Questa incontrollata ossessione per l'amore

di CloAfrodite
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 2: *** 2. Casa dolce casa ***
Capitolo 3: *** 3. Eccoti ***
Capitolo 4: *** Due cioccolate calde, per favore. ***



Capitolo 1
*** Un nuovo inizio ***


1. UN NUOVO INIZIO


Mi ritrovai come una stupida davanti a quel grande cancello.. Avevo giurato a me stessa di non tornarci più, eppure ero li .. perché continuavo a farmi del male.. perché dopo tutto quel tempo mi ritrovavo a pensarlo.. non potevo continuare .. non potevo rimanere in quel limbo della mia vita..

-Bella vero?!- una donna anziana si era fermata al mio fianco -ogni tanto anche io resto ferma ad osservarla- rivolsi un sorriso di cortesia alla signora e mi voltai ancora verso la casa. Sospirai e prosegui per il lungo viale alberato.

Poco più avanti mi lascia cadere su una panchina e tirai fuori i vari documenti da compilare. Perché nelle domande di iscrizione all’università straniere ci sono così tante domande?

Nome: Giorgia

Secondo nome: Clotilde

Cognome: Carpisia

Città di nascita: Roma

Nazionalità: Italiana

Facoltà scelta: Psicologia

Guardai bene quel foglio tra le mie mani. Quel pezzo di carta avrebbe cambiato la mia vita per sempre. Ricordo come fosse ieri il giorno in cui, tornata a casa, mamma saltellava da una parte all’altra della cucina con una busta da lettere in mano.

Alzai un sopracciglio guardandola e lei tutta felice disse: -è arrivata una lettera per te.. indovina da chi?- aspettai che rispondesse, di solito le uniche lettere che ricevevo erano pubblicità. – direttamente da Londra.. dal King’s College-. Cosa? Non era possibile. Avevo inviato la richiesta meno di dieci giorni fa. Aprii con lentezza la busta .. i miei occhi si soffermarono un una frase: “Siamo lieti di informarla che la sua richiesta è stata accettata con successo.”

È passato più o meno un anno e ora sono qui. Seduta su una panchina di Londra a pochi metri da Buckingham Palace. Ed avevo realizzato uno dei più grandi sogni della mia vita .. anche se segretamente volevo non si realizzasse mai.

 

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Capitolo 2
*** 2. Casa dolce casa ***


2. Casa dolce casa
Tornai a casa esausta “i primi giorni di università sono i più difficili” ripensai alla telefonata di mamma, avevo una gran voglia di tornarmene a casa, in Italia. Londra, si, è bella, ma casa è sempre casa.

Però non potevo.

Non potevo tornare a casa e dare alla gente la soddisfazione di aver fallito ancora.

Inutile quel divano era davvero scomodo. Guardai quelle mura ancora spoglie. Forse avrei dovuto appendere qualche immagine sulle pareti troppo bianche.

Per fortuna avevo trovato questa casetta. Non era molto grande, ma infondo andava bene così.

Terzo piano senza ascensore. Per questo costava così poco.

Però in compenso era già arredata. La porta di legno scuro dava nel soggiorno/cucina. Ad essere sincera scelsi questa casa per la cucina. Era bianca e color miele,  ad isola con una grande finestra sul lato. Era così luminosa che avevo già acconsentito senza vedere le altre stanze.

 Il divano al centro della grande stanza era viola classico e piccolo. Sulla parete di fronte la cucina e il divano, c’era un mobile in legno con vari scomparti ancora liberi e una televisione a schermo piatto al centro.  Alla fine del mobile e dopo un vaso etnico vuoto si trovava un piccolo corridoio con tre porte bianche.

Quella sulla sinistra era la porta del bagno. Piccolino ma comodo. Infondo era addossata al muro un grande vasca, sul lato destro un mobiletto e di fronte un grande specchio bianco con lavandino, tutto bianco contrasto con le pareti e il pavimento azzurro.

La porta al centro del corridoio portava alla mia camera. Molto grande, quasi quanto tutto il soggiorno. Le mura color miele e il grande lettone bianco quel armadio in legno chiaro erano niente in confronto alla grande finestra sul lato destro della stanza.

L’ultima porta del corridoio, sul lato destro, era la camera più disordinata della casa. Quella della mia coinquilina: Sara.

Io e Sara siamo amiche da quando io ho memoria. Praticamente ci conosciamo da sempre e sappiamo più cose noi sull’altra che le nostre rispettive madri.

Si, indubbiamente lei sapeva molte più cose di mia madre.

Frequentava la facoltà di pubbliche relazioni. E la sua passione sfrenata per Londra e la voglia di vivere insieme mi aveva convinta a fare quella  domanda di ammissione all’università di psicologia.

-Sempre a sognare ad occhi aperti stai?!- era entrata in quel momento con il suo solito sorriso sulle labbra. Era raro vederla triste o scoraggiata dal mondo. Lei era una di quelle amiche che non ti fanno mancare mai il sorriso. Che appena vedono sul tuo viso un piccola curva all’ingiù si fanno in mille per farti sorridere.

Si, lei era la mia migliore amica.



NOTE:
Premetto che questo capitolo l'ho scritto, poi l'ho cancellato, l'ho riscritto, l'ho ricancellato e l'ho riscritto. Non piace neanche a me dopotutto, ma era l'unico modo per introdurre il prossimo capito, che cercherò di caricare nel pomeriggio. Se la storia vi sta annoiando, vi assicuro che dal prossimo capitolo non vi deluderà. :)

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Capitolo 3
*** 3. Eccoti ***


3.Eccoti

-Sai oggi ho incontrato Kate..- mi alzai di colpo dal divano alle parole di Sara. Vedendo che non rispondevo continuò. -Ci siamo incontrate all’uscita dell’università, era venuta per accogliere i nuovi studenti.-  sposta lo sguardo sulle rifiniture del divano.. era così tanto che non vedevo Kate. Mi mancava così tanto. –Va bhè.. io vado a studiare.-  si alzò raccogliendo i libri sul tavolino. –Sai, passi troppo tempo in questa casa, dovresti uscire un po’-.

Aveva ragione. Respirare un po’ d’aria era quello che ci voleva. Il cielo era sereno e il profumo di foglie mi inebriava le narici. Sembrava come quando, da bambina, mamma mi portava nel parco vicino casa. Chiusi gli occhi assaporando i vecchi ricordi.

Ahi!!! Urtai qualcosa con il ginocchio. Aprii gli occhi ed era li. Fermo su una panchina poco distante da me. Continuai a fissarlo. Leggeva un libro dalla copertina scura. I suoi occhi erano attenti su quelle parole nuove. Improvvisamente alzò lo sguardo e io mi voltai di colpo.

Inizia a  camminare lenta senza dare all’occhio. Il ginocchio faceva ancora male.

Chissà se mi aveva vista. Se mi aveva riconosciuta. Spero di  non aver fatto un figura del cavolo al mio solito. Ma perché ascolto sempre Sara? In questo momento potevo stare a casa a studiare e non avrei visto niente di tutto ciò.

-Ehi!- un voce poco lontana dalle mie spalle. No.. ti prego!! Fa che non è a me!!! -Giorgia?- rallentai e respirando a fondo. Mi voltai con lo il sorriso più allegro che avevo in dotazione, sperando di non sembrare una cretina.                                                                                                                                                    -Ehi, ciao!- dissi con disinvoltura. Ed eccolo li, di fronte ai miei occhi, bello più di prima.                                                                                                             -Allora eri tu..- disse sorridendo -Ti ho vista da lontano, ma .. mi sembrava impossibile fossi tu.. che.. che ci fai qui?-  sembrava più imbarazzato lui di me, il che era abbastanza strano.                                                                                                                                                                                                        -università! – dissi con disivoltura sorridendo.                                                                                                                                                                                   -Hai finalmente deciso di evadere?- ridemmo insieme.                                                                                                                                                                     -Si.. diciamo di si-. L’improvviso senso di amicizia tra di noi era quasi strano, dopo il modo in cui ci siamo lasciati. Cercai di scrollare dalla mia mente quei pensieri, e buttai lo sguardo sull’orologio. Non perché fossi in ritardo, era un mio tic, quando la situazione sembrava troppo guardavo l’orologio. E lui lo sapeva bene, infatti parlò subito                                                                                                                                                                                                                  -Ho un po’ di tempo libero.. ti va un caffè?- sollevai lo sguardo e i nostri occhi si scontrarono. Acqua e fuoco a stretto contatto. Che dovevo fare? Rifiutare e tornare a casa o accettare e vedere come andava a finire? Esitai ancora.. non sapevo cosa rispondere. –Dai!! Lo so che non hai nulla da fare, altrimenti non saresti qui!- sorrisi, quel ragazzo mi conosceva troppo bene.                                                                                                                                                               -ok.. andiamo!-

NOTE:
Spero vi è piacuito, forse sono ancora un pò enigmatica. informatemi se c'è qualcosa che non va bene, nella storia e nel mio modo di scrivere. Ciaoooo ^.^

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Capitolo 4
*** Due cioccolate calde, per favore. ***


Ritrovarci seduti insieme allo stesso tavolo era, come dire, strano. Come se fosse surreale, come se vivessi un sogno, ma non uno di quelli che vorresti  si realizzasse, piuttosto uno di quei sogni in cui già sai che finiranno.

Ordinammo due cioccolate calde. O meglio ordinò lui. Io ero ferma a guardarlo. No, forse il termine giusto è osservarlo. Era così cambiato.. i capelli più corti, ma sempre sbarazzini. Gli zigomi sempre rossi e gli occhi ancor più belli di come che ricordavo.

-A che pensi?- mi colse di sorpresa e non sapendo che dire, dissi la bugia più comune dell’essere umano.     
-Niente!-  presi la mia tazza fumante e l’avvicinai al viso. Lui mi guardava attentamente, poi appoggiò la tazza sul tavolo e si lasciò cadere sullo schienale della sedia. Sospirò abbassando lo sguardo. Era concentrato sul bordo del tavolo. Continuava a girarsi e rigirarsi tra le dita un pezzo di carta, e mentre faceva ciò, mi accorsi che dalla manica del maglione azzurro, spuntava un cordoncino abbastanza famigliare. Guardai più attentamente e dopo mezzo secondo riconobbi il bracciale che comprammo insieme da Roma. Era un semplice braccialetto delle bancarelle della domenica. Sottile e nero, decorato da una treccia rossa e bianca. Il mio era esattamente l’opposto: rosso con una treccia nera e bianca. Entrambi i braccialetti avevano un ciondolino nel mezzo: una barca.

Perché la prima volta in cui ci siamo incontrati era appunto su una barca: lui come militare, io come invitata. Diciamo che in un certo senso, lui mi ha salvata. Perché, grazie alla mia infinita goffataggine,  ero sul punto di un atterraggio immediato sul pavimento, ma lui fu abile a prendermi, e successivamente a  ridermi in faccia. Io ero rossa in volto e abbastanza irritata. Lui mi guardò e tra le risate disse:”Mi avevano avvertito che le italiane sono imbranate”. Arrabbiata gli risposi:”A me invece che i militari sono proprio stronzi”.

-Che università frequenti?- chiese all’improvviso, forse per rompere quel silenzio imbarazzante.                 
-Psicologia, al King’s College- finì la sua cioccolata. Io ero ancora a metà.                                                                 
-E come va?-                                                                                                                                                                                                
-Bhè, non è da molto che frequento, ma mi trovo abbastanza bene. Sono tutti gentili, più o meno-. Sorridemmo di gusto entrambi. –E a te come va?- chiesi, cercando di essere vaga.         -Non mi posso lamentare. Vorrei fare altro, ma purtroppo..- si interruppe, pensando forse alla sua famiglia. –Hai presente la frase, “ogniuno è artefice del proprio destino”?- feci cenno di si –Bhè, nel mio caso non vale- ridemmo insieme. Il mio telefono squillò. Uno squillo: messaggio. Due squilli: Sara. Più di due squilli:    -Scusa devo rispondere!- fece cenno con la mano, come se volesse dire “non ti preoccupare”. –    
“pronto?”                                                                                                                                                                                  
“Giorgia?”                                                                                                                                                                                 
“Si?”                                                                                                                                                                                                    
“Ma dove sei?”                                                                                                                                                                                      
“Scusi, ma chi è?”                                                                                                                                                                       
“Come chi sono? Rob? Quello che hai conosciuto a lezione di psicologia? Quello che ti ha aiutato a non perderti e a ritornare a casa sana e salva?”                                                           “Ahahahah! Scusa, non ho salvato il tuo numero. Mmm.. Perché mi hai chiamata?”                                 
“Come perché??? Hai presente la tua promessa: -non ti preoccupare ti aiuto io a studiare matematica, ci vediamo domani pomeriggio- ??”                                                                                 “O mio dio! Scusami! L’avevo proprio scordato!”                                                                                                          
“Ho notato!”                                                                                                                                                                             
“Sono tanto in ritardo?”                                                                                                                                                             
“Bhè, quasi un’ora. Non avrei tanto insistito di solito, ma l’esame di matematica è fra due giorni, e io sono proprio messo male.”    
“No, non ti preoccupare. Hai pienamente ragione. Se mi dai un quarto d’ora sono li da te, ok?”                 
“Ok, ci vediamo dopo. Ciao”.

Chiuse il telefono. Che nervi. Avrei voluto rimanere in quella caffetteria e parlare ancora con Henry.           
-Scusami, io ..-                                                                                                                                                                                                     
-.. devi andare.- completò lui la mia frase. – Non ti preoccupare.- disse sorridendo – Ora che sei a Londra sarà più facile incontrarci ancora.- sorride.

Uscimmo dal bar. Mi chiese se volevo un passaggio in macchina, ma gli spiegai che la mia casa era vicinissima appena dietro il parco. All’improvviso mi abbracciò e mi diede un bacio sulla guancia. Per quanto fosse  un gesto normale, arrossii violentemente.                                                           
                                            
-Ciao Giorgia.- disse e si allontanò. Io ero ancora ferma sul marciapiede.
Ad un certo punto si girò e mi disse: - la prossima volta stai attenta quando cammini, non vorrei che distruggi tutte le panchine di Londra!-

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