The story about me and you

di Ryoucchi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First met ***
Capitolo 2: *** Email address ***
Capitolo 3: *** Hug ***
Capitolo 4: *** Conflicting Feelings ***
Capitolo 5: *** Compromises and small victories ***
Capitolo 6: *** Festivities ***
Capitolo 7: *** Happiness and tears ***
Capitolo 8: *** Epilogue - The End (?) ***



Capitolo 1
*** First met ***


First Met

 
La mia vita scorreva così linearmente: una buona famiglia, delle buone amiche, un ottimo rendimento, svariati passatempi, dalle lezioni di violoncello a quelle di equitazione … Ma poi sei arrivato tu, e hai sconvolto la mia vita …
 
***
 
 
Un nuovo anno, un nuovo inizio! Era aprile, i ciliegi erano in fiore e petali di sakura* svolazzavano ovunque. Uno spettacolo bellissimo per iniziare la giornata. Aprii un occhio, e guardai l’orologio: le sei e un quarto. Troppo presto per alzarsi, ma anche troppo tardi per sperare in un pisolino. Così, decisi che mi sarei alzata. Spalancai la porta-finestra e respirai a pieni polmoni l’aria mattutina. Una leggera brezza invase la camera, facendomi rabbrividire. Be’, in canottiera e pantaloncini corti, questa non era ancora la stagione adatta per scorrazzare allegramente in terrazzo come se niente fosse, in fondo. Chiusi le ante e andai in bagno. Ebbi tutto il tempo per vestirmi e fare colazione tranquillamente, senza avere papà che commentava ad alta voce le notizie del giornale e mamma che girava continuamente di qua e di là perché non trovava mai le sue cose. Ah, che pace, che silenzio! Non mi capitavano mattine così da secoli! Feci un’ultima capatina al bagno per sistemarmi un po’ i capelli e il trucco e uscii per andare a scuola. Mentre camminavo sentii il cellulare vibrarmi. Lo presi e guardai chi mi aveva inviato un messaggio. Era Miku, la mia migliore amica. “Aspettami davanti alla stazione, al solito posto ;)”.
Arrivata alla stazione vidi in lontananza una figura correre senza sosta, sul rischio di cadere. Le lunghe codine celesti svolazzavano a destra e a manca, e ancora non avevo capito come quella ragazza facesse a non inciampare, dato che con quei capelli davanti agli occhi era praticamente impossibile vedere; o semplicemente perché a correr così si aveva il rischio di non vedere dove si mettevano i piedi. E infatti: eccola che becca lo scalino del marciapiede. Per poco, investendomi, non fa cadere anche me.
«Ehi, calma!» le dissi ridendo «Chi ti rincorre?»
«Per-perché d-dovrebbe rincorrer-rincorrermi qual-qualcuno?» domandò ansimando.
Poverina, tutti i suoi sforzi per avere un aspetto carino e curato erano andati al diavolo a causa di quella corsa da toro imbufalito.
«Dai che in treno ti do una sistemata» le dissi facendole l’occhiolino «Sbaglio o oggi avrai l’occasione di poter stare vicina a “quel qualcuno”?» sorrisi.
Quel qualcuno era Kaito Shion, il ragazzo di cui Miku era innamorata ormai da quasi un anno. Era nella nostra stessa scuola, ebbe lì l’occasione di vederlo per la prima volta, e se ne invaghì subito. E quest’anno, che eravamo in seconda, eravamo pure capitati nella stessa classe.
«Grazie» disse sorridendomi. Ha un sorriso così grazioso, sarebbe stato proprio un peccato rovinarlo per quella sua stupidissima “maratona”.
Così, sedute in treno, sfoggiai la mia abilità di “make-up estremo”: truccare su un qualsiasi mezzo di trasporto è un’impresa che pochi sanno fare senza combinare disastri. Le rifeci le codine, le sistemai la forcina e le rifeci daccapo il trucco.
«Ora sì che sei presentabile» dissi.
«Domo arigatō sensei-san!*» mi rispose sul procinto di piangere dalla gioia.
«NO! Che si sbava di nuovo!» l’ammonii.
«Oh, giusto» fece alzando gli occhi per ricacciare indietro la lacrima che stava per spuntarle.
Arrivate a scuola andammo subito di filato nella 2-2, la nostra nuova classe. Ci sedemmo ai nostri posti. Miku era finita nella mia stessa fila, solo che a separarci c’era un banco. Notai subito la sua faccia che da bianco era diventata paonazza: nel posto dietro di lei c’era lui, c’era Kaito! Le feci l’occhiolino e, con i pollici alzati, le mimai un “Vai che è la tua occasione!! Ganbattene*!”
Sentii la porta aprirsi, e mi voltai un attimo, curiosa di vedere chi fosse il ritardatario. Ecco, fu questa la prima volta che ti vidi, quando mi rapisti il cuore.
«Len! Finalmente! Pensavo ti fossi perso!» esclamò Kaito.
Sentii la sedia spostarsi, segno che l’alto ragazzo dai capelli blu che tanto piaceva a Miku stava andando incontro allo sconosciuto che mi aveva lasciata a bocca aperta.
Non era alto quanto Kaito, anzi, era piuttosto bassino per essere un ragazzo di sedici anni. Folti capelli dorati gli avvolgevano il capo, racchiusi sulla nuca in un corto codino. Il ciuffo, contornato da ciocche ribelli, gli dava un’aria .. un’aria .. ok, l’unico termine che mi viene in mente è un’aria da figo, ma a me fece proprio quell’impressione. La giacca dell’uniforme, aperta, scopriva la camicia bianca, sbottonata sulla parte superiore, che fuoriusciva dai pantaloni, tenuti leggermente bassi. Se fino al giorno prima m’avessero chiesto “Che caratteristiche dovrebbe avere il tuo ragazzo ideale?” avrei risposto “Io non ho un modello prefissato, anche perché non mi sono ancora innamorata!”. Oggi invece avrei consegnato all’interlocutore una foto del ragazzo appena entrato da quella porta. Tutto di lui mi attraeva: gli occhi, azzurri, caldi, gioiosi, felici; il sorriso, allegro, spiritoso, ammaliante, dolce; le mani, le braccia …
Rimasi lì imbambolata a fissarlo, fino al suono della campanella. A quel punto mi destai, e cercai di riassestarmi in una posizione decorosa, come si conviene. Ma durò poco: lo sconosciuto si sedette proprio nel banco di fianco al mio! Mi girai di scatto, proponendomi di fissare la lavagna per tutte e cinque le ore di quella mattina, per non dover più provare quella sgradevole sensazione di imbarazzo misto stomaco-in-subbuglio, batticuore e fiato corto.
Il professore della prima ora iniziò l’appello.
«Azuki Miyuki-san»
«Presente»
«Fukuda Shinta-san»
Nessuna risposta.
«FUKUDA SHINTA-SAN!»
Ancora nulla.
«FUKUDA SHINTA-SAN E’ PRESENTE?!»
«Fukuda-kun, svegliati! Ehi, Fukuda-kun!» bisbigliò qualcuno. Non nascondemmo le risate: Fukuda Shinta era un mio compagno di classe anche l’anno scorso, e se non passava le lezioni dormendo ... no, in verità lui dormiva sempre. Le uniche volte in cui stava sveglio era durante le lezioni di ginnastica.
«Sì, sì, ci sono, tranquilli!» fece lui bofonchiando.
«Hatsune Miku-san»
«Presente»
«Hattori Akira-san»
«Presente»
«Hiramaru Kazuya-san»
«Presente»
«Kagami Rin-san»
«Presente» risposi.
«Makaino Koji-san»
«Presente»
«Mashiro Nobuhiro-san»
«Presente»
«Oto Len-san»
«Presente, sensei*» disse il ragazzo nuovo che tanto mi aveva scombussolato. Oto, cioè “suono”. Che cognome particolare, non l’avevo mai sentito. Be’, anche il mio è un po’ insolito, visto che in genere è usato come nome femminile.
La giornata proseguì sostanzialmente tranquilla, a parte qualche volta in cui non riuscii a trattenere la tentazione dal buttare un occhio al suo bel viso. Cosa aveva quel ragazzo da farmi sentire così … strana?
«Rin-chan!» urlò Miku appena suonata la campanella che segnava la fine delle lezioni.
Io non la sentii (il che è strano, visto che la voce della mia migliore amica è piuttosto acuta): ero ancora assorta nei miei pensieri e nei ragionamenti per connettermi col mondo esterno.
«Rin-chan?» fece Miku.
Attese un po’, poi si spazientì: «RIN!»
«Eh, che c’è?! Mi hai chiamato per caso?»
«E’ un’ora che ti chiamo! O vuoi restare qui? Non sapevo tu amassi a tal punto studiare … »
«No, è che … lascia perdere. Piuttosto, com’è andato il tuo primo “contatto ravvicinato” con Kaito?»
«Ma dai» arrossì imbarazzata «Non ci siamo neanche parlati! Tu invece mi sei sembrata “leggermente” presa da quello nuovo, eh? Non mi sbaglio, vero?» mi guardò maliziosa.
Sgranai gli occhi e fissai il suolo, avvampando fino alle orecchie.
«Ah-ha! Lo sapevo!» disse, sbattendosi un pugno sul palmo della mano «Questa è la tua prima cotta, giusto? Chissà cosa deve aver provato il piccolo cuoricino di Rin-chan a questa nuova sensazione!»
Era vero. Non mi ero mai innamorata. Ricevevo spesso inviti del tipo “usciamo insieme uno di questi pomeriggi?” o “ti va se ci vediamo in centro stasera?” Ma io avevo sempre rifiutato. Non provavo nulla per quei ragazzi, li avrei solo illusi. Così spesi sedici anni della mia giovane vita senza mai sapere cosa fosse “l’amore” o come ci si sentisse a “essere innamorati”. Fino a quel giorno.
«Tu … tu dici che mi sono innamorata?»
«E io che ne so di come ti senti tu! Dimmi cos’hai provato appena l’hai visto»
«Be’, il cuore ha fatto un balzo, il respiro si è fermato per qualche secondo, e i battiti hanno iniziato ad accelerare il ritmo sempre di più. Lo stomaco poi: mi sembrava di avere il mal di mare, o che ci fosse qualcosa che si agitasse dentro. E poi, non riuscivo a staccare gli occhi da lui, e …»
«Piano, piano!» rise «Per fortuna che non sapevi se eri innamorata o meno!»
«Quindi?»
«Quindi, la qui presenti Kagami Rin è affetta dalla più bella malattia del mondo, la quale provoca gioie e sofferenze insieme, ed è la cosa che ogni essere umano cerca: l’amore. Cara Rin-chan, sei innamorata!»
«E ... ed è una cosa grave?»
«Nel tuo caso abbiamo già superato gli stadi “leggero interesse” e  “interesse consistente” per arrivare direttamente al fantomatico “colpo di fulmine”» fece con aria da grande guru.
«Insomma, sono proprio messa male» dissi amareggiata.
Dopo aver passato la giornata in centro e poi a casa di Miku, che era lì vicino, per fare i compiti, tornai a casa, pensando ancora alle ultime parole di Miku: “ti sei innamorata!”. Diamine, mi rimbombavano nel cervello, picchiandolo come fossero state loro il martello e io l’incudine.
Entrai e andai subito in camera mia. Abbracciai il cuscino, fissando il soffitto. “Innamorata” ... “Amore”…
Chiusi gli occhi, scossi la testa per scacciare via quei pensieri e la nascosi sotto il cuscino, dicendo un sottomesso: « … e adesso che faccio?!»


 
Spazidell’autrice: ed eccomi qui con una nuova ff *w*!! Stavolta ho deciso di dedicarmi ad una serie ùwù! Questo è solo il primo capitolo dunque. Voglio darle uno sfondo prettamente shoujo, con dei momenti simpatici, anche (tipo i battibecchi tra Rin e Miku) òwò. Spero di esserci riuscita °^° Be’, siamo solo agli inizi … Per una volta Miku non sarà la solita guastafeste cattiva, ma la simpatica e impacciata migliore amica della protagonista ^^ e pian piano verranno fuori altri personaggi .. (spero!)
Uff, ma perché dilago sempre quando sono nel mio “spazietto”?! Allora, grazie ancora per i commenti positivi nelle altre ff \^^/ quindi,
VI CHIEDO CORTESEMENTE DI COMMENTARE/RECENSIRE QUESTA FAN FICTION, così farete la mia gioia (o la mia tristezza, sta a voi) 
Grazie ancora di averla letto *inchino di ringraziamento*
*Aggiungo: non vorrei che qualcuno creda che Rin e Miku si trucchino come delle gals, perché non è affatto così che me le immagino x3 lucidalabbra, matita e mascara: fine!!! X3
P.S.: chissà se qualcuno ha capito da dove ho tirato fuori quella sfilza di nomi per l’appello x3
P.S.2: “Kagami” e “Oto” non sono cognomi presi a caso: il kanji di “kagami” (specchio), unito a “oto” (suono) si legge, infatti, “Kagamine”, il vero cognome dei gemellini :3
 
*Note
Sakura = fiori di ciliegio
Domo arigatō sensei-san = grazie infinite, maestra!
Ganbattene = buona fortuna/fai del tuo meglio

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Capitolo 2
*** Email address ***


Email address


Credo che quella fu una delle nottate peggiori della mia vita. Mi rigirai almeno un miliardo di volte: non riuscivo a prendere sonno. Quelle maledettissime parole continuavano a invadere i miei pensieri come dei parassiti. Quando spuntò l’alba la situazione nella mia camera era la seguente: peluche ovunque, perché a forza di dimenarmi erano volati da tutte le parti; le lenzuola erano ridotte in un mucchio deforme ai piedi del letto; il comodino, da perfettamente in ordine, sembrava avesse subito l’effetto di un uragano (girandomi durante la notte, ero andata addosso agli oggetti con leggera frustrazione). Ma se la stanza era un disastro, io ero anche peggio: capelli arruffati, con ciuffetti ribelli che si stagliavano sulla mia testa; gli occhi contornati da borse e occhiaie mai viste prima; il pigiama tutto stropicciato e messo male. Uno schifo. In più il fatto che non avessi chiuso occhio mi lasciò un terribile malumore.
Per tutta la notte non feci altro che ritrovarmi la sua faccia davanti non appena socchiudevo le palpebre. E le parole di Miku non mi abbandonavano mai. In più quella sgradevole sensazione di nausea …
Mi preparai in dieci minuti (di solito ce ne metto trentacinque) e mi avviai mogia mogia verso la stazione. Miku era già lì. Aveva un sorriso da parte a parte, segno che lei invece aveva dormito benissimo. Ma non le veniva il magone al solo pensiero di dover rivedere Kaito? Io solo immaginare che avrei avuto davanti agli occhi l’originale anziché un’immagine creata dalla mia mente … brrr … 
«Ossu*, Rin-chan!» esclamò lei, raggiante.
«Ohayō*» dissi, col mio malumore.
«Oh-ho! Qui qualcuno ha passato la notte in bianco! Hai pensato al tuo Oto-san per tutta la notte, eh?»
Mi voltai di scatto. La mia faccia dovette spaventarla particolarmente, data la sua reazione terrorizzata.
«Non provare a scherzarci su, Hatsune-san»
«O-ok, Rin-chan, non è il momento, va bene, ho capito» rispose con voce tremante.
Che umoraccio! Pensavo proprio che mi avrebbe accompagnato tutta la mattina se la mia amica non fosse così brava a tirar su il morale alle persone.
Arrivate davanti al nostro istituto, tentennai un secondo. Sarei riuscita ad affrontare quella giornata con la solita tranquillità? Non ebbi il tempo materiale di ragionarci su, poiché Miku mi afferrò per un braccio e mi trascinò letteralmente in classe. Riusciva a capire al volo i miei stati d’animo, bastavano i miei sguardi a farle capire cosa mi frullava in testa. E sapeva farmi sorridere.
Eravamo amiche da un vita. Ma non per modo di dire. Io nacqui ad ottobre, mentre lei ad aprile. Ci separavano solo sei piccolissimi mesi. Le nostre mamme, amiche intime, s’incontravano spesso, a casa dell’una o dell’altra. E lì imparammo a conoscerci e ad essere amiche. Lei era solare, allegra, piena di vitalità, sprizzava energia da tutti i pori! Era sensibile e si commuoveva spesso. Era un po’ il mio opposto. Non che fossi una pessimista col malumore, questo no, ma se lei rappresentava il sole e la luce, io ero la luna e il buio. Ero la più tenace tra le due, quella che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Se qualcuno provava a farla piangere, ero sempre in prima linea per difenderla. Avevo un carattere forte, una dura scorza che mi faceva apparire come un maschiaccio. Lei sapeva tirar fuori il mio lato femminile e io la sua tenacia. Ci completavamo. Dove non arrivavo io c’era lei, e viceversa.
Entrate nella 2-2, lui e Kaito erano già lì. Miku mascherò benissimo la sua agitazione. Solo mi strinse un po’ più forte il braccio. Io, al contrario, stavo anche peggio di ieri. Consapevole dei miei sentimenti, trovavo la cosa ancor più imbarazzante. Mi sedetti, cominciai a tirar fuori il libro e il quaderno della prima ora, ma poi tu ti sedetti al tuo posto, in fianco a me, e il cuore tremò.
«Tu sei … Kagami Rin-san, giusto?» chiese con espressione accigliata.
«S-sì, sono io» balbettai, continuando a fissare il quaderno. «Tu … tu dovresti essere Oto Len-san, no?»
«Esatto! Mi fa piacere che te ne sia ricordata» esclamò, mostrando quel suo sorriso capace d’illuminare la stanza, che, ero convinta, avrebbe benissimo potuto portare il sole in giorno di pioggia.
«A-anche a me fa piacere che tu ti sia ricordato il mio» aggiunsi.
Entrò il professore. Oggi ci sarebbero state le elezioni dei capiclasse, degli addetti all’infermeria, ecc.
Io mi ero sempre candidata come capoclasse. Non so, mi piaceva l’idea di essere un punto di riferimenti per chi avesse avuto bisogno d’aiuto. Mentre Miku era l’indiscussa addetta all’infermeria. Io lo trovavo un impiego nobile, aiutare un malato, e io la incoraggiavo. Aveva sempre avuto quell’istinto, quello di curare chi non si sentisse bene. Ero convinta che ne avrebbe fatto il mestiere della sua vita.
Subito il professore della prima ora scrisse alla lavagna i vari compiti che quella mattina sarebbero stati assegnati. Vennero dati i vari posti. Qualcuno propose addirittura Fukuda come candidato alle elezione dei rappresentanti del consiglio studentesco, con come risultato l’ira di Shinta-san e gli sghignazzamenti di tutto il resto della classe. Miyuki-san venne proposta come contabile del consiglio studentesco, Miku tenne valida la sua carica (e io le diedi un “thumbs up*”, ricambiato da un suo raggiante sorriso). Rimanevano da essere eletti sono i capiclasse.
«Qualche volontario?» fece il professore.
Alzai la mano di scatto. Non volevo di certo farmi soffiare il posto.
«Oh, bene, vedo che non dobbiamo neanche perdere altro tempo per scegliere l’altro! Due volontari, maschio e femmina! Fantastico, allora sarete voi in nuovi capiclasse!» disse il professore sorridendo.
Due? Chi aveva alzato la mano oltre a me? Mi girai a sinistra: nessuno. Mi voltai a destra allora: rimasi di sasso, ancora col braccio alzato. LEN-SAN?! Tra tutti, proprio lui?!
«Oh, non sapevo volessi candidarti anche tu» sorrise «Yoroshiku onegai shimasu!*» disse allegro.
Io ero pietrificata. Non un minutissimo muscolo del mio rigidissimo corpo aveva intenzione di levarmi dalla faccia quello sguardo sgomento che dovevo sicuramente avere.
Mi alzai e al seguito di Oto-san mi avviai alla cattedra per il discorso. Cercai disperata lo sguardo di Miku. Quella, invece di comprendere il mio dramma, a stento tratteneva le risate. Era sul punto di scoppiare a ridere e di rotolarsi per terra. Si teneva con un braccio la pancia, e con l’altro nascondeva il volto appoggiato sul banco. Era in preda a sussulti spaventosi. Se non avessi appena assunto questa carica e non ci fossero stati tutti quei testimoni, l’avrei sistemata io.
«Hatsune-san, daijōbu desuka*?» chiese il professore.
Miku riuscì a bofonchiare un “si si, tutto bene” tra le potenti risate che l’assalivano.
Oto-san attaccò subito col discorso: «Ehm, salve. Io sono Oto Len. Mi sono trasferito da poco e quindi sono nuovo di qui. Spero di adempire al meglio al compito che ho deciso di intraprendere. Vi ringrazio in anticipo per la collaborazione che spero mi, anzi, ci darete» Inchino.
«Hai qualcos’altro da aggiungere, Kagami-san?» chiese il professore. 
«Kagami-san?»
«Ah, scusi sensei*. No, nulla. Va bene così» dissi, e tornammo ai nostri posti. Decisi i turni per la pulizia dell’aula e dei laboratori, la giornata continuò invariata fino al suono della campanella.
«Ma bene, Rin-chan» cominciò Miku maliziosa avvicinandosi al mio banco, non appena gli altri si dileguarono dall’aula «Prima scopri di essere capoclasse assieme a Oto-san, poi salta pure fuori che avete il turno di pulizie lo stesso giorno, al giovedì. E giovedì è dopodomani»
Io come tutta risposta fissavo il banco, con la faccia tendente al magenta. Che razza di giornata! Cos’è, il destino ha deciso di accanirsi proprio contro di me, tra tutte le persone che ci sono su questo pianeta?
«E tu, invece? Non hai nessun turno assieme a Shion-san?»
«No, purtroppo, ma oggi c’è già stato un passo avanti» fece, con aria vittoriosa.
«Ah sì? E cioè?»
«Mi è caduta la matita, accidentalmente, eh» disse con sguardo provocatorio «E lui me l’ha raccolta!»
«… e poi?»
«Cosa “e poi”?»
«E poi cosa ti ha detto? E’ successo solo questo? Se pensi che l’averti raccolto la matita sia un gesto per mostrarti il suo amore allora stiamo freschi …»
Miku aggrottò la fronte, fece una faccia da bambina capricciosa e mi tenne il muso. Durò solo cinque minuti, perché subito dopo attaccò un monologo su quanto il “suo” Kaito fosse bello, alto, intelligente, eccetera eccetera. Ascoltai la metà dei suoi discorsi, fino a quando …
« … e sapevi che Kaito è in una band? Ci sono lui, Megurine-san, ovvero sua cugina, e la sorella di Luka-san, Gumi-san, e poi c’è anche Oto-san …»
« Cosa cosa cosa?» chiesi, risvegliando me stessa e il mio interesse, che sembrava ormai defunto.
«Ah, allora stavi ascoltando! O hai ricominciato solo adesso? Uhm, va bhe, non importa. Comunque, come stavo dicendo, Shion-san suona in una band, insieme alle sue cugine, le sorelle Megurine, e c’è anche Oto-san con loro. Il mio Kaito-san canta, Luka-san è alla chitarra elettrica, Gumi-san al  basso e Len-san alla batteria»
«Ma dai! Ecco perché sono così amici … E dov’è che si esibiscono?»
«Bhe, non è che siano già così famosi da esibirsi nei locali come le altre teenager-band, però spesso provano sopra a uno di quei posti dove gli altri fanno dei concerti .. c’è una sala prove, infatti. Hai presente la strada che fai per andare al conservatorio tu? Ecco, invece di girare a sinistra, vai a destra: dopo poco c’è uno stabile accessibile sia dalla porta, che porta alla sala prove, sia da delle scalinate che scendono verso il basso, che infatti portano in quei posti dove si esibiscono le band. Facci caso domani che vai a lezione …»
 
Il giorno dopo, mentre camminavo ascoltando il brano che oggi avrei dovuto provare a lezione di violoncello, feci ammenda alle parole di Miku e, dato che ero in un anticipo pazzesco, decisi che provare non costa nulla e mi avviai a destra, anziché a sinistra, come ogni mercoledì pomeriggio. E infatti eccolo lì: un grosso stabile tutto cementato, di colore nero, era ricoperto di scritte fatte con le bombolette spray. Aveva un aspetto molto da “ritrovo di gangster”. Optai per la porta (quelle scalinate che scendevano verso il basso non mi ispiravano per niente). Bussai, e una voce mi gracchiò un “avanti”. Uhm, perché mi sembrava familiare? Aprii la porta e …
«Fukuda-san! Che ci fai qui?» domandai stupita.
«Kagami-san? Piuttosto, che ci fai tu qui! Non mi sembri proprio la tipa da rock-band o cose così … comunque guarda che qui io ci lavoro, non so se mi spiego …»
«Ma dai! Tu che lavori? Sai che fa un effetti un po’ strano? Ah, ah, ah!»
«Umpf! A scuola dormo sempre perché qua sono impegnato fino a tardi, che ti credi?»
«Ah, ecco! Abbiamo sfatato il mistero di Fukuda-san. Ero solo passata per dare un’occhiata, perché … perché … qui prova una mia amica!» inventai.
«Ah sì? E chi sarebbe?»
«Gumi-san!» fu il primo nome che mi venne in mente.
«Non sapevo vi conosceste. Vieni allora, faccio strada …»
«Ma no, figurati! Posso benissimo cavarmela da sola! Basta che mi dici dove andare e io mi arrangio …»
«Nah, e smettila! Ti accompagno»
Stava per prospettarsi una situazione molto imbarazzante, se proprio in quel momento non fosse sbucata proprio Gumi-san.
«Shinta-kun, volevi prendermi da bere, ma la macchinetta s’è mangiata i soldi …»
«Adesso vado a darci un occhio. Comunque, visto che sei qui, non c’è più bisogno che accompagni Kagami-san, ci pensi tu, ok? Tanto siete amiche»
E così, prima che la minore delle sorelle Megurine potesse dire qualcosa, Fukuda s’era già dileguato.
«E tu … chi saresti?» chiese Gumi-san, con sguardo interrogativo.
«Ah, lo sapevo che non sarei dovuta venire» sospirai amareggiata «Non pensavo di creare questo casino. Io sono Kagami Rin, e se sono qui è tutta colpa di quella stupida di Miku, la mia migliore amica …»
«Aaaah! Ma allora sei un’amica di Hatsune-chan! Piacere, io sono Megurine Gumi» fece, tendendomi la mano. Aveva un viso così allegro e simpatico! Pensai che non sarebbe stato difficile fare amicizia.
«Piacere» dissi un po’ imbarazzata.
«Avanti» disse Gumi-san sedendosi «Tanto siamo in pausa, dimmi tutto!»
Evidentemente era per il fatto che mi ispirava fiducia, altrimenti non penso che le avrei raccontato tutto per filo e per segno di quella strana vicenda iniziata appena due giorni prima. Gumi-san ascoltò con sguardo interessato per tutto il tempo, senza mai staccarmi i suoi occhi verdi brillanti di dosso.
«E così, visto che ti sei presa una cotta per Len-kun, avevi deciso di venir qui a vederci mentre suonavamo, giusto?» disse, dimostrando di essere stata attenta alle mia parole.
«Esatto, ma non sapevo che Fukuda-san lavorasse qui, e la prima scusa che mi è venuta in mente è stata quella che, siccome ti conoscevo, ero venuta a dare un’occhiata al posto …»
«Allora andiamo! Non sarai mica venuta qui per niente, o sbaglio?» disse l’intraprendente Gumi-chan, come voleva che la chiamassi, afferrandomi per il braccio. Mi trascinò, tra le mie rumorose proteste, finché non arrivammo nella sala prove e aprì la porta.
Non era molto grande, ma c’era spazio sufficiente per tutti. Quella che ipotizzai essere Luka-san, era seduta su una sedia e sorseggiava dell’acqua da una bottiglietta, mentre Kaito-san rileggeva gli spartiti.
“E Len-san? Dov’è?” Fu il mio primo pensiero.
«Len-kun dov’è andato?» domandò Gumi-chan.
«In bagno. Chi è quella?» chiese Megurine-san.
«Ah, lei è Rin-chan, una mia amica. Può restare, vero?» domandò civettuola.
«Per me va bene. Tu cosa ne dici, Kaito-kun?»
“Kaito-kun” alzò lo sguardo dagli spartiti ed esclamò: «Ah! Kagami-san! Sei tu! Non sapevo conoscessi la mia itoko-chan*. Certo che puoi rimanere» disse sorridendomi.
In quell’istante entrò Len-san. Mi sembrava che diventasse più bello ogni giorno che passava. Diedi una rapida occhiata all’orologio: solo quindici minuti. Dovevo fare in fretta.
«Rin-san!» esclamò «Che ci fai qui?»
«S-sono venuta a trovare Gumi-chan, ero di passaggio …»
«Suoniamole qualcosa, Len-kun!» fece Gumi-chan.
Ognuno si posizionò ai propri posti e, dato il via di Len-san, cominciarono a suonare. Non mi ero mai appassionata alla musica moderna, perché questa ha il vizio di creare “canzoni” stupide e senza senso, senza alcun significato particolare. Inoltre la maggior parte delle band di oggi avevano tutte lo stesso stile, lo stesso tipo di canzoni … insomma, fantasia portami via! Invece loro, avevano quel qualcosa in più che ti conquistava. La melodia, associata alle parole, creava un’atmosfera nuova, meravigliosa. E non era un testo senza senso, raccontava, ti dava qualcosa, senza voler ottenere nulla in cambio. Avevo provato certe emozioni solo suonando in prima persona o ascoltando la musica classica. Quella era la prima volta che un basso, una chitarra, una batteria e una voce riuscivano a persuadermi a tal punto. Era energica, movimentata, ma parlava d’amore, quell’amore dolce, vero e sincero, e ti metteva nel sangue una voglia sfrenata di unirti a loro, di partecipare a tua volta a quella melodia. Appena finirono, mi alzai in piedi, battendo fragorosamente le mani. Ero entusiasta!
«Siete stati bravissimi!» esclamai.
«Grazie, anche se ho combinato qualche errorino» disse Gumi-chan, mordendosi la lingua.
«Si, sei andata un po’ sotto tono nella seconda parte della canzone … Ma anche Luka-san ha accelerato un pelino in quel punto»
«Come te ne sei accorta? Suoni anche tu?» disse incredula Megurine-san.
«Sì, suono il violoncello … e se non mi sbrigo faccio tardi alla lezione»
«Accompagnala fuori, Len-kun» fece Gumi-chan, dandogli una spintarella.
Arrossii. Anche lui diventò un po’ rosso. Almeno non ero l’unica a sentirmi in imbarazzo.
Scendemmo le scale senza neanche scambiarci una parola, finché non arrivammo al pianerottolo all’ingresso. Ci fissammo i piedi, in attesa che uno dei due parlasse.
«Mi ha fatto piacere farti sentire una nostra canzone» esordì tutt’un tratto Len-san.
«Siete stati fantastici. A me non piace la musica moderna, ma voi siete riuscita a farmi volare con l’immaginazione e col cuore nonostante suoniate della musica rock»
«Non sai che regalo mi hai fatto, oggi, con le tue parole» disse Len-san sorridendomi.
«Adesso, devo andare …»
«Aspetta!» disse, afferrandomi il braccio. Prese un pezzo di carta dal bancone di Fukuda-san (che per fortuna non c’era!) e con una penna ci scrisse sopra qualcosa. Si avvicinò nuovamente a me, e mi sussurrò all’orecchio: «Puoi chiamarmi anche Len-kun, se ti va» e, con un sorriso di chi ha vinto una battaglia ma non tutta la guerra, s’avviò su per le scale. Guardai il bigliettino. Era un indirizzo e-mail. Il suo indirizzo e-mail. 
 
 
 
Spazidell’autrice: waaaaa!! *w* eccomi qua, col secondo capitolo!! Spero vi sia piaciuto e abbia soddisfatto le vostre aspettative dal punto in cui c’eravamo lasciati la volta scorsa ^^ in questa ff ho fatto diventare sorelle Luka e Gumi xD E’ stata un’idea carina, non vi pare?? Ho riempito di accenni al giapponese questa storia xD ho messo “san”, “kun” e “chan” un po’ ovunque xP ma volevo renderlo più reale possibile, ecco. E, ancora una volta, VI CHIEDO CORTESEMENTE DI COMMENTARE/RECENSIRE QUESTA FAN FICTION, ve ne sarei grata *^*
 
*Note
Ossu = “Hey”/”Ehilà”/ (eccetera)
Ohayō = Buongiorno
Thumbs up = (letteralmente) “pollici in su”/“pollici in alto”
Yoroshiku onegai shimasu = formula usata anche per dire “impegniamoci al meglio”
Daijōbu desuka? = “Va tutto bene?”
Sensei = professore
Itoko = cugino/a

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Capitolo 3
*** Hug ***


Hug


Uscii da quella stanza raggiante come se avessi vinto alla lotteria. Mi aveva dato il suo indirizzo e-mail*! E potevo anche chiamarlo Len-kun! E lui mi avrebbe chiamata Rin-chan? Non gli avevo neanche detto che poteva farlo se avesse voluto* …
Mi avviai verso il conservatorio con questi pensieri che mi frullavano nella mente, e tanti altri si aggiungevano, facendomi sentire con la testa fra le nuvole. Ero felicissima!
Entrai nella stanza dove avrei avuto lezione, e vidi il professore che mi aspettava, mentre sistemava i vari spartiti. Era un uomo piuttosto anziano, aveva viaggiato molto e aveva fatto della musica la sua sposa e la sua vita. Lo stimavo molto, e spesso mi capiva come un nonno o uno zio.
«Oh, Rin-chan! Sei un po’ in ritardo oggi»
«Mi scusi, Sasaki-sensei, ma oggi mi sono trattenuta con degli amici»
«Uhm … va bene, sorvolerò» disse, sorridendo. Che uomo comprensibile!
«Vogliamo cominciare?»
«Certamente!» dissi entusiasta.
Mi sedetti sullo sgabello, presi dolcemente il mio violoncello, lo accordai, e cominciai a suonare. Quei toni gravi mi avvolgevano, come una brezza calda d’estate. Mi inebriai dei suoi suoni, per tutta la durata della melodia. Quando finii, guardai il mio sensei, e vidi che stava sorridendo. Mi batté le mani, e lì capii qual era lo scopo della musica: emozionare le persone.
«Diventi sempre più brava ogni giorno che passa, Rin-chan»
«Grazie»
Mi esercitai per un’altra oretta, poi Sasaki-sensei disse che poteva bastare e così mi avviai verso casa.
Afferrai la borsetta e diedi un’occhiata al cellulare: le cinque e mezzo. Mancava ancora un po’ all’ora di cena, ma non feci in tempo a pensare che mi arrivò un’e-mail*. Quell’indirizzo mi era familiare … “Un momento!” pensai. Frugai nella borsetta e lo confrontai col bigliettino di Len-kun: era proprio lui! Il suo messaggio diceva: «Ciao Rin-san. Spero di non disturbarti» “Ma tu non disturbi mai!”, «Visto che domani abbiamo il turno di pulizie insieme, ecco, mi stavo chiedendo … se finivamo presto, ti andava di fare un giro?» “ODDIO! Se mi andava di fare un giro?! Ovvio che volevo uscire con te!”
Gli risposi allora con velocità lampo: «Ciao Len-kun. Puoi chiamarmi Rin-chan (se ti va) :D Farebbe molto piacere anche a me andare da qualche parte domani se finiamo presto ^^». Invio. Quei trenta secondi che aspettai perché mi rispondesse mi sembrarono eterni. Poi ecco la sua risposta: «*fiuuu* bene :D sono contento ^^ a domani allora, Rin-chan ;)» Aveva riempito l’e-mail di faccine. “Che si sia accurato di essere formale prima? Ahahah!” «A domani, Len-kun :)» fu la mia risposta. 
Mentre mi avviavo verso casa, rilessi quell’e-mail circa una quarantina di volte. Aveva chiesto, a me, di uscire. Perché proprio io? Cos’avevo di così speciale? Lui aveva tutto: un bell’aspetto, un (ipotizzavo) carattere amichevole e socievole, una buona compagnia e suonava pure in una band. Cos’avevo io da offrire a quel ragazzo che, a mio parere, trasudava di perfezione?
Arrivata a casa, aprii il cancello, la porta e mi diressi in camera. Composi il numero di Miku sul telefono e la chiamai.
«Pronto, sono Rin. Cercavo Miku-chan, è in casa?»
«Sì, ora te la passo» disse sua madre «MIKU!! C’È RIN-CHAN AL TELEFONO! Adesso arriva, cara»
«Grazie, signora Hatsune-san»
«Pronto?»
«Ciao Miku-chan! Oggi è successa una cosa pazzesca!»
«Cioè?»
Le raccontai quel che successe, dall’incidente con Fukuda-san all’esibizione della band (con Miku che mi chiedeva incessantemente se Kaito era “figo” mentre cantava, se la sua voce era bella, ecc), dalla consegna del bigliettino fino a l’e-mail che mi aveva mandato.
«Ihih, hai fatto colpo Rin-chan!»
«Come scusa?»
«Ho detto, “hai fatto colpo!”»
«Sì, ma cosa vuol dire?!»
« … vuoi un dizionario di modi di dire?! “Hai fatto colpo!”, “hai fatto centro!”, “hai fatto breccia nel suo cuore!” tutte metafore per dirti che l’hai fatto innamorare di te!!!»
«Oh …»
«”Oh”?! E’ questo il tuo commento? “Oh”?! Ma io voglio sentirti esultare! Saltare per la stanza dalla gioia urlando un bel “Il mio Len-kun mi ama” !!!»
«Dai, adesso non esagerare, mi ha solo chiesto di uscire … M-mica mi ha fatto una dichiarazione!»
Silenzio. Allontanai la cornetta: quando Miku fa così bisogna prepararsi al peggio. E infatti …
«DIAMINE! SE UN RAGAZZO TI CHIEDE DI USCIRE O È PERCHÉ GLI PIACI O PERCHÉ SIETE AMICI DA UNA VITA E LO FATE PRATICAMENTE SEMPRE!!! E A ME NON PARE CHE VOI VI CONOSCIATE DA QUANDO ERAVATE PICCOLI!!» sbottò. Un po’ la capisco, dev’essere dura sopportarmi quando sono così tarda a capire certe cose.
«Scusa» dissi «Allora, che mi consigli di fare? Non potrò mica andare in giro con l’uniforme?!»
«Guarda che lo fanno tutti» disse, poi riprese «anche se un appuntamento con l’uniforme della scuola non è proprio il massimo …»
«A-appuntamento?!»
Sentii Miku prendere fiato, così mi affrettai a dire: «Capito! Capito! Se un ragazzo t’invita a fare un giro è un appuntamento! Non voglio sentirti urlare di nuovo … Però non posso neanche tornare a casa a cambiarmi! Che faccio?»
«Casa mia è lì vicino, giusto? Domani ti porti i vestiti in una borsa e ti cambi lì»
«Grazie, Miku, grazie! Sei la mia salvezza!» e le mandai un bacino.
«Ok, ok. Ti voglio perfetta! Ci vediamo domani mattina alla stazione»
Mangiai e filai a letto. Non mi erano mai accadute così tante cose in soli tre giorni! E il quarto stava per arrivare, con non poche sorprese …
 
E, per arrivare, arrivò. Solo non pensavo così presto! Dormii beatamente, sognando il ragazzo che tanto mi faceva dannare, e la sensazione di benessere che mi aveva accompagnata per tutta la notte la ritrovai anche al mattino. Mi alzai, canticchiando, e mi avviai a fare colazione. Nulla, ma proprio nulla, avrebbe scalfito il mio buonumore. Questo pensavo.
Mentre addentavo un toast ricoperto da uno spesso strato di marmellata alle pesche, sentii mamma arrivare. Guardai papà, che aveva giustappunto tolto lo sguardo dal giornale. Ridemmo insieme.
Mamma era una professoressa di scuola superiore. La materia da lei insegnata era scienze. In questo periodo dell’anno, con le scuole appena cominciate, era piena di pacchi di compiti fino al collo, tra test d’ingresso e simili. E lei era una donna sbadata. Molto sbadata: perdeva di tutto. Se un giorno m’avesse detto che s’era dimenticata la testa sul cuscino e che era stata costretta a tornare per riprendersela, le avrei creduto. Perdeva dalle cose più banali, come chiavi, foglietti, appunti, a cose più sostanziose, come una scarpa, la borsetta, un cappellino, la trousse … e, peggio ancora, le verifiche. Penso che se mi avessero detto “Sarà tua madre la professoressa di scienze quest’anno” mi sarei di certo messa le mani nei capelli, col terrore che mi perdesse qualche compito in classe. E così, in quei casi, partiva l’allarme generale, e dovevamo smettere di fare quel che stavamo facendo per aiutarla nelle ricerche delle verifiche perdute.
Papà invece era direttore dell’ospedale di Sakurami*, dove abitavamo. Era un uomo piuttosto indaffarato: andava al lavoro presto la mattina alle sette e mezza, per poi tornare a casa la sera alle otto.
A volte lo chiamavano anche la domenica o i giorni festivi, ma per fortuna non accadevo così spesso.
Mamma riuscì a trovare quel che cercava (la penna rossa correggi-compiti) e si sedette accanto a me.
«Dimmi un po’, Rin-chan» esordì «Ti sento canticchiare allegra da stamattina …»
“Oh cavolo … ecco che s’impiccia …”
«… ti sarai mica innamorata, per caso?» chiese con sguardo malizioso. Mi ricordava molto Miku.
«Be’, ecco …»
«Come se Rin pensasse a certe cose» disse tutt’un tratto papà. Sapevo come la pensava, e infatti …
«Non mi sembra proprio il caso di pensare ai ragazzi … c’è tutto il tempo dopo. Credo sia più responsabile pensare ad impegnarti nello studio e nel violoncello, piuttosto …»
«Oh, andiamo, Rin ha pur sempre sedici anni, mi sembra abbastanza grande per …»
«Nient’affatto, sai come la penso» rispose secco papà.
Già, lo sapevo fin troppo bene il suo “ideale”. Si è ancora troppo “piccoli” per parlare di cose importanti come “l’amore”, “i fidanzati”, ecc. Per lui alla mia età il mio tempo si doveva districare in amicizie, studio, e musica (classica, ovvio). Ed equitazione. Non che a me dispiacesse, non mi ero mai trovata a dover affrontare “una cotta”, prima d’ora. Ma adesso …
Uscii di casa preoccupata, non sapendo se quello che stavo per fare fosse giusto o sbagliato. Quando arrivai alla stazione Miku vide subito la mia faccia, e disse:
«Che è successo?»
«Mamma ha accesso una miccia piuttosto pericolosa …»
«Riguardo a cosa?»
«L’amore»
Miku abbassò lo sguardo. Fissava con faccia schifata e arrabbiata per terra, e la sentii bisbigliare:
«Come se lui avesse il diritto imprigionarti nel suo ideale di “figlia perfetta” …»
Non le era mai piaciuto mio padre. Da piccola era terrorizzata da lui, lo trovava “pauroso”. Da bambina la sua presenza le dava fastidio e ora semplicemente non lo sopportava. Diceva che secondo lei non poteva costringermi a vivere una vita non mia che non volevo, ma che era semplicemente un velo che mi copriva per dare agli altri l’idea che fossi “perfetta”. Io non sono affatto perfetta, anzi. Ma a lui evidentemente piaceva l’idea di avere una figlia che gli altri avrebbero invidiato.
Arrivate in classe, vidi Len-kun che parlava con Kaito-san. Appena mi vide, il ragazzo dai capelli dorati sorrise e m’invitò a raggiungerlo. Mi trascinai dietro anche Miku, ovvio: c’era Shion-san vicino a lui.
«Ciao, Rin-chan» disse, con leggere imbarazzo.
«Ciao, Len-kun» arrossii. Miku e Kaito ci guardavano divertiti.
«S-sai, sabato prossimo ci esibiamo»
«Ma è fantastico Len-kun! E dove?»
«Nello stesso posto dove proviamo, solo al piano di sotto. E’ piuttosto famoso come posto di quel genere» esordì.
«A che ora?»
«Alle sei e mezza. Ecco, non essendo ancora affermati, noi iniziamo prestino, mentre gli altri spettacoli vanno avanti anche fino alle undici, undici e mezza. A volte addirittura anche un’ora dopo …»
«E quando finirete?» chiesi agitata. Avevo un coprifuoco piuttosto rigido.
«Mah, ci esibiamo una mezzoretta, quindi alle sette abbiamo finito. Come mai me lo chiedi?»
«Perché il suo aguzzino alle sette e mezza, al massimo alle otto la vuole a casa» sbottò Miku.
«Il tuo … aguzzino?»
«Mio padre. Miku proprio non lo sopporta e lo definisce il mio “aguzzino”» sospirai.
«Cos’ha di così terrificante tuo padre?»
«Non le lascia vivere la sua vita in pace» intervenne di nuovo la mia amica.
In quell’istante suonò la campanella. Grazie al cielo!
«Comunque» disse Kaito-san, che finora era stato zitto «puoi anche portare qualche tua amica …»
E, mentre lo diceva, diede un’occhiatina rapida a Miku, sorridendo. Li guardai: sarebbero stati carini insieme, formavano una bella coppia. Chissà se anche Len-kun aveva mai pensato a noi così …
Un’altra giornata trascorse, e arrivò la fine delle lezioni senza che me ne accorgessi nemmeno.
Salutai Miku, e inizia a mettere nello zaino gli appunti appena presi. Guardai l’orologio appeso al muro: erano l’una e un quarto. Tra pulizie e il resto, dato che eravamo noi due i capiclasse, saremo stati impegnati fino alle quattro, se non di più.
Iniziammo subito: io spolverai, mentre Len-kun spazzava. Sistemammo i libri sugli scaffali e mettemmo a posto il laboratorio di chimica. Poi sbrigammo alcuni lavori amministrativi. Finimmo un po’ prima: erano le quattro meno dieci. Dovevo anche andare da Miku a cambiarmi e …
“ASPETTA” pensai “NON HO PORTATO IL CAMBIO!”. Disperazione.
Len-kun mi tese la mano: «Vogliamo andare?» chiese sorridendo.
“Ma sì, che m’importa!” pensai, e risposi al suo sorriso.
Salii dietro la sua bicicletta e girai le mie braccia attorno al suo corpo, per tenermi salda. Appoggiai il viso sulla sua schiena e mi lasciai cullare dal vento e dalla bici che oscillava leggermente. “Che sensazione meravigliosa”. Bevemmo un frappé e nel frattempo mi portò a fare un giro in centro. Quanto mi stavo divertendo! Pensavo che d’ora in avanti la parola “divertimento” perdesse di significato se accanto a questa non c’era il tuo nome. Ed era vero.
Rimontammo sulla bicicletta e giungemmo lungo gli argini del canale che passava vicino a Sakurami*.
Len-kun mollò la bici sul prato e le si stese in fianco. Anch’io mi sedetti. Guardavamo il tramonto riflesso sull’acqua, quando disse: «Sai, oggi mi sono divertito veramente tanto con te»
«Anch’io. Per un attimo è stato come se tutti i problemi e i pensieri di tutti i giorni fossero spariti e ci fossimo … solo noi due» aggiunsi, abbassando un po’ la voce. Len-kun si voltò e mi guardò. Da sdraiato si mise seduto, e … mi abbracciò, accarezzandomi la testa con una mano. Mi sentii avvampare fino alle punte dei capelli, e il cuore mi batteva forte forte. Poi mi sussurrò all’orecchio: «Sei così dolce, Rin»
Già alla parola dolce sarei svenuta, ma dopo “Rin*” ero praticamente partita.
Rimanemmo così per qualche altro minuto, e poi mi riaccompagnò a casa. Lo salutai, e mi precipitai al telefono per chiamare Miku.
«Moshi moshi?*»
«Sono io, Miku!»
«Allora, com’è andata? Nonostante ti sia dimenticata il cambio …»
«Ma chi se ne importa di quello! Sono troppo contenta!»
«Cos’è, ti ha baciata? Eh?»
«No! Certo che no!» dissi, indignata. Ci conoscevamo appena. E poi mica stavamo insieme.
«E allora che è successo?»
«Dopo essere stati in centro, siamo andati sugli argini del canale, ci siamo seduti sull’erba e … »
«E?!»
«E tutt’un tratto mi ha presa fra le sue braccia, accarezzandomi la testa, dicendomi “Sei così dolce, Rin”»
«Ha detto proprio così? Ha usato solo “Rin” senza niente?!*»
«Già»
«KYAAAAA!» gridò «Se non è amore questo! Quanto vorrei che succedesse anche tra me e Kaito-kun ...»
«Ma non hai visto come ti guardava, oggi? Si vedeva che gli interessi!»
«T-tu dici?»
Parlammo ancora a lungo, ridendo e scherzando. Ma non mi ero accorta dei suoi occhi gelidi che mi fissavano …
 
 
 
Spazidell’autrice: ed eccoci qua, col terzo capitolo! *w* Spero di non ricevere nessun reclamo per il “mancato bacio”, ma sapete come funziona in uno shoujo: bisogna patirne prima di arrivarci! (i fatidici 24-26 episodi .. ma tranquilli: voi non aspetterete così tanti capitoli xDD) Ho inserito un antagonista (papà), una futura aiutante (mamma) e le cose con Miku e Kaito finalmente si smuovono … ehi! Mi sto auto-recensendo xD a questo proposito, VI CHIEDO CORTESEMENTE DI COMMENTARE/RECENSIRE QUESTA FAN FICTION, ve ne sarei grata *^*
Davvero, non sapete quanto piacere fa vedere che il proprio lavoro è piaciuto! Grazie ancora per averla letta *inchino di ringraziamento*
 
*Note
Mi aveva dato il suo indirizzo e-mail!; Mi arrivò un’e-mail = in Giappone, è di uso frequente scambiarsi delle e-mail col cellulare, anziché gli sms.
E potevo chiamarlo Len-kun!; E lui mi avrebbe chiamata Rin-chan? [..] se avesse voluto = in giapponese, “san” è un titolo onorifico che si usa in generale (i giapponesi sono molti formali ra di loro), mentre “chan” e “kun” sono di uso confidenziale.
 
Sakurami = ovviamente, è un nome inventato. L’ho preso dall’anime “Mirai Nikki”.
 
Rin; Ha usato Rin senza niente?! = se “Rin-chan” è già un modo confidenziale di rivolgersi ad una persona, chiamarla senza titolo onorifico lo è ancor di più (ecco spiegata la reazione di Rin) !
 
Moshi moshi = il nostro “pronto” quando rispondiamo al telefono.

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Capitolo 4
*** Conflicting Feelings ***


Conflicting Feelings 


Da quel giovedì pomeriggio era trascorsa ormai una settimana, e io non ero mai stata così felice. Mi avvicinai ancora di più a Len: ci fermavamo sempre un po’ di più, dopo la scuola, con la scusa che eravamo i capiclasse, e quando lui provava m’invitava spesso a vederlo mentre suonava (il che accadeva un giorno sì e uno no). Non è che stavamo insieme nel vero senso del termine, forse perché eravamo due timidi (nonostante il mio carattere) e per ora andava bene così. Miku continuava a ripetermi che avevo l’obbligo di far diventare la nostra relazione una cosa seria, altrimenti bastava che “un’oca” qualsiasi lo corteggiasse e lui mi avrebbe piantata in asso senza tanti complimenti, visto che “non stavamo insieme”. Ma io conoscevo Len: non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Intanto anche i rapporti tra Miku e Kaito-kun s’erano fatti interessanti, ed ero convinta che di lì a poco avremmo festeggiato il loro fidanzamento. Era venerdì pomeriggio, quando Miku mi disse: «Senti, visto che domani dobbiamo andare al concerto della band di Kaito, perché non ti fermi a dormire da me, stasera? Così hai una scusa per portarti via i vestiti da casa, senza dover fare avanti e indietro mille volte. E poi io c’abito vicina, sia alla scuola che allo stabile»
«Mi sembra un’ottima idea! Chiedo alla mamma e poi ti mando un messaggio, ma tanto penso che mi dirà di sì» risposi.
«Bene, però non dirmelo troppo tardi, perché sicuramente mia madre vorrà cucinarti qualcosa, quindi mi toccherà andare a fare la spesa e poi ora che mia mamma trova una ricetta … sai com’è fatta»
«Ah, ah, ah! Sì, la conosco» risi.
Tornata a casa, lasciai cadere la borsa coi libri accanto al divano, mi avvicinai alla mamma che stava leggendo una rivista, mi sedetti e le chiesi: «Posso dormire a casa di Miku, stasera? Ti ricordi, vero, che domani dovevo uscire con lei, così mi aveva invitata a casa sua …»
«Per me non c’è problema, ormai sei grande, hai una certa libertà su queste cose»
«Quindi posso andare da lei quando mi pare avvisandoti solo che mi fermo senza domandarti nulla?»
«Certo che no!» disse, distogliendo lo sguardo dalla rivista per posarlo su di me «Tu devi chiedermelo, solo sai che io ti concederò il permesso più facilmente rispetto a quand’eri più piccola»
Quei discorsi proprio non li capivo. Potevo fermarmi da lei anche più spesso, ma dovevo comunque continuare a domandare ai miei se potevo. “Ecco come contraddirsi da soli in due frasi e far mandare in pappa il cervello ai figli” pensai.
In quell’istante entrò papà, proprio mentre mi accingevo ad andare di sopra per prepararmi la borsa.
«Sentivo che stavate parlando di dormire da Miku. E io non conto più niente in questa casa?»
«Perché, hai da obbiettare, caro?» chiese la mamma.
“Infatti, che hai da ridire?” pensai. Nella mia mente ero molto più … “espressiva” che nella realtà.
«No, certo che no, ma non pensi che anche il mio parere sia importante?»
«Certo che lo è» disse mamma, senza staccare gli occhi da uno stupendo paio di scarpe stampato sulla rivista «Comunque Rin è meglio se ti sbrighi, sennò Hiro non troverà mai il tempo di cucinarti qualcosa»
«Sì, infatti Miku mi aveva detto di avvisarla, altrimenti sua madre non ce l’avrebbe fatta!» scherzai.
Mandata la mail a Miku, mi preparai la borsa. Scelsi accuratamente i vestiti che avrei indossato sabato sera: non ero mai stata a un concerto, così optai per qualcosa di non troppo elegante, ma neanche sportivo e che non sembrasse una cosa che avresti indossato “tanto per coprirti”. Un abito non mi sembrava proprio il caso (non era mica una festa!), di tute nel mio guardaroba non ce n’erano nemmeno l’ombra, e quindi l’unica opzione ricadeva su jeans e maglietta. Li comprai qualche giorno prima per l’occasione: maglietta morbida sui fianchi, a maniche corte larghe, che coprivano solo una spalla; di colore bianco, aveva una stampa che ricopriva tutto il davanti: vi era raffigurata una ragazza (quelle modelle con i capelli ossigenati dalle acconciature particolari) che reggeva un microfono e che, a bocca aperta, incitava la folla a cantare con lei, mentre con l’altra mano teneva ben salda sull’addome la chitarra. La foto era in bianco e nero, ma le scritte erano magenta chiaro e nere, (perfetta per un concerto, no?) mentre i jeans erano normalissimi pantaloni a sigaretta color blu, con delle zone schiarite, sul ginocchio. Converse nere ai piedi e collane e orecchini come accessori. Casual-rock, così lo chiamai. Fiera della mia scelta, scesi le scale pronta per raggiungere la casa di Miku. Nessuno sapeva del mio acquisto, eccetto Miku, che era venuta con me. Chissà che faccia avrebbe fatto papà vedendo quei vestiti … Mah, in quel momento non è che me ne importasse più di tanto, ero troppo eccitata per lasciarmi sopraffare da cattivi pensieri.
A casa di Miku mi misi subito il pigiama (ero stanca di portare l’uniforme) e mi misi a giocare con la play station. Era uno di quei giochi di combattimento dove ti puoi creare un tuo personaggio e sfidi il CPU o un tuo amico. E, dato che Miku era al supermercato, ne approfittai per allenarmi un po’, in vista della sfida che mi avrebbe di sicuro lanciato appena entrata in casa. E infatti, appena aprì la porta, sentii la sua voce dirmi: «Allenati pure quanto ti pare, cara la mia Rin, ma vedrai che stasera t’infliggerò una di quelle sconfitte che ricorderai finché campi!»
«Ma quale “una di quelle”! Se non hai mai vinto contro di me?!»
Fu una delle serate più belle e allegre che ricordi, tra i manicaretti di Hiro-san e le partite sfrenate tra me e Miku. Quando furono le nove e mezzo, andammo in camera di Miku, per parlare. Come sempre, aveva preparato due futon sul pavimento, uno accanto all’altro, e due cioccolate calde. Ci sedemmo e parlammo per ore, di me, di lei, di Len, di Kaito, di sabato, di quel che sarebbe accaduto, di cosa avremmo fatto finito il liceo, delle nostre aspettative … Finché non ci addormentammo, esauste, vicine, avvolte nelle coperte, con la mano ancora ben salda in quella della mia migliore amica.
Quando mi svegliai, guardai la sveglia: le sette e mezza. Lì per lì non ci feci caso, però poi sgranai gli occhi e gridai: «Miku! Miku! Svegliati dannazione! Sono le sette e mezza! Diamine alzati!»
Isterismo puro di prima mattina. Uhm, un buon inizio giornata. Ancora non capivo perché Miku, che abitava vicino la scuola, prendesse il treno. Le bastava usare la bicicletta. Ma in fondo, penso lo facesse per me: non mi fidavo troppo a girare in treno da sola; di questi tempi, poi …
Ma quella mattina facemmo un’eccezione: era troppo tardi per correre fino alla stazione e aspettare mezz’ora sulle panchine del metrò, mentre questo sbatacchiava di qua e di là. Prese le biciclette, “volammo” (sì, perché pedalavamo come due forsennate) a scuola, correndo su per le scale per arrivare in classe giusto cinque minuti prima del suono della campanella. Non osai nemmeno immaginare come fossero ridotti i miei capelli. Mi girai verso Len, che mi guardava divertito.
«Ti ha forse rincorso un toro imbufalito, stamattina?» chiese ridendo.
«Se ti va di paragonare il tempo a un toro … allora direi proprio di sì» risposi, riprendendo il sorriso.
Comunque, quel sabato mattina non fu troppo pesante: ginnastica, inglese, economia domestica e giapponese. Appena suonò la campanella, vidi Len che si avvicinava al mio banco, e mi sussurrò: «Vedi di non fare tardi, stasera, ti aspetto» e mi fece l’occhiolino.
Gli sorrisi, e lui uscì soddisfatto assieme a Kaito, che gli stava raccontando tutto allegro non so cosa. Aspettavo la solita ramanzina di Miku che mi diceva di sbrigarmi, e invece fui io ad avvicinarmi al suo banco invitandola a fare in fretta.
«Che hai?» le chiesi. Lei continuava a fissare un punto indefinito della parete, con aria sognante.
«Ehi, Miku? Vogliamo andare?»
Non mi rispondeva. Compresi allora quanto irritante è essere ignorati mentre si parla, e un po’ mi pentii per come mi ero comportata con lei. Poi, però, persi la pazienza.
«Oh bhe, io me ne vado e tanti saluti!»
«Che fai, perché non mi aspetti?» sbottò.
«E’ da prima che ti chiamo, ma tu hai fatto finta di non sentirmi!»
«Ah sì? Scusami allora» disse, anche se in tono poco convinto, ancora così “spensierato”.
«Che ti succede, Miku? Kaito ti ha forse raccolto la penna, stavolta, anziché la matita? Ah, ah, ah!»
«Ridi quanto ti pare, cara mia» disse, e lo sguardo che mi rivolse m’incuriosì «perché la qui presente Hatsune Miku non è più single! Può dire di avere il ragazzo!» urlò felice.
«Ma dai! Tu e Kaito vi siete messi assieme! E quando? Perché non m’hai detto nulla?!»
«Perché è successo mezz’ora fa: durante l’ora di giapponese mi ha mandato un bigliettino, chiedendomi se avevo il fidanzato. E io gli ho risposto che no, non ce l’avevo. Poi mi chiede se mi piaceva qualcuno, e gli dico “sì, in realtà c’è qualcuno che mi piace”»
«E poi?»
«Poi aggiungo “quel qualcuno sei tu”. Guarda, mi sentivo il cuore scoppiare! E quando mi ha mandato la risposta, avevo paura di aprire il foglietto. Così prendo fiato e leggo “anche tu mi piaci, Miku-chan”»
«Wow!»
«E io “non sai quanto mi hai reso felice!” e lui “quindi … ti va di essere la mia ragazza?” sarei svenuta sulla sedia se il prof non mi avesse chiamato chiedendomi se continuavo di leggere il brano. Allora, avrai visto, no? mi sono alzata di scatto in piedi e ho urlato un “SI”, più per Kaito che per il prof»
«Ecco perché quando l’hai detto ti sei girata verso di lui …»
«Infatti! Rin, non sai quanto sono felice!»
«Ti credo! Che cosa romantica» le dissi sorridendo.
Tornammo a casa chiacchierando dell’avvenuto. Si prospettava una giornata interessante! Alle quattro iniziammo già a prepararci, ma non perché fossimo lente, ma perché perdevamo un sacco di tempo, scherzando, giocando e cose così. Alla fine, alle sei, eravamo pronte di tutto punto, curate nei minimi particolari. C’avviammo a piedi, così non avremmo rischiato di arrivare con mezz’ora di anticipo. Erano le sei e mezza esatte, quando arrivammo davanti all’entrata, e sentimmo un gran baccano provenire dall’interno. Così entrammo, e ci ritrovammo di fronte una marea di gente. E per fortuna che non erano famosi! Riconobbi qualcuno della nostra classe, qualcun altro della nostra scuola, ma per la gran parte mi erano sconosciuti. Cercai di avvicinarmi più che potei, sperando in una buona postazione sia per ascoltare che per vedere Len. Sentii una mano toccarmi il braccio: era Luka-san.
«Venite con me» ci disse.
La seguimmo e andammo dietro il palco, dove ci sono i camerini.
«Kaito mi ha chiesto di trovarmi un posto decente dove poter guardare» disse «Quindi non preoccupatevi: ci penso io. Però prima Gumi mi ha detto che voleva salutarvi e …»
«RIN-CHAN! MIKU-CHAN!» esclamò infatti la voce di Gumi-chan, squillante come al solito.
Ci abbracciò, forte forte, e ci tempestò di domande: se eravamo contente di essere lì, se sapevamo che canzoni avrebbero cantato, se ci piaceva il suo vestiti, ecc ecc. In quel momento arrivò Kaito, che, appena vide Miku, arrossì. Le si avvicinò e le sussurrò qualcosa, che a causa del frastuono non riuscii a sentire. Ma dalle reazione di Miku, evidentemente doveva averle fatto i complimenti. “Bravo, buona mossa”, pensai. Poi vidi Len. Ogni volta che il suo sguardo incrociava il mio, mi sentivo il cuore in gola, e il respiro mi mancava. Si avvicinò, e mi disse: «Sei bellissima, stasera»
«Grazie, anche tu stai davvero bene»
«Dopo vorrei parlarti di una cosa, ok?»
«Va bene»
Ero perplessa. Di cosa doveva parlarmi? Forse Miku non stava scherzando, quella volta … “Basta che un’oca qualunque gli faccia il filo, e lui avrà tutta la libertà di andarle dietro, visto che non state insieme” … ma no, Len non era affatto il tipo, non l’avrebbe mai fatto! Eppure, lo conoscevo abbastanza da poterci mettere la mano sul fuoco?
Scortate da Luka-san, trovammo la postazione giusta per poter ammirare lo spettacolo.
Quando salirono sul palco, un coro di urla esaltate si levò dal pubblico, inneggiando il loro nome:
«VOCALOID! VOCALOID! VOCALOID! VOCALOID!»
E in quel momento, cominciarono a suonare. Tutti attorno a me cominciarono a saltare, alzando le braccia in aria, cantando assieme a Kaito. Io, ovviamente, non avevo occhi che per Len, e potrei giurare che anche lui mi guardava, con la stessa intensità e con lo stesso vigore con cui teneva il tempo con le bacchetta della sua batteria. Gumi si muoveva a destra e a sinistra: si vedeva che si stava divertendo come una matta. Luka, la maggiore di tutti, era la più composta, nonostante tutto muoveva le braccia su quella chitarra come fosse stata parte integrante del suo corpo. No, non erano quattro persone distinte su quel palco: erano una cosa e un’anima sola, capace di emozionare tutte quelle persone che erano lì solo per vedere e ascoltare loro. Toccai il braccio di Miku, e, in mezzo a quella confusione le urlai:
«Mi avevi detto che non erano famosi! A me non sembra»
«Era stata Gumi-chan a dirmelo! A quanto pare sono ambiziosi per non definirsi ancora famosi! Puntano in alto! E, bravi come sono, posso farcela!»
Già, potrebbero farcela davvero … Mi assalì un dubbio: “Se Len diventasse famoso, sarebbe pieno di ammiratrici, e cosa se ne farebbe di me? Forse è proprio di questo che voleva parlarmi …”
Mi rabbuiai un po’, ma vidi che Len se n’era accorto, così cercai di sorridere e fargli capire che non era niente d’importante. Lui mi fece un cenno col capo, credo, e riprese a guardare la sua batteria. Finito lo spettacolo, vidi una schiera di ragazze, e anche qualche ragazzo, schizzare verso l’uscita secondaria, dietro allo stabile. “Chissà come mai” pensai. Gumi ci fece segno di seguirla, e così stemmo con loro, tenendogli compagnia.
«Waaa, sono sfinita» disse Gumi accasciandosi sulla poltroncina.
«Sei migliorata davvero tanto, sai?» le dissi.
«Dici davvero?! Allora Luka aveva ragione!» e mi schioccò un bacino sulla guancia.
«Ah-ah! Attenta Gumi-chan, che poi Len-kun diventa geloso!» scherzò Miku.
«Ah, ah, ah! Eh già» aggiunse Luka.
«Ih-hi» disse Gumi mordendosi la lingua.
«Dai» dissi io, arrossendo. M’imbarazzavano quei tipi di conversazione.
Stavamo ancora ridendo, quando entrò Kaito, seguito da Len.
«Ragazze, vi va se andiamo a magiare qualcosa? C’è quel ristorantino qui vicino che fa della soba* buonissima» disse Kaito, pregustando già il piatto che avrebbe assaggiato.
«Per non parlare del sushi» aggiunse Gumi «Ottimo e a basso prezzo!»
«Anche gli okonomiyaki* non sono niente male …» disse Luka.
«Io vengo di sicuro!» esclamò Miku, la buongustaia.
«Ecco, io, veramente … Non so se posso» dissi amareggiata.
«Ah già, tuo padre» fece Len.
«Oh, ma vedrai che ti lascerà venire! In fondo, siamo in sei, non avrà di che preoccuparsi, no?»
«Non è questo il punto …»
«Ma …»
«Gumi, non insistere: se Rin non può non c’è bisogno di continuare, la faresti dispiacere ancora di più» disse Kaito. Mi salvò da una situazione imbarazzante.
«Se volete, provo a chiamare e a chiedere a mio padre se …»
«Sì!» esordì Gumi «Per favore» chiese poi piano.
Composi il numero di casa e attesi. Mi sembrò che fosse passata un’eternità, quando sentii la voce della mamma dire: «Sì, pronto?»
«Ciao mamma, sono io»
«Ciao Rin! Come mai mi hai chiamato? C’è qualcosa che non va?»
«No, no, figurati. E’ che volevi chiederti … Ehm, i miei amici mi stavano chiedendo se … se potevo andare con loro a mangiare qualcosa, hanno detto che c’è un ristorantino carino nei paraggi …»
«Ah! Bhe, per me non c’è problema, tanto non avevo ancora iniziato a cucinare. Però, prima devo chiedere a tuo padre, sai com’è …»
«Sì, lo so»
Attesi ancora. Sentii le loro voci in sottofondo. Poi uno dei due prese in mano la cornetta.
«Sono io»
«Ciao papà. Ti ha detto la mamma che …»
«Sì, mi ha già detto tutto. E chi sarebbero questi tuoi “amici”?» rimarcando quest’ultima parola.
«Sono Miku, due nostre amiche, Gumi e Luka Megurine, e poi Kaito e Len, due nostri compagni di classe» dissi, con la voce che mi tremava. Mio padre sa essere terribile, a volte.
«Non li conosco» disse.
«Le sorelle Megurine abitano a pochi passa dalla casa di Miku, è impossibile che tu non le abbia mai viste, f-forse non c’hai mai fatto caso, mentre Len e Kaito sono in classe con noi, sono … simpatici»
«Mi spiace, Rin, ma se non li conosco, i tuoi “amici”, non ti lascio andare con loro»
«Ma …»
«Niente ma! Tu adesso torni a casa, è già tardi» disse, attaccandomi il telefono in faccia.
La delusione si dipinse sul mio volto, e vidi tutti che mi guardavano con aria pietosa. Odiavo quelle situazioni, avrei spaccato tutto, dalla rabbia e dal nervoso.
«Rin, se vuoi ti accompagno a casa, è un po’ lunga da qui a piedi, di notte»
«Grazie, Len, ma poi farai tardi»
«Ti aspettiamo, vai tranquillo» disse Kaito con un sorriso.
Così, uscii con Len e scoprii perché quel gruppo di ragazze s’era precipitato all’uscita posteriore.
«Len! Len!» gridavano in molte «Ho comprato questi cioccolatini per te!»
«Io invece li ho fatto con le mia mani!»
«Io ti ho preso dei fiori!»
Riuscimmo a districarci da quelle ragazze, poche ma tenaci, e montammo sulla bici.
«Hai detto che dovevi parlarmi, Len»
«Sì, hai ragione. Io volevo chiederti … Uff, è complicato da dire. Anzi, riflettendoci non lo è, solo che non riesco a trovare le parole giuste»
“Ecco! Lo sapevo!” pensai “Vuole che non ci vediamo più o che c’è una ragazza che gli interessa e che a questa dà fastidio che noi due stiamo tanto tempo insieme”
«Voglio che tu diventi la mia ragazza!» esordì, frenando d’un tratto con i piedi.
«Mi farebbe molto piacere» aggiunse, piano, a bassa voce.
Io rimasi a bocca aperta.
«Perché piangi?» mi chiese, allarmato.
«Non sto piangendo» risposi, ancora incredula.
«Sì, invece»
Mi toccai le guance: era vero, erano bagnate. Ero felice al tal punto da piangere di gioia?
«Len, io …»
«Daisuki*» disse serio.
Scendemmo dalla bicicletta, uno di fronte all’altra. Lui mi strinse a sé, in un abbraccio caldo e confortevole, in quella tiepida sera d’aprile. Mi accarezzò i capelli, e i nostri occhi, socchiusi, che ancora sognavano gli uni degli altri; e le nostre labbra si sfiorarono, prima timidamente, inesperte, poi acquistarono maggior sicurezza, e si avvinghiarono in un dolce bacio che pareva infinito. Sotto quel cielo stellato, ci dichiarammo il nostro amore, e sentivamo che ora eravamo completi, le nostre anime s’erano intrecciate in un magico intrigo chiamato “amore”.
 
Arrivati di fronte al cancello di casa mia, gli diedi un altro bacio, tenero, sulla guancia, lo salutai, ed entrai. Mi sentivo felice, anzi, più che felice, mi sentivo euforica, gioiosa, come sa fino ad allora non avessi vissuto veramente.
Andai direttamente in camera, salendo le scale.
«Rin, non vieni a mangiare?»
«Non ho più fame» dissi, ancora con la testa fra le nuvole. Quel bacio aveva mi aveva saziato d’amore, non avevo bisogno di “mangiare”, pensai.
«Rin» disse la voce ombrosa di mio padre.
«Vorrei andare a dormire, sai, sono stanca»
«Come sei venuta a casa?»
«Mi ha accompagnato uno dei miei amici in bicicletta»
«Un ragazzo?»
«Sì»
«State … insieme?» disse, quasi con sdegno, anche se non ci feci caso.
«Può darsi» risposi, sempre col mio tono spensierato.
«Che bella notizia ....» stava dicendo mia madre, quando mio padre la interruppe: «Allora non voglio che lo vedi mai più, sai come la penso» disse secco.
Sgranai gli occhi, arrestandomi sulle scale. Mi voltai, sconvolta.
«Che cosa?»
«Ho detto che non voglio che tu lo veda ancora»
«Tu non puoi costringermi a non amare qualcuno!»
«Ma ti rendi conto delle parole che stai usando? “Amare” …  bah …»
«Questa è la mia vita, questi sono i miei sentimenti e tu non ti puoi permettere di dirmi come mi devo comportare!»
«Senti, Rin, non te lo voglio ripetere più, lascia quel ragazzo e …»
«NO!»
Sciaf!Mio padre mi diede uno schiaffo.
«Ma che fai?» disse mia madre, preoccupata.
«Non disobbedirmi, Rin»
«Io ti odio» dissi con tutto il disprezzo di cui ero capace.
Corsi su per le scale, mi chiusi in camera e piansi tutta la notte. La serata più bella della mia vita s’era trasformata nel peggiore degli incubi. No, io non avrei mai e poi mai lasciato Len, non adesso che sapevo che lui ricambiava i miei sentimenti. No, mai.
 
 
 
Spazidell’autrice: et voilà! Il quarto capitolo è servito \^^/ spero vi sia piaciuto ^3^ che posso dire? Questa storia mi ispira tantissimo! E sapere cosa ne pensate, mi farebbe un enorme piacere! Quindi, VI CHIEDO CORTESEMENTE DI COMMENTARE/RECENSIRE QUESTA FAN FICTION  *inchino di ringraziamento* non ho altro da aggiungere (il che è strano xD), solo spero vi sia piaciuta ^^
 
 
*Note
Daisuki = Ti amo tanto.
Ci sono tre modi per esprimere l’amore, in giapponese, e nell’ordine d’importanza sono:
suki (好き),
ai (),
koi ().
“Ai” è “amore”, nel vero e proprio senso del termine, mentre “koi” è “l’amore per tutta la vita”: se due persone si dicono “koishiteru” (恋してる), si può tradurre con “ti amerò per tutta la vita” (e quando se lo dicono, lo fanno per davvero). “Suki” è una via di mezzo, potremmo dire, tra “mi piaci” e “ti amo”, per questo negli anime o nei manga usano sempre “suki”, anziché “ai”. Significa  anche “ti voglio bene”.
Dunque, “daisuki” (大好き) significa “ti amo tanto” (vuol dire “tanto”, infatti) e mi sembrava giusto esprimerlo in giapponese, perché rendeva meglio dell’italiano (un semplice “mi piaci” o un importante “ti amo” non mi sembravano adatti).
 
Okonomiyaki = piatto agro-dolce che ricorda nella forma i pancake. Vi sono diverse varianti di questa pietanza
 
Soba = piatto consistente di sottili tagliatelle di grano saraceno, solitamente cotti e serviti con varie guarnizioni e condimenti. Il piatto standard è la kake soba, "soba in brodo" ovvero tagliatelle di soba bollite e servite in una tazza di brodo. 

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Capitolo 5
*** Compromises and small victories ***


Compromises and small victories


Piansi. Non ricordo altro di quella notte, solo l’umidità delle lacrime sul mio viso, e quella sensazione bagnata e amara sulla bocca. Piangere. Riuscivo solo a piangere. Più volte mamma aveva cercato di entrare nella mia camera, preoccupata per i miei singhiozzi, ma io avevo chiuso la porta a chiave: non volevo vedere nessuno. Verso mezzanotte sentii il cellulare vibrare e vidi il display illuminarsi: era Len.
«Buon notte, ti voglio bene»
A quelle parole, mi sentii ancor più triste, perché il ragazzo che amavo e che mi amava si era dichiarato, ancora una volta, mostrandomi i suoi sentimenti e il bene che mi voleva. Come avrei potuto dirgli che mio padre non voleva che stessimo insieme? Come l’avrebbe presa? Probabilmente, col carattere che mi ritrovo, io avrei mandato a quel paese suo padre e gli avrei gridato in faccia. Ma questo non era da Len: lui non è impulsivo come me, sa essere più calmo e pratico di quanto possa essere io in balìa delle mie emozioni. Io non volevo lasciarlo, non ora che, finalmente, avevamo ufficializzato le cose. Io sarei rimasta con Len finché non sarebbe finita per colpa nostra, e non perché qualcun altro ce lo imponeva.
Così, mi addormentai, sul cuscino ancora bagnato, riposando la mia mente stanca di tutte quelle sensazioni negative. Quando mi svegliai, la mattina dopo, mi sentivo la testa scoppiare, tanto era forte il mal di testa. La vista era ancora offuscata, ma riuscii a distinguere ugualmente il sole filtrare dalla finestra. Si prospettava una bella giornata, totalmente opposta al mio umore. Mi girai dall’altra parte, ancora avvinghiata al cuscino, e chiusi nuovamente gli occhi.
Toc, toc!
«Rin, tesoro, sono le dieci e mezza passate, non ti alzi?»
Ignorai mia madre. Perché, nonostante mi comprendesse e capisse come mi sentivo, non riusciva ad imporsi su mio padre? Era felice di vivere costantemente nella sua ombra?
«Rin?» chiese ancora, con tono leggermente ansioso.
«Lasciami in pace» bofonchiai.
«Non vuoi nemmeno scendere per fare colazione?»
«Non ho fame»
«Ma se ieri sera non hai nemmeno mangiato …»
«NON HO FAME» dissi ad alta voce, nervosa.
Bugia. In realtà avevo una fame terribile, ma non avrei sopportato la vista di mio padre.
«Papà è uscito, oggi lavora, torna a casa stasera alle sei e mezza…»
Balzai giù dal letto, corsi in contro a mia madre, aprendo la porta e l’abbracciai: «Mamma!» singhiozzai.
«Lo so, tesoro, lo so» disse accarezzandomi la testa.
«Io sono innamorata di quel ragazzo!» le dissi, con la faccia sprofondata sul suo ventre.
«Ti capisco, amore mio, ma cosa posso farci?» fece amareggiata.
«Imponiti su papà» le dissi, alzando la testa, col viso rosso, rigato dalle lacrime.
«E come?»
«Cerca di parlargli, prova a fargli capire che a una certa età è più che normale che una ragazza si frequenti con un ragazzo! Tenta di esprimergli tutto l’amore che provo!» le risposi con passione.
Mia madre sospirò. Mi accarezzò nuovamente la testa e scese le scale per andare in cucina.
Mi preparò la colazione e, mentre io mangiavo, le raccontai per filo e per segno l’accaduto, dal primo giorno di scuola a oggi. Lei annuiva, seguendo le mie parole, e alla fine disse: «Mi sembra di capire che, nonostante stiate da poco insieme, vi vogliate già molto bene»
«Infatti! Ieri sera mi ha pure scritto questo» e le mostrai la mail.
Altro lungo sospiro. Immaginavo cosa stava pensando: per quanto possa tentare di parlare con mio padre, questi non accetterà mai, anzi, s’impunterà ancor di più per avere ragione.
«Io non ti prometto nulla» disse infatti «ma tenterò comunque di parlare con tuo papà»
«Grazie, mamma» sorrisi.
«Finalmente mi hai sorriso» fece «Non mi piace vederti piangere. A nessuna mamma piacerebbe»
Lei era una brava donna. Nonostante la sua sbadataggine, era intraprendente e autonoma. Ed era una brava madre. Probabilmente la sua unica pecca era quella di essersi scelta un cattivo marito, che avevo scoperto essere dispotico e sì, ammettiamolo, infantile, perché una persona che vuole per forza avere ragione, senza sentire quella degli altri, cos’è?
«Mamma?»
«Sì?»
«Posso andare da Miku, oggi? Sai, vorrei distrarmi un po’. Non che in compagnia tua mi annoi, anzi, però sai, io …»
«Non c’è bisogno che tu trovi delle giustificazioni per passare del tempo con la tua migliore amica anziché con tua madre» disse, poi si voltò e mi guardò, sorridendo: «So quando farmi da parte, ma ora ho capito anche quando è ora d’intervenire»
«Grazie, mamma»
Era la seconda volta in quella giornata che sentivo di esserle grata. Forse l’avevo sottovalutata …
Le diedi un bacio, inforcai la bicicletta e mandai una mail a Miku: «Sto venendo a casa tua. Dobbiamo parlare di una cosa successa ieri sera …»
Pedalai un po’, poi sentii il cellulare vibrarmi in tasca. Era la risposta di Miku: «Oh cavolo, cos’è successo? Mi sembra importante. Ti aspetto allora»
Appena arrivai di fronte al muretto di casa Hatsune, vidi in lontananza due figure: una era bassa, coi capelli corti e indossava un vestitino arancione; l’altra era alta, aveva i capelli lunghi e vestiva una maglietta con dei jeans.
«Hey, Rin-chan!» mi salutò Gumi.
«Ciao Rin-san» disse Luka-san.
«Ehi» dissi, anche se il mio umore era ancora sepolto sotto cumuli di tristezza.
«Che hai? Sembri triste» chiese infatti Gumi.
«Un po’» risposi, tentando un sorriso.
«E’ successo qualcosa ieri sera?» domandò Luka-san.
«Bhe, ecco …»
«Penso che se ne parli anche con loro» intervenne Miku, comparendo sull’uscio «ti sentirai meglio»
Così, tutt’e tre entrammo a casa di Miku e ci dirigemmo direttamente in camera sua.
«Avanti, racconta» disse la mia migliore amica, seria.
La situazione era più o meno questa: Miku era seduta sulla sedia, al contrario, appoggiata sulle braccia, che a loro volta erano rette dallo schienale; Gumi era distesa a pancia in giù sul tappeto, e dondolava le gambe avanti e indietro; Luka era seduta vicino a sua sorella; mentre io ero sul letto, e stringevo fra le mani un cuscino, e i loro occhi erano puntati fissi su di me. Raccontai loro tutto: della dichiarazione dei Len, del bacio (suscitando non pochi commenti d’approvazione), del mio ritorno a casa, della sfuriata di mio padre e dei discorsi con la mamma. Quando conclusi, Gumi esclamò:
«Non credevo che tuo padre fosse così … insopportabile!»
«Gumi!» la riprese sua sorella «Non sta bene dire certe cose sui genitori degli altri!»
«Eh no, Luka! Quand’è troppo è troppo! Le sue motivazioni sono assurde! Anzi, motivazioni non ne ha neanche!» le rispose, animandosi.
«Vedi» disse Miku «Io forse sono quella che si è espressa meno di tutti, ma solo perché io lo conosco. E ti giuro, che se fosse per me, se fosse mio padre, preferirei essere orfana!»
«Ma, Miku …» tentò Luka.
«Ha ragione!» intervenne Gumi.
«Lui è così dispotico, arrogante, vuole che Rin faccia tutto quello che vuole lui e …»
«NESSUNO QUI HA CAPITO CHE QUESTE COSE A RIN POSSONO FAR MALE?!» esplose Luka «Insomma, per quanto veritiere e innegabili, come reagireste se dicessero tutte queste cattiverie su vostro padre?!»
Io fissavo il cuscino, imbarazzata. Certo che non mi faceva piacere sentirle, ma come dar loro torto?
«Pensateci: se a te Miku, o anche a te Gumi, dicessero che vostro padre è un infame e che non si merita di essere genitore di qualcuno, come reagireste?!»
Silenzio.
«Scusa, Rin» disse Gumi.
«Anch’io mi scuso, ma continuo a pensarla così» disse Miku un po’ imbronciata.
«Nessuno ti vieta di avere la tua opinione» sottolineò Megurine-san «solo cerca di non andarci giù troppo pesante, ecco»
«Comunque, la situazione è questa!» intervenni all’improvviso, nonostante finora me ne fossi stata zitta «E io non so che fare con Len. Non stiamo insieme da neanche un giorno, non posso lasciarlo così, senza motivo …» sospirai amareggiata.
«Bhe, in realtà è come se steste insieme da molto più tempo» disse Gumi «siete così affiatati!»
Sorrisi. Aveva ragione: sentivamo di appartenerci l’un l’altra; il tempo era solo un dettaglio.
«Scusa» disse Miku «ma chi ti ha detto che devi lasciarlo per forza?»
Quello sguardo lo conoscevo, e non presagiva nulla di buono.
«In che senso?» chiesi sospettosa.
«Tu ne parli con Len, ovviamente, di questa cosa» fece «ma mica vi lasciate per forza! Voi due continuate a frequentarvi, in segreto! Una relazione clandestina!» aggiunse poi con aria sognante.
«Eh?!»
«Ma sì!» esclamò Gumi «Ti daremo una mano noi a tenere il segreto!» e mi strizzò l’occhiolino.
«Anch’io penso che sia un peccato buttar via così una relazione solo perché a qualcuno non piace» disse addirittura Luka, la più saggia e responsabile di tutt’e quattro.
«E come faccio a non farmi scappare niente?»
«Finora ci sei riuscita, o sbaglio? Non parli mai di queste cose con i tuoi, eccetto tua mamma ogni tanto. Cosa vuoi che sia tenere la bocca chiusa un altro po’?» Miku era sempre più entusiasta.
«Mah, non so …»
«E dai!» disse Gumi «Chiamalo adesso! Va’ da lui e parlatene»
Guardai le mie amiche: cosa avrei fatto, senza di loro?!
Scrissi un messaggio a Len (il suo numero non ce l’avevo!*), dicendogli: «Dobbiamo parlare di una cosa urgente! Dove possiamo incontrarci???»
Dopo poco arrivò la risposta: «Vediamoci al parchetto, quello vicino al tempio»
Uscii di casa, con Miku, Gumi e Luka che mi salutavano e pedalai con tutta la forza che avevo fino al parchetto. Quando arrivai, vidi Len sopraggiungere di fronte a me. Appoggiai la bici alla staccionata e gli corsi incontro. Aveva una faccia alquanto pensierosa, e infatti mi domandò: «C’è qualche problema?»
Gli spiegai tutto (era la terza volta, quella giornata!) e quando finii, vidi che il suo volto si rabbuiava.
«Che hai?» chiesi preoccupata.
«Cos’ho che non va? Come mai tuo padre non vuole che stiamo insieme?»
«Il problema non sei tu, come persona. Il problema è “avere un ragazzo” in generale» sospirai.
«E cosa c’è di male nell’essere amati da un’altra persona?!» chiese esterrefatto.
«Appunto! E’ questo che non comprendo! Vallo a capire, mio padre!» sbottai, sprofondando ancor di più sulla panchina. Ero imbronciata e arrabbiata. Non sopportavo quella situazione!!!
Len mi guardò, con espressione dolce. Alzai lo sguardo e ammirai il suo sorriso ammaliante.
«Come mai quell’espressione?» chiesi curiosa.
«Sei ancora più carina quando ti arrabbi» rispose, ancora con quel sorriso.
Lì per lì rimasi un po’ interdetta, ma lui mi baciò subito, senza concedermi il tempo di ragionare.
Più tempo passavo con Len, più sentivo di amarlo. Continuammo a baciarci, a coccolarci, finché Len non disse: «Io non ti lascerò mai» e, mentre lo diceva, fissava davanti a sé con sguardo serio. Sentivo che anche lui avrebbe combattuto per la nostra felicità.
«Ti vorrò bene per sempre» dissi, stringendolo a me ancor di più.
Trascorremmo un altro po’ di tempo, su quella panchina, a guardare i bambini giocare in lontananza, con le loro vocine che ci sopraggiungevano, gioiose. Diedi un’occhiata al telefono: venti minuti alle sei.
«Meglio che vada» dissi, scostandomi dal suo abbraccio «Papà non sa che sono uscita»
«Ok» disse Len. Poi mi ricordai di una cosa: «Non ho il tuo numero di telefono*»
«Ah, nemmeno io» e ci scambiammo i numeri.
«Perché l’hai salvato con un nome che non è il mio?» chiese.
«Non si sa mai» risposi «Meglio essere previdenti»
Stavo per partire, quando Len mi fermò un momento e mi disse: «Sappi che a me non piace prendere in giro i tuoi genitori, ma io ci tengo troppo a te, a noi, per lasciarti andare via»
Gli occhi e l’espressione del suo volto mentre lo diceva erano così intensi che dovetti aggrapparmi nuovamente a lui, per non dare a vedere che mi avevano fatto effetto: «Anch’io, Len, provo i tuoi stessi sentimenti»
Ci guardammo intensamente, ancora un’ultima volta per quel giorno, e ci baciammo.
 
Ero quasi arrivata davanti casa, quando notai la macchina di papà parcheggiata sul vialetto.
“Che cosa?!” pensai “Ma non doveva essere a casa per le sei e mezza?!”
Parcheggiata la bicicletta, corsi per il vialetto fino alla porta di casa, e attesi un attimo prima di entrare. Mi acquattai e tentai di sentire se stavano discutendo. Non servì molto per intuirlo, anche se non riuscivo a capire le parole esatte. Presi un lungo respiro, mi feci coraggio e aprii la porta di casa.
«Ah, ma bene! Ecco la diretta interessata!» esordì mio padre con tono esasperato.
«Dove sei stata oggi?» chiese minaccioso avvicinandosi.
«A-a casa di Miku» dissi, cercando di non balbettare, nonostante avessi una paura tremenda.
«Fino a quest’ora?! Tutto il tempo a casa di Miku?!»
«Non … non è mica la prima volta …»
«Eppure mi sembra strano, sai?!» fece, con quel tono sarcastico di chi non è troppo convinto.
«Secondo me sei andata in giro con quel “tipo”»
«Cosa te lo fa pensare?»
«La tua reazione di ieri sera e il fatto che mi rispondi con un’altra domanda!»
«E anche se fosse?» dissi.
«NO DIRLO CON QUEL TONO! NON PROVARE A MANCARMI DI RISPETTO!»
«IO NON TI MANCO DI RISPETTO! CASOMAI E’ IL CONTRARIO!»
«CHE COSA?!»
Chissà cosa sarebbe successo, se non fosse intervenuta la mamma.
«ADESSO BASTA!» urlò disperata.
«Mamma, non piangere» le dissi, cercando di consolarla.
«E’ mai possibile che questa stupide lite stia dividendo la mia famiglia?!» singhiozzò. Attese un attimo, asciugandosi le lacrime, poi riprese: «Yujiro, devi pur capire che nostra figlia è grande, ormai, e che è abbastanza adulta da poter prendere alcune decisioni, e innamorarsi non è di certo una scelta! Mica decidi di innamorarti o meno!»
«Ma, Miho …»
«No! Me ne sono stata zitta per anni, adesso tocca a me parlare» disse con tono deciso.
«Potrai non approvare quanto ti pare, ma se Rin ama questo ragazzo, allora è giusto che siano liberi di volersi bene, senza che tu condanni il loro rapporto!»
Poi si girò verso di me: «Scusami, Rin» disse, con gli occhi lucidi.
«Ti voglio bene, mamma» e l’abbracciai.
Mio padre, ancora furibondo, ci fissava e disse: «Sappi che non approverò mai questa cosa!»
«A me sta bene» risposi «Io amo quel ragazzo, e tu non puoi impedirmi di reprimere quello che sento!»
Quella sera cenammo in silenzio, ognuno preso dai proprio pensieri. Quella fu la prima vera sfuriata che abbia mai avuto con i miei genitori, e devo ammettere che mi sentivo … sollevata.
Quando finii, andai in camera mia, e inviai un’e-mail a Gumi, Luka e Miku: «Dopo una discussione tremenda, siamo giunti ad un compromesso: io potrò stare con Len, ma mio padre non approverà comunque la cosa. E a me sta bene così»
Dopo poco mi arrivarono le risposte: «Bhe, sempre meglio di niente :)» diceva il messaggio di Luka; «Non è proprio come una vittoria, ma sono comunque così contenta per te :D» recitava la mail di Gumi; «Cosa gli hai dato da bere a tuo padre, per scendere a compromessi?! Ahahah! Sono contenta per voi» era scritto sul messaggio di Miku. Infine ne mandai un’altra a Len: «Ciao, amore mio. Oggi ho “discusso” con mio papà e, grazie alla mamma, siamo giunti a una “soluzione”: potremo stare insieme, anche se mio padre non approverà mai. Quindi le cose saranno un pochino difficili lo stesso, ma è sempre meglio che non poter stare nemmeno insieme, non ti pare?»
La sua risposta fu: «Ero così preoccupato, e ora questa tua notizia mi ha ridato il buonumore. E’ incredibile di come tu sappia sconvolgere così la mia vita. Sono contento di averti conosciuta, e di poterti amare. Ci vediamo domani, oyasumi*»
Ogni mail di Len era un piccolo gioiello. Sapeva trovare frasi e parole così belle …
Così, ancora con il cellulare stretto in mano, con il suo messaggio sul display, mi addormentai, sognando di lui, di noi, e di come la mia vita si fosse stravolta, da quel giorno d’aprile.
 
 
 
 
 
Spazidellautrice: rieccomi, gente ^^ ! E anche il quinto capitolo è finito … ma non temete: presto ne arriverà un altro, solo un po’ di pazienza :D che dire?! Mi spiace, ma ho dato poco spazio alla coppia MikuxKaito: gomennasai!!!! (mi dispiace) ma dovevo assolutamente risolvere la questione di Rin e Len òwò vedrete che nel capitolo 6 si prospetteranno avvenimenti interessanti ;)
Vi ringrazio per le belle recensioni che mi avete scritto: sono meravigliose çwç dunque, VI CHIEDO CORTESEMENTE DI COMMENTARE/RECENSIRE QUESTA FAN FICTION *inchino di ringraziamento*
A presto ^3^
 
 
 
*Note
Il suo numero non ce l’avevo/ Non ho il tuo numero di telefono = come già detto in precedenza, in Giappone è uso comune inviarsi delle mail, non gli sms. Quindi può capitare di avere l’indirizzo e-mail di una persona ma non il suo numero di cellulare!
Oyasumi = buonanotte
 

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Capitolo 6
*** Festivities ***


Festivities


Da quella volta, quante ne avevamo passate! Era arrivato maggio, poi giugno, luglio, agosto … Andammo anche al mare, a volte soli, altre tutti insieme, a vedere a fuochi d’artificio, a girovagare per i festival estivi la sera … La mia vita, da quando c’era Len, aveva preso una svolta che non avrei mai immaginato. Ora uscivamo molto più spesso insieme, e, nonostante mio padre continuasse a storcere il naso, mi sentivo più libera e … felice. La felicità è una cosa cui l’uomo aspira da sempre, ne è alla ricerca tutta la vita. E io potevo affermare di averla trovata.
Dopo il caldo, il mare, la sabbia e le belle giornate arrivarono il freddo, la pioggia, l’umidità e l’inverno. Un nuovo semestre stava cominciando e ci preparavamo a ricominciare la scuola dopo la pausa estiva. Fu un po’ difficile riabituarsi al solito tran-tran: sveglia presto la mattina, colazione veloce, corse per non arrivare in ritardo, studio tutto il pomeriggio e solo i week-end liberi. Per non parlare della pioggia! Ultimamente incombeva minacciosa senza sosta, e quelle poche volte che dal cielo non scendevano fiumi d’acqua, esso rimaneva sempre plumbeo e grigio. Totalmente opposto al mio umore quando stavo con Len.
Era ottobre, di sabato pomeriggio. Io stavo leggendo una rivista sul tappeto, mentre Miku, sul suo letto, messaggiava continuamente con Kaito.
«Sai, dovresti darti un freno» le dissi «Non vorrei mai che ti slogassi il pollice con tutte quelle mail … Diamine Miku! A quante sarete arrivati, cinquecento?!»
«Senti, se tu e Len non vi messaggiate mai non è colpa mia» disse, senza staccare gli occhi dal telefonino «Non capisco come tu faccia a stare senza parlare con lui a volte per giorni»
«Ma se ci vediamo tutti i giorni a scuola!»
«E il pomeriggio?!»
«Studiamo» dissi sarcastica. Non capivo quella “smania da messaggio”.
«Appunto! Quindi quando hai un minuto libero, mi sembra giusto dedicarlo a lui, no?»
«Il tuo non è di certo un minuto … Sarai lì da mezz’ora!»
Miku si girò e mi fissò imbronciata. Era così carina a pensare al suo ragazzo tutto il tempo, ma poteva anche dargli un po’ di respiro! Come avrei potuto farglielo capire senza offenderla? Permalosa com’è …
«Uhm … Miku» attaccai «Come ti sentiresti se una persona ti mandasse continuamente dei messaggi?»
«Dipende» disse «Se è Kaito sono felice, se è uno che non conosco allora mi preoccuperei. Perché?»
«Niente» sospirai «Lascia perdere»
Era impossibile parlare con lei, a volte. L’ultima parola e la ragione le spettavano sempre.
«Gumi e Luka? Sai cosa stanno facendo?» domandai.
«Luka so che è impegnata col lavoro, mentre Gumi … bah, credo sia libera. Perché?»
«Luka quando lavora?»
«Dal lunedì al venerdì tutto il giorno, sai, lei la scuola l’ha finita, mentre il sabato a volta la mattina, altre il pomeriggio»
Miku mi fissò per un po’. Poi sgranò gli occhi e gridò: «HO CAPITO!» e m’indicò col dito «Tu vuoi organizzare la tua festa di compleanno!!!»
«Ebbene sì» ammisi «Mi hai scoperto»
«Questa è la prima volta, giusto? Non ne ha mai fatto una»
Si mise a girare intorno per la stanza, rimuginando. Quando Hatsune Miku si mette in testa qualcosa, non c’è niente e nessuno che la possa fermare. E infatti …
«Penso a tutto io: prenoto una sala al karaoke, la riempio di addobbi, eccetera. Poi compro bibite e pasticcini; infine la torta!» Era raggiante, entusiasta «Metto come canzoni le tue preferite … anche se della musica classica a un compleanno non mi sembra perfetta … Idea! Metterò le canzoni dei Vocaloid, la band di Kaito!»
«La festa è la mia, ma stai decidendo tutto tu» le dissi sorridendo.
«E’ perché tu non sei pratica» e mi abbracciò.
«Quel ragazzo è stata un benedizione per te, sai?» disse.
«Sì, lo so»
La guardai per un po’. Ero così felice di averla come amica che l’avrei voluta come sorella.
 
31 ottobre. Pioggia. Ore diciassette e trenta. Karaoke. I preparativi per la festa erano in atto già da un po’ …
«Miku! Attenta a non cadere!» le urlai «Quella scaletta è pericolosa: fa’ attenzione!»
«Kitto daijōbu!*» disse, e mi fece l’occhiolino.
Era tutto come avevo immaginato: festoni e addobbi decoravano l’intera stanza; bibite e dolcetti sul tavolino; luci e colori rendevano gioiosa l’atmosfera; musica fantastica di sottofondo. Mancava solo la torta e gli invitati, ovvio.
«La torta quando arriva?» chiesi infatti.
«Quella arriva dopo» rispose Miku «Basta chiamare e ce la portano»
Guardò l’orologio e si accasciò sulla poltroncina: «Ah, sono sfinita! Per fortuna mancano ancora dieci minuti prima dell’arrivo di Kaito, Gumi, Luka e Len»
Mi sedetti anch’io ma, al contrario di Miku che se ne stava beata accanto a me a poltrire, ero agitata. “Dieci minuti che sembrano quaranta” questo pensai. Poi vidi la pota aprirsi e …
«O TANJŌBI OMEDETŌ GOZAIMASU!!!*» urlarono Kaito, Luka e Gumi entrando. Gumi mi si buttò letteralmente al collo, e mi diede un bacino sulla guancia. Luka, composta come sempre, si limitò ad abbracciarmi, scusandosi per la sua imōto*. Kaito mi salutò e basta (forse perché c’era Miku). Osservai un altro po’ la porta: Len dov’era?
«Adesso arriva» disse Kaito, interpretando la mia espressione «Si è ritardato perché si è fermato a prendere una cosa …»
Poco dopo, infatti, lo vidi entrare correndo, tutto affannato e accaldato.
«Go-gomen*» disse «Ho … ho fatto tardi?»
«No» sorrisi «Sei in perfetto orario»
Mentre Luka e Kaito parlottavano e Miku sfidava Gumi in una battaglia al karaoke, io mi misi a scartare i regali: una collana con un ciondolo a forma di cuore da parte di Gumi; dei vestiti da Luka e il CD della band da parte di Kaito. “In esclusiva!” mi disse. Miku invece mi regalò una foto con io e lei quand’eravamo andate al maneggio dove c’era il mio cavallo, Star Light. C’era anche lei infatti nella foto. Len si sedette accanto a me e mi disse: «Allora? Ti stai divertendo?»
«Tanto. E tu?»
«Anch’io. Sbaglio o manca il regalo di qualcuno?» e nel dirlo si girò per frugare nel suo cappotto.
«Happy B-Day, Rin» disse sorridendo.
Era una scatolina piccola e graziosa. Era rivestita di una carta nera lucida, con un fiocchetto rosa. “Cosa potrà mai esserci di tanto piccolo, qui dentro?” mi domandai. Tolsi la carta e mi mancò il respiro.
«Su, aprilo! Altrimenti non saprò mai se ti è piaciuto»
Aprii con mani tremanti il cofanetto di velluto, e dentro c’era …
«Un anello!» esclamai, commossa. Era bellissimo: fino, argento, con una pietra sopra, piccolina, ma graziosa. Me lo rigirai tra le mani, ancora incredula.
«Chissà cosa t’è costato …»
«Sì, anche se piccolo, ammetto che un diamantino come quello non è esattamente economico, ma per te avrei potuto comprarti una miniera intera» mi rispose, sempre col suo adorabile sorriso.
Mi prese la mano e mi mise l’anello.
«Io … io non so che dire»
«E allora non dire nulla» e mi baciò.
Fu il primo di tanti altri compleanni bellissimi, ma come quello, non provai mai tanta emozione.
Il resto della serata fu ancora più divertente: scoprii che anche Len sapeva cantare, e la sua voce era meravigliosa. Andammo avanti fino a mezzanotte, e per fortuna smise di piovere.
“Un anello. Mi ha regalato un anello!!!” Ero così felice che non mi resi nemmeno conto del baccano che stavo facendo mentre aprivo la porta di casa.
Dalla vita, ora, avevo davvero tutto, non desideravo altro. E più me lo ripetevo, più Len riusciva a stupirmi con nuove sorprese.

D’altro canto, non ero l’unica a vivere un’esperienza simile. Anche Miku e Kaito se la passavano bene: non solo stavano sempre insieme, ma anche a scuola non si lasciavano un minuto! Al contrario di me e Len, più riservati rispetto a loro due. Erano così carini. Quando li vedevi, era la prima cosa che ti saltava in testa. Se Miku ricopriva di attenzioni Kaito preparandogli il pranzo un giorno sì e l’altro pure, lui non era da meno: fiori, cioccolatini e peluche. Erano la reincarnazione dell’amore romantico e coccolone: un San Valentino perenne!
Ogni tanto io e Gumi ci divertivamo a farle qualche scherzo, lo ammetto. Qualche volta partecipava anche Luka: “Io sono qui solo per assistere!” diceva “Chiariamo bene le cose: io non centro niente con voi!” ma poi anche lei rideva insieme a noi.
Ecco un esempio: un giorno Kaito e Len erano andati insieme in piscina e Luka, nostra infiltrata, era riuscita a sfilare il cellulare dalla tasca del giaccone di Kaito e aveva mandato una mail a Miku con scritto: «Ehi Miku! Sai no che oggi dovevo andare in piscina con Len? Purtroppo ha un impegno e non può venire. Che ne dici se andiamo a fare un giro? Ho il pomeriggio libero» Invio.
Io ero a casa di Miku, per tenere d’occhio la “situazione”.
«Miku» dissi «Ti è arrivato un messaggio» aggiunsi con faccia “indifferente”.
Vidi Miku leggere velocemente la mail, scrivere qualcosa, girarsi verso di me, per poi aggiungere:
«Kaito mi ha chiesto se esco con lui. Non ti dispiace, vero?» disse con faccia da cucciolo.
«Ma figurati! Vai e divertiti» risposi sorridendo.
Si preparò e uscì. Io nel frattempo ne inviai una a Gumi e Luka dicendo loro: «Fase 1 completata! Ci vediamo in piazza!!!»
Gumi intanto era già là (ognuna aveva il suo compito) e quando vide arrivare Miku ci avvisò. Raggiungemmo la sorellina di Luka e ci appostammo insieme a lei dietro al muretto della gelateria per vedere cosa stava facendo Miku. Lei si era seduta su una delle sedie all’aperto e aspettava, giustamente, l’arrivo di Kaito. Passò un quarto d’ora e Kaito non si faceva vedere. Intanto noi tre ridevamo come delle matte e vedere Miku spazientirsi così era ancora più spassoso. Lei, infuriata, prese il telefono e vedemmo che stava chiamando qualcuno.
«Hai spento il cellulare di Kaito, vero?» chiesi divertita.
«Ovvio!» mi rispose Luka «E gliel’ho anche rimesso nella tasca del giaccone»
«Guardate Miku! Guardatela!» ci disse Gumi, ormai senza fiato e in lacrime dalle risate.
Aveva scagliato il telefono nella borsa incavolata nera, dato che “il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile o ha il telefonino spento”. La vedemmo alzarsi, ormai dopo trentacinque minuti d’attesa (di solito Kaito è puntualissimo!) e dirigersi verso la sua bicicletta dicendo: «Al diavolo! Io me ne torno a casa!»
Noi eravamo già “scappate”, correndo a casa Hatsune per anticiparla. Arrivammo circa dieci minuti prima, e avemmo tutto il tempo per inscenare la parte restante del piano.
La sentimmo rientrare, sbattendo la porta, e imprecare.
«Quel deficiente!» sbraitò aprendo la porta della sua camera.
«Oh, ciao Miku! Sono rimasta qui a casa tua e Gumi e Luka sono venute a trovarmi. Ma che ti succede?» chiesi, recitando alla perfezione “la parte dell’amica turbata”.
«Ciao Gumi, ciao Luka» sbottò Miku «Quello scemo di Kaito mi ha mandato un messaggio dicendo di incontrarci, no? E sai cos’ha fatto?!»
«Cos’ha fatto?» domandammo in coro.
«MI HA DATO BUCA!!!»
«Nooooo!!!» commentammo all’unisono.
«Ma che cattiveria» disse Luka.
«Non ci si comporta così» sottolineò Gumi.
«Si merita una bella punizione» commentai io.
«Giusto, Rin! Una punizione!» disse Miku. Quando era arrabbiata sapeva essere tremenda.
Andò in cucina, noi la seguimmo, e vedemmo che stava prendendo la torta di sua madre.
«Ora ci penso io» sogghignò.
Con sorprendente spirito d’intuizione, si diresse a piedi alla piscina (casa sua era praticamente a portata di tutto!) e, appena vide Kaito e Len venire dagli spogliatoi, gli si avvicinò. Il poverino non fece in tempo a spiccicare parola che si ritrovò una millefoglie al cioccolato sparpagliata sulla faccia, mentre tutti lo fissavano. Len li guardava incredulo.
«Ben ti sta!!!» gli disse Miku, girò i tacchi e se ne andò.
Lui rimase a bocca aperta, fissandosi i vestiti sporchi di dolce. Io e le sorelle Megurine dovemmo sederci, tanto erano forti le risate che ci assalivano: ci tenevamo la pancia e ci lacrimavano gli occhi. Len mi guardò: ovviamente aveva intuito tutto e, da bravo amico qual è, accompagno il giovane Shion a casa sua, per farsi un altro bagno.
Una settimana! Non gli parlò per una settimana! Kaito non sapeva che fare. Poi però trovò comunque il modo di farsi perdonare, e, quando scoprirono che il tutto era un piano diabolico architettato da noi tre (“Voi due!”, aveva detto in realtà Luka), tornarono a essere i soliti piccioncini di sempre.
 
Anche Natale fu piuttosto divertente: andammo in giro la sera del 25 dicembre per vedere Sakurami illuminata dalle luci e l’immenso albero che regnava sulla piazza principale. Uno spettacolo magnifico! Mentre l’ultimo dell’anno visitammo il tempio, com’era abitudine fare. Un nuovo anno era cominciato e tra pochi mesi saremmo andati in terza. La mia paura più grande era quella di non essere più in classe con Len: perché c’era questa stupida abitudine di rimescolare le classi?! Non che prima me ne importasse più di tanto: io e Miku, negli anni delle medie e nei primi due delle superiori, eravamo sempre state insieme, ma adesso c’era seriamente il rischio che io e lei, o io e Len, non fossimo nella stessa sezione. E il responso non tardò ad arrivare: a fine Marzo c’erano già i tabelloni con le nuove classi esposti. Noi quattro (Miku, Kaito, Len ed io) decidemmo che ci saremmo andati lo stesso giorno. Così, una domenica mattina, ci demmo appuntamento davanti alla scuola per scoprire la verità.
«Eccoci!» esclamò Kaito vedendoci già là «Avete dato un’occhiata?»
«No, siamo appena arrivate anche noi» gli rispose Miku.
Io guardai Len e lui mi prese la mano: “Non sarà di certo questo a separarci, no?” sembrava dirmi il suo sguardo. Mi strinsi ancora di più a lui: cosa avrei fatto senza averlo più vicino come del resto era successo per un anno intero?
«Allora, controlliamo la sezione 1 intanto …» Kaito scorse tutti i nomi, ma non trovò nessuno dei nostri.
«Nella sezione 2 ci sono io» sospirò Len «Solo io» aggiunse poi amareggiato.
«Nella 3 … Io e Kaito» dissi.
«Quindi io sarò da sola nella 4?!» commentò Miku, incredula.
«Ma con che criterio hanno diviso le classi?» si domandò Kaito.
«Coi bigliettini» commentai sarcastica io.
Delusi e amareggiati tornammo a casa. Quando aprii la porta vidi mia madre che stirava mentre guardava la TV.
«Tadaima*, kāsan» dissi un po’ sottotono.
«Okaerinasai*, Rin» disse. Poi mi guardò meglio in faccia e aggiunse: «Che ti è successo?»
«Non sono in classe né con Len né con Miku» sbuffai «Ma con Kaito. Lui mi è anche simpatico, però …»
«Non è come avere la propria migliore amica e il proprio fidanzato, lo so» completò. Poi si avvicinò e mi prese le mani «Ma devi anche imparare a staccarti un po’ da loro, devi capire che non vivrai attaccata alla tua migliore amica ogni secondo della tua vita. Bhe, forse al tuo fidanzato, ma non a Miku»
Sapeva trovare sempre delle risposte adatte ai miei problemi, cercando di farmeli affrontare, piuttosto che evitare. Era una donna molto saggia sotto questo punto di vista.
«Grazie, mamma»
«Figurati. Ah, Rin! Hai per caso visto i miei occhiali? Non li trovo da nessuna parte»
«Ce li hai addosso, haha*. Sennò come faresti a vedermi?!»
 
  
 
Spazidellautrice: Sesto capitolo :D La nostra storia sta per giungere al termine çwç *è la sua prima fanfic a capitoli --- commossa* non so ancora se farla finire in sette o otto capitoli: il sette è un numero fortunato per il mondo occidentale, ma l’otto lo è in giapponese …. *pensa* bah, vedrò cosa verrà fuori la prossima volta xD ! Ultimamente il mio spazietto non è più così “affollato” da mie idee strampalate xD comunque, VI CHIEDO CORTESEMENTE DI COMMENTARE/RECENSIRE QUESTA FAN FICTION *inchino di ringraziamento* grazie per le belle parole negli altri capitoli  *^* quanto mi fa felice vedere delle recensioni nelle mie storie >w<
 
*Note
Kitto daijōbu! = Andrà tutto bene!
O tanjōbi omedetō gozaimasu!!! = Tanti auguri di buon compleanno!!!
Imōto = sorella minore/sorellina
Gomen = Scusa
Tadaima = Sono a casa
Kāsan = mamma/madre
Okaerinasai = Bentornato/a
Haha = mamma (in modo affettuoso); abbreviazione di “Hahaue” 

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Capitolo 7
*** Happiness and tears ***


Happiness and tears


E così, a distanza di un anno esatto, iniziò un nuovo anno scolastico. Quante cose erano successe! Dal mio primo incontro con Len a quando mi aveva dato la sua mail; da quando mi aveva abbracciata, seduti sull’erba, a guardare il tramonto, al mio primo bacio; dalle sfuriate con mio padre alle prime piccole conquiste della mia libertà; dal più bel compleanno della mia vita alle cavolate con gli amici; fino ad oggi, dove qualche giorno prima avevamo scoperto che ognuno era finito in classi diverse: io non ero né con Miku né con Len, ma con Kaito. Non ero mai stata abituata a “vivere da sola”: fin dai primi anni di scuola ero sempre stata con la mia migliore amica, e anche alle medie era successo. Ma adesso, per la prima volta, dovevo affrontare un anno scolastico in una classe di sconosciuti. Ora non voglio svalutare Kaito, mi è anche molto simpatico, ma …
C’era sempre quel “ma”, in mezzo, che mi faceva fare un passo indietro. Cercai di prendere la cosa con positività e ottimismo: “Posso sempre vederli alla ricreazione e al cambio dell’ora! E dopo la scuola!”. Già, ma con chi sarei stata in banco? Con chi avrei riso delle stupidaggini dei miei compagni? A chi avrei rivolto il mio sguardo impaurito davanti a un’interrogazione, per ricevere un “supporto morale”? Erano queste le mie vere preoccupazioni, e ancora non avevo trovato una risposta valida.
Scesi dal letto, ancora assonnata, e con le gambe pesanti mi avviai in cucina. Tutto era già in movimento: mamma dava un’ultima ricontrollata alla borsetta, sicura di aver dimenticato qualcosa (infatti, non aveva messo dentro il portafogli), mentre papà passava dal giornale al TG con nonchalance, borbottando di entrambi. Per loro non era cambiato nulla: sembrava una mattina come tante. Io invece ero tesissima! Mi sedetti e cominciai a spalmare di marmellata un toast appena sfornato, ancora caldo.
«Amore, mi sembri nervosa» domandò mamma «Tutto a posto?»
«Sì, sì» dissi con aria indifferente. Ne avevamo già parlato e non volevo darle a vedere che ci pensavo ancora. Non alla mamma. Avrebbe cercato di rincuorarmi per tutta la mattina, e io non volevo.
«Rin» fece papà, continuando a leggere il giornale «Oggi puoi fermarti a fare la spesa?»
«Uhm, sì. Non dovrei avere problemi. Se la mamma ha già fatto una lista basta che me la dia e …»
«Se la trovassi, te la darei» sbuffò, mentre la cercava «Al limite te la do dopo»
«Dopo quando?» chiesi, allarmata. Avevo un terribile sospetto.
«A scuola. Insegno lì adesso»
Panico. Dovevo assolutamente scoprire in che classe insegnava.
«E, prima che tu me lo chieda» disse, anticipandomi «Sono nelle prime, quindi seconde e terze non sono affar mio. No, aspetta, forse una seconda ce l’ho» rifletté un po’, poi aggiunse: «Va bhe, controllerò meglio dopo. Fatto sta che ho trovato la lista: era sotto il divano»
Uscii di casa un po’ più rincuorata, alla notizia che mia mamma non avrebbe insegnato nella mia classe. E non perché era mia madre, ma per la sua sbadataggine. Arrivata alla stazione, Miku era già lì. “Che strano” pensai. Appena mi vide mi salutò e mi corse incontro.
«Sono venuta prima perché avevo voglia di chiacchierare con te» disse. Così, aspettando il treno, sedute su una panchina, iniziammo a parlare del più e del meno.
«Sai che Gumi-chan è nella nostra stessa scuola?»
«Ma dai! Che bello! Quindi … è in prima!!!»
«Perché l’hai detto con quel tono? Ha due anni in meno di noi, non è di certo una novità»
«E’ perché le toccherà avere mia madre come insegnante»
«Ah, ah, ah, ah!» Miku iniziò a ridere, e continuò per un bel po’. Essendo amiche da una vita, avevamo imparato a conoscere anche le rispettive madri, quindi la sua reazione era più che scontata. Salimmo sul treno e non sprecammo nemmeno un minuto: avremmo passato cinque ore distanti l’una dall’altra, dovevamo assaporare ogni secondo come prezioso. Forse ora capisco perché alle medie ci chiamavano “gemelle siamesi”: non ci mollavamo un attimo, sembravamo davvero gemelle. Chissà che questa situazione non si fosse presentata come una cosa “positiva” …
Davanti all’entrata del nostro Istituto riconobbi in lontananza Len e Kaito che si avvicinavano agli armadietti dove cambiarsi le scarpe*. Miku li salutò (più che altro urlò), e ci aspettarono.
Salimmo le scale, e ci preparammo ad entrare ognuno nella propria sezione. Feci “ciao ciao” con la mano a Miku e a Len, poi aprii la porta ed entrai. Mi sedetti al mio posto, in seconda fila, mentre Kaito era in penultima, vicino alla parete. Suonò la campanella e le lezioni cominciarono. Mi sembrava passato un secolo dall’anno scorso, quando il primo giorno di scuola incontrai Len. Ma ora dovevo solo pensare ad impegnarmi e a studiare per gli esami.
Anche quest’anno ero capoclasse, assieme a un ragazzo, di nome Takumi, se non vado errato. Il resto della giornata, d’altra parte, scorse piuttosto noioso, anche perché in terza non è che si perdesse più tanto tempo a chiacchierare delle vacanze: oltre agli esami di fine trimestre, c’erano quelli per l’ammissione all’università, ed era un bel pacco di studio. Così, all’intervallo, uscii assieme a Kaito nel corridoio per raggiungere gli altri.
«Com’è andata?» chiese Kaito.
«Io sono capoclasse» disse Len.
«Anch’io!» esclamai «Mentre Miku …»
«No, quest’anno mi hanno soffiato il posto» brontolò «Una ragazza è stata più veloce di me»
«Che ne dite se andiamo a salutare Gumi?» proposi. In fondo era amica di tutti.
«Bell’idea» commentò Kaito. Così scendemmo al primo piano, dove c’erano le prime. La vedemmo subito: aveva già fatto amicizia (come c’era da immaginarsi) e stava allegramente chiacchierando con due ragazze. Appena ci vide ci venne incontro salutandoci.
«RIN-SENPAI! MIKU-SENPAI» e ci saltò addosso. Gumi non si smentiva mai.
«Ora che siamo nella stessa scuola ci chiami senpai*. E prima?» scherzai.
«Se vuoi ti chiamo Rin-chan, ma a scuola sarebbe strano …»
«Stavo scherzando! Se una mia kōhai* vuole chiamarmi senpai* per me va bene» sorrisi.
«Perché non ci presenti le tue amiche?» chiese Miku.
Ci stavamo divertendo, poi però, purtroppo, suonò la campanella.
«Dobbiamo andare» disse Len «Oggi pomeriggio riesci a venire? Tua sorella ha detto che ha finito di correggere il brano nuovo …»
«Sì, sì, non ci sono problemi. A che ora?» chiese Gumi.
«Uhm, a un quarto alle cinque va bene?»
«Perfetto! Così anche Luka è libera. Tu Kaito puoi venire, vero?»
«Sì, sì. Potete venire anche voi due» disse, indicando me e Miku.
«Che bello» disse Miku.
«Ah! Io ho delle compere da fare, ma se vado presto e mi sbrigo posso farcela» aggiunsi.
«Perfetto! A dopo allora» fece Gumi, allontanandosi.
Tornammo in classe, e io attesi trepidante la fine delle lezioni. Dovevo sbrigarmi, se volevo sia andare a fare la spesa, sia a vedere le prove della band di Len.
DIN DON! In certe occasioni quel suono sapeva salvarmi la vita. Corsi alla stazione, poi a casa. Mangiai di fretta, feci i compiti e guardai l’orologio: le tre e mezza. Scrissi l’ultima parte del tema di giapponese a velocità super-sonica, salutai e uscii per andare a fare la spesa. Mentre pedalavo al konbini* più vicino, pensai: “In fondo non è stato poi così orribile questa giornata, la credevo peggiore”.
Afferrai le cose dagli scaffali senza badarci troppo e le misi nel cestino. Pagai e tornai a casa per metterle via. “Ventiquattro ore sono poche!” questo pensai. Ora erano le quattro, e sapevo che per arrivare fino allo stabile ci voleva un quarto d’ora, senza traffico. Per fortuna era lunedì pomeriggio e di automobili non se ne trovano molte. Entrai dalla porta nera, anch’essa sporca di scritte fatte con la bomboletta, salutai Fukuda e mi diressi al secondo piano, dove c’era la sala prove. Aprii la porta: non c’era nessuno. Così mi sedetti sul divanetto e aspettai l’arrivo di qualcuno. Non mancò molto che la porta si aprì ed era …
«Luka!» esclamai.
«Rin-chan! Sei in anticipo»
«Anche tu, del resto» commentai sorridendo.
Luka era davvero una ragazza simpatica. Matura e saggia, sapeva comportarsi da brava senpai* e con Gumi era anche come una seconda mamma. La rispettavo molto. E la stimavo.
«Allora» attaccò «Come vanno le cose? Tra te e Len, dico»
«Tutto bene. Ci amiamo e siamo felici di poter stare insieme, è questo che conta»
«E tuo padre?»
«Mah, all’inizio, come ben sai, era proprio contrario. Poi è passato allo stadio “fa’ come ti pare ma io non approverò mai”. Insomma, ormai è quasi un anno che siamo fidanzati, e sembra aver perlomeno “accettato” la cosa. Non fa i salti di gioia, ma quando mi vede felice per qualcosa che ci riguarda, anche lui sorride» arrossii. Non mi era mai capitato di parlare di queste cose “importanti” così apertamente con qualcuno. Forse lo feci perché lei era Luka.
«Bene» sorrise «Mi fa davvero piacere»
«E tu? Ce l’hai il ragazzo? Non ti sento mai parlare di queste cose …»
Luka sgranò gli occhi e notai che era arrossita. Questo lato di lei ancora non l’avevo scoperto.
«Bhe, ecco … più o meno»
«Che significa “più o meno”?»
«Che lui a me piace, e probabilmente anch’io a lui, andiamo molto d’accordo, e ci divertiamo …»
«Hai paura di fare il primo passo?» intuii.
Luka annuì. Si guardò un po’ intorno, poi si alzò e disse: «Sarà meglio che vada a vedere se mia sorella è arrivata, altrimenti mi toccherà andare a prenderla» e uscì dalla stanza.
Conoscere le persone ti fa scoprire lati del loro carattere che non t’immagineresti” pensai. Aveva cercato di fare l’indifferente, ma si notava che questo ragazzo doveva piacerle molto.
Dopo pochi minuti arrivarono anche gli altri, e iniziarono a provare. Dovetti tener ferma Miku sul divanetto per impedirle di saltare e urlare per la stanza, come quella volta al concerto. Provarono tutto il loro repertorio: da canzoni tristi, strappalacrime, a quelle allegre, gioiose; da quelle romantiche a quelle della serie “mi hai spezzato il cuore”. Li avrei ascoltati per ore, senza mai stancarmi.
«Migliorate sempre di più» dissi infatti, quand’ebbero finito.
«Grazie, Rin-sensei» fece Gumi, scherzando «Ho sbagliato qualcosa?» chiese poi.
«Uhm … Mah, forse fai ancora un po’ di fatica nei punti veloci, e non riesci a tenere perfettamente il tempo assieme a tua sorella» commentai «Ma non è nulla di così grave, solo un orecchio esperto se ne accorgerebbe: quelli che vengono a sentirvi di certo non se ne preoccupano»
«Ah beh» commentò Kaito «Mi è capitato, una volta, di prendere una nota sbagliata, un errore tremendo (ricordo ancora la faccia di Len e quella di Luka). Però poi fuori mi hanno pure fatto i complimenti per come avevo cantato bene» disse, e ridemmo tutti insieme. Erano le sei e venticinque quando decidemmo di tornare a casa. Miku, Gumi e Luka si allontanarono insieme, e Kaito le seguì, visto che doveva parlare con Miku. “Mi farete venire il diabete, uno di questi giorni: siete troppo sdolcinati” dissi una volta alla mia migliore amica.
Rimanevamo solo io e Len.
«Vuoi che ti accompagni a casa?» chiese.
«Molto volentieri»
Ci avviammo, con le bici sottomano, a piedi, lungo la riva dello stesso canale di quando lui mi aveva abbracciata. E anche oggi c’era il tramonto. Vidi il suo sguardo posarsi sull’acqua, che rifletteva gli ultimi raggi del sole. Il vento gli scompigliava i capelli, e io non potevo fare a meno di trovarlo bellissimo.
«Ti ricordi, quella volta? Come oggi ti stavo riaccompagnando a casa …»
«Già … Se non sbaglio, era … il nostro primo appuntamento, vero?»
«Bhe, se vuoi definirlo così, allora sì»
«E come vorresti chiamarlo, altrimenti?!»
«Hai ragione» disse, e ci scherzammo su. Poi si voltò e aggiunse: «Sai, da allora sei diventata ancora più bella. Non che non lo fossi anche prima, certo, quello che volevo dire, ehm …»
Lo presi per il colletto della camicia e lo baciai.
«Ti amo tanto, lo sai?» dissi.
«Sì, anch’io. Eppure, non riesco ancora a credere di essere così fortunato di aver incontrato una persona fantastica come te, Rin»
 
Quella sera ero più allegra del solito. Mi proposi addirittura di lavare i piatti, nonostante avessimo una lavastoviglie.
«Rin, stai bene?» chiese mia mamma scherzando. Ero così felice che avrei potuto fare le pulizie anche se questo significava star sveglia fino a mezzanotte (e io sono una gran dormigliona).
«Mamma» dissi con tono solenne, avvolgendole un braccio attorno al collo «non sono mai stata meglio di così!»
«Eppure stamattina pareva tutto il contrario …»
«Stamattina era stamattina!» dissi, facendo schizzare in aria la schiuma dai guanti e dalla spugna che reggevo «Questa giornata ha portato solo cose belle!»
«Mi fa piacere. Io invece ho avuto una giornata …»
«A proposito!» esclamai, illuminandomi «Hai per caso avuto l’onore di conoscere una certa Megurine Gumi, stamattina? Se non sbaglio è nella sezione 2 …»
«Infatti» disse, sospirando «E’ proprio a lei che mi riferivo con “ho avuto una giornata”»
«Perché, che ha combinato? E’ una così brava ragazza …»
«Non lo metto in dubbio! Ma quanto parla …»
Mi misi a ridere, e fu difficile smettere. Dovevo immaginarlo, quale fosse il problema: Gumi era così solare, vivace, allegra, energica e … loquace. Difficilmente riuscivamo a farla stare zitta, solo le occhiatacce di sua sorella riusciva ad avere un “effetto calmante” su di lei. La intimorivano parecchio …
 
Passarono le settimane, e io mi ero ormai abituata alla mia “nuova situazione”. Avevo anche fatto amicizia con delle ragazze nella mia classe. Questo mi permise di allargare i miei orizzonti. Scoprii anche che due di loro, in particolare, erano fan sfegatate dei “Vocaloid”, la band di Kaito, Len, Luka e Gumi. Quando infatti scoprirono che il cantante, il batterista e la bassista del loro gruppo preferito erano nella loro stessa scuola, erano al settimo cielo. Stavamo parlando di loro, un giorno, quando una di loro disse, con aria sognante, che secondo lei Len aveva un carattere ombroso, da “tipo misterioso” (in fondo non era uno a cui piaceva mettersi in mostra). L’altra, invece, sosteneva che lui fosse un ragazzo simpatico, solo un po’ riservato. E quando io commentai con un “Già, ha ragione lei”, mi fissarono con sguardo interrogativo. A quel punto fui “costretta” a dire loro che era il mio ragazzo e che ero grande amica di tutti gli altri componenti. Da lì scattarono un mucchio di domande, da vere fan appassionate.
Non è che io avessi voluto tenere nascosto il mio rapporto con lui, solo non era quel tipo di persona che andava a sbandierarlo in giro.
 
Un pomeriggio, era maggio, stavo andando a lezione di violoncello. Come sempre, ascoltavo col mio lettore mp3 il brano che avrei dovuto suonare per esercitarmi. Mentre guardavo a destra, in direzione dello stabile, mi accorsi di due persone, in lontananza, che parlavano. Ci feci caso perché una di questa assomigliava in modo impressionante a Len. Stavo per proseguire lungo la mia strada, ma ero troppo curiosa di sapere se era veramente lui oppure no. Così, restai lì ad attendere che i due si avvicinassero. Quando furono abbastanza vicini, conobbi la verità: quello era proprio Len, e accanto a lui c’era una ragazza che non avevo mai visto. Era davvero carina: alta quanto lui, i capelli a caschetto con la frangetta marroni e indossava la nostra uniforme. “Sarà una sua nuova compagna di classe” ipotizzai. Stavo per raggiungerlo e salutarlo quando vidi che si stavano abbracciando*.
Lasciai cadere la borsa per terra, assieme al lettore mp3 che reggevo in mano. Sgranai gli occhi e non sapevo che fare: volevo correre via, scappare, ma i miei muscoli non volevano saperne di muoversi. Poi vidi Len prenderle la mano* e continuare a camminare. Stavano per raggiungermi e io ero lì, in mezzo alla strada, con le lacrime che mi scendevano copiose, e le mie cose cadute per terra. Le afferrai, stavo per tornare indietro quando sentii la sua voce chiamarmi: «Rin?»
A quel punto non ce la feci più e scappai, scappai via. Io mi fidavo di lui, ciecamente. Avrei messo la mano sul fuoco sulla sua fiducia, e invece …
Una parte di me continuava a dirmi: «Mica l’hai colto sul fatto! Poteva benissimo essere una sua amica»
L’altra invece confermava i miei sospetti: «Andiamo! Prima si abbracciano, poi lui le prende la mano. Cosa vuoi di più? Una confessione scritta?!»
Mi fermai, per riprendere fiato. Annaspavo, e il caldo soffocante di quel girono non aiutava di certo.
“Perché sono venuta proprio qui?!” mi chiedevo, scoprendo che ero finita lungo il canale, vicino al ponte, dove erano successe tutte quelle cose che fino a pochi minuti fa mi avrebbero fatto gioire. Mi sedetti, sull’erba, e mi misi ad osservare l’acqua. Pensai e riflettei a lungo, fino a che non presi la mia decisione. Ma tu eri già qui. Rimasi impassibile, e continuai a fissare il canale. Avresti cercato di convincermi che non era niente, che per te ero importante solo io, che lei non significava nulla, eccetera eccetera. Io ti avrei lasciato parlare e ti avrei risposto dicendo che la fiducia, una volta persa, non si riguadagna più, o comunque è un cammino troppo difficile da affrontare.
Come sempre, tu hai saputo sorprendermi, anche questa volta …
«Sai» attaccasti «Ultimamente abbiamo riscosso un discreto successo, come band, dico» facesti una pausa, poi ripartisti «Non sapevo di essere così popolare! In fondo è il cantante quello al centro dell’attenzione, o il chitarrista. Chi è alla batteria, o al basso, spesso ha poca considerazione. Invece devo ammettere che io sono uno strappo alla regola» prendesti poi un lungo respiro «Non te ne ho mai parlato, ma dopo i concerti mi ritrovo con un pacco così di lettere. A volte persine con dei dolci»
Io continuavo a stare in silenzio, con lo sguardo che seguiva la superficie dell’acqua.
«Oggi una di queste, che oltretutto è in classe mia, mi ha mandato un bigliettino chiedendomi di incontrarci perché doveva parlarmi di una cosa. Così le ho dato appuntamento davanti allo stabile, e ci siamo messi a camminare. Si è dichiarata, sai?»
Odiavo il tono con cui mi parlavi. Era così “spensierato”, per nulla preoccupato.
«E io le ho detto: “Miho, sei una ragazza davvero carina, sai? Di sicuro non ti sarà difficile trovare un ragazzo che ti sappia apprezzare nel modo che meriti; perché, vedi, io ho già trovato la ragazza che dei miei sogni, che voglio rendere felice, e non potevo chiedere di meglio”. Così l’ho abbracciata, per consolarla, e lei ha ricambiato con un sorriso. Le ho preso la mano e lei mi ha detto “Non scusarti, va bene così. Lo vedo dagli occhi che sei profondamente innamorato di questa persona. E’ davvero una ragazza fortunata”. Ma, Rin? Come mai ora piangi?» aggiungesti sorridendo.
Già a metà discorso sentii le lacrime scendermi sulle guance, ma adesso erano proprio fiotti. E io che avevo subito pensato male! “Ho avuto troppa paura di perderlo, prima, ecco perché sono scappata e non sapevo che fare” pensavo mentre mi parlava. Piangevo perché ero felice di aver scoperto la verità; piangevo perché ero arrabbiata con me stessa e per la mia poca fiducia; piangevo per le parole che aveva detto; piangevo … piangevo perché non riuscivo a fare altro.
«Scusami» riuscii a dire mentre singhiozzavo.
«E di cosa?» sorridesti.
Mi prendesti il volto fra le tue mani, mi accarezzasti la testa e mi abbracciasti, stringendomi a te, al tuo petto. Sentivo il tuo cuore battere, e scoprii che, nonostante ti presentassi calmo, anche il tuo batteva all’impazzata, proprio come il mio.
«Perché tu sei così perfetto, mentre io sono piena di difetti?!» mi domandai.
Len mi allontanò un attimo da sé per guardarmi in faccia. Con sguardo incredulo disse: «Davvero?! Sai che non me n’ero nemmeno accorto?»
Io risi e poi lo baciai. Quel ragazzo, come disse Miku, fu la mia benedizione. Non solo: diventò la mia vita.
 
 
Spazidell’autrice: Settimo capitolo |*w*| spero di non avervi annoiato, e invece di avervi fatto emozionare, un pochino, o almeno divertire. Gli shōjo sono un mondo apparentemente facile, e invece … beh, che dire?! Io sono piuttosto soddisfatta di com’è venuta e sette mi sembra un buon numero. La nostra storia potrebbe benissimo finire qui, e invece sento il “bisogno” di aggiungerci un piccolo “special”, un bonus, sottoforma di ottavo capitolo. Data la mia indecisione tra i numeri 7 e 8, ho deciso di optare per entrambi ^^ : la storia in sé finisce qui, ma se qualcuno è ancora curioso e vuole sapere come andrà in futuro, allora c’è il capitolo 8. ma ora basta parlare dei miei pensieri, piuttosto, VI CHIEDO CORTESEMENTE DI COMMENTARE/RECENSIRE QUESTA FAN FICTION, perché, sapete, conoscere il vostro pensiero, la vostra opinione, mi farebbe no piacere, di più \^^/ ancora un grazie grande grande per i complimenti ricevuti *inchino di ringraziamento* e, se questa storia vi è piaciuta, date un’occhiata anche agli altri miei “lavori” ^^ ancora grazie e a presto ;D
 
*Note
Gli armadietti dove cambiarsi le scarpe = in Giappone non si entra a scuola con le stesse scarpe con cui si va in giro, se avete visto/letto qualche anime/manga ve ne sarete di certo accorti. Appena davanti all’entrata, ci sono gli appositi armadietti dove riporre le proprio e scarpe e prendere quelle che si usano per stare a scuola.
 
Senpai e kōhai = “Senpai” si usa per i compagni più grandi, anziani, mentre “kōhai” per quelli più giovani. Oltre che a scuola, sono usati tra colleghi di lavoro o comunque con persone più grandi/più piccole.
 
Konbini = minimarket
 
Vidi che si stavano abbracciando; Vidi Len prenderle la mano = c’è da sapere che in Giappone, il contatto fisico, è una cosa piuttosto … rara. Noi italiani siamo abituati ad abbracciarci, salutarci calorosamente, insomma, anche in pubblico, perché no. In Giappone invece non è una cosa così naturale, nemmeno tra parenti stretti, come genitori e figli. Per questo quando Rin li vede abbracciarsi e poi vede Len prendere la mano della ragazza pensa subito al peggio.

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Capitolo 8
*** Epilogue - The End (?) ***


Epilogue


«Alzati, o farai tardi a scuola!»
«Ma, mamma, sono appena le sette, solo cinque minuti …»
«No, no! Lo so, io: prima sono cinque minuti, poi altri, cinque, fino ad arrivare a trenta. E allora sì che farai tardi davvero!»
«Almeno non spalancare così le finestre, c’è troppa luce!»
«Guarda tua sorella, che brava: ha tre anni in meno di te e già è andata a fare colazione»
«Sì, ma lei va all’asilo, e gioca tutto il giorno, mentre io sono in prima e mi tocca studiare per davvero»
«Aspetta di diventare più grande allora! Chissà cosa mi dirai? Ah, ah, ah!»
«Mamma, mamma!»
«Dimmi A-chan»
«C’è il papà in TV!»
«Forza Haru, sbrigati, se no ce lo perdiamo»
Scendemmo le scale in fretta e furia, ma facemmo comunque in tempo.
«Passami il telecomando, Haru» dissi. Alzai il volume e stetti ad ascoltare.
«La band più famosa del Giappone, i “Vocaloid” ha riscosso nuovamente un enorme successo. Il tutto esaurito per il concerto di Tokyo si era già verificato una settimana prima del loro arrivo, e non solo nella capitale: anche a Sapporo, Osaka e Kyoto era successo lo stesso. Ma sentiamo le parole del cantante della band, Shion Kaito»
«C’è zio Kaito!» esclamò Akira.
«Nemmeno noi riusciamo ancora a crederci! Siamo entusiasti, e ringraziamo tutte le persone che ci amano e che ci vogliono bene per il loro supporto» disse Kaito.
«E con questo abbiamo concluso …» non feci in tempo a sentire il resto che Haru spense la TV.
«Se non c’è papà non m’interessa» si giustificò.
Le accompagnai a scuola, poi andai al lavoro. Stavo camminando per il corridoio, quando vidi due ragazzi ancora ciondolare fuori dalle aule.
«E voi che fate?» chiesi.
«Niente, ci scusi signora preside, stavamo andando in infermeria, non ci sentiamo tanto bene»
«Ah-ha» commentai  sarcastica «si vede proprio che non riuscite a reggervi in piedi. Filate in classe!»
«Subito!» dissero all’unisono.
Entrai in presidenza, mi sedetti alla scrivania e cominciai a compilare le solite scartoffie. Dopo un po’ sentii bussare alla porta: «Mi scusi, signora Oto-san?»
«Sì?» dissi, alzando lo sguardo dal tavolo.
«Hanno recapitato questo per lei» e mi porse un pacco.
«E chi l’ha mandato?»
«Non so» mi rispose la segretaria «E’ arrivato qui un ragazzo e mi ha detto di consegnarvi questo, perché a casa non c’eravate»
«Grazie, Misa-san» risposi, sorridendo «E’ tutto a posto. Chiuda la porta quando esce»
Misi il pacco sopra il tavolo, lo aprii e dentro trovai una scatola. L’aprii e scoprii che era vuota.
«Come hai fatto ad anticiparmi e a portare il pacco alla ragazza?!» chiesi sorridendo.
«Io non l’ho dato a lei, ma ad un’altra persona che poi glielo consegnasse. E poi io corro veloce, non so se ti ricordi, è passato tanto tempo, ma non è la prima volta che ti rincorro e ti raggiungo»
«Mi sei mancato tanto» dissi, con gli occhi lucidi.
Tumi abbracciasti, da dietro, dove ti eri nascosto, e mi dicesti: «Anche tu, molto»
«Ma perché la scatola è vuota?»
«Perché la vera sorpresa arriva adesso» mi rispose, baciandomi.
«No ti lascerò mai, per nulla al mondo»
«E io non ti permetterò di fuggire»
 

The End (?)



Spazidell’autrice: ora sì che possiamo veramente mettere la parola “fine” a questa fic. Anche se quel punto di domanda lascia intendere che, nonostante abbia smesso di raccontare, l’amore tra Rin e Len non avrà mai fine … ah, lo so, sono una grande romanticona =w= è che quando penso ai Kagamine, non posso fare a meno di vederli come una coppietta felice di innamorati *w*
Quest’epilogo era solo così, perché mi andava di metterlo x3 *li ama* non aggiunge nulla in particolare, solo arricchisce, un po’ come decorare una torta già finita di per sé: è una scelta facoltativa.
Dunque, se proprio ne avete voglia, VI CHIEDO CORTESEMENTE DI COMMENTARE/RECENSIRE QUESTA FAN FICTION ^^ *inchino di ringraziamento*
A presto, dalla vostra Ari_chan |^3^/

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