The house of destiny.

di NoiseQueen
(/viewuser.php?uid=160740)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Who could live here? ***
Capitolo 2: *** The House. ***
Capitolo 3: *** Who the hell are you? ***



Capitolo 1
*** Who could live here? ***


Who could live in here?
 

Ogni giorno, per arrivare al mio negozio, sposto lo sguardo sulla destra della strada principale che porta verso il centro della città, proprio prima del palazzo del mio ex migliore amico.
Seguo con gli occhi tutto il tragitto della stradina stretta che porta fino ad una casa fatta di mattoni piccolissima, probabilmente abbandonata.
Non ne ho mai sentito parlare, ma ogni giorno la mia curiosità aumenta sempre di più.
Lascio la macchina nel parcheggio dietro al negozio ed entro dalla porta sul retro.
Lancio le chiavi sul bancone e, come ogni giorno, sbattono nel muro e si fermano proprio di fianco al computer portatile.
Apro la serranda e giro il cartellino ‘Aperto’.
Controllo i fiori se sono tutti apposto e mi siedo sul mio sgabello.
Il foglio con gli ordini per il giorno mi assilla, mi ricorda che ho molto lavoro da fare, ma oggi proprio non ho voglia di fare niente.
Pigramente spingo il pulsante di accensione del portatile e poi mi alzo.
Prima lo faccio, prima finisco.
Mi metto alla ricerca delle Peonia più belle che mi sono rimaste e le unisco in un bel mazzo con carta violetta, che ci sta benissimo con il colore di quei bellissimi fiori.
‘Probabilmente il Signor ‘O Michael deve regalarli a qualcuno che si sta per sposare.’ Dico a bassa voce, in quell’istante sento il campanellino alla porta suonare.
Mi giro di scatto e si tratta di Gerard, il ragazzo che lavora con me.
Alto sicuramente più di me, data la mia bassa statura, biondo cenere e con dei bei occhi marroni scuro.
‘Buongiorno, tutto bene, Allison?’ Mi saluta impossessandosi del computer.
Lascio i fuori nel posto apposito per quelli già preparati e mi siedo affianco a lui.
‘Tutto apposto, sono molto stanca. Ieri siamo stati al Ministry of Sound, siamo riusciti ad entrare gratis ieri sera. Suonava un gruppo nuovo.. non ricordo il nome, ma erano davvero bravi!’ Dico guardandolo rispondere su twitter a qualche tweet.
‘Dovevo venire anche io, ma questa ragazza mi aveva chiesto di uscire ed ho cambiato idea. Guarda che carina!’ Apre il profilo di una certa Jenny Mcdonner: bionda, faccino da brava ragazza e con degli occhi verdi da far paura.
‘Capisco perché hai cambiato idea’ Rido prima di rialzarmi per fare il secondo mazzo, tanto ormai il computer se lo è preso lui e per almeno altri venti minuti non lo lascia.
Prendo tre fiori di tulipano e li incarto con un bigliettino di scuse per un certo Adam.
‘Senti, Gerard, sai quella casa abbandonata sulla via prima di arrivare qui?’ Chiedo appoggiando il secondo mazzo pronto.
‘Quella di mattoni?’ Risponde senza staccare gli occhi dalla tastiera.
‘Sì, quella. Sai qualcosa su quella casa? Chi ci abitava?’ Mi appoggio sul bancone con il braccio che sorregge la mia testa.
‘So solo che è abbandonata da molto tempo, in teoria ci abitava un vecchio che è morto circa un anno fa..’
Inizia ad interessarsi alla cosa e continua: ‘ Mi aveva detto mia madre che probabilmente la butteranno giù, ma a me in realtà piace.’
Annuisco: ‘Infatti è molto carina’
 
Il mio turno è finito, il lunedì rimango mezza giornata, lascio il negozio a Gerard.
Spero faccia qualcosa di utile.
Percorrendo la strada all’inverso del’andata riguardo ancora una volta quella casetta, senza pensarci due volte svolto a sinistra e percorro tutta la stradina.
 
Arrivo ad un cancello molto vecchio, il grigio della pittura si sta staccando a pezzi ed una parte è più storta.
Spengo l’auto e scendo dirigendomi verso quell’anta, dato che è aperto, la spingo verso di me facendola strisciare sull’asfalto ed entro.
Da lontano sembrava molto più piccola, ora mi rendo conto che si tratta di una bella casetta; secondo me ci abitavano in più di una famiglia.
Al centro del grande spiazzo davanti la casa c’è una piccola statua di una ballerina ed attorno dei cespugli quasi completamente secchi.
Percorro tutta la lunghezza fino all’entrata, non so sinceramente se entrare, ma ormai sono qui e come potrei tornare a casa con la curiosità?
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** The House. ***


The House


Con un cigolio il grande portone si apre e la luce da fuori illumina la stanza.
Entro guardandomi attorno come se cercassi qualcuno, so perfettamente che non c’è nessuno.
Le due grandi finestre laterali alla porta lasciano entrare pochissima luce date le tende bianche, decido di spostare; un tavolo si trova al centro attornato da quattro sedie dello stesso legno, un lampadario semplice è sopra ad esso.
Accarezzo le sedie mentre ci passo a fianco, il legno è molto liscio, mi ricorda quello dell’armadio che avevano i miei genitori nella loro camera; entro nella seconda stanza, alla mia destra dal portone d’entrata, una piccola cucina impolverata la riempie.
Una stufa in un angolo con sopra un pentolino e davanti un lungo bancone, sempre di legno, con un lavabo non troppo grande e una pila di piatti al fianco.
Apro tutti i cassetti uno per uno per curiosare, posate, fazzoletti di cotone, strofinacci e nel cassetto più grande e profondo la legna già tagliata per il fuoco.
Mi affaccio dalla finestra della cucina spostando la lunga tenda bianca, da qui si vedono solo tanti alberi, cespugli troppo cresciuti, chissà da quanto non vengono tagliati.
Ripassando per il salotto vado in un’altra stanza, il bagno.
E’ così piccolo che con solo due passi riesco a vederlo tutto.
Un lavandino con un piccolo specchio attaccato da un chiodo ed una catenella, il water davanti, tre bacinelle impilate una sopra l’altra a fianco di quest’ultimo e una finestrella piccolissima che si affaccia anch’essa sul giardino incolto.
Torno in salotto ed entro nell’ultima stanza, il sole sta scomparendo dietro le nuvole ed a mala pena riesco a vedere.
E’ la camera da letto del proprietario: un grande letto ben fatto si trova al centro della stanza con le lenzuola bianche contornate dal pizzo, immagino una donna molto curata che ogni giorno dopo essersi svegliata ed aver preparato la colazione al marito prepara quel letto nel miglior modo che può.
Un lungo armadio percorre tutta la parete e due comodini si trovano separati dal letto.
Prendo un libro dal comodino più vicino, si tratta della Bibbia.
Sicuramente dev’essere stata una donna molto religiosa.
Qui si trova l’unica finestra della casa senza una tenda, forse per il fatto che qui non batte mai il Sole, da qui si vede il giardino: l’erba è molto alta, ma il mio sguardo passa velocemente dalla casetta di legno in fondo al tempo. Non manca molto a piovere.
Guardo velocemente ancora una volta la casa ed esco.
Appena metto un piede fuori inizia a piovere a dirotto.
 
Entro in macchina dopo essere stata bagnata da poche gocce e ripercorro il vialetto al contrario fino alla strada principale, la solita strada per tornare a casa.
 
Appena parcheggio nel cortile mi accorgo che ha smesso di piovere.
Entro in casa, lancio la borsa sul divano e corro in cucina a cercare qualcosa da mettere sotto i denti.
Patatine, toast, la cena di ieri sera, ma niente di tutto questo attira davvero la mia attenzione, accendo il bollitore per farmi un thè e ordino una pizza.
Il tempo fino al suo arrivo mi è sembrato infinito, la mia tazza è già vuota e, dopo aver appoggiato il cartone sul tavolo ed aver congedato il solito ragazzo-consegne che ormai conosco, ne riempio un’altra tazza di acqua calda e con una bustina di Yorkshire Tea: il mio preferito.
Appena mi siedo sperando di rilassarmi, il telefono inizia a squillare.
Sbuffo e batto un pugno sul tavolo di legno del mio salone, vedo il thè quasi uscire dalla sua tazza, mi alzo e corro alla cornetta urlando: ‘Arrivo, arrivo!’ come se mi potesse sentire.
‘Pronto?’ Dico con la voce più serena possibile.
‘Allison, sono Gerard, ti sto disturbando?’ Mi chiede, vorrei chiudergli in faccia, la mia giornata di lavoro è finita, ma fingo.
‘Nono, dimmi tutto’ Rispondo appoggiandomi con il braccio al muro.
‘La carta rossa l’abbiamo finita? Non ne trovo più. Mi servono per i fiori del signor Micheel.’ Afferma.
Mi chiedo se ci lavoro solo io lì dentro, dove vive lui?
‘Hai guardato nello sgabuzzino? Nella seconda mensola?’ Mi gratto la fronte, sento i suoi passi dalla cornetta, il rumore della porta che si apre e poi: ‘Ah, eccola!’ esclama.
‘Tutto qui?’ Gli chiedo sperando di chiudere presto la chiamata.
‘Si, solo questo. Ci vediamo domani!’
Riattacco la cornetta al telefono, torno sulla mia sedia e prendo il primo pezzo nella mia pizza margherita.
Santa tranquillità.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Who the hell are you? ***


Who the hell are you?


Mi sveglio di soprassalto, stavo facendo uno dei miei soliti incubi.
E’ notte, sento i rumori in cucina, le pentole che cadono, i vasi che si rompo. Scendo dal letto senza esitare prendendo la mazza da baseball che ho sempre sotto al letto.
Arrivo in sala e vedo l’ombra di una persona che cerca qualcosa dentro gli sportelli, li apre uno per uno senza paura, con molta fuga.
Il mio cuore batte al massimo, ma in quel momento mi sveglio sempre.
Mi distendo per bene sul letto aggiustando la coperta  sopra di me e faccio dei lunghi respiri.
Piano piano il mio cuore riprende il normale battito.
Mi alzo cercando di non pensarci più ed entro in bagno.
Una doccia mi serve proprio.
 
Sono circa le 9 ed oggi ho il turno di pomeriggio.
Spero che Gerard se la cava anche da solo, non come quella volta che ha consegnato i girasoli per un funerale e i gigli per un fidanzamento.
Mi preparo velocemente e decido di tornare nella vecchia casa abbandonata appena mi sono accorta che fuori c’è il sole.
 
Lascio la macchina nello stesso posto di ieri, mi avvicino al cancello e lo spingo poco poco per riuscire a passare.
Percorro il cortile, ma non entro in casa, mi avvio direttamente al giardino posteriore.
Mi faccio spazio tra le piante ormai troppo cresciute e arrivo in uno spiazzo molto largo con un tavolo di plastica e delle sedie attorno, più in là una piccola casetta di legno.
Passo sopra a tutte le foglie cadute dagli alberi che scricchiolano sotto le mie vecchie Vans rosse, accarezzo il vecchio legno con cui è costituita la casetta e poi apro lentamente la porta.
Il cigolio mi fa sobbalzare per un attimo, ma poi la curiosità mi spinge ad entrare, ancora una volta.
Il Sole illumina tutta la stanza grazie ad una grande finestra anche se c’è un piccolo lampadario al centro, un armadio alla destra dell’entrata, un piccolo e semplice letto sul fondo ed un tavolo sotto la finestra con dei fogli sopra.
Mi avvicino lasciando la porta aperta alle mie spalle.
<>
Mi ricorda la solita frase ‘Carpe Diem’, sposto il primo foglio con quelle due piccole righe e ne trovo altri sotto già pieni.
Sposto la sedia e mi accomodo per leggerne uno nuovo.
‘Ferma, chi diavolo sei?’ Sento urlare, mi giro di scatto verso la porta e mi cadono i fogli dalle mani.
Il mio cuore batte fortissimo, la mia vista di appanna e tremo.
Non riesco a parlare, sono immobile.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1117502