Breve storia di una Quercia

di a bard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Autunno ***
Capitolo 2: *** Inverno ***
Capitolo 3: *** Ancora freddo e un nome ***
Capitolo 4: *** Primavera ***
Capitolo 5: *** Estate ***



Capitolo 1
*** Autunno ***


Era un pomeriggio di fine estate, il Sole, alto nel cielo illuminava caldamente i rami di un faggio e di tutta la foresta. Ma su quel faggio festeggiava un pettirosso, e sotto quel faggio, moriva una donna, Ma moriva felice, perchè la gioia e la speranza erano cresciute in lei, e adesso cominciavano a vivere in quel bambino che nacque davanti allo sguardo commosso di quella foresta.
Tra gli alberi, la Quercia lo allevò in quella che fu la casa di suo padre -morto di una terribile malattia prima della sua nascita- e in quella casa crebbe. Divenne un bel giovane, dai riccioli d'oro,  spensierato e pieno di amici: amava giocare con gli alberi della foresta, che ormai si confondeva con il giardino di casa sua. La Qurcia gli insegnava le arti e le scienze, gli raccontava le storie degli dei, degli eroi e dei grandi amori, ma le storie che il ragazzo preferiva erano quelle su suo padre, che solo la Quercia conosceva. E in fondo era l'unico che la Quercia conosceva, quindi diede al ragazzo, fin da quando era bambino, il suo nome: lo chiamava Autunno.
L'Abete, il Pino, il Larice, i Frassino molti altri crebbero con lui e furono per lui uno dei tesori più grandi che possano risplendere nella vita di un uomo. Ma come un albero, da lui tanto amati, l'amicizia era per lui le belle fronde e le foglie verdissime, ma quando ottobre prese la sua parte nel gran ballo dei mesi, le foglie cominciarono a ingiallire e a cadere morbidamente per terra. E su queste foglie un bel giorno il giovane vide seduta una donna bellissima. Fu amore a prima vista, e se l'amicizia per lui era come foglie, quell'amore cresceva sempre più, profondo in lui come lo erano gli occhi di lei, come lo erano le radici degli alberi. Passavano i giorni, i suoi amici ingiallivano e perdevano le loro foglie, lui splendeva ancora della sua gioia, ma passando il tempo, sentiva che doveva dirglielo, come quel bisogno di far uscire i fiori. Ma non poteva far nascere i suoi fiori quel giorno di novembre, in cui si dichiarò a quella meravigliosa fanciulla. Il vento fi fece più gelido, voleva proteggerlo dal più dolce e doloroso "no" che avesse mai sentito.



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Cercherò di pubblicare gli altri capitoli il prima possibile
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Dedicato alla quercia che mi ha raccontato questa storia e alla donna di cui l'Autunno si innamorò

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Capitolo 2
*** Inverno ***


Non esistono solo il bianco o solo il nero, altrimenti non ci sarebbe alcuna differenza tra bianco e nero. Così era però la vita del giovane non corrisposto da quell'ultimo giorno in cui vide il Sole. Si chiuse in quella casa sempre più grigia, e chiuse il mondo intero fuori, sempre più innevato e bianco. Ma bianco e nero erano uguali per lui, che da giorni -o forse mesi, anni, secoli- non aveva che una finestra in quella casa, e dopo ancora un po', neanche quella. La sua tristezza non diminuiva, anzi, in quell'amarezza trovava un'illusione di dolcezza, quasi gli piaceva stare così. L'ultimo barlume di speranza si spense soffocato da se stesso, quando, resosi conto del fatto che si stava lentamente uccidendo, decise che vivere e morire non erano più neanche importanti, che si sarebbe rassegnato, e che con lo stesso dolore profondo avrebbe accettata l'una o l'altra, quando e se si fossero mai presentate alla sua porta. Ma qualche colpo alla sua porta lo sentì: ogni tanto, qualche amico lo andava a trovare per provare a tirarlo su. Man mano che il tempo passava, a quella porta si recitava un orribile spettacolo: gli alberi sempre più martoriati dal freddo e da un freddo ancora più gelido, quello che un tempo conoscevano, scavato nell'anima e nelle rughe, il loro amico. Qualcuno di loro morì, e nelle ultime volontà dissero di voler bruciare nel camino di quell'uomo, che non sentiva più di avere un nome. Vivendo da solo in una casa di certo troppo grande non sentiva chiamare il suo nome; eppure sentiva il bisogno di averne uno, era la prova che qualcosa bruciava ancora in casa sua, e scaldava, almeno un po', e se non era un camino, se non era neanche un po' d'amore per se stesso, era l'amore per quella donna, che non vedeva da moltissimo tempo, e che non era cambiato: pensava sempre a lei, e in un giorno di gennaio, pensò non solo a lei, ma a loro due, se almeno un giorno fossero stati insieme, magari stretti nello stesso abbraccio.
Quel giorno smise di nevicare, e il Sole venne a fargli visita alla finestra.




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scritto alle 3 del mattino, sono riuscito a dimenticare un passaggio fondamentale
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A chi aspetta

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Capitolo 3
*** Ancora freddo e un nome ***


La bianca neve fu complice a un evento decisamente inaspettato. Quant'era bianca la neve, bianco bianco bianco e nient'altro... o quasi: se ne accorse quel bambino, che giocando vicino a un bosco vide in lontananza uno stranissimo puntino nero. No, non era nero, si accorse che era invece marrone scuro, e aveva una palla, anzi, no, un pomello in un angolino. Quando diciamo qualcosa senza pensare, rischiamo di offendere qualcuno, o di dire qualcosa di brutto; se invece agiamo senza pensare nessuno può dire quello che succederà. È così in fondo che accadono i miracoli, e forse era proprio quello che stava succedendo, mentre il regazzino colpiva con molta curiosità quella porta, e con molta sopresa, si accorse che dietro quella porta, comparve un uomo. Poteva avere venti o trent'anni, ma aveva quel tipo di faccia, con quel tipo di capelli, con quel tipo di barba, di occhi e di occhiaie, l'espressione stanca, tipica di quelle persone che possono aver passato lo scorrere dei secoli, eppure sempre da addormentati, senza aver mai vissuto realmente un solo giorno. Ma nei suoi occhi marroni come tanti, eppure lucenti come pochi, in qualche modo erano troppo profondi per essere nuovi. Inutile dire che di tutto ciò il bambino non se ne accorse, o forse si, ma non gli importò per niente. "Hej, ciao, come ti chiami?" disse il bambino. L'uomo dall'altra parte della domanda aveva un nome, ci avrebbe giurato, ma qual'era? A chi chiederlo? "Certo che fa freddo" fu l'unica cosa che riuscì a rispondere in quel momento. "Si, ma anche se fa freddo ce l'avrai un nome..."
Si ripeteva le stesse esatte parole, come se il suo nome fosse nascosto lì dentro, era da molto che non lo sentiva, e che non aveva bisogno di sentirlo, o forse ne aveva avuti molti, che è come non averne nessuno. Il bambino quasi sconsolato se ne andò senza una risposta, ma l'uomo con cui parlò continuò a guardarlo sparire nel bianco, accarezzandosi la barba incolta. Ormai ne era certo, ricordava di chiamarsi come suo padre, e la certezza divenne cieca, fedele e fidele: qualunque sia stato il suo nome -e in fondo sapeva che non era quello, eppure che era proprio quello- decise di chiamarsi come quella mattina, come quella neve, come quel bambino sorridente dai capelli scuri e gli occhi neri, come quel freddo e come quel bianco. Come suo padre.
"Mi chiamo Inverno"



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Questo capitolo non rientrava nei miei piani, ho dovuto aggiustare qualcosa da quello precedente, che molto saggiamente ho scritto e trascritto alle 3 del mattino. Questo l'ho scritto tra l'1 e mezza e le 2 del mattino, credo sia andato meglio
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Dedicato alla neve, ad alcuni amici preziosi, alle radici degli alberi e alla più bella di tutte

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Capitolo 4
*** Primavera ***


La calda brezza e il tepore nel cuore dell'inverno, nel cuore di Inverno fu bellissima, ma era destinata a durare, come la candida neve, eterna, almeno un giono non si scioglierà. Per il resto faceva freddo, molto freddo, troppo. Qualcuno ne morì, lui no. Ma il dolore dell'anima era già una malattia, che si nutriva di se stessa e si gonfiava, e si muoveva; pulsava nelle sue vene insieme al sangue, e passava dal cuore, e da li lo avvelenava nel corpo come nell'anima. Ma la pate più terribile era passata da tempo ormai, almeno per lui. Molto lontano da lui, eppure non abbastanza arrivò la notizia anche alla pià bella, la figlia del Sole. Lei cominciò a sentirsi male, dopo aver parlato con un vecchio amico di lui e il Faggio le disse tutto. Il dolore di lui, adesso quello di lei. E avrebbero sofferto ancora di più se fosse andata diversamente. Può sembrare difficile, e lo è, e fa anche molto male, entrambi inseguiti in se stessi da un senso di colpa, colpa che nessuno dei due aveva commesso. C'è chi questo non riesce a capirlo, chi non lo vuole capire, però in fondo non ce n'è bisogno di capire. La differenza tra un uomo e un dio sta tutta lì: saperlo. Ma se prima non fecero nulla di male, adesso uno dei due doveva fare ancora quacosa di buono. Lei sapeva cosa fare, così un bel giorno di fine marzo, la luce bussò alla porta di lui, ed era bella come lui la ricordava, e si chiamava Primavera. E furono giorni bellissimi, dal primo all'ultimo, e l'ultimo fu il più bello. Lei che non lo amava ebbe il cuore di di farsi amare da lui. Aprile entrò gioioso dala finestra e illuminava lei che si svegliava tra le braccia di lui, e lui che era felice, e che non si svegliò più.



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Può sembrare la fine della storia, ma non lo è...
Ed è anche il primo capitolo che scrivo nelle ore diurne :D
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Alla mia primavera e alla mia Primavera

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Capitolo 5
*** Estate ***


La storia di quell'uomo trovò il suo compimento quel una notte tra marzo e aprile. Ma non fu proprio una fine. Il Sole viaggiava nel cielo, sereno, ad amare tutti quelli sotto di lui, e la Terra riposava dolcemente, e faceva germogliare un nuovo colore: il verde, per chi si trovava sopra di lei. Verde e luce, era la cornice per la donna più bella, di cui qualcuno si innamorò. La bellezza dei suoi occhi profondi e limpidi faceva capire con un solo sguardo che la sua anima era ancora più bella, e quando quegli occhioni piangevano e diventavano rossi e gonfi, si vedeva la sua anima accasciarsi. Era Primavera, era bellissima, e per lei qualcuno rinunciò alla sua primavera, ai suoi alberi in fiore, ai suoi germogli. Era modesta e saggia, non voleva tutto questo e meritava molto di più. Chi aveva la grandissima fortuna di vederla sentiva nascere in se un po' di gioia, e cominciò anche lei a sentirsi nascere dentro qualcosa. Ed era la gioia, la speranza, che cominciò a scalciare quando i fiori divennero frutti, e il Sole era così caldo. Il Sole divenne molto caldo, come volesse salutare quel bambino che stava per nascere. Lei fece una cosa, che già qualche lui fece tempo prima. Neanche lei forse ne sapeva il motivo, ma ne sentiva il bisogno e lo fece. Prese in se tutta quella gioia, tutto quel caldo, tutta quella speranza e quella vita, e si chiamò Estate.
Era un pomeriggio di fine estate, il Sole, alto nel cielo illuminava caldamente i rami di un faggio e di tutta la foresta. E su quel faggio festeggiava un pettirosso, e sotto quel faggio, moriva una donna, ma moriva felice, perchè la gioia e la speranza che erano cresciute in lei adesso cominciavano a vivere in un bambino che nacque davanti allo sguardo commosso della foresta.





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Dedicata ad un vecchio amico ritrovato e ad alcuni nuovi, ad una nuova canzone, a se stessa, e a chi amo.

Fine

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