella vita: voleva fare qualcosa per cui il suo nome sarebbe stato ricordato nei secoli a venire e lo status di Reporter era l'unico che potesse garantirle un futuro diverso dall'amanuense o dallo scribacchino.
«Talith de'Sephite.» gracchiò il vecchio maestro e la ragazza salì sul palco, allungando le mani ad afferrare la piccola penna di argento e rame, ben più preziosa di quella dei suoi colleghi.
Un grande passo, il primo di molti.  

 


 

  La prima volta che aveva incontrato Siryo era seduta al tavolo di una locanda sulla spiaggia, abbastanza lontana dal grande porto della Capitale da essere un luogo di piacevole tranquillità.
Ancilla l'aveva condotta lì quasi trascinandovela, tanto scarsa era la voglia della mezz'elfa: doveva finire un articolo, il suo primo, non badare alla figlia del suo maestro.
Shaun l'avevano incontrata lungo la strada: la piccola, esile strega dagli occhi color della cenere si era unita con gioia al gruppo – se gioia poteva definirsi l'allentarsi del gelo e sfacciataggine che solitamente la pervadeva.
La giornata tiepida le aveva invitate a sedersi sulla terrazza ingombra di persone, per lo più ragazze della borghesia cittadina in abiti troppo scollati, che ridevano e lanciavano occhiate di desiderio ai coetanei chini sul gioco di carte. Talith aveva lasciato l'incombenza della conversazione ad Ancilla e Shaun, entrambe troppo prese a prevalere l'una sull'altra per chiederle più di un assenso casuale ogni tanto - il che lasciava a Talith la mente sgombra: distrattamente osservava quelle ragazze civettuole chiedendosi quando mai fosse stata come loro.
Fu in quel momento che lo vide: un ragazzo d'un biondo scuro dalla corporatura robusta, vestito in maniera distratta e semplice, la barba corta attorno alla bocca. Era rimasta a guardarlo per almeno trenta secondi senza dire nulla, incapace di stabilire perché un farshee2 così stranamente ordinario potesse farle quell'effetto.
Se lo chiedeva ancora lungo la strada del rientro, cercando di giungere ad una conclusione razione che le continuava a sfuggire: solo, da quel giorno in poi sarebbe stata più che disposta ad offrire qualche gelato alla grassa, petulante Ancilla. 

 

 

  Per sei anni erano stati assieme, un tempo durante il quale Talith era riuscita ad ottenere il grado di Reporter e l'ambita macchina fotografica, simbolo del suo status e capolavoro d'arte meccanica: un gioiellino costoso che la mezz'elfa amava indossare molto più degli ori e dei diamanti.
In quel periodo Talith lavorava su un caso di omicidio per il “Gherda Oracle”, una stampa reale distribuita giornalmente fin nei confini Est del regno; l'articolo, nel quale la mezz'elfa s'era imbattuta quasi per caso, l'aveva allontanata dalla città per tre giorni, trascorsi i quali si sarebbe presa una piccola pausa: era infatti stabilito che Siryo conoscesse suo padre.
Fu sulla riva del fiume nella terra natia, alla mezzanotte del primo giorno d'autunno – quando il cielo è illuminato dalle due lune e le stelle cadono -, che Siryo le chiese di sposarlo. Avrebbero celebrato le nozze nel Tempio della Terra in quel momento, se lei avesse voluto, o in qualunque altro posto Talith desiderasse.
Era stata la notte più bella della sua vita...
 
… e Kay'den gliel'aveva appena sottratta. 

 


2 Equivalente maschile di una banshee. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - L'Altro Mondo ***


CAPITOLO 6



L’ALTRO MONDO 

 
 
  «Vorrei poter uscire ancora in missione, se me lo permetti.» disse Talith quella mattina, affondando il viso nell'incavo del collo di Kay'den.
Questi sussultò, volgendosi ad abbracciare il corpo minuto della mezz'elfa.
«Perché?» sussurrò infine l'Incubo, stringendola più forte a se e prendendo un lungo, forte respiro. «Cos'è che ti manca qui? In cosa non ti soddisfo?»
«Nulla, ma...»
«Dunque, perché cerchi altri uomini? Perché vuoi il mondo esterno? Quello è un inferno mentre qui... qui ho creato per te un paradiso. Per tutti noi.» la voce di Kay'den traboccava di una dolcezza possessiva che le feriva il cuore. L'accusava d'ingratitudine e d'infedeltà stringendola al tempo a sé, come a volerla convincere che solo quello era il posto che le abbisognava. Talith dovette far leva su ogni stilla della sua residua decisione per allontanarsi dall'odore invitante e dal calore della pelle dell'Incubo.
«Per me? Non credo.» sussurrò la femmina, piegando le labbra in qualcosa che poteva solo vagamente definirsi un sorriso.
«Si. Per te e per tutti coloro che mi hanno seguito. Eravamo rimasti in pochi, Talith, troppo pochi per sopravvivere, ma qui... qui c'è tutto quello che vogliamo.» sospirò Kay'den, abbracciando con lo sguardo la grande vetrata oltre la quale si stendeva la loro città sotterranea.
«Dunque è questo?» domandò Talith, ruotando su un fianco e seguendo lo sguardo del maschio.
«Cosa?» chiese Kay'den, cingendole la vita.
«Il... lo scopo. Evitare alla tua razza l'estinzione?»
«Vi ho selezionate una ad una. Belle femmine con un talento, decise e sicure si sé, forti. Siete le mie Cacciatrici di Sogni e avete svolto bene il vostro compito. Dovevate portare qui sogni nuovi, informazioni nuove, vite nuove. Dovevate portarci delle vittime e degli eletti e questo avete fatto. Alcune di voi sono rimaste martiri, altre sono divenute come noi: immortali. E così i maschi, sotto la guida di Acanti, la mia unica sorella dal sangue puro. Ora siamo una famiglia e tu.. tu, mia bellissima ragazza amante delle foto, stai per farne parte. Hai già iniziato. Presto sarai come noi.» le labbra troppo calde di Kay'den spensero l'eco delle sue parole sul collo di Talith, sciogliendo la prima protesta di lei con caldi baci.
«E se...» cominciò Talith, la voce spezzata.
«Se tu non volessi?» domandò l'incubo, la bocca carnosa che disegnava arabeschi lungo il collo e fino alla clavicola di Talith.
«Se io non ho scelta...» sussurrò Talith, distratta dalla pressione d’una mano di Kay’den che le scivolava fra i serici capelli, carezzandoli con decisa, possessiva dolcezza.
«L'hai avuta. Potevi rifiutare il mio bacio, potevi non donarti a me. L'hai fatto?» disse Kay'den e, come a sottolineare le sue parole con l'azione, mosse le mani troppo delicate lungo il collo e fino al volto di Talith, sul quale applicò una minima pressione: La mezz'elfa si volse quasi all'istante nuovamente verso di lui e le loro labbra si incontrarono, unendosi in un bacio profondo al termine del quale il maschio sorrise.
«Se io non ho scelta, lasciami almeno portare a termine il mio compito. Mi chiedesti di portare a te chi sapeva, chi vi diede la caccia e chi vi segregò, chi sterminò la tua razza e chi, infine, poteva sapere della tua città sotterranea. Era questo il patto.» sussurrò Talith con tono incerto, le gote accese da un rossore carico di desiderio.
«Informazioni in cambio del tuo maschio, esatto. La nostra sicurezza in cambio di quella di Siryo.» disse Kay'den, improvvisamente nervoso. La sua voce si fece dura, le sue braccia si irrigidirono «è questo che vuoi? Tornare da lui? Lui, che meno di un anno dopo le vostre nozze ti ha tradito con Acanti? Lui, che le si è votato senza neppure pensare a te?» le mani di lui adesso le serravano il corpo con forza, tremendamente vicine a scuoterla.
«Non è quello che ho fatto anche io?» domandò Talith, spaventata e rinvigorita ad un tempo.
«Tu? Mia perfetta, perfetta compagna, tu non tradisti che chi già ti aveva abbandonata. E quanto può contare il dare un dispiacere a chi te ne diede uno maggiore? Tu non hai colpa.» Kay'den modulò la voce nuovamente, scendendo a quel tono ipnotico e sottilmente mascolino che era in grado di assoggettare qualunque femmina al suo volere, come Talith sapeva più che bene.
«E forse neanche lui. Voi ammaliate le persone, gli rubate l'anima e le memorie...»
«Noi vi rendiamo eterni e parte del tutto. Avrete il dono di poter essere chiunque, qualunque vita, semplicemente distendendovi su di loro e...» cominciò Kay’den, il volto lattescente improvvisamente illuminato di una luce di ammirazione che lo rendeva pericoloso e affascinante al tempo stesso.
«Rubandogliela. Si. Ma tu non capisci.» sussurrò dolcemente Talith, facendo scivolare una mano lungo la pelle calda del petto fino al collo e poi alla mandibola affilata e liscia, per poi poggiarsi fra il crine fulvo dell’incubo.
«Spiegami, allora, e poi taci e lasciati amare.» disse Kay’den, avvicinando il volto a quello di Talith e baciandole appena le labbra.
«Ho... voglio finire quel che ho iniziato. Voglio sentirmi libera, svincolata dalla vita che conducevo prima. Solo così potrò essere vostra. Dammi una notte, una notte solamente, e poi mi avrai. Mi stenderò qui e ti permetterò di prendere ogni mio sogno, ogni mio ricordo, ogni mia emozione. Allora mi avrai completamente e sarai il mio unico e solo Padrone» disse Talith in un sospiro lieve, pronunciato a pelo delle labbra sanguigne dell’incubo.
«A quale scopo? Io ti possiedo già, mia bellissima ragazza. Sei mia, ogni notte di più. Mia.» disse Kay’den, assaporando la parola come se fosse un frutto dolce e succoso.
«No, Kay'den. Tu cerchi nei miei sogni, ogni notte, una briciola di ciò che sette anni fa mi condusse da te. Ecco, non lo avrai. Potrò divenire tua simile un giorno, tua amante o tua prigioniera, ma non sarò mai la tua schiava. Ed è questo che tu vuoi, no? Che io sia tua. L'unica femmina che non sei in grado di conquistare... vuoi davvero giocarti quest'opportunità, Kay'den?» le labbra di Talith si erano atteggiate ad un sorriso di sfida che male si addiceva al volto fanciullesco della mezz’elfa.
«Una notte...» soppesò Kay’den, facendo scivolare una mano lungo la vita di Talith.
«Non è nulla.» soffiò lei, spostandosi vicina all’orecchio del maschio.
«Dovrai chiamarmi Padrone. Aprirmi la mente e il corpo, e gioirne. Spazzare via ogni remora, ogni freno, ogni catena...» disse Kay’den, la voce riaccesa nuovamente dall’eccitazione e da quell’insan, bramoso appetito.
«Avrai il banchetto che desideri, padrone mio. Ti servirò la mia vita su un piatto d'argento e potrai saziartene a piacimento, ancora e ancora, finché non l'avrai consumata tutta. Mangerai i miei sogni, padrone mio, gusterai ogni mia singola speranza ed emozione e diverrai me, facendomi rinascere. Ma prima, Kay'den, concedimi quella notte» ansimò Talith, per metà già persa nell’Incubo.
«E sia. Ma, mia adorata, continua a chiamarmi Padrone. Mi piace.»


 


Fonte dell'immagine QUI

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Giro d'Orologio ***


CAPITOLO 7



GIRO D’OROLOGIO
 

 
   D
odici ore. Ecco quanto le restava da vivere.
Talith giaceva supina e scomposta sul bagnasciuga con i capelli che, al chiaro di luna, sembravano fondersi fino ad essere un tutt'uno con la sabbia stessa. Meditava, lo sguardo perso fra le stelle tremule e gli astri gemelli, nella tiepida notte del solstizio d'autunno, con la sensazione di aver dimenticato qualcosa d'importante. Non le importava: presto avrebbe scordata ogni cosa.
Presto sarebbe morta.
Gaster Ferther era sempre stato il suo miglior contatto tanto che, un tempo, l'aveva premiato con un posto da assistente: il suo talento era innegabile e la sottile predisposizione a non avere etica morale lo facevano un compagno perfetto per chi, come lei, stentava a ricorrere a mezzi poco leciti. Non c'era uomo all'infuori di Gaster in grado di sostituirla e Talith lo sapeva.
La pesante macchinetta, pregna di ogni tipo di materiale Talith fosse riuscita a reperire nei meandri della sua prigione, giaceva accuratamente avvolta nei resti della gonna di cotone che aveva indossato la sera della sua caduta; attorno al congegno meccanico, un doppio giro di documenti controfirmati e mappe dettagliate contornavano quello che sarebbe stato l'articolo più grandioso mai scritto finora.
Sto per consegnare il mio sogno a Gaster e la mia vita a Kay'den. Quanto in basso sono caduta, per gli Dei?
Il mare rumoreggiava pigro, la marea sospinta lontano dall'influenza suprema delle due lune; Talith sospirò, socchiudendo gli occhi sensibili e corrugando il naso nello sforzo di ricordare cosa volesse dire quella notte, perché l'avesse scelta fra tante.
«Ti ha concesso una notte e la sprechi a guardare la luna?» domandò una voce fredda e beffarda, intrisa di un odio malcelato; era alle sue spalle, talmente leggiadra da confondersi fra ombre e risacca in un silenzio inquietante.
«Shaun, buonasera. Quanto tempo eh? Come stai?» domandò Talith con scarso interesse.
Undici ore e trentasei minuti.
«Kay'den mi ha mandato a farti la guardia. Credo voglia assicurarsi che tu torni in tempo alla casa per prendere l'antidoto.» mormorò Shaun, la voce fievole e gelida così dissimile da quella d’un tempo. Talith sospirò, prendendo un respiro profondo e schermando le palpebre alla luce della luna.
«Sai del veleno?» sussurrò con scarso entusiasmo la mezz’elfa.
«Già. È un trucco vecchio. Cosa ti ha iniettato? Sexelia? Feryase? Dragonasta forse. Il suo effetto è il più lento.» disse Shaun con un sogghigno mentre, superata la distanza che le separava, aveva chinato il busto così da avvicinare il proprio volto a quello di Talith, ancora stesa al suolo. Lunghe cortine di lisci capelli color del giaietto le scendevano, spettinati, ai lati del volto.
«Non mi sono informata. Dicono che non sia piacevole sapere di quale morte si morirà.» Talith sollevò le spalle, aprendo gli occhi a fissare il volto della femmina.
Così diversa…
«Dunque non hai intenzione di rientrare?»
«Oh, lo farò di certo.» disse Talith in tono piatto, talmente neutro che era impossibile capire se fosse o meno seria.
«Dovrò portarti di peso, se non lo farai di tua volontà. Il Padrone ti desidera, amica mia.»
«Già.» mormorò semplicemente Talith, distendendo le gambe alla ricerca dello slancio; Shaun dovette capire le sue intenzioni poiché si sollevò, lasciando alla mezz’elfa lo spazio per sollevare il busto. «Undici ore e cinque minuti. Non trovi angosciante il conoscere con esattezza la data della propria morte?» domandò Talith a Shaun, volgendo su d’ella quel volto in parte trasfigurato dalla mutazione di Kay’den. «No, non rispondere. Non hai capito, né capiresti. Io vado e, Shaun, per il tuo bene, non seguirmi.» concluse Talith senza minaccia, il tono apatico di chi parli del tempo; affondò una mano nella sabbia umida e si puntellò per sollevarsi in piedi: aveva il volto stanco e segnato da qualcosa che poteva essere sofferenza causata dal veleno o astinenza.
«Vuoi ancora vendetta, Talith?» domandò Shaun, allungando una mano ossuta verso Talith e poi fermandola, presa dall’indecisione. La mezz’elfa, ora di spalle, non la vide ma fermò ugualmente il passo, sollevando ancora una volta lo sguardo al cielo.
«Perché non mi hai avvertita? Perché hai sussurrato indizi invece di verità?» mormorò Talith, la voce pregna di una disperazione profonda, incurabile.
«Una verità sarebbe stata meno allettante, per te? Tu chiedevi e la tua amica ti rispose, com'è giusto che sia.» rispose Shaun con veemenza, tentando di difendersi da quella che, apparentemente, considerava un’accusa.
«Immagino tu abbia ragione.»Talith si voltò a guardare la succuba, un espressione vuota in volto e un sorriso a mezza bocca a stirarle le labbra.
«Non lo libererai così.»
«Non vado da Siryo. Almeno, non ora. E comunque, quale libertà potrei mai dargli?» disse Talith, facendo spallucce.
«Vuoi stare con lui, no?»
«Kay'den mi ha fatta sua.» disse Talith, affermandolo come se questo spiegasse ogni cosa e, al contempo, distruggesse ogni speranza.
«Ti sei arresa, dunque? Bene. Acanti è nelle sue stanze, Siryo vaga per il mondo in cerca di cibo.» disse Shaun e si avviò, superando in due traballanti passi la figura esile di Talith.
«E questo cos'è?» domandò la mezz’elfa, corrugando la fronte.
«Consideralo il dono d'addio di una vecchia amica. O magari le felicitazioni di una nuova sorella.» disse Shaun senza voltarsi, prima di scomparire nella notte. 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Gaster ***


CAPITOLO 8



GASTER 

  
  T
alith bussava incessantemente da almeno quattro minuti quando una figura in abito da notte si affacciò alla finestra, i lunghi capelli verde acqua arruffati.
«Mandami giù Gaster.» gridò Talith, sbrigativa, all’indirizzo della femmina svestita.
«Tornatene a casa, vagabonda.» le rispose l’altra, dando in un sbuffo a metà fra l’irato e il divertito.
«Mandami giù Gaster, puttana. Muoviti!» sbotto la mezz’elfa, gli occhi che mandavano scintille di fiamma, la voce così dura che la ragazza stessa stentava a riconoscerla come propria.
Tramestio, il frusciare del lume chimico che veniva attivato, poi la chiave nella toppa, tre giri metallici ed infine il cono di luce illuminò la mezz'elfa, che assottigliò le palpebre nel tentativo di mettere a fuoco la figura che le si parava dinnanzi
«Talith? Cosa.. che ci fai.. sono sette anni che...» mormorò una voce assonnata e profonda, fortemente mascolina, intrisa di sospetto e dubbio.
«Si, si, è un piacere anche per me, ti trovo in forma e vedo che le compagnie non sono cambiate. Me ne compiaccio, anche se lo trovo un modo assai stupido di sprecare lo stipendio. Bel taglio di capelli, bella casa.» Dieci ore e diciotto minuti. «Finiamola con i convenevoli, ok? Prendi.» disse Talith, sbrigativa, poggiando in seno all’uomo un plico avvolto in carta ocra. «C'è tutto, qui. L'articolo della mia vita. Le foto degli omicidi, i nomi dei mandanti, il luogo in cui si ritrovano cadaveri e carnefici. Qui...» continuò la femmina, estraendo un foglio stropicciato dai tanti che spuntavano dall’involto e rivelando una mappa, sulla quale erano segnati dei punti in giallo «è dove dovrai mandare l'esercito. Assicurati di avere un buon fotografo. Appunta tutto, riporta ogni cosa e, ti prego, dà il giusto merito alla fonte. Vorrei che il mio nome non fosse solo citato fra le vittime.» concluse Talith, concitata, alzando gli occhi febbrili e stanchi sulla figura scura di Gaster.
«Talith, cosa...» domandò il maschio, lo sguardo che si spostava dall’involto stretto fra le sue mani a Talith, pallida e dagli occhi troppo arrossati.
«Gli omicidi, da nove anni a questa parte. Guarda...» riprese la mezz’elfa con foga, poggiando il palmo contro il plico di fogli. «Leggi tutto e va lì il prima possibile. Metti il mio nome. Ricorda! Qualunque cosa dovessi vedere...» Talith si avvicinò di un passo contraendo le labbra, la bocca scossa da un tremito feroce. «... qualunque! Metti il mio nome. Fa’ sapere loro che non ho sprecato sette anni della mia vita invano.» concluse, pericolosamente vicina alla follia o al pianto, difficile dirlo; lanciò un’ultima, supplice occhiata al mezzodrow vestito di grigio quindi si voltò e corse via, perdendosi nel dedalo di vie bagnate dalla luce delle due lune. Gaster balbettò qualche parola alla via ormai deserta quindi, interdetto, rimase a fissare il lastricato umido di rugiada.
Tre ore dopo, quando il mezzodrow finalmente riuscì a venire a capo dei documenti tanto da ricollegarli alle vicende di sette anni prima, mandò a chiamare il suo fotografo.
Talith aveva ragione: era roba grossa, l'occasione di una vita; e lui l'avrebbe colta, non senza riconoscimento.
Gaster Fether non era un ingrato.


 


L'immagine è presa da Deviantart ma, come per quella del capitolo precedente, non sono riuscita a trovare il nome dell'autore :(

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Sangue ***


CAPITOLO 9



SANGUE 

 
 
  «Ricordi la nostra prima notte?» disse Talith a voce bassa, chinandosi ad osservare il volto esangue di Siryo. L'incubo non rispose, limitandosi a scrollare il capo con un movimento lento, disperato.  «Io si. È uno dei ricordi che ancora non le ho donato. Ma presto... presto dimenticherò.
«Io...» .» mormorò il fu Farshee, la voce un canto triste e malinconico, vagamente dispiaciuto.
«Si, anche tu, molto anni fa.» disse Talith, pettinando con le dita i capelli dell’uomo che amava: con dolcezza e tenerezza, le stesse emozioni che le pervadevano il volto. 
«Come?» domandò Siryo, muovendo appena le labbra.
«Sapevi troppo, amore mio. Ricordi quello spaccio, poco distante al locale nel quale lavoravi? No, immagino. Comunque, c'era un vecchio folletto lì. Vendeva riviste illustrate degli anni della rivoluzione, vecchi fumetti e fumo di tabacco. Quell'esserino era tuo amico e sapeva tante...» Talith si bloccò, increspando le labbra in un sorriso furbo «... bhe, tante cose che interessavano me. Era un testimone, capisci? La sera della festa lui, come me, aveva visto Kay’den nutrirsi... e te lo raccontò. Fu la tua rovina.»
«Acanti?» mormorò Siryo, ora decisamente più sicuro e deferente, il volto addolcito da qualcosa che poteva essere solamente desiderio.
«Acanti. Lei ti prese e io venni a cercarti. Seguendo le tue tracce incontrai Shaun e Ancilla, che mi dissero di restarne fuori. Se mi conoscessi come un tempo, marito mio, sapresti che non mi è possibile.» il volto di Talith si aprì ad un sorriso per metà amaro e per metà divertito. «Shaun era la più debole. Le piacevo da sempre. Mi diede un indirizzo dicendomi che ti avrei trovato lì e concludendo poi con un “lascia stare, te ne prego”. Non avevo notato la fiamma nei suoi occhi, ma anche se l'avessi fatto? C'eri in gioco tu, cosa poteva cambiare? Dunque andai dritta nella tana del lupo. Acanti mi prese e mi disse che eri morto, Kay'den smentì e mi promise la tua vita se solamente avessi lavorato per lui.»
«Una cacciatrice di sogni?» Disse Siryo con sicurezza e Talith annuì. 
«Una puttana il cui scopo era portare uomini alla casa. Procuravo cibo per Acanti sperando servisse a saziare la sua fame: adescavo ragazzi e uomini civettando con loro, permettendogli di toccarmi; e qualche volta dovevo donarmi a loro perché si convincessero a seguirmi, la sera successiva. Facevo questo per te e intanto tu passavi le notti con Acanti, facendoti rubare la nostra vita.» Siryo chinò il capo, imbarazzato e sorpreso, apparentemente interessato al rosso vitale che dalle sue mani colava al suolo in pigre gocce. «Ogni tanto rubavo dei documenti o scoprivo la data del prossimo raid del corpo militare. Nessuno poteva trovarci: eravamo troppo protetti, troppo vigili. E io svolgevo al meglio il mio lavoro, per te, nonostante ti odiassi, nonostante sapessi del tuo tradimento.» c’era una traccia di lacrime nella voce di Talith, il fantasma di quelle che i suoi occhi non sapevano versare.
«Talith...» cominciò Siryo, senza enfasi.
«Ora so cosa vuol dire essere costretti. Né tu né io potemmo resistere al loro potere, benché la rabbia e l'odio mi tennero lontana da Kay'den a lungo. Sette anni, durante i quali ti vedevo passarmi accanto senza riconoscermi. Capisci cosa vuol dire?» disse Talith, affrettandosi a volgere lo sguardo altrove e ad aggiungere: «No. Non rispondere, ti prego.»
«Non mi hai detto perché lei ancora ricordava.» disse Siryo, indicando con una mano la forma nera riversa scompostamente al suolo.
«Lei?» domandò Talith, quindi scrollò le spalle. «Tutti perdono i ricordi quando finiscono per essere mangiati. Succubi, Incubi... loro ti rubano la vita e l'anima assieme ai sogni e la fanno propria. Alcuni, i più giovani, vi credono al punto di non accettare altra identità che non quella che acquisiscono. I più anziani, quelli che nacquero tali, hanno una vita, ma gli altri...»
«Che vuoi dire?»
«Shaun fu la prima a lasciarci. Aveva già perso gran parte di sé quando mi avvertì e non resistette molto: cadde nell'oblio tre mesi dopo la mia cattura, interamente prosciugata dalla neonata succuba che l'aveva eletta suo pasto. Ancilla fu più sfortunata. Vive ancora, sebbene i suoi ricordi siano quelli di un giovane delle campagne dell'est, suo pasto prediletto. Le due femmine...» Talith fece una pausa, abbracciando con lo sguardo i due cadaveri impietosamente illuminati dalle lune. «i due cadaveri che hai finito, sono solo due succubi neonate i cui ricordi principali appartengono alle mie amiche. Lei...» un gesto vago della mano indicò il corpo più distante, quello di Ancilla «era sua sorella. Le somiglia talmente tanto...»
«Ed ora?»
«Ora ti bacerò e poi torneremo a casa insieme. Sai...» Talith fece una pausa, prendendosi il tempo necessario ad alzarsi e spostarsi dinnanzi al marito prima di riprendere. «Ho sempre amato il veleno. È l'arma perfetta, l'unica che, una volta scatenata, può essere contenuta. Kay’den me l’ha iniettato nelle vene, pensando che un attentato alla mia vita sarebbe stato sufficiente; lui, che teme la morte, ha il mio antidoto. Eppure non posso morire per mano sua... del veleno. Mi restano quattro ore, quattro sole ore...»
«E cosa vuoi fare?»
«Scolpirci nella storia.»


 


L'immagine originale la trovate QUI

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Sogni ♯3 - Il Banchetto di Desideri ***


CAPITOLO 10



SOGNI ♯3 - IL BANCHETTO DI DESIDERI 

 
 
  Kay'den gemeva di piacere mentre le sue fauci affondavano nella mente ora completamente aperta di Talith, con la facilità con lui il suo stesso corpo s'impossessava di quello della femmina.
«Padrone.» gli sussurrava lei, baciandolo e carezzandolo. «Ogni mio sogno è vostro, Padrone. Io sono vostra, vostra!»
Le memorie di Talith erano meravigliosamente succulente: quante trame quella ragazza era stata in grado di ordire nella sua vita e con quanta ingenuità Kay'den l'aveva giudicata furba! Era una ragazzina semplice e fin troppo onesta, una femmina col gusto della verità ed una curiosità insaziabile: quel tipo di persona capace di saltare il giorno più importante della propria vita per assistere alla tumulazione di un caro; qualcuno che si aspetta di non ricevere alcun male da nessuno perché sa di non meritarlo.
Talith era qualcosa di unico, di profondo e unico.
Ed era sua.
 
“«Tu rendimi Siryo e io sarò tua. Posso scoprire qualsiasi cosa, recuperare ogni informazione, ogni dettaglio...» dice Talith con enfasi, stringendo i pungi tanto da far sbiancare le nocche.
«Che sicurezze ho, ragazza?» domanda Kay’den, beffardo. Siede su di uno scranno coperto di seta viola come su di un trono regale, due succubi neonate a guardargli le spalle.
Nessuna. O mi uccidi o mi accetti. Che ho da perdere?
«Preferisci avermi come nemica?» domanda Talith.
«Potrei renderti la scelta più facile minacciando la tua vita.» dice Kay’den facendo un cenno ad una delle sue concubine che, svelta, estrae una corta lama dal fodero che porta alla vita.
La mia vita? È tua. Lascia che ti distrugga e poi ti consegnerò io stessa il mio cuore chiuso in una scatola. 
«O potresti essere furbo. Usarmi. Una prova, è tutto quello che ti chiedo. Se fallirò, potrai sempre farmi riacchiappare da uno di loro.» dice Talith, alzando le spalle ed accennando con una mossa del capo ai due incubi che le stanno alle spalle. Kay'den esita meno di un secondo, ma tanto basta.
È fatta. È la tua fine. E la mia vittoria...”

 
Kay'den fermò i movimenti del suo corpo, gli occhi spalancati fissi sul nulla, la bocca che assumeva la piega disgustata di chi abbia ingerito qualcosa di sgradevole.
«Padrone, i miei sogni... prendi i miei sogni!» ansimò Talith, attirandolo nuovamente a sé.
 
“«Queste sono le ultime. Documenti freschi di stampa e lui…» Talith indica la foto d’ uno jaluk3 dall’aria spaesata, completamente nudo. «... lui è il vostro uomo. Ancilla l'ha rinchiuso nelle stanze inferiori. Attende solamente che lo visitiate.»
«Un ottimo lavoro. Sei preziosa, lo ammetto. Dubitavo del tuo effettivo valore ma… sono stupito.» dice Kay'den con tono suadente, allungando una mano per prendere quella di Talith, poggiata sulla scrivania a poca distanza da lui. Lei accetta il gesto con la medesima indifferenza con cui si libera dalla stretta dell'incubo, muovendo verso la porta.
 «Quando ti fiderai abbastanza da lasciarmi accedere ai livelli inferiori? Sono la tua informatrice, dopotutto.» mormora, volgendosi indietro solamente col viso.
«Vuoi le chiavi? Mostrami che sei in grado di portarmi dei...»

«Del cibo?»
«Bella e perspicace.» le sussurra Kay’den, lanciandole un’occhiata lasciva.
Lascia che possa muovermi indisturbata... lasciami carpire ogni segreto, ogni passaggio, ogni ombra. Lasciati distruggere, Kay'den.

 
«Padrone ti prego, rendimi simile a te. Non fermarti proprio ora, ti prego. Padrone, ti prego!» sibilò Talith, attirando Kay'den ancora più a sé, serrandogli la nuca con le mani.
 
“Talith chiude il coperchio del raccoglitore, sigillando le foto oltre quello schermo di legno. La camera oscura è sua proprietà quasi esclusiva: è lì che la sua Arte le permette di guadagnarsi la fiducia di Kay'den, dunque perché non nascondere il frutto della sua ricerca dove nessuno l'avrebbe rintracciato?
Gli archivi sono immensi, file di scaffali polverosi entro i quali qualunque cosa, anche la più insolita, sarebbe scomparsa, perdendosi nell'anonimato di tanti e tanti oggetti non dissimili: qui, lei ha tre cartelle stipate a forza in mezzo alle altre, anonime quanto basta perché nessuno le noti.

Talith raccoglie materiale per il suo articolo: è l'unica arma che ha, l'unico talento sul quale può fare ancora affidamento; un giorno tutta la segretezza di Kay'den sarebbe caduta e i cadaveri, gli omicidi e le sparizioni gli sarebbero state attribuite. Ha dovuto cedere a lui, permettergli di avvicinarsi, lasciarsi sedurre, ma ne è valsa la pena. Prima o poi consegnerà quella mappa all'esercito. Prima o poi...”
 
Kay'den tentò di divincolarsi, in bocca il sapore amaro delle rivelazione che gli affollavano le fauci.
Quei sogni... sgradevoli, terribili sogni...
 
La sua debolezza è l'orgoglio.
Pensa Talith, liberandosi con uno strattone deciso dalla presa che Kay'den serra sui suoi fianchi.
Crede di poter avere chiunque, crede di essere invincibile… ma le lusinghe gli fanno abbassare la guardia. Qualche vezzo, l'impressione che la vittoria non possa sfuggirgli ed eccolo, scosta lo sguardo con scherno!
La mezz'elfa si allontana di un passo ed abbassa gli occhi, distogliendoli da Kay'den mentre un rossore improvviso le colora il volto.
E forse è così. Forse nessuno può resistergli. Io non posso, ma non mi interessa. Ho quasi finito. Mi manca solo una cosa... un'ultima foto, poi potrà prendersi tutto. Un'ultima foto e poi cederò... perché nessuno resiste per sempre, ma non è questo ciò di cui ho bisogno. Fargli abbassare la guardia, questo si! Farlo fidare, concedergli il premio che desidera. E poi... poi l'oblio.
Uscendo dalla stanza Talith si premura di lanciare un sorriso distratto a Kay'den.”

 
«Padrone...» ansimò Talith, i muscoli delle braccia tesi allo stremo nello sforzo di limitare la figa di Kay’den.
 
“«Scolpirci nella storia.» dice Talith con un sorriso stanco, allungando la mano a prendere quella di Siryo. «Rientriamo. Gaster avrà ormai tutto pronto e io ho una cosa da fare. Voglio che lo veda... che sappia! Se devo morire, voglio farlo vedendo il terrore invadere quella faccia sempre composta. Voglio che sia il mio ultimo ricordo.»
Tre ore e cinquantanove minuti…

 
«Lasciami!» urlò Kay'den, stringendo i denti e dando uno strattone forte con la schiena a danno delle braccia serrate di Talith.
Non funzionò. Le loro coscienze erano legate dalla voracità dell'appetito di Kay'den, spintosi così a fondo da rendergli impossibile l'allontanamento prima della conclusione. Talith lo sapeva: aveva visto la sua génia nutrirsi un'infinità di volte, ne aveva osservato il comportamento e lo slancio ponderando infine la sua decisione.
Sacrificio. Il pensiero scorse fulmineo nella coscienza di entrambi. Oh, com'è dolce la tua paura, Kay'den...riesci a sentire la mia gioia?
Ho vinto!

 
“Un secondo.”

 
Talith sorrideva ancora quando il pasto finì: continuò a farlo anche dopo che Kay'den, al colmo dell'ira e della disperazione, l'ebbe colpita con un forte manrovescio, l'unico modo per sfogare un'ira che poteva essere solo diretta verso l'Incubo stesso, ora ospite della coscienza di Talith.
Passi troppo vicini echeggiavano dal soffitto, rumori di troppe scarpe chiodate, sibili di frecce e proiettili e spade, tonfi di corpi che cadevano, urla.
Talith si guardava intorno e sorrideva in maniera così disarmante ed innocente da stonare con la brace che s'era accesa dentro i suoi occhi.
Presto avrebbe avuto fame e allora, chissà, Kay'den le avrebbe donato qualcuno dei suoi sogni: ne aveva così tanti!
Non soffrirai la fame, mia bella ragazzina pensò Kay'den, cadendo sul letto con un tonfo lieve. Allungò le braccia pallide e cinse a sé Talith, stringendosela al petto con dolcezza. Ora tu sei mia. 


  

FINE
 


3 Maschio appartenente alla razza drow.

Piccolo spazio-me: Ok, innanzitutto ringrazio chi è riuscito a seguire questo mio esperimento fino alla fine. Sono felice di essere tornata finalmente al fantasy – mi piace considerarlo il mio genere, anche se non ne scrivo molto.
Non avevo mai steso qualcosa di così vicino all’essere sensuale e violento insieme: il mio scopo non era in ogni caso quello di superare il rating arancione, sebbene credo che il giallo sia quello che ho ottenuto. .
Per il resto… spero vi sia piaciuta. L’ho scritta in una notte quindi, se non dovesse essere chiara, provvederò a spiegare/modificare una volta pubblicata ;)
Il cambio di tempo è voluto: doveva dare l'impressione di un flusso di ricordi che vengono rivissuti, e scorrono come un film, nel momento in cui Kayden ( <3 ) li ruba. Spero si capisca :S
Mi raccomando, fatemi sapere cosa ve ne pare!
Baci ;)

L'immagine orginale la trovate QUI

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