Una pericolosa torrida estate

di Lesta_Mancina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rosse intriganti e more ubriache ***
Capitolo 2: *** Docce fredde e schegge impazzite ***



Capitolo 1
*** Rosse intriganti e more ubriache ***


 Questa storia è ambientata nel periodo in cui è stata scritta,  il che significa (ahimè) molti anni fa ormai... 
Cari lettori fate un salto con me in una pericolosa e torrida estate  alla fine degli anni '90:

 

Una pericolosa torrida estate

In un tempo
in cui ancora si poteva
fumare liberamente…

 

Capitolo 1 – Rosse intriganti e more ubriache

 

Il caldo soffocante delle sere di agosto si faceva sentire più intensamente nell’affollato locale nel centro della città, il ghiaccio nella vodka sembrava sciogliersi più velocemente delle altre notti e i drink si dovevano bere in fretta, tutti d’un fiato uno dopo l’altro.
 
Francesca si era recata in quel fumoso disco-pub per un appuntamento con Dario e Julian e si chiedeva come mai, con tutti i locali all’aperto che c’erano in zona, dovessero incontrarsi proprio nel più chiuso e claustrofobico, ma soprattutto: perché così tanta altra gente aveva deciso di rintanarsi proprio lì?
Certo i cocktail e le birre erano le migliori della città e la musica dal vivo del misconosciuto gruppo jazz che stava suonando era inebriante e febbricitante, ma da quando la gente aveva iniziato ad apprezzare le cose buone?
 
Purtroppo le dimensioni piuttosto ridotte e la struttura del locale penalizzavano l’acustica e il vociare della gente ai tavoli e addossata al bancone creava caos e frastuono, fortunatamente però l’alcol che la ragazza aveva bevuto era sufficiente ad attutire anche la nota più stridente.
 
Gli occhi scuri, arrossati a causa delle luci e del fumo del locale, avevano iniziato a non obbedirle più già dal terzo drink, le braccia, spossate e pesanti, al quarto ed ora se ne stava seduta in mezzo a quella baraonda aspettando che i suoi colleghi finissero ciò che dovevano fare e la riportassero a casa.
 
In un angolo meno affollato della sala comodamente seduto su una sedia in similpelle bordeaux, con le spalle rivolte alla parete, Dario spegneva innervosito l'ultima sigaretta nel piccolo posacenere metallico ormai pieno, aprendo subito un nuovo pacchetto.
Attraverso le lenti dal colore scuro sfumato degli occhiali scrutava tutta la sala senza dare nell’occhio e teneva sotto controllo Julian, seduto ad un tavolo non molto distante ed attorniato, in modo più o meno discreto, da tre ragazze decisamente allegre e vogliose di portarsi la loro preda in un luogo decisamente più intimo.
 
Accadeva sempre così quando dovevano muoversi in luoghi di quel tipo confondendosi tra la gente comune, la prestanza di Julian non passava mai inosservata e per tipi come loro non era certo un bene. Julian era alto, slanciato, dalla carnagione chiara e i capelli castani anch’essi piuttosto chiari, che davano un'aria da bravo ragazzo al suo viso fanciullesco. A differenza di Julian, soltanto ventiquattrenne, Dario era un uomo fatto dall’aspetto serio ed elegante, ma nella sua espressione c’era sempre qualcosa di collerico; l’uomo era di statura media, aveva capelli medio-corti scuri  e lineamenti marcati; il naso deciso sorreggeva un paio di occhiali dalle lenti scure che accentuavano l’aria dura e irosa a cui le sopracciglia  e la fronte dell’uomo erano naturalmente predisposte.
 
Posando lentamente il boccale di media rossa l’attenzione di Dario fu catturata da un altro tipo di rossa tra la folla. Porse maggiore attenzione per essere sicuro di ciò che aveva visto e quando la vide avvicinarsi al tavolo di Julian non ebbe dubbi, conosceva fin tropo bene quella figura e di certo era l’ultima nella lista di coloro che aveva voglia di vedere quel giorno.
“Che cazzo ci fa qui quella stronza?” Pensò fra sé l’uomo, già inferocito.
 
Una giovane donna si fermò innanzi a Julian, che alzò su di lei uno sguardo risoluto; le ragazze smisero di ridere e squadrarono la ragazza incuriosite. Una di loro prese il proprio bicchiere e bevve appoggiandosi allo schienale del divanetto facendosi più vicina a Julian. La ragazza ferma davanti al loro tavolo le osservò senza troppo interesse, ma con un sorriso di beffarda superiorità che avrebbe offeso chiunque.
 
Una delle amiche di Julian  stava per rivolgersi a lei malignamente curiosa quando, senza curarsene, la nuova arrivata appoggiò sul tavolo un pacchetto scuro non più grande di una videocassetta. Dopo un altro istante di silenzio, con aria distaccata esclamò rivolta a Julian:
-Ehi, bellosguardo, lo sai che è maleducazione fissare con insistenza una damigella?
 
Julian accennò un mezzo sorriso, rimanendo comunque in silenzio e senza distogliere gli occhi da quella curiosa presenza al massimo di due anni più vecchia di lui, i cui capelli ramati, raccolti disordinatamente in una piccola coda, sembravano bruciare come il suo sguardo strafottente. La diafana apparizione vestita semplicemente con un paio jeans ed un top nero, che si atteggiava da dura, aveva qualcosa di buffo e inquietante insieme.
 
-Questo è per il tuo capo,- si decise a dire la giovane. -Lui sa a chi darlo.- e dopo un’ultima occhiata se ne andò, confondendosi di nuovo fra la mischia.
Julian vide allontanarsi una iena.
 
Francesca ancora seduta al bancone di scatto smise di fissare il bicchiere vuoto e spazientita iniziò a guardarsi intorno in cerca dei suoi due accompagnatori.
L'effetto ancora insistente dell'alcool la confondeva, per non parlare della musica che ora le sembrava solo doloroso chiasso e della ressa ormai più sudata che accaldata.
Più volte inciampò, tanto che, quasi scivolando, decise di levarsi i sandali dai tacchi alti per tenerli in una mano, mentre con l'altra si faceva strada fra la gente. La sua media statura certo non l'aiutava a farsi notare in mezzo a quella confusione ed il suo vestito, corto ed aderente, non faceva che attirarle vicino individui di cui non aveva proprio bisogno in quel momento.
 
Spintonata da una coppia Francesca si scontrò con un ragazzo al quale per poco non fece rovesciare il bicchiere.
-Ehi attenta!- disse inizialmente infastidito il ragazzo.
-Scusa- mormorò Francesca di riflesso, ma senza essersi resa conto di quanto accaduto. Cercò di passare oltre e continuare la sua ricerca, ma il ragazzo la fermò sorridente, mentre il gruppo di amici intorno a lui già rideva malizioso.
-Dai, ti perdono se ti fai offrire da bere.-
Francesca lo guardò, ma era così sbronza da non capire neanche il senso delle frasi più semplici.
–Al diavolo, me ne torno a casa da sola!- borbottò la ragazza, iniziando a cercare l'uscita e lasciando il gruppo a ridersela tra di loro.
 
Finalmente la ragazza trovò una porta: -Maledizione, apriti!- inveì Francesca tirando il maniglione antipanico con la poca forza rimastale, poi esausta Francesca spinse tutti i suoi cinquanta chili contro la porta d'emergenza fino ad aprirla. Subito si coprì gli occhi con una mano: la luce bianca ed inaspettata di un neon li aveva colpiti tanto da farli lacrimare. Si appoggiò ad un muro per non cadere e, ciondolando, iniziò a salire delle scale alla sua sinistra, strette e ricoperte di materiale antiscivolo. Si trovava in un ambiente del tutto diverso e sconosciuto, con pareti bianche e ruvide perfettamente insonorizzate.
I fischi e i ronzii che udiva erano solo nella sua testa.
Giunta faticosamente in cima alle scale cercò di aprire una porta di legno, ma invano e forse, se fosse stata ancora in grado di leggere la targhetta con scritto “privato”, non si sarebbe messa a prenderla a calci. Girandosi di scatto di centottanta gradi verso l’altra porta alle sua spalle un sandalo le scivolò di mano rotolando giù per le scale, Francesca lo guardò inebetita, ma infine esclamò un risoluto:
–Fottiti!- E spalancò la porta finestra.
Francesca sentì una piacevole ventata accarezzarle i lunghi capelli castani: senza rendersene conto era giunta su un balcone, che si affacciava sul piccolo parcheggio del locale.
 
L’aria decisamente più fresca e ossigenata la fecero riprendere un po’ e la vista delle automobili parcheggiate le fece venire in mente che sarebbe stato decisamente meglio prendere un taxi: casa sua non era distante, ma, contrariamente all'andata, ora non era nelle condizioni più adatte per una passeggiata.
Senza rendersi conto del dislivello di circa tre metri che la separava dal marciapiede sottostante, si sporse dalla ringhiera del balcone, la testa le girava vorticosamente e la ragazza ricadde sulle sue ginocchia.
 
Julian afferrato il pacchetto lasciato dalla curiosa ragazza dai capelli rossi si alzò e sistemandosi la camicia azzurro chiaro si congedò dalla compagnia.
-Scusate ragazze, ma devo andare al bagno.-
Julian raggiunse Dario che lo aspettava all’uscita.
-Non la vedo…eppure era qui un attimo fa!- esclamò preoccupato Julian.
-L'ho già cercata ovunque anch’io, non ho intenzione di perdere altro tempo per quell’ubriacona, andiamocene!
-Controllo un'ultima volta…magari…- cercò di trattenerlo Julian.
-Ho detto andiamo, cazzo!- Lo interruppe Dario uscendo deciso.
 
Julian seguì l'uomo in silenzio verso il parcheggio: anche se non lo vedeva in faccia sapeva che stava iniziando ad irritarsi seriamente.
–Cazzo!- Imprecò Dario scuotendo il suo accendino che aveva smesso di funzionare lasciandolo con un sigaretta spenta tra le labbra.
Era incredibile la quantità di modi in cui Dario riuscisse a dire quella semplice parola e Julian aveva ormai imparato a capire lo stato d'animo dell'amico solo da come la pronunciava.
In quel momento la cosa migliore era senza dubbio starsene zitti e lasciarlo in pace: il ritardo nella consegna del pacchetto lo aveva fatto infuriare.
 
Scorgendo i due che arrivavano, Enrico scese dalla Renault Clio scura ed andò loro incontro con la sua camminata sciatta.
Dario si fermò davanti al ragazzo:
-Hai visto qualcuno, hai notato qualcosa di sospetto?- il suo tono era piuttosto aggressivo.
Enrico con una lieve mossa della testa si spostò dal volto i capelli lisci e piatti, lunghi circa fino alle spalle, quindi tranquillamente rispose:
-No, è tutto a posto… è una bella serata- il sorriso tranquillo e candido, che nell’infanzia un apparecchio aveva reso perfetto, fu la goccia che fece traboccare il vaso,
Dario scagliò a terra l'accendino che teneva ancora in mano con un gesto minimo, ma secco.
 
-Bella serata! Che cazzo vuol dire "bella serata"? Ti avevo detto di controllare il parcheggio e tu stai qui a guardar per aria?-
-Ma io, veramente…- intervenne debolmente Enrico.
-Taci- lo azzittì Dario, lasciandolo lì incerto ed avvicinandosi alla macchina con Julian. Enrico sprofondò le mani nelle tasche dei larghi pantaloni verde militare e diede un calcio all’accendino abbandonato lì da Dario, poi si voltò per raggiungerli.
 
Francesca sentendo le voci dei colleghi provenire dal marciapiede sottostante sollevò la testa barcollante e pesante come un macigno: -Aspettatemi!- esclamò debolmente con un filo di voce. Poi, aggrappandosi nuovamente alla ringhiera, si rimise faticosamente in piedi e tornò a sporgersi:
-Aspettatemi!- ribadì nuovamente alzando un poco la voce, mentre vedeva le ombre confuse di Julian e Dario allontanarsi.
Lasciò cadere il sandalo che teneva ancora in mano ed il suono dell'impatto di questi contro il marciapiede richiamò l'attenzione dei due.
–Finalmente… volevate lasciarmi qui?- gracchiò Francesca con voce stridula, scavalcando a fatica la ringhiera del balcone.
 
-Fra, fermati!- le gridò spaventato Julian, correndo verso di lei, seguito da Dario.
Anche l’attenzione di Enrico, che si trovava ancora a pochi passi dal marciapiede, era stata attirata dalla strana ragazza sul davanzale e quando vide Dario e Julian tornare correndo nella sua direzione, senza pensarci corse sotto di lei e la prese in tempo, mentre ormai Francesca si era lasciata cadere giù dal balcone.
 
Presala la volo Enrico cadde a terra sotto il peso della ragazza, ma senza farsi nulla, anzi Francesca era inebriata dal suo piccolo volo e dall’atterraggio morbido e ancora seduta sopra la pancia del giovane si mise a ridere a crepa pelle, ma iniziando a singhiozzare.
Stupiti Dario e Julian si avvicinarono a Enrico, ancora più scioccato di loro.
La ragazza aveva smesso di ridere e, mentre si rialzava insieme a Enrico, nascose terrorizzata il volto nella sua camicia.
 
Julian si avvicinò preoccupato alla ragazza che non si staccava da Enrico; Dario la guardò con un misto di rimprovero e disgusto.
-Buttala in macchina e andiamo, ci ha fatto perdere già abbastanza tempo- ordinò l'uomo rivolto a Enrico, mentre già stava salendo in auto.
 
Julian prese posto al volante e storse il naso quando vide l’uomo accanto a lui accendersi la sigaretta con l’accendino della vettura. Julian non gradiva che si fumasse sulla sua inodore e pulitissima auto, ma farlo presente a Dario in quel momento significava sfidare la sua collera e per quella volta Julian lasciò correre.
Enrico intanto a fatica riuscì a far salire Francesca, che confusa piagnucolava: -Dove mi volete portare? Portatemi a casa…-
-Muoviti!- lo incalzò Dario.
-Non è colpa mia, non si sposta, non posso salire!- rispose timidamente il ragazzo.
-Sali dall'altra parte, idiota!- sbuffò Dario insofferente.
 
Enrico seguì il consiglio dell’uomo senza ribattere e finalmente l’auto poté partire.
Da qualche tempo i rapporti tra lui e Dario, già piuttosto difficili, si erano del tutto incrinati e non accennavano a migliorare. Il ragazzo era stufo delle continue umiliazioni che subiva da parte sua, soprattutto in pubblico, ma come poteva ribellarsi? Dario aveva la capacità di metterlo in soggezione a tal punto che gli toglieva ogni minima forza di reagire.
 
La Clio scivolava a velocità sostenuta, ma non eccessiva, lungo le strade semideserte sotto le luci dei lampioni, attraversando il viale più battuto dalle prostitute per poi fare il suo ingresso in un'altra città all’apparenza pulita e che dormiva sonni profondi e tranquilli.
 
Arrivati a destinazione in un quartiere residenziale dagli edifici tutti uguali, Julian parcheggiò e, spenta la macchina, Dario diede gli ordini:
-Tu stai qui e tienila d’occhio,- Disse rivolto a Enrico notando che la ragazza si era addormentata, -tu invece vieni su con me.-
Quindi scese insieme a Julian e si avviò verso l'entrata di una delle palazzine, presso cui erano giunti.
 
Guido Sarenti, braccio destro dell’Avvocato e sua guardia del corpo, era fermo vicino alla porta dell’appartamento, la sua mole gli dava un che di minaccioso. I due uomini entrarono sotto il suo sguardo vigile che li seguiva mentre l’uomo stesso entrava dopo di loro chiudendosi la porta alle spalle.
Julian restò con Sarenti nella sala accanto allo studio, mentre Dario andò direttamente a parlare con il padrone di casa.
 
Julian si accomodò sul un divano e guardando il vaso di cristallo sul tavolino di vetro si chiese chi fosse a non far mai mancare i fiori freschi al suo interno.
Sarenti si servì dalla vetrina dei liquori e poi rimase in piedi immobile ad osservare il suo ospite bevendo. Julian imbarazzato faceva vagare lo sguardo per la stanza, dalla libreria allo stereo e dallo stereo al lampadario; il ragazzo ringraziò il cielo che ci fosse il condizionatore acceso e cercando di ignorare definitivamente il gorilla reclinò il capo sullo schienale e fissando il soffitto cercò di captare, ma con poco successo, alcune parole che giungevano dallo studio accanto.
 
-Perché ci avete messo tanto? Iniziavo a preoccuparmi…- esclamò l’Avvocato, senza interesse, sprofondato nella sua poltrona.
L’Avvocato era un uomo alto circa un metro e settanta, grasso e flaccido, sulla sessantina e con i capelli tinti di castano chiaro che gli davano un’aria ridicola, sempre seduto dietro alla sua scrivania di legno lucido marrone scuro, sulla quale erano disposti disordinatamente un portapenne, un portacellulare con cellulare di ultima generazione, un posacenere, un accendino da tavolo  di ceramica sferico dipinto con motivi orientali e alcuni quotidiani.
 
-Non dipende da me e Della Valle, il contatto è arrivato tardi e non era neppure la persona che ci aspettavamo. Era Eris, dopo due anni infine è tornata- rispose Dario, appoggiando il pacchetto sulla scrivania.
-Già- rispose l’uomo, concentrando la sua attenzione su quell’oggetto e iniziando come suo solito a dondolarsi sulla comoda e grossa poltrona da ufficio in pelle nera.
-In più Vezzi era di nuovo ubriaca fradicia, è stata solo un peso, sta di nuovo provando a farsi buttare fuori dal gruppo- aggiunse Dario.
-Mi dispiace, una ragazza tanto graziosa che si rovina così a soli 23 anni, vediamo se le passerà… è un elemento valido quando si impegna. Un quarantenne come te dovrebbe preoccuparsi per lei: i giovani sono sempre più richiesti di questi tempi, magari un giorno potrebbe prendere il tuo posto.- L'uomo parlava in tono ironico, ma Dario aveva capito il messaggio implicito e, avvicinandosi alla porta per uscire, concluse:
-Non credo che accadrà molto presto, io sono il migliore e poi ho solo 38 anni.-
 
 
Enrico era rimasto in macchina in silenzio ad osservare la ragazza che dormiva accanto a lui: era la prima volta che la vedeva, anche se l'aveva già sentita nominare. Del resto erano solo pochi mesi che aveva intrapreso quell’attività. Ma anche in quel breve lasso di tempo il diciottenne si era reso conto che il suo carattere insicuro e schivo non lo rendeva certo adatto a fare il delinquente. Eppure Dario insisteva nel sostenere che gli avrebbe giovato, che si sarebbe formato il carattere.
Francesca si era mossa nel sonno, Enrico sentì la testa di lei appoggiarsi sulla sua coscia destra e irrigidendo dall’imbarazzo i suoi pensieri cambiarono completamente direzione.
 
Il sole rovente di mezzogiorno era penetrato nella stanza, impedendo a Francesca di riposare ancora. Faticosamente la ragazza riuscì a sollevarsi e mettersi seduta sul letto, una tremenda emicrania non le dava tregua. Si guardò intorno: si trovava in una camera spaziosa, arredata sobriamente, senza fronzoli, foto o soprammobili inutili, non c’era dubbio che fosse la stanza di un uomo.
Ma di quale uomo?
 
"Dove sono finita?" pensò, afferrando il suo unico sandalo, che aveva trovato ai piedi del letto, e dirigendosi verso la porta. Il corridoio che le si aprì innanzi non le suggerì nulla, ma una volta giunta sulla scala, che conduceva al piano di sotto, iniziò ad intuire dove potesse trovarsi. Scongiurava di sbagliarsi quando infine, giunta sulla soglia della sala da pranzo, dovette fare i conti con la realtà.
 
-Cazzo, finalmente ti sei svegliata! Stavo per venire a buttarti giù dal letto- le disse Dario, sbucato fuori dalla cucina.
-Ma tu cosa…?- cercò di dire Francesca, ancora frastornata, seguendo Dario che, senza curarsi di lei, si era seduto a tavola, riprendendo a leggere il suo quotidiano.
Enrico, vedendola entrare, si era alzato di scatto ed aveva subito messo in tavola un altro piatto di pasta: -Ciao, accomodati pure- disse timidamente.
Francesca si sentiva smarrita, ringraziò il ragazzo e si sedette a tavola, anche se non aveva per nulla appetito: -Dario, cosa ci faccio qui?- chiese impaziente.
-Se non lo sai tu. Così impari ad ubriacarti- le rispose l'uomo, continuando a leggere.
-Non farmi la predica proprio tu!- disse Francesca offesa, alzando la voce.
-Se posso… ieri sera non stavi molto bene… e ti abbiamo portata qui- intervenne cauto Enrico.
-Perdona la mia scortesia, non ci conosciamo, tu chi sei?- chiese garbatamente Francesca.
 
A Dario sfuggì una risata maligna, ma divertita: -E' incredibile!- disse, –Una volta tanto che mio figlio fa qualcosa di buono, l'interessata se lo dimentica.-
-Tu hai un figlio?- esclamò sorpresa Francesca, conosceva Dario da più di due anni e non l'aveva mai saputo. Ma soprattutto: Dario, era padre?
Come se il mondo quel giorno non stesse già girando in modo decisamente bizzarro!
 
-Già, ma neanch'io sono del tutto convinto che lui sia mio figlio- le rispose Dario e, afferrata la giacca che aveva lasciato sulla sedia accanto, si alzò: -Io vado all'antiquario.-
-No, aspetta un attimo io…- Francesca aveva tentato di richiamare indietro l’uomo, il quale non l’aveva minimamente ascoltata.
Rimasto solo, seduto davanti a Francesca, Enrico ebbe l'impressione che la temperatura si fosse alzata improvvisamente e si sentì le guance andare a fuoco.
-Beh… non so che impressione io possa averti fatto ieri, comunque io sono Francesca- si presentò la ragazza, tendendogli la mano.
Il ragazzo di scatto gliela strinse facendo traballare tutto il tavolo, poi accennando un timido sorriso:
-Enrico, piacere.
-Ma cos'è successo esattamente ieri sera?- chiese Francesca- Io ricordo solo di aver svolto un paio di commissioni per tuo padre nel pomeriggio e di essere andata al Memoria dopo cena.-
 
-Io sono arrivato al pub con mio padre e Della Valle, ma li ho aspettati in macchina…- spiegò Enrico -quando sono tornati, tu eri sul terrazzino del primo piano e…
-Il balcone!- scattò la ragazza in una terribile illuminazione, Enrico proseguì la narrazione.
-Sì, hai scavalcato la ringhiera e sei scivolata, io ti ho presa al volo-.
-Già la ringhiera… ora ricordo qualcosa… ti ringrazio tanto, devo essermi… ma lasciamo stare!.- Francesca cercò di mostrarsi più lucida e, dopo aver ringraziato di nuovo il ragazzo, se ne tornò a casa cercando di non pensare alla terribile figuraccia che aveva fatto. Sicuramente Julian si sarebbe fatto vivo presto per farle un’altra memorabile ramanzina.
 
Julian schiacciò il servizio, che fu respinto dal rovescio di Luca, scattò verso la parte opposta del campo, colpendo la pallina con gran forza: il tiro era molto lungo, ma ben piazzato e l'avversario non riuscì a prenderlo. Julian scambiò qualche parola con l'amico negli spogliatoi, ma era troppo pensieroso per trattenersi più a lungo: non era ancora riuscito a parlare con Francesca dalla sera prima, era preoccupato per lei, non sapeva come aiutarla. Il ragazzo varcò i cancelli del circolo sportivo, mentre la ragazza di media statura dalla folta chioma ramata della sera prima stava lì ad attenderlo. Julian si accorse di lei, ma non si fermò e così la giovane si mise a camminare al suo fianco.
-L'ho riconosciuta: lei è il contatto di ieri sera, cosa vuole?- chiese serio Julian.
Eris sorrise disinvoltamente: -Volevo conoscere il mio nuovo collega, visto che anche stanotte dovremo lavorare insieme.-
-Non credo proprio che accadrà, Dario non ha bisogno di nessun altro. Mi dispiace dirglielo, ma lei non ci serve- tagliò corto il ragazzo.
Eris si fermò di colpo e Julian percorse qualche altro passo prima di accorgersene.
-Bene, bene… Ha sempre tutto sotto controllo il nostro galante fumatore,- esordì ironica la ragazza, poi, avvicinandosi a Julian divenne minacciosa:
–Avvertilo! Se non mi prenderà con sé sarò costretta ad organizzarmi diversamente.-
Quindi tornò improvvisamente serena e salutando il giovane con un cenno della mano si allontanò sotto lo sguardo pensieroso di lui.
 
Per la seconda volta quella ragazza gli si era presentata innanzi senza preavviso, comportandosi come se sapesse ben più cose di lui; la prima volta non le aveva parlato ed ora era stato decisamente scortese, ma del resto non riusciva a comportarsi diversamente: lo sguardo scaltro e irridente degli occhi verdi di lei lo infastidiva.

 
Fine capitolo 1

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Capitolo 2
*** Docce fredde e schegge impazzite ***


Capitolo 2 – Docce fredde e schegge impazzite

 
Erano ormai le cinque del pomeriggio quando Francesca si svegliò: le gocce che aveva preso contro l'emicrania e quel pisolino ristoratore l'avevano decisamente rimessa in forma. Mentre si faceva una doccia fresca pensava nuovamente alla situazione in cui si trovava: cosa avrebbe dovuto fare, lasciare quel dannato lavoro e ricominciare da zero, da sola?
 
Sapeva bene che così non poteva andare avanti e che non poteva sempre far conto sul sostegno di Julian: era il suo migliore amico, ma non per questo doveva costringerlo a sopportarla, quando nemmeno lei sapeva più come gestire se stessa. Mentre l'acqua le scorreva piacevolmente sulla schiena, le venne in mente la mattina di cinque mesi prima, quando aveva pensato, proprio come adesso, di abbandonare quel lavoro.
 
Era l'alba di un giorno che aveva visto nascere, dopo l'ennesima notte passata a fare da corriere per chissà quali traffici; il sole e l'aria fresca del mattino penetravano dalle grandi finestre dell'ufficio di quell'odioso megalomane dell’Avvocato Alcitri.
–E così te ne vuoi andare- aveva concluso Alcitri, dopo aver ascoltato le sue motivazioni.
-Sì- gli aveva risposto decisa Francesca.
Julian, affacciato all’ampia finestra dello studio, aveva sospirato profondamente. Dario, seduto su una comoda poltrona, fumava mostrandosi indifferente e nascondendo i suoi pensieri dietro le lenti scure dei suoi occhiali.
-Hai preso una decisione così importante da un giorno all'altro, devi dare un po' di tempo anche a noi per abituarci… altrimenti sentiremo troppo la tua mancanza- temporeggiò l’Avvocato, con un tono calmo volutamente posticcio.
 
Francesca non sopportava quel uomo e, anche se era una sua dipendente, non si era mai curata troppo di nasconderlo: -La verità è che questo è un periodo pieno di lavoro e lei non ha nessuna persona di fiducia subito disposta a svolgere il mio compito e sopportare di avere come capo Cortesi… ma io comunque non vedo nessuno che possa impedirmi di andarmene.-
L’Avvocato sorridendo viscido rimase qualche istante ad osservarla, ferma innanzi a lui, poi con una spinta si voltò sulla sua sedia girevole dandole le spalle; la ragazza uscì a passi svelti dall'ufficio, senza chiudere la porta.
 
Julian osservò i due uomini con aria interrogativa: nessuno faceva o diceva nulla? Alcitri non appariva per niente preoccupato per l'accaduto e Dario continuava a fumare impassibile. Di scatto Julian si avventò verso la porta per seguire la ragazza.
-Tornerà, prima o poi tornerà… vedrai- aggiunse Cortesi spegnendo la sua sigaretta.
Ma Julian si soffermò appena ad ascoltarlo per poi correre nuovamente di slancio verso le scale: sapeva che avrebbe fatto prima con l'ascensore, ma nervoso com'era non avrebbe avuto la pazienza di aspettarlo. Era scomodo muoversi così rapidamente con giacca e pantaloni da sera, ma non aveva ancora avuto modo di tornare a casa a cambiarsi. Francesca era già nel parcheggio e Julian la scorse tra la foschia del mattino:
-Fra, Fra fermati!-
 
La ragazza continuò a cercare le chiavi della sua coupè, senza dargli ascolto e non si voltò nemmeno mentre Julian le posava le mani sulle spalle.
-Sei proprio convinta di ciò che stai facendo?- le chiese affannato, ma con gentilezza.
Francesca si girò verso di lui, appoggiando la schiena contro la vettura: guardò verso l'alto e sospirò. -Voglio smettere con questo lavoro Juli… all'inizio mi piaceva, mi faceva provare il senso del brivido giocare a guardie e ladri… ora non è più divertente- gli disse guardandolo negli occhi –Mi ha distratto per un po’ dai miei casini, ma poi ha finito per aumentarli: sono passati due anni da quando mi hai fatta entrare in questo giro e non ho combinato nulla… a parte lasciare l'università e continuare a bere.-
Julian abbassò lo sguardo: -Fra… io ti voglio bene, non volevo… sono stato uno stupido a credere che tutto questo bastasse a tirarti fuori.-
-Non è così Juli, lo sai!- esclamò Francesca abbracciandolo –Tu hai solo cercato di tenermi vicina a te e aiutarmi, ma sono io che devo farcela da sola!-
-Non te ne vai perché fra noi non ha funzionato, non mi stai evitando?- le chiese apertamente il ragazzo.
-Siamo amici da troppi anni, rimetterci a fare i fidanzatini è stata una pessima idea, - spiegò la giovane –Infatti quant’è durata… un mese? Gli amici sono amici Juli e no, non ti sto evitando, ma me ne devo andare.-
 
Julian sapeva di non avere argomenti convincenti per farla restare e, mentre il sole iniziava a riflettere i suoi raggi sulla carrozzeria rossa della vettura, chiuse lo sportello e la lasciò andare. Nel parcheggio totalmente deserto il giovane si sentì pervadere da una profonda malinconia.
Francesca chiuse l'acqua della doccia, scacciando via quei pensieri, le dava fastidio ricordare il seguito: dopo quel giorno si era ripetuta ogni mattina che avrebbe ripreso ad andare all’università e non avrebbe toccato una goccia d’alcool prima del venerdì sera, ma con una birra in mano alle undici di mattina ponderava che forse il giorno successivo sarebbe stato più adatto per la sua riscossa; non era cambiato nulla. Il vizio di bere era troppo radicato nelle sue abitudini per essere cacciato di colpo, vivere sola inoltre non le giovava. Se le fosse servita da buon guardiano allora avrebbe accettato in casa persino sua madre, ma la donna preferiva tenersi occupata girando il mondo con le mostre fotografiche del povero padre di Francesca e spremere soldi a magnati in grado di apprezzare neanche la metà dalla poesia degli scatti del defunto.
 
Così la ragazza passava la maggior parte del suo tempo chiusa in casa a dormire e, nonostante i tentativi di spronarla dei suoi amici più intimi, non aveva reagito in alcun modo.
Un giorno però Dario le era piombato in casa come una furia e, trascinatala di peso per un braccio giù dal divano, la prese di forza, ancora intorpidita dal sonno e dalla vodka ancora sul tavolino accanto a lei, la strattonò senza dar retta alle sue deboli e patetiche proteste per spingerla infine nel piatto della doccia e aprire l’acqua gelida.
-Ahaaa! Bastardo!- aveva gridato scioccata la ragazza.
Per completare l’opera l’uomo, con la stessa rude decisione, la trascinò fuori dalla doccia vestita e completamente zuppa, le sbatté addosso il primo asciugamano che gli capitò a tiro e scortandola a forza attraverso tutta la casa la chiuse in camera sua sbattendo la porta incazzato.
-Hai cinque minuti per renderti presentabile! Se non hai di meglio da fare che bere e dormire puoi benissimo lavorare per me!-
Tornata sul lavoro nessuno aveva fatto menzione riguardo la sua “vacanza”, tranne Julian che aveva iniziato a preoccuparsi ancora di più per lei.
 
Inserire qui il perché Julian si sente responsabile. Di come Francesca dopo aver perso il padre era andata allo sbando e aveva cominciato a bere e del goffo tentativo di Julian di salvarla dall’alcool trovandole una nuova occupazione: quella con Dario. Julian è corroso dai sensi di colpa per aver peggiorato la situazione, per questo è comunque così attaccato a Francesca nonostante lei lo abbia mollato due volte.
 
Assillata da tutti quei ricordi, intanto la ragazza era giunta presso l'antiquario gestito da Dario e sua sorella Elena.
La ragazza era rimasta ferma davanti alla vetrina indecisa su come affrontare l'uomo, lo trovava davvero insopportabile e sapeva già che avrebbero finito per litigare.
Francesca era intenta ad osservare un piccolo passerotto di cristallo sul punto di spiccare il volo dal suo nido d’argento quando il riflesso di un paio di occhiali scuri sulla vetrina la colsero alla sprovvista, sobbalzando indietro urtò qualcuno.
-Ti sei già ripresa da ieri notte?- esclamò Dario, mentre lei prendeva le distanze.
-Maledizione sei tu, mi hai spaventata!
-Ti spaventi facilmente in questo periodo, dovresti rilassarti, io saprei come aiutarti- le rispose l'uomo.
-Che diavolo vuoi saperne tu!- esclamò Francesca, alle spalle di Dario che già stava entrando nel negozio senza più ascoltarla.
"Stronzo!" pensò fra sé Francesca, ma lo seguì.
-Accomodiamoci qui- disse l'uomo indicandole un divanetto nel retrobottega.
-No, grazie… preferisco stare in piedi- rispose seria la giovane.
Dario si accese una sigaretta: -Come vuoi.-
-Io ho deciso di lasciare il lavoro, questa volta faccio sul serio… ho pensato di avvisare prima te, così tu e il ciccione avrete modo di organizzarvi.-
 
Dario continuava a fumare: se c'era una persona in grado di innervosirla, quella era proprio lui.
Presa da un raptus, gli tolse di bocca quella maledettissima sigaretta:
-Ho detto che me ne vado, dimmi qualcosa!- si sfogò Francesca, con voce piuttosto alta.
Dario con calma si alzò e le afferrò con decisione il polso della mano destra, con cui la ragazza teneva la sigaretta, e gliela strinse finché non lasciò cadere il mozzicone. Francesca fece una smorfia per il dolore, ma, orgogliosa com'era, non si lasciò sfuggire neppure un gemito.
-Sì certo, lo considero come un preavviso di licenziamento e in questi quindici giorni metterò un annuncio sul giornale per trovare qualcuno che ti sostituisca; se poi sarai ancora decisa ad andartene lo dirai di nuovo tu stessa al nostro caro Avvocato Alcitri e farai ciò che vuoi, ma pensaci... per una volta nella tua vita non prendere una decisione affrettata- le rispose severo Dario.
Julian entrò nell'antiquario, Francesca si liberò dalla presa e se ne andò via di fretta, salutando a malapena l'amico appena arrivato.
-Cosa le hai fatto?- chiese stupito Julian.
-Niente, vuole di nuovo andarsene... tu piuttosto, perché sei qui?- disse Dario, accendendosi una nuova sigaretta.
Julian si accomodò sul divano: -Ho incontrato Eris.-
 
Dario corrugò la fronte,  mentre prendendo una boccata di fumo digrignò tra i denti:
-Che cazzo voleva quella stronza da te?-.
-Mi ha detto che non le importa cosa farai e che questa sera lei sarà con noi-.
-Al diavolo! Avrei dovuto liberarmi di lei qualche anno fa, quando ne ho avuto l'occasione-.
Il campanello alla porta avvertì Dario di un cliente.
–Ora vai, ho da fare. Ci vediamo questa sera al pub- Dario si accostò al nuovo venuto e Julian lo lasciò ai suoi affari.
 
Quella sera, quando Julian entrò al Memoria Pub, Dario ed Enrico erano già arrivati, alle undici e mezza di sabato sera il locale era ancora mezzo vuoto e il ragazzo non ebbe difficoltà a localizzare i due uomini, ma osservando più attentamente tra i tavoli si accorse che Francesca mancava.
Appoggiandosi al bancone accanto ad Enrico, Julian ordinò un tè freddo.
-Dire ciao è troppa fatica?- chiese Enrico serio al nuovo venuto, Julian gli rivolse uno sguardo di sufficienza e accennando ad un brindisi verso di lui si mise a bere senza più curarsene.
Seduto sull’alto sgabello Enrico rispose al brindisi e terminò la sua birra; perché suo padre aveva così stima di quell’insipido belloccio? Enrico lì odiava entrambi e avrebbe voluto alzarsi ed andarsene, quando Dario raggiuntili si mise a discutere con Julian ignorando anch’egli la presenza del figlio.
-Francesca non si è ancora vista?- chiese subito Julian.
-No, e non possiamo più aspettare o faremo tardi... quella stupida sta ancora cercando farsi cacciare!- rispose Dario spegnendo infastidito il mozzicone nel posacenere, odiava le donne capricciose.
-Chiamatela, forse ha solo avuto un contrattempo…- Enrico stava ancora parlando che già Dario e Julian si stavano allontanando. Lo avevano volutamente ignorato quei due bastardi, il ragazzo represse la rabbia e cacciate le mani nei pantaloni militari si strinse nelle spalle e li seguì a testa bassa nel parcheggio del locale.
 
I tre non fecero in tempo a salire sulla vettura di Dario, quando la macchina sportiva di Francesca inchiodò accanto a loro; la ragazza scese e si avvicinò con passo deciso verso i colleghi.
Un fulmineo sorriso di soddisfazione addolcì il volto di Dario, per poi subito scomparire.
-Per un attimo ho pensato che non venissi!- esclamò Julian, aprendo la portiera a Francesca.
-Prima di uscire mi ha chiamata mia madre... è in viaggio e non si è ricordata del fuso orario diverso- si lamentò la ragazza, accomodandosi sulla vettura.
 
Erano in viaggio da più di dieci minuti, quando finalmente Dario si decise a dir loro cosa stavano per fare.
-Ascoltatemi bene, stasera avremo a che fare con degli idioti e gli idioti si divertono a sprecare proiettili, quindi attenti. Noi dobbiamo intercettare uno scambio e prendere la merce; tu Julian coprirai a distanza me e Francesca mentre convinceremo i signori a farci una donazione- l’uomo fece una lunga pausa. –Enrico tu resti in macchina, c’è la remota possibilità che qualcosa vada storto e allora trovare l’auto già accesa potrebbe essere utile.
 
Imboccata una stradina sterrata Dario si fermò tra due campi di mais, già pentito di non aver chiesto a Julian di utilizzare di nuovo il suo catorcio; in tre scesero e si allontanarono percorrendo la strada di campagna sino al limitare di una risaia dove la strada si interrompeva.
In fila indiana percorsero la riva di separazione di due risaie, Francesca maledisse Dario più di una volta, le zanzare li stavano torturando senza sosta, l’umidità dei campi rendeva l’aria irrespirabile e faceva in modo che il sudore si appiccicasse alla pelle; per di più camminare su quel terreno sconnesso non era certo facile, più volte sia Francesca che Julian avevano rischiato di scivolare e finire nella bassa, ma poco invitante acqua accanto a loro. La ragazza ringraziò il cielo che Julian avesse dei buoni riflessi, almeno tre volte l’aveva afferrata e sorretta appena in tempo. Francesca guardava la figura di spalle di Dario solo due metri avanti a lei e la odiava.
Francesca era sicura che egli facesse apposta a non sbagliare un movimento e che stesse impegnando tutto sé stesso per non finire nel fango, tutto solo per farli sentire inferiori.
 
Quel percorso di sopravvivenza di circa un chilometro nella poco salubre aria afosa della campagna padana li aveva condotti al limitare di un cantiere edilizio poco distante da una statale battuta di giorno e pressoché deserta la notte, se si eccettuano le coppie in cerca di un luogo tranquillo, appunto.
Dario fu felice di constatare che in quel luogo c’erano molti ottimi nascondigli: muri prefabbricati, colonne, macchinari, cumuli di terreno; solo la luna quasi piena costituiva un problema, faceva troppa luce e non corrispondeva all’idea che l’uomo aveva di oscurità, ma infondo era una garanzia in più di colpire eventuali bersagli.
 
Per rivolgersi ai due ragazzi Dario si calò sugli occhi gli occhiali scuri che aveva portato sulla fronte durante il tragitto rurale.
-Julian trovati una buona posizione per tenerci sott’occhio, noi saremo dietro quel muro.- Dario indicò una grigia parete di cemento davanti alla quale si apriva uno spiazzo facilmente raggiungibile in auto dalla statale.
Prima che i tre si allontanassero separatamente, Dario ribadì: -Mi raccomando ragazzi, non fate cazzate.-
 
Francesca e Dario, una volta appostatisi, si misero in attesa delle loro vittime. E non trascorse molto tempo quando una macchina giunse lentamente nel cantiere a fari spenti e si fermò davanti alla parete dietro cui i due si erano nascosti, ma nessuno scese.
-Perchè non escono? Mi stanno innervosendo...- bisbigliò Francesca.
-Calmati, stanno solo aspettando i loro clienti- sussurrò Dario.
 
Julian sorvegliava a distanza la vettura appena arrivata, tutto era tranquillo: la sabbia, illuminata dalla luna, assumeva una colorazione grigio-bluastra rilassante; il giovane si divertì a far risplendere i raggi del satellite sulla culatta della sua Colt 38 girando lentamente la mano. Sapeva che era stato sciocco a prendere un’arma color acciaio, brillante e localizzabile come un faro, ma era ancora inesperto all’epoca dell’acquisto, tre anni prima. Solo diciannovenne, lo scintillio argenteo l’aveva rapito e il calcio in legno scuro e lucido era piacevole e infondo romantico da impugnare.
Ora benché sapesse quanto fosse rischioso attirare l’attenzione la portava comunque con sé, era la sua prima arma da fuoco e si era affezionato a lei. Rilassato dai ricordi e dalla quieta del momento pensò che forse Dario si era preoccupato troppo.
 
-Se non ti accorgi quando qualcuno ti giunge alle spalle, potresti non arrivare alla pensione- era la voce di Eris.
Julian si stupì: -Cosa ci fai qui?- esclamò; non riusciva a decifrare come si sentisse ed era indeciso su come comportarsi, Dario lo aveva avvertito di non fidarsi.
-Non fare domande stupide, te l'avevo detto che sarei venuta anch'io- gli rispose a bassa voce la ragazza.
-Sì, ma qui non abbiamo bisogno di te, puoi anche andartene- il giovane non avrebbe voluto essere così brusco, ma gli era venuto spontaneo; Eris non ci fece caso e restò, mentre Julian si sforzava di restare indifferente.
-Ti ripeto che il mio aiuto vi servirà, perché...- la ragazza si interruppe bruscamente ed il suo sguardo si fece d'improvviso concentrato, come se il suo interlocutore fosse scomparso.
-Che hai?- chiese Julian.
-Zitto, arrivano.-
 
Una seconda auto si fermò vicino a quella parcheggiata: dalle due vetture scesero in tutto quattro uomini, uno di loro aveva sottobraccio un pacco, mentre un altro portava con sé una valigetta.
-Ci siamo- avvisò Dario, gettando la sua sigaretta nella sabbia. L'uomo impugnò le due pistole che nascondeva sotto la giacca e ne porse una a Francesca:
-So che hai una buona mira, seguimi e coprimi.-
 
Julian estrasse la sua arma appena vide Dario uscire allo scoperto; Eris non si mosse e continuò ad osservare la scena.
Francesca seguiva Dario, che camminava deciso. L'arma che teneva in mano le fece venire in mente perché desiderava così ardentemente smettere tale passatempo.
Vedendo Dario giungere con l'arma spianata, i quattro cercarono di reagire, ma era già troppo tardi.
-Va bene signori, se sarete buoni non vi rovinerò i vestiti- asserì Dario.
Francesca si posizionò in modo da poterli tenere tutti sotto tiro.
 
L'uomo che aveva con sé il pacco era seccato, ma soprattutto sorpreso: -Gran bastardo, come hai fatto a trovarci? Abbiamo deciso il luogo dell'incontro solo tre ore fa!-
-Se sei un dilettante non è colpa mia, ora consegnami la merce- gli ordinò Dario spavaldo.
L'uomo era evidentemente irritato, ma si sforzò di sorridere: -Siamo quattro contro due, non te ne andrai via vivo.-
 
Dario, sicuro del proprio piano, gli rispose con arroganza:
-Idiota, tu e il tuo compare dovreste imparare a contare invece di minacciare.-
Subito l'uomo con la valigetta ed il suo collega estrassero le rivoltelle e le puntarono contro i proprietari della merce.
L'uomo con il pacco, già estremamente nervoso, rimase quasi scioccato:
-Figli di puttana, eravate d'accordo con lui! Vi siete fatti comprare!-
-Finiscila di blaterare, cazzo, lascia cadere il pacchetto!- tagliò corto Dario.
Dario lo osservò attentamente, mentre gettava il pacco, ed quindi lo incalzò:
-Bravo e ora vattene.-
L'uomo sputò a terra e si aggiustò la cravatta:
-Non finisce qui!-
I due risalirono in auto e se ne andarono.
 
Dario raccolse il pacco e lo affidò a Francesca. Julian, abbassata la sua Colt calibro trentotto, aveva tirato un sospiro di sollievo, ma solo in quel momento si accorse che Eris era sparita: "Oh, merda..." pensò agitato, rivolgendo subito lo sguardo verso lo spiazzo dove si trovavano i suoi due colleghi.
 
Dario si avvicinò ad uno dei due complici per prendere la valigetta, ma l'uomo gli puntò addosso la pistola, mentre il compagno faceva lo stesso con Francesca.
-Che cazzo fate, imbecilli!- si sorprese Dario.
 
Francesca era rimasta pietrificata: qualcosa era andato storto ed ora si trovava allo scoperto con una pistola puntata alla testa.
Julian, riavendosi da un primo momento di panico, restò nascosto aspettando l’attimo più adatto per intervenire: se ora avesse sparato ad uno dei due, il compare avrebbe sicuramente reagito aprendo il fuoco sui suoi amici.
-Stai proprio invecchiando Dario!- esclamò Eris, apparendo da dietro un pilastro ad una decina di metri dall’uomo -Ti sei fatto fregare come un pivello.-
Una vampata d'odio travolse l'uomo: -Brutta troia, dovevo aspettarmela una cosa del genere da te!-
 
Eris gli si avvicinò, sfoggiando una camminata sciolta e tranquilla:
-Tu non sai proprio come ci si rivolge alle signore- era di fronte a lui e, nonostante le lenti sfumate, leggeva chiaramente nei suoi occhi la rabbia che stava provando.
Dario impiegò tutte le proprie forze per stare fermo, i nervi gli fremevano in tutto il corpo e riusciva a pensare soltanto alla manciata di secondi che avrebbe impiegato per stringere fra le sue mani quell’esile e candido collo, sino a strangolar quella stronza.
 
Julian aveva il cuore in gola e sudava freddo: era stato uno sciocco, Dario lo aveva avvisato, se solo si fosse preoccupato di controllare i movimenti di Eris! Era lui quello che si era comportato da principiante! Aveva giudicato innocua una ragazza solo per il suo aspetto esile ed ora nei guai c’erano i suoi amici. Non poteva più di starsene lì ad osservare impotente, tolse la sicura alla pistola e si preparò a scattare.
 
-Alfredo, la valigetta- asserì Eris. L'uomo gliela consegnò prontamente e, ad un cenno della ragazza, risalì in macchina ed accese il motore, mentre il collega si accinse a sedersi sulla vettura, tenendo sempre sotto tiro Dario e Francesca.
-Mi dispiace, ma mi servivano dei soldi e rubarli a te era il modo più veloce- concluse Eris.
-Io ti ammazzo- le rispose Dario.
-Stai diventando monotono, ogni volta che ci vediamo mi dici sempre la stessa cosa!- Eris si aprì la portiera -Adesso devo proprio andare.-
 
Un suono sordo ruppe il silenzio ed un fanale andò in frantumi; seguì subito un altro colpo, quindi una scarica; Dario e Francesca si gettarono a terra. Eris si precipitò in macchina, ordinando:
-Parti!-
Alfredo fece manovra in fretta, quindi accelerò per uscire dal cantiere, ma fu accecato dai fari abbaglianti di una vettura, apparsagli improvvisamente di fronte. L'uomo fu così costretto a sterzare bruscamente e frenare.
-Merda! Sono tornati a farci la festa- esclamò Eris, saltando fuori dall'auto e correndo al riparo, dietro un pilastro.
Dalla macchina giunta a sorpresa scesero i due uomini, cacciati poco prima da Dario, decisi a vendicarsi.
 
-Mi avete imbrogliato bastardi, ora ve ne pentirete- minacciò l'ex-possessore della merce.
-Non dire cazzate, non ne sei in grado- gli rispose Dario, temporeggiando mentre si toglieva della sabbia dai pantaloni.
Il beffato, tremando stese il braccio per sparare, Francesca repentina lo colpì ad una gamba. Le danze erano state aperte, niente più autocontrollo. L’uomo con la mitraglia era pronto a rispondere al fuoco, ma si accorse troppo tardi di avere Julian alle spalle e il ragazzo con un calcio ben piazzato, lo fece accasciare a terra e gli strappandogli l'arma dalle mani.
 
-Cazzo, ragazzi, abbiamo fatto proprio un buon lavoro- notò Dario, la cui ostentata calma da duro fece andare a Francesca il sangue alla testa.
-Potevamo correre meno rischi se ti fossi degnato di dirci qualche particolare in più!- esclamò con tono sensibilmente alterato la ragazza, scrollandosi la sabbia dai jeans.
Dario la ignorò, intento a controllare l'integrità del pacchetto, il loro prezioso bottino. Julian si mosse lentamente verso di loro, ma l'uomo da lui atterrato non volle darsi per vinto ed estrasse una pistola da sotto la giacca, puntandola verso di lui.
-Attento!- gridò subito Francesca.
 
Un ultimo sparo chiuse la partita.
 
Julian rimase pietrificato con lo sguardo sbarrato di chi realizza di aver sbagliato una volta di troppo e riprese a respirare solo quando sentì l’uomo alle sua spalle accasciarsi a terra rantolando.
Il giovane ebbe solo il tempo di vedere Eris risalire in auto e andarsene.
“Grazie” pensò il ragazzo.
Julian era rimasto frastornato; Francesca, preoccupata, gli si era subito avvicinata:
-Sei ferito, ti sanguina un braccio!-
-Non è niente... il proiettile di Eris mi ha preso di striscio, prima di colpire quel tizio!- la rassicurò il ragazzo.
-Andiamocene- ordinò risoluto Dario, come se quello che era appena successo non lo avesse minimamente turbato. E invece non era così, era furibondo! Ogni volta che Eris tornava a intragliargli la strada, nessuno era più al sicuro. Quella rossa non era solo una scheggia impazzita, era una pazza a tutti gli effetti!
 

Fine capitolo 2

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