Masquerade.

di Elena_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


● Masquerade »


Prologo

 

She's surreal, she's dangerous
and no one else can match those eyes
She's concealed, so mysterious
that nobody can catch her lies

Surreale. Pericolosa. Quegli occhi verdi,
capaci di spogliarti di ogni bugia e di ogni finzione
che ti sei cucito addosso.
Si nasconde, si rifugia.
È capace di mentire e sorridere, di celarsi dietro una menzogna.

 

Drop this game of fame, no one can win
I believe this can be serious if I can get under her skin

Smettila con questo gioco, Amore, non esiste un vincitore.
Potessi scavare sotto la tua pelle, potrei scoprire la verità dietro i tuoi occhi.
Amore mio.



We're both in this masquerade
What can I do to see you, the girl behind the mask
Our love was just a masquerade
I wanna get to know you, the girl behind the mask
I want a chance to feel you, the girl behind the mask
A masquerade

Siamo entrambi coinvolti in questa mascherata
Cosa posso fare per vederti, ragazza dietro la maschera?
Il nostro amore era soltanto una mascherata,
voglio riuscire a conoscerti, ragazza dietro la maschera
Voglio un'occasione per sentirti, ragazza dietro la maschera
Un mascherata



Everytime we sit around and talk
I try to turn her inside out
I get closer but still miles away
from getting what she's all about

Eppure ci provo, ti sento, ti tocco, e ti bacio con tutto l'amore che c'è in me
tutto l'amore che potrei darti
se solo tu ti togliessi quella maschera che ti ostini a portare.
E mi allontani, mi prendi come un pupazzo e mi lanci a chilometri di distanza,
forse impaurita che io riesca ad avvicinarmi troppo a te.
L'essenza di te.



Stop this masquerade, no one can win
I believe this can be serious
If I can get under your skin

 
Basta, ti prego, non uccidermi ancora di più.
Potrei renderti felice, potrei farti cadere nell'oceano di me e te, uniti, sempre.
Due sorrisi che si vivono, due bocche che si scoprono.
Lascia che mi avvicini, lascia che io sia...
 



We're both in this masquerade
What can I do to see you, the girl behind the mask
Our love was just a masquerade
I wanna get to know you, the girl behind the mask
I want a chance to feel you, the girl behind the mask
A masquerade

Siamo entrambi coinvolti in questa mascherata
Cosa posso fare per vederti, ragazza dietro la maschera?
Il nostro amore era soltanto una mascherata,
voglio riuscire a conoscerti, ragazza dietro la maschera
Voglio un'occasione per sentirti, ragazza dietro la maschera
Un mascherata



 

I'm confused and I just don't know what to be for you
I'm so vulnerable I need you to confess your love for me


Mi confondi, sconfiggi i miei sensi e mi rendi inerme.
Sono in balia delle tue mani, in balia di te, e neanche te ne accorgi.
Sono vulnerabile. Dovrei dirtelo?
Dovrei confessare quello che provo rischiando di perderti?
Ma forse dovrei combattere, spogliarti delle bugie che ti ostini a raccontare.



Devo porre fine a questa mascherata.



 

Credits: Eric Saade - Masquerade

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Ciao ragazzi/e!
Eccomi a ripostare la storia da capo, in quanto avevo avuto dei problemi di grafica e citazioni...
Grazie infinite a chi me l'ha fatto notare!
Spero che ci sia qualcuno ancora interessato alla lettura, vi lascio il primo capitolo, questa volta con i dialoghi leggibili xD

Elena




    Capitolo 1

{ martedì 29 marzo 2011 }


«Lo vuoi capire che finché abiterai con noi Milano te la puoi scordare?» la voce di mia madre, chiara e cristallina, non faceva altro che aumentare la mia voglia di scappare da quella piccola provincia.
«Andrei a studiare! Sicuramente ho più possibilità là che qui!» persistevo con la mia causa, convinto o speranzoso che prima o poi avrebbe ceduto. Il suo sguardo pietrificante, però, mi fece capire che sarebbe stato meglio darsela a gambe se volevo evitare di rimanere folgorato dalle sue parole velenose. Sì, perché lo sapevo che sarebbe arrivata a ripetermi sempre le stesse tre frasi: «Non sei portato per lo studio, se non inizi a lavorare diventerai un barbone e ti ritroveranno in mare!».
Sorrisi senza gioia, riconoscendo le paroline magiche che mia madre mi riservava ogni volta che tentavo di parlarle del futuro che desideravo.
Uscii velocemente di casa senza una destinazione precisa. L'unica cosa che desideravo era allontanarmi da quelle quattro mura ormai troppo familiari.
Sin da quando ero entrato al liceo sognavo di andarmene da Chieti, città dove ero nato,  cresciuto, dove stavo vivendo e dove temevo che sarei morto. Ero così convinto che anche i miei genitori mi avrebbero aiutato per andarmene da qui subito dopo la maturità, che quando mi rivelarono i loro piani reali per il mio futuro fui costretto a fermarmi a riprendere il respiro.
«Noi non possiamo permetterci una cosa del genere, Diego. Speriamo capirai.» ed io avevo fatto tutto meno che capire. Ero un testardo, era vero, ma soprattutto mi potevo descrivere come un ragazzo di ventun anni che si prefiggeva determinati obiettivi e ci metteva tutta l'anima per raggiungerli.
Cominciai a camminare avvolto dai rumori della vita cittadina. La primavera era alle porte e le vie della città iniziavano ad animarsi di donne e ragazze amanti dello shopping.
Dopotutto si sa, con l'arrivo della bella stagione un po' di compere non possono certo far male.
«Ehi, Diego!».
Mi voltai subito e mi trovai di fronte Eva e Gianna: «Ciao ragazze!» feci loro un sorriso smagliante e le osservai più attentamente. Eva, sempre attenta ad ogni particolare, era vestita veramente bene quel giorno, ancora meglio del solito. Gianna, la sua migliore amica, non le faceva la minima concorrenza: era la ragazza più mascolina che avessi mai conosciuto.
«Come mai tutto solo?» Eva, capelli lunghi castano chiaro e occhi verdi, cercò di attaccar bottone. E pensare che un tempo ci avevo fatto un pensierino.
«Volevo fare due passi, tutto qua. Voi? Shopping?» cercai di sviare il discorso, furbo.
«Sì sì, lo sai che appena inizia il caldo noi dobbiamo correre per negozi!» rispose sempre Eva, egocentrica. Riuscivo a malapena a capire come potessero quelle due ragazze essere così amiche, erano così diverse, almeno in apparenza.
Io, però, ero abituato a farmi gli affari miei, quindi evitai di pormi ulteriori interrogativi.
«Brave ragazze, sapete qualcosa per stasera?».
Si scambiarono uno sguardo curioso, ma poi fu il turno di Gianna: «A dire il vero noi non sappiamo niente. Molti domani hanno lezione, non credo che vorranno fare tardi...» spiegò, semplicemente, ed io mi sentii un po' un alieno in mezzo a tutti quegli studenti universitari.
«Ah, ok! Dopo sento Gianlu allora!» feci loro un occhiolino e infine mi allontanai, lasciandole dietro di me.
«Quando la smetterai di sbavargli dietro?» Gianna si rivolse alla sua compare mentre riprendevano la loro passeggiata dalla parte opposta alla direzione che avevo preso io.
Questa sventolò i capelli al leggero venticello primaverile, poi proferì: «Quando finalmente si deciderà a cedere.».


Continuavo a camminare tranquillamente, ripensando alle parole di Gianna: effettivamente tutti i miei amici si erano iscritti all'università, chi in città e chi a Pescara, quindi sarebbe stato un po' difficile uscire tutte le sere come speravo di fare.
Il mio lavoro di assistente in ufficio mi permetteva orari abbastanza elastici e, soprattutto, di saltare quando mi andava dato che conoscevo molto bene il capo: mio padre.
Gianluca invece, meglio conosciuto come “il Genio”, aveva deciso di intraprendere “Scienze della formazione”, una delle facoltà avente sede a pochi chilometri da qui, per due precisi motivi: prendere il treno tutte le mattine non era di certo un buon proposito per andare a dormire presto la sera, e poi era affezionato alla sua città e preferiva restare qui e non allontanarsi, dato che ne aveva la possibilità.
«Toh, un cazzone in mezzo alla strada! Spostati, non ci passo!» avrei potuto riconoscere la sua voce lontano un miglio.
«Proprio te cercavo!» mi voltai verso la traversa che avevo sulla sinistra e trovai il mio amico, seduto sul sellino della sua amata bicicletta, che mi guardava con un sorriso da bambino stampato in faccia.
«E come mai?» si fermò di fronte a me, curioso.
«Stasera che si fa?» domandai subito, speranzoso. Il suo sguardo mi fece in un primo tempo penare, poi borbottò qualcosa del tipo: «Posso dirgli così, e poi... Ma sì, alle dieci al solito posto! Ciao Cretì!» tornò con le mani sul manubrio, il piede destro sul pedale e se ne andò, di fretta.
Feci spallucce e ripresi la mia camminata per poi sedermi sulla prima panchina all'ombra che trovai.
Io e Gianluca ci conoscevamo da una vita ormai, non c'era un gesto che non sapessi riconoscere in un batter d'occhio. Alle medie ci eravamo conosciuti e al liceo, nonostante due scelte differenti, ci eravamo fatti compagnia fino a diventare un'accoppiata formidabile. Ne avevamo combinate di cotte e di crude insieme, e sicuramente una delle cose più belle che eravamo riusciti a costruire era un gruppo. Esatto, proprio quel gruppo con cui uscivo da almeno cinque o sei anni e che, dopo le superiori, aveva deciso di mantenere un rapporto che andasse al di là delle barriere scolastiche.
Mi ricordavo che di problemi ce ne erano stati tanti, uno fra tutti: le donne. Erano esseri capaci di creare discordia anche durante una partita di calcio, lo sport che più di tutti odiano. Le uniche ragazze che erano sopravvissute nel nostro giro erano Eva, Gianna, Carola, fidanzata con Marco, e Valentina, che però si vedeva di rado ultimamente.
Guardai l'orologio e notai che si era già fatta l'ora di cena e mia madre, soprattutto dopo quella discussione, non avrebbe sicuramente accettato un mio ritardo senza un'adeguata ramanzina che andava al di là dei miei ventun anni di età.
Durante il mio tragitto a casa, ricevetti un messaggio da Luigi, un altro membro del nostro gruppo.

“Cambio di programma. Ore 21 a casa mia. Lù”

Non che la cosa mi disturbasse più di tanto, ma così sicuramente avremmo fatto a malapena le undici di sera ed io, annoiato, non avrei mai voluto tornare a casa a dormire se fosse stato possibile. Sbuffai e mi lasciai guidare fino a casa dall'abitudine.

Cercai di cenare più velocemente possibile, desiderando soltanto stare con i miei amici e non vedere le facce dei miei genitori ancora per un po'.
Odiavo la loro smania di imporsi su di me, sia attraverso il coprifuoco sia attraverso il lavoro. Mio padre mi controllava spesso e volentieri, ancora di più dei suoi sottoposti.
L'unica cosa per cui ringraziavo il cielo era che il suo negozio rimaneva chiuso la domenica, quindi il sabato sera potevo veramente fare tutto quello che volevo senza timore di rimproveri o discorsi vari.
Quella volta, però, non era sabato.
Uscii di casa con un leggero ritardo e mi incamminai a casa di Luigi, poco distante dalla mia. Durante il tragitto cominciai a pensare a cosa potessi inventarmi per movimentare un po' la mia vita.
Sport? Hobby? Lettura? Musica?
«Hey, bello gnocco! Quanto prendi?» un rumore di passi seguì queste parole e mi portò a voltarmi per vedere da chi provenissero.
«Sei un cretino!» mi rivolsi a Gianluca con la solita finezza e poi ci incamminammo insieme.
«Come sempre mi lusinghi!» rise lui, prendendo poi a raccontarmi della sua giornata: «Mi sono anche un po' rotto le palle, ma sai com'è, mi tocca fare qualche esame altrimenti i miei potrebbero uccidermi e farmi a pezzettini piccoli piccoli, e non è il caso!».
«Come sei drastico!» non riuscii a trattenere un'espressione stupita e lui ci rise sopra, dandomi dello scemo fino a che non arrivammo davanti al portone del condominio del nostro amico.
«Suona te, a me non piace citofonare.» fece, serio, guardandomi negli occhi per convincermi. Io ricambiai lo sguardo e alla fine, col sorriso sulle labbra, cedetti.
«Chi è?» la voce metallica di Luigi interruppe il silenzio che era nato in pochi attimi.
«Dié e Gian.» spiegai velocemente, poi entrammo e raggiungemmo l'ultimo piano del palazzo. I coniugi Marselli erano due persone agiate, che pochi anni prima si erano potute permettere di comprare un attico, così da poter lasciare al figlio la possibilità di invitare gli amici a casa e non andare in giro a tracannare alcolici e fumare cose diverse dal tabacco.
«Eccovi, ragazzi!» ci salutò con un sorriso e con la mano pronta a battere un cinque. Gianluca si fece avanti per primo ed entrò nell'appartamento senza vergogna, come fosse stato a casa sua.
«Ciao Lù!» salutai il padrone di casa e lo seguii nella terrazza, scoprendo che ormai tutti erano già arrivati.
Carola e Giacomo, abbracciati, se ne stavano un po' in un angolo; Gianluca si era avvicinato a Carlo e Marco che, ridendo, non facevano altro che parlare di calcio.
Eva e Gianna, invece, se ne stavano zitte, sedute su uno sdraio al centro della terrazza. Salutai tutti con un generoso “ciao” collettivo e poi mi avvicinai ad un tavolo, in un angolo, che fungeva da piccolo buffet per noi pochi ospiti.
«Dié, serviti pure!» Luigi con le buone maniere ci sapeva fare, niente da ridire.
Ringraziai con un cenno del capo e mi avvicinai alle bibite per versarmi un bicchiere di Coca Cola.
«Allora Dié? Che racconti di bello?» avrei riconosciuto la sua voce ad occhi chiusi, ma il rumore dei tacchi contro il pavimento piastrellato non mi lasciò il minimo dubbio.
«Eva...» mi voltai verso di lei e le sorrisi, tanto per evitare di sprecare ulteriore fiato.
«Diego...» pronunciò il mio nome quasi sottovoce, avvicinandosi a me come per provocarmi.
Io, però, rimasi incurante di tante attenzioni e guardai le varie bottiglie di fronte a me per scegliere quale bevanda versarmi.
«Io ho preso il thé. È bello fresco, si beve bene!».
A me non interessava minimamente quello che pensava, così andai a gusto: Coca Cola o Fanta? Il dubbio dell'ultimo minuto.
«La Coca è aperta, l'aranciata no.» Gianna ci raggiunse e mi informò, indifferente alla scenetta della sua compare.
«Grazie Gianna!» le risposi, apposta, notando con soddisfazione il nervosismo crescente di Eva. Quest'ultima, arrabbiata, non demorse e tentò di intavolare una conversazione col sottoscritto che, però, non si decideva a dargliela vinta.
Mi versai la mia bibita e poi andai dai miei amici: «Hey, ragà! Novità?» mi intrufolai tra le loro parole e non ne uscii più.
Eva si era seduta di fianco a me, ogni tanto cercava di catturare la mia attenzione, ma io ero deciso a non cedere.
C'era stato un momento in cui credevo che lei fosse una ragazza con cui valesse la pena provarci, un piccolo diversivo nella quotidiana normalità. Si era rivelata, però, una di quelle che noi ragazzi comunemente chiamiamo “cozze”.
«Ma domani c'è la “Roma” contro..? Non ricordo!» Carlo alzò gli occhi al cielo e poi mangiò due patatine al volo.
«Non so, sinceramente...» risposi io, abbastanza ignorante di calcio. Ebbene sì: ero uno di quei ragazzi che non aveva il calcio come chiodo fisso nella sua vita.
«Possiamo vederci per guardarla, però! Che dite?» Luigi era in vena di inviti, così propose di trovarsi nuovamente lì il giorno successivo.
«E noi? Sai cosa ci interessa del calcio!» Eva sembrò prendersela, rivolgendosi a Gianna. Questa, però, pareva non darle un grosso aiuto: «A me interessa! Posso unirmi?» ci sorrise e Luigi fu soltanto contento di poterla avere di nuovo ospite da lui.
Cominciavamo tutti a pensare che ci fosse un interesse bello grosso sotto sotto.
Come avevo previsto, però, dopo poco tutti se ne andarono, e così feci anche io. Non volevo fare la parte dell'ospite indesiderato.
«Ci vediamo domani, ragà!» Luigi fece un saluto collettivo e infine tutti noi ci sparpagliammo, chi in macchina e chi a piedi, direzioni e distanze diverse.
E così era terminata anche quella giornata ed io, ancora insoddisfatto di ciò che combinavo nella mia vita, me ne andai a dormire, sperando soltanto che mia madre non mi svegliasse troppo in malo modo il giorno dopo per andare a lavoro.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Ciao a tutti :)
Nonostante la mancanza di lettori/recensioni, ecco qua il secondo capitolo della mia storia. Spero che possa incuriosire qualcuno di voi :)
Se leggete e in qualche modo vi piace, fatemi sapere, mi raccomando ;)
Elena



    Capitolo 2

{ mercoledì 30 marzo 2011 }


Solitamente di prima mattina il primo rumore che sentivo era la voce di mia madre che urlava di alzarmi per andare a lavoro. Ormai ero abituato a tutti quei rituali, al fatto che mio padre fosse molto più veloce di me e ogni mattina mi aspettasse in macchina mentre io finivo di prepararmi.
Mi rimproverava ogni volta di quei cinque minuti che lo costringevo ad aspettare, per poi alla fine fare rotta verso l'ufficio.
Mio padre era il proprietario di un negozio di informatica. Mi veniva da ridere al solo pensare che lavorassi lì, io che di computer non ci avevo mai capito niente. Aiutavo il signor Ricci Lorenzo nella gestione del negozio. Niente di particolare, si intende, ma mi permetteva di fare qualcosa nelle mie giornate e di farmi una qualche esperienza lavorativa.
Quella mattina, però, le cose andarono diversamente: nessuna voce irruppe nei miei sogni per svegliarmi, nessun rimprovero mi fece sbuffare appena desto.
Quando aprii gli occhi il silenzio della casa mi fece preoccupare: erano già usciti? Perché non mi avevano chiamato?
Sbattei un po' le palpebre e poi mi voltai a pancia in su, per volgere lo sguardo verso il soffitto bianco della mia stanza. Mi strofinai gli occhi, convinto di star sognando, ma la prolungata pace di quella casa mi portò ad alzarmi dal letto per controllare se i miei genitori avessero lasciato un messaggio da qualche parte.
Uscii dalla mia stanza e mi affacciai sul salotto. Le imposte erano aperte e le finestre chiuse, lasciando entrare la luce soffusa del sole primaverile insieme ad un lieve tepore che riscaldava il divano di pelle nera posto di fronte alla televisione.
Lasciai la porta aperta alle mie spalle e mi spostai verso sinistra, all'entrata della cucina. Casa mia era piccola, ma la cosa non mi dispiaceva. Mi bastava la mia camera dove poter dormire e cambiarmi, un piccolo bagno con doccia per lavarmi e poi il resto a malapena lo vedevo. La mia vita era fuori da lì, coi miei amici.
Mi avvicinai a piedi nudi al frigorifero e notai un piccolo foglietto bianco tenuto da un magnete a forma di Colosseo, piccolo souvenir che mia madre aveva comprato durante una vacanza nella capitale.
Mi aspettavo di trovarvi scritto qualche cosa, ma non trovai altro che un numero di telefono accompagnato da un ordine: “chiamalo”.
Fissai per qualche secondo queste cifre e alla fine decisi di togliermi subito il pensiero e di comporlo seduta stante, così da godermi poi tutta la giornata senza dimenticarmi niente.
Mi sedetti sul divano e presi la cornetta del telefono fisso, tenendola ferma tra il mio orecchio e la spalla per poter digitare quel fantomatico numero. Di chi poteva essere? Era un numero di Chieti, il prefisso era uguale al mio.
«Pronto?» la voce di una ragazza squillò nelle mie orecchie, facendomi sussultare.
«Ehm... Buongiorno, sono Diego, m-..» fui interrotto immediatamente.
«Diego! Meno male, stavo aspettando!» riprese lei, apparentemente sollevata.
Mi feci avanti, incuriosito: «Con chi ho l'onore di parlare?» la misi sul divertente, e subito mi fu data un'esauriente spiegazione.
«Diego, sono Giulia, ti ricordi di me? Quella del liceo? Beh, spero vivamente di sì perché non ho voglia di starti a spiegare chi sono.» riconobbi subito quel tono sicuro di sé.
Giulia era una delle ragazze con cui andavo più d'accordo al liceo, solo che dopo quei cinque anni passati insieme ci eravamo sempre più allontanati, a causa anche delle compagnie diverse che avevamo per uscire e divertirci.
Mi ricordavo di lei, però.
«Certo che mi ricordo! E come mai ti ho dovuto chiamare, se posso?» domandai, guardando fuori dalla finestra ed aspettando ulteriori chiarimenti.
«Guarda, te la faccio breve. Ti ricordi quella tizia che abitava vicino a me e che si è trasferita in Inghilterra? Ecco, la figlia di questa signora è tornata qui, non so come mai, e mia mamma mi ha fatto il gentile piacere di telefonare alla tua per chiedere a noi di darle un caloroso benvenuto in questa splendida cittadina di merda.».
«Aspetta, fammi capire un attimo..» la bloccai subito, stupito: «Perché tua mamma avrebbe chiamato la mia?».
La sentii sospirare e poi riprendere: «E lo dici a me? Non ne ho idea!» restammo in silenzio per qualche secondo.
«Credo che sia perché mia mamma crede che io e te ci vediamo ancora. Mi sa che è rimasta indietro coi tempi! Fatto sta che potremmo vederci per decidere cosa fare, no? Questa ragazza arriva sabato mattina all'aeroporto di Roma, poi prende il treno e viene qua, ok?» mi chiarì tutti gli ultimi dettagli ed io, ringraziandola, le diedi appuntamento quella sera stessa in centro, davanti al Comune.
Ci salutammo e infine tornai al silenzio di casa mia: l'unico rumore distinto fu quello del mio stomaco che, deciso, si ribellò contro di me per non averlo riempito prima.
Mi alzai dal divano e tornai in cucina, pronto a prepararmi una gran bella e lenta colazione giusto per approfittare del fatto che, per quella giornata, l'ufficio di mio padre non l'avrei neanche visto.

Quando si fece l'ora pattuita, uscii di casa e mi diressi verso il luogo dell'appuntamento. Pensata in quel modo sembrava trattarsi di un incontro galante con doppio fine, ma non era così. Sapevo che ci saremmo ritrovati a ridere come sempre, e la cosa non mi dispiaceva: almeno quella sera avrei fatto qualcosa di diverso e, magari, avrei capito meglio in che situazione mi avevano infilato.
Presi il cellulare dalla tasca e manda un messaggio a Gianlu per dirgli che non sarei stato dei loro quella sera, ma lui mi rispose chiamandomi direttamente: «Ehi, tu! Com'è che non esci oggi? Ti si è incastrato nella cerniera dei jeans?» mi fece ridere subito, stupido.
«No, scemo, è vivo e funzionante. Stasera mi devo vedere con un'a-...» non feci in tempo a finire la frase, ché subito lui cominciò a farmi il terzo grado.
«E chi è? Cazzo, me lo potevi dire che avevi conquistato, no? Brutto mandrillo in calore!».
«Calma, amico, frena il cavallo!» rallentai anche il passo, influenzato dalle mie parole.
«Che devo frenare?» domandò, curioso e divertito.
«Ti ricordi Giulia? Quella in classe con me al liceo?».
Lo sentii saltare sul posto e mi sembrò di poterlo vedere davanti ai miei occhi: «Ma certo! Quella figa con cui non ho potuto provarci!» la sua unità di misura era semplicemente quella. L'averci provato oppure no.
«Esatto, proprio lei. Sua mamma ha chiamato la mia e stasera ci vediamo per capire qualcosa di questa situazione.»
«Cavolo, già le cose in famiglia?» arrivo alle sue solite conclusioni: «Non starete mica correndo un po' troppo?».
«Gian, fermati!» alzai il tono della voce e lo sentii scoppiare a ridere, come un bambino.
«Stai correndo tu, non c'è assolutamente niente! Solo che dovrebbe arrivare una tizia dall'Inghilterra, mica ho capito, io! Quindi ci vediamo stasera per parlarne e farmi capire qualcosa!» riassunsi il tutto in poche parole e come prima risposta ricevetti il silenzio. Solo dopo qualche attimo mi resi conto di aver parlato troppo e di aver acceso la sua curiosità: «Posso venire anche io?» domandò, retoricamente.
Avrei mai potuto dirgli di no? Sospirai, rinunciatario, e gli dissi che l'avrei informato non appena avessimo deciso dove fermarci a bere qualcosa.
In pochi minuti raggiunsi il centro: Giulia era seduta su una panchina ai lati della piazza intitolata a Vittorio Emanuele II. La riconobbi seduta stante e la raggiunsi, leggermente in ritardo.
«Di solito sono le donne che si fanno attendere!» mi sorrise e si alzò in piedi, lasciando che fossi io a salutarla con due baci sulle guance.
«E di solito i ragazzi non hanno amici rompiscatole che li tengono al telefono!» risi e subito ci incamminammo verso una meta sconosciuta.
«Allora Dié? Che mi racconti di nuovo?».
Certe domande mi mettevano a disagio seduta stante: cosa potevo raccontarle? Non ero neanche sicuro che la cosa la interessasse veramente.
«Mah, non saprei. Tu, piuttosto, mi devi raccontare!» le diedi una leggera gomitata d'intesa.
«Io?» mi guardò sorpresa, ma poi abbassò lo sguardo e mi sorprese: «Posso dirti che mi sono lasciata con Giorgio e le cose vanno a gonfie vele adesso.».
La guardai negli occhi, incuriosito dal fatto che potesse raccontarmi una bugia tanto per non farmi pesare un suo possibile sfogo, ma non fu così. Le cose andavano a gonfie vele davvero.
«Se sei contenta tu, va tutto bene!» le sorrisi e poi fu lei a domandarmi come andassero le cose con le ragazze.
E cosa avrei potuto dirle? Che non c'era nessuna che mi interessasse al momento?
“Non ci credo, a voi ragazzi piace sempre qualcuna!” ecco cosa mi avrebbe risposto.
«Dai, Diè! Possibile che non ci sia un interesse? A voi ragazzi piace sempre qualcuna!».
Sorrisi, divertito dalla coincidenza, poi mi rivolsi a lei: «Incredibile, ma vero! Che ne dici di berci una birrozza mentre mi spieghi 'sta storia dell'inglesina?».
Mi fece la linguaccia e poi entrò nel pub all'angolo della strada, si diresse verso un tavolo e si accomodò. Presto il cameriere prese le ordinazioni e infine, da copione, lei mi lasciò un attimo solo per andare in bagno.
Approfittai del momento per scrivere al mio amico e dirgli dove ci trovassimo, magari era sempre intenzionato a raggiungerci.
«Eccomi, scusa!» Giulia si sedette di fronte a me e, non appena arrivarono le nostre birre, iniziò a parlare: «Guarda, la cosa è molto semplice e non mi fa neanche così tanto piacere...».
Stava per spiegare tutto, quando un rumore attirò la mia attenzione: «Diego! Eccoti!» era arrivato Gianlu.
Giulia si voltò e lo guardò per un attimo, lui le sorrise, cordiale, ma lei non sembrò accennare ad una risposta.
«E tu giri ancora con questo qui?» lo indicò col pollice destro e mi guardò negli occhi, facendomi scoppiare a ridere.
«Ehi ehi ehi!» la richiamò il diretto interessato: « “Questo qui” ha un nome, e saresti pregata di portare più rispetto. Gianluca, piacere.» si chinò, stupidamente, per farle il baciamano, ma Giulia gli scoppiò a ridere in faccia.
«Guarda che lo so chi sei, non importa che fai il cretino con me.» tornò con lo sguardo verso di me e, prima di iniziare a parlare, si rivolse ancora a Gianluca: «Ti dispiace non interrompermi nei prossimi 10 minuti?».
Il mio amico, stupito da quel caratterino, si sedette di fianco a me e fece finta di chiudersi la bocca con una cerniera fantasma.
«Perfetto, grazie.» sospirò e mi guardò: «Dicevo... La mia ex vicina di casa, Linda, si è trasferita in Inghilterra con la figlia piccola circa 15 anni fa. Ora pare che questa ragazza voglia tornare in Italia e allora la madre le ha detto di venire qui, dove ha già una casa pronta e vicini che la conoscono.» bevve un sorso di birra e poi continuò: «Quindi mia mamma mi ha detto di essere amichevole e di portarla un po' fuori per farla ambientare. Convinta che io e te ci vedessimo ancora, ha chiamato tua madre per riprendere un po' i rapporti, e... il resto lo sai.» finì e cadde il silenzio.
Sembrava strana questa storia, ma infondo infondo tutti i pezzi combaciavano. Il problema era uno solo: come facevamo a darle il benvenuto io e Giulia insieme, dato che non faceva parte della mia compagnia? Avrei dovuto uscire solo con lei?
«Beh...» si intromise Gianluca, cercando di non risultare antipatico: «A questo punto potresti uscire anche tu con noi, no, Dié?» cercò conferma da me, quello stupido.
«Così almeno quando arriva questa tipa hai una compagnia da presentarle!» sorrise, sperando che accogliessimo con entusiasmo la sua idea.
Giulia, però, sembrava a disagio: «Io...» mi guardò e poi disse più volte che non le sembrava il caso, le dispiaceva rompere le scatole a tutti in quel modo.
«Nel caso ci penso da sola a Faith.»
«Faith?» entrai in gioco io, incuriosito: «Si chiama “Faith”?».
«Sì.» Giulia continuava a giocare col suo bicchiere, ormai vuoto. Di solito anche lei girava con una compagnia, che fosse sparita pure quella?
«Comunque Gian ha ragione.» dissi infine, ottenendo entrambi gli sguardi dei miei interlocutori: «Vieni con noi, se ti trovi bene resti e porti anche Faith. Altrimenti sei sempre libera di fare i cavoli tuoi!» le sorrisi e infine mi imitò anche lei.
Restammo ancora pochi minuti seduti a quel tavolo, poi ci accorgemmo dell'ora che si era fatta e così ci alzammo, continuando a chiacchierare liberamente. Corsi alla cassa e pagai tutto io, ricevendo un grazie e un sorriso smisurato sulle labbra di Giulia.
Gianluca la guardava, interessato, ma per quella sera limitai ogni mia domanda; avrei avuto tutto il giorno successivo per poter indagare sulle intenzioni del mio amico.
«Grazia ancora, Dié! Allora... ci sentiamo presto!» un ultimo saluto con la mano e infine anche lei sparì dalla mia vista, lasciandomi con quel cazzone di Gian che non faceva già altro che parlare di lei.
«La possiamo far venire quando andiamo da qualche parte figa, no? Almeno si fa bella figura!».
«Gian, ti prego...» lo guardai di sottecchi, ma lui sembrò non farci caso e continuò a parlare, entusiasta.
Evidentemente era interessato a lei, niente da ridere, ma io ero incuriosito da una cosa soltanto: vedere quale possibile viso potesse indossare alla perfezione il nome “Faith”.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Ciao, lettori!
Mi scuso per il ritardo, spero comunque che la storia interessi ancora a qualcuno ;) ecco un nuovo capitolo! Fatemi sapere cosa ne pensate ;)
Elena


  
Capitolo 3

{ venerdì 1 aprile 2011 }


Invitai Giulia ad uscire con la mia compagnia un paio di giorni dopo, dopo aver recuperato le ore di mancato lavoro e dopo aver parlato con mia madre riguardo il nuovo arrivo.
Mi raccomandò di essere gentile con la “ragazza inglese”, di non portarla subito insieme agli altri, magari si sarebbe potuta sentire a disagio. La ascoltai, probabilmente aveva ragione, però confidavo sui miei amici e sulla loro capacità di mettere a proprio agio le persone.
Poi chiamai Giulia e le dissi di farsi trovare verso le dieci davanti al pub della volta precedente, riferii tutti a Gianluca e a Luigi che, con un veloce passaparola, avvertirono tutti gli altri.
Non vedevo l'ora di uscire e ridere un po' dopo le due giornate faticose che avevo trascorso. Mi sentivo la testa pesante, il corpo stanco, ma non sarei rimasto nella mia camera per niente al mondo.
All'appuntamento non mancò nessuno: Giulia, più timida, si avvicinò subito a me e tentò di fare conversazione.
«Come vanno le cose?» domandò, sorridente.
Lasciai per un attimo Luigi con gli altri e mi dedicai qualche minuto a lei, sperando di scioglierla un po' e poterla presentare più tranquillamente al resto del gruppo.
Eva, però, non me lo permise: «Hey, Diego!» si avvicinò pericolosamente a me, poggiando un braccio sulla mia spalla e sorridendo, ammiccante.
Giulia cambiò completamente espressione, cadendo nello stupito e attonito. Capii il suo sguardo e cercai di comunicarle che la pensavo come lei, ma Eva non ci lasciava il minimo spazio.
«Allora, nuova conquista?» raggelò subito l'atmosfera, facendomi soltanto desiderare che sparisse dalla faccia della terra.
«No, sono Giulia, amica del liceo.»  ribatté l'altra con il sorriso sulle labbra e tese la mano per presentarsi. Eva ne rimase quasi stizzita, ma rispose al gesto e poi guardò me.
«Non sapevo usciste insieme...» la sua espressione disse tutto.
«Infatti non usciamo insieme.» precisai, togliendole con una mano il braccio dalla mia spalla, sorrisi e poi feci cenno a Giulia di raggiungere gli altri dentro al pub e lasciammo Eva a mangiare invidia condita con l'aria.
«Ragazzi, questa è Giulia!» mi fermai davanti al tavolo dove si erano accomodati e infine, indicandoli uno ad uno, li presentai alla nuova arrivata.
Ci sedemmo e iniziammo a chiacchierare, come se non fosse passato un solo giorno da quando uscivamo ai tempi del liceo: io e lei ci eravamo sempre trovati bene ed io non ero altro che contento che riuscisse a sentirsi bene anche col mio gruppo.
Inoltre, pensai, avrei risolto un altro problema: avrei avuto un gruppo da presentare a quella ragazza e non avrei più avuto il pensiero di doverle fare compagnia rinunciando alle cazzate e alle chiacchiere con i miei amici. Non poco, pensai.
«Quando arriva questa tipa?» domandò Marco, sorridente.
Giulia rispose per me: «Domani mattina. Da Roma prenderà un treno per arrivare qui e credo che per pranzo sarà dei nostri.»
«Beh, vorrà qualche giorno di pace, no? Voi che dite?» fece Carola che, abbracciata a Giacomo, si stava intrattenendo con noi.
«Non so...» iniziai io, giocherellando col mio bicchiere contenente ancora poche gocce di birra: «Non so che tipo sia, magari vorrebbe uscire subito con nuova gente per sentirsi meglio.»
«O magari preferisce un po' di tranquillità prima di immischiarsi in una nuova combriccola.» rise Giulia, guardando tutti. Riuscivo a leggere negli occhi dei miei compagni che la sua presenza non recava fastidio o disagio, sembrava star loro simpatica. O almeno a tutti tranne Eva, che continuava a lanciarle occhiatacce di fuoco ogni volta che rideva o sorrideva a me.
«Beh, penso che la prima a conoscerla sarai tu.» feci io indicando Giulia: «Potresti parlarci e chiederle se si sente di venire con noi, magari domenica sera, no?».
Giulia concordò con la mia proposta: «Sì, facciamo così. Poi ti mando un messaggio e ti faccio sapere, ok?» mi sorrise e brindammo: i nostri piani andavano bene.
«Perché non la chiamiamo per la grigliata?» esordì Carlo, avvicinatosi dopo aver avuto una brillante idea: «Eravamo d'accordo per la prossima settimana, si può fare a casa mia, ho il giardino dietro casa. Potreste far venire anche lei, semmai!» rise, gentile.
Giulia non sapeva cosa rispondere, forse una cosa del genere sarebbe stato troppo. E se Faith si fosse sentita a disagio? Sicuramente avrebbe dovuto prendere qualcosa da portare, non si sarebbe mai presentata con le mani vuote, pensò.
Anche io ritenni che forse sarebbe stato un po' esagerato: «Non so Cà, magari è un po' troppo. Prima dovrebbe conoscerci, non credi?» tentai, ricevendo uno sguardo grato da parte di Giu.
«Ma gli saremo sicuramente simpatici, no?»
«Metti che è una con la puzza sotto il naso?» mi scappò, spazientito. Non sapevo neanche se sarebbe stata simpatica a me, volevo evitare che nel gruppo si immischiasse per colpa mia una persona antipatica e indesiderata.
«E perché dovrebbe?» Giulia sorrise, guardandomi incuriosita. Io alzai lo sguardo e mi rivolsi ad Eva, prendendola mentalmente come esempio. L'altra seguì il mio sguardo e sorrise: aveva ben capito a cosa stessi andando a parare.
«E finitela tutti e due, perché dovrebbe essere antipatica o con la puzza sotto il naso?» esordì Gianna, la più razionale di tutti: «Aspettiamo domani sera un messaggio da Giulia e poi decidiamo che fare, ok? Magari è lei la prima a voler venire, che ne sapete voi?».
Seguì una smorfia annoiata di Eva e poi la sua voce interruppe tutti, proponendo di andare a ballare in una discoteca poco distante. La sua idea, però, fu bocciata: Carola e Giacomo desideravano stare un po' per conto loro, alcuni non morivano all'idea di andare in mezzo alla confusione, ed altri ancora erano stanchi dopo la giornata di studio appena trascorsa. Con un ghigno irritato Eva se ne andò, trascinando Gianna con sé. Noi restammo ancora pochi minuti seduti a quel tavolo, poi, dopo il congedo della coppietta del gruppo, ci alzammo ed uscimmo da quel locale con ancora il rumore delle nostre risate addosso.

«Come mai Eva fa parte del gruppo? Non mi sembra proprio il tipo.» esordì Giulia quando, dopo aver salutato gli altri, mi avviai con lei per accompagnarla a casa.
«Beh, è una storia lunga...» cercai di evitare il discorso, anche se Giulia mi ispirava fiducia.
«Non ne vuoi parlare?» rise, guardandosi intorno, e alla fine decisi di renderla partecipe del fatto.
«Tempo fa mi piaceva, ho voluto provarci e così l'ho portata nel gruppo e i miei amici mi hanno aiutato. Quando l'ho conosciuta ho capito che sarebbe stato meglio evitare.» sorrisi, guardando Giulia che, dopo un attimo di sorpresa, finì prendendola a ridere.
«Non ti ci vedo con una così!» mi indicò e continuo a ridere, ormai tutta rossa in viso.
«Lo so! Ma credevo fosse... come dire...» non mi veniva la parola. In effetti, non sapevo bene come rendere l'idea.
«Più interessante?» mi venne in aiuto, divertita da quella piccola confessione.
«Esatto, direi di sì.» conclusi, mettendomi le mani in tasca. Forse dopo quelle parole lei si sentì in debito con me, tanto che ad un certo punto, dal nulla, cominciò a raccontarmi cosa fosse successo con Giorgio.
«Niente di interessante, ripensandoci bene. Però sembrava una cosa seria, stavamo insieme da tempo. Fatto sta' che pian piano ci siamo allontanati, lui usciva coi suoi amici ed io restavo a casa, senza contare che ha cominciato ad avere interessi completamente distanti da me, insomma... Anche quando stavamo insieme era lontano, così alla fine ne abbiamo parlato e abbiamo rotto.»
«Mi dispiace.» fui solo capace di dire, sentendo per la prima volta una cosa del genere. Di solito le coppie si lasciano per motivi forti, cause che portano a litigi e discussioni, non così in tranquillità.
«Lo so cosa stai pensando.» mi guardò con i suoi occhi scuri, lasciandomi senza parole. Ci pensò lei: «Ti sembra strano che sia finita così, senza litigi né omicidi.» sorrise un po': «Ma per me è stato un grande peso e poi stavamo insieme da tanto, è stato difficile tornare a pensare solo per me, senza di lui...» cercava di esprimersi nel miglior modo possibile, sperando di riuscirci.
«Per questo adesso sei senza compagnia con cui uscire?» domandai, forse un po' freddo e spinoso. Lei, però, non sembrò prendersela, sorrise senza gioia e ammise di aver perso tanti contatti negli ultimi tempi, anche perché quando usciva con Giorgio raggiungeva tutt'al più gli amici di lui.
«Giò non voleva uscire con le mie amiche, posso anche capirlo... Ma mi ha fatto perdere troppi contatti ed ora di certo non le vado a ricercare facendo la figura della scema che si è fatta fregare dal fidanzato!».
La guardai per un attimo e pensai che alla fin fine non era cambiata di molto. Era sempre stata orgogliosa e decisa, ma non mi dispiaceva come aspetto del suo carattere. Anzi, era quello che mi piaceva più di lei, tanto da poterla considerare veramente un'amica con la “a” maiuscola.


Il mito della pioggia londinese sfonda i confini mentali e fisici che attraversano il mondo.
Lontano da noi una ragazza dai capelli lunghi e castani, gli occhi coperti da un paio di lenti scure e una valigia tra le gambe, se ne stava nella sua stanza, guardando fuori dalla finestra con aria sognante. Avrebbe lasciato quel quartiere, quella città, quel sogno di tanti e tante ragazze soltanto per tagliare un ramo malato della sua vita e provare a rinvigorire dopo un'adeguata potatura.
Prese il bicchiere di Starbuck's che trionfava sulla sua scrivania ormai vuota, strinse la cannuccia tra i denti e aspirò un po' d'aria che odorava ancora di cappuccino.
Rimase per qualche minuto seduta sul suo letto, ormai coperto solo di un telo di plastica per evitare che la polvere si infiltrasse in ogni poro, spostando lo sguardo dalla finestra alla scrivania, poi all'armadio e infine al pavimento, prima coperto di pezzi di carta da buttare via e poi ripulito da una doppia passata di straccio bagnato e detersivo.
«Faith! Faith, come here, come on!» la voce di sua madre la richiamò dal piano di sotto. La ragazza non si affrettò: si tolse la cannuccia di bocca e, tenendo il bicchiere tra le mani, uscì dalla stanza e percorse le scale con calma, gustandosi il rumore delle sue All Star che si scontravano con il pavimento di legno.
«Here you are!» continuò sua madre, sorridendole.
«Mamma, smettila! Perché mi parli in inglese?» si avvicinò al frigorifero e guardò cosa c'era dentro, più per hobby che per altro.
«Così, fra un po' sentirai parlare solo italiano, magari ti mancherà l'english!» le fece l'occhiolino e poi si voltò verso di lei.
«Mi parli in italiano da quando sono piccola, mi fa effetto se inizi a parlare così!» quasi la rimproverò, finendo per sospirare ed attendere che la madre iniziasse a parlare.
«Ok, ok!» cominciò questa, per poi comunicarle il necessario: «Volevo solo chiederti se sei veramente sicura di questo trasferimento. Chieti è piccola, non vedo perché devi spostarti così tanto, Faith...».
«Ne ho bisogno, mamma.» esordì questa, sicura della sua scelta. Sapeva dove la madre volesse andare a parare. Non era mai stata d'accordo su quel trasferimento, anzi, credeva fosse una pessima idea: “Per cambiare vita non c'è bisogno di cambiare addirittura paese”, ecco cosa le aveva detto quando Faith le aveva comunicato la sua decisione.
Peccato, però, che la ragazza avesse veramente bisogno di andare fuori, cambiare proprio tutto per poter ricominciare da capo. Forse era più un'emergenza che un semplice bisogno.
«Ma potresti andare a Glasgow dallo zio, no? Oppure andare ad un College più lontano! Perché proprio in Italia?» insistette, col volume della voce leggermente più alto.
Faith si allontanò dalla donna e raggiunse la porta della stanza, congedandosi ripetendo: «Perché ne ho bisogno, mamma.». Corse su per le scale ed entrò nella sua futura ex stanza, si buttò sul letto coperto di cellofan e si abbandonò ai suoi pensieri, sognando ad occhi aperti una vita nuova, felice, sorridente, solare, e sicuramente non inglese.


Quando tornai a casa i miei genitori già dormivano. Mi tolsi le scarpe e mi rifugiai nella mia stanza, per poi stendermi sul letto ed iniziare a pensare di nuovo a lei, quella ragazza che era diventata già il centro delle nostre ultime serate, probabilmente senza volerlo.
Faith. Che nome strano, pensai, magari a Londra va di moda come da noi Andrea, Laura, Giulia...
Mi voltai dall'altro lato e chiusi gli occhi. Dovevo dormire: l'arrivo della nuova tipa non avrebbe di certo mitigato i rimproveri di mio padre se il giorno dopo non mi fossi alzato in tempo per andare a lavoro.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Ciao, ragazzi/e!
Con immensa gioia vi lascio questo nuovo capitolo, spero tanto che vi piaccia (soprattutto alla mia prima e per ora unica censitrice *-*).
Un bacio a tutti!
Elena



    Capitolo 4

{ sabato 2 aprile 2011 }


Giulia arrivò alla stazione di Chieti con un discreto anticipo. Le panchine della sala d'attesa erano praticamente vuote, così la ragazza si accomodò e cominciò ad osservare i distributori alimentari che si stagliavano alla sua sinistra. In totale erano tre: uno esibiva merendine, uno bevande e il terzo caffè e derivati. Giù si avvicinò, sperando che quest'ultima offrisse anche cioccolata calda, ma, delusa, si sedette di nuovo in uno dei posti liberi.
Era da tantissimo tempo che non metteva piede in una stazione, più precisamente dall'ultima volta in cui aveva adempiuto al suo impegno: andare a prendere Giorgio al suo ritorno da Pescara, dall'università.
Quasi ogni giorno lei lo aspettava nel parcheggio per pochi minuti, poi vedeva il treno avvicinarsi e, sorridente, aspettava soltanto che il suo ragazzo la raggiungesse, la salutasse con un bacio e poi lo accompagnava a casa, salutando a distanza sua madre con un cenno della mano attraverso il finestrino.
Anche quando le mancavano le forze, la voglia di fare e di vivere, Giulia non mancava mai quell'appuntamento. Era una delle poche cose di cui era incapace di scordarsi. Giorgio era sempre stato il suo punto fermo, il suo più grande aiuto in tutte le situazioni, anche in quelle più difficili. Lui l'aveva aiutata sempre, in ogni momento: prima di essere il suo ragazzo, Giulia considerava Giorgio il suo migliore amico, la sua stella polare...
«..è in arrivo al binario due. Attenzione, allontanarsi dalla linea gialla!».
La ragazza scosse la testa e tornò nel mondo reale: non aveva capito quale treno stesse arrivando! Era talmente presa dalle proprie riflessioni che non aveva ascoltato l'annuncio!
E se fosse stato il treno di Faith? Già stava per mettere piede in una città nuova, come minimo non conosceva neanche bene la lingua... Giulia doveva farsi trovare quantomeno al binario!
Si guardò intorno alla ricerca di qualcuno a cui chiedere, ma le sembrava di trovarsi in piedi deserto.
Uscì velocemente dalla porta che dava sul primo binario e cercò una faccia gentile a cui potersi rivolgere.
«Scusi?» si avvicinò ad un signore sulla quarantina, capelli brizzolati leggermente radi e montatura fine e argentata, che risultava quasi invisibile in lontananza.
L'uomo si voltò e le sorrise: «Sì?».
«Mi sa dire che treno è appena stato annunciato?» un leggero fiatone la accompagnò di lì a pochi attimi.
«Quello proveniente da Roma, però non le so dire dov'è diretto.» un'espressione dispiaciuta apparve sul volto di quell'uomo, ma Giulia aveva saputo quello che voleva, quindi si congedò con un gran sorriso e un ringraziamento di cuore, poi corse al secondo binario, pronta a dare il benvenuto alla nuova arrivata.
Percorse velocemente le scale di marmo che la conducevano al sottopassaggio e riapparve a pochi metri di distanza ma dall'altro lato dei binari.
Fece qualche passo avanti e indietro, sperando che le passasse il fiatone. Dopo qualche minuto vide il treno avvicinarsi e iniziò col sistemarsi i capelli, portandoseli dietro l'orecchio.
Il rumore dei freni si fece sempre più forte fino a che il treno non si fermò completamente di fronte a Giulia. Nonostante non conoscesse questa ragazza, si sentiva agitata. Era come se si fosse trovata in procinto di fare un esame: e se questa ragazza fosse stata antipatica nei suoi confronti? Se non si fossero trovate bene e avessero passato tutto il tempo in silenzio, ascoltando solo i rumori della natura e del traffico, senza spiccicare parola?
Le porte si aprirono e così quelle paure sembrarono temporaneamente sparire dalla mente di Giulia.  Da ogni angolo spuntavano facce nuove: come l'avrebbe riconosciuta?
Cominciò col guardarsi intorno e cercare di riconoscere una faccia “straniera”, un segno che la distinguesse.
«Giulia?».
La diretta interessata si voltò di scatto e di fronte a sé vide una ragazza mora, con uno splendido sorriso dipinto in volto, due valigie sotto le sue mani e una borsa a tracolla che sembrava pesante.
«Faith?» Giù si riprese subito e tentò la fortuna, ottenendo come risposta un cenno affermativo del capo.
«Benvenuta!» le si avvicinò e si scambiarono un abbraccio di benvenuto di qualche secondo, poi tornarono a guardarsi e Giulia si sentì a notevole disagio: la ragazza capiva l'inglese oppure no? Parlava qualcosa di italiano?
«I speak.. a little..» rise, sottolineando le parole con un gesto della mano, ma fu subito interrotta da Faith.
«Non ti preoccupare, io so l'italiano! Sono bilingue.».
In un secondo Giulia si sentì molto più leggera, sospirò e riprese: «Meno male, io con l'inglese sono una frana! Comunque tanto piacere, benvenuta a Chieti!».
«Grazie! Sembra splendido qui!» iniziarono a chiacchierare e poi, dividendosi le borse, uscirono dalla stazione ed entrarono nell'auto di Giulia, dirette a casa.
Durante tutto il tragitto la Nuova fu affascinata dal paesaggio e dal sorriso dipinto sui visi di quasi tutti i passanti, cosa che, secondo la sua opinione, in Inghilterra mancava chiaramente.
«Sembra che gli inglesi seguano il tempo. Là piove sempre, oppure è comunque nuvoloso, e lo stesso gli inglesi: non sorridono mai!».
Giulia sorrise, stupida dalla sua padronanza della lingua italiana: «Beh, effettivamente noi italiani siamo molto solari!».
«Per me è una cosa stupenda! Amo vedere la gente sorridere!»
«Come fai a sapere così bene l'italiano?» la curiosità di Giù tornò a galla e fu prontamente soddisfatta: «Mia madre è italiana, mi ha sempre parlato in italiano. Quindi a casa parlavo così mentre a scuola, ovviamente, in inglese...».
«Wow!» l'esclamazione di meraviglia scatenò una risata di Faith, che poi si unì a quella di Giulia, sonora.
Arrivarono nel quartiere in cui tutte e due avrebbero abitato, diventando vicine di casa, e Faith cercò in ogni modo di lasciar libera l'altra che, però, voleva a tutti i costi aiutarla con le valigie.
La casa era rimasta disabitata per molto tempo: strati di polvere ricoprivano i mobili e la cosa lasciava capire che almeno la prima settimana di permanenza in Italia sarebbe stata trascorsa nelle pulizie domestiche. I mobili, fortunatamente, non mancavano: tante cose, troppo ingombranti per essere portate via, erano state lasciate lì e Faith poteva sempre provare a riutilizzarle per limitare le spese.
«Mi sa che avremo da fare parecchio!» commentò Giulia, guardando l'altra.
Questa rimase accigliata: «Avremo?».
«Certo! Credi che ti lasci da sola a pulire questo schifo?» sorrise e bastarono quelle parole per far capire ad entrambe che, senza il minimo sforzo, probabilmente stava nascendo un'amicizia.


Finalmente ero uscito dal lavoro. A quell'ora, pensai, Giulia era con Faith: cosa stavano facendo? Era una ragazza carina? Simpatica? Socievole?
Controllai il cellulare ma non avevo ricevuto nient'altro che un paio di messaggi da parte di Gianlu: voleva fare casino quella sera, possibilmente in discoteca.
Svogliato, risposi a quelle righe un po' vago e mi diressi verso casa a passo svelto, ancora sovrappensiero. Un misto di curiosità ed impazienza si impossessò del mio stomaco, leggermente chiuso.
Arrivai a casa in un battibaleno, mi fiondai sotto la doccia per togliermi addosso la fatica della giornata e poi tornai a controllare il telefonino, speranzoso di avere notizie più precise.
Trovai una chiamata senza risposta da parte di Giulia, così le telefonai.
«Ciao Diego!» mi salutò con voce squillante, sembrava allegra.
«Hey Giulia! Tutto bene?».
Sentii delle leggere risate in sottofondo, poi la sua voce raggiunse le mie orecchie: «Certo, tutto benissimo! Faith ha detto che le farebbe piacere incontrarvi stasera!».
Sorrisi, contento della notizia: «Benissimo! Allora avverto anche gli altri, ci vediamo dove l'altra volta? Facciamo qualcosa di tranquillo, se vi va...» aggiunsi quelle ultime parole temendo di aver sbagliato a proporre qualcosa di calmo, ma, al contrario delle mie aspettative, la riposta gioiosa di Giulia mi fece sciogliere. Ci congedammo sorridendo e, senza neanche aspettare un attimo, mi fiondai nella mia stanza per recuperare qualcosa di decente da mettere quella sera. Avvertii subito tutti con un messaggio a catena e, come mi aspettavo, confermarono la loro presenza.
Decisi di cenare con un misero pezzo di pizza, non avevo molta fame. Capivo a malapena cosa stessi effettivamente provando: ero tranquillo ma, allo stesso tempo nervoso, curioso di conoscere questa ragazza e di vederla in faccia. Era come se finalmente avessero messo un po' di pepe nella mia esistenza insapore, era così che la vedevo. Per quanto bene mi trovassi a Chieti e con i miei amici, negli ultimi tempi non succedeva niente di nuovo, niente di diverso. Almeno Faith avrebbe portato qualche novità.
Arrivai di fronte al locale per primo e aspettai soltanto qualche secondo prima di vedere Gianlu, Carlo, Marco e gli altri avvicinarsi.
«Ciao Dié!» salutarono in coro, gli sorrisi e lasciai che mi facessero tutte le domande che vollero.
«Quand'è arrivata?»
«L'hai già vista?»
«Carina?».
Risi: «No, ragazzi, non ho ancora visto nessuno e penso sia arrivata in mattinata, appena arriva glielo chiederemo!».
Gianluca fece zittire tutti con un cenno della mano e domandò, turbato: «Ma parla solo inglese? Come faremo a farci capire?». Calò il silenzio intorno a noi: non ci avevo pensato.
«Non importa!» una voce femminile ci interruppe, così ci voltammo tutti insieme.
Giulia, accompagnata da una ragazza che restava un passo dietro di lei, ci sorrise e salutò: «Ragazzi, questa è Faith. Faith, questi sono...» fece qualche secondo di pausa e poi furono gli altri a dirle i propri nomi, lasciandomi per ultimo.
«Sono Diego.» allungai la mano, pronto per stringere la sua. Faith mi squadrò un secondo, poi parlò: «Oh, Giulia mi ha parlato tanto di te! Piacere di conoscerti!».
Le sorrisi di rimando e poi fummo tutti trascinati dentro al locale. Loro parlavano già di quello che avevano dovuto studiare quel giorno e così io rimasi indietro, aspettando involontariamente Giulia e Faith. Stavano chiacchierando in quel frangente e non potei evitare di voltarmi verso di loro per origliare un po'.
«Qui di discoteche non ce ne sono, bisogna spostarsi un po'...» iniziò Giù, ma Faith la interruppe subito: «Non ti preoccupare, a me non piacciono le discoteche! Preferisco un locale e un gruppo di buoni amici.» si distrasse e si voltò verso di me. Il tempo di uno sguardo fugace e poi una voce di ragazza che, squillante, fece zittire tutti.
«Ragazzi! Eccovi qua finalmente!» Eva proruppe e poggiò una mano sulla mia spalla, facendomi voltare di scatto.
«Siamo arrivati adesso.» precisò Marco, più nervoso del solito. Eva, però, sembrò non accorgersene e, seguita dalla compare Gianna, si accomodò ad un tavolo e ci fece cenno di imitarla.
Non fui di molte parole quella sera, più che altro mi concentrai sull'osservazione. Giulia e Faith non smettevano di parlare e le loro risate coinvolgevano spesso e volentieri anche gli altri, curiosi di conoscerle entrambe.
Faith era una ragazza normale. Guardavo i suoi movimenti e non riuscivo a trovare qualcosa di veramente sexy. Aveva capelli lunghi e castano scuri, che ricadevano sulle spalle leggermente crespi; gli occhi, verde oliva, si spostavano da una persona all'altra come se li stesse analizzando e squadrando da capo a piedi. Sembrava che stesse creando per ognuno di noi delle schede, una lista infinita di dati personali da salvare nella sua mente per catalogarci uno ad uno.
Si mangiava le unghie, probabilmente era un vizio che cercava di limitare perché erano tutte corte tranne i due indici, leggermente rosicchiati. Non era questo, però, ad attirare la mia attenzione. Quando sorrideva era come se emanasse una forte luce che illuminava ogni cosa. Diventava bella, quando sorrideva. Per quanto non fossi fatalmente attratto da quella ragazza, l'espressione del suo viso era capace di ipnotizzarmi.
La fissavo a volte e Giulia se ne accorgeva, mi mandava degli sguardi quasi severi, come se mi stesse pregando di non mettere Faith in soggezione.
In realtà quello in soggezione ero io, e poi da cosa? Dal niente. Un niente che, però, mi ammutoliva e mi intimidiva.
Faith non era la classica ragazza che si lascia abbordare e che diventa amica di tutti; era piuttosto il tipo di ragazza che lascia un alone intorno a sé permettendo soltanto a pochi eletti di attraversarlo per raggiungerla.
«Diego? Come mai così zitto stasera?» la voce di Eva raggiunse subito le mie orecchie. La guardai con occhi persi, ripensando ancora a quel sorriso splendente.
«Come?» presi tempo.
«Sei tutto zitto zitto, quatto quatto!» mi fece un buffetto sulla guancia, rivolgendosi a me come fossi stato un bambino di quattro anni.
«Magari è solo una giornata “no”.» Giulia tentò di salvarmi. La ringraziai con uno sguardo fugace, poi tornai a dare un po' di considerazione ad Eva, per evitare così che facesse dei grandi casini.
«Sicuro che va tutto bene?» continuava a toccarmi mentre mi parlava, recandomi un gran fastidio. Odiavo le persone che mi toccavano sempre, cosa volevano da me?
«Certo, sono solo un po' stanco.» mi inventai, per metà.
«Giusto, tu hai lavorato tutto il giorno!» prese ad accarezzarmi i capelli. Sopportai per qualche attimo e poi con un gesto felino mi allontanai, lasciandola di stucco. Faith notò quel gesto ed io, imbarazzato, evitai il suo sguardo per tutta la sera. Mi sentivo come un bambino che si nasconde dai genitori sperando che non lo becchino a combinare qualcosa.
Quando finalmente Marco e Carlo iniziarono a parlare solo di calcio, le ragazze fecero per alzarsi ed io ne approfittai per congedarmi: «Scusate ragazzi, sono un po' stanco stasera.».
Mi guardarono tutti, compresa Giulia e Faith. Nei loro sguardi, però, riuscivo a leggere qualcos'altro oltre alla sorpresa.
«Ti accompagniamo!» Giù si offrì per prima e non potei rifiutare. Una parte di me, in effetti, lo voleva ardentemente. Era come se per un attimo avessi voluto quel sorriso soltanto per me, che ridesse soltanto con me. Non mi rendevo nemmeno conto di quello che stavo pensando, ero proprio uno stupido.
«Oh, tranquille ci penso io! Sono in macchina e casa di Diego mi è di strada! Andiamo!» subentrò Eva e mi portò via di peso, prendendomi per il braccio e trascinandomi fuori dal pub. Prese a parlare di argomenti che poco mi interessavano ed io staccai il cervello dalla spina, aspettando con impazienza il momento in cui mi avrebbe lasciato davanti il portone di casa, finalmente da solo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Oddio che ritardo o.o
Scusatemi (se c'è qualcuno che legge :p), anzi, scusami (lei sa a chi mi riferisco!).
Eccomi qua col capitolo numero 5! Spero che piaccia e che possa chiarire magari un po' più le idee ;)
Un bacione!
Elena



    Capitolo 5


{ domenica 3 aprile 2011 }


Quella mattina rimasi sul letto fino a tardi, rigirandomi e continuando a riflettere su quello che era successo la sera precedente. Avevo fatto la figura del rimbambito, di questo ero certo.
Se avessi chiuso gli occhi avrei potuto rivedere lo sguardo enigmatico di Giulia e il sorriso di Faith. Poggiai le mani sugli occhi, come per cancellare quell'ultimo ricordo dalla mente. Non aveva niente di sexy quella ragazza, perché mi ci ero così fissato?
Cercai di convincermi che era soltanto un momento dettato dalla novità che era ricaduta sulla mia vita, una persona nuova che speravo avrebbe destato la mia curiosità e per quello cercavo un qualsiasi dettaglio, un appiglio che mi permettesse di essere attratto da lei.
'Eppure quel sorriso ci riesce da solo in quell'intento' pensai, e subito mi coprii il viso con le dita, cercando di soffocare quell'idea sul nascere.
Sospirai rumorosamente e infine guardai la sveglia sul comodino: le undici meno un quarto. Non ero abituato a dormire così tanto, forse avevo dovuto solo recuperare.
Feci un giro completo su me stesso e poi presi a fissare il lato interno del mio comodino. Non ero mai stato così imbambolato con una ragazza, ne ero sicuro. Non riuscivo neanche ad immaginare cosa avesse pensato Faith in quel momento, che idea si fosse fatta di me.
'Sicuramente quella di un coglione!' rispose una vocina dentro la mia testa, ed io cercai subito di cancellare quell'eventualità, nascondendo il capo sotto il cuscino.
Continuai a cercare di svuotare la mente, guardare soltanto il nero delle mie palpebre e lasciare che nessuna vocina dentro di me prendesse il sopravvento. Dopo pochi minuti però fui costretto a rinunciare, così mi misi in piedi e, restando scalzo, me ne andai in cucina.
Aprii il frigorifero e approfittai dell'assenza di mia madre per abbuffarmi con tutto il possibile. Accesi la televisione e mi persi per un po' nei pixel colorati di fronte a me, quando suonò il telefono di casa. Impiegai qualche attimo per rendermene conto e per alzarmi per andare a rispondere, ma poi fui costretto a svegliarmi immediatamente.
«Diego! Buongiorno! Come mai il cellulare spento?» la voce pimpante di Giulia mi costrinse ad allontanare di qualche centimetro la cornetta.
«Giulia, buongiorno!» la voce uscì dalla mia bocca leggermente impastata dal sonno  e lei non mancò di accorgersene.
«Sei ancora addormentato? Ma come sei pigrone!» rideva, non era sola.
«Oggi non lavoro.» spiegai brevemente, sbadigliando: «A cosa devo la chiamata?» domandai, curioso.
«Ma niente, pensavo che potesse farti piacere aggiungerti a me e Faith per un giretto in centro, dato che ieri sera ci sembravi un po' strano.» precisò, diventando leggermente più seria. Se ne erano accorte, fantastico.
Che figura di merda avevo fatto?
«Sì, scusatemi, ero un po' stanco. Comunque vengo volentieri, mi date il tempo di cambiarmi?» mi svegliai immediatamente, come attraversato da una scossa elettrica. Era bastato pronunciare il nome di Faith e i miei nervi avevano vibrato.
«Certo! Dicci tu quando e dove!»
«Fra quaranta minuti in piazza?» ponderai attentamente, calcolando un tempo approssimativo per lavarmi e vestirmi. Non appena concludemmo la telefonata, infatti, corsi in cucina per sistemare tutto, poi mi fiondai sotto la doccia e infine mi vestii con le prime cose che mi capitarono sotto mano. Prima di uscire di casa, però, mi fermai di fronte allo specchio: stavo bene, sì, ero convinto.
Mi stupii di me stesso per l'ennesima attenzione che facevo ai particolari, ma poi decisi di lasciar perdere. Presto sarebbe sicuramente passata, bastava aspettare che si affievolisse anche l'euforia di avere una nuova ragazza in giro con noi.

Giulia e Faith continuavano a raccontarsi le loro vite, rendendosi partecipi di quello che avevano vissuto nelle loro città natali.
«Posso chiederti una cosa?» Giulia fece un tentativo, sperando di non risultare inopportuna.
«Certo! Dimmi pure!» l'altra le sorrise.
«Ciao!» arrivai proprio in quel momento, col passo affrettato per paura di essere troppo in ritardo. Entrambe si voltarono verso di me con sguardo curioso. La sensazione che mi prese non appena mi fermai di fronte a loro fu un misto di felicità e di soggezione. Credevo che quell'impressione iniziale di Faith fosse stata soltanto qualcosa di momentaneo, ma in realtà mi ritrovai nella stessa barca, nello stesso mare di emozioni.
«Eccoti, Dié!» Giulia si avvicinò a me per darmi un bacio sulla guancia mentre Faith si limitava a sorridermi e ad osservarmi con quegli occhi lucenti.
«Ho fatto tardi?» domandai, cercando di togliermi di dosso quella timidezza assurda.
«No no, tranquillo!» quella volta fu Faith a parlare. Aveva anche una bella voce, cavolo, morbida e piena. Calda.
«Scusate anche per ieri sera, ero un po'... fuori forma!» cercai di sorridere, risultando forse un po' ebete.
«Non ti preoccupare, basta che tu ti sia riposato!» Giulia tornò di fianco a Faith, seduta su un muretto.
«Certo!» poggiai una mano accanto al fianco di quest'ultima e poi parlai: «Allora... Che ne pensi di Chieti?» fu la prima domanda che mi venne da farle, una di quelle stupide e insensate.
«Mi piace! Rispetto a Londra è molto più piccola però...».
«Vivevi a Londra?» sbarrai gli occhi, stupito: «Chissà che figata! Non ci sono mai stato, però mi piacerebbe!» sciolsi il ghiaccio e tutto cadde nel fiume delle parole.
Faith cominciò a raccontarmi del quartiere dove viveva, della casa che divideva con sua madre e di come i pub di Londra, per lei, fossero tutti uguali.
Scesero entrambe dal muretto e cominciammo a camminare, senza neanche renderci conto della direzione che stavamo prendendo. Gli aneddoti sull'Inghilterra sembravano non avere fine, tanto che si destò una curiosità in me.
«Come mai sei venuta proprio qui, in Italia?» domandai, probabilmente con poco tatto, ma sincero.
Sorrise, quasi senza gioia: «Non sapevo dove andare...»
«Che vuoi dire?» sorrisi, guardando Giulia, che però non aveva avuto la mia stessa reazione. Divenni immediatamente serio, timoroso di aver sparato una cazzata.
«Voglio dire...» continuò lei: «...che volevo cambiare aria, ma l'unica casa disponibile in cui non dovessi pagare l'affitto era qui. Sono venuta qui per fare economia, insomma.» sorrise, guardandosi intorno.
La risposta non soddisfece molto la mia sete di conoscenza. Cos'era successo di così brutto da portarla non solo a cambiare città, ma addirittura paese?
«Beh dai, almeno sei qui e hai conosciuto noi!» Giulia salvò il tutto in calcio d'angolo, come se avesse già previsto un tale punto di arrivo. Probabilmente Faith a lei aveva confidato tutto, e Giulia voleva in qualche modo proteggerla.
L'aiutai: «Beh, io non ho mai viaggiato tanto, quindi non conosco molti posti.»
«Davvero? E dove sei stato?» Giu colse l'occasione al volo ed arrivammo a parlare dei nostri viaggi, delle gite scolastiche, della scuola.
«Durante le lezioni abitavo in un College, costava parecchio ma mia madre aveva cominciato a mettere i soldi da parte da quando ero piccola...» Faith raccontava quella strana realtà che non avrei mai neanche immaginato, ed io l'ascoltavo, fatalmente ammaliato dalle sue parole. Era strano, perché di solito non mi sentivo in quel modo quando parlavo con una ragazza e, soprattutto, solitamente le ragazze parlavano di tutto tranne che di argomenti che potessero interessarmi.
Ero abituato ad Eva, ai suoi discorsi superficiali e inutili, discussioni sul colore più bello per una borsa o un vestito, cose che a me non interessavano e mai sarebbero interessate. Invece con Faith e Giulia... Ma cosa dico? Con Faith e basta.
Era diverso, stop, nient'altro da aggiungere.
«Ragazzi, io devo fare un passo a prendere il pane e poi vado a casa! Tu, Faith, che fai? Vieni con me?» Giulia guardò l'orologio e senza indugio interruppe i nostri discorsi.
«Oh, io devo tornare a casa subito. Guardo se c'è un autobus.» tirò fuori un biglietto nuovo dalla tasca e si guardò intorno.
Io osai, insicuro: «Se vuoi ti accompagno. Ho la macchina poco lontano da qui.» indicai con il pollice destro il parcheggio alle mie spalle. Lo sguardo di Faith si fece quasi vuoto, come se fosse stata indecisa sulla decisione da prendere. Cercai di comunicarle con gli occhi, poi aggiunsi a parole, che sarebbe stato un piacere, che non era un problema, fino a che non acconsentì e finalmente restammo da soli.
Bastarono pochi secondi per rendermi conto che un “finalmente” con lei era fin troppo azzardato. Mai una ragazza era riuscita ad imbarazzarmi come lei.
«Ti sei divertita ieri sera?» dopo qualche passo al suo fianco finalmente tirai fuori un briciolo di voce, leggera.
«Abbastanza, sì.» arrossì leggermente, portandosi un ciuffo di capelli corvini dietro l'orecchio sinistro, poi però continuò: «Ma non voglio essere di troppo, voi siete un gruppo e...»
«Ci fa piacere se vieni con noi, davvero!» la fermai subito e le sorrisi. Davanti a noi c'erano diverse auto, feci presto però ad individuare la mia. Aprii subito e mi sedetti al volante, mentre lei si accomodava di fianco a me. Quando chiuse la portiera sentii raggiungermi una vampata del suo profumo, dolce ma non troppo, giustamente forte e decisamente buono.
Misi in moto l'auto e nei minuti che seguirono regnò il silenzio, interrotto soltanto dalla voce di Faith che mi indicava dove abitasse e dove fermarmi per poter far meglio manovra. Sapevo bene dove vivesse, conoscevo l'indirizzo di Giulia, ma non volevo toglierle la soddisfazione di guidarmi.
«Eccomi qua, sono arrivata!» si sganciò la cintura di sicurezza e fece per uscire.
«Sei dei nostri stasera?» domandai subito, forse avventato, ma il suo sorriso mi bastò come risposta.
«Volentieri.» uscì dall'abitacolo e si chiuse lo sportello alle spalle, per poi congedarsi con un cenno della mano. La seguii con lo sguardo fino a che non varcò la porta di casa, infine ripartii, la testa piena di idee e allo stesso tempo deserta, svuotata da quel profumo leggero che si stava diffondendo ancora nell'aria circostante.

Una volta entrata in casa, Faith poggiò la schiena alla porta chiusa alle sue spalle e sospirò. Non si aspettava quella domanda così bruciapelo.
Sapeva che prima o poi le sarebbe stata fatta, ma non così presto. Era appena arrivata, come mai tanta curiosità?
Non ci era abituata.
Riempì i polmoni di aria calda e poi si diresse in cucina, domandandosi cosa avrebbe potuto mangiare per pranzo. Continuò a fissare il mobile aperto di fronte a sé per qualche attimo, fino a che il pensiero di Henry non tornò a bussarle alla mente. Era da tanto che non lo pensava, almeno da un paio di settimane, dal momento in cui si erano parlati per l'ultima volta.
Si ricordava ancora la pioggia che li aveva accompagnati mentre loro, seduti al tavolo di un bar, si gustavano un milkshake in silenzio.
«Mi dispiace per Jack.» esordì lei, con le lacrime agli occhi.
«Di cosa ti dispiace? Che non mi abbia ammazzato di botte?» la voce di Henry era severa e rigida, come sempre. Il suo viso, solitamente liscio e candido, era macchiato di lividi scuri che risalivano soltanto ad un paio di giorni prima.
«A te non dispiace di avermi presa in giro?» Faith si fece coraggio, lasciando che la voce tremasse e rendesse note le sue vere emozioni.
«No. Sei carina, Faith, simpatica, ma niente di più. Era solo un gioco.» quelle parole erano coltelli affilati che percorrevano il corpo della ragazza senza neanche il minimo cenno di tentennamento.
Cadde il silenzio, rotto soltanto dal rumore di Henry che tirava su con la cannuccia la sua bevanda, ormai finita. Faith non ebbe il coraggio di dire altro, parlò solo quando ormai lui si era alzato e stava per allontanarsi.
«Me ne vado. Non ci vedremo mai più.» cercò di guardarlo, sperando che le dicesse qualcosa di carino, di gentile.
«Buon viaggio, allora.» furono le ultime parole che Faith sentì uscire da quelle labbra che aveva amato fino all'ultimo attimo.
Tornò al presente, voltandosi verso il tavolo in cucina. Le sembrava quasi che Henry si fosse appena allontanato e che in pochi secondi avrebbe sentito il rumore della porta aprirsi e poi richiudersi, per lasciarlo uscire da quella casa.
Recuperò soltanto un pacchetto di cracker e cominciò a sgranocchiarli, seduta su una sedia, le gambe poggiate sull'angolo del tavolo, le finestre ancora chiuse alla luce del giorno.
Una lacrima, leggera ma potente, scivolò sulla sua pelle, ma lei la raccolse subito, decisa a scordare tutto. Quello che voleva, quello che provava, quello che era successo. Soprattutto, però, voleva scordare la cosa più importante e difficile del mondo: amare.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Wow! Ho visto che non solo ho una lettrice fissa che recensisce (e che ringrazio con tutto il cuore), ma ci sono anche persona che seguono la mia storia *_____*
Non immaginate quanto ne sono felice!! Grazie di cuore a tutti!!
Vi lascio il capitolo 6, sperando che vi piaccia e... ho finito la tesi, finalmente! Potrò postare più spesso :D
Un bacione!
Elena




Capitolo 6

{ domenica 3 aprile 2011 }


L'unico risultato che ottenni quella sera era avere ancora più sete di Faith e di tutto quello che la riguardava.
Poco prima di prepararmi per uscire, infatti, ricevetti un inaspettato messaggio di Giulia che mi chiedeva di passarla a prendere. Ovviamente le risposi che non c'erano problemi, ma allo stesso tempo mi venne da pensare al fatto che così probabilmente avrei dato un passaggio anche a Faith, e la cosa non faceva altro che aggiungere pepe alla serata.
Quando arrivai davanti casa Scalzi, però, fui prontamente deluso: c'era solo Giulia ad aspettarmi.
«Ciao Dié!» mi salutò subito, accomodandosi in macchina. I miei occhi non mancarono di guardarla e di trasmetterle un certo disappunto, convinti di non trovarla sola.
«Pensavi ci fosse anche lei?» colse subito il punto, facendomi leggermente arrossire. Non osai però rispondere, fingendo di essere molto concentrato sulla guida.
Lei, in ogni caso, rispose alla mia inesistente domanda: «Mi ha scritto che non se la sentiva, stava poco bene.».
Destò a mille la mia curiosità, ormai visibile anche sui segni del mio viso. Cercai comunque di celarla ancora per qualche minuto, il tempo di raggiungere la nostra meta e parcheggiare.
Non appena misi piede sull'asfalto, feci uscire la mia voce: «Mi dispiace se si sente male.».
Giulia si fermò ed io la imitai: «Diego, ti piace Faith?» domandò, bruciapelo, mettendomi fortemente a disagio. No, non mi piaceva. Eppure come facevo a negare tutto così apertamente? Non mi piaceva, vero, però mi incuriosiva. Mi accendeva come un bambino con un nuovo giocattolo.
Ed era quello che temevo con forza: che una parte di me la considerasse solo come il nuovo giocattolo del momento.
«No! Perché?» mi misi subito sulla difensiva, ma il mio tentativo probabilmente risultò vano, perché Giulia partì subito in quarta.
«Senti Dié, io non so cosa sia successo a Londra, ma si vede lontano un miglio che è scappata da là per qualche motivo che non ci vuole dire, e probabilmente riguarda un ragazzo, anche perché altrimenti avrebbe voluto tagliare tutti i ponti con la madre.»
«Chi te lo dice che non l'abbia fatto?» azzardai io, speranzoso che avesse torto.
«Il fatto che la sente spesso e volentieri per telefono. Inoltre una che vuole tagliare i rapporti con sua madre non va ad abitare in una casa intestata alla mamma!».
I suoi ragionamenti mi spaesarono e, allo stesso tempo, mi stupirono. Doveva esserci un ragazzo di mezzo. Cosa le aveva fatto?
Tacqui. Aspettai che fosse lei a fare ancora il primo passo. Non fui accontentato, però, così rimasi in silenzio quasi tutta la sera, continuando a pensare a quello che era successo quel giorno e a quello che avrei voluto sapere.
Se Giulia parlava in quel modo, evidentemente, non sapeva nulla della storia più intima di Faith. Forse era stato davvero un problema grave, tanto da chiudersi così profondamente in sé stessa senza volerne più riuscire.
Davanti a me Eva, Gianna e Valentina programmavano un'uscita per martedì pomeriggio, giorno in cui il centro commerciale proponeva sconti altissimi su vari prodotti.
I ragazzi, invece, parlavano ancora di sport. Gianluca quella sera non era ancora arrivato, si sentiva la sua assenza. Se ci fosse stato lui non sarei rimasto così in silenzio per più di un'ora.
«Ragazzi ragazzi ragazzi, scusate!» non dovetti neanche alzare lo sguardo: Gianlu era con noi, finalmente.
«Come mai così tardi?» domandò Valentina, curiosa. Lui, però, rispose solo dopo aver salutato tutti i ragazzi che, sorridenti, gli porgevano la mano per stringerla, da veri duri.
«Ho avuto parenti a casa, che palle!» l'ultimo arrivato si guardò intorno e infine recuperò una sedia dal tavolo a fianco, posizionandola poi di fianco a me.
Quando le acque si calmarono, mi parlò seriamente: «Hey, Dié, cos'hai?» mi guardò con sguardo analizzatore, tanto che fui costretto a tenere gli occhi bassi.
«Niente.» risposi, stupido. Gianluca non era un tipo da credermi al primo colpo, soprattutto quando non lo guardavo negli occhi. Mi prese per il polso e, con una stupidissima scusa, mi portò fuori dal locale. Si accese una sigaretta e fece il primo tiro, aspettando che parlassi. La sua attesa, però, era vana.
«Allora? Che è successo in questi giorni?» domandò ancora, espirando altro fumo dai polmoni. Lo guardai, sentendomi quasi un bambino che viene ripreso da un genitore. Sospirai, tenendo le mani in tasca, poi feci un tentavo: «Faith.».
Gli occhi di Gian si posarono su di me: «Ti piace?» chiese soltanto, scrutandomi con lo sguardo.
«No, cioè.. Non lo so.» fui sincero, per la prima volta dopo ore. Mi misi una mano nei capelli e aspettai che dicesse qualcos'altro.
«Beh...» cominciò, dopo un altro tiro: «La conosci da ieri sera, forse dovresti andare con calma.»
«Non hai capito, Gian, non è come pensi. È solo che mi incuriosisce, è diversa dalle altre, vorrei conoscerla.»
«E fu così che Diego Ricci si innamorò.» rise, buttando il filtro della sigaretta in terra e schiacciandolo col piede.
«Smettila! Non è così.» sembrai quasi risentirmi di quelle parole, come se fosse stata una cosa orrenda. Gli occhi del mio amico mi sorrisero, dispettosi, ma decisi di non farci caso. Dopo quella chiacchierata tornammo dentro al locale, fingendo di non esserci ma detti niente.
«Diego, silenzioso anche stasera?» Eva mi sorrise e cercò la mia attenzione, mentre Gianna e Valentina programmavano la loro giornata di shopping.
«Sono un po' stanco.» le risposi, cercando di essere gentile.
«Devi riposare un po', Dié, non puoi continuare così...» finse di preoccuparsi, poggiando una mano sulla mia, a sua volta stesa sul tavolo di fronte a me.
«Cercherò di farlo.» le sorrisi, tentando di tenerla a distanza. Fortunatamente le sue amiche ottennero di nuovo la sua attenzione ed io potei cercare di distrarmi parlando di altro e di tutto quello che poteva tenere lontana la mia mente da Faith e il suo sorriso, almeno per qualche ora.


{ martedì 5 aprile 2011 }


La settimana seguente iniziò con i soliti ritmi e le solite abitudini, l'unica cosa che cambiò era che desideravo tanto avere un giorno di ferie in più. Le ultime due notti faticai molto ad addormentarmi, come se ci fosse stato un martello pneumatico dentro la mia testa, non troppo forte ma costante.
Avevo chiesto a Giulia se aveva intenzione di andare con le altre a fare shopping, ma mi aveva detto chiaramente che preferiva stare a casa e magari aiutare ancora Faith con il trasloco.
Solo sentire il suo nome mi fece venire una voglia incredibile di andare da lei, parlarle un po', ma con quale scusa? Come avrei potuto giustificare la mia visita?
Finii il turno di lavoro con la mente svuotata da ogni cosa, o almeno così credevo. Salutai mio padre velocemente e poi tornai a casa prima, lasciandolo solo in negozio mentre io, a piedi, pensavo ancora ad una scusa per recarmi a casa di Faith.
Arrivai al portone del mio condominio senza neanche accorgermene, ma nel frattempo ero riuscito ad elaborare una scusa che reggesse: 'Pensavo di darti una mano col trasloco anche io!'.
Entrai in casa, mi cambiai rapidamente e poi uscii di nuovo, presi la macchina e partii, con una meta ben precisa. Non avevo avvertito né Giulia né Gianluca della mia trovata, forse sperando in quel modo di restare da solo con Faith.
Posteggiai la mia auto davanti al cancelletto di casa di Giulia ed aspettai. Non sapevo come, non sapevo il perché, ma mi sembrava giusto riflettere su quello che stavo per fare.
Conoscevo Faith da pochi giorni e Giulia stessa mi aveva detto che la situazione alle spalle della nuova arrivata era delicata, magari avrei potuto risultare antipatico e curiosone. Da un lato, però, sarei potuto risultare simpatico e disponibile, così Faith mi avrebbe visto soltanto come una persona che cerca la sua amicizia, niente di più.
Perché era quello che cercavo, vero?
«Diego?» una voce soffocata dai vetri che ci dividevano mi fece voltare verso il finestrino: era troppo tardi ormai per cambiare idea.
«Faith!» sorrisi, rigido, poi aprii pian piano la portiera ed uscii dall'auto.
«Che ci fai qui?» mi sorrise, gioviale e carina. La guardai per qualche secondo, poi chiusi la macchina e le spiegai: «Mi ha detto Giulia che sei ancora in preda al trasloco. Pensavo di poter dare una mano.».
Vidi i suoi occhi diventare sempre più luminosi. Sentii il cuore farsi più leggero e infine la sua voce mi invitò ad accomodarmi in casa, scusandosi per la confusione e la polvere ancora in giro.
Rimasi colpito dalla sua abitazione: si stendeva su due piani, dividendo la zona giorno da quella notte. Varcata la soglia, sulla destra, c'era un salottino, con due divani e una televisione; mentre sulla sinistra si slargava una bella cucina con incorporata la sala da pranzo. Nonostante non fosse stata abitata da molto tempo, la casa non risultava troppo sporca e polverosa.
«Ci hai dato dentro con le pulizie!» le sorrisi e la seguii in cucina.
«Cos'ho fatto?» sorrise. Forse non era proprio così bilingue come credeva.
«Ci hai dato dentro. Ti sei impegnata tanto.» le spiegai, gentile, e lei rise, finendo di svuotare uno scatolone che aveva portato dentro poco prima.
«Non conoscevo quel modo di dire!»
«Si impara sempre qualcosa!» risposi alla risata e infine le domandai se avesse avuto bisogno di due mani in più per portare qualche peso, e così iniziammo a trasportare borse e altri scatoloni in casa.
«Quelli sono vestiti, ti dispiace portarli di sopra?» mi chiese, gentile, ed acconsentii. Tornai all'ingresso e, sulla sinistra, percorsi una piccola rampa di scale che poi svoltava a destra, portando al piano superiore. Aveva due camere da letto, di cui una matrimoniale, e un bagno accessoriato di doccia e vasca. Lasciai lo scatolone sulla soglia di quella che presupponevo essere la futura stanza di Faith, lanciai uno sguardo al suo interno e poi tornai subito al piano di sotto.
«Questa casa è grande! Ci vivevi coi tuoi?» domandai, sperando di fare conversazione, ma in realtà ricevetti di nuovo un suo sguardo buio.
Si avvicinò al congelatore e tirò fuori due coppette di gelato. Me ne porse una, poi si accomodò al tavolo e parlò: «Io e mia mamma; mio padre non ha mai vissuto qui. In realtà non so neanche chi sia.» aprì la confezione e si gustò il primo cucchiaino di gustoso affogato al cioccolato.
Mi sedetti di fronte a lei, imbarazzato: «Scusami, non volevo.»
«Tranquillo.» mi sorrise, continuando a mangiare: «Non credevo però che mi avreste fatto tutte queste domande da subito. In Inghilterra sono tutti più riservati.» spiegò, solare nonostante tutto.
La guardai per qualche secondo, tenendo in mano la coppetta di gelato ancora chiusa.
«Aprila, altrimenti si scioglie!» mi incitò nuovamente, poi, dopo una pausa, riprese a parlare: «Vedi, non ho mai conosciuto mio padre, e sinceramente non sono così incuriosita di farlo. Voglio dire, mia madre non mi ha mai nascosto niente a parte il nome, mi ha detto che non sa dove si trova, che probabilmente ha già moglie e figli e che potrebbe essere un problema cercarlo.».
Io continuavo a guardarla. L'indifferenza con cui parlava di quelle cose mi colpì profondamente.
«Quindi ho deciso di pensare a farmi una nuova vita, a stare bene. Se mio padre non mi ha voluto prima non vedo perché dovrebbe volermi adesso, no?».
Probabilmente ero la prima persona con cui si confidava, perché sembrava molto impacciata. Era come se volesse dimostrare a parole che non le interessava, ma ero pronto a scommettere che avrebbe fatto di tutto pur di averlo lì con lei e di parlargli, come una figlia dovrebbe fare col proprio padre.
«E i tuoi invece?» spostò il discorso su di me, curiosa. Ci misi qualche secondo prima di cominciare: «Fortunatamente stanno insieme, sono sposati... E basta, niente di interessante.» finii, annoiato della mia vita.
«Come no? Dev'essere bello. Avere una famiglia, intendo.» mi guardava, intensamente. Non riuscivo a reggere quella forza, mi sentivo quasi debole.
«Beh, sì.» mescolai la mia merenda, fissando il bianco del fiordilatte e il marrone del cioccolato amalgamarsi in un color nocciola.
«Però?» mi interruppe lei.
«Anche avere una famiglia è difficile, credimi.».
Sorrise, raschiando con il cucchiaino la coppa di gelato, ormai finita: «Ogni cosa è difficile. Si dovrebbe poter scegliere la “meno peggio”, però.». Capii che il discorso era concluso.
Non insistetti, anzi, la aiutai a cambiare argomento, chiedendole quale gusto di gelato preferisse. Fu felice di continuare a parlare con me, ed io ero sollevato all'idea che non cercasse di allontanarmi nonostante la confidenza precedente.
Il pomeriggio, ormai stava volgendo al termine: «Se vuoi ti faccio sapere quando usciamo tutti insieme, ok? Sarà verso il fine settimana...» feci io, prima di montare in macchina.
«Certo, no problem!» mi fece un occhiolino e, dopo avermi lasciato il numero di cellulare, mi salutò con un cenno della mano. Accesi il motore e mi avviai verso casa, sentendo dentro di me una sensazione particolare farsi largo, conquistandomi completamente.
Soddisfazione.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Mi scuso davvero tanto per i miei ritardi! Spero di non perdere nessuno di coloro che recensisce/legge/segue/preferisce la mia storia  ^_^
Augurandomi che anche questo capitolo vi piaccia, vi ringrazio tutti e spero di non perdervi andando avanti con la storia!
Un bacio,
Elena


 
   Capitolo 7

sabato 9 aprile 2011 }


I miei genitori avevano cominciato a fare delle domande su Giulia e Faith, pretendendo che fossi capace di rispondere esaurientemente alle loro curiosità. Io cercavo di essere evasivo, non mi andava di parlare di Faith, anzi, avrei preferito non pensarla più.
Dopo quel pomeriggio a casa sua, avevo cenato con i miei e poi me ne ero andato a letto, stanco dalla giornata appena trascorsa. Avevo sentito Gianlu, mi aveva telefonato per chiedermi come stessi, ed ero giunto alla conclusione che quello che mi spingeva verso Faith era semplicemente ossessione e mancanza di altri stimoli.
Ci avevo pensato, avevo cercato di capire i miei stessi comportamenti ed avevo deciso che doveva essere così. Il mio amico si esponeva poco a riguardo, sembrava darmi ragione, ma non si poteva mai sapere con lui. Spesso e volentieri se ne usciva fuori con cose di cui avevamo discusso un mese prima e su cui lui aveva continuato ad avere una certa opinione, completamente opposta alla mia.
Io, però, mi ero deciso, e così non mi feci più prendere dal suo pensiero, sparii dalla sua vista e mi feci sentire poco anche da Giulia. La scusa del lavoro mi permetteva di poter pensare ai fatti miei, e così avevo concentrato la mia attenzione soltanto su quello.
Mio padre non poteva che essere contento delle mie prestazioni dato che ultimamente erano parecchio fruttate e così, oltre ad aver guadagnato un po' di pace interiore, ero riuscito a far contenti anche i miei e quindi ad avere meno rotture.
La mia prima settimana di sforzi si stava concludendo e potevo ritenermi soddisfatto dei risultati che avevo ottenuto. Credevo e speravo che le cose sarebbero continuate in quel modo, che avessi raggiunto un equilibro stabile a cui poggiarmi, e quella sera sarebbe stata la prima volta in cui avrei messo alla prova tutti i miei sforzi.
Con un veloce passa parola girò la voce che ci saremmo trovati tutti a casa di Valentina, che approfittava del fatto che i suoi erano fuori città, e chiesero a me di avvertire anche Giulia e “la nuova”.
Lì per lì ero sul punto di dire di no, di rifiutarmi di cercarle apposta, ma alla fine mi resi conto di quanto sarebbe risultato infantile comportarmi in quel modo, così scrissi un messaggio a Giulia, chiedendole anche di dirlo a Faith.
Come se le cose stessero succedendo apposta per mettermi in difficoltà, Giu mi rispose che non sapeva dove Vale abitasse, e quindi chiedeva di passarla a prendere.
Non potevo rifiutarmi, purtroppo, anche se percepivo una sensazione allo stomaco che non mi piaceva. Era come adrenalina, eccitazione liquida che mi scorreva nelle vene. Era giunto il momento di mettere alla prova tutti i miei sforzi, tutte le mie fatiche, tutti i miei tentativi di convinzione riguardo la fugacità e inconsistenza dei miei sentimenti per Faith.
Dissi a Giulia che sarei passato a prenderle alle nove e poi mi buttai sotto la doccia bollente, sperando che quel calore sciogliesse anche i brutti pensieri che mi arrovellavano la mente. Giunse il momento di prepararsi ed io non persi tempo: decisi di vestirmi più elegante del solito, giustificando i miei gesti con il fatto che era sabato e che se non avessi portato quegli abiti nel weekend quando avrei dovuto?
«Esci?» la voce di mia madre si affacciò in camera insieme a lei, ma io, nervoso, le risposi con un unico “Sì” gelido, tanto che lei se la svignò dicendomi solo di farmi sentire, di darle notizie di me.
Pensai che ormai ero grande, non c'era bisogno di tutte queste premure, ma ero sicuro che se non ci fossero state mi sarei sentito trascurato.
Uscii di casa con la testa pesante, forse piena di troppe preoccupazioni che, invece, speravo non ci sarebbero state.
Mi ritrovai davanti casa Scalzi senza neanche rendermene conto, svegliando soltanto al suo di due voci femminili che accompagnavano le proprie chiacchiere con delle leggere risate.
Accostai l'auto e mi voltai: Giulia e Faith stavano chiacchierando, poggiate al portone e aspettando il mio arrivo. Pensai che sarebbe stato bello poter passare del tempo come facevano loro, magari insieme a loro, ma proprio in quell'istante Giulia si voltò verso di me e mi sorrise, salutandomi con un cenno della mano. Anche Faith si voltò e mi salutò con un sorriso, così cercai di sciogliermi e feci loro cenno di avvicinarsi e di salire in auto.
Con passi leggeri vennero verso di me e salirono in macchina, ma non secondo le mie aspettative: Giulia si accomodò dietro e Faith si sedette davanti, sul sedile di fianco al mio. Speravo che si sarebbero messe vicine per poter parlare meglio, ma fui deluso, nuovamente.
«Posso?» Faith fu formale, ma io non mi sarei mai sentito di dirle di no. Le risposi che non c'erano problemi, evitando però di guardarla negli occhi, anzi, approfittai del momento per controllare dallo specchietto retrovisore che la strada fosse libera e così partii diretto da Valentina.
«Dove abita Vale?» domandò Giulia, curiosa e socievole.
La guardai grazie allo specchietto: «Vicino, ma non mi ricordo il nome della strada.» quasi mi vergognai per quella mancanza.
«Ah beh, allora non sono l'unica!» Giu rispose, risollevandomi, e così cominciarono a parlare loro due, lasciandomi in disparte.
Nonostante prima non fosse stata la cosa che più desideravo, in quel momento era tutto ciò che speravo, contraddittorio.
Arrivammo e lasciai la macchina a pochi metri di distanza. Le ragazze mi aspettarono per uscire e poi tutti insieme ci avvicinammo a casa Giuri. Mi feci avanti, suonai il campanello ed entrai per primo.
«Ciao ragazzi! Siete gli ultimi!» Valentina ci salutò calorosamente, per poi dare il via decisivo alla festa.
Non facemmo in tempo ad entrare in casa, che subito io mi allontanai, deciso a trascorrere meno tempo possibile con le ragazze. Giulia e Faith mi seguirono con lo sguardo mentre me ne andavo, ma poi Carola e Valentina si rivolsero a loro e così cominciarono ad interagire con le altre anche senza il mio aiuto.
Andai da Marco e Carlo, che avevano già iniziato a discutere tra loro, mentre Gianluca, che fino a quel momento si era trattenuto, si stava ingozzando di patatine e noccioline. Cominciarono le risate e gli scherzi, tanto che mi resi difficilmente conto del tempo che passava.
Non potevo, però, fare a meno di lanciare qualche occhiata ogni tanto a Faith, incontrando spesso il suo sguardo, quasi stupito. Cercai in ogni modo di evitarla, e, di conseguenza, di evitare Giulia. Non potevo farne a meno, era come se fosse stata una tentazione a cui mi sentivo di dover fuggire.
«Diego, vieni con me in terrazza? Ho voglia di una siga.» Gianluca mi richiamò all'attenzione toccandomi la spalla ed io lo seguii, fiacco.
Arrivammo all'aria aperta e subito Gianlu tirò fuori sigarette e accendino, pronto a fumarsene una.
«Mi spieghi cos'hai?» domandò, accendendo una Pueblo.
Lo guardi, accigliato: «In che senso?» cercai di prendere tempo, ma con lui non avrebbe mai veramente funzionato.
«Dai, Dié! Prima ne parli continuamente e ora non la consideri neanche! Per caso è successo qualcosa che non so?» mise il dito nella piaga, portandomi a dare una risposta che mai mi sarei immaginato di pronunciare: «A me Faith non piace!».
Il suo sguardo divenne volpino, mi scrutava fino al midollo. Fece un altro tiro e infine parlò: «Ti sei dato la zappa sui piedi da solo, caro il mio Diego!» mi prendeva ancora in giro, stupido.
«Smettila.» ero risentito, ma privo di vere forze per negare il tutto con convinzione.
«Mah, se lo dici tu...» fece in tempo a fermarsi prima che un'altra voce si intromettesse tra noi.
«Ciao ragazzi.» era lei. Faith.
Cosa ci faceva qui? Ci aveva seguito? Mi aveva tenuto sott'occhio tutta la sera?
Gianluca sorrise, buttò la sigaretta in uno dei vasi per spegnerla, e poi si rivolse a lei: «Ciao Faith! Come ti trovi?».
Parlarono qualche secondo, mentre io cercavo di trovare dentro di me una giustificazione plausibile per il mio comportamento da emerito coglione.
«Vado dentro, si sta facendo fresco.».
Lo avrei ucciso, quello era poco ma sicuro: perché ci stava lasciando soli? Lo faceva apposta, ne ero certo.
«Diego...» cominciò lei ed io la guardai, senza dire nulla.
«Qualcosa non va?» domandò, diventando leggermente rossa. Le sue guance avevano cambiato colore e in un secondo si era portata alla bocca una mano, forse per rosicchiarsi qualche unghia a causa del nervosismo.
«No, perché?» cercai di risollevarmi. Mani in tasca e sguardo sicuro, almeno per finta.
«Perché sei strano stasera.» lei era più sicura e tenace di me.
Sì, ero stato uno stronzo. Ma come potevo spiegarle i miei motivi? Erano cose comprensibili o stupidi capricci di uno stupido?
«No, non è vero!» la tentai, senza rendermi conto della figura da scemo che stavo facendo.
«Diego, non dire cavolate. Se ti ha dato fastidio qualcosa di me, insomma... Se non vuoi la mia amicizia basta dirmelo, non ci sono problemi.».
Mi sentii morire dalla vergogna. Aveva veramente pensato quelle cose? No, non era possibile. Ero un grande stronzo, punto e basta.
Dovevo risollevare la situazione: ma come? Chiedere scusa? Forse non era abbastanza.
Cercare di giustificarmi in qualche modo? Potevo tentare.
L'arte dell'arrangiarsi.
«No, non sono sparito! Solo che tra il lavoro e il resto...» mi arrampicai sugli specchi troppo spudoratamente, tanto che la vidi sorridere senza gioia, come se si fosse resa conto dell'enorme bugia che stavo dicendo in quell'istante.
«Diego, ti ha dato fastidio sapere la mia storia? Dei miei genitori?» Faith fu diretta, quasi spietata nei miei confronti. Come poteva chiedere una cosa simile? Se anche fosse stato così, come avrei mai potuto risponderle?
«Certo che no! Perché dovrebbe?» fui completamente sincero. Perché mai avrebbe dovuto darmi fastidio una cosa del genere? Era la sua vita, i suoi vissuti...
«Non lo so, però sembra che tu mi stia evitando e la cosa non mi piace.» mi guardò dritto negli occhi ed io mi sentii sprofondare.
Ero stato uno stronzo, inutile negare.
Come potevo, però, rimediare? Non sapevo cosa dirle, cosa fare. I suoi occhi mi stavano penetrando, mi sentivo come un bambino ripreso dalla sua maestra preferita. Sentivo la sua delusione che, a sua volta, si ripercuoteva su di me con un senso di grande frustrazione.
«Scusami, non volevo...» dissi infine, finalmente convinto delle mie parole. Vidi i suoi occhi sciogliersi un po' e quasi diventare comprensivi. Mi persi in quelle piccole sfere verdi, mi sentii sprofondare nel terreno fino a scomparire mentre lei, indifferente, mi guardava sparire nel nulla.
Solo in quel momento mi rendevo conto che forse non era una stangona di quelle che si sognano nella vita, però era bella. Era bella nella sua imperfezione.
Era bella nel modo di camminare e di porsi, di mangiarsi le unghie per pentirsi subito di averlo fatto. Era capace di arrovellarmi le viscere con un semplice sorriso e lei neanche se ne rendeva conto.
Tolsi lo sguardo dal suo corpo e cercai di tornare in me: guardai fuori dal terrazzo e mi soffermai sui motorini dei miei amici parcheggiati proprio davanti al portone, visibile dalla balaustra.
«Tranquillo. Però ci tenevo a capire.» mi fece un sorriso stupendo e poi incrociò le braccia e si ritirò su se stessa, come se avesse avuto freddo.
«Vuoi tornare dentro?» domandai, premuroso.
«Mi piacerebbe.».
Non appena sentii la sua risposta feci strada, tornammo insieme agli altri in salotto e ci dividemmo di nuovo, ma quella volta consapevoli che in realtà avremmo voluto stare un po' insieme.

«Io andrei, ragazzi.» Carola guardò Giacomo e poi parlò. Il ragazzo, inizialmente un po' scettico, si alzò dal divano e si versò ancora un bicchiere di sangria, precedentemente preparata da Valentina e Faith. Era incredibile come quest'ultima fosse riuscita a conquistare la simpatia di tutti, senza eccezioni. Forse solo Eva sembrava un po' diffidente, ma non le diedi troppo peso. Anzi, poco me ne fregava.
Nel giro di una mezz'oretta anche gli altri si alzarono e si congedarono, lasciando che gli ultimi fossimo io, Gianluca, Giulia, Faith ed Eva.
«Grazie per la serata e per l'invito.» Giulia parlò anche a nome di Faith, gentile.
«Figurati! Anzi, sono contenta che siate venute!» Valentina le sorrise, calorosa, mentre Eva, distaccata, le guardava di sottecchi.
«La prossima volta potete venire a casa mia! Devo finire di sistemare, poi è completamente libera!» Faith era entusiasta all'idea, ma bastò l'intervento di Eva per smontarla.
«Casa libera? E i tuoi genitori dove sono?» domandò, acida, ottenendo l'attenzione di tutti. Non era un problema il tipo di domanda, ma il tono usato per porla.
«Vivo da sola.» fu la risposta secca e scocciata di Faith, che immobilizzò Eva anche con lo sguardo.
«Oh... Capisco...» furono le uniche parola che l'altra riuscì a dire. Poi cadde il silenzio, tagliato pesantemente dall'antipatia che quelle due ragazze si trasmettevano.
«Bene, io direi di andare, voi?» mi alzai io dal nulla, come se avessi voluto difendere Faith dalle cattiverie degli altri. Giulia mi ringraziò con lo sguardo, Gianluca mi fece un occhiolino di intesa e Valentina mi sorrise, alzandosi per andare a recuperare tutte le nostre giacche.
«Diego...» Eva si avvicinò a me, sguardo felino: «Mi porteresti a casa? Sono a piedi.».
Quanto avrei voluto dirle di no. Quanto avrei voluto chiarirle il fatto che meno stavamo insieme io e lei e meglio era.
«Ti ci porto io! Diego ha già Giulia e Faith da accompagnare!» sentii un braccio cingermi le spalle e capii subito che avrei dovuto fare un altarino a Gianluca.
«Ah... Ok.» Eva mi lanciò uno sguardo agghiacciante e poi se ne andò, si infilò la giacca e aspettò Gianlu alla porta.
«Grazie amico.» gli sussurrai, per evitare di essere ascoltato da altre persone. Lui mi diede una pacca sulla spalla e capii che aveva sentito il mio ringraziamento e che aveva i suoi motivi per essersi comportato così. Era come se mi stesse dicendo di farmi avanti, di non aver paura di ammettere che ero attratto da Faith e che avrei voluto conoscerla meglio, soli io e lei.
«Grazie ancora Vale! Ci sentiamo per domani!» ci salutammo tutti carinamente ed infine ci dividemmo, ognuno diretto a casa propria. Anche per quel viaggio Faith sedette davanti, di fianco a me, mentre Giulia sembra quasi ammutolita, senza un preciso motivo conosciuto.
Le portai a casa in un batter d'occhio. Giu ringraziò distrattamente mentre Faith continuava a sorridermi. Salutai entrambe con un cenno della mano ed attesi che entrassero in casa prima di andarmene. Giulia presto scomparì dietro le mura di casa, Faith però sembrava non riuscire ad aprire la porta.
Attesi qualche secondo e infine uscii dall'auto, curioso di capire cosa stesse succedendo.
«Faith? Tutto bene?».
Si voltò immediatamente, lo sguardo spaventato che aveva mi colpì profondamente.
«Tranquilla, sono io!» le sorrisi e mi avvicinai a lei, lasciando che la mia mano raggiungesse la sua per prendere in mano la chiave di casa.
Le sue dita erano sudate, umide. Probabilmente tutta questa situazione la stava imbarazzando.
«Forse ho dimenticato le chiavi.» esordì, impallidendo.
Guardai il mazzo che avevo in mano e dovetti constatare che erano più portachiavi e pupazzini che altro.
«Queste qui sono le chiavi di Londra, non di qui. Sono una cretina! Fuck off!» esplose, cominciando a dire parole per me insensate, ma che forse per un inglese avrebbero avuto un significato nitido e schietto.
«E ora? Non hai una copia?» domandai, stupido. 'Se l'avesse avuta non l'avrei trovata così nel panico, no?' mi dissi tra me e me.
«No, le ho dimenticate dentro. Come faccio adesso? Devo chiamare la polizia.» si mise le mani nei capelli e gli occhi le diventarono lucidi.
«Hey, calma...» non resistetti e le accarezzai i capelli, facendola voltare di scatto. Era spaventata, tremava di paura, ed io avevo un tremendo istinto di salvarla e di farla entrare in quelle mura, nel suo castello, nel suo nido.
Non doveva tremare.
«Aspetta!» un'idea malsana mi venne in mente: mi allontanai dalla porta e cominciai a guardare se per caso avesse dimenticato qualche finestra aperta. Poggiai lo sguardo su tutte le persiane fino a che non trovai una scappatoia: «Eccola!».
Mi avvicinai di nuovo a Faith che mi guardava con sguardo interrogativo.
«Che finestra è quella?» domandai, indicando un'apertura esattamente sopra di noi. Faith si affacciò e mi spiegò che quella era la finestra della sua camera. Mi guardai ancora intorno e cercai un appiglio per arrampicarmi.
«Diego?» Faith mi richiamò, stupita: «Non fare lo stupido! Ti puoi fare male!» cercò continuamente di fermarmi, ma io ormai non la sentivo più.
Il mio unico pensiero era di farla entrare in casa, farla sentire al sicuro e protetta e, soprattutto, farle capire che di me si poteva fidare. Doveva fidarsi.
Mi arrampicai su un vaso poco distante, riuscendo così a salire sulla tettoia che riparava la porta di ingresso dagli eventuali piogge e venti. Camminai su quelle tegole sconnesse senza riuscire a vedere molto bene a causa della notte.
«Diego! Scendi, per favore!» Faith continuava a richiamarmi, ma io, imperterrito, riuscii a raggiungere quella finestra e ad entrare in casa.
Mi tuffai dentro, finendo sul pavimento della stanza quasi di testa. Mi rialzai in piedi e poi, a tentoni, uscii dalla camera e raggiunsi il piano inferiore, nonché la porta d'ingresso.
Aprii e subito Faith entrò ed accese la luce, illuminando non solo il salotto della casa ma anche il suo sorriso.
«Grazie grazie grazie! Sei unico, veramente! Grazie Diego!» in un secondo mi ritrovai le sue braccia intorno al collo e i suoi continui ringraziamenti perforavano le orecchie quasi impedendomi di godere della sua espressione felice e sollevata. Stupenda.
Dopo un po' di convenevoli, decisi di andarmene. Era tardi e non potevo continuare così, avevo anche voglia di dormire, effettivamente.
La salutai calorosamente e infine me ne andai, lasciando che per tutto il tragitto fino a casa l'unico pensiero fosse il suo sorriso e, senza rendermene conto, mi ritrovai a pensare alle sue labbra e ad immaginare il sapore che potessero avere fino a che non mi addormentai.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Lo so, lo so, sono in super ritardissimo. Non so come scusarmi, spero però di poter tornare presto non solo a postare, ma anche a scrivere. Il 16 mi laureo, finalmente, e in questi giorni, spero capirete, non ho la testa per fare nient'altro che pensare alla discussione della tesi.
Ma comunque sono qua, e mi riprometto che il capitolo 9 lo posterò entro una settimana. Ok?
Adesso vi lascio il capitolo 8: spero che vi piaccia ancora! Grazie per esserci comunque!
Un bacio,
Elena
PS: sono riuscita a modificare tutto, spero ora si legga :(




Capitolo 8

domenica 10 aprile 2011 }


Ero convinto che avrei potuto vivere con tranquillità quella domenica, riposandomi e magari trovandomi ancora con i miei amici. Al risveglio, però, fui subito deluso: mia madre mi stava buttando giù dal letto perché erano arrivati i miei nonni paterni, ed avrebbero trascorso la giornata da noi.
Era da parecchio che non li vedevo, quindi non potevo rifiutarmi. Fino a qualche anno prima abitavano poco distanti da noi, poi però si erano dovuto trasferire per aiutare mio zio e così le visite si erano ridotte a qualche volta all'anno.
Quando ci facevano visita, quindi, risultava essere un affare di stato, e pertanto ero obbligato a stare con loro, senza neanche osare anche solo pensare di potermene uscire ed evitarmi quell'obbligo.
Trascorsi la giornata sovrappensiero, continuando a perdere la concentrazione e rispondendo a volte con parole vuote e sconnesse. I miei nonni, però, fecero finta di niente e, così, quando se ne andarono, non fui costretto a sentire i miei genitori farmi la ramanzina.
Mi rinchiusi nella mia stanza, rendendomi conto che era troppo tardi per uscire, soprattutto dato che il giorno dopo sarei dovuto andare a lavorare. I pensieri, però, non si placarono: grazie a quel diversivo ero riuscito a non pensare a Faith per qualche ora, ma in quel momento, con la calma che segue la tempesta, il suo pensiero non si decideva a lasciarmi. Ricordavo ancora la sua risata intimidita e la sua espressione spaventata dovuta al fatto che si era scordata le chiavi, lo sguardo preoccupato nel vedermi salire fino alla sua camera.
Erano tutti ricordi e sensazioni che non riuscivo a cancellare, a rendere nulli.
Forse dovevo solo rendermi conto che combattere certe emozioni non era altro che una battaglia persa.

{ lunedì 11 aprile 2011 }


In men che non si dica iniziò una nuova settimana e per la prima volta mi sentivo leggero. Quando suonò la sveglia la mia prima reazione fu quella di mandare tutto a cagare e tornare a dormire, ma poi un pensiero si infilò nella mia mente e non si decise ad andarsene: se io ero riuscito ad entrare in casa di Faith semplicemente arrampicandomi su un vaso, allora poteva entrarci chiunque.
Mi svegliai immediatamente, acciuffai il cellulare dal comodino, lo accesi e subito andai alla schermata necessaria per scrivere un nuovo messaggio. Dovetti aspettare qualche secondo prima che il telefono fosse pronto per lasciarmi digitare un po' di lettere, ma alla fine riuscii a scrivere a Faith: “Ti conviene spostare quel vaso, altrimenti anche qualcun altro potrebbe decidere di farti visita in camera!”.
Infine mi alzai e mi preparai per la nuova giornata che mi aspettava. Mio padre era già in cucina a fare colazione, lanciava uno sguardo ad un giornale di gossip che mia madre aveva comprato tempo prima ed aspettava che la caffettiera desse segni di vita per informare che il caffè era pronto.
«Buongiorno.» salutò distrattamente mio padre, senza distogliere lo sguardo dalle pagine plastificate della rivista. Ricambiai ugualmente il saluto e mi avvicinai al frigorifero, affamato. Senza neanche accorgermene consumai la mia colazione e tornai in camera per prepararmi. Una scappata in bagno e poi ero fuori casa, seduto di fianco a mio padre, diretto al suo negozio.
Quella fu una giornata particolarmente impegnativa: sembrava che tutti i computer del mondo dovessero rompersi o non funzionare di comune accordo. Mio padre era costretto continuamente ad assentarsi, mentre io restavo in negozio, fortunatamente con l'aria condizionata.
Non potei controllare il cellulare almeno fino all'ora di pranzo. Faith mi aveva risposto, dicendomi che avrebbe provveduto a spostarlo immediatamente.
Sorrisi all'aria, ma subito fui richiamato da mio padre per tornare a casa per pranzo, e così non riuscii a rispondere subito, perdendo l'occasione di instaurare un minimo dialogo con lei.
Anche quel pomeriggio fu particolarmente pieno, in particolar modo perché fui costretto ad andare a casa di un ragazzino fanatico dei giochi al computer che aveva riempito la propria macchina di virus. Fui costretto a trascorrere quelle ore impazzendo davanti ad uno schermo insensibile e alla voce di un ragazzino viziato che pretendeva che glielo sistemassi in pochi minuti perché doveva riprendere a giocare con le macchinine.
Mantenni la pazienza fino a che non dovetti comunicargli che non c'era soluzione possibile, il computer andava formattato. Mi urlò un po' dietro, ma alla fine suo padre rientrò da lavoro e, scusandosi per il comportamento del figlio, mi disse che potevo portare via la macchina e, anzi, mi sussurrò di tenerla il più a lungo possibile.
Quando quella sera tornai a casa, cenai con poco e mi tuffai a letto. La testa mi scoppiava, ma non sarei mai riuscito ad addormentarmi se non avessi scritto nuovamente a Faith: “Ciao, scusami ma oggi è stata una giornata allucinante. Sono stanco morto, ci sentiamo, ok? Buonanotte!

giovedì 14 aprile 2011 }


Quando mi svegliai il mattino dopo mi ritrovai col telefonino tra le dita. Ero ancora privo di forze, eppure non potevo tirarmi indietro. Non mi ero ancora reso conto che era cominciata una settimana di fuoco e che sarebbe continuata allo stesso modo almeno fino a giovedì pomeriggio.
Quel giorno, infatti, tutti i computer che ci erano stati portati erano stati riconsegnati ai degni proprietari, e noi eravamo rimasti finalmente senza nulla da fare per l'ultima mezz'ora prima della chiusura del negozio.
In quei giorni io e Faith ci sentivamo con qualche messaggio ogni tanto. Ogni volta uno dei due tardava a rispondere e andava a finire che per concludere una battuta o un discorso si arrivava al mattino dopo.
«E se domani tenessimo chiuso?» la voce di mio padre mi deconcentrò dai miei pensieri. Mi voltai verso di lui con sguardo spaesato e sbattei le ciglia, assonnato.
«Cosa, scusa?» domandi, stropicciandomi gli occhi.
«Dicevo, se domani tenessimo chiuso?» usò un tono più scocciato, ma capii subito che più che una domanda la sua era un'affermazione, un volermi informare di un suo progetto. Acconsentii senza il minimo dubbio e infine chiudemmo il negozio, notevolmente sollevati all'idea che la mattina seguente avremmo potuto dormire.
Non seppi perché, ma volli informare anche Faith della novità. Le scrissi che la mattina dopo avrei potuto riposare, che ero entusiasta e che non vedevo l'ora.
Infine mi infilai sotto la doccia e poi cenai, sfinito ma molto più sollevato e contento.
Non feci in tempo ad infilarmi a letto che suonarono alla porta. Andò mia madre, convinta che fosse una sua cara amica, ma invece mi sentii chiamare a gran voce: «Diego! C'è il tuo amico!». Mi affacciai subito nel corridoio e vidi davanti a me il mio grande compagno di avventure che mi sorrideva.
«Vieni, vieni!» invitai Gianluca nella mia stanza e chiusi la porta alle mie spalle, per evitare che i miei genitori sentissero i nostri discorsi.
«Allora? Impegnato in questi giorni?» mi chiese, sedendosi sul bordo del letto.
Lo guardai un po' e poi mi lasciai andare sulla sedia della scrivania: «Un incubo, Gian, veramente un incubo! Sono stanco morto.» mi misi le mani nei capelli e lo sentii ridere, divertito.
«La fatica del lavoro!» mi prese in giro e si guardò intorno. Dopo neanche un secondo suonò il mio telefono: Faith mi aveva risposto.
«Ti cercano!» mi guardò con sguardo incuriosito mentre io recuperavo il cellulare e mi accingevo a rispondere. Non mi resi conto che stavo sorridendo.
«Chi è?» mi richiamò alla realtà, perforandomi con quei laser che si ritrovava al posto degli occhi, quando voleva.
«Faith.» risposi, sentendomi alle strette, e subito nacque un sorriso sulle sue labbra.
«Lo sapevo! Appuntamento?» infilò subito il naso nella mia vita e mi sentii costretto a dirgli la verità.
«Sabato sera si era dimenticata le chiavi in casa, così mi sono arrampicato su un vaso e sono riuscito ad entrare dalla finestra. Allora le ho scritto dicendo di stare attenta e di spostare il vaso e abbiamo iniziato a sentirci così...».
Gianluca mi guardava sorridente: «E alla fine ha vinto lei.». Non capii subito le sue parole, ma alla fine fui obbligato ad abbassare lo sguardo, quasi imbarazzato.
Come potevo vergognarmi del mio migliore amico?
«Ma cosa dici?» cercai di fingere che non fosse come aveva detto lui, ma sapevamo benissimo che tentavo l'impossibile.
«Dai, Dié! Ti è venuta pure a cercare alla festa di Valentina, ti continua a rispondere... C'è qualcosa sotto.» arrivò subito ad una delle sue famose conclusioni affrettate, almeno secondo la mia opinione.
«Non so cosa vuoi dire, ma quella sera da Valentina mi ha solo chiesto perché sono sparito e che se non voglio un'amicizia con lei devo soltanto dirlo, basta essere chiari. Ed io le ho detto che mi fa piacere essere suo amico, poi basta, è finita lì!».
Gianluca si alzò in piedi e si mise a camminare per la stanza: «Diego Diego, non vedi che ti stai già giustificando? Non è un buon segno, fidati.» mi guardò e mi fece l'occhiolino. Infine controllò l'ora e si congedò, dicendo che si era fatto troppo tardi e che era venuto soltanto per vedere se stavo bene.
«E direi che stai benone!» mi diede una pacca sulla spalla ed infine uscì dalla stanza, salutò anche i miei genitori e poi se ne andò, lasciandomi con un mucchio di dubbi in testa.
Potevo veramente piacere a Faith? Poteva veramente volere di più da me?
Non volevo pensarci, così mi infilai a letto e spensi il telefonino, cercando di svuotare la mente per non pensare a quella nuova presenza che, volente o nolente, mi aveva già cambiato la vita.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Ed eccomi già qua! Strano, vero?
Ho pensato che fosse giusto muovermi un po' e smettere di far aspettare così tanto per un capitolo XD
Vi lascio quindi col capitolo 9, sperando che vi piaccia e di leggere sempre qualche riga di recensione :) grazie ugualmente anche a quelle persone che seguono e "basta" la mia storia, sono veramente molto contenta :)
Un bacio,
Elena



    Capitolo 9

venerdì 15 aprile 2011 }


Da quell'episodio in cui mi ero arrampicato sulla finestra e l'avevo salvata dalla telefonata alla sicurezza, Faith non faceva altro che pensare al mio comportamento e al mio strano modo di approcciarmi a lei.
Dal momento in cui era approdata in quella nuova città, la ragazza aveva pensato che avrebbe potuto cominciare una nuova vita priva di problemi ed incomprensioni. Era stata costretta, però, a ricredersi subito, e il motivo ero stato io.
Sin dalla prima volta che ci eravamo visti, lei aveva avuto l'impressione di essere solo un peso per me, qualcosa di scomodo. Quella prima sera che avevamo passato insieme io mi ero rinchiuso nel silenzio, magari era colpa sua. Si ricredette subito dopo, quando la mattina successiva ci eravamo visti e avevamo fatto una bella chiacchierata tra conoscenti.
Da quel giorno Faith si era sentita accettata, ben accolta, e soprattutto fortunata per aver incontrato Giulia. Con lei, infatti, le cose non potevano andare meglio: ridevano, si capivano, trascorrevano molto tempo insieme e, inoltre, Giu si era offerta di aiutarla a trovare un impiego. Faith non aveva bisogno di altro, soltanto una fonte di sostentamento. Aveva una casa, un potenziale gruppo di amici, qualche soldo da parte, ma cominciava a non bastarle più. Non era abbastanza trascorrere le giornate pulendo il salotto o la cucina, c'era bisogno di qualcosa di più, qualcosa che la facesse sentire soddisfatta della propria vita.
Con me, però, le cose non erano andate come sperato. Eppure ero andato a casa sua, l'avevo aiutata, avevo mostrato un certo interesse nel conoscerla: dov'era andata tutta quella voglia di comunicare con lei quando, a casa di Valentina, l'avevo evitata per tutta la sera? Faith si sentiva spaesata, confusa da quel mio atteggiamento, stupita dalla mia lunaticità.
Cominciò a pensare che fossi trattenuto da qualcosa che non osavo ammettere.
'Forse vorrebbe essere mio amico però qualcosa lo turba e non può', pensò lei, subito dopo essere entrata in casa grazie al mio intervento da scalatore.
In quei giorni, però, le cose erano nuovamente cambiate: avevamo cominciato a messaggiare e lei, come una bambina, aveva iniziato a vedere in me quasi un complice, un confidente, una persona con cui condividere qualche segreto in più.
Sdraiata di schiena su quel vecchio materasso, Faith non poteva fare a meno di pensare a me e a tutta quella situazione: che fossi interessato a lei era palese, cristallino. Ma in che termini?
Fu così che nella mente della ragazza tornarono immagini di mesi e anni prima, quando bastava un semplice sguardo in più perché pensasse che un ragazzo fosse interessato a lei.
Era una sognatrice, una di quelle danzatrici sulle ali della fantasia che però viene spinta giù malamente dalla propria nuvola, e a cui vengono tolte le scarpine perché non balli mai più.
Aveva le ali tappate, delle catene invisibili che la tenevano lontano da tutte le altre ragazze con cui avesse mai stretto un rapporto. Si sentiva diversa, si sentiva surreale. Era come se non ci fosse mai stato posto per lei in quell'aria che condivideva con altre persone. Si sentiva tagliata fuori, si sentiva completamente avvolta in un'aurea di nebbia fitta che non sarebbe mai riuscita a scrollarsi di dosso se non fosse diventata come le altre.
Ma cos'era che la teneva lontana da loro? Cos'era che la differenziava da tutte quelle persone con cui passava il tempo?
C'era un pensiero fisso nella mente di Faith, qualcosa che la bloccava in tante confidenze con le sue amiche: non aveva mai fatto l'amore.
Il suo spirito era puro, le sue movenze erano candide, e in contatto con quel mondo a chiazze rischiava lei per prima di sporcarsi, anche senza volerlo.
Ci credeva, credeva nell'amore e nei sentimenti; era però costretta ad usare il passato.
Nel presente non credeva più a nulla, tutto le era stato strappato per un misero gioco, un capriccio, uno scherzo tra ragazzi stupidi e codardi. E lei non voleva più innamorarsi, non volevo più rischiare di avvicinare la propria anima a qualcuno che, in ogni caso, non avrebbe mai potuto condividere quelle che erano le sue idee e i suoi valori.
Quante volte si era ritrovata a parlare con le sue amiche di ragazzi e di sesso, e lei, debole e insicura, si era sempre fatta da parte da sola per sentirsi, se possibile, meno isolata dalle altre.
Quello che sarebbe dovuto essere una cosa meravigliosa, qualcosa da custodire gelosamente, per lei era diventato un peso. Continuava ad esserlo nonostante i migliaia di chilometri che la dividevano dalla realtà inglese da cui era scappata.
Voleva correre ai ripari, voleva fare l'amore. Sì, l'amore, perché qualsiasi cosa fosse successa lei non l'avrebbe mai classificata come “sesso”.
Faith si alzò debolmente dal letto e si avvicinò alla finestra, curiosa di vedere la vita passarle sotto gli occhi. Guardarla e osservarla. Capirla. Gestirla.
In un attimo si accorse che una lacrima, stupida e sfuggevole, le stava attraversando la guancia e le rigava il volto, incurante del fatto che era come una piccola debolezza che, così, si era fatta vedere al mondo. Faith teneva gelosamente alle sue debolezze, così la asciugò immediatamente e fissò lo sguardo nel vuoto, duramente, come per convincersi che quello che stava ideando era la scelta migliore.
Possibile che l'istinto conduca, in ogni caso, ad una scelta sensata? Possibile che ci sia comunque qualcosa di positivo nell'agire senza pensare?
Faith, tornata sul letto, si coprì il viso col lenzuolo e scoppiò a piangere, scaricando al buio quel peso che un viaggio non era riuscito a cancellare. Forse una svolta era necessaria, pensò lei, senza rendersi conto che presto, nel bene o nel male, si sarebbe ritrovata in una situazione più grande di una vita intera.


Amavo dormire. Era una di quelle cose che non avrei mai smesso di fare. La sensazione di un cuscino sotto la testa e del corpo caldo sotto le coperte era, per me, una delle meraviglie del mondo.
L'altra cosa che amavo, mio malgrado, era sapere che qualcuno mi cercava. Mi piaceva tenere il telefono spento per qualche ora e, quando lo riaccendevo, scoprire che qualcuno mi aveva mandato un messaggio o aveva provato a chiamarmi.
Con ancora gli occhi semichiusi allungai la mano per raggiungere il cellulare e premetti il tasto d'accensione. Attesi per qualche secondo e poi controllai: avevo un messaggio non letto: “Ciao Diego! Non ti ho ancora ringraziato a dovere per avermi salvato da una notte sotto un ponte :p Ti va un gelato oggi?
Lessi quelle parole almeno due o tre volte prima di rendermi conto che erano effettivamente vere. Faith mi aveva invitato a mangiare un gelato insieme.
Mi svegliai di colpo, controllai l'ora e notai che quel messaggio era arrivato soltanto pochi minuti prima. Le risposi ad occhi chiusi, senza neanche pensarci. Non avrei mai rinunciato a quell'invito, 'neanche per tutto l'oro di questo mondo', pensai.
Prima di alzarmi definitivamente aspettai una sua risposta. Restai col telefonino tra le mani per tutto il tempo, pronto a premere il tasto giusto per leggere immediatamente la risposta di Faith. Mi bastò soltanto pensare a quello che stavo facendo per darmi dello stupido. Perché reagivo così? Era solo un'uscita tra amici, un gelato in compagnia e due chiacchiere in un venerdì pomeriggio.
Sospirai, chiusi gli occhi, e poi lessi in un attimo il messaggio tanto atteso: “Allora facciamo alle 4 davanti casa mia, ok? (:”.
Le mostrai subito il mio entusiasmo rispondendole con un velocissimo “ok”, poi mi alzai e decisi che, a quel punto, si era fatta necessaria una bella chiacchierata chiarificatrice con l'unico che in quel momento poteva veramente aiutarmi. Gianluca.


Una volta alzatomi, decisi di fiondarmi a casa del Genio nonostante la mancata colazione, convinto che con quella scusa avrei potuto portare quel pigrone fuori casa e, così, saremmo riusciti a parlare tranquillamente.
Ero agitato e la cosa mi dava tremendamente fastidio. Gianluca sapeva tutto di me, gli avevo sempre raccontato ogni cosa. Eravamo come fratelli, ci conoscevamo come le nostre stesse tasche e mi dispiaceva rendermi conto che avevo quasi paura del suo giudizio.
Era come se temessi una sua reazione strana, un commento ridicolo o banale che poi mi avrebbe, in ogni modo, smontato nel mio entusiasmo.
Senza smettere un secondo di pensare a queste cose, scesi in strada, presi l'auto e mi diressi a casa Strozzi senza il minimo indugio. Trovai parcheggio poco distante dalla mia meta, scesi e dopo qualche secondo ero già sotto la finestra di Gianlu.
Suonai al citofono e sentii una voce impastata rispondere: «Sì?».
«Sono Diego.» risposi, temendo che non fosse lui, anche se ne ero abbastanza sicuro.
«Ah, sei il minchione! Vieni vieni!» aprì subito il portone ed io, ridendo, non mi feci attendere. Lui era sempre stato così, i suoi insulti non mi facevano né caldo né freddo.
Arrivai al secondo piano con un leggero fiatone, il mio amico poggiato allo stipite della porta, sorridendomi malizioso: «Se ti sei fiondato qui a quest'ora del mattino vuol dire che è successo qualcosa di succulento.».
Mi aveva preso in castagna: involontariamente rallentai il passo e lo fissai negli occhi, rendendomi conto che non era più il caso di sparare stronzate giusto per negare l'evidenza.
Entrai in casa e mi guardai intorno, cercando di controllare la situazione.
«Siamo soli, tranquillo, parla pure.» mi diede le spalle e si diresse in cucina. Lo seguii un po' intimidito da quello che stavo provando in quei giorni.
Approfittai del fatto che non potevo guardarlo in faccia per tirare fuori quello che pensavo: «Non riesco a capire. Mi interessa, sì, sono curioso di conoscerla e inoltre mi ha invitato oggi a prendere un gelato insieme.».
A quell'ultima frase Gianluca si voltò immediatamente: «Ti ha invitato lei?» sembrava quasi sconvolto.
«Sì. Dice che non mi ha ancora ringraziato a dovere per l'altra sera, quando mi sono arrampicato in casa sua pe-...» fui subito interrotto.
«Sì sì, lo so! Ma si vede che è una scusa come un'altra, dai!» fece spallucce e si avvicinò ad un'anta del mobile per recuperare un sacchetto di biscotti. Notando il mio silenzio, continuò a parlare: «Ormai sono passati giorni, e se ne esce adesso dicendo di offrirti un gelato per ringraziarti? Dai Dié, ti facevo più furbo!».
Sospirai: «E tu sei sempre il solito malizioso.» quasi mi innervosii, come se avesse offeso qualcuno.
«Non c'è bisogno che ti scaldi, eh!» continuava a sorridere, come contento e soddisfatto di provocarmi in qualche modo. «Già il fatto che reagisci così mi fa arrivare ad una conclusione.» continuò lui, senza guardami, ma focalizzando la propria attenzione sulla tazza di latte che si stava scaldando per fare colazione.
«E cioè?» mi sedetti sulla prima sedia che trovai libera, agitato.
Gianluca si prese qualche secondo. Finì di prepararsi il necessario, si sedette di fronte a me e, guardandomi negli occhi, parlò con tono rassicurante, mettendo da parte tutta l'ironia e la malizia che spesso usava: «Diego, si capisce che ti piace. Forse non è proprio la classica gnocca che ti fa andare gli ormoni a mille, però ti interessa e penso che l'abbiano capito tutti. Quindi perché non ti calmi, ci esci e vedi cosa succede? Magari stando da soli scopri che è una rompipalle senza speranza, o magari è proprio una ragazza che ti piace davvero. Non puoi saperlo e non capisco perché ti agiti così tanto anche solo a parlarne.».
Mi stupì, come poche volte aveva fatto. Aveva detto esattamente tutto quello che avevo bisogno di sentirmi dire.
«Hai ragione.» mi misi le mani nei capelli e abbassai il capo, rivolgendo lo sguardo verso il tavolino. Rimasi qualche secondo in silenzio e lui non mi interruppe, consapevole che evidentemente c'era qualcosa in tutta quella situazione che mi metteva a disagio.
«Il fatto è che...» iniziai, bloccandomi subito. Lo guardi e notai immediatamente che sì, mi stava ascoltando, ma era talmente tranquillo che pensava principalmente a gustarsi la propria colazione in pace.
Ripresi: «...è strana tutta questa cosa. Voglio dire, sembrava quasi un fissa che avevo io, niente di veramente importante! Poi però...» mi fermai. “Però” cosa? Non lo sapevo neanche io. Cosa avrei mai potuto ammettere? Non c'era niente, non potevo veramente...
«Ma perché ti costa così tanto dire che ti piace? Non riesco a capire, Dié!» Gianluca si gustò l'ultimo biscotto della colazione, poi si immobilizzò a guardami e ad aspettare che dicessi finalmente qualcosa di sensato.
Io non sapevo veramente cosa fare, ma conclusi semplicemente: «Mi interessa, ok? Oggi ci esco e poi ti dico.» cominciai a disegnare righe immaginarie sul tavolo di mogano su cui Gian aveva mangiato. Rimanemmo in silenzio per qualche secondo e infine fu lui a cambiare discorso e a chiedermi come andasse a lavoro.
Lo ringraziai mentalmente per quell'attenzione e cominciammo a chiacchierare del più e del meno sorvolando tutti quegli argomenti spinosi che ci facevano soltanto del male.
Il mio pensiero fisso, in ogni caso, restava Faith e l'uscita che ci sarebbe stata nel giro di poche ore, ma non potevo fare a meno di ringraziare Gianluca per tutti gli sforzi che faceva col mero scopo di distarmi e portare la mia mente lontano da Lei.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Stavolta il ritardo è tremendo.. più che scusa, chiedo proprio perdono per coloro che leggono e a cui piace questa storia!
Finalmente è finita la laurea, poi c'è stato un viaggetto a Milano, un bel raffreddore, insomma: non sono scusanti ma spero di non avervi perso minimamente!
Spero che questo capitolo vi piaccia! Stavolta torno presto, ho deciso!
Grazie a tutti coloro che leggeranno: spero di leggere sempre qualche recensione **
Elena


    Capitolo 10

venerdì 15 aprile 2011 }


Mancavano solo pochi minuti all'ora dell'appuntamento e percepivo le dita formicolare dall'agitazione. Mi sentivo come un bambino che doveva andare per la prima volta all'asilo: eccitato e tremolante.
Iniziai a prepararmi un'ora prima del dovuto, uscii di casa continuando a chiedermi se mi fossi vestito adeguato alla situazione, e infine partii con un quarto d'ora di anticipo, tanto che sotto casa di Faith dovetti aspettare un po' prima di suonare al citofono.
Non appena lo feci, lei si affacciò alla finestra e mi fece cenno con la mano di aspettare. In quel momento pensai che avrei atteso anche tutto il giorno per lei, ma cancellai quel pensiero dalla mente non appena la vidi varcare la soglia e raggiungermi. Aveva i capelli sciolti che le ricadevano, lucidi, sulle spalle; indossava un maglioncino viola con uno scollo a “V” sotto cui si intravedeva una maglia bianca a collo alto. Pantaloni neri e scarpe da ginnastica, una piccola borsa a tracolla e la giacca di ecopelle tra le braccia.
«Eccomi!» si avvicinò e mi salutò carinamente, lasciando che così notassi con chiarezza il suo trucco debole e chiaro, intento a risaltare i suoi lineamenti dolci ma forti.
«Ciao!» la salutai, sorridente, poi la invitai ad accomodarsi in auto e lei non si fece attendere.
«Avevo pensato di comprare un motorino. Sai, per muovermi meglio nelle vicinanze...» cominciò lei, mentre io partivo e mi dirigevo verso il centro.
«Fai bene, un mezzo minimo ci vuole!» commentai, intento alla guida. I suoi occhi non smettevano di cercarmi e di trovarmi, li sentivo continuamente sulla pelle come carbone ardente.
«Tu hai il motorino?» domandò, semplicemente curiosa.
Accostai l'auto: «Ce l'avevo, però poi ci ho fatto un incidente e alla fine i miei hanno preferito comprare una nuova macchina per tutti in casa.»
«Incidente? Cosa è successo?» domandò subito, una mano sulla maniglia della portiera, pronta ad uscire, e l'altra sulla borsa.
«Ma tranquilla, nulla! Il motorino mi è scappato da sotto il sedere perché la strada era ghiacciata. Il motorino s'è frantumato, io invece mi sono fatto molto poco!» le feci l'occhiolino ed uscii dall'auto.
Lei mi imitò ma non interruppe il discorso: «Cavolo, chissà che spavento!».
Cominciammo a camminare diretti verso la piazza centrale della città come se ci fossimo messi d'accordo prima. Nessuno dei due sapeva dove voler andare, in realtà.
«Gelato o pizza?» cambiò completamente discorso lei, continuando a sorridere ininterrottamente.
«Preferisco il gelato.» feci per prendere il portafoglio dalla tasta posteriore dei jeans, ma lei fu più veloce di me: poggiò una mano sulla mia e mi disse chiaramente che non ammetteva repliche: «Offro io!».
Tentai di farle cambiare idea, ma era irremovibile. Così entrammo nella gelateria più buona della città e lasciai che fosse lei a pagare il tutto.
Uscimmo con due grandi coni tra le dita, sorridenti e scherzosi. Ci accomodammo ad una panchina, un po' sciupata, lasciata libera proprio all'entrata di un piccolo parco per bambini.
«Ci sediamo un po'?» chiese lei, diventando più tesa del solito. Decisi di non farci caso e feci come desiderava, sperando soltanto di poter parlare ancora della sua vita e delle sue esperienze. Quella giornata mi aveva aiutato a capire una cosa importante: mi piaceva la sua compagnia, e per quanto avessi avuto dubbi sul fatto che potesse interessarmi una ragazza di quel tipo, in quel momento ero più sicuro che mai.
Cadde un silenzio che di imbarazzante aveva soltanto una macchia di gelato che mi era venuta vicino alla tasca dei pantaloni. Ci ridemmo sopra, come bambini, e poi tornammo a mangiare più velocemente possibile, timorosi che si potesse sciogliere tutto.
«Tu, Diego, sei innamorato?».
Quella domanda mi spiazzò più di quanto tutti gli episodi precedenti tra noi avessero mai fatto. Era una domanda personale, privata, ma non ero minimamente infastidito dal fatto che l'avesse posta, quanto ero curioso di sapere il motivo per il quale l'aveva fatto.
«No. Non sono innamorato.» risposi semplicemente, sincero. La guardai mettersi in bocca l'ultimo pezzo di cono, poi si voltò verso di me: «Si vede. Manca qualcosa nei tuoi occhi.».
La fissai, stupito da quella considerazione, ma rendendomi conto che effettivamente era facile capire se la persona che avevo davanti era innamorata o meno.
«Neanche tu lo sei.» precisai, sicuro. Lei abbassò subito lo sguardo e sorrise, colta in castagna.
«Al momento non voglio neanche farlo. Ho bisogno di un po' d'aria fresca e di novità.» si voltò ancora verso di me e mi sentii perforato da una lastra di ghiaccio. Cosa voleva dire con quella frase? Cosa stava pensando?
«Diego...» mi richiamò all'attenzione, anche se non ce ne sarebbe stato il minimo bisogno. Pendevo dalle sue labbra, oramai.
«Dimmi.» risposi, fingendo un sorriso tranquillo, anche se dentro di me il sangue stava ribollendo.
«Tu faresti l'amore con me?».
Il mondo si era fermato ed io, stupido, avevo smesso di respirare. Tutto mi sarei aspettato, tranne quella domanda.
Che poi, cosa voleva dire? Fare l'amore con lei? Così, tanto per fare?
«Lo so che sembra una richiesta assurda...» mi fermò subito, come se temesse una mia reazione spropositata e sconvolta.
«Però io...» era caduta nell'imbarazzo. Completamente rossa in viso, cercava di continuare a parlare, ma la voce le si era bloccata a metà strada.
«Non... Capisco, ecco...» mi misi le mani nei capelli e lei subito superò ogni barriera e parlò, andando oltre la mia voce.
«Penserai che sono una stupida, ma non l'ho mai fatto ed è come un'enorme ostacolo che non riesco a superare. Un'onda enorme che non riesco a cavalcare. Desidero soltanto farlo, essere come tutte le altre ragazze con cui parlo, sentirmi allo stesso piano. Ed ho bisogno di una persona fidata che sia disposta ad aiutarmi a... farlo.» non osava pronunciare quella parola, come se, dicendola, potesse veramente venire fuori in tutta la sua enorme pesantezza.
Ero rimasto senza parole. Non credevo possibile che una ragazza arrivasse a tanto.
Stavo per dirle che era meglio di no, che doveva pensarci, che magari si sarebbe pentita, ma lei mi precedette: «Non voglio sentirmi dire che è una cosa assurda e che dovrei pensarci bene. Voglio solo sapere se tu verresti a letto con me e se per te è un problema farlo una volta e poi tornare amici come prima.» mi fissò negli occhi per qualche secondo, poi si alzò e, prima di allontanarsi, mi lasciò con queste parole: «Pensaci. Se decidi che va bene, scrivimi. Altrimenti fai finta di niente e, ti prego, non mi giudicare senza prima avermi conosciuta davvero.».
Se ne andò così, senza lasciarmi il tempo di rispondere e di dirle veramente cosa stavo pensando.
Rimasi da solo su quella panchina per qualche minuto, tenevo ancora in mano il fazzolettino della gelateria e la bocca sapeva ancora di nocciola e cioccolato.
Credevo che sarebbe stata un'uscita “normale” in cui avremmo soltanto parlato e ci saremmo conosciuti, invece mi ero ritrovato con una proposta di quel genere che, obiettivamente, era l'ultima che mai mi sarei aspettato.
Cominciai a mordermi le labbra e a tenere lo sguardo nel vuoto, incurante della reazione dei passanti, pensando soltanto a come potevo risolvere quella faccenda.
Avrei potuto dirle di no, che mi stava chiedendo troppo, ma poi a che scopo continuare a parlare e pretendere un'amicizia, considerato il fatto che stava iniziando a piacermi e dovevo accettarlo senza troppe seghe mentali?
Avei potuto dirle subito di sì, ma non sarei mai riuscito a farlo davvero senza prima vergognarmi un po'. Come avrei mai potuto presentarmi a casa sua e dire: “Sono venuto qui per fare l'amore con te”?
Mi alzai di scatto, buttai il necessario nel cestino dei rifiuti e infine me ne andai, diretto alla mia auto per poi poter tornare finalmente a casa e, così, poter riflettere su quello che era appena successo.
Ne avevo bisogno.


Era accaduto veramente: Faith aveva fatto il passo più lungo della gamba.
Forse stava già iniziando a pentirsi, forse cominciava davvero a credere di aver fatto una cazzata. Come le era venuto in mente di chiedere ad un ragazzo come me, che conosceva da poco più di una settimana, di fare l'amore? E come pretendeva che io le dicessi subito di sì, senza remore o dubbi?
Se era scappata era semplicemente perché si vergognava e avrebbe voluto tanto tornare indietro nel tempo, fino al momento in cui aveva scollegato la bocca al cervello ed era partita in quarta su un argomento così delicato.
E se avessi detto di sì? Lei si sarebbe tirata indietro?
Solo al pensiero sentiva il morso della paura arrampicarsi lungo il corpo e toglierle ogni traccia d'aria presente nei polmoni. Avrebbe potuto prendere il cellulare, scrivere un messaggio di scuse e cercare di cancellare tutto quello che aveva detto, ma con che scopo?
Perdere la verginità non era quello che più desiderava al mondo?
Senza rendersene conto si era incamminata nella direzione opposta a quella di casa sua, e in quel momento si sentiva ancora più persa. Cominciò a guardarsi intorno, convinta di poter riconoscere qualche luogo con cui orientarsi. Sentiva le lacrime salire agli occhi, ma non avrebbe mai voluto veramente piangere. Aveva fatto qualcosa di avventato, certo, ma era sicura di essersi pentita?
Si era buttata, aveva fatto un salto nel vuoto, ma per giorni e giorni non faceva altro che pensare che avrebbe dovuto trovare il coraggio di farlo, e in quel momento poteva veramente pentirsi di esserci riuscita?
«Faith!» una ragazza si stava avvicinando all'Inglese. Quest'ultima si voltò di scatto e si ritrovò di fronte una ragazza conosciuta: «Valentina!».
La ragazza si sentì immediatamente al sicuro; la salutò con un cenno della mano e poi si avvicinarono l'un l'altra sorridendo.
«Che ci fai qui?» domandò Vale, curiosa. Faith non sapeva bene cosa risponderle, ma alla fine trovò una soluzione adatta: «Passeggiavo in centro solo che poi mi sono persa!» rise, delicata, accompagnata subito dalla risata di Vale.
«Persa? Ma figurati, qua è talmente piccola la città!» si posizionò di fianco a Faith e le indicò la direzione da cui era appena venuta: «Tu abiti dall'altra parte, quindi devi tornare indietro!».
Le ragazze si sorrisero e, dopo qualche chiacchiera di cortesia, fecero per allontanarsi. Faith, però, ebbe un'idea: «Hey,Vale!» la richiamò, a pochi metri di distanza.
«Stasera ti va un film a casa mia? Chiamo anche Giulia!» precisò, facendole l'occhiolino. L'altra fece per pensarci, ma accetto quasi subito: Faith era nuova e aveva bisogno di conoscere gente. Era vero che, per il gruppo, Vale avrebbe dovuto dirlo anche alle altre ragazze, ma l'invito proveniva da Faith, quindi lei non doveva sentirsi in colpa nei confronti di Carola, Eva e Gianna.
Anzi, in quel momento preferiva una serata tranquilla con Giulia e Faith ad una serata movimentata con le sue amiche ormai da tempo.
«Ci sto!» le rispose ed infine si salutarono, dirigendosi in direzioni diverse.
Faith aveva bisogno di non pensare a quello che aveva appena combinato con me, e l'unico modo era non passare del tempo da sola, evitare di essere solo con se stessa in mezzo ad una stanza, e inoltre si sarebbero potute conoscere meglio, cosa che non guastava minimamente.
Riuscì a trovare la strada e, prima di entrare, citofonò a Giulia per informarla della serata che le attendeva. Giu era contenta ed entusiasta all'idea, e così Faith si sentì un po' più leggera, più tranquilla, ed anche contenta di poter stare, finalmente, in casa sua con le sue nuove amiche.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


E con un incredibile anticipo, eccomi qua a lasciarvi il nuovo capitolo della mia storia e ad augurarvi Buona Pasqua e Buone Feste!
Vi auguro tanta felicità e, non meno, di mangiare tanta cioccolataaaa! :p
Beh, ringrazio nuovamente le persone che leggono la mia storia, la seguono, la preferiscono e la ricordano, come dice EFP nel "pannello di controllo". Un piccolo grazie in più alla mia recensitrice, grazie ancora per le tue parole!
Spero che anche questo capitolo vi piaccia!
Un bacio,
Elena



   Capitolo 11

venerdì 15 aprile 2011 }


Giulia era rimasta piacevolmente sorpresa dall'invito di Faith, le faceva un enorme piacere sapere che la ragazza aveva voglia di trascorrere del tempo con lei e, da un lato, era anche contenta di poter stare in compagnia anche di Valentina, magari facilitando così una sua eventuale entrata in quel gruppo ormai formato.
Erano passati diversi giorni ormai, ma Giulia ogni tanto ripensava alla mia espressione quando ero andato a prenderla a casa sua tempo prima e Faith non era con lei, oppure alla faccia della nuova arrivata quando io non le avevo dato molta corda.
Insomma, Giulia non era una novellina e si stava rendendo conto che la situazione era fondamentalmente diversa da quello che sia io sia Faith ci ostinavamo a far vedere.
Poiché la ragazza doveva soltanto uscire di casa per arrivare al luogo dell'appuntamento, decise di non arrivare in anticipo ma di approfittare della vicinanza per essere semplicemente in orario. Suonò a quella porta con un'incredibile voglia di chiedere a Faith la verità, domandarle cosa stesse realmente accadendo tra lei e me; ma, quando la padrona di casa aprì e inondò Giulia con un gran sorriso, quest'ultima decise di lasciar perdere. Magari era solo una sensazione momentanea e comunque avrebbe avuto sotto controllo i nostri atteggiamenti, quindi era pronta a tirare fuori l'argomento non appena avesse visto qualcosa di strano nei dintorni.
«Eccoti Giulia!» Faith sorrideva, sembrava veramente contenta. L'unica cosa che non la faceva essere triste era la possibilità di non pensare a me e a quello che mi aveva detto poche ore prima su quella maledetta panchina arrugginita.
«Ciao Faith!» Giulia le rispose sorridendo. Si guardarono e subito la nuova arrivata fu invitata ad accomodarsi, togliere la giacca e sedersi sul divano.
«Posso aiutarti?» Giulia si propose, non avendo voglia di stare ferma ad aspettare.
Faith poggiò la giacca dell'ospite su una sedia in cucina e poi disse che non ce n'era bisogno, che aveva messo le pizze in forno e che si trattava soltanto di aspettare.
Giulia, però, non rimase in salotto da sola ma, intimidita, raggiunse l'altra. Credeva che Faith, come al solito, l'avrebbe inondata di domande, ma così non successe.
«Tutto bene?» domandò Giu, preoccupata. L'altra la guardò subito, prendendo tempo. Non aveva intenzione di dirle la verità, se ne vergognava tremendamente. Con che coraggio avrebbe potuto rivelare quello che mi era venuta a chiedere?
«Certo! Perché no?» Faith le sorrise un po' falsa e poi fu salvata dal rumore del citofono. Corse ad aprire e l'arrivo di Valentina la salvò da ogni domanda scomoda.
«Ciao Vale!» anche Giulia si avvicinò e cercò di essere più cordiale possibile, sempre più sospettosa nei confronti di Faith. Le ragazze cominciarono a parlare e, infine, si radunarono in cucina per preparare la cena: «Ho preparato tre pizze margherita, vanno bene? Ho anche wurstel e altro in frigorifero...» Faith cominciò, ma subito le altre la bloccarono.
«Una margherita va più che bene, devo dimagrire!» Valentina sorrise e poggiò le mani sulla pancia, come per indicare i chili di troppo da dover smaltire.
«Ma cosa dici? Tu stai benissimo così!» Giulia la riprese, quasi risentita.
Le altre non ci fecero troppo caso, si dedicarono all'apparecchiatura e al controllo della cottura delle proprie pizze.
Quella che si stava prospettando era una bella serata tranquilla tra ragazze, cosa che a Giulia era mancata per veramente tanto, troppo tempo.
«Pronto!» Valentina sorrise e portò una pizza in tavola, seguita ed imitata da Faith che, però, proibì a Giulia di avvicinarsi al forno: «Ci penso io!».
Le fece un occhiolino e poi finii di preparare: le pizze fumanti le stavano aspettando e Faith non avrebbe mai permesso al mio ricordo di rovinarle l'appetito.

Io, invece, non riuscivo a fare come lei. Dopo essere tornato a casa non ero riuscito a pensare una frase di senso compiuto. Ero confuso, forse anche troppo.
La cosa che mi aveva in qualche modo stupito e sconvolto era il fatto che lei me l'aveva chiesto in quel modo, come fosse stata una cosa banale. Sì, io l'avrei fatto l'amore con lei, ma con che coraggio le avrei risposto di “sì” ad una proposta del genere?
Poco dopo che ebbi messo piede in casa, Gianluca mi mandò un messaggio per chiedermi com'era andato l'appuntamento.
Lì per lì non risposi, non sapevo davvero cosa fare. Una parte di me aveva soltanto voglia di uscire con i miei amici, magari ritrovare Faith in mezzo a tutti gli altri, e così forse il mio istinto mi avrebbe detto come comportarmi. L'altra parte di me, però, avrebbe preferito restare in casa e pensare, trovare un modo per poter riparlare con lei di quell'argomento e decidere, soprattutto, se dire di sì o di no.
Chiesi a Gianluca cosa faceva quella sera e lui, alla velocità della luce, mi mandò un bel messaggio in cui mi informava che gli altri proponevano un film a casa di qualcuno e, soprattutto, informava che sarebbe stata una serata tra maschi perché le ragazze avevano altri impegni.
Rimasi stupito di quella frase, soprattutto perché, in un messaggio successivo, Gian precisò che Valentina era a casa di Faith insieme a Giulia.
Rimasi per un secondo colpito da quell'informazione: erano tutte e tre insieme, la cosa mi faceva piacere sia per Faith che per Giulia, ma era un modo per evitare uscite in gruppo?
Oppure stava chiedendo loro consiglio su quello che aveva fatto?
Mi sentivo quasi in gabbia e l'unico modo per cercare di uscirne era parlare con qualcuno, chiedere consiglio a mia volta e, magari, farmi dare una tirata di orecchie dal mio migliore amico.

Vieni a casa mia dopo cena. Ho bisogno di un consiglio. Poi semmai raggiungiamo gli altri.

Ero stato schematico e diretto, ma lui sapeva che io ero sempre così. Mi disse che sarebbe venuto e di stare tranquillo. Ed io?
Mi sdraiai sul letto, rivolto verso il soffitto, e poi attesi. Aspettai come uno scemo che arrivasse l'ora di cena.

«Sono buone queste pizze!» Giulia guardava la propria margherita come se non avesse mangiato da un mese.
«Davvero?» Faith si rivolse ad entrambe le invitate, curiosa: «Le ho prese al supermercato, spero di aver scelto la marca giusta!».
«Hai fatto benissimo, sono anche cotte al punto giusto!» Valentina commentò e infine diede un nuovo morso ad un quarto di pizza, affamata.
«Sono contenta che siete venute stasera.» Faith si fece coraggio e disse ciò che pensava. Le altre le sorrisero, felici a loro volta di trovarsi lì.
Valentina aveva scoperto due persone nuove che, nonostante conoscesse da poco, le piacevano molto: «Mi trovo bene con voi. Sono contenta di avervi conosciute, davvero! Ormai nel gruppo le cose non sono così rosee.» confessò Vale, riempiendosi poi la bocca con un sorso di Coca Cola.
Giulia e Faith si scambiarono uno sguardo incuriosito, al quale Valentina rispose senza farsi pregare: «Io sono arrivata come amica di Carola. Con Eva e Gianna le cose vanno bene, però non siamo grandi amiche, anzi, Eva non mi sta così simpatica. Poi Carola si è messa con Giacomo ed è normale che adesso il nostro rapporto si sia allentato. Spesso, però, mi capita di sentirmi un po' “fuori” da quel gruppo, e non è una gran cosa...» un'espressione triste si dipinse sul suo volto.
Giulia e Faith non sapevano bene cosa dire, temevano di poter aggiungere benzina sul fuoco.
«Tranquille!» Valentina aveva probabilmente capito i loro dubbi: «Non c'è molto da aggiungere, sono cose che capitano! Però sarebbe bello uscire sapendo di avere qualche complice con cui confabulare!» era completamente sincera, e le ragazze, da un lato, erano tristi di avere davanti a loro una ragazza così mogia.
«Ci siamo noi adesso, vedrai che piani tireremo fuori!» Giulia rise, risollevando il morale a tutte. Tornarono a ridere, legate un po' più di prima. Trascorsero la serata così,con qualche scheletro di meno nell'armadio e un po' di allegria in più che, in ogni caso, non guastava mai.

Lo stesso non si poteva dire di me e Gianlu.
Era arrivato a casa mia con aria un po' preoccupata, forse il mio messaggio era stato esagerato.
Salutò i miei genitori e poi ci rinchiudemmo in camera mia, accesi lo stereo e feci sì che si potesse parlare senza essere sentiti da fuori.
«Allora? Che mi devi dire di così urgente?» Gian la mise il più possibile sul ridere, ma io non ero molto per la quale. Ero confuso, indeciso.
«Siediti.» lo invitai, cercando di prendere tempo. Lui fece come gli dissi, ma mi rendevo sempre più conto che lo stavo facendo davvero spaventare.
«Stai tranquillo, non è niente di grave. Almeno credo...» pensai, sdraiandomi sul letto e guardando il soffitto.
«Allora? Vuoi sparare?» era impaziente, ed io non l'avrei tirata ancora per le lunghe.
«Faith mi ha chiesto di andare a letto con lei.» dissi tutto d'un botto, lasciando il mio amico letteralmente a bocca aperta. Mi guardava, allibito, senza emettere suono.
Io mi sedetti sul letto e lo guardai: «Così all'improvviso1 Mi ha chiesto se farei l'amore con lei, e poi che sarebbe la sua prima volta, però...» non sapevo cos'altro aggiungere.
Gianluca si alzò in piedi e camminò per la mia stanza, mettendomi ansia. Dovetti aspettare ancora qualche attimo prima di sentire la sua voce: «Ma tu ci andresti, oppure no?».
Lo guardai per un attimo e il mio primo pensiero fu un “sì”, deciso e chiaro. Non riuscivo, però, ad ammetterlo apertamente: «Non so, voglio dire...» cercavo di prendere tempo, ma non mi resi conto che il mio amico si era posizionato proprio di fronte a me per guardarmi dritto negli occhi.
«Non raccontarmi fandonie! Ci andresti o no? Rispondi subito!».
«Sì!» feci come voleva, fissandolo negli occhi. Finalmente Gianluca si allontanò e mi parlò tranquillamente: «Allora che problema c'è? Hai dubbi?» domandò, come se si fosse trattato di darle un passaggio a casa.
«Ma con che coraggio le mando un messaggio dicendo che mi va bene fare sesso con lei?!?» sbottai, alzandomi in piedi e avvicinandomi alla finestra. Guardavo fuori, come se una risposta fosse potuta piovere dal cielo.
«Ma lei cosa ti ha detto?» chiese Gian, curioso.
Mi voltai verso di lui, esausto: «Lei ha detto di scegliere e di scriverle, e che se decidessi di non farlo allora di far finta di niente ed essere amici come prima.» specificai, sospirando.
«Beh, mi sembra una tipa strana, lo ammetto. Però te l'ha chiesto lei, non vedo perché farti tanti problemi.» fece spallucce, sincero.
«Ma come no?!?» sbottai: «Devo scriverle un messaggio del tipo “Per me va bene, dimmi ora e luogo dove scopare.”? Ti sembra normale?» mi sfogai con lui, mostrando finalmente tutti i miei dubbi a qualcuno.
«Non mi sembra una cosa normale! Sembra una casa di appuntamenti!» mi misi le mani nei capelli, confuso.
Gianluca si avvicinò e ipotizzò: «Perché non ne riparlate faccia a faccia?».
Lo guardai storto.
«Dai, una di quelle sere che siamo fuori tutti insieme! Troverete un momento per stare da soli e le chiedi se era tutto vero oppure no. Magari si tira indietro, cosa ne sai?».
Aveva ragione, tremendamente. E se Faith alla fine mi avesse detto che era solo uno scherzo per vedere come avrei reagito in una situazione simile?
Dovevo parlarle. Prima possibile.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Qualche giorno di ritardo, però sono qua!
Ringrazio ancora coloro che seguono/leggono/preferiscono questa storia! E' veramente bellissimo, sono davvero contenta *_*
Spero che anche questo capitolo vi piaccia... grazie ancora per il vostro supporto e, soprattutto, alla recensitrice che non manca mai *_*
Un bacione,
Elena


 
  Capitolo 12

sabato, 16 aprile 2011 }


Finalmente era arrivato il sabato. Era il giorno della settimana che preferivo ultimamente per il semplice fatto che la sera ci si ritrovava tutti insieme e non avevo bisogno di scuse per incrociare quegli occhi verdi che ormai mi avevano stregato.
Non facevo altro che pensare a quelle parole, quelle lettere, quei piccoli suoni che però mi avevano scosso come uno tsunami.
Pensavo a lei, a come fare per dirle di no e a come mi sarei sentito una volta fatta la cosa giusta.
Non sapevo neanche se era da considerarsi “giusta”: cosa c'era di male, infondo?
Due ragazzi che si attraggono e decidono di fare l'amore.
«Diego, ci sei stasera?» mia madre ogni sabato mi faceva la stessa identica domanda, ed io ogni volta le davo la stessa identica risposta: «No, esco.».
Quella sera saremmo andati a casa di Valentina, il pub ci aveva un po' stufato. Così per l'ora di cena mi ero già lavato e profumato, deciso a non farmi assolutamente aspettare.
Scrissi a Giulia per chiederle se avessero avuto bisogno di un passaggio, ma la risposta mi stupì e deluse molto: sarebbero venute a piedi da sole, non avevano bisogno di un autista personale.
Uscii di casa agitatissimo. Era una vita che non sentivo i brividi sulla pelle al solo pensiero di incontrare un ragazza e di doverle parlare. Per quanto Gianluca avesse avuto ragione, però, una piccola voce dentro la mia testa mi diceva che non era giusto, che lei se ne sarebbe pentita e che tutta la situazione sarebbe degenerata da lì a poco.
Cosa avremmo mai fatto dopo quella ipotetica notte?
Che poi, pensandoci, sarebbe stata davvero una notte oppure una cosa di un pomeriggio?
Nonostante tutto riusciva in qualche modo a dispiacermi che si potesse accontentare di una cosa di quel genere per la sua prima volta.
Prima volta: questo era il problema principale.
Sarebbe stata la sua prima esperienza, il suo termine di paragone, la mia prima volta con una ragazza che non aveva mai toccato un ragazzo nudo.
Sospirai, confuso, montai in macchina e mi avviai, sperando di trovare posto per il parcheggio. Fui costretto a fare diversi giri prima di riuscire nell'impresa e dovermi adattare ad un buco fin troppo preciso e un po' troppo distante dalla mia meta.
Continuavo a mordermi le labbra e a toccarmi i capelli, manifestando fin troppo il mio nervosismo. Avrei dovuto cercare di nasconderlo e basta, senza farmi troppi problemi.
La testa mi stava scoppiando.
«Diego!» mi sentii chiamare dall'alto, così alzai lo sguardo e trovai Valentina e Giulia affacciate alla finestra.
'Iniziamo bene!' pensai, e le salutai con un cenno della mano ed un sorriso smunto.
«Vieni! Sei il primo!» Vale sparì e mi aprì il portone. Salii le scale in fretta e furia finché non mi accorsi che mancava solo una rampa e, inspiegabilmente, decelerai il passo fino a sembrare una lumaca.
La porta, però, presto arrivò davanti ai miei occhi.
«Permesso...» entrai e mi chiusi l'uscio dietro le spalle, guardandomi intorno.
«Vieni, vieni!» la voce della padrona di casa mi invitò ad accomodarmi ed io non mi feci pregare.
«Ciao Dié!» prima mi salutò Giulia e poi apparve il viso di Faith. Ci guardammo qualche istante e infine fu lei a cedere facendomi semplicemente cenno con la mano.
La imitai e poi lasciai che fossero le altre a parlare e a rompere il silenzio.
«Beh, a che ora avevi detto agli altri?» domandò Giulia, incrociando le braccia.
«Intorno alle nove e mezza.» Valentina sembrava indaffarata. Aveva acciuffato una montagna di bicchieri di plastica e li aveva poggiati su un tavolinetto in un angolo in salotto, poi era tornata in cucina per prendere qualche bottiglia e metterla nuovamente sul tavolino.
«Ti aiuto!» mi offrii volontario, desideroso di avere qualcosa da fare per non confondermi troppo.
«Faith, ci aiuti anche tu?» Giulia la riprese, sarcastica, e le buttò tra le braccia un paio di bottiglie di Coca Cola.
«Grazie, eh!» rise quella, con quei denti perfetti e lucidi che si ritrovava.
«Ti aiuto io.» non resistetti e mi avvicinai, le presi le bottiglie dalle mani e lei non oppose la minima resistenza. Mi guardava, come solo lei sapeva fare.
«Eccoli!» Vale saltò ed andò ad aprire ai nuovi arrivati. In un attimo la casa fu invasa da tutto il resto del gruppo e la festa cominciò: musica alta, bicchieri pieni e risate che riempivano quel silenzio assordante.
E i miei pensieri, ancora troppo pesanti per lasciare che venissero mandati via.


Faith, con un bicchiere di plastica in mano, sedeva sul divano e si guardava intorno come cercando un appiglio a cui aggrapparsi per passare meglio la serata.
Non riuscii a trattenermi e decisi che quello era il momento giusto, l'unico possibile: mi avvicinai, quasi dondolando sui talloni, e poi mi sedetti di fianco a lei.
Si voltò verso di me e mi sorrise, imbarazzata.
«Ciao...» salutai, guardando basso e stringendo tra le dita il bicchiere.
«Ciao Dié.» sentire il mio nome pronunciato in quel modo da quella voce mi fece venire i brividi lungo tutto il braccio.
Cadde il silenzio, rotto soltanto dal rumore dei nostri respiri mentre tutti gli altri chiacchieravano e ridevano alle nostre spalle.
La guardavo e l'unica cosa che avrei voluto fare in quel frangente era assaggiare le sue labbra e renderle mie, tenerle il viso fermo e incollato al mio per poter accarezzare la sua lingua con la mia. Stringerla a me, assaporarne odore e sapore, sentire la sua eccitazione crescere.
«Tutto bene?» domandò, stupita dalla mia espressione vuota e assente.
«S-sì.» tolsi lo sguardo dal suo corpo e cambiai direzione, sperando di togliermi certi pensieri dalla mente.
Cadde di nuovo il silenzio, non sapevo cosa dirle. Che argomento avrei dovuto tirare fuori?
«Ci hai pensato?» la sua voce delicata arrivò al mio orecchio come una ventata d'aria fresca. Mi voltai immediatamente e la guardai negli occhi, sentendo l'incredibile impulso di avvicinarmi ancora, di sentirla, di baciarla. Cominciai a fissarle le labbra, incauto.
Faith notò subito le mie sensazioni, arrossì leggermente e si voltò per darmi il profilo.
Stava per mettersi le mani in bocca, rosicchiarsi un'unghia, ma si fermò subito, forse non volendo fare brutta figura con me.
Si voltò di nuovo e stupidamente mi avvicinai di qualche centimetro, come per lasciarmi finalmente tentare, ma lei parlò: «Se non vuoi basta che me lo dici e...».
Non riuscii a trattenermi e parlai senza collegare la bocca al cervello: «Sì, va bene. Dimmi quando e ci sarò.».
Ancora vicini, i respiri mescolati, fatalmente attratto da lei, tanto da perdere la cognizione del tempo e della realtà.
Schiudevo le labbra, come se non riuscissi a respirare in altra maniera, come se non riuscissi a prendere abbastanza aria, come se...
«Settimana prossima. Ti mando un messaggio.» non mi guardò neanche negli occhi, si alzò dal divano e si allontanò, probabilmente con la scusa di andare in bagno.
La seguii con gli occhi, incredulo a quello che avevo appena detto: ero partito per dire di no e alla fine non solo avevo detto di sì, ma avevo acconsentito affinché mi avvertisse con uno stupido messaggio.
«Tutto ok?» Gianlu approfittò di quell'attimo per parlarmi.
«Forse...» lo guardai e poi tornai con gli occhi verso il pavimento. Si sedette di fianco a me, amico.
«Le hai detto che non s'ha da fare?» mi prese in giro, sorridente, poi si avvicinò il bicchiere alle labbra.
«No.».
Gianluca quasi rimase soffocato a quella mia risposta: «Come no?» domandò non appena riuscì a riprendere fiato, completamente paonazzo in viso. Poggiai una mano sulla sua schiena: «Stai bene?».
«No che non sto bene!».
Mi guardò quasi sconvolto: «Ti scoperai..?».
Bloccai immediatamente la sua voce con una mano sulla sua bocca: «Stai zitto, imbecille!».
Gian alzò le mani e si arrese, guardandosi intorno.
«Che state combinando voi due?» Eva, come sempre molto desiderata, si avvicinò a noi e cominciò a fare domande.
Tolsi subito la mano dal viso di Gianluca e facemmo entrambi finta di niente, mettendoci a raccontare cavolate dell'ultimo momento.
«Sì, mi sa che l'esame è un casino, dovrò studiare davvero!» mi salvò Gianlu, parlando di università.
«Perché, prima non studiavi?!» Eva rise, come un'oca.
«Poco, a dire il vero!»  il mio amico ed io ridemmo come scemi, e tutto soltanto per spingere Eva ad andarsene e farla sentire fuori dalla discussione. Qualsiasi argomento tirammo fuori, però, non bastò per toglierci Eva di torno.
Dopo qualche minuto Faith tornò in salotto e passò di fronte a me. Ci scambiammo uno sguardo fugace e poi si dileguò, come se fossi diventato fuoco per lei.
La festa finì in poco tempo, presto tutti ce ne andammo senza aver concluso niente. Speravo sempre in un passaggio per le ragazze, ma fui fortemente deluso. In men che non si dica Giulia e Faith sparirono dalla mia vista e, dentro di me, ebbi la sensazione di aver completamente perso una giornata senza fare nulla.
Quando tornai a casa, da solo, ripensai a quello che avevo vissuto e mi resi conto che, effettivamente, mi ero messo nella merda da solo.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Rinnovo i miei più sentiti ringraziamenti e... vi lascio ad un nuovo capitolo!
Sperando che vi piaccia e che la storia continui ad interessare tutte/i voi!
Un bacio a tutte/i!
Elena



    Capitolo 13

domenica, 17 aprile 2011 }



Quella mattina fui svegliato malamente. Mia madre aveva poggiato una mano sulla mia gamba e continuava a muovermi, quasi dolcemente, per svegliarmi con delicatezza.
«Diego? Diego?» perseguiva a chiamarmi sottovoce, sperando di non rovinarmi l'umore di prima mattina.
Risposi con un mugugno, chiedendole non verbalmente di smetterla e di lasciare che mi svegliassi senza rotture di scatole. Lei, però, continuava: «Diego, c'è Giulia al telefono, dice che è importante!».
Quel nome, nonostante non fosse quello della persona a cui continuavo a pensare, era strettamente collegato a Faith: la cosa mi fece spalancare gli occhi, pentendomi subito del gesto a causa della luce che entrava dalla finestra.
«Arrivo.» borbottai, con la voce ancora impastata dal sonno, ma dopo pochi istanti mi alzai, infreddolito.
«Dai, ti porto il telefono in camera!» mia madre sorrise alla vista della mia espressione corrucciata e poi scappò per portarmi il cordless. La ringraziai mentalmente e poi, appena possibile, risposi, sdraiandomi di nuovo a pancia in su.
«Ciao Diego!» la voce pimpante di Giulia mi diede il colpo di grazie.
«'Giorno...» sussurrai, sbadigliando.
«Cavolo, ma quanto dormi?!» rise lei, completamente sveglia. Finii di sbadigliare e poi risposi con un borbottio indefinito, che avrebbe dovuto dire soltanto 'non rompere e dimmi cosa vuoi'.
«Beh, non so se sai che fra pochi giorni Faith compie gli anni.».
Bastò sentire quel nome per svegliarmi del tutto: «Compie gli anni?».
«Beh, sì, come tutti gli esseri umani!» Giù, sorridendo, si sistemò sul divano più comodamente. Dopo qualche attimo di silenzio osservò: «Certo che appena l'ho nominata tu ti sei svegliato, eh?».
Preso in castagna.
«Seh, ma che dici?»
«Dico, dico! Vi ho visti ieri sera, sai? Dalle scintille il divano quasi prendeva fuoco!» la mise a ridere ma io, dentro di me, sentii soltanto un modo di eccitazione crescere a dismisura. Erano scintille quelle che emanavamo? Erano emozioni?
«Smettila e dimmi cosa vuoi fare.» tagliai il discorso e fortunatamente Giulia mi venne dietro.
«Faith fa ventun'anni il ventidue. Però non è che abbia grandi giri di amicizia, quindi pensavo di organizzarle qualcosa io.» precisò, seria.
«Mi piace come idea! Vedrai che appena lo sapranno anche gli altri aiuteranno anche loro!» ero entusiasta della proposta e la mia voce tradiva ben chiaramente le mie emozioni.
La sentii ridere, forse non avevo fatto altro che confermare i suoi dubbi, ma cerca di lasciar perdere e di continuare a parlare della cosa più importante: il compleanno di Faith.
«Beh, allora prima senti gli altri e poi, nel caso, cominciamo ad organizzare qualcosa, ok? Anche perché se fossimo solo io, te e lei non è che possiamo preparare chissà cosa!» finì, decisa. Aveva ragione, così chiudemmo la telefonata e cominciai a sentire a destra e a manca finché non ebbi ben chiaro che a tutti faceva piacere festeggiare Faith, tranne ad Eva.
«Pronto!» la sua voce mi irritò al primo ascolto.
«Ciao Eva!» salutai, ma lei mi interruppe subito.
«Diego! Che bello sentirti! Come stai?» cominciò con le solite domande inutili, e l'unica cosa che avevo in mente era che volevo fare presto perché avevo pochi soldi nel cellulare e non volevo finirli.
«Senti, Eva, volevo parlarti di un compleanno.» la interruppi, ottenendo il silenzio.
«Di chi?» si incuriosì subito.
«Faith.» alle mie parole la sentii immediatamente irrigidirsi, come se avessi potuto vederla di fronte a me. Al suo silenzio io risposi senza esitare: «Il ventidue è il suo compleanno e Giulia ha pensato di farle una festicciola. Sei dei nostri?».
Dopo qualche attimo di silenzio confermò la sua presenza e poi chiuse la telefonata, dicendo che aveva da fare. Dentro di me sapevo che in realtà era rimasta molto male, ma la cosa non mi toccava minimamente.
Fatto tutto, mandai un messaggio a Giulia per informarla della presenza degli altri. Tempo pochi attimi e subito mi chiamò in risposta, chiedendomi di vederci prima possibile per decidere tutti i dettagli.
«Ma stasera come si fa? Si uscirà con gli altri come sempre, poi sarebbe sospetto se non ci fossimo, no?» precisai, stropicciandomi gli occhi.
«Oh cavolo, allora sei anche intelligente! Wow, Diego, non pensavo!» Giulia mi derise bonariamente, poi precisò che allora avremmo potuto fare il giorno successivo: «Ti chiamo io!». E ci congedammo, sereni. Il mio primo pensiero fu, però, il regalo.
Avevo pochissimo tempo per prenderle qualcosa e non avevo la minima idea di cosa comprarle. Era anche vero, però, che probabilmente gli altri avrebbero proposto di fare un pensierino comunitario, ma dentro di me sentivo che era giusto che le facessi qualcosa di personale, soltanto da parte mia.
Decisi di uscire di casa e di provare a dare un'occhiata in giro, dopotutto mancavano solo cinque giorni ed avevo ancora le idee molto confuse.

Era da un'ora che giravo per le strade della città e, nonostante tutta la buona volontà, non ero riuscito a trovare qualcosa che mi piacesse veramente. In questo periodo andavano di moda dei braccialetti particolari, sembravano principalmente fatti di plastica, tubi di materiale strano che si stringevano intorno al polso dei malcapitati, sembrando un mero giocattolo per bambini.
Per lei cercavo qualcosa di bello, calzante, di elegante.
«Posso aiutarla?».
Senza accorgermene ero entrato in una gioielleria, una di quelle meno costose della città ovviamente. Alzai lo sguardo e trovai una commessa molto giovane che mi sorrideva.
«Oh... Sì, grazie!» sorrisi e ci spostammo vicini al bancone. Guardai la ragazza e precisai che non sapevo bene cosa stavo cercando, era soltanto un pensierino per un'amica.
La commessa sorrise ed estrasse una scatola da sotto il bancone. Erano tutte collanine con piccoli ciondoli luccicanti.
«Non sono brillanti, tranquillo, sono piccoli zirconi. Fanno molta luce però, un grande effetto. E la cifra è modica.» mi spiegò mentre mi faceva vedere decine di collane. Guardò un po' tra i vari fili d'argento e ne estrasse alcune, davvero belle.
«Allora, qui il ciondolo è a forma di cuore...» la stese delicatamente sul bancone di marmo nero ed io, stupidamente, arrossii lievemente.
«Oppure ci sono a forma di croce...» tirò fuori una nuova catenina e poi controllò nuovamente la marea di collane di fronte a noi.
L'idea era bella. Dentro la mia mente subito apparve l'immagine di me e lei, in camera sua, magari dopo aver fatto l'amore; ed io che le davo la collana poggiandola direttamente sul suo collo, come nei film americani...
«Altrimenti c'è anche col fiore! Anche questa è bella! Costa leggermente di più però è veramente luminosa!» mi risvegliò dai miei pensieri e tenne tra le dita quel ciondolo, mostrandomelo con entusiasmo.
Mi avvicinai col viso e vidi che, effettivamente, era un gran bell'oggetto.
«Costa, mi pare, sette euro di più rispetto al cuore o alla croce, però secondo me da molta più luce e fa molto più effetto al collo.» tese le mani verso di me e lasciò che prendessi il gioiello tra le dita. Lo guardai sotto i faretti poco distanti e mi sembrò a dir poco perfetto per la pelle candida di Faith. Mi piaceva, ero praticamente deciso.
«Potrebbe andare.» precisai, restituendo la collana nelle mani della degna proprietaria.
«Vuoi pensarci un po'?» continuò lei, gentilissima. Ripose tutte le collane nella scatola e io me ne andai, dicendo che sarei ritornato il giorno seguente per completare l'acquisto.
Me ne tornai verso casa e poi mi riposai un attimo, in vista della serata che mi aspettava.

Faith si stava facendo un bagno caldo. Amava riempire la vasca di acqua tiepida e poi immergersi in quel tepore. Molto spesso la aiutava a risolvere grandi dubbi, a prendere decisioni importanti, ma quella volta lo scopo non era propriamente quello.
Quel bagno doveva servirle a convincersi della decisione presa.
Una parte di sé era eccitata al solo pensiero di fare l'amore con quel ragazzo che l'aveva da subito affascinata, ammaliata, incuriosita; dall'altro però aveva la tremenda paura di tirarsi indietro.
E se, arrivata al punto cruciale, mi fossi trasformato in una persona che non ha la minima sensibilità, e la sua prima volta fosse diventata qualcosa di brutto da ricordare?
La ragazza sospirò, decisa a convincersi che non potevo deluderla, che sicuramente sarebbe andato tutto bene. Il pensiero principale, per lei, era farsi trovare pronta e decidere in che giorno far succedere il tutto.
Si ricordò in un attimo che pochi giorni dopo sarebbe stato il suo compleanno, ben ventun'anni di purezza immacolata, come li definiva lei. Ventun'anni in cui il suo primo pensiero era stato comportarsi bene, non ferire gli altri, essere una buona figlia, amica e compagna per Henry.
Si era sempre impegnata per essere, se non la, almeno una delle migliori; si era sempre fatta in quattro per non deludere nessuno, ed alla fine quella più delusa di tutti era stata proprio lei.
Per una volta voleva pensare a se stessa, a stare bene e, stupidamente, l'idea di fare l'amore e di diventare “grande” la faceva sentire molto meglio.
Uscì dalla vasca continuando a riflettere sulla soluzione migliore, tanto da non rendersi neanche conto che nel giro di pochi minuti il bagno era tornato pulito e lindo, come se non ci fosse mai entrata.
Sospirò e, coperta solo da un asciugamano intorno al corpo, scese le scale e andò in cucina, affamata. Accese la televisione per avere un po' di compagnia e mise una porzione di lasagne già pronte nel microonde, sperando facessero presto a cuocersi.
Tempo pochi minuti e le suonò il telefonino. Giulia le aveva mandato un messaggio per chiederle cosa facesse quella sera. Nonostante la voglia di uscire fosse pari a zero, aggravata dal fatto che la vergogna di incontrarmi fosse infinita, alla fine rispose di farle sapere cosa era stato organizzato e, nel caso, ci avrebbe raggiunti.
Che scusa avrebbe potuto inventare? E che figura ne sarebbe venuta fuori, almeno nei miei confronti?
'Prima mi faccio avanti in quel modo e poi sparisco dalla circolazione?' pensò lei, sbuffando.
Il forno a microonde finì il tempo e un suono metallico risuonò in tutta la cucina. Faith recuperò le proprie lasagne e le mangiò senza neanche apparecchiare, con le gambe appoggiate sul tavolo, una forchetta di plastica tra le mani e la bottiglia d'acqua sul tavolo, senza bicchiere. Si gustò il pasto senza pensare, cercando di svuotare il cervello da ogni cosa.
Quando Giulia, però, le disse che quella sera sarebbero stati a casa di Luigi e che la sarebbe passata a prendere per andare là insieme, Faith non poté dire di no.

La aspettavo. Era l'unica persona che mi premeva vedere quella sera.
«Diego! Come stai?» Carlo mi si era avvicinato e, gentilmente, aveva cominciato a chiacchierare. Mi stava simpatico, niente da dire, però in quel momento avrei tanto voluto essere da tutt'altra parte.
«Posso... parlarti un attimo?» divenne serio in un secondo. Annuii e lo seguii in un angolo, stupito.
«Dimmi tutto.» gli sorrisi, cordiale. Io e Carlo non eravamo mai entrati troppo in confidenza, a dire la verità.
«Si tratta... Di una ragazza.» si guardò intorno come per controllare che non ascoltasse nessuno.
«Oh, wow! Dimmi!» sorrisi, contento per lui.
«Non so come abbordarla. Non voglio fare la figura del cretino!» sbottò, imbarazzato.
«Beh, perché non cerchi di avvicinarti un po' da amico? Dove l'hai conosciuta?» domandai, curioso. Carlo mi spiegò subito che l'aveva vista ad una lezione universitaria, e che non sapeva come fare per parlarle. Non l'aveva mai vista prima.
«Ma per esempio, non puoi chiederle gli appunti?».
«Boh, potrei...» sbuffò, impaziente. Lo guardai per un attimo e poi mi feci avanti, forse stupido.
«Scusami, ma come mai chiedi a me un consiglio del genere?» gli sorrisi, cercando di fargli capire che la mia era solo una curiosità.
«Perché qua in mezzo sei l'unico che mi può aiutare.» mi guardò fisso negli occhi e poi mi sorrise, tornando dagli altri. Rimasi piacevolmente basito da quelle parole, non me le aspettavo.
«Ciao a tutti!»: ecco la sua voce l'avrei riconosciuta tra mille. Era insieme a Giulia, un po' intimidita. Mi avvicinai e cercai di salutarla ma sembrava quasi che mi stesse evitando.
Durante tutta la serata tentai di parlarle con un qualsiasi pretesto, ma pareva che la fortuna ce l'avesse con me.
Si fece tardi e presto tutti si liquidarono. Anche lei, Faith, se ne andò salutandomi con un misero cenno della mano.
Quando tornai a casa, ripensai alle parole di Carlo, cercando di capire il perché di quelle considerazioni. Forse ero l'unico che ascolta tanto gli altri e non rivela nulla, forse ero l'unico che in quel momento era libero e poteva dedicargli del tempo.
Oppure ero l'unico scemo che poteva capirlo: mi stavo facendo anche io mille problemi soltanto per parlare con una ragazza.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Ancora un po' di calma prima della tempesta..! Ebbene sì, eccomi qua :)
Un grazie enorme a coloro che leggono, a coloro che seguono/preferiscono/ricordano la mia storia (ho visto che si è aggiunta una persona, grazie **) ed ovviamente un grazie enorme alla mia recensitrice personale!
Spero di non deludere nessuno/a di voi!
Un bacione
Elena



    Capitolo 14

lunedì, 18 aprile 2011 }


«Odio andare a lavorare!» esordii quel lunedì pomeriggio, quando finalmente riusci a liberarmi dal negozio. Avevo pregato mio padre in ginocchio, gli avevo spiegato che si trattava di un impegno a cui non potevo mancare: «É per la ragazza inglese. È il suo compleanno ma non ha amici, è da sola!» peggiorai la situazione, colpendo dritto al cuore.
«Allora vai, su, scansafatiche!» mio padre quasi mi cacciò ed io non feci altro che approfittarne. Acciuffai la mia giacca di pelle e fuggii, accaldato. Controllai l'ora, ero ancora in anticipo. Corsi verso casa e mi infilai subito sotto il getto caldo della doccia, deciso a non essere sempre il solito ritardatario. Giulia non lo sarebbe mai stata ed il galateo dice che le donne non devono mai attendere un uomo ad un appuntamento.
Gianluca, come al solito, mi chiamò nel momento meno opportuno per chiedermi come andassero le cose con Faith. Non sapeva che ero intenzionato a comprarle pure un regalo di compleanno, non me la sentivo di dirglielo. Era come un piccolo segreto che volevo tenere custodito, ancora per un po'.
«Sei a casa, scemo?» la sua voce mi fece subito ridere.
«Ciao, scemo. Sì, sono uscito prima dal lavoro.» guardai nell'armadio per decidere come vestirmi.
«E perché?»
«Devo vedermi con Giulia per...» non riuscii a finire la frase, perché lui subito mi travolse chiedendomi di poter venire.
«Ci vediamo solo per il compleanno di Faith, niente di...» mi interruppe nuovamente.
«Appunto! Una mano in più serve sempre, dai! Dimmi dove e quando.» mi convinse. Gli precisai tutto e ci salutammo, indaffarati. Mi vestii e poi uscii di casa, costretto ad andare a piedi. A passo svelto raggiunsi il luogo dell'appuntamento e, fortunatamente, vidi che di Giulia non c'era ancora traccia. Mi sedetti su un muretto a lato della piazza ed attesi, paziente. Continuavo a guardarmi intorno, senza grandi scopi. Il sole splendeva quel giorno e i suoi raggi sbattevano contro la mia pelle, leggermente olivastra.
Sorrisi pensando che invece Faith era color latte: la sua pelle rifletteva tutta la sua debolezza interiore.
«Eccomi!» due voci si accavallarono, attirando la mia attenzione. Giulia e Gianluca si scambiarono uno sguardo fugace e si fermarono, continuando a scrutarsi.
«Perché non me l'hai detto che veniva anche quest'essere?» lei fu la prima a distogliere lo sguardo dal mio amico e ad avvicinarsi a me. Mi veniva da ridere, non si erano mai sopportati.
«Ciao anche a te, eh!» Gian la prese sul ridere.
«Eh, ciao!» Giulia non lo degnò neanche di uno sguardo, poi si rivolse verso di me: «Andiamo o no?».
«E dove?» il mio amico domandò, mentre Giu mi prendeva per il braccio e mi costringeva a seguirla.
«Tu non sei stato invitato, quindi è bene che ci segui senza rompere.».
Scoppiai nuovamente a ridere, guardando il mio amico. Lui, però, fece soltanto spallucce e non reagì, dandola subito vinta a Giulia.
Il suo atteggiamento mi puzzava un po', ma quello non era né il momento né il luogo adatto per fargli qualche altra domanda.
«Allora...» Giulia si fermò in mezzo alla strada e mi parlò, seria: «...siccome è da poco che è in Italia, pensavo di organizzare qualcosa a casa mia. Semmai ci prendiamo una pizza, non so, ma comunque magari da me si sente più a suo agio, no?». Annuii con un cenno del capo mentre Gianluca moriva dalla voglia di intervenire.
Giulia, però, non lo considerava: «Perfetto. Ora questione regalo: io penso che le prenderò qualcosa da sola, mi sembra carino nei suoi confronti. Però voi potreste mettervi d'accordo e fare qualcosa tutti insieme, no? Nel caso non bastassero i soldi ditemelo, e li aggiungo io.» mi guardava dritto negli occhi, decisa. In quell'attimo mi sentii a disagio: dovevo dirglielo che anche io volevo farle un regalo a parte?
«Ora posso?» Gian parlò e Giu alzò gli occhi al cielo.
«Secondo me potremmo andare in una gioielleria e saremmo apposto.» aveva voluto assolutamente dire qualcosa, anche se non ce ne era stato bisogno.
«Il “cosa” potete deciderlo pure voi, non mi interessa.» Giulia gli rispose poco carinamente e poi riprese a camminare.
«Ma cosa le ho fatto?» Gian mi sussurrò, quando insieme ci incamminammo per raggiungerla.
«Non lo so...» risposi, facendo spallucce.
E in un attimo ci ritrovammo nella stessa strada che avevo percorso il giorno prima mentre cercavo un regalo per Faith. Cercavo di fare l'indifferente, ma era come se ci fossero rimasti segni del mio passaggio, la mia ombra che faceva da testimone, cartelli al neon che indicavano che ero stato lì, ed anche il perché.
«Questa, per esempio?» Gianluca si era fermato di fronte ad una vetrina. Mi voltai e mi prese il panico.
«Che carina questa collana! Quella col fiore è veramente bella!» Giulia raggiunse il mio amico e commentò, sincera.
Agitato, mi avvicinai al negozio e mi si seccò la gola: Gianluca stava indicando la collana che volevo prenderle io, cazzo.
«Direi che sarebbe perfetta! Le facciamo questa e la festa, che dite?» lui sembrava entusiasta, cercava appoggio in me. Se solo fossimo stati soli...
«Ciao!».
Mi voltai di scatto e desiderai soltanto sprofondare al centro della terra per non tornare mai più. La commessa.
«Ciao!» Giulia guardò la ragazza e le sorrise, senza capire bene quel gesto.
«Allora ti sei deciso alla fine?» si rivolse a me, e in un attimo sentii le parole morirmi in gola. Giulia e Gianluca mi guardavano, interrogativi.
«Ehm, non ancora...» fu l'unica risposta che diedi, sprofondando la mano nei miei capelli e morendo di imbarazzo.
«Allora ti aspetto!» la ragazza salutò, gentile, rientrando nel negozio. Le mie speranze di passare inosservato erano andate a puttane.
«Cos'è 'sta storia?» Giulia sorrise, avvicinandosi a me. «Volevi prendere quella collanina?» continuava a sorridere, volpina.
La guardai e cercai di arrampicarmi sugli specchi parlando di una festa strana, una cugina di terzo grado che non vedevo da tempo, una parente di mia madre che festeggiava...
«Volevi farle il regalo da solo!» Giu mi additò e sorrise, contenta.
Io ero diventato bordeaux.
«Dié! Ce lo potevi dire!» Gianlu sembrava quasi dare corda a Giulia che, entusiasta della cosa, invece pareva quasi volermi abbracciare e festeggiare per il gesto che avevo in mente di fare.
In quell'istante avrei preferito essere a lavorare da dieci ore senza pausa. Non sapevo cosa stavo provando: vergogna? Imbarazzo? Timidezza?
Sapevo solo che Giulia e Gianluca non avrebbero dovuto saperlo.
«Ma era solo un'idea!» cercai di salvarmi, parlando senza neanche guardarli. Mi aspettavo tante battute, prese in giro, illazioni, e invece quello che avevo davanti a me erano solo consigli.
«Anzi il fiore, le altre sono un po'... Classiche, diciamo.» Giulia era tornata davanti alla vetrina e guardava tutte quelle collane che il giorno prima mi erano state mostrate. Guardai Gianluca: mi osservava, incuriosito, poi tornò verso Giulia senza dirmi niente, farmi un cenno, un occhiolino. Silenzio totale.


Finalmente la giornata era finita. Non vedevo l'ora di tornare a casa, strano ma vero. Avevano scoperto le mie intenzioni e una parte di me se ne vergognava tremendamente. Che poi non ne avevo motivo, era soltanto un regalo infondo, no?
«Beh ragazzi, io vado! Ti faccio sapere per la festa, ok?» Giulia se ne stava andando, ma prima di sparire dalla mia vista mi ricordò: «La collanina, quella col fiore!» mi fece l'occhiolino e se ne andò, lasciandoci con un cenno della mano.
Non appena sparì dalla nostra visuale, Gianluca non mancò di commentare: «In effetti è una gran bella gnocca.» continuava ad annuire con la testa, come se stesse parlando con se stesso.
Sospirai e guardai dall'altra parte.
«E poi ha buon gusto. In effetti quella col fiore è la più carina.» partì con le sue battute, ed io avrei voluto ucciderlo.
«Se hai da dire qualcosa, fallo senza problemi.» mi avviai verso casa, mani in tasca, la sua ombra che mi seguiva come un cagnolino.
«No, non ho nulla da dire. Solo... Come ti è venuta l'idea di farle un regalo da solo?» domandò, sereno. Non ci guardavamo, o meglio io non guardavo lui.
«Non lo so. Quando Giulia mi ha detto del compleanno e che avrebbe fatto un regalo da sola, mi è venuto d'istinto pensare di farle un regalo da solo pure io.».
Ci fu una pausa.
«Pensi di darglielo in quell'occasione?» era serio nella sua domanda, quindi riflettei effettivamente su come pensavo di fare per consegnare il regalo nelle mani di Faith. Magari farlo davanti a tutti avrebbe significato chissà cosa, e invece...
Invece? Cosa cazzo mi stava succedendo?
«Non so cosa dirti...» risposi sinceramente, abbassando gli occhi. Continuammo a camminare, tranquilli e in silenzio. Quante volte era successo, e quante volte ringraziavo il cielo per non sentirmi a disagio. Con Gianluca era così, era sempre stato così.
«Eccoti a casa!» lui si fermò davanti al mio portone e mi guardò.
«Vuoi fare un salto?» chiesi, più per gentilezza che per voglia. In quel momento desideravo soltanto stare un po' da solo.
«Naa, vado a casa che è meglio. Stammi bene, minchione!» rise e se ne andò, lasciandomi con un sorriso sulle labbra.
Salii in casa e mi spogliai, lasciandomi andare sul letto a pancia in su. Chiusi gli occhi e nel giro di pochi minuti mi addormentai, come un bambino.
Non avrei saputo dire cosa avevo sognato quel giorno, ma sicuramente avrei potuto confermare che il mio ultimo pensiero era stato andare a comprare quella collanina e riuscire a vedere dipinto sul volto di Faith un sorriso. Uno di quelli che, sin dal primo istante, mi avevano fatto perdere il controllo.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Bene bene bene, siamo arrivati quasi al punto cruciale XD
Non dirò niente, spero che siate curiosi di leggere anche questo capitolo!
Un grazie di cuore a tutti/e coloro che mi seguono e leggono!
Un bacio,
Elena



    Capitolo 15

venerdì, 22 aprile 2011 }


Casa di Giulia era sempre stata grande, ma quella sera lo sembrava ancora di più.
Sicuramente in quegli anni tante cose erano cambiate, magari qualche mobile spostato o direttamente eliminato, ma per la festa di Faith Giulia doveva aver lavorato parecchio.
Il salotto era stato praticamente svuotato, i divani messi ai lati, e al centro della stanza c'era soltanto spazio vuoto, probabilmente per ballare un po'.
«Meno male non vivi in un condominio!» commentai, chiudendomi la porta alle spalle.
«Non ti immagini che casino spostare tutto! Però è venuta bene...» poggiò le mani sui fianchi e si guardò intorno, soddisfatta.
Era stata davvero brava, niente da ridire. In un angolo aveva preparato un bel buffet, ricco di stuzzichini di ogni genere e di bibite per tutti i gusti. Infilai le mani in tasca e le mie dita toccarono la scatolina dove era nascosta la collana per Faith. Continuavo a chiedermi come avrei fatto per darle quel regalo, quale sarebbe stata la sua reazione e come mi sarei sentito io.
Non volevo che anche gli altri sapessero di questo mio gesto, già ero arrabbiato del fatto che Giulia e Gianluca l'avessero scoperto, in quel modo poi.
«Diego, ma la giacca?» Giu si avvicinò a me tendendo le mani in avanti: «Dammi qua, ci penso io!» sorrideva, gentile.
Sbattei le palpebre un paio di volte e infine le sorrisi, sfilandomi il giaccone. Sparì dalla mia vista ed io tornai a pensare a quella sera, a come mi sarei comportato, a cosa avrei mai detto a Faith. Dopo quella volta a casa di Valentina non ci eravamo più sentiti, non si era più fatta viva, si era volatilizzata nel nulla. Una parte di me, in fondo, era contento che non si fosse veramente fatta sentire chiedendomi un appuntamento, ma dall'altro mi continuavo a domandare quando mai saremmo tornati a parlare dell'argomento e come si sarebbe destreggiata per uscire dall'inevitabile imbarazzo che l'avrebbe avvolta completamente.
Suonarono alla porta ed io, preso alla sprovvista, saltai sul posto.
«Diego, ma che hai stasera? Vedrai che le piacerà!» mi fece l'occhiolino Giulia, come per rassicurarmi, poi andò ad aprire e salutò tutti con un gran sorriso.
Un coro di voci entrò dall'uscio e uccise il silenzio che dominava in quella casa prima del loro arrivo. Il primo della fila era Gianluca, che tentò di salutare la padrona di casa carinamente, ma questa lo aveva a dir poco ignorato.
Carlo e Marco vennero subito da me, sorridenti, mentre Valentina discuteva con Giulia su dove poggiare il regalo per non farlo trovare subito alla festeggiata.
«Come ti sei fatto figo stasera!» Gianluca arrivò e subito si intromise tra le nostre chiacchiere. Lo guardai e scoppiai a ridere: «Da quando in qua mi fai il filo?» risi, cercando di smorzare la cosa.
Era uno stronzo, di quelli di prima categoria.
«Da quando ti fai così gnocco per uscire!» sorrise anche lui e poi tornammo a parlare di cavolate, come eravamo soliti fare. Marco e Carlo ci raccontavano qualche scena stupida a cui avevano assistito durante una lezione, così mi venne in mente che non avevo più saputo niente di quella ragazza che piaceva tanto a Carlo. In un secondo di pace ne avrei approfittato sicuramente.
«Ragazzi! Un secondo, please!» Giulia salì in piedi sul divano e conquistò l'attenzione di tutti: «Allora, Faith dovrebbe arrivare fra poco. Grazie a tutti per essere venuti!» arrossì, felice.
«Questo sì che è un discorso!» Gianluca, col suo solito savoir-faire, aveva rovinato l'atmosfera, facendo ridere tutti.
«E tu sei il solito rovina-feste!» la mora non fece a cominciare di nuovo il discorso che il suono del citofono fece zittire tutti in un nanosecondo. Ci guardavamo come se fossimo stati scoperti a rubare qualcosa, nessuno che sapesse cosa fare e cosa dire. Era Giulia che aveva organizzato tutto, aspettavamo soltanto sue direttive.
«Presto, presto!» scese con un salto dal divano e ci fece mettere tutti vicini, in gruppo, urlò un “arrivo!” per far aspettare Faith e poi consegnò a me e Carlo due cannoni spara coriandoli, che avremmo dovuto far scoppiare non appena la festeggiata avesse messo piede nella casa.
Ci preparammo tutti in pochi secondi e Giulia si avvicinò all'entrata, sorridente. Non appena aprì l'uscio, Faith la salutò, fece un passo in avanti e così partirono tutti i festeggiamenti: io e Carlo tirammo un urlo insieme ai coriandoli, gli altri ci seguirono a ruota, tanto che d'istinto Faith si tappò le orecchie con le mani.
Ci guardò mentre continuavamo ad applaudirle e sorrise, illuminando tutto il mondo: «Oddio, grazie! Grazie!» continuava a parlare mentre ad uno ad uno ci avvicinavamo per farle gli auguri personalmente. Salutò tutti con due baci sulle guance, anche me. Per un attimo mi sentii semplicemente come tutti gli altri, mi diede fastidio.
«Ragazzi, si aprano le danze!» Giulia rideva, divertente, accese la musica e poi si avvicinò al buffet, servendosi per prima: «Non fatevi desiderare però, forza!».
A Gianluca non parve vero: si tuffò immediatamente su patatine e noccioline, senza aspettare niente e nessuno. In pochi attimi ci ritrovammo tutti intorno al buffet, ridevamo e ci divertivamo come sempre, forse anche un po' di più.
Parlavo con i miei amici, sciolti come al solito, mentre Eva se ne stava in un angolo con Gianna, quasi annoiata.
«Diego, poi risolta la crisi “pc”?» Marco si era avvicinato, addentando una patatina.
«Abbastanza!» risposi, bevvi un sorso di Coca Cola e poi ripresi: «Sembrava un'epidemia, ogni giorno un computer nuovo! Meno male è passata adesso...».
«Ragazzi, ragazzi!» Giulia riconquistò nuovamente l'attenzione, saltò sul divano e ci chiese che tipo di musica volevamo per ballare un po'. Noi ragazzi ci guardammo con occhi quasi spaventati e poi ci rintanammo in un angolo, lasciando che fossero le ragazze a scannarsi per la decisione finale.
«Perché non facciamo scegliere alla festeggiata?» Eva, con tono pungente, tentò di mettere di difficoltà Faith che, però, sembrò non lasciarsi intimidire da quella provocazione.
«Ok! Ce l'hai i Simple Plan?» domandò la festeggiata, ridendo e avvicinandosi a Giulia. Questa, facendole un sorriso compiaciuto, la accontentò: partirono le prime note di canzoni un po' più rock, cosiddetto “punk rock”.
Noi ragazzi non esitammo un secondo: ci accomodammo sul divano e tornammo a chiacchierare, mentre le ragazze si erano appropriate del salotto, facendolo diventare una pista da ballo.
I miei occhi spesso si fermavano su Faith, sui suoi movimenti a volte imbranati, a volte impacciati, ed altre volte sciolti e fluidi. Continuavo a parlare, chiacchierare, ma il mio sguardo vagava continuamente, come in una ricerca disperata dei suoi occhi nei miei.
Faith, però, sembrava tutt'altro che presa o interessata a me: man mano che cambiavano canzoni,iniziava a saltare e cantare, a fare casino.
Giulia la seguiva a ruota e presto anche Gianluca decise di partecipare alle danze e alle urla.
Mi facevano sorridere, mi facevano divertire, e soprattutto avevo la sensazione che ormai Faith facesse parte del gruppo, fosse un elemento consolidato della nostra vita.
O forse solo della mia.

«Ragazzi non dovevate!» la festeggiata aveva aperto il pacchetto e vi aveva trovato una borsa che, secondo il parere femminile, era stupenda.
«È bellissima!» sorridevano anche i suoi occhi, guardando tutti quanti.
«Sicura? Altrimenti ho ancora lo scontrino, puoi...» Giulia fu interrotta da un grande abbraccio di Faith. Quest'ultima l'aveva stretta, felice, dicendole di stare zitta e che andava benissimo così. Noi tutti, spettatori di questa scena, ce ne stavamo in silenzio fino a che Faith stessa non si alzò per ringraziare tutti con un altro bacio sulla guancia. La seguivo con lo sguardo, forse mi avevano anche sgamato. Era troppo palese che c'era qualcosa che mi teneva in sospeso, qualcosa che mi agitava.
Faith si avvicinò a me e notai immediatamente che insieme ad un debole sorriso le sue guance si erano colorate di un leggero strato di rosso.
«Grazie...» sussurrò e poi mi diede un bacio sulla guancia. Quando si allontanò notò che la stavo fissando, che i nostri visi erano parecchio vicini e che io ero come imbambolato. Lei, però, dopo un piccolo attimo di disorientamento, aveva proseguito coi ringraziamenti, lasciandomi quasi a bocca asciutta. Avrebbe avuto una reazione simile anche per il mio di regalo? Mi avrebbe ringraziato di nuovo con un bacio? Le sarebbe piaciuta la collana?
«Bene ragazzi, torniamo a festeggiare!» Giulia, ormai, sapeva come prendere le redini della situazione e, soprattutto, come dare fastidio ad Eva, che si sentiva messa da parte. Non aveva più il ruolo di prima donna, Giulia glielo stava chiaramente soffiando da sotto il naso.
Continuarono a ballare, Marco tornò dalla sua Carola, seduti sul divano restammo soltanto io e Carlo.
«Allora, Dié? Come vanno le cose?» iniziò lui, sorridendo e rigirandosi un bicchiere tra le mani.
«Vanno! A te piuttosto? Con quella tipa?» decisi subito l'argomento della discussione, cauto. Come prima risposta Carlo sorrise, poi mi raccontò: «L'ho avvicinata l'altro giorno e ci siamo presentati. All'inizio non mi sembrava molto per la quale, però alla fine abbiamo preso un caffè insieme alle macchinette, niente di che... Almeno adesso a lezione ci salutiamo.»
«Beh dai, è sempre un primo passo! E grande il mio Carlo!» gli diedi una pacca affettuosa sulla schiena e ridemmo, insieme, dandomi la possibilità per qualche minuto di non farmi prendere dall'agitazione.
Passò qualche canzone, qualche ballo e qualche urlo, quando i primi ragazzi cominciarono ad andarsene. Giulia e Faith salutarono tutti calorosamente mentre la casa si stava lentamente svuotando. Le danze continuarono ancora pochi minuti, fino a che non ci ritrovammo tutti seduti sui divani a chiacchierare.
«Quindi alla fine Giada c'è pure rimasta!» riassunse tutto Gianluca, sorpreso.
«Pare di sì!» confermò Marco: «L'ho vista l'altro giorno in giro con sua madre, la pancia era gonfia...».
«Almeno io sono tranquillo!» sospirò Gianluca, asciugandosi la fronte.
«Sei sempre il solito porco, te.» Giulia incrociò le braccia e si voltò dall'altra parte. Per pura casualità si erano ritrovati seduti vicini.
«Seh, mica colpa mia se quella ci stava con tutti. Io ne ho solo approfittato.» rise, in compagnia di Marco e Carlo. Giulia, però, non amava questo atteggiamento, anzi, le dava gran fastidio.
«Ragazzi miei, mi dispiace ma adesso devo proprio andare.» Carlo si alzò dal divano e, come se ci fosse stato bisogno di una persona a lanciare la prima pietra, Marco e Carola si alzarono all'unisono, dicendo di dover tornare a casa anche loro. Tempo dieci minuti e in quella casa ci ritrovammo soltanto io, Gianluca, Giulia e Faith.
Continuavo a guardarmi intorno, cercando di capire quale fosse l'occasione giusta per darle quel maledetto regalo. Magari avrei potuto evitare, mi sarei tenuto la collanina per un compleanno futuro.
«Hey, stupido?» Gianluca attirò la mia attenzione in un momento di tranquillità, mentre le ragazze erano andate in bagno: «Vuoi che io e Giulia ce ne stiamo di là così dai il regalo alla tua futura amica di letto?» disse quelle parole con una strana tranquillità.
«Ma cosa stai dicendo? Smettila.» quasi mi risentii e lui sorrise.
«Ragazzi, dai, è tardi! Andate tranquilli, qua ci penso io!» una volta tornata, Giulia ci sorrideva, cordiale.
«Ma scherzi? Ti do una mano a mettere a posto!» Faith subito sembrò risentirsi, tanto che cominciarono a battibeccare sul da farsi. Alla fine subentrò Gianluca: «Tu vai a casa, ok? Ci penso io qua ad aiutare Giulia.».
Le ragazze lo guardarono, sorprese.
«Che c'è di strano?» si rivolse alla padrona di casa, sperando che per quella volta non facesse la stronza ma capisse lo scopo di quel gesto.
«Se proprio insisti...» fece spallucce  e si avviò al buffet, tenendo in mano un grosso sacco nero per la spazzatura.
«Dai, Giu...» Faith fece l'ultimo tentativo, ma bastò uno sguardo di fuoco di Giulia per farla arrendere.
«Ok ok, allora vado!» si infilò la giacca e mi feci coraggio: «Ti accompagno.».
Quegli occhi stupendamente verdi si fiondarono su di me, poi lo sguardo cadde verso il basso e la sua voce minuta non fece obiezioni.
«Buon lavoro ragazzi!» salutai Giu e Gianluca con un cenno della mano ed infine uscimmo da quella casa. Cadde immediatamente il silenzio, quasi palpabile intorno a noi.
Ok, pensai, questa è l'occasione giusta: la accompagni a casa, le dai il regalo, lei ti ringrazia e poi te ne vai, come un bravo ragazzo. Non è difficile.
«Immagino che ci sia anche il tuo zampino in questa festa.» fu lei a rompere il ghiaccio, guardandomi.
Mi voltai verso di lei ed annuii, sentendomi un magone in gola fin troppo pesante.
«Grazie, davvero. Mi avete fatto sentire parte di voi.» ammise, guardando basso.
«Ormai lo sei.» precisai, deglutendo a fatica. Sorrise, imbarazzata, e restammo in silenzio pochi istanti, giusto il tempo di arrivare al suo portone.
«Beh... Grazie per avermi accompagnata.» si fermò dando le spalle all'ingresso, rivolta verso di me.
«Figurati...» finii, continuando a guardarla negli occhi. Restammo fermi per qualche istante, io ero completamente nel pallone.
«Mmm, ti va di entrare?» osò, per fortuna. Non sprecai neanche un istante, annuii con un cenno del capo e poco dopo mi ritrovai nel suo salotto, completamente in ordine.
«Accomodati pure... Ti offrirei qualcosa da bere, ma credo tu sia a posto!» rise, pacata, togliendosi la giacca.
La guardai e sorrisi, con la gola completamente asciutta. Si avviò in cucina ed io la seguii, completamente fuori controllo. Si avvicinò al frigorifero per versarsi da bere, io mi sedetti su una sedia ed infine mi feci coraggio: «Puoi venire qui un secondo?».
Mi guardò: «Arrivo subito!» finì di bere e poi si avvicinò, si sedette di fronte a me e cominciò a fissarmi negli occhi.
'È arrivato il momento, Diego' pensai. Presi un respiro e mi feci coraggio.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Ciao a tutti :3
Comincio col dire che sono superiperfelicissima che questa storia continui a piacere sempre di più :3
Grazie alle mie recensitrici, a coloro che leggono e seguono questa FF, grazie di cuore!
Adesso tocca al capitolo... niente, non dico nulla xD
Posto questa storia anche in un altro sito che, però, preferisce censurare delle scene... Qua invece vorrei postare il capitolo vero e proprio, visto che è possibile farlo!
Spero di non essere caduta nel banale o nel brutto, fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo :)
Un bacio a tutti
Elena

PS: questa versione del sito è molto molto molto più bella **

Capitolo 16


{ venerdì, 22 aprile 2011 }



Continuava a guardarmi, incuriosita. Era come se quella patina di imbarazzo si fosse spezzata, almeno da parte sua. Io abbassai lo sguardo e poi, finalmente, infilai una mano nella tasca della giacca.
Tirai fuori il pacchettino e lo posai sul tavolo, lasciandola a bocca aperta dalla sorpresa.
«Questo... Niente, è un pensierino per te.» finii, tenendo gli occhi fissi su quella scatolina.
«Diego...» lei cercava di guardarmi, ma non glielo permettevo. «Non dovevi, veramente! Come ti è venuto in mente?» non aveva ancora preso la scatola tra le sue dita. Forse sperava che la riprendessi indietro.
«Dai, è solo un pensiero. Aprilo!» alzai lo sguardo e vidi le sue mani raggiungere quella piccola scatola, sfarne pian piano il fiocco, togliere la carta e guardare la confezione della gioielleria con sguardo attonito.
«Ma Diego...»
«Dai!» la incitai ancora, leggermente imbarazzato.
Faith non si fece aspettare: aprì la confezione e rimase immobile, con lo sguardo fisso verso la collana per qualche secondo. La toccò sfiorandola con le dita, mettendosela davanti agli occhi per ammirarla meglio. Era estasiata.
«Cavolo, Diego, è stupenda! Wow! Grazie!» cercò di aprire il gancetto, ma sembrava che le mani le tremassero e non riuscisse.
«Aspetta, ti aiuto.» mi alzai in piedi e mi misi vicino a lei, aprii la collana e le feci cenno per aiutarla a mettersela. Sorridendo, non se lo fece ripetere: si alzò e si mise di fronte a me, guardandomi negli occhi.
Concentrato sul gioiello, glielo misi, seguendo il corso della catenina poggiata sul suo collo. Bastò un attimo, un secondo per sentirmi veramente assuefatto dal suo profumo. Avevo voglia di baciarla, era la seconda volta che mi succedeva.
In un secondo immaginai come i nostri due corpi potessero stare insieme, completarsi, e sentii farsi largo nelle mie vene una quantità di adrenalina difficilmente immaginabile.
E in quel momento eravamo lì da soli, con soltanto i nostri respiri a farsi compagnia. Lei era di fronte a me, a pochi centimetri di distanza, il suo profumo nelle mie narici, il suo corpo sotto le mie mani.
La guardai negli occhi e fu come se mi fossi convinto che lei mi avesse dato il permesso di baciarla soltanto con uno sguardo. Mi avvicinai col viso a lei, sfiorai le sue labbra, e subito sentii una sua mano poggiarsi sul mio petto, all'altezza del cuore, come per fermarmi.
Rimasi immobile, la guardai, feci un piccolo passo avanti fino a che i nostri corpi non furono attaccati, finché non riuscì a capire con quel gesto le mie intenzioni.
In quel momento l'unica cosa che avevo in mente era di baciarla e di sentirla mia, non mi interessava di accordi o compromessi, era come se lei non mi avesse detto nulla.
La volevo, punto e basta.
La sua presa sul mio petto si fece più blanda, così osai.
La prima sensazione che ebbi sfiorando le sue labbra fu un leggero sapore di arancio invadere la mia bocca, assorbendo tutti i pensieri che affollavano la mia mente fino ad un secondo prima e mandandoli via. Le sue labbra erano morbide, curate, ma restie a lasciarsi toccare.
La seconda sensazione che si appropriò di me fu quasi l'indifferenza, il contatto con labbra umide che, però, non mi trasmettevano altro che saliva diversa dalla mia.
Se per un attimo, però, mi aveva assalito il dubbio di star commettendo un grave errore, il tutto sparì quando le mie labbra si schiusero e le sue assecondarono i miei movimenti, lasciando che le nostre lingue si toccassero e si accarezzassero. In quell'istante fu come se fossi tornato a respirare dopo mesi di apnea, come se avessi ritrovato la vista dopo anni di cecità.
Dentro di me si aprì una voragine che sembrava espandersi sempre di più man mano che i nostri corpi si avvicinavano e le nostre bocche si conoscevano. Era come se si fosse aperto un burrone in cui stavo cadendo, la forza di gravità mi spingeva verso il basso mentre a me sembrava soltanto di volare tra quel profumo, quel viso sconosciuto, quel corpo in balia delle mie mani.
Salii verso il suo viso e lo strinsi tra le dita, continuando a baciarla sempre con più voglia e passione, mentre in lei cresceva sempre di più la timidezza dell'ignoto.
Percorsi il suo corpo per arrivare ai fianchi, che tenni delicatamente ancorati al mio bacino, sentendo crescere sempre di più in me quella voglia di renderla completamente mia, quella voglia che credevo non sarebbe mai nata completamente.
Aprii gli occhi di qualche millimetro e vidi davanti a me le sue palpebre chiuse, un piccolo gesto che dimostrava quanto tentasse di lasciarsi andare nelle mie mani. Sentii la pelle della sua schiena contro i miei polpastrelli, stava rabbrividendo mentre le sue braccia, distese lungo il corpo, sembravano non dare cenno di volersi muovere per scoprirmi.
Le tolsi la maglia e in un attimo rividi le sue iridi e le sue pupille, quasi lucide e ingrossate dall'emozione.
Lei non era imbranata; era imbranatissima.
Era una piccola foglia verde acido che spunta da un ramo secolare. Era bianca, era vergine nel senso più  puro del termine.
Raggiunsi le sue dita accaldate e le poggiai sul mio petto, guidandola in quel bosco di arbusti che avrebbe dovuto prima o poi attraversare per raggiungere l'altra sponda del fiume.
Sembrò riuscire a perdere l'inibizione mentre i suoi palmi sostavano sul mio petto e i miei vagavano sulla sua schiena e le sue gambe.
Mentre le mie labbra continuavano ad occupare i suoi respiri, le mie mani scesero verso i suoi fianchi, lasciai che le mie dita scivolassero sulla sua pelle, dentro i pantaloni. Mentre le sue mani restavano immobili sul mio petto, le mie dita fecero scivolare i suoi jeans e le sue slip verso il basso, per spogliarla.
In un secondo sembrò irrigidirsi, ma io non mi fermai. Socchiusi gli occhi e allontanai le mie labbra dalle sue, deciso ad aiutarla a togliere di mezzo quegli vestiti che ormai non servivano a nulla.
Stavo per chinarmi sulle ginocchia, ma lei mi bloccò: le sue mani si strinsero contro la stoffa della mia maglietta e mi fermarono subito. La guardai, senza incontrare mai i suoi occhi.
Era in imbarazzo.
Tornai in piedi, davanti a lei, la fissavo nel suo rossore e non potevo fare a meno di desiderarla con tutto me stesso.
Tornai a baciarla, con passione, tenendola stretta a me come per non farla più respirare. La sua presa sulla mia maglia si fece pian piano sempre più leggera, fino a che non la sentii poggiarsi alle mie spalle: stava cercando di togliersi i pantaloni usando solo i piedi per farli scivolare lungo le sue gambe.
In un attimo di traballamento si staccò dalle mie labbra e rise, imbarazzata e divertita. L'accompagnai in quel momento di quasi divertimento, fino a che non mi guardò negli occhi e il mio corpo tornò soltanto a volerla.
Continuammo a baciarci, eravamo riusciti a trovare il nostro equilibrio. Tornai sulla terra soltanto quando sentii le sue dita poggiarsi sul mio mento, chiedendomi di fermarmi: «Vieni.» sussurrò, prendendomi per mano e portandomi con sé.
In un secondo mi condusse su per le scale, entrammo nella sua camera e subito tornai su di lei, vicinissimi. Pochi attimi e le nostre labbra tornarono ad appartenersi, senza la minima intenzione di smettere o allontanarci.
Temevo che una volta conquistato il suo corpo, come una scoperta geografica, lei si potesse in qualche modo ribellare. Farsi avanti, mandarmi via, cercare di respingermi.
L'unica cosa che percepii, però, era la sua presa sulle mie scapole farsi più forte, come cercando un appiglio per fuggire al dolore.
Feci piano, come mi chiedeva il suo corpo con piccoli tremiti e sussulti, e non mi rendevo conto di quei brividi e di quelle sensazione che stavo provando io, troppo preso dalla voglia di non farla pentire di essersi lasciata andare con me.
Era come se piccoli esseri alati stessero facendo il giro del mio corpo, scombussolandomi tutto, facendomi perdere il contatto con la realtà nuda e cruda che avevo sotto le mani.
Per lei non era altro che sesso, qualcosa che non avrebbe mai avuto un seguito o un futuro.
Dopotutto la verginità si perde una volta sola, e quello era stato il suo unico obiettivo

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Ed eccomi qua!
Direi, alla fin fine, con poco ritardo ;)
Vorrei di nuovo ringraziare le persone che seguono la mia storia (aumentano sempre più **) e le mie recensitrici :3
Spero di ritrovarvi tutte quante tra le future recensioni :3
Mi scuso nuovamente per il disguido dei dialoghi, purtroppo a volte mi scordo di modificare il capitolo .-. che testa che ho XD
Ma bando alle ciance... vediamo se questo capitolo vi piace :p
Fatemi sapere! Grazie a tutti/e :3
Elena



    Capitolo 17

sabato 23 & domenica 24 aprile 2011 }


Quando uscii da quella casa ero convinto di essermi lasciato alle spalle una ragazza addormentata. Gli avevo scritto uno stupido biglietto, codardo: volevo soltanto andare via da quella casa e pensare un po' a quello che avevo combinato.
In realtà Faith aveva chiuso appositamente gli occhi per diversi minuti, fingendo di dormire ed aspettando che io me ne andassi da quelle mura.
Non appena sentì il rumore della porta che si chiudeva alle mie spalle, aprì gli occhi ed osservò il soffitto per qualche secondo. Guardò il proprio corpo coperto da un lenzuolo bianco e, alla vista delle lenzuola leggermente macchiate intorno ai suoi fianchi, decise di alzarsi per farsi una doccia. Si lavò anche i capelli, continuava ad insaponarsi la pelle come per dover lavare un segno di pennarello indelebile dal corpo. Infine si mise un assorbente, si infilò l’accappatoio e tornò sdraiata sul letto, sospirando.
Non si sarebbe mai aspettata una situazione simile. Di tutti i piani che si era fatta per la serata del suo compleanno, quello di finire a letto con me era proprio l’ultimo che si sarebbe mai immaginata.
Dal momento in cui aveva incontrato il mio sguardo si era decisa a fare la cosa giusta: voleva dirmi di dimenticare quello che mi aveva detto su quella panchina, di lasciar perdere tutto e di continuare un rapporto normale, come due amici, come due persone che, per quanto possano interessarsi, non si sarebbero mai guardate in altro modo o con doppi fini.
Eppure, in un secondo, si era accorta che desiderava baciarmi. Nel momento in cui si era avvicinata per ringraziarmi del regalo, aveva avuto un fortissimo impulso di saltarmi al collo, di stringere le mie labbra con le sue, di trovare la mia lingua e non lasciarmi, neanche per un attimo.
Aveva cercato di trattenere quella sensazione, di far finta di nulla, ma quando mi ero proposto di accompagnarla a casa e poi le avevo dato quella bellissima collana, tutti i suoi propositi si erano sciolti come neve al sole.
Per una volta nella vita aveva deciso di lasciarsi andare, di fregarsene di tutto e di tutti, di seguire soltanto le proprie sensazioni e, senza rendersene conto, si era ritrovata a fare l’amore con me.
Avvicinò una mano alla bocca, nervosa. Si ricordò i brividi provati quando le mie mani si erano avvicinate al suo corpo, quando le nostre bocche si erano assaporate, quando i nostri profumi si erano mescolati nell’aria.
Chiuse gli occhi e poggiò i palmi sul viso, tenendo la propria mente immersa il più possibile nel buio.
Aveva perso la verginità, era tutto quello che, un tempo, aveva desiderato per sentirsi più vicina alle altre ragazze con cui usciva a Londra. Eppure perché sentiva come se mancasse ancora un tassello per stare veramente bene?
Si voltò verso il punto in cui il materasso ancora emanava il calore del mio corpo e per un attimo desiderò con tutta sé stessa di vedermi lì, accanto a lei, anche solo a dormire. Scosse la testa e si alzò; non aveva il minimo sonno. Scese in cucina ed aprì il frigorifero, automaticamente. Tutte le volte che si trovava a casa da sola aveva quel vizio, nonostante non mangiasse mai niente poi. Infatti, sospirando, chiuse lo sportello e guardò il tavolo in cucina. Si sentiva tramortita, sospesa nel vuoto, come se non riuscisse a rendersi conto di quello che era successo.
Aveva fatto l'amore, avrebbe dovuto essere felice, o no?
Deglutì a forza, passando delicatamente una mano sulla superficie piana del tavolo, poi chiuse gli occhi per un secondo e decise di tornare nel letto, per calmarsi un po'. Con tutti i pensieri vuoti che le passavano per la mente non si era neanche accorta di quanto forte corresse il suo cuore. Sembrava un martello pneumatico, un peso che combatteva contro le costole per cercare di uscire e ricongiungersi con la fonte di tutti quei brividi.
Si sdraiò a pancia in giù su quel letto ancora tiepido e chiuse gli occhi, mordendosi le labbra e cadendo nel mondo dei sogni nel giro di pochi minuti.

Ed io? Non riuscivo ancora a togliermi di dosso la sensazione dei suoi brividi che quasi pungevano contro la mia pelle. Quei piccoli, leggeri segni sulle sue braccia e gambe mi erano penetrati dentro, come il freddo invernale ti entra nelle ossa e non ti molla più.
Cercai di entrare in casa senza fare troppo rumore, per evitare che mia madre si svegliasse e mi inondasse con le sue domande curiose. Mi tolsi le scarpe e mi fiondai in camera mia, mi spogliai e subito mi lasciai andare sul mio letto. Continuavo a pensarla, ancora, e più la pensavo e più mi davo dello stupido per essermene andato lasciandole soltanto un “buongiorno” scritto a penna.
Come si era sentita? Cosa aveva provato? Era quello che aveva desiderato, oppure l'avevo delusa?
Nonostante tutto, però, ero contento di averla baciata in quel modo, di essermi lasciato andare indipendentemente dai nostri quasi accordi precedenti. Non c'era stato nulla di programmato, nulla di effettivamente deciso: avevamo fatto l'amore perché l'avevamo voluto tutti e due, in quel momento, in quel modo, con quei vestiti e con quei profumi.
Mi addormentai ancora con il suo sapore addosso, come perle di sudore, e quando mi svegliai il mattino seguente faticai ad aprire gli occhi. Mi sentivo intorpidito, come se tutto il corpo si fosse addormentato. Guardai la sveglia sul comodino e vidi che erano già le 10.
Il silenzio che mi circondava mi rendeva particolarmente chiaro il fatto che i miei erano usciti, ogni tanto di domenica lo facevano: se ne andavano fuori tutta la giornata, mi lasciavano la casa libera e qualcosa di pronto in forno o in frigorifero, a seconda della stagione.
Mi sedetti sul bordo del letto e mi stiracchiai, stanco, stropicciandomi gli occhi. La mia testa era decisa a non pensare a Faith e alla notte appena trascorsa, ma, nonostante quello, non riuscii a non sentire una parvenza del suo profumo nell'aria. Sapevo che era tutta finzione, che probabilmente era solo il mio cervello che se lo stava immaginando, però non riuscii ad evitare di perdermi in quel ricordo e a sentirmi felice al solo pensiero.
Senza neanche rendermene conto mi ritrovai in cucina, mano sulla maniglia del frigorifero e sguardo perso tra la seconda e la terza mensola interna all'elettrodomestico. Mi sedetti al tavolo ed accesi col telecomando la televisione, ancora con la mente sospesa nel vuoto. Un leggero rumore in lontananza, però, catturò la mia attenzione: mi alzai e feci per seguirlo, riconoscendo la vibrazione del mio cellulare che, imperterrito, continuava a suonare.
Una piccola vocina dentro di me mi suggeriva che potesse essere lei: magari si era svegliata e aveva pensato di telefonare per salutare, o per chiedere come stavo, cosa stavo facendo. Più che una vocina, però, era la speranza che mi faceva pensare certe cose, tanto che, quando lessi il nome della persona che mi stava telefonando, il mio primo impulso fu quello di gettare il cellulare dalla finestra.
«'Giorno, cretino.» salutai, accettando la chiamata. La risata di Gianluca risuonò nelle mie orecchie, sembrava più felice del solito.
«Finalmente sveglio! Fra un'ora al muretto?» tagliò corto, sorridendo. Dissi subito di sì e tornai in cucina, deciso a mettere qualcosa sotto ai denti prima di dover raccontare al mio amico quello che era successo.

Arrivai al famoso muretto, proprio dietro la piazza centrale, con cinque minuti di ritardo. Di Gianluca, però, ancora nessuna traccia. Ero abituato ormai, quindi fino ai venti minuti avrei facilmente sopportato.
«Eccomi!» mi voltai e me lo ritrovai davanti, sorridente e accaldato dalla corsa.
«Ciao, scemo. Ti vedo contento.» mi appoggiai con le natiche al muretto ed attesi che iniziasse a parlare.
Sorrise: «Ieri sera non ci siamo scannati!» era davvero felice, forse Giulia gli piaceva sul serio.
«Ah sì? E che avete fatto?» domandai, sperando di ritardare il più possibile il momento in cui avrei dovuto parlare io.
«Niente, l'ho aiutata a sistemare. Però non è stata acida, è un passo in avanti, no?».
Era la prima volta, o quantomeno ci si avvicinava molto, che vedevo Gianluca così contento di aver soltanto parlato con una ragazza. Sapevo che Giulia era sempre stata un punto debole per lui e sapevo anche che, dal momento in cui lei si era messa insieme a Giorgio, Gianlu aveva rinunciato a provarci. Mi era sembrato strano, in effetti, però lo avevo lasciato fare come riteneva meglio.
«Ma tu? Le è piaciuto il regalo?» quella domanda innocua, però, mi tradì: arrossii in un attimo e cominciai a guardare altrove, preso dall'agitazione. Il sorriso di Gianlu sparì e subito apparve un'espressione volpina, curiosa: «Che è successo? Ora voglio sapere!».
Abbassai lo sguardo e mi allontanai di un passo da lui, che continuava a tirarmi leggere gomitate d'intesa e curiosità.
«Ma che, ci sei andato?» la tentò, infantile. La mia prima reazione fu quella di abbassare il viso e stropicciarmi gli occhi con una mano.
«Ci sei andato! Oddio, Diego!» si posizionò di fronte a me e continuò con le sue inutili domande, eccitato per me. In quel momento non sapevo se essere contento per la sua felicità oppure per la mia che, codarda, continuava a nascondersi dietro la timidezza.
«Smettila, Gian!» alzai gli occhi e lo guardai: «Sì, ci sono andato.».
«Lo sapevo! Cavolo, me lo sentivo!» spalancò la bocca in un tremendo sorriso e poi tornò alla carina: «Allora, com'è andata? Com'è successo? Ma ha iniziato lei?».
Gli feci cenno con le mani di stare in silenzio e poi, con calma, raccontai: «Non ha cominciato un bel niente, semplicemente le ho dato il regalo e poi è nato tutto da sé.».
«Da sé? Quindi non vi eravate più sentiti da quanto ti aveva detto...» lasciò il discorso in sospeso, troppo chiaro per tutte e due.
«No, anzi, ora che ci penso probabilmente non aveva la minima intenzione di andare fino in fondo.»
«A me sembra che l'intenzione ce l'abbia avuta eccome!» rise, stupido.
«Ma è stato spontaneo, capisci? Mi andava, ci ho provato e lei c'è stata.» dissi, freddo. Mi stupii anche della distanza con cui avevo parlato di quel bacio e quel rapporto tanto desiderato.
«E poi? Avete parlato?» chiese, ancora più assetato di sapere. Feci cenno di no col capo e spiegai che, in realtà, le avevo lasciato soltanto un biglietto.
«Sei uno scemo!» mi rimproverò, giocando a fare l'adulto. «Ma scusa, lei ci sta, sai che è la sua prima, e poi le lasci solo un biglietto? Sei scemo!».
Inghiottii la veridicità di quelle parole e ricominciai a pensare a quel “buongiorno” stampato su carta.
«Penso di sì. Comunque non ci siamo ancora sentiti.»
«E hai intenzione di chiamarla?» domandò, diventando serio. Forse da un momento all'altro aveva capito che comunque era una cosa delicata per me.
«Non lo so, non vorrei pensasse chissà cosa. È stato solo stanotte, no?»
«E lo chiedi a me?» rise, indicandosi con una mano. «E poi dipende, se t'è piaciuto potresti anche tornarci.».
'Certo che mi è piaciuto, cavolo!' pensai, ma non uscì niente dalla mia bocca. Quelle parole restarono incastrate nei miei pensieri, dove già nuove riflessioni stavano facendo capolino.
«Stasera usciamo, no?» domandai, col chiaro intento di poter beccare Faith mentre ero protetto dalla presenza del resto del gruppo.
«Oh, certo! A maggior ragione dobbiamo uscire!» rise, dandomi una leggera pacca sulla spalla e riprendendo a parlare di Giulia e di quello di cui avevano parlato la sera prima.
Ero contento per lui, davvero, ma ero anche agitato per quello che sarebbe successo non appena avessi rivisto Faith e avrei dovuto parlarle.
Dentro di me c'era un calderone di emozioni impossibili da decifrare: l'eccitazione per quell'avventura che avevo vissuto, l'emozione di sentirla pendere dalle mie labbra, la sua completa dipendenza da me sotto quelle lenzuola, quelle labbra dolci e affamate, quella sensazione di completezza che mi prendeva quando ero insieme a lei, il suo sorriso e i suoi occhi. Due piccole perle verdi che mi uccidevano.

«Ciao ragazzi! Scusate il ritardo!» Giulia ci aveva raggiungo al pub, come al solito. Era da sola, però.
«Sei sola stasera?» Gianluca fece quella domanda al posto mio, risultando strano e sospetto.
«S-sì... Perché?» Giu sorrise, sedendosi di fianco a me. «Dovevo venire con qualcuno?» tentò di provocare Gianlu che, però, non ebbe reazioni strane.
«Di solito porti anche Faith quando usciamo, quindi ho chiesto.» precisò, freddo. Lo ringraziai con un misero sguardo di essersi messo sotto i riflettori al posto mio.
«No, diceva che stasera preferiva restare a casa. Ho preferito non insistere.» si voltò verso di me e sorrise, aspettando che la imitassi.
«Beh, ragazzi, che si fa il primo Maggio?» domandò Carola, curiosa. Cadde per un attimo il silenzio, dubbiosi, e quella volta parlai io: «Di solito non andiamo al mare?» guardai gli altri ed attesi una loro risposta.
«Ma ci andiamo tutti gli anni...»
«Apposta, è una tradizione!» Gianluca, amante della spiaggia e del mare, difese la nostra abitudine. Tutti gli altri, però, avevano voglia di novità.
«E se andassimo in campeggio da qualche parte? Potremmo noleggiare una tenda e andare tutti insieme!» Carlo raccolse l'attenzione di tutti.
«In tenda? Ma scherzi? Con tutti gli insetti che ci sono in giro?» la faccia schifata di Eva disse tutto.
«Andiamo ai voti!» deliberò Carlo: «Chi vuole andare in campeggio?».
Io non feci nulla, indeciso, ma tutti gli altri, compresa Giulia, alzarono la mano. Ero come convinto che lei lo facesse soltanto per andare contro Eva.
«Beh, contiamoci!» Carlo si alzò in piedi e contò ben 8 mani alzate, una contraria, un astenuto e infine, sé stesso: «Direi che siamo in maggioranza! Vada per il campeggio!» si sedette di nuovo e poi alzò il bicchiere, pronto per un bel brindisi.
«Tu, Dié, non sei convinto?» Marco si rivolse a me, sorridente.
«Sì sì, per me va bene tutto!» sorrisi e bevvi un sorso di birra, più per togliermi dal silenzio che avrei creato che per sete.
Le chiacchiere ripresero e anche io cercai di non isolarmi e di essere partecipe. Giulia, però, continuava ad osservare e a partecipare soltanto con qualche cenno del capo, niente di più. Ogni tanto la guardavo e spesso la beccavo ad osservare me. Forse aveva notato la mia stranezza? Decisi di non farmi prendere in castagna e, piuttosto, di toglierle ogni dubbio.
In un momento di calma, mi voltai verso di lei e le chiesi, sottovoce: «Ti sei innamorata di me?».
La vidi strabuzzare gli occhi: «Cosa dici?».
«Mi stai fissando!» risi, continuando a guardarla. Giulia scoppiò a ridere, poi si avvicinò e mi parlò a bassa voce: «In realtà mi sembri strano. Considerato che poco tempo fa sembravi interessato a Faith, pensavo c'entrasse la sua assenza.».
Trattenni il fiato e mantenni il sangue freddo: «No no, mi dispiace che non sia venuta ma... Niente di che.» finii, cercando di recitare nel miglior modo possibile.
«Mi fido. Faith era strana stasera.» precisò, sciogliendosi un po'. Era il mio momento, non aspettavo altro: «Come mai?».
Giu si guardò un po' intorno e poi mi fece cenno che ne avremmo parlato più tardi, senza tutte quelle orecchie indiscrete attorno.
Attesi. Ed era un'attesa piena di aspettative, perché sapevo che poi Giulia mi avrebbe detto qualcosa che mi avrebbe aiutato a capire come stava Faith e come se la passava.
Ero tentato di mandarle un messaggio, ma allo stesso tempo la ritenevo una bambinata assurda.
Finalmente si fece tardi, tutti pian piano se ne andarono e restammo soli io, Gianluca, Giulia e Valentina. Capivo bene che il mio amico non aveva la minima intenzione di andare via, voleva stare con Giulia e tentare di parlarci ancora, ma speravo che almeno per quella sera potesse capire e lasciarci soli.
Presi il cellulare e gli mandai un messaggio: “Porta a casa Valentina. Devo parlare con Giulia. Per favore.”.
Lesse quelle righe e riuscì a non far trasparire delusione o rabbia: «Vale, hai bisogno di un passaggio?» domandò, stupidamente.
Valentina lo guardò, serena: «Beh, se sei così gentile ne approfitto!» sorrise e nel giro di pochi minuti ci salutammo.
Restammo soli e io Giu, in silenzio per qualche attimo: la guardai, le sorrisi e poi feci un primo passo, per vedere se mi avrebbe seguito.
Ci incamminammo verso il parcheggio e fu lei a parlare: «Secondo te dovrei andare da Faith e farla parlare?».
Mi voltai e la guardai senza aprire bocca per qualche secondo.
«Sbaglio?» continuò, preoccupata.
«Non so cosa è successo...» precisai, innocente, sperando soltanto che Giulia si fidasse ciecamente di me e che, quindi, mi dicesse anche cose che in teoria non avrei dovuto sapere.
«Niente di che, però mi è sembrata strana. Sono andata da lei per fare due chiacchiere ed era sempre sovrappensiero, dicevo “fischi” e rispondeva “fiaschi”. Non è mai stata così, anzi, è sempre molto attenta alle cose, ai dettagli. Dev'essere successo qualcosa, ma non ho idea di cosa!» fece una pausa, poi si bloccò in mezzo al marciapiede e mi chiese, gioiosa: «Le è piaciuto il regalo! Ce l'aveva addosso quando ero da lei!».
Quelle parole fecero aumentare il battito del mio cuore: gliela avevo messa io quella collana e non se l'era ancora tolta, almeno lo speravo.
«Meno male! Almeno sono andato sul sicuro!» commentai, sorridente. Riprendemmo a camminare ed arrivammo al parcheggio, sereni. Ci salutammo con un cenno della mano ed ognuno partì per la volta di casa propria, con un pensiero in meno sul cuore: Giulia si era sfogata ed io avevo saputo che, almeno tramite il mio regalo, ero sempre stato pelle di Faith quel giorno.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Ehm, sì, lo so che sono in ritardissimo D:
Ero davvero convinta di riuscire a continuare a postare più frequentemente, ma purtroppo ho avuto alcuni problemini ed altre cose, per cui mi ritrovo solo ora a lasciarvi il capitolo 18...
Spero vi piaccia e di avere ancora le mie lettrici :3
Grazie di tutto!
Elena

EDIT: beh ragazzi, chiedo venia per questo errore che continuo a fare: I DIALOGHI!!!
Spero di non sbagliare più, scusatemi :(




Capitolo 18

{ domenica 24 aprile 2011 }


Solitamente, quando sentiva la testa piena e colma di pensieri e riflessioni, Faith scriveva su un quaderno che assumeva le sembianze di un diario segreto fino a che il polso non le faceva male e il cuore diventava più leggero.
Era un'abitudine che si portava dietro da quando aveva imparato a scrivere, da quando era riuscita a trasformare pensieri e sensazioni in inchiostro su carta bianca.
A casa a Londra aveva uno scatolone con tutti i quaderni, diari, fogli su cui si era sfogata: se avesse potuto creare un dossier datato e in ordine cronologico, avrebbe potuto ricostruire da capo la sua vita, le sue scelte, i suoi vissuti. Chiunque avrebbe potuto capire ogni singolo comportamento e anche ogni emozione, dubbio, malinteso che aveva vissuto sulla sua pelle.
In quel momento, però, tutto quello di cui aveva bisogno sembrava impossibile da realizzare: le sarebbe stato impossibile descrivere quello che stava provando, ed era la prima volta che si sentiva talmente confusa e tramortita da non riuscire neanche a poter definire quello che provava.
Si sentiva stupida per aver finto di dormire e per non essersi fatta viva con me, ma allo stesso tempo gli facevo quasi rabbia perché me ne ero andato in quel modo e non l'avevo neanche chiamata. Ero scomparso dalla circolazione. Allo stesso tempo era contenta che non l'avessi cercata, altrimenti non avrebbe saputo cosa rispondere e come porsi nei miei confronti.
Raggiunse con le dita il ciondolo della collana che le avevo regalato e pensò a come mi sarei potuto sentire io, a come comportarsi con me nei giorni a venire.
Non pretendeva nulla. Non mi voleva costringere ad una relazione o ad una conoscenza finalizzata ad una storia d'amore. Non desiderava nulla da me.
Avrebbe voluto spiegarmi che era stato stupendo fare l'amore, che era felice che la prima volta fosse stata insieme a me, e che sperava che tutto quello non incidesse troppo su un rapporto buono tra noi due. Faith voleva soltanto che non diventassimo come due persone che hanno vissuto una storia di dieci anni e si lasciano per incompatibilità caratteriale. L'ideale sarebbe stato essere amici, continuare con un rapporto civile come avevamo avuto fino a quella notte, e fingere che quella serata non fosse mai esistita.
Non riuscì però a non giungere alla conclusione che le sarebbe piaciuto fare di nuovo l'amore con me e quello, però, avrebbe sicuramente portato a complicazioni che sarebbe stato meglio evitare.
Finalmente si alzò da quel letto e si preparò per le faccende di casa. Cambiò le lenzuola, ripulì la sua stanza e poi scese in cucina, ancora digiuna. Si guardò intorno e decise che avrebbe approfittato di quello stato d'animo per sistemare anche quella stanza; quindi si fece una coda di cavallo ai capelli, si tirò su le maniche della maglietta e poi iniziò col pulire il pavimento.
Stava passando lo straccio sulla stesa mattonella per la quinta volta, quando sentì suonare alla porta. Passandosi una mano sulla fronte per asciugare il sudore, andò ad aprire.
«Giulia!» sorrise e la salutò con un bacio sulla guancia.
«Faith! Sei a fare le pulizie?» rise, entrando nel salotto e dando un'occhiata veloce alla cucina.
«Sì, ne ho approfittato stamani. Vieni, siediti!» le indicò il divano e, senza indugio, si sedettero e cominciarono a chiacchierare.
«Spero ti sia piaciuta la festa di ieri...».
«Assolutamente sì! Siete stati fantastici, davvero, non dovevate!» si sentiva imbarazzata.
«E smettila! È stato solo un piacere! Poi ci siamo divertiti, no?» sorrise, ripensando ai bei momenti trascorsi insieme. Faith, però, abbassò lo sguardo.
«Stai bene, Fé?» la chiamò così, in confidenza. L'inglese alzò lo sguardo, prese qualche secondo e poi tentò di rassicurare Giulia dicendole che stava bene e che, forse, era soltanto stanca per via dei lavori in casa.
«Boh, ti vedo strana. È andata bene con Diego ieri sera?».
Faith sentì il sangue gelare nelle sue vene, ma tentò di fingere indifferenza: «Sì, bene. Ti va qualcosa da bere?» si alzò di scatto e se ne andò in cucina, lasciando Giulia senza parole.
Appena entrata nella stanza adiacente, Faith rallentò il passo, si mise le mani tra i capelli e poi si avvicinò al frigorifero, per vedere cosa ci fosse a disposizione da offrire a Giulia.
Continuava a guardare dentro quell'elettrodomestico senza in realtà vedere nulla. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, poi riaprì lo sportello e fu subito fermata da una voce che arrivò dalle sue spalle: «No, grazie. Sicura di stare bene?».
Giulia l'aveva raggiunta in cucina con passi felpati, tanto che Faith non l'aveva neanche sentita. Si voltò verso di lei e restarono per qualche secondo occhi negli occhi: una che non sapeva cosa dire e l'altra che aspettava una risposta, curiosa.
Faith si riprese quasi subito: «C-certo! Tutto ok, perché?». Chiusi il frigorifero davanti a sé e poi torno in salotto, seguita quasi immediatamente da Giulia.
«Sei strana! È già un paio di giorni...» precisò, preoccupata. Faith non si era mai comportata così.
«No, è che...» l'inglese abbassò lo sguardo e giocò un po' con le proprie dita, cercando una scusa plausibile ad un comportamento di quel genere. Non poteva dirle quello che era successo, almeno per ora. Era da escludere.
«Ho il ciclo.» si inventò in un attimo, guardando l'altra negli occhi. Giulia attese qualche secondo prima di cedere e fingere di crederle. Era chiaro come il sole che non poteva essere solo quello il motivo di tanta stranezza, ma era altrettanto palese che Faith non ne voleva parlare, e Giulia non poteva costringerla a confidarsi con lei.
«Ah ok, ora è chiaro!» le diede corda, alleggerendo notevolmente l'umore di quella breve visita.
«Ero venuta per chiederti se ti andava di venire con me in centro, ma mi sembri occupata...».
Sul viso di Faith si dipinse subito un'espressione dispiaciuta: avrebbe tanto voluto uscire con la sua nuova amica, ma non se la sentiva di mettere piede fuori casa fino a che non si fosse sentita bene al 100%, almeno fisicamente.
Quel cambiamento l'aveva scossa, non poteva fare altro che avere un po' di pazienza.
«Non ti preoccupare, magari domani, ok? » propose Giulia, sorridente.
Le ragazze si salutarono, ancora un po' distanti, entrambe fingendo che andasse tutto bene. Dopotutto se Faith ne avesse voluto parlare, Giulia non le avrebbe mai detto di no, giusto?

Finalmente riesco a buttare giù quello che sento. Mi sembrava impossibile, perché mi sento piena e vuota allo stesso tempo.
Fare l'amore è stato bellissimo e farlo con Diego lo è stato ancora di più.
Quando gli avevo chiesto di farlo con me in realtà era perché avrei tanto voluto che lui potesse desiderarmi e voler fare l'amore con me quanto io desideravo che la prima volta fosse con un ragazzo come lui: simpatico, gentile e... bello.
Mi sento stupida a dirlo, però sapevo che lui sarebbe stato quello perfetto. Dalla prima volta che ho incrociato i suoi occhi, ho capito che dietro la sua timidezza si nasconde un carattere forte e passionale, una dolcezza che tenta di nascondere sempre agli altri, non so perché, però.
Poi per la festa del mio compleanno ho cominciato a sentire una voglia incredibile di assaggiare quelle labbra, di baciarlo e tenerlo stretto a me che non provavo da tanto tempo, e in quel momento ho capito che con lui l'amore l'avrei fatto senza paura. Non pensavo però che ci avrebbe provato quella sera, mi ha trovato impreparata. Non avevo le forze per respingerlo.
Ho lasciato che decidesse tutto lui, ho lasciato che mi dimostrasse qualcosa, e poi sono scappata.
In questo momento avrei bisogno di un'amica, una di quelle vere, una di quelle che mi conosce da sempre e che saprebbe dirmi le parole giuste per aiutarmi. Qualcuno che mi ponesse alcune domande, di quelle importanti, tanto da aiutarmi a capire quello che voglio veramente.
Ho come la sensazione di essere cresciuta, tutto in una notte, soltanto a causa di carezze e baci che non avevo mai provato prima. Mi sento donna.
Ecco, è l'unico modo in cui riesco a trasmettere quello che sento.
E, come al solito, ecco a farmi tante domande da sola.

Senti di provare qualcosa per Diego?


Non lo so e in questo momento vorrei non provare assolutamente nulla.

Perché? Potrebbe essere la persona di cui hai bisogno per riprenderti da Henry.


Non voglio sentirmi legata a qualcuno. Ho bisogno di essere sola, libera, e assolutamente non condizionata da alcun sentimento. Quello che provo per Diego non vale nulla.

Allora provi qualcosa.


Non lo so, so soltanto che mi piace, è un bellissimo ragazzo e ieri sera non c'era altro posto in cui desiderassi essere.

Allora perché negare tutto? Potresti parlargliene, chiarire...


Negherò tutto perché uno come lui è sicuramente pieno di ragazze che se lo portano a letto e poi pretendono qualcosa. Io non pretendo niente. Vorrei soltanto non avere questa confusione in testa, questo senso di pesantezza e al contempo leggerezza che mi sta facendo fumare il cervello. Se da un lato vorrei che Diego mi cercasse per sapere come sto, dall'altro vorrei non vederlo più.

Concluse quel dialogo con sé stessa e fissò per qualche minuto il soffitto. Poi scrisse un'ultima frase:

Sono tremendamente confusa e ringrazio il cielo di aver creato la domenica.

{ lunedì 25 aprile 2011 }


Faith non pensava ancora al fatto che le feste nazionali non sono uguali a livello europeo.
Quel lunedì si era svegliata presto, intenzionata a cercare lavoro in giro per la città. Una volta arrivata in centro, però, si rese conto che quel giorno non avrebbe potuto fare un bel nulla. Approfittò di quella giornata di sole per fare una bella passeggiata e cercare di chiarirsi le idee.
Pensò che sarebbe stato bello se fosse subito scoccata una dolce scintilla tra lei e me, una storia d'amore che poi sarebbe durata per tutta la vita.
In realtà quello che era successo era che io e lei avevamo condiviso un momento bellissimo, che però si limitava a quelle poche ore notturne, non sarebbe mai andato avanti.
'O almeno non in chiave sentimentale.' pensò, stupidamente. Continuò a camminare per la città, guardandosi intorno per osservare la città in cui avrebbe vissuto almeno per un po' di tempo. Non era niente male. Sicuramente più piccola di Londra, con meno offerta per i giovani, con meno cose da vedere e da visitare; eppure Chieti le offriva un ambiente familiare, caldo, accogliente tale che a Londra se lo sarebbe soltanto sognato.
Il cellulare suonò nella sua tasca e Faith si immobilizzò in mezzo al marciapiede: era sua madre che le chiedeva come stesse andando, come si trovasse.
«Mamma, è tutto ok! Ora sono a fare un giretto, ti chiamo dopo da skype, ok? Sennò si spende un mucchio!» spiegò, sbrigativa. Per quanto le mancasse sua madre, in quel momento non aveva voglia di dover mentire ad un'altra persona.
'Mi sento già abbastanza in colpa per Giulia', pensò, mogia. Giulia era stata la prima persona che aveva conosciuto, la prima ragazza che l'aveva aiutata, con cui aveva legato: perché nasconderle quello che stava accadendo?
'Mi vergogno': la risposta le arrivò direttamente dal più profondo del suo cuore. Si vergognava di essersi fatta avanti in quel modo con me, di trovarsi in quella situazione, di non provare nulla per me. Perché la realtà era quella: per quanto potessi piacergli fisicamente, per quanto si fosse trovata bene con me facendo l'amore, non sentiva dentro di sé quel bisogno impellente di stare insieme, di sentirmi vicino, di prendermi per mano, di sentirmi parte della sua vita.
Se la cosa, da un lato, la faceva sentire in colpa, dall'altro la rendeva sollevata. Aveva passato una vita dietro ad una persona che neanche la considerava ed ora aveva imparato, finalmente, a disattivare il cuore quando meno ce ne era bisogno.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Come promesso, ho fatto prima possibile per lasciare il nuovo capitolo!
Grazie a tutte/i coloro che continuano a seguirmi nonostante i miei ritardi! Grazie alla mia recensitrice fedele :3
Spero che anche questo capitolo piaccia!
Un bacione,
Elena



    Capitolo 19

{  lunedì 25 aprile 2011 }


Ero stato un codardo, e della peggior specie!
Erano passati quasi tre giorni da quando avevamo fatto l'amore, e non mi ero minimamente fatto vivo. Non le avevo mandato un messaggio, fatto sapere nulla tramite Giulia, niente di niente.
Era da tre giorni che desideravo farmi sentire in qualche modo, dirle qualcosa, ma ogni volta che digitavo le prime tre parole di un ipotetico messaggio mi sentivo un cretino. Qualsiasi parola mi venisse in mente mi sembrava stupida e insensata.
Gianluca insisteva sul fatto che prima o poi avrei dovuto parlarle, che l'avrei rivista anche soltanto insieme al gruppo, e che quindi la situazione andava risolta nel bene o nel male.
Così, dopo una marea di tentennamenti, decisi che le avrei fatto visita. Sarei andata a casa sua e avrei improvvisato.
In realtà il problema non era la mancanza di dialogo tra noi o il fatto che non sapevo cosa avrei dovuto dirle, cosa avrei dovuto fare. Il problema era che, dopo aver fatto l'amore con lei, il suo pensiero si era radicato ancora di più in me.
Il problema era che non facevo altro che pensare al suo corpo, ai suoi baci, al suo profumo, ed avevo una paura fottuta che potesse dirmi che non era stata bene, che dovevo scordarmi di quell'episodio, che non sarebbe mai successa nuovamente una cosa del genere.
Una sera me l'ero sognata; mi aveva guardato coi suoi profondi occhi verdi, aveva sorriso, e poi mi aveva detto che voleva fare di nuovo l'amore con me. Mi ero risvegliato col cuore che batteva a mille e con la salivazione pari a zero.
Uscii di casa decidendo di andare a piedi: avevo bisogno di ossigenare il cervello, altrimenti sarei arrivato a casa di Faith con le idee decisamente poco chiare e la bocca impastata dalle mie sensazioni. Infilai le mani in tasca e cercai di guardarmi intorno e di perdermi in tanti dettagli insignificanti, per evitare di continuare a pensare a quello che sarebbe successo.
Inevitabilmente, però, mi immaginai la scena. Sarei arrivato a casa sua e lei avrebbe aperto la porta col sorriso, quasi volendo fingere che non fosse mai successo nulla. Io l'avrei guardata imbarazzato, mentre lei sarebbe stata distante e fredda, come se non avessi mai toccato il suo corpo e non l'avessi resa una donna.
Non sapevo neanche cosa avrei provato nel vederla: l'avrei sentita distante, lontana da me, oppure avrei provato nuovamente quel desiderio di averla completamente mia che mi aveva dominato in quegli ultimi tre giorni?
Non ero un novellino, avevo avuto delle storie, piccole o grandi che fossero, ma non mi ricordavo di aver mai provato una cosa del genere, un'aspettativa così pesante sulle mie povere spalle. Mi venne in mente Giada, la prima ragazza con cui avevo avuto una storia un po' più seria: ci eravamo conosciuti una sera ad una festa e subito avevamo cominciato a frequentarci. Dopo un paio di mesi avevamo fatto l'amore, e dopo poche settimane ci eravamo lasciati. Quando l'avevo incontrata dopo la sera fatale non avevo provato niente, e non sentire niente dopo la prima volta che si ha un certo contatto con una persona è un segno chiaro e tondo della mancanza di interesse nei confronti dell'altro. Altra, in questo caso.
Continuavo a camminare senza rendermi conto della distanza che stavo percorrendo: l'aria mi veniva addosso salutandomi con leggerezza, mentre nel mio stomaco le fitte si alternavano a rilassamenti, che mi causavano un dolore addominale irrefrenabile.
Ero davanti a casa sua. Come ci fosse mai arrivato, non avrei mai potuto dirlo.
Eppure ero lì, soltanto un campanello mi divideva da lei. Lo suonai, ma non ricevetti alcuna risposta.
«Cazzo...» commentai, sospirando, e pensai che quello potesse essere soltanto un segno del destino. Così doveva andare, così doveva essere.
«Diego!» una voce femminile mi fece voltare di scatto e il mio cuore mancò un battito. Sentii il vuoto nella mia cassa toracica, sentivo il tutto rimbombare dentro di me.
«Faith.» sussurrai, bagnandomi le labbra. Incrociai i suoi occhi verdi e mi sentii sprofondare, cadere in un baratro infinito.
«Che ci fai qua?» sembrava quasi allarmata, ma ero certo che stesse cercando di nascondere il tutto fingendo indifferenza.
«Volevo...» cominciai, ma mi mancarono le parole. La guardavo ed ogni pensiero moriva dentro di me, senza neanche la forza di rialzarsi. Ero in trance.
«Vieni dentro?» mi invitò, poco entusiasta. Nonostante tutto, però, forse era felice di vedermi.
Passò davanti a me, aprì il cancelletto e poi andò diretta al portone. I miei occhi caddero sulla sua schiena, sui suoi fianchi, sulle gambe per poi risalire al suo viso. Fu come risentire il suo sapore sulle mie labbra, la sua pelle sotto le mie dita: in un attimo solo aveva riacceso in me quel desiderio che mi faceva formicolare lo stomaco.
«Vieni pure...» mi fece entrare in casa e poi chiuse l'uscio alle nostre spalle. Io mi sentivo frastornato, tanto da non sentire neanche quando mi parlò.
«Diego, ma stai bene?» mi cercò con lo sguardo ed io non potei fare a meno di far cadere gli occhi sulla sua bocca, sul suo collo bianco.
Era questa la risposta che cercavo? Desideravo soltanto che fosse così anche per lei.
«Sì.» feci io, secco.
«Ok...» un po' sorpresa se ne andò in cucina. Io la seguii, faticando a deglutire. Continuai ad osservarla mentre prendeva un bicchiere dalla credenza e si versava un po' d'acqua. L'aveva offerta anche a me, ma non ne avevo decisamente bisogno.
«Successo qualcosa?» domandò ancora, innocente.
Abbassai gli occhi: «Come stai?» domandai, stupidissimo. Nei suoi occhi, però, lessi un velo di felicità, di piacere: mi stavo interessando a lei, doveva essere contenta.
«Sto bene. Grazie.» precisò, bevendo un sorso d'acqua. La guardavo ancora, non sapevo cosa dire. Fu lei a rompere nuovamente il silenzio: «Non devi sentirti obbligato a venire qui, a chiedermi come sto, e... Insomma...» farneticò qualcosa di insensato, perché continuava a parlare? Perché non si avvicinava a me e mi diceva che voleva di nuovo le mie mani su di sé, per tutta la notte?
«Non mi sento obbligato.» dissi io, facendo un passo verso Faith. Lei, quasi stupita, spalancò gli occhi dalla sorpresa e poggiò le mani sul mobile in cucina, proprio dietro le sue natiche.
Ancora un passo, un leggero piccolo passo verso la fonte di tutte quelle sensazioni.
«Ti vedo strano.» precisò, respirando più velocemente. La sua gabbia toracica si muoveva pericolosamente, esaltando la forma del suo seno perfetto.
«Non deve più succedere, secondo te?» la voce quasi mi tremava, che cretino! Dovevo fare l'uomo, dovevo essere io a condurre tutto il gioco, dovevo comandare io qua dentro.
«C-che cosa?» più che soggiogata da me sembrava sorpresa da quelle mie parole. Cos'avevano di strano?
«Dobbiamo dimenticarci tutto, secondo te?» i miei piedi continuavano inevitabilmente a compiere dei passi avanti, ad avvicinarsi a quel corpo che tanto desideravo.
In quel momento ero l'uomo alla ricerca della sua donna.
«Sono solo un'imbranata, io.» arrossì, con sguardo basso. Ormai ero lì, bastava un piccolo, minuscolo passo per poter far aderire i nostri corpi e farle capire cosa stessi provando in quel momento. Il mio corpo mi tradiva, evidente.
Riuscivo a sentire il rimbombo del suo cuore: se batteva così forte era merito mio, no?
Alzai la mano e raggiunsi il suo mento. Dolcemente le feci alzare lo sguardo, Faith non si fece troppo desiderare.
«Pensavo ti piacessero le esperte.» continuava, insicura di sé, insicura di quello che poteva darmi. Stupida.
«Esperti si diventa.» espirai quelle parole con fiato caldo che cadde sulle sue labbra. Alzò soltanto gli occhi, cercando i miei, e in un secondo mi appropriai delle sue labbra. Era uno di quei sapori di cui sentivo che non mi sarei mai stancato.
Le sue mani restavano ancorate al marmo della cucina, mentre le mie erano già approdate ai suoi fianchi, a cui mi stringevo come se potessero scapparmi da un momento all'altro.
Continuavo ad accarezzarle le labbra, a morderle delicatamente, ad aspettare un suo gesto che mi facesse capire che potevo andare avanti, che lo voleva anche lei. Per quanto per me sembrò un'eternità, in realtà non tardò ad arrivare: le sue mani si mossero pian piano fino a che non trovarono le mie e si unirono ad esse in quella presa calda che avevo su di lei.
Ricambiava il mio bacio, era il suo sapore che si confondeva col mio, il suo respiro che accelerava insieme al mio. Eravamo noi, di nuovo.
Non resistetti più: lasciai che le sue mani restassero deluse dalla mia scomparsa ed io pensai al resto del corpo. Scesi con le labbra sul collo, lasciai che rabbrividisse sotto il mio tocco e, come se fossimo stati a casa mia, la condussi verso le scale, diretto in camera. Lei mi lasciò fare senza il minimo ostacolo.
Ci tuffammo sul letto, ero caduto su di lei.
Le sue dita erano salite sul mio petto, mentre io restavo ancorato ai suoi fianchi, come se quella sera fossero stati l'unica cosa di cui veramente mi importava. Risalii lungo il suo petto, lasciando una scia di brividi al mio passaggio e gustandomi il suo cuore che batteva talmente forte da poterlo sentire sul mio petto. Le mie labbra erano approdate sul suo collo, mentre la mano libera era andata alla sua coscia, ancora uscita indenne dalla mia volontà.
Arrivò il momento in cui percepii la sua debolezza, il suo lasciarsi andare completamente a me: ne approfittai e cominciai a spogliarla, senza mai lasciare che la mia bocca restasse per troppo tempo senza i suoi baci.
Le nostre lingue erano coinvolte in vortice da cui non c'era altra via d'uscita che fare l'amore.
Condussi le sue mani ai bottoni della mia camicia, alla zip dei miei pantaloni, ai miei capelli e infine al resto di me. Non finivo di scoprirla, andando più a fondo della nostra prima volta: percorsi il suo corpo in ogni piega, in ogni forma, in ogni brivido e godetti di tutte le sue cellule che mi pregavano, in silenzio, di continuare a farle rabbrividire col mio calore.
E fu proprio quando ci appartenemmo, quando i movimenti cominciarono a farsi più forti e incisivi, che sentii all'altezza dello stomaco un buco, un foro interminabile che avrebbe dovuto, probabilmente, farmi capire che io ci stavo completamente cadendo dentro.
Nessuna via di fuga, ero spacciato.

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