Destiny of love.

di TheTsundere_Miharu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First step ― Meeting. ***
Capitolo 2: *** Second step ― Truth. ***



Capitolo 1
*** First step ― Meeting. ***



Spazio dell'autrice: Allora, che dire. Finalmente pubblico il primo capitolo di questa longfic. Oddio. E' la mia prima longfic in... almeno 2 anni che scrivo! Mi sembra incredibile. ç_ç" Quindi, non penso sarà il massimo... ma farò del mio meglio per aggiornare presto! Comunque non dovrebbe venire più lunga di tre o quattro capitoli... Allora! Qualche avvertimento! La storia è lievemente AU, e oltre a Minamisawa anche Hayami è in genderbend :3 Gli altri non so neanche se inserirli, quindi vedrò! XD Inoltre, se all'inizio un certo personaggio - non faccio nomi - vi sembrerà OOC, aspettate il prossimo capitolo, per favore, non concludete subito male(?). Ah, in un certo punto ho scritto "secondo piano" ma all'orientale, che corrisponderebbe al nostro primo piano occidentale. Ricordatevelo. XD Ed ecco tutto, buona lettura! :3
P.s.: il titolo della fanfiction è presto da una composizione di Yiruma... mentre scrivevo questo capitolo (e alcuni pezzi dei successivi) l'ho avuta a ripetizione per un sacco di ore... quindi, boh, mi sembrava giusto dargli importanza. (?) Ah, ho messo raiting giallo, ma potrebbe diventare rosso nei prossimi capitoli... nun zo lulz. (?)




_1.Meeting.



Una mattina come tutte le altre, in un certo senso.
Era appena ricominciata la scuola, finalmente era al secondo anno.
A dire la verità, aveva cominciato a soffrire un po’ di allergia proprio la scorsa primavera.
Stava camminando lentamente, fissando distrattamente gli altri studenti che – al contrario della sua persona – correvano per raggiungere l’edificio scolastico. Perché avevano così tanta fretta? Kurama non riusciva a darsi una risposta, e così continuava con quel ritmo. Forse stava facendo tardi? Era per quello che tutti si affrettavano in quel modo? Non gli interessava più di tanto a dire la verità.
Infatti quel pensiero si annullò immediatamente nella sua mente, e riprese semplicemente a fissare gli altri.

Una mattina noiosa, pensava. Non aveva fatto fatica ad alzarsi dal letto, non gli era difficile come a molti altri suoi coetanei. Ma trovava frustrante ritornare in quel posto.
Tirò fuori un fazzoletto dalla tasca, soffiandosi il naso, con tanto di effetto sonoro fastidioso.
Dannazione, odiava tutto quello. Quel dannato moccio e quel dannato bruciore. Tutto odiava.
O meglio, tutto sembrava volerlo fare innervosire ulteriormente.
“Ancora questo, un altro anno… e poi le superiori… “
Non se ne spiegò il motivo, ma pensare quella cosa gli mise addosso ancora più angoscia. Così non poté far altro che sospirare, per poi continuare a soffiarsi il naso energeticamente, strofinandosi al contempo la parte già precedentemente arrossata. Sembrava un clown, in quel modo.
… Se non fosse stata per l’espressione truce che aveva dipinta in volto, la quale avrebbe sicuramente spaventato a morte qualsiasi bambino.

Nonostante tutto, però, non riusciva a scostare quel senso di pesantezza all’altezza del torace.
Era un qualcosa che avvertiva da mesi ormai, ma non sapeva dargli un nome. In famiglia andava tutto bene, non aveva il cuore spezzato e anche i suoi voti erano nella norma. Oltre al fatto che odiasse più o meno tutti, non aveva nessun problema particolare. Perché no, quello non era un problema a suo parere.
Alzò la testa, guardando le nuvole in cielo.
Probabilmente non capiva ancora bene le emozioni umane, pensò. Né quelle degli altri, né le sue. In fondo era solo un ragazzino delle medie.
La abbassò.
Il secondo sospiro, quasi consecutivo.
In quel momento tutto ciò che desiderava era smetterla di farsi tanti problemi e sentirsi meglio-

« Spostati, nanetto! »



Non ebbe il tempo necessario per finire quel suo pensiero ed elaborare quel nuovo avvenimento.
Ciò che riuscì a fare fu solo alzare di nuovo la testa, per poi sentire un dolore lancinante sulla fronte. Perse in un attimo l’equilibrio, e finì a terra, con questo peso che gli gravava sul capo.
Ringraziò un ipotetico Dio di non essersi rotto il cranio – la sua borsa gli era finita proprio sotto e aveva attenuato il colpo – sull’asfalto, ma poi si accorse di non riuscire a respirare per colpa di ciò che gli copriva la visuale.
Cosa. Diamine. Era.

« Oh, scusa, non ti avevo visto. Sei troppo basso. »

Una voce che non conosceva sfiorò le sue orecchie, e quel peso – finalmente, dannazione! – si annullò.
La prima cosa che Kurama riuscì a vedere furono delle mutandine. Viola. Col pizzo.
Sì, mutandine da donna. Sotto una gonna.

« Cosa…?»

Fu l’unica cosa che riuscì a pronunciare. La sorpresa gli aveva completamente smorzato il fiato.
E in quel momento capì tutto ciò che era accaduto.
Lui era caduto. Quella ragazza le era caduta addosso. Lo aveva schiacciato col suo… fondoschiena.
Ma quello che si chiedeva era… da dove era caduta quella ragazza?

« Se te lo stai chiedendo, no, non sono un angelo. Mi sono buttata dal secondo piano dell’appartamento. Beh devo andare, ci vediamo nanetto! »

Sentiva la testa esplodere.
Udì dei passi, quella voce che si allontanava sempre di più.
Quella gentile donzella aveva la divisa della sua scuola. Non riuscì a vederla in viso.
E rimase lì, per terra – fortunatamente si trovava sul marciapiede – mentre la gente che gli passava accanto lo fissava. Forse pensavano fosse un barbone o qualcosa di simile, ma lui non riusciva proprio a riprendersi.


Sentiva che qualcosa si era mosso. Ma non riusciva a capire cosa, e soprattutto dove.













« U-una ragazza piuttosto rozza? Ti ricordi com’era fatta? »
« Mah… mi pare avesse i capelli viola. E sembrava più grande di noi. »
« Capelli viola? Non è che… »

Kurama fissò il suo migliore amico, Hamano, cercando di capire cosa gli passasse per la testa. Dopo quelle tre parole, si era messo a fissare un qualche punto di fronte a loro, le sopracciglia aggrottate e l’espressione concentrata. Forse stava riflettendo.
Invece la sua migliore amica, Hayami, lo fissava con aria preoccupata. Come al solito.

« Non che mi importi… ma per caso avete una vaga idea di chi sia? »
Entrambi sobbalzarono, e lui rimase sorpreso da quella reazione.
Spalancò gli occhi, aspettando una spiegazione. Ma quei due si fissarono senza dare alcuna risposta.
Ecco, quel comportamento lo fece innervosire. Se avevano qualcosa da dire potevano pure farlo!
Ma il suo amico notò che avrebbe potuti strangolarli da un momento all’altro, così tossicchiò e, grattandosi la testa, si decise a parlare.

« Amico, nella nostra scuola c’è solo una senpai con i capelli viola… ma non credo proprio sia lei, da come ce l’hai descritta… »

Kurama aggrottò le sopracciglia, cercando di reprimere l’istinto omicida che stava provando per i suoi due amici. Loro e le loro stupide risposte a metà.

« Almeno potreste dirmi il suo nome? »

Anche se aveva appena affermato che non gli importava nulla di quella sconosciuta, non era esattamente vero. Anzi, non era vero e basta – ma non lo avrebbe ammesso.
Voleva vederla in viso. Per qualche strana ragione, già.
Fissò – questa volta il suo sguardo era serio – gli altri due, aspettando una risposta.
Loro due si guardarono un’altra volta, forse incerti sul rispondere o no.
Alla fine, Hayami si sistemò nervosamente gli occhiali, mentre le tremavano quasi le labbra.

« Atsuko Minamisawa. »
« Minamisawa…? »



« Qualcuno ha pronunciato il mio nome? »

Il ragazzo sentì uno sguardo su di sé, e si girò in direzione di quella voce.
Per la seconda volta in quella giornata, quella figura era apparsa all’improvviso.
E quando la fissò, ne fu sicuro: era proprio lei la ragazza di quella mattina.
… Quindi era davvero quella Minamisawa di cui i suoi amici parlavano?

« A-ah, beh, io… »

Non seppe spiegarsene il motivo, ma proprio lui, l’orgoglioso e acido Kurama si ritrovò a balbettare cose senza senso.
Senza motivo.
Il suo sguardo seguiva ogni singolo movimento della ragazza – non più misteriosa, finalmente sapeva almeno il suo nome.
Sì, aveva dei capelli viola, un lungo ciuffo che le copriva un occhio, e che lei riavviava in continuazione. Forse era una sottospecie di tic.
I suoi occhi erano di forma allungata, decorati da lunghe ciglia, di due colori differenti: oro e rosso scuro. Li trovava magnetici, in qualche modo.
Era… molto bella. Doveva ammetterlo, almeno a sé stesso.
Forse era proprio il suo aspetto ad averlo ridotto in quel modo?

Ma lei non aspettò oltre una risposta. Semplicemente, gli sorrise e si avviò verso la sua aula, circondata da un gruppo di amiche – tutte molto meno belle di lei.
Hamano e Hayami avevano osservato tutta la scena in silenzio, ed ora guardavano il loro migliore amico.
Sembravano preoccupati dal suo atteggiamento… sì, timido. Era stato timido, impacciato. E sapevano che il solito Kurama non si sarebbe mai comportato così.
Kurama non degnava più nessuno di uno sguardo. Non parlava, troppo preso a fissare i propri piedi. Aveva entrambi i pugni stretti, e sembrava confuso.

… In qualche modo, nonostante fosse sicuro della sua identità,la ragazza di quella mattina e quella che aveva appena incontrato gli sembravano due persone completamente diverse.
Quel sorriso gentile che quest’ultima gli aveva rivolto prima di andarsene, sembrava completamente estraneo alla persona sgarbata e rozza che lui pensava di aver conosciuto.

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Capitolo 2
*** Second step ― Truth. ***



Spazio dell'autrice: Sono tornata, guys! FINALMENTE *piang* çç Allora, dopo mesi e mesi e mesi [...] ho aggiornato questa fic. Mh. In realtà l'avrei fatto uno o due mesi fa, ma avevo perso questo capitolo e per tante ragioni non volevo più scrivere nulla... ma ora l'ho ritrovato e ta-dan! Eccolo qui. :3 Spero di non fare così anche per il terzo, omg... Beh, non so davvero cosa dire :3 Spero vi piacerà!




_2.Truth



Quella situazione non era normale.
Era questo ciò che pensavano Hamano e Hayami, mentre fissavano il loro amico che era seduto al suo banco, e continuava a guardare fuori dalla finestra, in silenzio. Erano almeno dieci minuti che era fermo in quella posizione, senza parlare o fare qualsiasi altra cosa.
E per loro due che lo conoscevano da ormai parecchi anni, quel comportamento era decisamente bizzarro.
Kurama era cambiato da quell’incontro, ma nessuno riusciva ancora a capire in che modo.
Se la situazione fosse stata sottilmente diversa, Hamano avrebbe azzardato la più semplice delle teorie, ovvero che l’altro si era preso una bella cotta. In fondo anche lui aveva un cuore, giusto?
Ma esclusero quella teoria fin da subito. 
Lui la fissava sempre, questo lo sapevano bene, ma non c’era nessun bagliore particolare nei suoi occhi, nessun rossore che gli tingeva il viso, nessun segno di agitazione.
Kurama era un tipo che evidenziava le sue emozioni – involontariamente – e se avesse provato un sentimento del genere per una persona lo avrebbe di sicuro manifestato in qualche modo.
E invece nulla, solo uno strano comportamento.
 
Ma i suoi amici non sapevano cosa stava davvero passando in quella testolina dai capelli scompigliati.
Kurama invece se ne capacitava solo in parte.
Non gli era mai successo di avere la mente così piena di pensieri. Per questo non riusciva a comprenderli tutti, e si trovava semplicemente immerso in quel mare di confusione e incertezze.
Cosa gli era successo?
Anche le azioni quotidiane cominciavano a pesargli. Il semplice camminare, o salutare qualcuno, era diventato frustrante. Studiare, addormentarsi la notte, impossibile.
Non aveva senso fare quel genere di cose. Sarebbe stato meglio rimanere sdraiati sul letto a fissare il soffitto per tutto il giorno, tutti i giorni.
Kurama ormai pensava questo.
Non ne parlò a nessuno, naturalmente.
Nessuno avrebbe potuto capire, quando neanche lui ci riusciva realmente.
Gli veniva solo in mente una cosa per descrivere ciò che sentiva, ma neanche quello avrebbe potuto far capire a persone esterne la sua situazione, forse per la stupidità di quel pensiero.








 
 
« Vuoi parlarle? »
Kurama si girò verso la voce del suo migliore amico, facendo scontrare i loro sguardi.
Si stupì di quelle parole solo dopo averle elaborate per bene. La sua bocca si aprì, ma non disse nulla.
O meglio, non riuscì a far uscire nulla. Cosa avrebbe dovuto rispondergli?
Così ruotò la testa, sospirando.
Sentiva il suo corpo tremare lievemente, ma probabilmente era quasi impossibile notarlo, in fondo quello era un gesto appena percettibile.
Avvertì la mano dell’altro sulla sua testa, che piano gli carezzava i capelli chiari.
Lo guardò una seconda volta, ancora più stupito. Hamano sembrava pensieroso – aveva arricciato le labbra in un modo davvero buffo – ma gli parlò dopo pochi secondi.
« Ci ho pensato tanto con Hayami, sai? »
Si fermò, dando un’ultima carezza alla testa di Kurama, per poi portare entrambe le mani sui propri fianchi.
La sua espressione si trasformò in una quasi seria, ma in qualche modo serena.
« Eravamo preoccupati per te. Tutti e due. Abbiamo parlato a lungo, e forse abbiamo capito. Anzi, sicuramente abbiamo capito. Se ti comporti così è solo perché hai qualcosa che non riesci a spiegarti, una domanda che ti frulla per la testa e che non riesci ad assecondare, giusto? »
Una seconda pausa, in cui fece spuntare il suo solito sorriso. 
« Quindi, perché non vai da lei e gli chiedi ciò che vuoi? Sembri davvero stupido in questo stato! »

Per qualche attimo, Kurama non riuscì a credere a quelle parole. Non riusciva a comprenderle e pensava che i suoi amici si fossero bevuti il cervello per colazione. E poi come si era permesso di dirgli che era stupido, quel citrullo di prima categoria?
Era solo frustrato. E confuso. Ma ciò non significava  che avesse un dubbio da chiarire. Inoltre, perché Hamano aveva parlato di una ‘lei’? Cosa voleva dire?
 





Ridacchiò, senza accorgersene.
« È … così. »
Le parole gli sfuggirono dalle labbra, contraddicendo completamente i suoi pensieri.
Forse quella frase era stata elaborata solamente dal suo animo.
Questo voleva dire che era ciò che pensava davvero? In fondo l’animo non mente mai, o almeno è così che aveva sempre sentito dire.
Era per quello che la fissava – sì, sapeva perfettamente chi fosse quella ‘lei’ – incuriosito, o arrabbiato, quando vedeva un sorriso forzato spuntarle sul viso? Era per quello che quando sentiva qualche kohai parlare di lei come ‘la ragazza più bella, gentile e aggraziata dell’intero istituto’ o altre cazzate simili, si girava in quella direzione, fulminando il soggetto interessato con lo sguardo?  Era per quello, sul serio?
 
Quasi gli veniva da ridere per quei suoi pensieri. Sapeva perfettamente che era per quello.
Solo, non riusciva ad ammetterlo. Forse le parole del suo amico – anzi, dei suoi amici – gli avevano solo sputato in faccia ciò che non riusciva ad accettare. 
« Si vede che mi conoscete da tanto tempo. »







 
 
Appena arrivata la ricreazione, salì le scale dell’edificio scolastico, per andare al terzo piano.
Sperava di trovarla in classe, ma per qualche motivo era stranamente fiducioso. Forse vedere i suoi amici preoccuparsi in quel modo per lui avevano alimentato una qualche speranza.
Peccato che quando si trovò davanti all’aula, tutto il suo ottimismo svanì in un attimo.
Come poteva parlarle? Con che pretesto? Non ci aveva neanche pensato, e il tutto lo mandò nel panico.
Notò che la porta dell’aula era leggermente aperta, così sbirciò.
La vide vicino alla finestra, parlando con dei suoi compagni. 
Accanto a lei c’era un ragazzo dai capelli a forma di muffin che sembrava stranamente eccitato per qualche motivo.
Lei invece ridacchiava sommessamente, dandogli qualche leggera pacca sulla testa.
Anche quello mandò Kurama in bestia.
Sembrava così delicata, così attenta a non mostrare le sue emozioni.
Una vena cominciò a pulsargli sulla testa per il nervoso.
Sbatté la porta, attirando gli sguardi di tutti sulla sua persona.
Minamisawa stessa si girò, e appena lo vide i suoi occhi sembrarono lampeggiare.
 
Ormai non gli importava più di nulla.

Si avvicinò a passi veloci verso il banco della sua senpai, prendendola per un braccio e trascinandola fuori da lì in pochi attimi.
Non ebbe neanche l’accuratezza di ascoltare gli altri ragazzi che esclamavano “Chi è quel nano?”, “Atsuko-chan non dovrebbe uscire proprio ora, la ricreazione sta per finire!”, “Che modi bruschi!” oppure “Non è che è stata rapita?!”
Non gli importava un emerito cazzo dei pareri altrui, così la continuò a tirare fino a quando non si trovarono sulle scale che conducevano al tetto della scuola. Forse nel tragitto lei aveva detto qualcosa, ma lui non la sentì. 
Fortunatamente erano soli, in quel momento.
La lasciò, senza neanche scusarsi. Non pensava di doverlo fare.
Nonostante la determinazione, abbassò la testa.
In quell’attimo, la sentì sospirare scocciata.
« Cosa vuoi da me? »
Kurama scrollò il capo, e la guardò negli occhi.
Sembrava avere un’espressione calma, ma lui, guardandola attentamente, notò su quel bel visino una nota di irritazione. 
Perché diavolo non lo dimostrava?
 
Aveva pensato di risponderle subito, ma non riusciva ad aprire le labbra. Nessun suono riusciva ad essere prodotto dalle sue corde vocali. Addirittura non riusciva a pensare a cosa dirle.
“Davvero, cosa sono venuto a fare?”
Per un attimo questo pensiero lo travolse, mandandolo nel panico – fortunatamente era riuscito a non dimostrarlo.
Ma per la seconda volta in quel giorno, disse qualcosa senza accorgersene.
 
« Sei una bugiarda. »
 
Atsuko spalancò la bocca, mentre lui mostrò la sua espressione più seria.
Già, aveva proprio espresso tutto ciò che pensava con solo tre parole.
Sentì un peso in meno gravare sul suo cuore.
Soprattutto perché l’altra non riusciva a rispondere per la sorpresa.
Dalla sorpresa, però, passò a qualcos’altro.
Un’espressione totalmente e sfacciatamente arrabbiata.
« Stupido...! Come ti permetti?! »
Kurama poteva giurare di aver sentito qualcosa cantare nella sua testa.
Come un inno di libertà, o cose del genere.
Sul suo volto spuntò un piccolo e timido sorriso, di quelli che mostrava raramente e a pochi fortunati.
Sentiva di aver già fatto ciò che voleva.
E tutto gli divenne chiaro in quel momento.
« Ma bene, questa sarebbe la ragazza più educata e gentile dell’istituto… »
Sussurrò, guardandola dritta negli occhi, con un sorrisetto di sfida.
Sentiva di poter dire ciò che voleva senza rimorsi, in quel momento.
Lei  strabuzzò gli occhi, cominciando a tremare – era così evidente che per un attimo gli fece paura.
Sembrava intenzionata a dire mille cose, ma da quella sottile bocca non uscì neanche una sillaba.
Kurama si chiese se dovesse continuare. Lei sembrava seriamente spaventata e quel comportamento lo fece quasi sentire in colpa.
Ma poi le parole del suo amico gli tornarono in mente, e questo pensiero lo spinse a continuare.
Senza avvertirla, la prese per la testa, facendo attenzione a non tirarle i capelli - fortunatamente era poco più alta di lui, quindi poteva fissarla negli occhi con estrema facilità.
« Non ti avevo mai notata a scuola prima del giorno in cui mi sei caduta addosso. Ma una cosa l'ho capita. Tu non sei come ti mostri qui. Sei diversa. E-e... Io ho visto la vera te. »
Kurama pronunciò queste parole velocemente, tentando di sembrare convincente e il più serio possibile. Aveva paura di dire le cose sbagliate, dato che non aveva pensato molto al discorso da fare.
Ma quando vide gli occhi della ragazza inumidirsi leggermente, nella sua mente si elaborò una sola parola. 

"Vittoria".
 

Lei lo scostò senza troppa forza, posandosi la mano sulla fronte e scuotendo la testa, come a voler negare ciò che lui gli aveva detto.
Ma ormai Kurama era sicuro di aver capito bene tutto quanto, e non si fece intimorire.
E sorrise quando lei, tentando di coprirsi ancora la faccia, gli chiese « Come ti chiami? »Poggiò le mani sui suoi fianchi, arrossendo un poco senza un motivo preciso.
« Kurama Norihito. »
Lei rimase in silenzio per un po', immersa nei suoi pensieri, nel chiaro tentativo di calmarsi.
Kurama aspettò pazientemente che lei continuasse a parlargli - strano, la pazienza non era una delle sue qualità.
« A te... cosa interessa?! »
Minamisawa tolse finalmente quella mano dal suo viso, girandosi a guardare l'altro, le sopracciglia corrugate e gli occhi gonfi, come se avesse dovuto piangere da un momento all'altro.
« Perché mi dici queste cose?! Cosa ci guadagni?! »
Continuò, stringendo i pugni e cominciando addirittura a digrignare i denti. Sembrava furiosa, e per un attimo Kurama temé che volesse picchiarlo con tutta la forza che aveva in corpo.
Ma non si lasciò intimidire, non era da lui arrendersi senza prima aver raggiunto il suo obiettivo.
Così fece buon viso a cattivo gioco, rimanendo calmo e parlando con tutta la tranquillità che poteva trasmettere.
« Io non ci guadagno nulla, hai ragione. Ma tu vuoi davvero fingerti una persona che non sei? Non lo trovi inutile? »
Non sapeva come certe parole gli potesse uscire così facilmente.
Non era mai stato una persona particolarmente "profonda" o una specie di pseudo filosofo da strapazzo. Non conosceva quasi nulla della vita o dei sentimenti umani, ma...
Era come se il comportamento di quella ragazza gli sembrasse sbagliato fin dal principio. Come se potesse leggere nel suo animo.
Non riusciva a comprendere bene ciò che provava, così continuò a parlare.
« Non so se lo fai per essere popolare. Io per esempio ho pochi amici, ma sono sempre me stesso. Non mi vergogno di ciò che sono. »
Con quell'ultima frase, si accorse di aver finalmente centrato il punto della situazione. La pronunciò con durezza, sperando di farle arrivare il messaggio che voleva trasmetterle... disperatamente.
Dal viso di lei scappò una singola lacrima.
Non permise ad altre di scendere dai suoi occhi, strofinandoli con forza.
Kurama la guardò con dolcezza, anche se probabilmente non se ne accorse.
 
Non aveva mai rivolto uno sguardo del genere a qualcuno, in vita sua.
 
« Io... »
Atsuko alzò un piede, come a voler fare un passo, ma lo ritirò all'ultimo momento, come se avesse cambiato idea. Il suo kohai non diede peso a questo, troppo concentrato a fissarla.
« ... so esattamente chi sono. Ed evidentemente lo sai anche tu. »
Pronunciò, smettendola di tormentarsi il viso, e mostrando un piccolo sorriso.
Ma almeno non era un gesto forzato, pensò Kurama.
 

La ragazza afferrò una mano dell'altro, senza preavviso, procurandogli una bella manciata di imbarazzo - che si mostrò sulle sue gote scure sotto forma di rossore.
Aprì la porta del terrazzo, correndo per le scale - ignorando addirittura un professore che li aveva visti e gli stava urlando di andare immeditamente in classe - e dirigendosi nella sua aula.
Kurama la seguì senza aprire bocca. Lo fece solo quando arrivarono davanti all'aula in cui Minamisawa avrebbe dovuto essere per fare lezione.
« Quindi... »
Pronunciò solamente, non capendo bene se era riuscito nel suo intento.
Ma quando lei gli sorrise di nuovo, capì che tutto era andato bene.
 
« Ora Minamisawa Atsuko entrerà in classe. »
 
Gli disse, sottolineando il suo nome.
Era come se volesse fargli capire che sarebbe stata la vera lei a varcare quella porta, e non la finta ragazza che tutti conoscevano.
Ma nonostante la determinazione, Kurama sentì il bisogno di darle una "spinta", prima di andarsene.
E poggiò la mano su quella di lei, carezzandola delicatamente.
 
« Vai. »





 

 
 
Kurama entrò nella sua aula.
Non si era accorto che praticamente metà della lezione era già passata.
Se ne accorse solo quando, aprendo la porta, il professore urlò così tanto da sturargli le orecchie.
Così si sedette vicino ad Hamano, un po' intimorito.
Quando lo fece, il suo amico si girò a fissarlo, lo sguardo eccitato e curioso.
Lui si limitò a sorridere, mostrando il pollice.
Hamano capì tutto, e sorrise a sua volta.
Finite finalmente le lezioni, i suoi amici chiesero più dettagli, e Kurama fu costretto a raccontare quasi tutto - anche se non disse del suo gesto di incoraggiamento, lo faceva sentire in imbarazzo per qualche strano motivo.
Alla fine si avvicinò ad Hayami, carezzandole la testa con affettuosità.
In fondo non l'aveva ancora ringraziata per essersi preoccupata per lui.




 
Nel tragitto di ritorno a casa, si ritrovò a pensare a tutto ciò che era successo.
Non poté far a meno di sorridere per tutti quei minuti.
Finalmente un pensiero chiaro si affacciò nella sua mente, e potè tradurre ciò che aveva sentito quando aveva conosciuto la "falsa" Minamisawa.
Era come se gli avessero dato una caramella meravigliosa, e poi gliel'avessero nascosta, dandogliene un'altra molto meno bella, cercando di spacciarla per quella precedente.
Per quanto stupido potesse sembrare una cosa del genere, era il paragone che meglio poteva descrivere ciò che aveva provato.
Per fortuna, aveva ritrovato quella caramella che gli era sembrata meravigliosa.

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