Equilibrium.

di Didi Sunshine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***



Capitolo 1
*** I. ***


Una ragazza dagli occhi troppo verdi

 

Every time I look in your eyes
Everyday I'm watching you die

(System of a Down – Kill Rock 'n' Roll)

 

Per Alice Watson quella domenica di aprile cominciò male sin dalla mattina. Non solo si era svegliata alle nove, anziché alle dieci come aveva sperato, per colpa di quelle stupide pettegole delle sue compagne di stanza, ma era stata costretta a sentire tutti di discorsi che avevano fatto.

-Penso che James Grade mi venga dietro. Non fa altro che seguirmi come un cane bastonato, sperando che io lo degni di qualche sguardo. Bé, non ha capito chi ha di fronte- disse il capo della banda delle oche, Michelle. -Ma forse, se proprio proprio non ho nessuno con cui divertirmi, penso che lo userò- continuò tra le risatine da strega dei cartoni animati delle sue amiche Maegan e Myranda. Avevano quattro anni in più di Alice e sessanta punti di quoziente intellettivo in meno. Sembravano tutte e tre perfettamente uguali, come se fossero state create da uno stampino predefinito in cui solo gli occhi differivano: capelli neri rigorosamente piastrati, vestiti scrupolosamente di marca provenienti dall'Italia (perché, si sa, l'Italia è il paese della moda) e occhi orribilmente e costantemente appesantiti da due chili e mezzo di trucco e matita, che faceva sembrare che fossero state prese a cazzotti. Se poi ci aggiungiamo le voce più insopportabili che vi potete immaginare, avete creato le classiche adolescenti nemiche della loro piccola e insignificante compagna di stanza quattordicenne.

Alice non le aveva prese in simpatia sia dal loro arrivo al Preston College di Greenwich, cinque anni prima. Figlie di famiglie ricche, assurdamente boriose e frivole, avevano un carattere incompatibile con la piccola bambina di undici anni che, nonostante la giovane età, ascoltava i System of a Down e portava un piccolo dilatatore all'orecchio sinistro. Perché Alice era sempre stata diversa dagli altri. Era sempre sembrata più grande della sua età, più sveglia, più sicura di sé, e di sicuro più intelligente di molti ragazzi più grandi di lei. Alice era cresciuta al Preston College. Sin da quando aveva poco più di un anno era stata portata lì e lì era rimasta, con una retta pagata da chissà chi. Nessun parente che venisse a prenderla o a dire: “Ehi, io sono tuo zio, non ti porterò con me, ma io esisto”. Certo, alcune insegnati avevano istinto materno, ma non era mai cresciuta tra le coccole di una tenera madre o con i giochi di un padre che la faceva divertire. Alice non sapeva come potesse essere un'infanzia del genere perché non l'aveva avuta, ma vedendo la maggior parte dei suoi compagni avrebbe tanto desiderato viverla. Invece guardando il trio delle oche, non poteva far altro che ritenersi fortunata per non essere cresciuta come loro.

Una risatina incredibilmente irritante la riscosse dai suoi pensieri. Myranda. Non era la più odiosa -quel titolo era di Michelle di gran lunga- ma quel verso che spacciava per un risata le dava alla testa.

-Oh sì Michelle. Quel tipo non ha capito niente di te. Sei fuori dalla sua portata, ma di sicuro saprai cosa fartene- le aveva risposto. A Alice dispiaceva per i ragazzi che si invaghivano di loro. Certo, non poteva biasimarli considerando che erano tutte e tre bellissime, ma sperava sempre che, guardando e imparando dalle esperienze degli altri, capissero che tipo di ragazze avevano di fronte.

-Assolutamente- aveva aggiunto Maegan subito dopo. Pendevano in tutto e per tutto dalle labbra di Michelle, che le usava come burattini e tirava i fili delle loro vite. Questo le faceva sembrare ancora più stupide: com'era possibile, si chiedeva Alice, che non si accorgessero di chi era Michelle?

-Ma sì, un po' di divertimento non fa mai male. Lo trascinerò dove vorrò e finché mi starà bene resterò con lui. Poi basta, gli dirò che è finita-.

Come d'abitudine ormai, si ritrovò a pensare Alice che, non riuscendo a riprendere sonno, era a occhi aperti stesa sul letto. Come al solito, le tre oche non si erano minimamente accorte che era sveglia. Non che a Alice importasse. I momenti più belli erano quando non la degnavano di uno sguardo.

-E invece volete sapere chi gli piace a Anthony?- aveva ripreso Michelle con il suo classico fare da gallina.

-Chi, il metallaro figo del secondo anno?- chiese curiosa Myranda. Alice non le vide gli occhi, ma di sicuro, se fossero state in un manga, erano a forma di stellina o di cuoricino. Nonostante Anthony fosse più piccolo di lei, Myranda aveva una bella cotta. Alice conosceva il ragazzo e sperò con tutto il cuore che non si fosse invaghito della sua compagna di stanza. Non solo perché era bello, con gli occhi verde smeraldo e i capelli neri carbone, il fisico scolpito da anni di nuoto e una passione per la chitarra, ma perché era troppo intelligente per potersi mettere con uno come lei.

-Ah ah, io non sarei così felice Myranda- le rispose subito Michelle, con il suo classico tatto. Myranda fece un gemito di tristezza. -No, è un'altra ragazza. Una che, in questo momento, sta dormicchiando felicemente nel suo letto, in questa stanza- aveva concluso.

Alice ci mise un po' a collegare quello che aveva scoperto e probabilmente anche Myranda e Maegan, ci dovevano aver pensato su perché non risposero subito. Anthony, un ragazzo che conosceva abbastanza, ma che era di una bellezza straordinaria, aveva una cotta per lei? No, impossibile. Non che le interessasse. Aveva quattordici anni e una vita davanti, era troppo presto per pensare ai fidanzati. Ma le sembrava tutto assurdo. Che Michelle si fosse accorta che era sveglia e che le avesse fatto uno scherzo? Sì, poteva essere. Michelle poteva far finta di essere ingenua, ma Alice sapeva che non lo era affatto, al contrario delle sue amiche. Sì, era la soluzione più credibile.

Perché Alice non era il classico tipo di ragazza che poteva piacere subito a qualcuno. Aveva i capelli di un biondo ramato che si faceva piano piano sempre più scuro, ricci e, alle volte, assurdamente fastidiosi. Molti le avevano detto che sembrava il colore della corteccia degli alberi che passava dal chiaro al nero più assurdo. Alice era contenta quando le facevano i complimenti, soprattutto di quel genere, perché le piaceva paragonarsi alla natura. Una ciocca di capelli era diventata un dread, cosa che aveva suscitato non poche polemiche alla scuola, e all'orecchio sinistro portava lo stesso dilatatore che aveva da bambina, mentre nel destro aveva un piccolo orecchino nero. Non aveva quello che si dice “un fisico da modella”. Alice non era grassa, ma non era la quintessenza della magrezza. Non si truccava quasi mai e quando lo faceva metteva solo un po' di fondotinta e del mascara per risaltare gli occhi. Già, gli occhi. Se c'erano cose che sia le ragazze che i ragazzi della scuola le invidiavano erano quei due pozzi smeraldini che si ritrovava in volto. A Alice piacevano tanto: erano grandi, di un verde così intenso che parevano essere due immensi prati sui quali si rispecchiavano tutte le immagini che la ragazza vedeva. A volte fin troppo. Alice era come un libro aperto per chiunque la guardasse in viso.

-Lei?!-. La voce squillante e stupita di Myranda la fece tornare alla realtà un'altra volta. Se Michelle le aveva voluto fare un scherzo, aveva sicuramente trovato il tasto dolente. Non che Alice avesse paura di loro, ma Myranda aveva dato prova più volte di, ecco, non sapersi controllare. E siccome era cintura nera di karate, inquietava abbastanza. -E come lo sai?- continuò con la voce mano a mano sempre più acuta.

-Pff, per favore Myranda, non dirmi che non te ne sei accorta. La fissa continuamente tra una lezione e un'altra, quando si vedono in corridoio. Devo ammettere che il ragazzo ha tutto sommato un buon gusto- rispose l'altra.

Alice era sicura che fosse uno scherzo. Michelle Hale, figlia di uno dei più ricchi miliardari del mondo che fa un complimento a lei, Alice Watson la piccola orfanella che ha sempre detestato sin da quando l'ha vista? Probabilmente aveva capito che era sveglia.

-Anche se è una bamboccia, se si vestisse un po' meglio sarebbe quasi carina. Quegli occhi che si ritrova fanno dimenticare quanto sia brutta in realtà- riprese con il suo classico tono da gallina.

Una smorfia contorse il volto rilassato di Alice. Ecco, adesso tutto era di nuovo normale, più o meno. Maegan però, non si sa come o con quale cervello, sentì un rumore provenire dal letto di Alice.

-Penso che si sia svegliata- disse con un tono stralunato, come se fosse una cosa strana che una persona si svegli la mattina se qualcuno le parla di fianco alle orecchie.

Alice chiuse gli occhi, ma era già troppo tardi. Si ritrovò con cinquanta chili in più sulla pancia quando Michelle le si sedette sopra. Le schiacciava i polmoni e a Alice mancò il respiro.

-Allora Watson, da quanto sei sveglia?- le chiese con un sorrisetto compiaciuto che le si allargò in volto. Alice girò appena lo sguardo: anche le altre due lo avevano. Come un stampino, pensò di nuovo Alice.

Lo schiaffo arrivò sonoro sulla guancia della ragazza. -Allora Watson, mi rispondi?-. Non era la prima volta che la picchiavano. Lo facevano spesso quando non sapeva cosa fare. Qualche schiaffetto sulla guancia per ricordarle che erano loro a comandare in quella stanza e, molte volte, in quella scuola.

-Abbastanza da sentire la storia di James e di Anthony- ripose Alice con voce smorzata dalla mancanza d'aria. Di solito rispondere a tono a loro tre non andava bene, ma Alice l'aveva sempre fatto. Non voleva assolutamente essere sottomessa da quel trio di galline con troppi soldi nelle tasche.

-Ah ah, allora ti sei accorta che c'è qualcuno di tanto stupido da prendersi una cotta per te- la rimbeccò subito Michelle. Maegan e Myranda risero in un modo che non poteva definirsi una risata e questo fece sghignazzare forte Alice.

-O di abbastanza intelligente da non prendersene una per te- concluse Alice con un sorriso a trentadue denti che le illuminava il volto. Sicuramente le tre ragazze non se l'aspettavano. Certo, Alice non era mai stata soggiogata dalle loro cattiverie, ma non aveva mai ribaltato i ruoli: lei era la piccola preda e loro i predatori.

Altre cinque dita rimasero stampate sulla faccia di Alice che però non riusciva a togliersi il sorriso dalla faccia. Vedere le sue compagne di stanza che deliravano per causa sua era una cosa troppo esilarante per lei.

-C-come osi, stupida ragazzina?- chiese rossa in volto per la rabbia Michelle sotto gli sguardi stupiti di Myranda e Maegan che stavano cercando, inutilmente, di trattenere una risata. Se non fosse stato per la paura di rompersi le unghie probabilmente Michelle avrebbe strangolato Alice senza pietà.

-Oso, oso eccome- continuò Alice con il fiato che le mancava sotto il peso della compagna. -Ora, se non ti dispiace, ti sarei grata se scendessi dalle mie costole. Non respiro-.

Michelle, tremante di rabbia, si scostò dalla pancia di Alice; poi si girò di scatto. -Provaci ancora a fare la furba e non sai cosa ti faccio- le aveva intimato.

La risata di Alice fu sonora. Non aveva mai riso così di gusto. Riuscì a stento a fermarsi per dire: -Oh, che paura che mi fai!-. Poi, barcollando dalle risate, si alzò e si diresse verso il bagno, asciugandosi le lacrime col dorso della mano. L'ultima cosa che sentì prima di chiudersi la porta del bagno alle spalle fu: - Questa me la paghi, stanne certa!-.

Alice non seppe dire quanto era rimasta in bagno. Dopo essersi calmata, si ritrovò appoggiata al muro con le lacrime agli occhi. Si rialzò a fatica da terra e si mise a posto. Quando uscì dal bagno le tre oche giulive erano già andate via, così lei ebbe tutto il tempo di vestirsi con calma. Siccome alle undici ci sarebbe stata la Messa, indossò una camicia bianca con sotto una canottiera nera e un semplice paio di jeans blu. Ai piedi non potevano non esserci le sue Vans nere. Si guardò allo specchio. Doveva andare a Messa ma si mise ugualmente un po' di mascara; non troppo, per non sembrare volgare. Poi passò ai capelli: ribelli, come sempre. Cominciò a pettinarli, anche se sapeva che aveva ben poche speranze di poterli mettere come voleva lei. Dopo aver capito che non ce l'avrebbe mai fatta, di legò le due ciocche di capelli a casaccio che aveva dietro alla testa. Poi si rispecchiò.

Le camicie le metteva poco e i capelli di solito erano sempre sciolti. Forse aveva trovato un compromesso; perché, effettivamente, vestita e pettinata così, era bella. Alice sbuffò: non era tipo da vestirsi in quel modo tutti i giorni. Le camicie non erano fatte per lei.

In quel momento si aprì la porta del dormitorio. Alice, pensando fosse il trio delle oche, si preparò mentalmente alle offese che avrebbe ricevuto di lì a subito, perché dopo quello che aveva combinato era più che normale che si vendicassero. Quando però non sentì né passi che si avvicinavano né voci squillanti, Alice si girò di scatto.

Anthony Harris era fermo sulla soglia di camera sua e la fissava. Aveva i capelli poco ingellati, giusto quel che gli serviva per tenerli come piacevano a lui. Indossava anche lui un camicia bianca con sotto una maglia nera e un paio di jeans. Sembrava si fossero messi d'accordo. Per far passare quel momento di imbarazzo, Anthony ruppe il silenzio portandosi una mano tra i capelli.

-Scusa il disturbo. Ero venuto a vedere se c'era qualcuno rimasto in camera perché la Messa inizierà tra cinque minuti- disse fissando il pavimento.

Se Alice pensava fino a poco prima che la cotta che Anthony aveva per lei fosse un scherzo, adesso di sicuro aveva cambiato idea. Anthony era in palese imbarazzo. Com'era possibile che non se ne fosse accorta prima? Beh, ad ogni modo, a lei non piaceva, o meglio, era troppo piccola, quindi doveva fargli capire che si doveva comunque comportare tranquillamente con lei. Guardò la sveglia che aveva sul comodino: le undici meno cinque. Cavolo, quanto diamine di tempo ci aveva messo per prepararsi?

-Erm, grazie Anthony, davvero- disse Alice mentre si avvicinava al ragazzo. -Che ne dici, andiamo giù insieme?- continuò stampandosi un sorriso in faccia. Non c'era il motivo di essere imbarazzati. Alice voleva bene a quel ragazzo ed era probabilmente colui che si avvicinava di più al significato della parola amico.

Lui annuì e sul suo volto comparve un sorriso a trentadue denti. Alice chiuse la porta della camera e si incamminò verso la chiesa del college con Anthony, che le stava di fianco, ma a debita distanza.

-Allora Anthony...come va?-. Alice cercava di tenere in piedi una conversazione, auto convincendosi che non c'era niente di imbarazzante o sbagliato. Cosa molto difficile considerando che il ragazzo che era accanto a lei era rosso come un peperone.

-Tutto ok, grazie. Te? Con la scuola?-. La sua risposta, a dispetto di come era il colorito del suo viso, fu molto sicura.

-Io preferirei avere delle compagne di stanza con qualche punto in più di quoziente intellettivo ma mi devo accontentare-. Il ragazzo sorrise. Era davvero carino.-Per quanto riguarda la scuola, bé direi che è un bijou- continuò Alice con una naturalezza presa da chissà dove. Aveva già parlato con Anthony, ma mai da sola.

-Strano, ho saputo che hai diversi problemi con i professori- ribatté lui dolcemente. Come faceva a saperlo?

-Sì, hai ragione. Bhè, dei voti non mi posso lamentare, ma il fatto di non avere genitori non mi aiuta. Nessuno cerca di difendermi. Mentre tutti i miei compagni di classe continuano a spaventare i professori dicendo frasi tipo “Se lo sapesse mio padre, la licenzierebbe” o “Se continua così la farò cacciare dalla scuola”. Di me i professori non hanno paura, tanto sanno che non gli potrei fare comunque niente-. Alice si stupì di se stessa. Aveva parlato tutto d'un fiato. D'improvviso si sentì leggera. Non aveva mai detto a nessuno di come si sentiva a lezione e sicuramente questa sua improvvisa confessione l'aveva rincuorata. Era da troppo che desiderava parlarne con qualcuno.

Anthony, che non si aspettava una reazione del genere, rise, questa volta amaramente, e prese la mano dalla ragazza, stringendogliela impercettibilmente. Subito dopo la lasciò.

Erano arrivati al portone della chiesetta. Era un edificio più vecchio rispetto alla scuola, che era stato costruito in periodo anteguerra. Aveva le pareti color bianco sporco, sulle quali si aprivano una ventina di finestre decorate. Lo stile era chiaramente gotico, con ampie vetrate per far filtrare la luce. Dentro l'edificio, i ragazzi stavano seduti su delle panche di legno, anch'esse vecchie. La chiesa era in enorme contrasto con la scuola che aveva alle spalle, nuovissima e dotata di qualsiasi comodità. Alice conosceva il motivo di tanta trascuratezza: tutti gli studenti della scuola erano cristiani, ma il preside non era credente. Di conseguenza non gli importava niente dello stato del piccolo edifico bianco.

-Bhè Anthony, io vado a sedermi vicino alle mie compagne di stanza- disse Alice guardandolo negli occhi. Non voleva far capire che era imbarazzata per quello che era successo.

-O-ok, certo. Ci vediamo dopo-. Anthony entrò nella chiesa con il volto in fiamme e tenendo gli occhi puntati al pavimento.

Al Preston College, durante le cerimonie religiose, ci si siede vicino ai compagni di stanza. Alice quindi era costretta a passare più tempo vicino a quello oche. Fortunatamente però, Myranda, che delle tre era la più credente, durante la messa se ne stava zitta ed ascoltava con attenzione quello che il prete diceva. Alice, che credeva ciecamente, la ringraziava mentalmente ogni volta perché faceva tacere le sue amiche.

Durante quella Messa, il prete aveva letto il Vangelo sui talenti. Talenti che andavano messi in pratica, per aiutare sé stessi e gli altri. Talenti che Alice non pensava di avere. In fondo, che cosa aveva lei di talentuoso? Non era un asso negli sport, non era un genio a scuola. Alice ancora non sapeva quale talento nascosto possedeva.

Dopo la Messa tutti gli studenti del Preston College si avviarono verso la sala mensa. Era una stanza immensa, nella quale erano stati disposti uno accanto all'altro cinque tavoli enormi, ricoperti da una tovaglia candida. La tavola era imbandita di ogni ben di Dio e di sicuro gli studenti non potevano lamentarsi del cibo: quel giorno, a pranzo, c'era un piatto tipico italiano, la carbonara. Alice corse verso il suo posto con i suoi compagni di corso del primo anno e si fiondò sul piatto di spaghetti che aveva davanti agli occhi. Aspettò che tutti si sedessero al tavolo e, dopo aver fatto la preghiera, cominciò a mangiare. Era il suo piatto preferito. Peccato che lo facessero solo una volta ogni tre mesi. La mensa era la parte della scuola più nuova, ristrutturata poco dopo l'apertura del college perché era a enorme rischio frana. Anche qui, le vetrate facevano filtrare enormi quantità di luce, creando giochi di colore che avevano affascinato Alice sin da quando era bambina. Ancora adesso, dopo tanti anni dalla prima volta che era entrata in quella sala, non riusciva a non incantarsi. Fu probabilmente il suo sguardo perso nel vuoto che diede a Michelle un'idea per vendicarsi.

Nel frattempo Anthony, che se ne stava seduto al suo posto con gli alunni del secondo anno, non smetteva di fissare Alice con insistenza. Da quando quella mattina ci aveva parlato a quattrocchi aveva visto in lei qualcosa di diverso. Era stata così sincera, schietta e nei suoi occhi aveva visto una luce fin troppo strana. Non riusciva a capire cosa fosse, ma era sicuro che fosse comparsa quando aveva cominciato a parlare dei genitori che non aveva mai conosciuto.

Fu proprio mentre la guardava che la ragazza fu colpita in pieno da un pugno di spaghetti, che caddero rovinosamente sul suo vestito. Anthony alzò lo sguardo per vedere chi li aveva lanciati e non fu l'unico a notare una ragazza più grande di lui con i capelli piastrati seguita da due ragazze che sghignazzavano allontanarsi dalla sala. Michelle.

Anthony si alzò e si avvicinò a Alice che stava cercando di pulirsi il vestito ignorando le risate generali. Il ragazzo le guardò il volto. Non piangeva, non piangeva mai. Almeno non quando sapeva di essere osservata. Il volto era paonazzo ma non dava segni di debolezza. Anthony si inginocchiò accanto a lei e la aiutò a pulirsi.

-Tutto ok? Posso darti una mano?- le chiese con la sua classica gentilezza. Prese un altro tovagliolo e cominciò a togliere l'uovo dalle sue braccia.

Alice non fece in tempo a rispondere. La porta della sala da pranzo si aprì e entrarono Michelle e le sue amiche con il preside.

-Eccola signor preside. Ha cercato di lanciarmi addosso il cibo ma non ci è riuscita- strillò Michelle. Anthony dovette ammetterlo: era un'attrice provetta.

-Signorina Watson le sembra un comportamento adeguato?!- ruggì il preside rosso in volto come un peperone. Le puntava il dito contro: come era possibile, si chiese Anthony, che non vedesse che la storia di Michelle non poteva stare in piedi? Poi gli ritornarono in mente le parole di Alice di quella mattina: “Di me i professori non hanno paura, tanto sanno che non gli potrei fare comunque niente”. È un'ingiustizia.

-Siccome si diverte a giocare col cibo signorina Watson, martedì prossimo, mentre i suoi compagni saranno in gita, lei starà qui al collegio e farà doppio turno in cucina- finì il preside con un tono che non ammetteva repliche. Si girò di spalle e cominciò a camminare in direzione del suo ufficio, con il trio di Michelle che lo seguiva.

Anthony, tra lo stupore generale, cinse le spalle di Alice con un braccio e la trascinò fuori dalla porta, in direzione della sua camera da letto. Solo quando furono entrati Alice si permise di piangere. Pianse per un tempo imprecisato appoggiata sulla spalla di Anthony che lasciò che si sfogasse.

Poi, quando le finirono le lacrime, Alice alzò lo sguardo fissando Anthony negli occhi. E il ragazzo capì che cosa aveva: ogni volta che la guardava negli occhi, ogni giorno la vedeva morire.









Angolo autrice^^

Eccoci qua! Era da tanto che volevo pubblicare questa storia (a dire il vero l'avevo già pubblicata in precedenza), ma spero che l'ispirazione questa volta rimanga fino alla fine^^ Tutti i capitoli inizieranno con una frase di una canzone dei System of a Down (ti piacciono i SOAD Diletta? Non si vede u.u)

Pregherei tutti voi di dirmi se c'è qualcosa che non va! Siccome questa storia l'avevo già scritta ma ho voluto cambiare l'ètà di alcuni personaggi, scusatemi se ci sono delle incongruenze! Grazie a tutti quelli che leggeranno questa storia ^^











 

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Capitolo 2
*** II. ***


 

 

 

 

 

 

La signorina Smith

 

If you point your question,

The fog will surely chew you up

(System of a Down – Suggestion)

 

 

Quando Alice si era risvegliata era ormai pomeriggio inoltrato e la luce del tramonto stava colpendo il suo volto attraverso le serrande delle finestre dandole fastidio. Era stesa sul suo letto e non aveva minimamente voglia di alzarsi. Quello che era successo poche ore prima le cadde addosso come un macigno: non aveva fatto assolutamente niente, (come quasi ogni volta che veniva incolpata di qualcosa), ma avrebbe dovuto fare il doppio turno in cucina. Per colpa di quelle cretine delle sue compagne di stanza. E di quell'idiota del preside Lewis, non dimentichiamoci. Ma la cosa che la scocciava di più era che avrebbe dovuto saltare la gita; e non una gita qualunque. Quella all'osservatorio di Greenwich, uno dei più grandi al mondo. Alice aveva sempre avuto sin da piccola una passione per le stelle. Sapeva riconoscere nel cielo tantissime costellazioni come le Orse, Cassiopea, il Cigno, il Dragone e, anche se dall'inquinata città di Londra non si vedevano bene, era disposta ad andare a fare le camminate in montagna che ogni tanto il collegio organizzava pur di poterle osservare. La sua parte di camera era ricoperta di poster riguardanti ogni qualsivoglia argomento riguardasse l'astronomia, (oltre ad alcuni poster dei System of a Down), e la sua biblioteca personale comprendeva una ventina di libri sulla mitologia greca che racconta come le stelle fossero finite in cielo. Oltre a ovviamente i libri fantasy. Alice adorava leggere, immaginare e raccontare storie a se stessa prima di andare a dormire. Ogni volta che aveva un romanzo sotto mano si sentiva protetta in qualche modo: era nel suo mondo, dove niente poteva distrarla o farle del male.

Alice sbuffò. Non poteva sopportare di perdersi quella gita cavolo!

-Alice, sei sveglia?-. Una voce la fece trasalire. Si girò di scatto. Anthony la stava fissando, gli occhi smeraldini che la guardavano da poco sopra il letto. Era seduto per terra, con i capelli scarmigliati.

-An..Anthony, che ci fai qui?- chiese con voce meravigliata. Si ricordava che erano andati in camera insieme ma non si aspettava che stesse con lei tutto il pomeriggio. Bhè forse era andata a vedere se si era svegliata.

-Ermm, da dove comincio- disse il ragazzo mettendosi una mano tra i capelli. -Ti ho accompagnato qui dopo...bhè dopo quello che è successo-. Alice gli fu grata che cercasse di non ricordarle la sua giornata. -Poi ti sei sfogata, hai pianto molto. Quando ha finito ti sei addormentata poco dopo sulla mia spalla e ho pensato di appoggiarti sul letto per farti stare un po' meglio, spero di non avere sbagliato- continuò abbassando lo sguardo. Non riusciva più a reggere quello di Alice, che lo fissava accigliato.

-E...e sei rimasto qui tutto il tempo?- chiese la ragazza con un certo imbarazzo.

-Sì, spero di non averti fatto un dispiacere....-. Anthony non finì mai quella frase perché fu travolto da una cascata di capelli marroni. Alice si avvinghiò a lui stringendolo in un abbraccio. Il ragazzo, dapprima stupito, piano piano la strinse a sua volta accarezzandole i capelli.

-Grazie- la sentì dire mentre era con la testa appoggiata alla sua spalla. Dopo qualche secondo la ragazza si scansò da Anthony. Non era rossa in volto, ma rideva con un certo imbarazzo.

-M-ma cosa hai fatto per tutto questo tempo qui?- gli chiese incuriosita. Da quello che poteva vedere e capire, era rimasta addormentata dall'ora di pranzo fino al tramonto. Circa sei ore quindi.

-Spero che tu non ti offenda, ma ho visto in quello scaffale che hai molti libri sulla botanica. Sai, mi è sempre piaciuta e pensavo di avere tante cose riguardanti questo argomento. Ma guardando te e la tua collezione, mi sono convinto che ho sbagliato-. Sorrise. Aveva un sorriso bellissimo.

Un'altra passione di Alice erano le piante. Sapeva riconoscerne diverso tipi, da quelle rampicanti a quelle come le querce secolari, ma quello che davvero la incuriosiva di più erano i funghi. Ogni volta che la sua classe andava a fare le camminate in montagna veniva tempestata di domande su ogni fungo che i suoi compagni vedevano a terra.

-Ah, e quindi ti interessano le piante è?- domandò Alice guardandolo stupita.

-Già e mi piacerebbe dire che so più cose di te. Mio padre è un erborista-.

-Eh, ma allora hai un vantaggio ingiusto cavoli!- disse sbuffando Alice incrociano le braccia e mettendo su il broncio.

-Sì, ma la mia è tutta intelligenza- ribatté Anthony sorridendo ancora.

-Modesto il ragazzo è?-.

-No, solo sincero- rispose Anthony alzando le spalle.

Alice scoppiò a ridere e prese un cuscino. Si scaraventò sul ragazzo che cadde rovinosamente a terra sghignazzando. Alice gli buttò il cuscino sulla faccia.

-Ritira quello che hai detto e ti lascio respirare-. Alice sentiva Anthony far finta di soffocare sotto il suo peso, ma le sue risate le facevano capire che stava solo scherzando.

-Chiedo venia, o saggia Regina della Terra. Lascia respirare questo tuo umile servitore- disse Anthony mentre con una mano all'aria reclamava aria. Alice lo lasciò andare ma gli fece segno di alzarsi.

-Bene, e adesso inchinati. Non dimentichiamo le buone maniere su!-.

Anthony si prostrò dinanzi alla ragazza e le prese la mano; poi gentilmente gliela baciò. -È sempre un onore servirvi mia regina- disse tra le risa della ragazza.

Il fato volle però, che quel giorno non fosse il fortunato di Alice. Proprio mentre il ragazzo le stava baciando la mano, la porta si spalancò. E chi poteva entrare se non le tre oche? Stavano tutte e tre parlando amabilmente l'una con l'altra quando si accorsero di chi e di che cosa stava succedendo in camera loro.

Le reazioni furono molteplici e diverse: Michelle sgranò gli occhi in una maniera tale che Alice si stupì che non le fossero usciti dalle orbite; Myranda aveva connesso dopo un po' quello che stava osservando ma il suo sguardo era carico d'odio e la mano stretta pugno lo confermava; Maegan si limitò a esibire il suo classico viso da “non ho capito niente” che faceva vedere ventiquattro ore al giorno. Anthony invece si limitò a staccarsi da Alice, mentre quest'ultima sbuffava pensando che quel giorno non gliene capitava una giusta.

-Sarà meglio che vada Alice- le disse il ragazzo mentre si allontanava. -Ci vediamo a cena- continuò esibendo uno dei suoi sorrisi.

-Certo Anthony. E grazie- rispose Alice mentre lo salutava timidamente con la mano. Non appena lui fu uscito dalla stanza, Alice si alzò e prese a mettere a posto il letto che aveva disfatto quando si era addormentata. Stava ormai per appoggiare il cuscino sul materasso quando sentì la voce di Michelle. Alice si stupì di aver dovuto aspettare tanto per essere messa a ferro e fuoco.

-Cosa ci faceva lui qui dentro Watson?- chiese con una punta di rabbia nella voce. Le aveva puntato il dito contro come se la avesse colta con le mani nel sacco a fare qualcosa di illegale.

-E che problema c'è scusa? Fino a prova contraria, questa è anche camera mia-. Alice rispose guardandola in faccia e senza un minimo segno di spavento nella voce. Dopotutto, che aveva fatto di male?

-Lo sai che è vietato fare entrare i ragazzi nei dormitori femminili- rispose con un ghigno malvagio sulla faccia che presagiva un “dopo lo andrò a dire al preside”.

-Oh, bhè, che detto da te che se ne fa uno a sera dovrebbe spaventarmi. Da che pulpito vien la predica, Michelle- rispose sghignazzando Alice. Pensava davvero che l'avrebbe avuta vinta così? -E poi, diamine ho quattordici anni! Non è che puoi pensare tanto male, ragazza!-. Alice si porto una ciocca dietro l'orecchio e riprese a sistemare la sua parte di stanza.

-Sta di fatto che ti ho visto Watson e non la pagherai liscia-.

-Sta di fatto che io ho un testimone che può provare che noi non stavamo facendo niente di sbagliato e che può confermare che ho dormito tutto il pomeriggio, Johnson-. Se Alice cominciava a usare il cognome di Michelle allora voleva dire che si stava arrabbiando. Perché non la lasciavano semplicemente in pace?

-Ora, se non ti dispiace, dato che per colpa del tuo scherzetto mi sono sporcata di uova- Alice fece segno con la mano dove la carbonara le era caduta, colorandole di giallo la camicia -gradirei andarmi a lavare. E vorrei che al mio ritorno tutto fosse esattamente come l'ho lasciato in questa stanza-. Il trio delle oche aveva infatti l'abitudine di spostare le cose di Alice nella camera sperando che non le trovasse più.

Alice lasciò le sue compagne nella camera da letto con la rabbia ancora da sbollire ed entrò nel bagno. La prima cosa che fece fu guardarsi allo specchio: nonostante il pianto il trucco non aveva sbavato perché probabilmente e fortunatamente ne aveva messo davvero poco. Sorrise all'idea del trucco sbavato: aveva rischiato di diventare un clown davanti a Anthony!

Dopo essersi svestita, entrò nella vasca da bagno. Si immerse fino alla bocca come faceva di solito. Stare nell'acqua calda la rilassava talmente tanto che quando usciva di solito si addormentava pochi minuti dopo. Alice si ritrovò a pensare quella non era proprio la sua giornata: si era beccata un doppio turno in cucina, avrebbe saltato la gita e le sue compagne di stanza l'avevano vista in compagnia di un ragazzo in camera. E non un ragazzo qualunque. Anthony Harris colui per cui Myranda aveva una cotta da non sottovalutare. Si sarebbero vendicate, di questo ne era sicura. Ma non pote fa altro che ridere al ricordo della rabbia che si leggeva palesemente negli occhi marroni di Michelle e in quelli azzurri di Myranda. Era tutto così paradossale!

Dopo quello che a Alice sembrava più di una ventina di minuti, la ragazza si decise di uscire dalla vasca. Doveva essere parecchio stressata considerando che il tempo che stava immersa era direttamente proporzionale a quanto pesante era stata la giornata. Si asciugò in fretta e si vestì. Poi si guardò allo specchio: il verde le stava bene, sicuramente. Aveva indossato una maglia abbastanza larga dalla quale le usciva una spalla e dei pantaloni stretti di un verde un po' più chiaro che si intonavano con le scarpe. Vans chiaramente.

Uscì dal bagno sperando di trovare tutto come prima e quello che vide la lasciò spaesata. Myranda era seduta sul suo letto, singhiozzando, me soprattutto senza le sue amiche. Alice si avvicinò lentamente a lei e le si sedette di fianco. Non sapeva cosa dire. Non erano di sicuro amiche e Alice non era mai stata brava in queste cose.

-My..Myranda- chiese Alice. La ragazza emise un grugnito come per dar segno che aveva capito. -Myranda....che è successo?-.

La ragazza alzò gli occhi. Alice ci trovò odio misto con tristezza.

-Osi anche chiedermi come sto dopo quello che mi hai fatto?!- urlò alzandosi in piedi e puntando il dito contro Alice, che non sapeva cosa rispondere. Cosa aveva combinato di tanto grave? -E non fare quella faccia signorinella! Come se non sapessi che Anthony piace a me! Perché ti ci sei messa insieme? Perché?-. Myranda aveva continuato a urlare per tutto il tempo.

-Myranda, ascoltami- tentò di dire Alice.

-No che non ti ascolto, non c'è niente che tu debba dirmi!-

-Te l'ha detto Michelle che ci siamo messi insieme?-.

-Sì!- urlò di rimando.

-Myranda cavoli, a me Anthony non piace va bene?!- le disse tutto d'un fiato mettendole le mani sulle spalle per farla stare ferma.

-Come?!- chiese la ragazza spaesata da quella confessione.

-Hai capito benissimo. È solo un buon amico non ti preoccupare. Te lo puoi tenere-. Alice non le lasciò nemmeno il tempo di rispondere che si alzò dal letto e uscì dalla stanza, tremante di rabbia. Perché Michelle si divertiva a far star male le persone?

Mentre camminava nel corridoio che portava all'uscita, Alice guardò l'orologio: le sette e un quarto. Oh cavolo.

Cominciò a correre verso la sala mensa. Era in ritardo di quindici minuti e Dio solo sapeva che cosa le avrebbero fatto se non fosse entrata in sala nel giro di dieci secondi. No, di sicuro non era la sua giornata.

Percorse il corridoio a ritroso fino a quando si trovò all'entrata. Dentro vide tutta la scuola seduta ai tavoli, ma c'era ancora un vociare di sottofondo, segno che la preghiera non era ancora stata fatta. Alice tirò un sospiro di sollievo. Non l'avrebbero punita questa volta. Michelle e Maegan erano al tavolo senza Myranda: Alice intuì che fosse ancora in camera da letto. Un braccio la distolse dai suoi pensieri: Anthony si stava praticamente sbracciando per tentare di chiamarla. Le aveva tenuto un posto di fianco a lui e Alice, sorridendo in risposta al gesto che aveva appena fatto, si incamminò verso di lui. Si era cambiato e indossava un paio di jeans blu larghi e una maglia dei Metallica dell'album Master of Puppets. Alice non era una grande fan di quel gruppo, certo conosceva le canzoni più famose, ma non potè far altro che dire che quella maglia gli stava benissimo. Si era ingellato giusto un po' i capelli neri e si suoi occhi verdi risaltavano in modo particolare con i suoi vestiti.

-Finalmente ce l'hai fatta. Pensavo che quelle tre ti avessero ucciso o qualcosa del genere- disse scherzando e scompigliandosi i capelli. -Questi sono i miei amici: Cody Adams, David Bell e Beatrix Carter- continuò puntando ognuno dei tre ragazzi mentre diceva il nome. -Sono tutti in classe con me-.

-È un piacere Alice. Finalmente possiamo conoscerti- disse David stringendole la mano. Era un ragazzo un po' più robusto dell'età che aveva. Dimostrava diciassette anni, ma Alice sapeva che era dovuto al suo allenamento costante nella scherma. Aveva i capelli corti e neri che gli stavano scompigliati, gli occhi marroni nocciola e anche lui aveva una maglia dei Metallica, questa volta però l'album era And Justice For All.

-Davvero, non ne potevamo più di sentire Anthony che parlava solo di te- continuò Cody. Alice vide Anthony diventare rosso in volto e non pote non ridere. Cody aveva i capelli biondi legati dietro da una coda e gli occhi marroni scuro. Lui aveva i pantaloni della tuta e una maglia degli Iron Maiden dell'album Killers.

-Uhuh, ragazzi vedo che la piccolina qui non ha la maglia di riconoscimento del gruppo “I metallari del Preston College”-. Beatrix si era intromessa interrompendo le risate, ma riportandole poco dopo. Aveva i capelli rossi legati e gli occhi azzurri penetranti. Anche lei indossava una maglia degli Iron Maiden con la copertina dell'album Best of Beast. -Dimmi Alice, qual è il tuo gruppo preferito?- le chiese Beatrix.

-I..I System of a Down- rispose titubante la ragazza. Guardare negli occhi Beatrix era inquietante e Alice non riusciva a reggere lo sguardo.

-Bene, faremo in modo di rimediarti una maglia, che ne dici An?- chiese Beatrix a Anthony.

Il ragazzo non fece tempo a rispondere perché il preside Lewis porto tutti al silenzio. Era risaputo che quando il preside si alzava tutti dovevano tacere all'istante.

-Bene, ora che la signorina Myranda Cooper si è degnata di unirsi a noi, direi che il caso di cominciare a mangiare prima che quello che avete nel piatto si raffreddi. Vorrei dare una comunicazione alla signorina Alice Watson: dopo cena la signorina Smith la aspetta nel suo ufficio per discutere del suo doppio turno in cucina-.

Il preside si sedette e dai tavoli si levò un “Per il Padre, per il Figlio e per lo Spirito Santo. Amen.”:

 

Cantiam insiem alla presenza del Signor che verrà,

alla potenza, del Signor!

Alziam le mani sopra di noi, sia gloria a Dio, ci salverà!

Egli è Gesù Cristo, il signore Egli è Gesù Cristo:

il Signor.

Alice non si godette molto le scaloppine che aveva per cena. Rispondeva alle domande che le rivolgevano i suoi nuovi amici, ma con la mente era già al colloquio con la signorina Smith. Lei era colei che all'interno di quella scuola aveva sostituito la vecchia balia di Alice a sette anni. Le voleva bene e Alice si rispecchiava molto in lei: stessi occhi verdi e stessi capelli biondi.

Appena finito di mangiare, la ragazza salutò i suoi nuovi amici e si incamminò verso l'ufficio dell'insegnante di storia e geografia. Davanti alla porta si fermò e bussò. Non appena sentì l'”avanti” raggiante della signorina Smith, entrò.

La trovò seduta alla cattedra con il registro sotto gli occhi. Il suo ufficio era addobbato con le foto dei suoi studenti e di suo figlio che aveva cinque anni. Era simile a lei, solo che i capelli erano scuri come quelli del signor Smith. La signora aveva sì e no trentacinque anni e portava i suoi classici vestiti un po' strani: indossava sempre qualcosa che avesse un colore acceso. Portava i capelli sciolti sulla schiena e profumava sempre e costantemente di gelsomino. Le pareti della stanza spiccavano particolarmente: una era verde, con degli alberi dipinti in modo talmente realistico che sembrava si muovessero sfiorati dal vento; un'altra blu, affrescata da alcune onde le quali sembravano emanare un forte odore di acqua salmastra che Alice aspirò con forza; quella di fronte era di un azzurro più chiaro, interrotto a tratti da quelle che sembravano nuvole, anche queste talmente vere che a Alice sembrava di sentire il rumore del vento; l'ultima, forse la più affascinate, era uno sfondo rosso, sul quale erano state dipinte delle fiamme. A Alice parve di percepire il calore del fuoco sulla pelle. La ragazza si guardò intorno affascinata, come se quella stanza la attirasse. Poi il filo dei suoi pensieri fu interrotto dalla voce della signorina Smith, la quale aveva appoggiato il registro sulla cattedra nel momento in cui aveva visto la ragazza.

-Oh, buonasera Alice- la salutò con un sorriso a trentadue denti che le illuminava il volto. Le fece cenno di sedersi davanti a lei.

-Voleva vedermi signorina Smith?- chiese Alice.

-Sì, ragazza mia. Ti volevo solo dire che martedì resterò io con te mentre farai il tuo doppio turno in cucina-.

Alice la guardò stupita. Sapeva che anche alla signorina Smith interessavano le stelle. Per quale motivo allora aveva deciso di stare con lei anziché andare all'osservatorio?

-Perché signorina?-

-Oh, non posso dirtelo e sinceramente spero che tu non capisca mai il motivo-.

La ragazza fece una faccia ancora più stranita. Che cosa voleva dire con quella frase?

-Ora scusami Alice ma devo fare un lavoro importante. Ci vediamo martedì allora- la salutò esibendo un sorriso.
Alice uscì dall'ufficio di controvoglia. In quella giornata si era posta tante domande, ma nella sua mente in quel momento c'era solo una gran nebbia.












Eccomi qui con il continuo di questa schifezza storia. Mi è stato fatto notare di come le mie descrizioni non siano particolarmente esaustive. Lo so, purtroppo non mi piace descrivere i luoghi, ma spero di migliorare col tempo.

Prima che qualcuno dica qualcosa sulla religione, vorrei dire che sarà un concetto importante per la storia, quindi aspettate e vedrete.

Per favore, ditemi i vostri pareri! :)

Dids.Sunshine


 

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Capitolo 3
*** III. ***


 

Sogni pericolosi

 

Who can believe you,

Who can believe you?

(System of a Down – Sugar)

 

 

Alice stava cominciando davvero a dubitare della sanità mentale di Myranda Cooper. Non che pensasse che avesse un cervello, quello mai, ma era da quasi tre giorni che taceva. O piangeva. O gridava. Non faceva nient'altro. Era arrabbiata con tutto e tutti e non potevi rivolgerle la parola se non volevi rischiare di essere sbranato vivo. E si sapeva che era in grado di spezzarti un braccio senza il benché minimo sforzo. Da quando l'aveva vista con Anthony insieme era impazzita letteralmente. Ma più di averle detto la verità,che ci poteva fare Alice?

Il problema, in quel momento, era però che gli urli della giovane oca stavano interferendo con la concentrazione già scarsa di suo di Alice che tentava invano di svolgere i suoi compiti di matematica, in camera. La ragazza era seduta sul suo letto con il libro e il quaderno aperti e una penna in mano e cercava di risolvere quella maledetta equazione che la stava facendo diventare matta. Improvvisamente sentì in corridoio delle grida disumane.

-BASTA, NON LO SO LA SOLUZIONE DEI COMPITI DI INGLESE, NON LI HO ANCORA FATTI, VA BENE?-. Myranda stava sfogando la sua rabbia contro una sua compagna di classe che, poveretta, si stava quasi mettendo a piangere dalla paura. E come biasimarla, Myranda incuteva terrore, un terrore giustificato considerando la sua cintura nera di karate.

Alice vide la ragazza scappare via in lacrime mentre il volto Myranda stava lentamente passando da una tonalità di rosso accesso a un colore più simile a quello di una persona normale.

-E, voi? Che avete da guardare?! Fatevi i cavoli vostri, cacchio!-. Alice si guardò intorno, stupita dal fatto che non aveva visto una ventina di teste spuntare fuori dalle camere da letto, attirati e incuriositi dalle urla. Alice vide alcune persone tornare nelle loro stanze, mentre altre rimanevano sulla soglia, in attesa. Di che cosa, Alice non riusciva a capirlo.

-Allora? Che state aspettando, un biglietto di sola andata o un calcio nel sedere da parte mia?- sbraitò Myranda guardando uno a uno i ragazzi. Stranamente però, alcuni ancora persistevano a stare impalati, fissando Myranda.

-Dai Myranda, adesso smettila. Non puoi costringere la gente a fare quello che vuoi. Tornatene in stanza e datti una calmata- si intromise Alice. Non riusciva sopportare che lei e le sue amichette avessero il controllo della scuola. Solo per i soldi poi, perché di intelligenza ne avevano ben poca.

-Che diamine vuoi Watson? Fatti i cavoli tuoi, una buona volta- le rispose Myranda girandosi verso di lei ed avvicinandosi. Era almeno venti centimetri più alta di Alice, ma quest'ultima era tutto tranne che spaventata.

-Oh, ma da che pulpito vien la predica Cooper. Non dirmi che sei arrabbiata perché hai visto me e Anthony in camera vero?- chiese Alice, anche se sapeva già la risposta. Myranda annuì abbassando un po' lo sguardo.

-Senti. Ti ho già detto come stanno le cose ieri sera quindi vedi di darti una calmata ok? Prendi una tisana, picchia la testa contro il muro finché non svieni, fai quello che vuoi, io non voglio sapere niente. Ma non terrorizzare tutti solo per un viaggio mentale che ti sei fatta, ok?- rispose Alice tutto d'un fiato. La ragazza notò che non solo gli sguardi della gente che c'era alle porte si erano fatti più attenti, ma che le teste erano moltiplicate nuovamente. Ma la gente non riusciva a farsi una vita? Non riusciva a non ficcare il naso in questioni che non le riguardano?

-E voi che avete da guardare?- continuò Alice che stava seriamente cominciando a perdere la pazienza. Myranda stava disturbando tutta la scuola quindi prima avrebbero risolto questa ridicola faccenda, prima la quiete scolastica si sarebbe ristabilita.

Alice prese con un po' troppa forza il braccio della ragazza che rispose con uno squillante:-Che cosa diamine stai facendo Watson?- e una serie di imprecazioni un po' meno educate. Alice continuò imperterrita a camminare con lo sguardo furente verso la camera di Anthony. Ci avrebbe parlato lui con Myranda se a lei non voleva credere. Solo quando arrivò davanti alla stanza che il ragazzo condivideva con Cody e David, Alice finalmente si bloccò. Aveva il viso rosso come un peperone, un po' per la rabbia e un po' per la vergogna di quel discorso insensato di Myranda. Non erano stati trovati in chissà quali posizioni strane o ambigue, e soprattutto...lei aveva quattordici anni porca paletta! Quale idiota avrebbe pensato male se non il trio delle oche conosciuto anche come “Il trio delle sgualdrine del Preston College”?

Bussò con tutta la forza che aveva in corpo. Lo stress si stava facendo sentire, ma erano tre giorni che non gliene andava bene una e sempre per causa di quelle tre: prima la gita e ora questo. Che cosa aveva fatto di così male?

Quando nessuno le rispose cominciò a spazientirsi. Riprese a bussare con forza mentre diceva:-Anthony, sono Alice, aprimi per favore-. Al quarto tentativo, la porta si spalancò. Alice pensava che le avrebbe aperto Anthony, ma quando si trovò davanti David si sentì in tremendo imbarazzo: il ragazzo era a petto nudo e sfoggiava un fisico scolpito che non passò sicuramente inosservato alle due ragazze. Aveva i capelli sciolti un po' bagnati, segno che era uscito da poco dalla doccia, ed indossava un paio di pantaloni neri che facevano risaltare le gambe muscolose. Alice arrossì violentemente mentre teneva ancora la mano alza chiusa a pugno pronta per bussare per l'ennesima volta.

-Erm.. s-scusa David, non volevo disturbare- disse Alice mentre abbassava lo sguardo auto convincendosi, senza riuscirci, che le sue scarpe erano più interessanti del ragazzo il quale, invece, sembrava essere perfettamente a sua agio.

-Cercavi Anthony giusto?- le rispose David sorridendo sotto i baffi. Si girò un attimo per prendere l'asciugamano che aveva lasciato sulla sedia accanto alla porta e prese a tamponarsi i capelli. -Prego, entrate- continuò facendo segno alla due ragazze che erano le benvenute in camera sua.

Alice e Myranda entrarono con un po' di titubanza dovuta all'imbarazzo. La prima, rossa come un peperone, stava mentalmente maledicendosi per aver fatto una cosa così avventata, mentre la seconda non riusciva a staccare gli occhi dal ragazzo che nel frattempo si stava infilando una maglietta. Alice si guardò un attimo in giro, costatando che la stanza era arredata in un modo che le piaceva particolarmente. Riconobbe subito il letto e l'angolo di Anthony, del tutto ricoperto di poster delle sue band preferite e dai libri di botanica infilati un po' a caso nella libreria. La sua chitarra era accuratamente adagiata sul suo piedistallo. Era una Fender Stratocaster, nera all'esterno e color legno all'interno, col manico bianco. Le pareti della stanza erano ricoperte anche da innumerevoli foto dei quattro ragazzi: quando suonavano, quando studiavano, quando giocavano. Ce n'era una di Anthony che ad Alice fece parecchia tenerezza: lui steso nel letto col suo pupazzo preferito.

La voce di David la riscosse dai suoi pensieri: -Allora Alice, cosa c'è di tanto importante per venire in questa stanza a quest'ora con una ragazza stupenda come lei?-. Fece l'occhiolino a Myranda, ma Alice non seppe mai se il suo squallido tentativo di provarci era vero o solo una presa in giro. Per tutta risposta, Myranda divenne ancora più rossa e abbassò gli occhi, i quali avevano uno sguardo tra il compiaciuto e l'imbarazzato.

-Dovevo far capire alla qui presente “ragazza stupenda” che tra me e David non c'è niente, perchè a me non crede- rispose Alice con più tranquillità di quanto avesse pensato. Myranda alzò lo sguardo verso David, sperando di ricevere una conferma. Ma il ragazzo non fu d'aiuto.

Proruppe in una fragorosa risata, mentre tentava invano di parlare. -Non c'è niente?! Ma Alice, fammi il piacere!- ribattè per tutta risposta David. Myranda si alzò di scatto dalla sedia sulla quella si era nel frattempo seduta e guardò Alice arrabbiata come una iena. -Grazie Watson, se volevi farmi fare una figuraccia ci sei riuscita- disse prima di uscire dalla stanza sbattendo la porta.

David continuava a ridersela, e Alice si sbattè una mano sul volto. Aveva davvero fatto un buco nell'acqua. Ora però avrebbe ucciso David Bell.

-Scusa Alice, ma me l'hai servita su un piatto d'argento!- ululò il ragazzo continuando a ridere. -Se vuoi ci vado a parlare io, e le dico che è stata tutta un'idea mia-.

La ragazza non fece in tempo a rispondere perchè fu interrotta dall'entrata di Anthony nella stanza. Probabilmente aveva appena finito gli allenamenti di calcio perchè indossava la giacca della tuta e i pantaloncini delle partitelle. Aveva i capelli neri bagnati, i quali facevano risaltare gli occhi verde smeraldo che si ritrovava. Sulla schiena portava la sacca da ginnastica e stava respirando con un po' d'affanno. Alice deglutì. Era bello da mozzare il fiato.

Anthony sgranò gli occhi alla vista della ragazza seduta sul suo letto che fino a un secondo prima stava uccidendo con lo sguardo il suo compagno di stanza, il quale si stava rotolando per terra dalle risate. -Buongiorno- disse mentre appoggiava la sacca a terra.

-Erm.. sì, ok, vado a cercare la tua amica per assicurarle che era una scherzo-. David uscì dalla stanza facendo l'occhiolino. A chi, non si sa.

-Cosa ti ha fatto di tanto male il mio migliore amico per farti avere lo sguardo omicida negli occhi?- chiese Anthony mentre si andava a sedere accanto a Alice sul letto. Alice ispirò profondamente il suo odore nel momento in cui lui si avvicinò. Sapeva di vaniglia e lavanda insieme. Si era appena fatto la doccia e ciò lo rendeva ancora più abbracciabile.

-Per stavolta passa, ma alla prossima preparati a dividere la stanza solo con Cody- rispose Alice mentre si stendeva con la grazia di un elefante sul letto. -Allora, ragazzo che crede di saperne più di me sulla botanica, come sono andati gli allenamenti?- chiese la ragazza per interrompere il silenzio.

Anthony si stese accanto a lei guardando il soffitto. -Bene, dai, non ci si può lamentare. Fra un po' inizieranno i campionati e la nostra squadra potrebbe essere veramente una delle favorite-.

-Sei il capitano della squadra?- chiese Alice girando appena il viso per guardare quello del ragazzo. Era la visione più bella che avesse mai avuto.

-No, magari. A quindici anni sei ancora piccolo, sono solo al secondo anno. E poi l'anno scorso non ho neanche giocato. Però sto per diventare titolare a tutti gli effetti- disse mostrando un sorriso che tolse il fiato alla ragazza.

-Oh, speriamo di no, altrimenti mi toccherà tifare per te troppo spesso e ti monterai la testa! Già sei egocentrico così!- rispose Alice mentre gli passava una mano fra i capelli sorridendo.

-Ma sentitela! Ragazza, sei davvero insopportabile lo sai?-. Anthony fece finta di mettere su il broncio e mise un braccio intorno alla sua vita, attirandola a sé.

Alice sorrise, come non aveva mai sorriso prima. Appoggiò la testa nell'incavo della spalla del ragazzo e si rannicchiò contro il suo petto. Lui prese ad accarezzarle i capelli e a cantarle una ninna nanna. “Mi sa proprio che devo fermare David. Quello che ha detto non è una cavolata, dopo tutto” si ritrovò a pensare Alice.

Fu in quel momento che accadde qualcosa che avrebbe segnato la vita dei ragazzi per sempre. Alice si prese la testa fra le mani e sgranò gli occhi. Anthony cominciò a chiamarla preoccupato, ma la sua voce arrivava alle orecchie di Alice distante e ovatta. La ragazza urlò e chiuse gli occhi, mentre si sentiva sollevare da due braccia forti che la stringevano.

La sua mente si estraniò dal luogo scolastico nella quale i due ragazzi vivevano. Alice si ritrovò in un campo d'erba sterminato, costellato qua e là da dei fiori coloratissimi. La ragazza avanzò attratta da tanta pace, come se quel mondo fosse il posto in cui sarebbe dovuta stare veramente. Non ricordava cos'era venuta a fare in quel luogo, né tanto meno come ci era arrivata. Non le faceva più male la testa e tanto bastava.

Ad un certo punto si sentì chiamare. Una quercia, un'enorme quercia secolare stava cantando il suo nome, invitandola ad avvicinarsi. Alice andò verso di lei senza paura. Dopotutto, cosa in quel mondo celestiale le avrebbe potuto far male? Toccò con la mano la corteccia dell'enorme pianta, la quale aveva una chioma foltissima, costituita da foglie grandi come il suo viso e quello di Anthony insieme. Sorrise pensando ad Anthony. Avrebbe dovuto portarlo in quel posto.

In quel preciso istante una delle radici della pianta le prese il polso, stringendoglielo con forza. Alice urlò: glielo stava spaccando e non accennava a voler mollare la presa. La ragazza tentò invano di liberarsi mentre sentiva dei sonori “crack” provenire dal suo polso. Ma la quercia le stava succhiando tutta l'energia vitale, e piano piano non riuscì più a strattonare il polso. Piano piano perse lucidità e cadde in ginocchio prima di forze.

Non può finire così” pensò Alice con tutta la sua forza. Fece appello alle ultime energie rimaste e si liberò dalla presa. Urlò con quanto fiato aveva in corpo e nel momento in cui aprì gli occhi si ritrovò avvolta da due braccia che la stringevano.

-Alice, Alice, che cosa diamine è successo?-. La voce di Anthony pareva rotta dai singhiozzi. Con una mano prese ad accarezzarle il viso, mentre con l'altra stava cercando di prendere il termometro che qualcuno le aveva messo sotto l'ascella. Nel momento in cui guardò la temperatura, il ragazzo sgranò gli occhi. -Signorina Smith!- urlò disperato. -La temperatura è salita ancora, ha quasi 41 di febbre!-.

Alice tentò con qualche difficoltà di girare la testa e vide la signorina Smith correre verso di loro con passo affrettato. Nel suo sguardo si leggeva la preoccupazione più sincera. Teneva in mano quella che sembrava una medicina, ma ad Alice faceva male la testa solo a cercare di leggere, perciò chiuse gli occhi.

-Anthony, penso che le serva un po' di riposo. E anche a te servirebbe. Ti prometto che domattina potrai venirla a trovare-. La voce della signorina Smith era cupa e bassa. Che diamine era successo?

Alice sentì dei passi avvicinarsi al suo letto e le labbra del ragazzo posarsi sulla sua fronte. -Buonanotte, tesoro mio- le disse Anthony prima di allontanarsi. Alice avrebbe voluto urlargli di non andare via, di rimanere accanto a lei, ma non ne aveva le forze.

-Alice, ragazza mia, appena ti sarai ripresa mi dovrai raccontare tutto- le disse la signorina Smith subito dopo che il ragazzo fu uscito. Dopodiché le mise una pasticca che sapeva di miele in bocca e le scompigliò i capelli. -Buonanotte- le disse anche lei, prima di dileguarsi.

Alice avrebbe dovuto raccontare a più di una persona quello che le era successo. Ma chi avrebbe potuto crederle?

Tentò di girarsi per vedere che ore fossero, ma un dolore al polso destro la fece quasi urlare. Si guardò il punto dolente. Proprio dove la radice l'aveva afferrata c'era una brutta ferita che pulsava. E Alice avrebbe giurato che fino a prima non c'era.

Cadde di nuovo sul cuscino, la testa pesante e con il braccio che le faceva male. Si riaddormentò in un batter d'occhio in preda alla febbre e alla paura. Chi avrebbe potuto crederle, se lei per prima non credeva a quello che era successo?

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