Quelli del campetto sul mare.

di Nonoko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione sopra al mare ***
Capitolo 2: *** La Rovina ***
Capitolo 3: *** Acqua brillante e Coca-Cola ***



Capitolo 1
*** Introduzione sopra al mare ***


  
 
 
 
 
 
 
 
"Sole che batte sui palazzi in costruzione,
sole che batte sul campo di pallone
e terra e polvere  che tira vento,
e poi magari piove
Nino cammina che sembra un uomo
Con le scarpette di gomma dura
Ma ha dodici anni e il cuore pieno di paura…"

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
Introduzione sopra il mare.
 
Isabella è una lettrice accanita.

Nel senso che si accanisce contro i libri , li stropiccia, tortura le pagine,  finisce di leggerli in un tempo massimo di tre giorni, e da loro l’aspetto di libri reduci dalla seconda guerra mondiale.

 Isabella è una lettrice accanita che ascolta Elvis e beve acqua brillante.

È il perfetto miscuglio di follia e sensibilità che la porta per definizione ad essere Isabella.
Sì , se mi dessero la vasta scelta di un miliardo e mezzo di aggettivi per descriverla, sceglierei sicuramente “ folle”.
Non è certo una persona con cui si può intraprendere conversazioni normali, sicuramente non la vedrai mai ad esporre concetti umanamente consistenti, fa scelte di vita assolutamente discutibili e si veste di magliette lunghe con fantasie atroci ( fiori, righe) e scarpe rubate a sua madre nei suoi tempi d’oro.
Il vento sulla barca le scompiglia i capelli ,mentre appoggiata al misero bordo della barchetta fissa il mare con folle attenzione.

  • Non posso fare a meno di chiedermi se quello non sia un asticello-  sospira fissando il mare, dove un’alga danza sotto il pelo dell’acqua.
La fisso e so che in questo momento è più ad Hogwarts che qua, ma dopo un po’ ci si fa l’abitudine.
  • Se lo dici tu- le rispondo io , tornando alla mia vela.
So che quello è solo un   misero bastoncino e glielo direi volentieri, ma in questo momento Isa, è una delle due uniche persone che mi restano.
L’altro, si chiama Manuel, è un ragazzo della mia età e sicuramente non assomiglia a Isa in nessun modo.

Anche io faccio parte di questo quadro.

Da quindici anni e due mesi sono Diego, sono sulla terra, respiro anche io e sopravvivo anche io.
Per qualche assurda ragione del destino mi trovo qua, in quest’isola a venti minuti di navigazione da casa mia ed il mio maggiore impegno a tempo pieno è lamentarmi del punto a cui la mia vita mi ha condotto, dove ci ha condotto.
Avere Manuel e Isabella oggi , ora che la traccia dell’estate è svanita, mi aiuta, mi da un appiglio.
La verità sul perché la vita mi ha condotto fino a qua , va ricercata nell’estate del 68, quando un Dio scellerato a cui piace rovinare la gente creò mia madre, e successivamente fece sì che io fossi suo figlio.

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Capitolo 2
*** La Rovina ***


 Capitolo 1. La Marina e la rovina.
 
Fin da quando avevo quattro anni andavamo in vacanza in qualche Hotel veramente costoso e veramente invidiabile e non mi era mai capitato di notare un disequilibrio in questa lussuosa tradizione.
Mamma spesso si chiudeva   nel centro benessere e lasciava perdere le sue tracce.

Angelica , mia sorella, simpatizzava con i vari ragazzi biondi e bianchi e girava la città con loro, fingendosi intelligente, bilingue, filosofa, biologa e medica.

Io e papà invece trascorrevamo noiose partite a carte sul balconcino dell’Hotel.


Eppure in un afoso giorno , mamma si alzò presto e si sporse dal balcone della nostra vecchia casa che dava sulla pineta gremita di voci.
Le nostre valigie erano già pronte da un pezzo nell’ingresso  e papà in cortile sistemava ambiziosamente le ultime cose sulla macchina , comprimendo e schiacciando tutto quanto.
Io e mia sorella invece eravamo già in costume per trascorrere la nostra ultima giornata in pineta e poi al mare con gli amici, come ormai è tradizione da un po’ di tempo a questa parte.
Frequentare lo stesso gruppo di tua sorella è uno sport agonistico che si impara a praticare a regola d’arte solo dopo qualche punizione e tanta esperienza.

Tuttavia nessuno dei due si è mai sentito in dovere di parare il culo all’altro, per puro istinto di sopravvivenza.

E quindi eccoci là:  Angelica  si risistemava con facce fintamente seducenti i capelli biondi allo specchio, si risistemava il reggiseno imbottito al massimo e mi lanciava occhiatacce tutte le volte che sbuffavo.
Io invece trascinavo con me l’asciugamano ancora bagnato dallo scorso pomeriggio, i miei pantaloni da basket e i miei capelli biondi spettinati e senza cura alcuna.

-Ciao pà, andiamo a mare!- urlò Angelica correndo giù per il vialetto di casa.

Mamma dal balcone sospirò .
Quando mamma sospira , in genere, la terra smette di girare, il sole si ferma per due secondi e rallenta la giornata ; le nuvole oscurano il cielo scatenando improvvisi lampi di accompagnamento ad una risata malefica.

In poche parole, c’è da preoccuparsi.

Angelica gira sulle punte delle infradito e la osserva scocciata.
Mamma eè ferma sul balcone , i palmi appoggiati all’inferriata, lo sguardo fisso verso il mare.
  • Sai Alfonso, è da molto che non rifacciamo quelle girate sul molo, come quando i ragazzi erano piccoli!- dice traboccante di malinconia.
 
Papà alza la sua faccia da tonto verso mamma e sorride, anche se in cuor suo desidera solo che noi ce ne andiamo in fretta per poterlo lasciare lavorare da solo.
 
  • Oh sì Marina, è molto!-risponde.
Sbuffando, apostrofando mamma in tutti i modi più orripilanti, gettando le cose per terra rabbiosamente, io e mia sorella ci ritrovammo vestiti (quasi sobriamente) sui sedili di dietro della macchina, con mamma che gongolava e papà che ascoltava il suo “ rock puro” alla radio e diceva “ aah questa canzone , ti piace Marina?”
E quindi mia madre rispondeva distrattamente mentre ci teneva un saggio sulla sua pelle rinvigorita grazie alla saponetta magica, con il sottofondo rock e il frenetico ticchettio dei tasti di mia sorella sul cellulare.
  • Puoi smetterla?- le chiesi scocciato.
Angela mi mandò a quel paese e ricominciò a mandare messaggi a raffica.
  • Smettila ti ho detto!- urlai prendendole il cellulare.
Lei mi tirò tre o quattro schiaffi fin quando non riebbe il suo cellulare, e provò a ticchettare sui tasti un pò più dolcemente.
Papà parcheggiò il macchinone davanti al mercato del pesce .
Io e la belva sbattemmo le portiere scendendo dalla macchina.
Scedendo a patti con il nemico ( la madre) ottenemmo di poter camminare un po’ più avanti a loro.
  • A chi scrivi, a Valerio?- chiesi sputando sull’ultimo nome.
  • Fatti gli affari tuoi- replicò.
  • Oh che fai? Gli racconti di che bella nottata hai passato ieri con il suo migliore amico?- replicai io pungente.
Lei strepitò, posò un attimo il cellulare nella borsa e mi tirò uno schiaffo con le sue unghie smaltate.
  • Per prima cosa Domenico non è il migliore amico di Valerio e poi..- mi tirò un altro schiaffo- non ci ho pomiciato! Per inciso, è lui che ha tentato di baciarmi!- strepitò riprendendo il cellulare.
  • Sì , infatti, immagino ti ci abbia condotto con la forza nel suo letto, non è così?- conclusi io.
 
 
 
 
Mia sorella di “ angelico” ha solo il nome.
Per il resto è uno scorfano travestito da  sirena.
Ha gli incisivi davanti divisi tra loro ed un naso decisamente troppo altezzoso.
È così bassa che nelle recite delle elementari faceva sempre lo gnomo dei boschi e ha dei fianchi enormi.
In più si sente sicura di essere bella, e pensa che il fatto che abbia tanti soldi confermi il tutto.
Mamma sospirò ancora e io e mia sorella ci fermammo.
  • Oh Alfonso! Guarda quante barche!-
Successivamente disse
  • Oh Alfonso! Guarda quante barche in vendita!-
E poi ancora
  • Oh Alfonso! Ho sempre desiderato una barca-
  •  
E come se non bastasse:
 
- Anche una casa al mare! Oh Alfonso, ho sempre desiderato una casa al mare!-

Penso che mio padre in quel momento stesse rabbrividendo al solo immaginarsi dove sarebbe andata a parare , ma la lasciò continuare.
Fa sempre così, sfugge alla tempesta riparandosi sotto un brandello di muro.
Mamma sfilò a passo veloce davanti alle barche in vendita , le guardò estasiata, fin quando non si fermò di fronte ad una non molto grande

-Oh Alfonso! Questa! Guarda com’è  carina! Guarda!- commentò ammaliata.

Mamma ha uno strano modo di portare i suoi quarantotto anni.
Lavora da tempo come infermiera ma è il patrimonio di mio padre quello che le interessa di più.
Sopra la sua pelle morta c’è un velo di plastica che le conferisce un’aria da ventenne invece che da ultra quarantenne, ed è talmente rifatta che le barbie la denunceranno per plagio.

E poi c’è questo suo modo scellerato di vivere, di essere tremendamente severa, di saper picchiare meglio di un pugile e con qualsiasi cosa le capiti, di amare le punizioni e di avere solo ed esclusivamente passioni frivole come i piatti quadrati, le cucine color cremisi, le foto vecchie, le chiese ortodosse, i fucili in pelle e le barche.
Quello della barca fu poco più che un capriccio e tuttavia venne soddisfatto.
Papà comprò la “Marina” ( nome crudelmente inflitto alla povera barchetta) e in poco tempo ci ritrovammo a doverla lucidare, e a renderle omaggio come ad una divinità.
E due settimane dopo, le nostre valigie vennero gettate nella coperta della barca, Vedemmo la nostra macchina imbarcata su un montacarichi e portata via, oltre il mare, lontana dalla nostra casa il cui cartellino “affittasi” già faceva bella mostra di sé sulla porta blindata bianca.
Mamma sembrava raggiante come non mai !
Sulle prime pensai che quel capriccio le sarebbe passato, ma abbandonai l’idea ( o meglio, fu l’idea ad abbandonare me) quando un lunedì papà e mamma tornarono a casa , di ritorno da un’agenzia immobiliare e mostrarono a me e mia sorella la nostra nuova casa rosso amaranto dalle persiane bianche.
Solo tre piani, una misera vista mare.

Mia sorella non buttò giù una lacrima, pensava già ai bei ragazzi che lucidano le barche la mattina, al sole che batte su quell’isola e si limitò a farsi una giornata intera di mare in giro con gli amici, e Dio solo sa che cosa non ha combinato quel giorno.

Ci siamo fatti venti minuti in barca fino all’isola: mia sorella prendeva beatamente il sole su un asciugamano, papà dava i comandi in cabina, e mamma sfogliava riviste e guardava speranzosa l’isola davanti a sé, come se fosse l’America.

Inutile dirlo, io non feci niente a parte lamentarmi;  rimasi inerte anche quando papà si fermò in mezzo al mare, incapace di guidare per bene nonostante il patentino nautico preso co ntempi record, e pertanto ci stava per far annegare tutti.
Di cuore, avrei preferito annegare invece di trasferirmi in quella povera isoletta, a venti minuti di mare ,dai miei “amici” , dalle ragazze fighe e da tutto ciò che è bello , lussuoso e civile.
Attraccammo al molo dell’isola poco tempo dopo; papà trovò la giusta sistemazione della barca in uno spiazzo di acqua melmosa e putrida che dava bella mostra di sé mentre coceva a fuoco lento sotto il sole.
Papà aiutò una euforica Marina a scendere dalla barca al molo e poi mia sorella.
Io invece sbottai e gli intimai che potevo farlo benissimo da solo.
Non c’era mai fine al peggio per me.
 

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Capitolo 3
*** Acqua brillante e Coca-Cola ***


 Acqua brillante e Coca Cola.
 
Il mio letto era praticamente una nicchia al secondo piano della mia piccola casa nel centro storico, e purtroppo la dividevo con la diabolica sorella.
Non mi era mai capitato di condividere la camera con mia sorella e per me era del tutto insopportabile.
Tutto era del tutto insopportabile!
Era insopportabile il fatto che la nostra piccola casetta fosse a soli tre piani e senza alcun giardino; era insopportabile l’odore di pesce che penetrava dalle finestre tutte le mattine; insopportabile il ronzio sommesso di mia sorella che dorme nella mia stessa stanza e le scale a chiocciola scricchiolanti che portavano al terzo piano; era insopportabile il caldo appiccicoso che penetrava in casa e dal quale non c’era via di fuga ; era insopportabile anche la pessima pronuncia italiana della vicina di casa Tedesca
E, cosa più insopportabile di tutte , il mare.
Fuori c’era il mare, sempre il mare e i vecchietti giocavano a carte e parlavano del mare, era ovunque!

  • Pace fratello! Anche oggi in casa come un asociale emarginato? Io sto uscendo!- trillò felice mia sorella cercando la sua borsa da mare sotto il suo grande letto dall’ inferriata nera e dai lenzuoli rosa.
Quello che mia sorella non capisce, è che è inutile che mi mostri tutti i giorni la sua ironia da becchino, perché rimarrà sempre una brutta feccia che sa di mare.
Molto probabilmente diventerà una sirena, fuggirà da questa schifosa casa e si sposerà con uno di quei pescatori sdentati nel mare.
E vissero tutti felici e contenti, amen.

  • Fatti i cavoli tuoi Angela. – grugnii io nascondendo la testa sotto il cuscino.
  • A-so-ci-a-le- sillabò lei afferrando la borsa e correndo fuori.
Forse ero davvero un asociale di merda, così mi alzai, detti una raddrizzata ai capelli e mi rassegnai: dovevo uscire dalla topaia, e se poi non mi fosse piaciuto mi sarei rintanato in casa per il resto della mia vita, promesso.
Mamma ebbe un attacco di panico nel vedere il suo asociale figlioletto uscire con le mani in tasca, sbattendo sonoramente la porta.
Mentre scendevo le vecchie scale in pietra che portavano al portone sentii mia madre affacciarsi al pianerottolo.

  • Diego? Dove vai?- chiese febbricitante.
  • Fuori ma. Stammi bene- le dissi.
  • Divertiti!-
Sbattei il portone sonoramente e uscii nell’afa del mattino.
Era tutto appiccicoso, la pelle era appiccicosa, i capelli fortunatamente no.
I vecchietti che sentivo ridere tutte le mattine erano sempre più rumorosi , là al bar, a farsi qualche caffè disgustoso ed annacquato davanti a giornali logori.
Le campane dell’unica chiesa risuonarono le quattro e mi decisi ad attraversare la piazza per dirigermi al bar verso il molo, l’unico posto riparato da sguardi indiscreti.
In più la barista era una gran figa , e non sembrava povera per niente.
La fame mi logorava, e sapevo che c’era un po’ da camminare, ma non potevo correre il rischio di incontrare mia sorella.
Trovai il bar dopo un po’, ma fui sollevato di immergermi nella sua aria fresca.
Alla televisione all’angolo davano RTL.102.5 , la cosa mi fece pensare che anche là c’era gente civilizzata che conosceva la televisione.
Quella fu la prima volta in cui incontrai Isabella e Manuel.
Erano gli unici nel bar; seduti insieme al tavolino all’angolo , avevano davanti un bicchiere di Coca Cola gelata e una lattina di acqua brillante, ed entrambi mi spiavano nascondendosi dietro una gazzetta dello sport che fingevano di leggere.
Naturalmente li trattai con sufficienza e mi diressi spedito al bancone ordinando un MojitoSoda, che fa sempre bella figura.
Con la coda dell’occhio intravidi i due scambiarsi delle occhiate strane ,guardare me, per poi abbassare lo sguardo sui loro bicchieri appena intercettavano il mio sguardo.
Afferrai la soda e finsi di guardare il televisore.
Con la coda dell’occhio vidi nuovamente Isabella, e mi pare di capire che si stesse alzando, così, preso dal panico uscii dal bar.
Quei due mi guardavano come se fossi un alieno, forse mi stavano per insultare, pertanto avevo fatto bene ad uscire e a trattarli con sufficienza.
Uscito, il vento caldo tirava affannosamente sui miei capelli, così mi sedetti su un pilastro vicino al molo, rassegnato ormai alla mia sorte.

  • Ciao- disse una voce dietro di me.
Mi da sinceramente noia quando la gente interrompe il flusso, per definizione intellettuale, dei miei pensieri.
Era un ragazzo alto dai folti capelli neri e il naso aquilino che svettava in tutta la sua figura.

  • Ciao- gli risposi.
Lui mi disse di scendere dal pilastro e ci si mise a sedere al mio posto.
  • So che sei nuovo. Me l’ha detto tua sorella. –
  • La conosci?-
  • Chi, Angelica? Sì, bella tipa- disse senza guardarmi.
Tra noi si propagò un silenzio arido che però non sembrò d’intralcio, ma un sollievo.
- Chi sei tu?- mi chiese ancora senza guardarmi.
- Beh non lo saprai mai se non ti volti. Che hai? Ti senti un divo?- sbraitai.
Luciano mi ficcò negli occhi il suo sguardo gelido e i suoi piccoli occhietti neri.

  • Ehi, stai calmo. Sei appena arrivato e già mi stai sul culo! È un record ragazzo , lo sai? Ti senti figo solo perché hai i soldi?- chiese.
Scossi la testa.
  • Già. Senti mi hai già rotto le palle, comunque, ce l’hai un cicchino?- sussurrò.
Scossi ancora la testa e quello mi dette dell’imbecille.
Si allontanò sotto il sole incessante, con le mani ficcate in tasca.
Percorsi tutto il molo velocemente fino a cercarmi un posto all’ombra, un piccolo parco poco curato con l’originalissima vista sul mare.
Mi sedetti su una panchina dietro alla statua rovinata e muschiosa di un marinaio a caso e finii la soda.
Passò una lunga mezz’ora di riflessione, e quantomeno mamma avrebbe cessato di pensare che fossi asociale.
Urlai e lanciai la lattina giù per la discesa che portava alla statale, sperando che nessuno passasse di lì.
Ero là che pensavo ai rimorsi se avessi ucciso qualcuno con la lattina quando qualcosa di forte mi picchiò sulla nuca.
Poco distante da me, dopo avermi colpito, rotolò un pallone da calcio logoro .

  • Ma che cazz…?-
  • Manuel sei uno schifo come portiere! Ce ne cercheremo un altro!- sbraitò la voce di una ragazza su per la salita dietro la statua del marinaio, sormontata dai cespugli.
Era Isabella , la riconobbi subito .
Scendeva veloce per la discesa nelle sue scarpe da ginnastica e la maglietta lunga; i capelli sciolti le ricadevano sul viso rosso mentre avanzava verso di me.
Non pensai che fosse fascinosa, ma mi piacevano i suoi capelli.
Raccolsi la palla.
Da dietro i cespugli uscì anche un altro ragazzo dai capelli brizzolati castani, certamente della sua età con dei grossi guantoni dorati alle mani e i pantaloni bianchi.
Beh, almeno immagino che una volta fossero bianchi.

  • Scusaci amico! Faccio schifo come portiere!- urlò lui scendendo .
Isabella si guardò indietro imbarazzata e poi mi sorrise sgranando gli occhi.
  • Ehi Manuel! Vieni a vedere! È proprio vero che chi non muore si rivede! È il tizio del bar!-
Sentendomi apostrofare così mi venne un’improvvisa voglia di tirarle il pallone in faccia, ma lo tenni stretto tra le mani, fissandola.
  • Piacere io sono Isabella ! – disse porgendomi una mano graffiata.
  • Diego- dissi io stringendola.
Manuel arrivò dopo poco.
  • Ciao tu! Sono Manuel . Che combini qua?- chiese intercettando uno sguardo di Isabella.
  • Ci vivo.-
  • Scusaci, non ti abbiamo mai visto! In posti come questo è facile accorgersi dei nuovi - disse Isabella.
  • Sono stato in casa per molto-
Passò un lungo istante di silenzio nel quale nessuno sapeva quali parole utilizzare.
Restituii silenziosamente il pallone a Manuel e fu di nuovo Isabella a parlare.

  •  Che ne pensi dell’isola?-
Isabella stava evidentemente cercando qualsiasi argomento a cui aggrapparsi per non farmi andare via.
  • Umh…è umida. Ed è tutto appiccicoso- dissi io.
Isabella rise e Manuel le diede due pacche sulla spalla per dirle di smetterla.
  • Beh, a questo c’è rimedio, basta uscire fuori con una buona crema idratante!-
Feci due conti rapidi con me stesso.
  • Ma non toglie il problema. Così sarò appiccicato di crema!- sbraitai.
  • Beh, questo dipende solo dai punti di vista, preferisci essere appiccicoso di crema profumata o di sudore?- sorrise lei.

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