Conti in sospeso

di Heresiae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


PREMESSA:
In un attacco di nostalgia e crisi creativa, ho deciso di riesumare la seconda fanfic che scrissi a diciassette anni, quando la mia testa era ancora intasata di anime, film e telefilm americani.
Ci sono elementi più che scontati qua dentro e sicuramente già visti su qualche teleschermo, ma forse vi farà ridere senza farvi venire la nausea per la grammatica visto che la sto correggendo.
I commenti sono graditi, le critiche anche. Buona lettura, amanti di CH e non.






PROLOGO


Svizzera, 10.06 Briga


La mattinata era calma e serena. Il sole splendeva in un cielo terso e senza nuvole, facendo sembrare le montagne circostanti un immenso quadro ad olio. La cittadina, arroccata per metà sul fianco di un monte, era splendida: il piccolo centro storico della città, completamente in granito e pietra locale, era pulito e addobbato a primavera; la tonalità chiara delle stradine rifatte da poco contrastava piacevolmente con quella più scura e antica dei palazzi e delle piccole abitazioni; grossi vasi rigurgitavano di fiori morbidi dai colori sgargianti, le tende dei negozi di allungavano pigramente davanti agli ingressi e la gente passeggiava tranquillamente, senza troppi schiamazzi, godendosi la bella giornata domenicale. Perfino i turisti italiani erano disciplinati e tranquilli. Posta a pochi chilometri da una cittadina italiana di pari bellezza, ma meno ben tenuta, sembrava di stare su un altro pianeta. Per fortuna era solo un altro stato.
La strada in salita sembrava stranamente la più frequentata, ma c’era un motivo valido. La mulattiera portava al castello Stockalper*, che in quel periodo ospitava una mostra sulla storia del Traforo del Sempione, che aveva attirato storici, appassionati, professori con classi al seguito, famiglie e curiosi. Non era un grande avvenimento, ma era una di quelle cose che permettono di passare un pomeriggio non troppo noioso e aggiungere qualche informazione in più all’archivio ‘posto in cui sono nato e vivo’.
Il castello sorgeva proprio su uno strapiombo sopra la parte moderna della città, che ospitava anche un bel giardino da cui si poteva ammirare tutto il paesaggio circostante. In mezzo al verde e alle panchine in sasso, c’erano diverse persone, per lo più turisti e famigliole, in attesa della loro guida o dello stimolo necessario per avviarsi a pranzo. tra di loro c’era una persona solitaria, apparentemente persa ad osservare il panorama della piana sottostante. Era seduto con non curanza sul basso cornicione in sasso e con altrettanta non curanza fumava un sigaretta. Vestito con un completo beige un po’ sgualcito, la cui giacca era accanto a lui, e una camicia bianca non più freschissima appariva come uno di quei professori che fanno girare la testa alle studentesse universitarie fin dal loro primo ingresso in aula, o un giornalista annoiato, ma con lo stesso risultato. Due ragazze all’incirca sui vent’anni gli passarono accanto chiacchierando allegramente mentre raggiungevano la loro comitiva, una di loro gli lanciò un’occhiata di approvazione che fece sorridere l’uomo all’indirizzo del paesaggio. Anche se quasi cinquantenne e con i capelli un po’ grigi sulle tempie riusciva ancora a fare la sua figura.
La comitiva scolaresca fu raggiunta dalla loro guida e un po’ di chiacchiericcio scomparve, per riapparire subito dopo dall’arrivo di una comitiva che aveva appena finito il suo giro; la sigaretta finì. Pochi secondi dopo un altro uomo si mise ad osservare il paesaggio davanti a lui, a fianco del primo. Era molto più giovane e il contrasto era evidente: biondo e un fisico che la maglietta scura che aveva addosso non nascondeva minimamente, sembrava surclassare quasi tutti i maschi presenti. Quasi. Le studentesse universitarie continuavano a guardare il più vecchio. Le ragazze più giovani sbavano verso il biondo. I ragazzi sbuffavano e basta.
I due rimasero in silenzio per qualche minuto, poi il più vecchio prese la parola senza neanche guardarlo.
- Allora?
- Accetto. Sarò sicuramente un incarico divertente.
Il tono troppo spensierato dell’uomo più giovane irritò il più vecchio, che serrò la mascella.
- Non vorrei demolire troppo le tue aspettative, ma non sarà un gioco semplice da vincere.
- Sarà. È pur sempre un uomo e un uomo prima o poi cade in trappola. Se poi le sue informazioni sono corrette non dovrebbe essere troppo difficile farlo cadere in trappola, anzi potrebbe essere fin troppo facile.
L’uomo fece un gesto come per troncare la discussione, non intendeva portare avanti un dibattito di quel genere.
- Allora siamo d’accordo. I termini del contratto rimangono quelli che abbiamo stipulato insieme.
- Perfetto.
L’uomo coi capelli neri si alzò da muretto al quale si era appoggiato e fissò la sua immagine riflessa negli occhiali da sole dell’uomo di fronte a lui: gli occhi verdi del più vecchio assunsero un’aria gelida mentre sibilava l’ultima frase.
- Voglio vedere il suo cuore strappato dal petto.
Senza aggiungere altro, prese la giacca e se la mise con noncuranza voltandosi per raggiungere l’uscita del giardino. L’altro uomo si tolse gli occhiali da sole rivelando un paio d’occhi chiarissimi e rimase ad osservare rapito il paesaggio, poi la sua espressione divenne gelida e le labbra di atteggiarono a un ghignò malefico.
- Preparati City Hunter, la tua leggenda ha i giorni contati. Questa partita sarà l'ultima che giocherai.-



CAPITOLO 1

Tokyo, 13.24

Tokyo è una grande metropoli piena di vita caotica e non. Vivace e intensa, la città non smette mai di fremere di vita nemmeno di notte: per un quartiere che si addormenta ce ne è sempre uno che si sveglia. Forse solo nelle ore di passaggio dal giorno alla notte la vita sembra rallentare quel tanto che basta per prendere fiato, ma come l’ora passa, ecco la gente invadere di nuovo le strade, i negozi aprirsi verso una folla agitata e gli uffici riempirsi di personale indaffarato. Tutti sono svegli e attivi e tutti svolgono la loro professione con frenesia.
Peccato che questo non valga per una persona.
- RYOOOOO!!!!- appunto - Vuoi svegliarti! È l’una passata!
Dalla porta di una camera che sembra essere stata sede di una violenta battaglia, una donna dai capelli corti e le mani sui fianchi lanciava occhiate omicide al groviglio di coperte sul letto al centro della stanza, dal quale provenne un lamento sofferente.
- Aaahh! Kaori che vuoi? Lasciami dormire.
La voce della donna, già alta di suo, era salita di un’altra ottava a causa dell’arrabbiatura e la si poteva sentire tranquillamente anche dalla strada, nonostante i sei piani di altezza e le finestre chiuse. Ma a Shinjuku era la normalità, gli abitanti ormai si preoccupavano solo quando non la sentivano.
- No che non ti lascio dormire, è tardi, ed è ora che ti alzi.
Detto questo avanzò a passo deciso dentro la camera e aprì le tende. Poi si accostò al letto, e senza troppi complimenti tirò via le coperte, lasciando un povero Ryo completamente nudo e indifeso esposto alla luce del sole. Come un vampiro, Ryo si rannicchiò sul cuscino emettendo atroci lamenti agonizzanti.
- Aaahh! Vuoi lasciarmi in pace!! Stavo facendo un sogno stupendo!!-
Qualcosa gli atterrò in pieno viso, quando lo levò vide che erano i suoi boxer. Una Kaori più che paonazza lo fissava con la stessa espressione furiosa.
- Si, me li immagino i tuoi sogni stupendi. Muoviti pelandrone, dobbiamo essere da Miki tra un’ora. Non voglio arrivare tardi per colpa tua.
- Si… si… ora mi alzo…
Il tempo perché le parole appena giunte al cervello assumessero un significato concreto a livello cosciente e i lineamenti di Ryo cambiarono all’improvviso, assumendo la solita espressione a pesce lesso, altrimenti ribattezzata ‘maniaco’.
Kaori lo squadrò sospettosa.
- Che ti prende ora?
- Hai detto Miki?
- S-si.
Ryo balzò letteralmente dal letto senza nemmeno essersi infilato i boxer del tutto.
- Yahoo!! Umi non c’è! Avrò il campo libero con quella sventola di …
Un vibrante profondo ‘stonk’ risuonò fino alla strada sottostante accompagnato dal rumore di qualcosa che si schiantava di netto.
Ryo non finì mai la frase, perché un grosso martello da 100t lo spalmò sul pavimento.
- Per tua informazione Miki e Umi sono sposati! Vedi di non fare i pervertito come al tuo solito almeno con lei!
Detto questo uscì dalla stanza a passo di marcia sbattendo la porta e lasciando Ryo alle prese con il parquet della sua stanza e un martello conficcatoci dentro assieme alla sua testa.
“Quel maniaco deficiente! Mai una volta che si smentisca! Ma se ci prova un’altra volta con Miki io…”. E si lanciò in una serie di imprecazioni, epiteti e definizioni di torture cinesi che di addicevano molto poco all’immagine di una ragazza e che continuarono fino alla discesa fin troppo allegra del (miracolosamente ripresosi) soggetto di tale sfuriata.
- Allora Kaori, andiamo?

Qualche minuto dopo Ryo e Kaori sedevano al bancone del Cat’s Eye in attesa dell’arrivo di Saeko. Kaori aveva una faccia molto scura e sorseggiava il suo caffè con l’espressione di chi ha appena avuto un attacco d’ulcera. Miki asciugava i bicchieri dietro al bancone, stando ben attenta a non dire niente che potesse scatenare sul serio un attacco d’ulcera alla sua amica. Nel caso non si fosse capito Kaori non era molto contenta di dover incontrare Saeko e questo perché doveva affidargli un incarico. Come tutti gli incarichi che Saeko aveva affibbiato a loro, in buona fede e non, Kaori sentiva che sarebbe finita con loro che portavano a termine incarichi dieci volte più pericolosi di quello promesso e un bel po’ di macerie. Purtroppo la sweeper non aveva scelta: le bollette erano già scadute da tre settimane ed era già arrivato il secondo sollecito di pagamento, generalmente detto ‘ultimatum’. Il frigo era vuoto già da due giorni, non che prima fosse pieno, ma se non altro potevano ancora fare colazione. Ryo aveva declinato tutti i casi (due) che non coinvolgevano belle donne a cui chiedere il pagamento in natura e Kaori non era riuscita a dissuaderlo. Lo spettro della miseria bussava alla loro porta e Saeko ne aveva abilmente approfittato, promettendo un pagamento in contanti (e anticipato) per il suo incarico. Kaori aveva capitolato.
Indecisa se dire a meno che il loro cliente era Saeko, Kaori aveva preferito tacere, anche perché la poliziotta era stata molto chiara, o soldi o mokkori; in più dovevano annullare tutte le botte arretrati, visto che li avrebbe pagati più del dovuto. A una prospettiva del genere Kaori dubitava che Ryo avrebbe accettato, anche se era Saeko che lo chiedeva.
In netto contrasto con Kaori, l’espressione di Ryo era raggiante: canticchiava tra se allegramente e si portava addosso un’espressione da bambino felice che irritava profondamente la sua socia. Negli ultimi giorni era stato molto depresso, perché nessuna bella donna aveva bussato alla sua porta bisognosa di aiuto e affetto e perché le ragazze libere che passeggiavano da sole era molto scarse negli ultimi tempi. Però quel giorno avrebbe potuto rifarsi: Kaori aveva cercato di nasconderglielo, ma lui aveva sbirciato nella sua agenda e aveva visto che la bella poliziotta stava arrivando per affidargli un incarico. Ryo le avrebbe chiesto la solita botta in cambio, più tutti gli arretrati, compresi d’interessi.
Solo per questo ed esclusivo motivo se ne stava tutto tranquillo seduto al bancone, canticchiando allegramente senza degnare Miki di uno sguardo. Saeko era vicina.
Miki e Kaori lo guardarono: la prima perplessa e cauta, la seconda con rassegnazione.
- Di, non è che Ryo sta male, vero?
- Fino a stamattina stava benissimo, soprattutto a sentire il tuo nome.
- Che cosa gli è preso allora?
- Mah, e chi lo sa. Non so cosa mi preoccupa di più. Se la sua espressione o il fatto che non ti guardi.
Miki e Kaori si guardarono un attimo colte da un pensiero improvviso, poi abbassarono la testa sospirando mormorando all’unisono:
- Ha saputo che sta arrivando Saeko.-
Uno scampanellio annunciò l’entrata dell’oggetto dei desideri di Ryo, sfoderando il suo sorriso sicuro e seducente.
- Buon giorno a tutti.-
- Yahoo! Ciao Saeko dolcezza! Come sta…-
Ryo si tuffò all’indirizzo di Saeko… tuffo che terminò bruscamente a mezz’aria.
Kaori, con un’agilità impressionate per una sull’orlo di una crisi di nervi, aveva afferrato un martello e con un colpo da maestro aveva rimandato Ryo nella direzione in cui era arrivato, facendolo sbattere nel muro dietro al bancone. Saeko, per nulla impressionata, andò a raggiungere le ragazze.
- Vedo che oggi siete belli carichi eh?-
Il mugugno di Kaori, l’imbarazzo di Miki e un Ryo riemergente dal muro antistante, salutarono l’arrivo della donna.

Pochi minuti dopo, sedevano tutti e tre al bancone con davanti le tazze fumanti. Miki, molto preoccupata per lo stato di salute dell’amica, aveva preparato a Kaori una camomilla, che la ragazza rimestava scura in volto.
- Allora, qual è il caso che devi proporci?-
- Non c’è bisogno che mostri così tanto entusiasmo Kaori.-
La sweeper era ancora arrabbiata con Ryo per le sfuriate a distanza ravvicinata che le aveva fatto fare quel giorno e il derivante mal di stomaco. Lui dal canto suo, era al settimo cielo mentre studiava le curve di Saeko seduta accanto a lui, completamente dimentico della testa fasciata e del naso ancora tumefatto.
- Si tratta di proteggere una ragazzina di quattordici anni. La sorella è una giornalista che ha intenzione di svelare alcuni dei segreti di un importante uomo politico che da tempo sospettiamo implicato con la mafia.
Così semplice?
- Quindi noi dovremo proteggere la ragazzina?- Kaori, al pensiero che con loro non avrebbe abitato nessuna bella sventola tutte curve, aveva ripreso un po’ della sua espressione serena ma senza farsi troppe illusioni, sicuramente c’era dell’altro; Ryo al contrario, si era subito incupito.
- Esattamente. Alla donna ci ha già pensato la polizia, o meglio, il suo ragazzo, che è uno dei nostri migliori agenti.-
Crudele la vita, con una sola frase Saeko cancello a Ryo la possibilità di farsi pagare in natura una volta di più.
- Bene, allora accetteremo senz’altro, non è vero Ryo?- Kaori era decisamente più sollevata.
Lo sweeper, che stava per replicare in malo modo, si blocco subito alla vista Kaori e dell’esalazione dei suoi pensieri ‘Accetta o muori’.
- Emh, ma certo.- disse senza troppo entusiasmo e sudando abbondantemente.
Saeko sorrise certa della completa disponibilità dell’uomo.

Dall’altro lato della strada in un’utilitaria verde scuro, un uomo osservava il bar con un piccolo binocolo dalle lenti schermate. C’erano solo quattro persone nel locale in quel momento: quella dietro al bancone era la proprietaria; l’altra, una donna avvenente e ben vestita non la conosceva, non era nel dossier posato sul sedile del passeggero accanto a lui; ne rimanevano solo due ed erano inconfondibili.
“Devono essere loro.”
I tre si alzarono e si diressero verso l’uscita sempre parlando tra di loro. Si affrettò a mettere via il binocolo e ad accendere il motore; prima che fossero tutti usciti lui era già partito.

Dall’espressione di Ryo, si capiva subito che il caso non gli andava a genio: si trattava di proteggere una ragazzina, che aveva una sorella più grande già impegnata e per giunta con un poliziotto; senza dubbio, non era soddisfatto.
- Bhè non parli più? Non hai detto una parola da quando siamo usciti dal bar.
Kaori lo stava fissando attendendo una risposta, ma lui si limitò a girarsi con un’aria imbronciata da bambino offeso. Kaori rimase interdetta: non aveva visto l’espressione di Ryo e non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa. Il pensiero di un incarico semplice e ben pagato aveva eliminato ogni altro pensiero nella sua mente oltre che il mal di stomaco.
- Che c’è? Qualcosa non va?
- Certo che non va!
Kaori ammutolì, il tono di Ryo era molto serio
- È questo caso che non va!
Anche Saeko si voltò all’indirizzo di Ryo con aria allarmata. Che cosa sapeva lui che era sfuggito a lei? Questa volta aveva giocato pulito.
- Questa volta Saeko mi dovrà dare anche gli interessi! Ma tu guarda! Un ragazzina mi doveva affidare, ma io…
Ryo non riuscì a finire nemmeno quella frase. Una Kaori più che furente e una Saeko soddisfatta della vendetta compiuta lo guardavano furenti.
- Sei sempre il solito maniaco, non cambi mai!-
Lo sweeper era stato letteralmente scaraventato nel marciapiedi da una Kaori rossa in viso: un grosso pupazzo bronzeo di una rosticceria gravava sulla schiena dell’uomo letteralmente incastrato nelle lastre di cemento.
- Vedi di essere più educato quando arriverà la ragazzina, altrimenti ci penserò io a metterti in riga!-
Ryo, malmenato per la terza volta in meno di due ore, preferì capitolare.
- O-obbedisco.-






*Lo Stockalper era un nobile svizzero molto ricco del Seicento, che fece una cosa piuttosto importante, come finanziare la mulattiera che da Domodossola porta a Briga.
Finanziò tantissimo anche il convento del Sacro Monte ossolano, sempre la mulattiera del percorso del calvario (doveva essere un appasionato).
Su di lui c'è una storiella che il mio professore d'italiano trovava molto divertente: arrivato a Milano lo Stockalper si accorse che il suo cavallo aveva perso un ferro e andò dal fabbro per farselo rimettere. Purtroppo non parlava molto bene l'italiano e l'uomo lo prese per uno dei poveri idioti senza molti soldi in tasca che pullulavano nella città. Lo Stockalper riuscì a insistere abbastanza per convincerlo a dare un'occhiata al suo cavallo, e il fabbro rimase letteralmente di sasso nel constatare che i tre ferri rimasti erano tutti d'argento.
Non so se sia vera o no, ma mi è sempre piaciuta.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ho dovuto cambiare il raiting alla storia perchè rileggendola mi sono accorta che non è esattamente soft. Non è al livello di un NC17 e spero che non lo diventi, riscrivendola non so mai che idee mi possono venire in mente.
Buona lettura.




CAPITOLO 2

La ragazzina arrivò nel tardo pomeriggio e la giornata di mantenne ‘tranquilla’ fino a sera. Kaori sembrava aver ritravo la sua serenità, poiché il caso non si preannunciava né troppo difficile né pericoloso (da segnare sul calendario come unico incarico di questo genere ricevuto da Saeko).
Kaori vedeva che Ryo era assolutamente rilassato e annoiato al punto che non portava sempre con se la pistola. E poi non c’erano belle donne in casa. Le sembrava di vivere nel suo sogno preferito, casi semplici e tranquilli senza lei che demolisce mezza casa per tentare di impedire a Ryo il suo famoso mokkori. Che pacchia. Purtroppo però, Ryo si annoiava sul serio, al punto che per distrarsi non faceva che stuzzicare Kaori, ottenendo il solito risultato: essere trasfigurato in una frittella su una delle superfici piane e non della casa. La cassetta del pronto soccorso cominciava a lamentare la scarsità di bende e cerotti, ma la ragazzina se la godeva un mondo e partecipava con troppo entusiasmo per i gusti di Ryo. Una volta imparato il meccanismo, riuscì a trafugare uno dei martelli di Kaori e a utilizzarlo indiscriminatamente sull’uomo con la cusa di dover fare esercizio, nel caso incontrasse un giorno un maniaco vero. Si ripromise di non farla mai conoscere a Yuka, poteva essere pericoloso.
La notte fu altrettanto tranquilla e il giorno dopo anche. A sera, i nervi di Ryo cominciarono a fumare. Per fortuna anche le ragazzine prima o poi crollano e alle dieci la loro piccola ospite se ne andò a letto.
Erano quasi le undici di sera e Ryo era disteso sul divano occupato in uno dei suo passatempi preferiti, che in genere si concentravano su certi tipi di riviste, videocassette e foto. La scelta era caduta sulle prime e con somma irritazione di Kaori esternava il suo divertimento con risatine e bava alla bocca.
- Buonasera a tutti!
Ryo piegò la testa oltre il bracciolo del divano e decise che la rivista era diventata improvvisamente obsoleta. Saltò in piedi con l’agilità di un gatto e in due balzi fu accanto alla donna appena entrata nella stanza.
- Saeko! Dolcezza, sei arrivata giusto in tempo! Il fantastico Ryo ha appena deciso di arrotondare il bilancio concedendosi alle belle donne bisognose di affetto. Dovrei farti pagare ma siccome sei la prima cliente e sei una donna speciale la prima volta sarà gratis. Forza non perdiamo tempo, andiamo di sopra e…-
Saeko sollevò la borsetta e la calò di malagrazia sulla testa di Ryo, facendolo piombare a terra con un sonoro tonfo, lasciandolo ‘leggermente’ stordito e spasmodico.
Kaori, sentendo il fracasso si affacciò dalla cucina.
- A Saeko, sei tu. -
- Ciao Kaori.-
- Tutto bene? –
- O altro che, porto belle notizie. –
- Ottimo siediti, ti preparo un caffè. –
Le due ignorarono completamente lo stato pietoso dello sweeper che si contorceva per uscire dal buco che aveva creato con la sua testa.
- Non è giusto…

Una volta seduti Saeko comunicò le ultime novità sul caso.
- Questa sera è andato in onda su rete nazionale il servizio della giornalista minacciata ed è andato tutto bene. Il politico mafioso è stato arrestato poco fa e ora si tratta solo di prendere il resto della sua organizzazione. Non prevedo grosse difficoltà per voi, sono solo dei bulli di quartiere ve la caverete con poco. Ad ogni modo porterò via la ragazza, in caso di attacco sarà meglio per voi non averla fra i piedi no? –
Kaori guardò Ryo che a sua volta guardava Saeko con un’espressione da ebete. Decisamente non era il loro genere di caso, non era mai successo che finisse tutto così bene e tranquillamente.
Saeko riprese senza badare alla loro sorpresa.
- Bene, vado a svegliarla, la porto via subito. Va bene no?
I due annuirono all’unisono. Saeko ridiscese quasi subito con la ragazzina più vispa e allegra che mai, che li salutò calorosamente dalla porta.
- Ciao ciao! Grazie di tutto, mi sono divertita tantissimo. –
- Si… pure io. – decisamente Ryo non condivideva il buon umore della piccola.
“Ma non gli si scaricano mai le batterie?!”
Poco dopo Saeko e la ragazzina erano sparite nella notte lasciando i due sweeper ancora storditi. Da quando le cose andavano così bene? Forse era paranoia, forse era semplice abitudine, ma a Kaori venne in mente il solito vecchio detto della calma e della tempesta e si senti decisamente meno tranquilla.

La lancetta lunga dell’orologio in sala si posò sul numero dodici con un secco ‘cluck’ contemporaneamente alla più piccola che si stabilizzò definitivamente sull’uno. Insomma, era l’una di notte.
Il silenzio dell’isolato era rotto solo da qualche latrato o da una macchina che passava velocemente con il volume dello stereo al massimo. Ryo era seduto alla finestra con in mano un bicchiere pieno per metà di un liquido ambrato; osservava la calma delle strade, che stranamente non venivano mai toccate dalla frenesia che abitava quelle poco più in là. Un ombra silenziosa scese le scale e lo raggiunse.
- Non riesci a dormire?-
Ryo scuote la testa piano.
- Ho solo troppe energie residue. -
- Capisco. -
Kaori si accostò di più alla finestra e guardò fuori a sua volta. Sembrava tutto molto tranquillo e non si avvertiva nemmeno l’ombra di un pericolo. Forse Ryo aveva davvero solo energie residue, ma allora perché portava la pistola alla fondina?
Due ore dopo, Ryo era ancora alla finestra. Kaori, era tornata in camera sua premurandosi di mettere la pistola sotto al cuscino: non capiva cos’era andato storto quella volta, ma non intendeva correre troppi rischi. Se Ryo portava la pistola ed era in stato di allerta, un motivo ci doveva essere.
Sempre appoggiato al davanzale, Ryo non perdeva di vista l’isolato un solo istante, mentre il bicchiere ancora pieno per metà era stranamente ignorato. Aveva tutti i sensi all’erta, anche quelli non ufficialmente riconosciuti, uno dei quali lo avvertiva che non mancava molto. Beh, quello e una telefonata che Umi gli aveva fatto nel pomeriggio, avvertendolo che c’erano strani movimenti nel quartiere e di tenere gi occhi aperti. Lo preoccupava di più il fatto che non era riuscito a dirgli nient’altro che l’avvertimento. La mancanza di informazioni può voler dire due cose: o nessuno si era premurato di approfondire oltre perché non ne valeva la pena, o nessuno aveva potuto approfondire oltre, perché chi aveva aperto le danze era più forte e furbo del previsto. Non capitava mai la prima opzione, per default si andava sempre alla seconda, la più classica, obsoleta e probabile.
Alle quattro e tre quarti però, cominciò a credere sul serio che fosse la prima opzione. Era quasi l’alba, tra meno di venti minuti il sole sarebbe sorto e nessuno fa un attentato in pieno giorno, sempre che l’attentatore non sia un folle o un idiota che non sa come gira il mondo. Stava per allentare la tensione sui muscoli dorsali, quando all’improvviso si ritrovò a terra in mezzo a un boato spaventoso che scosse tutti i muri e i pavimenti della casa. I vetri e gli infissi andarono in frantumi, i soprammobili caddero dalle mensole e un nuvola di polvere grigio bianca e densa si propagò dal piano superiore inondando quello inferiore. Ryo tossì e istintivamente si portò una mano alla bocca per respirare meno polvere possibile, mentre sentiva pezzi di intonaco e soffitto cadere pesantemente a terra. Si rimise in piedi con la pistola alla mano cercando di capire che diavolo fosse successo, quando un tonfo secco e lo schianto di legno che cede lo avvertì che qualcuno stava facendo irruzione in casa. Si appiattì sul pavimento mentre la polvere si diradava attraverso le finestre in frantumi e i primi proiettili cominciarono a volare in sua direzione. Rotolò su un lato contando quattro uomini con spesse tute e passamontagna neri, con fucili mitragliatori a tracolla, due erano entrati altri due erano vicino alla porta per il fuoco di copertura. Fece fuoco due volte abbattendo i primi due che caddero sul parquet con un tonfo. Prendendo in considerazione la possibilità di salire le scale per cercare riparo, si rese conto che la nube di polvere arriva proprio da lì.
“Kaori!”
Un colpo si piazzò a due centimetri dalla su tempia sinistra. Non era il caso di distrarsi. Guardando da dove proveniva lo sparo vide che i due a cui aveva sparato prima si erano rialzati e ora lo puntavano. Mentre si lanciava in cucina, Ryo capì che indossavano giubbotti anti proiettile. Senza fermarsi a riflettere troppo, uscì dal riparo offertogli dal muro e mirò con precisione alla testa dei due. Questa volta non si rialzarono. Un altro stava avanzando verso di lui col fucile spianato, ma Ryo fece in tempo e rotolare di nuovo al riparo dopo aver sparato una terza volta. Un tonfo gli segnalò che aveva fatto centro.
Il silenzio calò improvvisamente.
Ryo sbirciò cautamente e vide che il quarto uomo si era dileguato. Senza perdere tempo, salì velocemente le scale scavalcando i corpi dei tre. A loro avrebbe pensato dopo.
Appena sopra le scale il polverone non accennava a diminuire, la visibilità era molto ridotta e faceva molta fatica a respirare. Procedette a tastoni stando attendo a non inciampare, c’erano macerie dappertutto; le giunture della casa scricchiolavano pericolosamente, nella polvere si sentiva distintamente l’odore di bruciato e il rumore di un incendio ancora in corso; in lontananza si udivano già le sirene dei primi soccorsi. Cercando di controllare il panico che lo assaliva di secondo in secondo, arrivò di fronte alla camera di Kaori che spalancò con un calcio. Si fiondò dentro, rimanendo pietrificato subito dopo.
L’esplosione non era avvenuta da qualche parte sul tetto superiore, era avvenuta proprio accanto alla camera di Kaori. Le due pareti esterne erano quasi totalmente sparite, il pavimento era annerito e ancora in fiamme, il fumo si elevava liberamente verso l’alto, senza l’ostruzione di buona parte del soffitto, che pendeva minacciosamente verso l’interno. L’armadio era stato scaraventato verso il muro di fronte andando a schiantarsi contro il letto e ora giacevano entrambi verso la destra di Ryo, accasciati su se stessi. Ryo cercò disperatamente Kaori con gli occhi, non osava muoversi per paura che anche il pavimento potesse cedere da un momento all’altro. Finalmente un po’ di fumo si diradò e vide chiaramente una mano sbucare dalle macerie dei due mobili. Si affrettò a raggiungerla scostando pesantemente quel che rimaneva del letto e il più velocemente e delicatamente possibile la sollevò, portandola via da quella devastazione. Aveva appena varcato la soglia quando uno schianto pauroso e una nuova nube di polvere lo raggiunsero. Il soffitto era crollato.
Corse giù dalle scale e fuori dal palazzo, dove già di erano riuniti tutti gli inquilini spaventati a morte. Vedendolo uscire con Kaori in braccio e completamente ricoperto di polvere, si spaventarono ancora di più.
Si inginocchiò a terra e la osservò: il sangue le ricopriva buona parte del volto mischiandosi alla polvere che la ricopriva; Kaori tossì debolmente.
“E’ ancora viva.”
Mentre i pompieri si davano da fare per spegnere l’incendio ai piani superiori. Un paramedico lo avvistò e lo raggiunse con una barella sui cui caricarono Kaori.
- C’è ancora qualcun altro là dentro? –
Ryo, stordito, fece cenno che non lo sapeva e accompagnò Kaori all’autoambulanza. I paramendici gli impedirono di salire a bordo con lei e, dopo avergli assicurato che sarebbe andato tutto bene, schizzarono in strada. Ryo ringraziò mentalmente che a quell’ora non c’era molto traffico. Si voltò lentamente a osservare casa sua. Gli inquilini si erano radunati da una parte dello spiazzo e parlavano concitati tra loro e con uomini in uniforme. Uno di loro lo vide e gli fece un segno strano sotto l’ascella. Ryo si portò la mano al fianco e capì. “La pistola.”
Si avvicinò a una siepe ormai bianca e sotterrò la fondina nel terriccio morbido dell’aiuola poi si voltò di nuovo a guardare il palazzo in fiamme. Si sentiva completamente svuotato di ogni pensiero ed energia ma gli effetti dell’adrenalina non erano ancora svaniti. Prima di costringersi a rientrare nel mondo reale spostò lo sguardo su quella che era una volta la camera di Kaori.
“Chiunque tu sia la pagherai molto cara.”

Il giorno dopo a Shinjuku non si faceva che parlare dell’esplosione. I giornali avevano dato abbastanza rilevo alla cosa, puntando molto sulla catastrofe evitata: di tutti gli inquilini, solo una era in condizioni serie, ma non critiche in ospedale. Tutti parlavano di fuga di gas, che in realtà non era altro che il frutto delle conoscenze, del fascino e delle scollature di Saeko, che aveva permesso a Ryo di levarsi dai piedi la polizia e domande scomode. Come fosse riuscita a far passare sotto silenzio i tre cadaveri rinvenuti nel suo appartamento ancora non si sapeva, fatto sta che la pratica era finita insabbiata in chissà quale archivio e i pompieri, misteriosamente, non ne facevano cenno. Quando Mick si complimentò con lei per l’ennesima insabbiatura riuscita, oltre che per il vestito, trovò però una Saeko molto sorpresa. Quali cadaveri?
Loro però non erano gli unici ad essere a conoscenza dell’attacco diretta ai danni di Ryo; tutti i criminali e le cosche mafiose che avevano già avuto a che fare con lui, si stavano affrettando a sincerarsi che non ci fosse nessuna traccia apparente che portasse a loro. Non sapevano chi fosse l’attentatore, ma sapevano che Ryo Saeba poteva essere molto pericoloso se arrabbiato e non volevano rischiare.
In quel momento lo sweeper stava nel suo appartamento a osservare quel che rimaneva di casa sua. I piani inferiori non erano particolarmente danneggiati, solo qualche crepa di poco conto nell’intonaco, ma all’ultimo piano era un’altra faccenda. Il piano delle stanze, era come se fosse stato sventrato: il bagno era distrutto, le due camere da letto non avevano più i muri esterni e quella di Kaori nemmeno il soffitto. Travi di legno e d’acciaio erano state immediatamente poste a puntellare pareti pericolanti, e alcuni operai si affaccendavano in torno a lui. non c’era più polvere o fumo e il grosso delle macerie era stato portato via. Entro il giorno dopo avrebbero montato le impalcature esterne e i teloni per impedire la vista dalla strada.
Quella mattina era stato in ospedale fino a tardi, dopo che uno degli inquilini gli aveva concesso l’uso del bagno prima di fondarsi lì. Quand’era arrivato Kaori era appena uscita dalla sala operatoria e trasferita in terapia intensiva. L’avrebbero trasferita in un reparto nel pomeriggio. Kaori aveva riportato un commozione cerebrale ed era in stato di come reversibile. I medici assicuravano che entro qualche giorno si sarebbe svegliata da sola. Oltre a quello aveva due costole fratturate e una incrinata, più una frattura multipla al braccio sinistro.
Dopo l’ospedale un paio di agenti della questura gli si erano appiccicati addosso prima che Saeko riuscisse a prendere in mano la situazione, per fortuna aveva dovuto sopportarli solo mezz’ora. Poi però erano arrivati i giornalisti.
Aveva pranzato velocemente a un chiosco mentre faceva il giro dei suoi informatori abituali e non, ricavandone poco e niente. Qualcuno lo aveva preso di mira, non si sapeva chi era. Questo era tutto quel che riuscivano a dirgli.
Decise che avrebbe aspettato il ritorno di Umi da Okinawa dove si era recato senza dire che diavolo ci doveva fare. Ryo lo aveva preso in giro per tre ore dicendo che andava a spassarsela con l’amante prima che un Umibozu rosso in viso e furioso lo schiacciasse con uno dei tavolini del bar. Era proprio curioso di vedere se aveva raccolto altre informazioni. In fondo era stato il primo ad avvertirlo.
Scese in sala e da una delle finestre vide la fuoriserie rossa di Saeko arrivare velocemente e parcheggiare con un gran stridore di gomme. Le andò incontro e la condusse al poligono di tiro, l’unico posto dove non si sentiva né l’odore di bruciato, né il rumore dei lavori in corso.
- Allora?-
- Mi spiace Ryo, nessuna video camera dei dintorni ha visto tizi sospetti o furgoni non immatricolati o sospetti passare per le vie vicine. Non c’è nessun testimone e non sono stati ritrovati componenti della bomba, probabilmente sono stati portati via con le macerie o sparsi in piccoli pezzi qui intorno.
- Nessuna idea nemmeno per l’esplosivo?-
- No, mi dispiace. -
Ryo si appoggiò al muro e chiuse gli occhi assaporando la tranquillità che regnava in quel luogo. Saeko lo osservò: aveva le occhiaie spesse e i lineamenti tirati, era più che visibile che era stanco morto. Una volta scomparso l’effetto dell’adrenalina, Ryo aveva dovuto fare i conti con i lividi e le escoriazioni prodotte dal contraccolpo dell’esplosione oltre che con lo stress psicologico. Gli erano stati addosso per più di mezza giornata e nella restante mezza lui era stato addosso a mezza Shinjuku. E Kaori era all’ospedale.
Saeko non riusciva a capire chi era stato così in gamba da piazzare una bomba proprio sotto al naso di Ryo. Era più che evidente che era un professionista e lo aveva studiato per bene, attaccando Kaori per prima, si era assicurato un notevole vantaggio: Ryo era stanco, preoccupato e furioso. Un combinazione non esattamente efficacie in un scontro. La prima mossa l’aveva vinta l’altro.
Saeko era preoccupata per lo sguardo che gli leggeva negli occhi, l’ultima volta che l’aveva visto aveva visto, lo sweeper aveva riempito metà dell’obitorio alla questura. Non aveva idea di che cosa avrebbe fatto, ma se avrebbe deciso di non usare mezze misure non era sicura di riuscire a far passare tutto sotto silenzio e la scia di cadaveri che si sarebbe lasciato dietro sarebbe stata tropo lunga per poterla insabbiare. Decise che avrebbe incontrato Umibozu per prima, decidendo insieme cosa e quanto dirgli. Doveva impedire alla follia omicida di Ryo di scatenarsi, o sarebbero stati guai per tutti.

Dall’altro lato del marciapiede, un uomo era seduto su una panchina alla fermata del bus, leggendo un giornale. Era un bell’uomo, ben vestito e chiaramente non giapponese, ma lui sembrava non farci molto caso. A un certo punto si alzò e rivolse alla palazzina in rovina un sorriso molto compiaciuto. Tese una mano verso la strada e una macchina verde scuro gli si affiancò. Salì e scomparve nel traffico senza smettere di sorridere.


I tre giorni successivi furono relativamente tranquilli. Kaori continuava a restare in stato di incoscienza, ma i medici assicuravano che le sue condizioni miglioravano di giorno in giorno. Ryo continuava a cercare informazioni in ogni angolo di Shinjuku e aveva cominciato anche a chiedere nel resto di Tokyo aiutato da Reika. Saeko e Umi si erano messi d’accordo e ora studiavano con calma il modo per tenerlo a bada fino a quando non avesse sbollito almeno un po’. Il giorno in cui Umibozu era tornato Ryo si era presentato da lui con uno sguardo piuttosto allucinato che l’aveva convinto definitivamente a non dirgli tutto. Ryo se n’era accorto e dopo una violenta litigata con i due era uscito dal bar sbattendo violentemente la porta, che si infranse.
- Accidenti.- mormorò Miki osservando i frammenti di vetro. - Ma siete proprio sicuri di fare bene a nasconderglielo?-
Saeko e Umi annuirono pensosamente.
- Non siamo sicuri dell’informazione. Se ci sbagliassimo, Ryo potrebbe finire in guai davvero seri stavolta.-
- E a quel punto nemmeno io potrei fare qualcosa per aiutarlo.-


Avevano ragione a temere per le sue reazioni. Da quando l’appartamento era esploso era andato in giro come una tigre furiosa, estorcendo informazioni a chi non glie ne voleva dare, irrompendo nelle sedi dei clan mafiosi e aveva anche apostrofato in malo modo una delle spogliarelliste che lo aveva invitato al suo show. Il nervoso per la mancanza di informazioni era appesantito dall’ansia per la salute di Kaori e la speranza che Doc fosse venuto a conoscenza dei fatti e decidesse di tornare prima. Il vecchietto era partito per una serie di seminari sulle nuove tecnologie che si teneva in Europa e che sarebbe terminato solo di lì a una settimana. A dire il vero sia lui che Mick avevano il fondato sospetto che fosse una scusa per avere tutta per se la sua bella assistente, che da quando stava con Mick non viveva più sotto al suo stesso tetto. E il sospetto era più che fondato.
Ora si dirigeva a passo spedito verso la sua ultima speranza, sperando che Umibozu non fosse l’unico custode dell’informazione che gli negava.
Il bar di Master era strapieno come al solito e il proprietario lo attendeva per due motivi, uno dei quali erano due delinquenti che stavano minacciando le ragazze e tutti i clienti con una pistola e un coltello, per ottenere l’incasso della giornata. Purtroppo per loro Ryo era di cattivo umore. Si avvicinò noncurante a uno dei due che gli voltava le spalle e sventolava il coltello davanti al viso di una cameriera.
- Allora, che succede qui? C’è una festa e nessuno mi ha invitato?-
I due si girarono all’unisono. Avevano il viso semicoperto da delle mascherine da chirurgo e i folti capelli racchiusi in quello che sembrava una confezione intera di gel, ma senza il contenitore.
- Ehi amico, fatti i fatti tuo se non vuoi che ti rovini quel tuo bel faccino.-
Detto questo gli punto il coltello proprio sotto il mento. Ryo non fece una piega, si limitò ad afferrare il braccio dell’uomo che gli stava davanti, sollevarglielo e costringerlo a una torsione in modo che si girasse con la schiena verso di lui. L’uomo mollò la ragazza che corse dietro a Ryo. Uno schiocco secco annunciò l’avvenuto rottura dell’osso. Ryo lasciò il primo a contorcersi sul pavimento e si diresse verso l’altro che gli puntava addosso la pistola.
- Bastardo! Ora ti ammazzo!-
Senza farsi impressionare Ryo calciò la mano dell’uomo che schizzò in alto. Il colpo partì ma l’unica vittima fu un lampadario che si infranse sopra una coppietta atterrita. Prima che il delinquente potesse reagire Ryo gli sferrò un pugno allo stomaco che lo piegò in due e poi un altro alla mascella, mettendolo definitivamente ko.
Senza dire né fare nient’altro, si diresse al suo solito tavolo seguito poco dopo da Master che cominciò a pulire il tavolo porgendogli un menù ben nutrito.
- Bene bene, cosa c’è di buono oggi?
Ryo si immerse nella lettura. Master si allontanò e tornò poco dopo con un pacchetto di sigarette che offrì a Ryo, che accettò senza distogliere lo sguardo dal menù.
Qualche minuto dopo alzò gli occhi e incrociò lo sguardo di Master.
- Allora, chi è?-
- Presumibilmente, l’uomo che ha cercato di fare fuori te e la tua socia.-
Così era quello che Umi e Saeko avevano cercato di nascondergli.
- Non ci sono foto. –
- E’ un tipo che non ama essere ripreso.
- Sai perché l’ha fatto? –
Master si strinse nelle spalle e fece un cenno a una graziosa cameriera in topless che arrivò quasi subito portando due drink sul vassoio. Ryo l’ammirò fino a quando non scomparve dietro al banco.
- E chi lo sa! Forse gli hai pestato i piedi, forse vuole solo un po’ di gloria, forse è stato assoldato. Ha una buona organizzazione con rami e filiali in tutto il mondo, anche qui, quindi tutte e tre le opzioni sono valide.
Ryo espirò lentamente il fumo guardando pensieroso il soffitto.
- Pubblicità, ingaggio, vendetta… niente di nuovo insomma. –
Master non disse niente, finì il suo drink e fissò Ryo.
- Questo è tutto ciò che potrai ricavare dalla strada, un’organizzazione potente, un capo avvolto nel mistero e nessun movente valido. Sono molto bravi a nascondere le proprie tracce, io e gli altri al momento non siamo in grado di fornirti di più. –
Ryo spostò la sua attenzione dal soffitto a Master.
- Problemi? –
- Niente di che, è solo il cambio dei tempi, noi vecchi siamo obsoleti. Ti tocca aggiornarti Ryo. –
Master gli rivolse un largo sorriso che non piacque molto a Ryo. Sapeva dove voleva andare a parare, i suoi vecchi informatori erano bravi su scala locale, su quella internazionale erano stati battuti dalla nuova generazione. Peccato che a parte Doc che non era sempre reperibile negli ultimi tempi, lui non ne avesse ancora trovato uno e Master lo sapeva.
- E sentiamo, dove o trovo qualcuno in grado di aiutarmi? –
Il sorriso di Master si fece ancora più largo.
- Vai al parcheggio dei tassisti dietro alla stazione ovest e comincia a chiedere di Akira. Digli che ti mando io, capirà al volo. –
- Sicuro che ci si può fidare? –
- Vorrei dire, è mio nipote. –



* Causa mia incompetenza, non sono mai riuscita a capire bene l'architettura della casa di Ryo, perciò mi sono basata su quella più semplice dell'anime.




Angolo recensioni
Strano ma vero mi leggono, sono molto contenta XD

Mistral: Ciao Mistral, grazie per la recensione, sono contenta che ti piaccia. Spero che i capitoli successivi siano all'altezza delle tue aspettative, la sto praticamente riscrivendo.
Ciau ^^

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

A lato della stazione di Shinjuku ovest, c’era una grosso spiazzo diviso in sezione in cui parcheggiavano i tassisti in attesa di clienti. Ryo ci era venuto spesso dopo che aveva cominciato a lavorare con Maki, che aveva un informatore che lavorava come tassista. Qualche tempo dopo l’uomo era rimasto ucciso in uno scontro a fuoco tra bande rivali e non ci era più tornato. Gli faceva uno strano effetto al pensiero di dover tornare in quel posto a cercare un informatore, aveva il sapore dei bei vecchi tempi andati. Quando svoltò l’angolo però, ci trovò ben poco dei bei vecchi tempi andati.
L’area, che un tempo era un piccolo spiazzo mal concio in cui i tassisti delle diverse compagnie si spartivano l’area in un comune tacito accordo, era ora un’ampia zona suddivisa da regolari strisce colorate con tanto di cartello indicativo della compagnia. I taxi erano tutti tirati a lucido ed erano tutte auto uscite negli ultimi due anni. Inoltre, non ce n’era uno che non indossasse una divisa ben stirata e inamidata. Non che prima non le indossassero, la mania giapponese dell’ordine e delle divise non lo permetteva, ma alcune compagnie minori lasciavano molta liberta ai dipendenti in quanto gli abiti da lavoro e loro se la prendevano.
Ryo cominciò a guardarsi attorno, Master gli aveva detto che suo nipote era un lavoratore indipendente, uno dei pochi perciò si diresse verso l’area del parcheggio delimitata in blu, e chiese al primo tassista in attesa davanti agli altri. Il taxi di Akira era l’ultima della fila, ma lui non c’era.
L’auto non era chiusa a chiave ma non ce n’era bisogno, c’era sempre qualcuno presente a controllare i taxi. La osservò per bene: era una bella Bmw blu scura a cinque porte con gli interni grigi; in perfetto stato sia dentro che fuori, non era addobbata con nessun oggetto personale in particolare, se si eccettuava il portachiavi con un kaoani a vampiro sopra al cruscotto. La licenza era appesa sia davanti che dietro ai sedili dei passeggeri.
- Ti serve qualcosa amico? –
Un ragazzo poco più basso di Ryo, coi capelli corti, la pelle molto abbronzata e un completo in tinta con la macchina, gli stava alle spalle con in mano un grosso pacco imballato e un sorriso aperto sul viso.
- Se cerchi un taxi devi andare in cima alla fila, io sono l’ultimo e poi ho una consegna da fare. –
Detto questo fece il giro e aprì il portatagli sistemando con cura il pacco che non era contrassegnato.
- Veramente cercavo un tassista. –
- A si? E per che cosa? –
Ryo si appoggiò con noncuranza al taxi mentre il ragazzo continuava a trafficare nel bagagliaio.
- Bella macchina. –
- Grazie, lo so. –
- Come hai fatto a permettertela, avrai al massimo ventitre anni. –
- Venticinque. –
Il ragazzo chiuse con uno scatto il bagagliaio.
- È il regalo di fine corso dei miei. –
- Corso? –
- Mi sono laureato in informatica due anni fa. –
Il ragazzo fece un gran sorriso che metteva in mostra un chiostra di denti candida e regolare ma si adombrò quasi subito, evidentemente stufo dell’uomo che gli stava di fronte e desideroso di fare la sua consegna.
- Dimmi che cosa vuoi o sparisci, ho da fare io. –
Si avvicinò per scostarlo dallo sportello.
- Te l’ho detto, cerco un tassista. –
- Beh, ce l’avrà un nome questo tassista. –
- Si chiama Akira e dovrebbe essere uno che sa un po' di cose. –
Il ragazzo fissò stralunato lo sguardo divertito di Ryo.
- Ma chi ti manda? –
- A occhio e croce tuo zio. Avete le stesse orecchie a sventola e naso a patata. –
Il ragazzo ci mise qualche secondo a formulare le informazioni che gli venivano date, poi senza preavviso gli diede una gran pacca sulla schiena ridendo.
- Ah! Ma certo! Tu sei Ryo, mio zio mi aveva detto che sei uno a cui piace prendere in giro la gente! –
Ryo era rimasto sorpreso dalla forza del ragazzo e cercò di non massaggiarsi la spalla. Ma come diavolo faceva quel lattante ad avere così tante energie, stava tutto il giorno in macchina!
- Ah… davvero? –
- Sicuro. Salta su che andiamo a farci un giro. Ho una consegna da fare. –
- Lo so, lo so.–

Ryo si godeva il viaggio sulla comodissima e silenziosissima berlina, mentre Akira dava un’occhiata ai fogli che Ryo aveva avuto da Master. Essendo abituato alla guida di Kaori non lo impensieriva più di tanto il fatto che il ragazzo non sembrava minimamente guardare la strada.
- A si, questa famosa e fantomatica organizzazione di cui non sa niente nessuno… pare che ultimamente siano tutte interessate al Giappone. –
- E come mai? –
- Beh sai com’è, alcuni clan mafiosi hanno deciso di aprirsi di più al commercio internazionale e ovviamente gli stranieri hanno deciso di non farsi scappare l’occasione. –
- Simpatici. –
- Mh… -
Akira getto il fascicolo con non curanza sul sedile di dietro e mise la freccia per uscire dalla tangenziale, due minuti dopo scese davanti agli uffici di un magazzino, consegnò il pacco e ripartirono.
- Allora, immagino tu voglia vita, morte e miracoli di sti tizi. –
Ryo annuì.
- In particolare il loro capo, i pesci piccoli mi interessano poco. –
- Come vuoi. –
- Puoi sul serio farlo? –
Ryo osservò scettico quello che per lui era un ragazzino. Lui era abituato a uomini maturi e ben piazzati, quel ranocchietto gracile non gli dava molta sicurezza. Akira, intuendo i suoi pensieri sorrise beffardo e poi fece un’espressione sicura di se.
- Sicuro! Ora andiamo a mettere a nanna questa bellezza e ti porto da altri due personaggi in gamba che ti troveranno tutto quello che vuoi. –
- Ma non eri tu l’informatore? –
- Si, ma oggi è il mio giorno libero. –
-Ma tu senti. -
Akira entrò in tangenziale per uscirne qualche metro dopo: erano dalla parte opposta di Shinjuku in uno dei quartieri residenziali per persone con una certa disponibilità di denaro. Svoltarono nel vialetto di una bella casa a due piani molto ampia ed entrarono in un garage sotterraneo. Oltre a loro c’erano un’utilitaria verde e un mezzo che attirò immediatamente le attenzioni dello sweeper. Un Chevy Pick Up del ’54 era parcheggiato proprio accanto a loro. Era azzurro molto chiaro sul muso e sfumava gradualmente in blu sul cassone, ma lui e la verniciatura non erano gli unici tratti caratteristici: il cofano era occupato da una serigrafia di un’onda impetuosa e schiumeggiante e il cassone portava dei doppi sostegni metallici lineari. Ecco spiegato il motivo dell’abbronzatura, il ragazzo era un surfista.
Pur non piacendogli particolarmente quel tipo di decorazioni, Ryo non poté fare a meno di continuare ad osservarla mentre scendeva dall’auto.
- Ti piace eh? –
- È tua quella meraviglia. –
Il ragazzo diede un colpetto affettuoso sul cofano del pick up.
- Esatto. –
- Dove diamine l’hai trovato? –
- Da uno sfascia carrozze. Non sapeva nemmeno lui come ci fosse finito nel suo cortile. L’ho preso, ho rimesso insieme il motore, la carrozzeria e gli ho fatto dare l’ultimo tocca a un genio delle serigrafie che surfa con me. Ci ho messo quasi un anno solo ad avere tutti i pezzi del motore, ma ne è valsa la pena.
Aveva un’espressione talmente tanto orgogliosa che si sarebbe quasi potuto credere che l’avesse dovuto partorire.
- Guardalo pure ma non sciuparmelo. Io mi cambio e torno. –
Fece l’occhiolino a Ryo e sparì su per delle scale in cemento.
Ryo fece il giro del pick up ammirandone le forse e l’immagine. Guardando meglio notò che tra le onde si poteva intravedere il muso di un dragone. Sorrise all’abilità dell’artista.
Dei rumori rapidi di passi lo fecero voltare. Akira era tornato e ora indossava una camicia larga e sgargiante con motivi indiani e dei calzoni di jeans corti, lasciavano esposti i muscoli delle braccia e delle gambe. “Ecco spiegata la forza.”
- Andiamo? –
L’interno era completamente diverso dalla Bmw; se la prima era settica e spoglia, il secondo era l’immagine di Akira. Calamite di manga, surfisti e gruppi rock denotava i gusti di Akira, Ryo non sapeva cosa aspettarsi dall’impianto stereo quando l’avrebbe accesso. Il rombo possente dell’accensione, un po’ troppo in contrasto con il pick up, lo fecero sorridere di nuovo.
- Non ti hanno mai beccato? –
- Beh, quando fai un certo tipo di lavoro cominci ad avere conoscenze un po’ ovunque. Tieniti forte che partiamo. –
E partirono. Ryo si maledì per non essersi messo la cintura di sicurezza.
Akira guidava il grosso pick up nella stessa maniera con cui la sua socia faceva schizzare la mini in mezzo al traffico nell’ora di punta, ma quella era una mini e quello su cui era ora era un grosso pick up di cinquant’anni suonati. L’effetto era un po’ diverso.
Era già sera e si stava facendo buio, le luci cominciarono ad accendersi e i locali a luci rosse a mettersi più in vista. La notte stava prendendo possesso della città.
In pochi minuti raggiunsero il lato opposto del quartiere a qualche isolato di distanza dall’appartamento di Ryo. Akira parcheggiò con abilità dentro a un vicolo stretto da cui proveniva un suono sordo e ritmato. Lo sweeper scese dalla macchina e si lasciò giudare da Akira. Erano proprio sul retro di una discoteca: l’ingresso era ancora affollato di ragazzini e ragazzine tutti agghindati e tirati e lucido che fumavano e ridevano sguiatamente, alcuni già ubriachi. Tra qualche ora sarebbe toccato ai più grandi divertirsi. Senza uscire dal vicolo salirono su per una scaletta in metallo all’apparenza molto poco affidabile, ma che resse sorprendentemente bene il peso dei due fino a un porticina in metallo senza manbiglia, posta all’ultimo piano del basso casolare i cemento.
Akira busso forte tre volte rivelando che la piccola porticina mal messa, era un bel portone piazzato e spesso almeno cinque centimetri.
Un lieve blib annunciò l’arrivo di una voce smorzata.
- Chi è. –
- Sono io apri. –
La risposta scherzosa contribuì a rendere l’atmosfera irreale.
- Io è già passato di qua oggi, tu chi sei? –
- Apri idiota. –
La voce beffarda rispose con un ronzio accompagnato da un sonoro clank. La porta si socchiuse quanto bastava perché il ragazzo potesse infilarci la mano e tirarla verso di se. Ryo lo seguì all’interno con la netta sensazione di star entrando in una grossa cassaforte.
Entrò e capì che il pick up era solo l’antipasto. Una piccola anticamera grande quanto uno sgabuzzino portava a un ampio ambiente illuminato da un lice soffusa. L’ampio ambiente era arredato in modo davvero strano. La sua destra era occupata da quattro divanetti colorati posti a quadrato, con al centro un tavolino basso di legno e tutt’intorno grossi cuscini di altri colori. Sul lato opposto c’era una piccola cucina componibile e un televisore al plasma era abbandonato tra i due spazi su un carrello mobile.
L’altro lato della stanza era tutto un programma. Si divideva sommariamente dalla cucina con uno scaffale posto più o meno al centro che si fermava poco prima del centro della stanza. Gli scaffali continuavano sui restanti tre lati intervallati da tra scrivanie e un corridoio buio. L’occupazione principale delle scrivanie era quella di sostenere un apparato non indifferente di tre monitor, tastiere, un paio di unità centrali, stampante, scanner, lampade, cassetti, cd e fogli vari. Erano tutte e tre in stati vari di degrado, ma in una si poteva notare una caratteristica femminile che non consisteva nell’ordine, ma in un angioletto di peluche appiccicato sopra il monitor centrale. I muri retrostanti erano occupato da poster di manga vari, rock band, locandine di film, articoli di giornali, foto. Gli scaffali reggevano invece libri, manga, cd di vario tipo, cavi, case vuoti, mezzi montati o abbandonanti, altri componenti per computer e apparecchi vari, alcuni dei quali però erano accessi ed emettevano un lieve ronzio. Ryo se ne accorse solo in quel momento. L’ambiente era totalmente insonorizzato.
Dal corridoio un ragazzo molto più basso di Akira ma con le spalle più larghe e ben dotate di muscoli, apparve ciabattando indossando solo i pantaloni lunghi di una tuta a tre quarti. A occhio e croce doveva avere la stessa età di Akira.
- Ehilà canaglia! Da quanto tempo è che non ti fai vedere? –
- Ho avuto da fare a differenza di te. –
I due si abbracciarono e poi si dedicarono all’ospite.
- Hai portato lavoro. –
- Assolutamente si. –
- Lui è Ryo ha bisogno di informazioni su questi tizi. Vedi che puoi fare. Ryo, lui è Kuno, uno dei migliori hacker del Giappone. –
- Del mondo, prego. –
Akira sbuffò di finta impazienza mentre il compagno tendeva la mano a Ryo che finalmente capiva dov’era piombato. Il covo di tre hacker, chissà se doveva strozzarlo o ringraziarlo Master.
Ryo strinse la mano al ragazzo senza far trasparire lo scetticismo (disagio) chiedendosi seriamente se sul serio avrebbe potuto ricavarne qualcosa da quei due. L’espressione strafottente era tipica degli informatori, ma quelli erano d’un'altra razza e lui non li conosceva e soprattutto non si fidava. Lui e la tecnologia non avevano ancora imparato ad andare d’accordo.
- Siediti pure. Aki, tu fa gli onori di casa mentre io faccio quello che dovresti fare tu. –
ridacchiando tra se Akira andò all’angolo della cucina e aprì il frigorifero scrutandolo con aria molto seria, mentre Ryo si lasciava cadere sul divano blu posto a ridosso del muro da cui poteva visionare l’intera stanza.
Il ragazzo denominato Kuno si era messo alla scrivania accanto allo scaffale divisorio e aveva cominciato a battere su una delle tastiere sul suo tavolo mentre uno dei tre schermi continuava a lavorare per conto suo e il nel restante fluttuava un mostriciattolo verde.
Un altro rumore di passi ciabattanti e una ragazza avvolta in una felpa troppo larga per lei e short multicolori delle medesime proporzioni apparve stropicciandosi gli occhi.
- ‘uno chi è arrivato? –
- Akira tesoro. Ha portato clienti. –
La ragazza sbirciò verso la cucina lanciando un bacio al ragazzo che stava versando il contenuto di una bottiglia in tre bicchieri. Afferrò il bacio e ne tirò fuori un quarto. Poi la ragazza scruto il resto della stanza e vide l’ospite. Come gli posò gli occhi sopra, lo indicò con aria allegra.
- Ehi! Tu sei quello della finta fuga di gas. –
Ok, l’esame per principianti era passato.
- Shiori tesoro, non si indica la gente. –
Il ragazzo alla tastiera aveva parlato con il tono con cui ci si rivolge a una bambina piccola. La ragazza diede un’alzata di spalle e andò a raggiungere il divanetto giallo davanti a Ryo, mentre Akira si affrettava a portare i drink. Ryo lasciò che la sua attenzione vagasse sui lineamenti rotondi della ragazza, i lucenti capelli neri tenuti su da un mollettone, gli occhi grandi seminascosti da ciuffi ribelli, e le gambe snelle e abbronzate. Guardando la felpa vide l’immagine di un surfista che cavalca un’onda un po’ troppo cresciuta.
“Hacker surfisti, il massimo.”
Teneva lo sguardo puntato sulla maglia che non lasciava intravedere le curve sottostanti della ragazza quando Akira gli si parò davanti con un sorriso falsissimo.
- Ecco qua! Spero che ti piacciono gli alcolici alla frutta. –
Ryo annuì pensando che più che l’informazione avrebbe pagato la visuale. Akira si mise sul divano accanto alla ragazza e le circondò le spalle con fare protettivo. Lei gli lanciò un’occhiata furba e maliziosa prima si scostarselo e afferrare il suo bicchiere lanciando uno sguardo di pura approvazione verso Ryo, che sentì aumentare parecchio la sua autostima.
- A che punto sei fratellone? –
Akira fece una smorfia orribile mentre la ragazza si voltava verso il ragazzo alla scrivania per porgli la domanda.
“Fratello eh?”
- Ho quasi fatto, piantagrane. –
La ragazza sogghignò tra se riportando la sua attenzione a Ryo e ignorando bellamente il ragazzo accanto a se, che stava facendo la commedia pugnalandosi al petto.
- Così, tu sei il famoso Ryo Saeba. –
Era un’affermazione e c’era poco da aggiungere.
- Esatto. –
- Come sta la tua compagna? –
Era stato Akira a parlare. Ryo gli fece una smorfia e rispose.
- La mia ‘collega’ è ancora in stato di incoscienza, ma dicono che si sveglierà presto. –
Aveva calcato particolarmente sulla parola collega. In quel momento si rese conto che si stava contendendo le attenzioni di una ragazzina con una mezza tacca di parecchi anni più giovane di lui. No, non più giovane, più piccolo. Ad ogni modo, la visuale delle gambe di lei accovacciate sul divano lo persuadevano a continuare.
La ragazza sorrise nel bicchiere lanciando uno sguardo al fratello che stava letteralmente lottando con se stesso per non ridere a squarciagola.
I due andarono avanti a rimbeccarsi ancora per una mezz’oretta poi Kuno si alzò dalla sua scrivania, raccolse un mazzo di fogli dalla stampante e si riunì agli altri, prendendo possesso del divanetto rosso alla destra di Ryo e del suo bicchiere. Ryo prese i fogli che il ragazzo gli porgeva e cominciò a studiarseli con calma. A metà, dopo aver chiesto con lo sguardo il permesso ai proprietari, si accese una sigaretta; Shiori glie ne scroccò una e apparve un posacenere. Ryo arrivò a quota tre prima di decidersi ad alzare gli occhi e guardare i ragazzi. I tre stavano chiacchierando piano tra di loro per non disturbarlo ma si girarono subito come sentirono la sua voce.
- Lettura interessante –
Ryo si stropicciò gli occhi. Altro che interessante. L’avrebbe definita terrificante. I tre ragazzi lo guardarono inespressivi, Kuno li aveva aggiornati.
- Sei soddisfatto? –
- Si. – ma avrebbe quasi preferito non saperlo. La mano tremò appena quando si accese l’ennesima sigaretta.
Si alzò accennando il commiato.
- Bene, mi siete stati molto utili. Grazie ragazzi. –
- Non c’è di che. Basta che paghi il conto e potrai tornare tutte le volte che vuoi. –
Kuno accennò alle pagine che Ryo teneva in mano. In fondo, nell’ultimo foglio, c’era il conto con tanto di indicazione del lavoro svolto. Lo sweeper mise la mano nella tasca interna della giacca e tirò fuori il portafoglio, contò il denaro e lo mise sul tavolino sotto al posacenere. Non era un conto leggero, ma non avrebbe trovato informazioni così dettagliate nemmeno girando tutta la notte per tutta la città.
Shiori afferrò il denaro e se lo mise in una tasche degli short, poi salutò l’uomo che era già alla porta in attesa che Kuno gli aprisse.
- Ci vediamo allora. –
Ryo le strizzò l’occhio.
- Contaci. -
Salutò gli altri due con un gesto della mano e se ne andò, tra sogghigni e smorfie.
Quando la porta fu chiusa e la serratura scattò, Shiori si rivolse il fratello che stava rientrando nella stanza.
- Come pensi che ci sia finito nel mirino di quel pazzoide? –
- Non lo so, ma mi auguro che non si mettano a fare la guerra vicino a casa nostra.

Ryo camminava pensieroso con il dossier appena infoltito nella tasca interna del giubbotto. Non prestava troppa attenzione a dove andava, i suoi piedi conoscevano da soli la strada e lo avrebbero portato a destinazione sano e salvo. Gli si affollavano in testa mille pensieri, gravati da mille preoccupazioni diverse. Ricordi, sensazioni e ragionamenti si accavallavano tra di loro al punto che ben presto gli venne un forte mal di testa, e una gran voglia di bere. Riemerse dalla bruma dei suoi pensieri per vedere dov’era arrivato: era già davanti all’ospedale. Sospirando varcò l’ingresso, per bere c’era sempre tempo, per vedere Kaori forse no.

Quando varcò la porta della stanza di Kaori, la trovò insolitamente affollata. Mick stava chiacchierando con Miki che però non era sola, vicino a lei c’erano anche Kazue e Doc. Ryo si sentì immediatamente più rincuorato.
- Ehi, ma guarda quanta brutta gente. Mick che ci fai lì, leva le mani di dosso a Miki o lo dirò a Umibozu. –
- Ma sentilo! Dove sei stato tutto questo tempo? A sbronzarti immagino. –
- Esatto! E con una bella ragazza dai lunghi capelli neri. Una cosa che tu non puoi più fare visto che ti sei incastrato da solo. –
Mick annuì mogio guadagnandosi le occhiatacce Kazue, che fu dovuta tenere a bada da Miki. Kazue infatti si era allenata molto con il martello in Europa e voleva far sapere al suo fidanzato cosa pensava del fatto che potesse o meno appartarsi con una bella ragazza in un bar. Il professore invece rimase impassibile. Scese dalla sedia e oltrepassò Ryo uscendo dalla stanza. L’uomo lo seguì subito.
Andarono a sedersi in giardino su una panchina oscurata in parte da un albero che copriva il lampione lì accanto. Fu il professore a parlare per primo.
- Allora, hai già saputo qualcosa? –
Ryo annuì impercettibilmente e gli porse i fogli che aveva in tasca. Il professore li scorse velocemente.
- Allora, che mi dice? –
- Beh, che non hai più bisogno di me a quanto pare. Ti sei trovato un altro informatore. –
Ryo si girò irritato verso il vecchietto.
- Ma io… -
- Certo non avrà sicuramente i nostri stessi interessi. Ho paura che d’ora in poi dovrai procuratele da solo le riviste, io ormai sono obsoleto. – il professore fece un cipiglio lacrimoso e si attaccò al bastone come un bambino con il suo peluche.
- Ma professore che dice?! –
Alla vista di Ryo mezzo caduto dalla panchina il vecchietto scoppiò a ridere divertito.
- Ma dai sciocco! Questo sbarbatelo sarà anche bravo ma non potrà mai competere con me, io sono il migliore! Uh, uh uh. –
Ryo cercò di dominare i suoi nervi, già messi a dura prova. Era difficile parlare con quell’uomo al di fuori dell’atmosfera rilassante del suo giardino. La cosa lo inquietava.
- Insomma, devo rassegnarmi e credere che sia tutto vero secondo lei? –
Il professore lo guardò sottecchi e poi cominciò a parlare.
- Hans Bruckemeyer, trentatre anni, presidente della Bruckmeyer Enterpreise, azienda familiare specializzata nel ramo imprenditoriale. Aiuta le aziende a crescere e a modernizzarsi, gioca in borsa, offre consulti imprenditoriali; è miliardario, la sua azienda è ben conosciuta anche all’estero, ha già parecchie filiali in giro per l’Europa e progetta di aprirne anche in America e Asia. Non ha alcun parente in vita, ha ereditato l’azienda alla morte dei suoi genitori. Single, nonostante il suo fascino nordico non riesce a tenersi una donna per più di tre mesi.
- Certo che si è documentato bene e professore? –
Il professore alzò di scatto il bastone per zittirlo.
- Questo, ufficialmente. Non ufficialmente: è a capo di una delle più grosse organizzazioni criminali e mercenarie che opera per il mondo. I servizi che offre sono: spionaggio industriale, furti, progettazione e attuazione di attentati terroristici e coli di stato, addestramento di eserciti, omicidi. Lavora per chiunque sia disposto a pagare. Ha un piccolo esercito di uomini addestrati bene quanto i seals. I suoi genitori si stanno godendo la meritata pensione alle Bahamas dopo aver passato tutto nelle mani del figlio. L’incidente è stato simulato. Ovviamente il padre è il fondatore di entrambe le aziende. Ha una donna fissa, che si fa chiamare ‘segretaria personale’ o Carla Rondoni come preferisci. Il suo nome è Melanine Oxley ed è ricercata in cinque stati per attività varie come furto, spionaggio e omicidio.
- Ed è perfettamente in grado di introdursi in casa mia e piazzarmi una bomba sotto al naso e fare irruzione subito dopo. –
- Esatto! –
Ryo sospirò, non c’era proprio verso di farlo star serio quella sera il professore.
- Bene, questo hanno saputo dirmelo anche i ragazzi. Ora che altro sa lei in più? –
Il professore lo guardò inquisitorio.
- Ragazzi eh? –
- La prego! –
Ryo cominciava a riavvertire il pulsare alle tempie. Non sapeva quanto avrebbe resistito ancora prima di mettersi a urlare.
Il professore sembrò accorgersi dello stato d’animo dello sweeper e assunse subito un’espressione seria.
- Bhè, posso dirti che è stato una vera sorpresa.-
- Come? -
- Quest’organizzazione nacque grazie a Bruckemeyer senior qualche anno dopo la seconda guerra mondiale. Era figlio di un ufficiale nazista scampato ai processi contro i nazisti che mantenne un redditizio commercio di contrabbando con diverse frange rivoluzionarie nell’est. Lui decise di allargare il giro e contemporaneamente varò due agenzie, una alla luce del giorno e una sotterranea. Sai bene anche tu com’è, la guerra è un commercio sempre attivo e la richiesta non cessa mai, quindi fece ben presto carriera. Fortunatamente per lui aveva anche fiuto negli affari legali così le due aziende fiorirono in sincrono, donandogli anche un’aura di rispettabilità e successo. Ben presto riuscì anche a formarsi il suo esercito personale e si impose sul mercato mercenario. –
- Aveva contatti anche con l’Union Teope?-
- No, il suo scopo era avere uomini addestrati che portassero a termine il loro compito e tornassero a casa il più integri possibile, non dei kamikaze. E poi non gli piaceva avere a che fare con l’Unione, interessi, metodi e affari diversi. E poi non gli piaceva proprio Kaibara. –
Ryo ebbe un breve flash dell’immagine di Kaibara, ma lo cancellò subito.
- Perché dici che suo figlio è stata una rivelazione?-
- Perché vedi, fino a sette anni fa tutti pensavano fosse un buono a nulla, persino suo padre non lo riteneva un erede degno di questo nome. Era scontroso, poco socievole e litigioso. Nove collegi e cinque accademie militari si sono rifiutati di tenerlo per un periodo superiore ai sei mesi. Non si pensava nemmeno che sarebbe riuscito a finire l’università, con tutti i problemi di alcol e donne che aveva. Poi cambiò all’improvviso. Un giorno si presentò all’ufficio del padre ridotto a uno straccio chiedendogli di dargli un lavoro qualsiasi all’interno della sua azienda. Nel giro di un anno era entrato a far parte nel consiglio di amministrazione, in due suo padre lo mise sulla poltrona presidenziale e andò in pensione. Da quel giorno, entrambe le attività sono sotto il suo controllo, e prosperano come non avevano mai fatto prima.-
Ryo si sentiva la gola secca. Aveva urgente bisogno di bere.
- Però…-
- Già.-
- Si sa che cosa ha determinato il cambiamento.?–
- Se è per questo non si sa nemmeno cosa ha determinato il comportamento precedente. –
- In che senso? –
- Nel senso che scomparve per cinque mesi e quando tornò sentì l’impellente bisogno di attaccarsi alla bottiglia. –
Ryo continuò a fissare il vuoto e pose un’altra domanda schiarendosi la voce. Aveva sul serio bisogno di bere.
- Fin dove ha esteso i suoi affari, ufficiali e non. –
- Mah, contatti ai vertici di diverse nazioni, servizi segreti e multinazionali. Si è esteso al mondo dei media, l’anno scorso ha lanciato in orbita un suo satellite con il quale ovviamente non trasmette solo telegiornali e film in prima visione. Ha il controllo totale su ogni tipo di informazione, non gli sfugge niente. Credo che abbia al soldo alcuni tra i migliori hacker in circolazione, ma la notizia non è confermata. E poi è pazzo.
Ryo lo guardò storto?
- Come pazzo? –
Circa tre mesi fa il capo di un clan mafioso russo ha tentato di levargli la sua fetta di mercato in medio oriente. È scomparso, nessuno lo ha più ritrovato, né i familiari né le autorità. I suoi uomini però si sono visti recapitare per posta ognuno un pezzo di un corpo umano. Indovina qual’è stato il responso del DNA? –
Ora Ryo lo guardava scioccato. Rimase in silenzio per qualche secondo per cercare di assorbire le parole del Professore. Il mal di testa incalzava, ma lui doveva rimanere lucido, lui e Kaori erano finiti nel mirino di un pazzo e doveva trovare una soluzione.
- Qualche idea sul perché mi voglia morto? –
- Assolutamente no. –
“Ma bene, e ora?”
Detestava andare alla cieca, si ha sempre uno svantaggio considerevole, soprattutto se si è la preda.
Mick e Kazue arrivarono in quel momento annunciando che andavano a casa e che se Ryo non voleva incorrere nelle ire di Umibozu, avrebbe dovuto dare il cambio a Miki. Ryo li salutò e si diresse alla camera di Kaori, salutò Miki e si accomodò su una delle sedie. Rimase nella penombra a osservare Kaori che dormiva, aveva il respiro regolare e i lineamenti rilassati; i corti capelli castani erano sparsi sul cuscino e le braccia erano abbandonate sopra alle lenzuola candide. Era raro vederla così rilassata.
La fioca luce della luna che filtrava dalla finestra lasciava intravedere i lividi e i graffi sul braccio scoperto, l’altro era avvolto in uno spesso strato di gesso; un grosso cerotto copriva la ferita a lato della fronte. Non c’era più sangue, ma il ricordo si. Guardandosi le mani, Ryo ebbe per un attimo l’impressione di averle di nuovo coperte dal sangue di Kaori. Rabbrividì al pensiero di quel che gli era piombato addosso.
“Come diavolo faccio a proteggerti stavolta?”




Eccomi qua. Ho fatto una faticaccia a levare tutte le infuenze adolescenziali da questo capitolo, ma forse ora l'appartamento dei tre non sembra più essere ripreso direttamente da x-files ^^', però mi sembra lo stesso di averla sparata grossa... chissà.
Purtroppo fino a lunedì non ci saranno altri aggiornamenti, le università hanno il brutto vizio di chiudere le sedi anche di sabato, privando noi studenti della connessione a internet, ma se non altro sarà scritta meglio visto che non ci sarà mezza Uni intorno a me a fare casino.
Ringrazio tutti quelli che la stanno leggendo e anche Marziachan (visto che il nuovo informatore si è rivelato più che utile?^.^) per aver aggiunto una recensione.
Ciau a tutti XD

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4

La mattina dopo, Kaori finalmente si svegliò. Ryo non c’era, era andato a controllare il quartier generale di Bruckmeyer.
Akira quella mattina si era fatto trovare davanti alla macchina del caffè con una busta gialla sotto il braccio. Era andato incontro a un Ryo molto assonnato e indolenzito per la scomodità della sedia su cui aveva dormito e gli aveva consegnato la busta facendogli l’occhiolino.
- Omaggio dalla casa. Sei piaciuto a Shiori e perfino Kuno ti ha preso in simpatia. Cerca di non farti ammazzare eh? –
Aveva detto tutto con una smorfia sarcastica, come se per lui sentimenti del genere fossero incomprensibili, poi aveva raggiunto il suo taxi, che aveva già un cliente in attesa.
Ryo aveva aperto la busta e ci aveva trovato una trentina di fogli stampati di ricevute, moduli d’ordine, conferme di pagamento, tabulati telefonici e diversi fotogrammi di videocamere a circuito chiuso. Tutti i moduli riguardavano apparecchiature elettroniche, dai semplici cavi di connessione, alle parabole e megaschermi. Non mancavano diverse forniture per computer.
I ragazzi avevano cominciato col cercare massicci ordini di apparecchiature elettroniche e strutture affittate da società fantasma o collegate alla Bruckmeyer e a quanto sembra erano riusciti a far centro.
Diversi grossi ordini, erano stati consegnati a un magazzino alla periferia del porto, che era stato affittato dalla FineBuilding S.p.A., una società nata la settimana prima e che non faceva capo a nessuno. Il magazzino era proprio davanti a quelli della MuraiInvestiment, il cui capo della sicurezza era leggermente paranoico e aveva fatto installare impianti a circuito chiuso su tutti i lati e gli angoli dei suoi magazzini, dai quali si vedeva molto chiaramente l’arrivare e l’andar via di diversi furgoni di negozi vari e di altri furgoni presi a nolo, dalla porta principale del magazzino noleggiato, in diversi intervalli di tempo. Il numero di targa era stato inquadrato chiaramente, al punto che i tre ragazzi non avevano dovuto far altro che entrare negli archivi delle diverse società e vedere se avevano un impianto satellitare antifurto installato. Erano stati fortunati: dei quattro furgoni partiti, uno aveva un impianto che non era stato disattivato e che aveva ancora in memoria tutti i movimenti della settimana. Il furgone era uscito dalla città e aveva percorso una quarantina di chilometri lungo la costa, arrivando a una scogliera a picco sul mare su cui sorgeva una villa di proprietà di Frederick Jonathan Phelton, riccastro americano che in quel momento si trovava in Nuova Zelanda a godersi la luna di miele con la sua quarta moglie. Phelton era venuto in Giappone solo una volta per dirigere un film dieci anni prima e aveva comprato la villa per comodità; una volta finito il film l’aveva messa a disposizione della società della quale dirigente, facendola figurare come edificio lavorativo per pagare meno tasse. I conti delle bollette venivano addebitati su un conto corrente a nome della StarOnSky, un società di produzione cinematografica, che aveva un numero collegato a una segreteria telefonica, che avvisava la gentile clientela che la società si doleva molto, ma causa inconvenienti legali non poteva fornire nessun genere di servizio per i prossimi sei mesi; il problema legale era sorto un anno prima e non si era ancora risolto. La SoS faceva parte di quella schiera di piccole società inglobate in altre più grosse, in particolare della Osiris, ramo culturale della Bruckmeyer Enterpreise.
“Bingo.”
Un plico di fogli piegati assieme si rivelarono essere dei rilievi geologici e topografici della zona su cui sorgeva la villa: la casa, che era circondata da un ampio parco compreso di boschetto ai margini, sorgeva sopra una cavità naturale che conduceva a una galleria a sbocco sul mare. L’ultima foto si rivelò essere una foto satellitare dell’intera zona in cui si scorgeva chiaramente un’attività molto frenetica di uomini e mezzi pesanti.
Un foglio conteneva un messaggio per lui:
“Per gentile omaggio della casa ti forniamo quello che è quasi sicuramente il covo del tuo ammiratore. Non siamo certi che sia proprio questo, ma quello è l’unico posto che possiamo collegare a Bruckmeyer e che presenta attività recenti, ti suggeriamo un controllo giusto per toglierti lo scrupolo. Saluti A.S.K.”
Ryo aveva rinunciato a capire come avessero fatto i tre ragazzini a trovare tutte quelle informazioni nel giro di una notte e non voleva saperlo. Era salito in macchina e si era diretto fuori città.
Quando era arrivato in prossimità della villa aveva rallentato e imboccato una stradina che si inoltrava per il bosco che si estendeva fino a i margini della proprietà. Aveva parcheggiato e trovato la recinzione, che purtroppo era elettrificata. Essendo troppo lontana dagli alberi per poterla superare scavalcando, si era comunque arrampicato su uno dei più alti riuscendo a sbucare oltre la cima di quelli oltre il recinto, che sembravano stranamente più giovani.
Una volta impugnato il binocolo che portava a tracolla, aveva cominciato ad osservare l’attività della villa. Contò circa venti uomini fuori dalla villa intenti a scaricare da due camion delle piccole casse, delle quali non riconobbe il contenuto perché venivano portate all’interno della grossa villa prima di venire aperte.
Era una villa davvero enorme, in pure stile hollywoodiano, con tanto di porticato rotondo a colonne. Era bianca e aveva almeno quattro piani. Sopra il porticato una terrazza piuttosto ampia portava a una vetrata quasi altrettanto grande con i vetri oscurati. Era curva a ferro di cavallo e si estendeva per almeno duecento metri per parte. Ryo non sapeva che cosa poteva esserci al di là della villa e cominciava chiedersi chi diavolo aveva avuto la brillante idea di costruire un edificio del genere in Giappone.
Siccome il mare era alla sua sinistra, poteva osservare l’attività alla base della scogliera. Vedeva chiaramente l’apertura della cavità, e la sporgenza che partiva dalla stessa e si estendeva naturalmente per dieci metri verso il mare; era completata da una struttura in legno e metallo che fungeva da molo. Due motoscafi e tre gommoni ondeggiavano tranquilli alla banchina disposti l’uno di fronte all’altro, mentre un uomo con un mitra a tracolla fumava una sigaretta fissando l’orizzonte. A Ryo sembrava mancasse un’imbarcazione davanti all’ultimo gommone: mentre gli altri due avevano di fronte due motoscafi, davanti al primo c’era solo acqua. Mosse leggermente il binocolo per scrutare il mare e vide un motoscafo muoversi a velocità media verso un piccolo peschereccio ancorato a qualche centinaio di metri dalla scogliera. La nave batteva bandiera russa e alcuni marinai erano sul ponte in attesa che il motoscafo attraccasse al loro fianco.
Mentre pensava a come poter usufruire di ciò che aveva appena visto la sua tasca vibrò due volte. Senza staccare gli occhi dalla nave prese il cellulare dalla tasca esterna della giacca e pigiò i tasti che consentivano lo sblocco dei tasti e l’apertura del messaggio. Sbirciò appena il display e vide che era di Miki: Kaori si era svegliata. Appuntandosi mentalmente di fare una visitina al battello russo, scese velocemente dall’albero e montò in macchina, direzione ospedale di Shinjuku.

Ryo entrò nella stanza di Kaori spalancando con foga la porta. Non aveva fatto tempo a ad aprire bocca che due martelli lanciati in sincrono lo inchiodarono alla parete del corridoio.
- Razza di deficiente! Dove diavolo ti eri cacciato mentre Kaori si svegliava, eh?-
Una Miki e una Saeko piuttosto furiose lo accolsero con un cipiglio orribile, mentre Yuka e Kaori le guardavano divertite e un pochino preoccupate: non fu possibile capire se era Ryo o per il buco nella parete.
- Ehm, ragazze, non vi sembra di aver esagerato? -
- Neanche un po’. –
- Se lo merita questo sconsiderato. –
Ryo uscì a fatica dal muro tra lo sguardo allibito delle pazienti in corsia e ed entrò in camera salutando mestamente Kaori, mentre le ossa del collo schioccavano a ogni movimento.
Kaori lo fissò dal letto formulando la domanda che più la ossessionava da quando si era svegliata.
- Ryo, cos’è successo al nostro appartamento? Non mi hanno ancora voluto dire niente. –
Ryo si bloccò a metà di un movimento per cercare di far tornare le vertebre al loro posto e la guardò di traverso.
- Ah… beh ecco vedi, c’è stata una piccola esplosione ma… ma niente di che! Una fuga di gas ecco. Sai com’è, l’appartamento era vecchio e non era mai stato revisionato. E… è successa al piano di sotto! Eikichi ha lasciato il gatto da solo in casa e questo a fatto un po’ di casino e… e deve aver fatto cadere qualcosa e… e la cucina è esplosa si. Ma non è successo niente, nessuno si è fatto male! Cioè, tu sei qui, ma gli altri stanno bene, persino il gatto. E… i danni ci sono stati si, ma stanno già rimettendo tutto a posto e la ditta ci farà credito, perciò non c’è niente di cui ti devi preoccupare. Riposati e basta. – e scoppiò in una risata che non convinse proprio nessuno, tanto meno Kaori.
- Una fuga di gas? –
Ryo lanciò un’occhiataccia a Miki e Saeko che lo guardavo ancora in cagnesco e queste, concepito il messaggio, cambiarono atteggiamento e si rivolsero a Kaori nello stesso tono di Ryo.
- Esatto! –
- Una banalissima fuga di gas! Pensa un po’. –
- Ma senti, sei sicura di sentirti bene? Hai una faccia. Vado a chiamare un’infermiera. –
Inutilmente Kaori alzò il braccio non ingessato per fermarla, Miki era già fuori dalla stanza e tornò pochi istanti dopo con un’infermiera che le misurò la febbre e la pressione dicendo che la paziente era in buona salute, ma un po’ stanca e che non dovevano affaticarla troppo. I tre annuirono vigorosamente e imbastirono una conversazione assolutamente frivola e inutile su chi sarebbe stata la nuova Idol del concorso della Shueisha di quell’anno per passare alla descrizione dell’ultimo modello della Suzuki presentato la settimana scorsa; Yuka, informatissima su tutto, partecipò entusiasticamente, anche se avrebbe preferito sapere il significato dell’occhiata lanciata dallo sweeper alle due donne.
Dopo un paio di vani tentativi di riportare la conversazione sulla fuga di gas, a Kaori parve ovvio che non ci sarebbe riuscita e si arrese, rimanendo ad ascoltare chi, secondo loro, avrebbe vinto le elezioni amministrative del mese prossimo. Dopo qualche minuto un urlo acuto e agghiacciante invase il corridoio, comunicando alle ragazze che Ryo aveva deciso di passare al suo passatempo ospedaliero preferito: molestare le infermiere. Kaori sospirò.
- Non cambierà mai. -
- Ne approfitta perché tu sei convalescente e non puoi usare il martello. –
- Beh, prima mi è sembrato che voi due come sostitute ve la foste cavata benissimo. –
Saeko e Miki si misero sull’attenti con due martelli tirati a lucido al fianco.
- Beh, è senza dubbio un metodo efficace che da anche un bel po’ di soddisfazione, non credi Miki? –
- Assolutamente. –
Kaori sorrise pensando alla punizione che avrebbe atteso Ryo nel momento in cui sarebbe entrato in camera carico di biancheria intima femminile e poi si esaminò le braccia. Quello sinistro era ingessato fin sotto al gomito, l’infermiera le aveva detto che aveva una frattura multipla e che ci avrebbe messo un po’ a guarire, ma che sarebbe tornato perfettamente a posto. Quello destro aveva in mostra due grossi lividi e un taglio profondo, a cui avevano applicato alcuni punti. Glie li avrebbero tolti fra quattro giorni. Miki aveva colto nel segno dicendole che non poteva usare il martello, a dire il vero le vertigini e i dolori alle costole le impedivano anche di stare troppo tempo seduta, ma aveva il fondato sospetto che se l’avessero lasciata stare dritta per qualche minuto di più, sarebbe riuscita a farsele passare e a provare a fare addirittura qualche passo. Peccato che le infermiere e le sue amiche fossero irremovibili.
Elencando mentalmente tutte le ferite sul suo corpo, capì che non poteva essere una fuga di gas la causa dell’esplosione avvenuta a casa loro. I tubi del gas passano esclusivamente dal lato del palazzo in cui sono disposte le cucine di tutti gli appartamenti, e la camera di Kaori era esattamente dal lato opposto. Se fosse stata una fuga di gas ci sarebbe dovuto essere Ryo in quel letto, non lei. Chiarito il fatto che non era stata una fuga di gas, l’interrogativo rimasto era perché tutti si ostinavano a dirle l’esatto opposto.
La porta della camera si aprì interrompendo i suoi pensieri e il chiacchiericcio delle sue amiche. Umibozu, con tutta la naturalezza di questo mondo, entrò nella stanza e sollevò Ryo, che stava tenendo per un orecchio. Lo sweeper si contorse per il dolore e gli sbraitò contro.
- Ehi bestione! Lasciami! Mi fai male!”
- Così impari a molestare le infermiere e mia moglie-
- Mai io non ho fatto niente! Diglielo anche tu Miki!-
- Allora è per tute le volte future. -
- Grrr… sei un gran rompiscatole, lo sai?! –
Umibozu lasciò Ryo che piombò a terra come un sacco di patate e prese a massaggiarsi l’orecchio.
- Polipo dei miei stivali, mai una volta che collabori! Ti perderai tutti i piaceri della vita se ti ostini a comportarti come un puritano. –
- Tsè, sempre meglio del ruolo del maniaco. –
Ryo lasciò perdere il discorso che prometteva di andare in una direzione in cui lui sarebbe uscito pesantemente offeso e si concentrò su Saeko, cercando di convincerla che la cancellazione della lista dei suoi debiti era stata concordata senza il suo consenso e quindi non era valida. Senza scomporsi troppo, la donna cominciò a tirare fuori il martello nella vana speranza di dissuaderlo sul principio. Umi ignorò i due e si rivolse a Kaori.
- Allora Kaori, come stai oggi?-
- Molto meglio, grazie Falcon. Com’è stato il tuo viaggio?-
- Mah niente di che, i soliti raduni noiosi. -
Uno schianto secco li fece trasalire.
I quattro si rivolsero verso il punto in cui era arrivato il rumore. Ryo era di nuovo a terra malconcio, mentre Saeko lo guardava altezzosa.
- Hehehe, certo che oggi sei veramente intrattabile e Saeko-chan?-
- La colpa tua Ryo. Kaori scusa, ma devo andare, ho un mucchio di lavoro ancora da sbrigare. Ci vediamo stasera. Vieni Yuka.-
- Non ti preoccupare Saeko e grazie della visita. Ciao Yuka. -
- Ciao ciao.-
Poco dopo se ne andarono anche Miki e Falcon. Così, mentre Ryo molestava ancora le belle fanciulle in gonnella bianca, Kaori rimase sola con i suoi pensieri. Prima, quando Saeko aveva sbattuto Ryo contro il pavimento, la sua memoria era tornata allo schianto dell’esplosione: poco prima di svenire sotto al letto, le era sembrato di udire il rumore secco e ripetuto di diverse scariche di mitra. Kaori lavorava a fianco di Ryo da diversi anni e ormai sapeva distinguere i rumori delle armi da fuoco ed era sicura che quei rumori non fossero provocati dal crollo delle pareti. Ci rifletté ancora qualche istante ma fu più sicura di prima, ora doveva solo chiedere conferma a Ryo.
Come rispondendo a una chiamata, l’oggetto (o la persona, come dir si voglia) dei desideri di Kaori irruppe nella stana trafelato e pieno di lividi. Kaori non seppe trattenere un sogghigno.
- Beh, cos’è successo? Le infermiere si sono ribellate allo stallone del Shinjuku? –
Ryo la guardò irritato e sospettoso.
- Fa poco la spiritosa sai? Sembra che qualcuno le abbia dotate di martelli. Non avrai mica aperto lo spaccio, eh?-
Kaori soffocò la risata che minacciava di esploderle nel petto rendendo Ryo più furioso e dolorante lei. Si sforzò di assumere un atteggiamento serio, cercando di non cedere alla tentazione di dirgli che, dall’ultima volta che erano stati in quell’ospedale, le infermiere avevano colto subito il modo per mettere quel maniaco in riga. Kaori era riuscita a pagare le bollette del mese e a fare la spesa fornendo martelli di diverse misure a tutti i reparti.
Ryo si buttò su una sedia accanto al letto di Kaori e cominciò a tastarsi per cercare eventuali fratture.
- Ryo?-
- Si-
- Dimmi la verità, che cos’è successo veramente l’altra sera? -
Ryo rimase interdetto per un attimo. Sperava che Kaori non si fosse ripresa abbastanza dallo shock da capire che non era stata veramente una fuga di gas, non voleva preoccuparla prima del dovuto. Non sapeva ancora con chi realmente aveva a che fare e perché, e sapeva che lei avrebbe insistito per partecipare attivamente alle indagini. Non poteva permetterle di ficcanasare mentre era ancora in quello stato. Purtroppo non aveva nessuna scusa veramente plausibile da fornirle, era stato colto impreparato.
- Non è stata un fuga di gas vero? Ho sentito degli spari. Ci hanno attaccato?-
- Beh, ecco… -
- Cono stati gli yakuza? Quelli che volevano fare del male alla ragazzina? –
- Non esatt… -
- E allora chi? Insomma, cos’è successo al nostro appartamento? Come hanno fatto a provocare un’esplosione? –
Sotto quel fuoco di fila, Ryo non riuscì a pensare a nessuna bugia e nemmeno a una scappatoia che lo allontanasse da quella stanza. Frugò più a fondo nella sua mente cercando scuse che Kaori sarebbe riuscita a smontare in meno di due secondi e non trovandone nessuna più resistente, decise di non dirle niente.
Si alzò dalla sedia, e sotto lo sguardo allibito di Kaori si chinò e le diede un bacio sulla fronte.
- Riposati. –
Senza aggiungere nient’altro, prese la giacca e uscì, lasciandola sola.
Fuori dall’ospedale Ryo si sedette su una panchina del cortile e chiuse gli occhi sospirando. Era dalla notte dell’esplosione che non dormiva, aveva passato tutto il tempo a cercare informazioni e a vegliare su Kaori. Seduto al sole, nel caldo e confortante buio che lo stava avvolgendo, Ryo sentì il forte desiderio di abbandonarsi all’oblio, anche solo per un attimo. Non sarebbe successo niente se si fosse appisolato per qualche minuto.
Pian piano, le membra del suo corpo cominciarono a rilassarsi e i suoi pensieri a divenire più lenti e scostanti. Il buio lo avvolse completamente, e Ryo scivolò in un sonno profondo.

Quel pomeriggio al Cat’s Eye una discussione molto animata stava coinvolgendo praticamente tutti gli amici di Ryo: argomento della discussione Hans Bruckmeyer.
- Ma che diavolo mai vorrà da Ryo? Non ha ancora rivendicato l’attentato o lanciato annunci di sorta!- Reika era molto agitata. Ultimamente era anche più intrattabile del solito, in particolare dal matrimonio di Umi e Miki.
- Probabilmente l’hanno assoldato, la domanda è chi. - Miki, visibilmente ancora scossa per la sorte dell’amica, cercava ogni risposta plausibile nella speranza che il velo di ignoranza si squarciasse, rivelandole la soluzione del mistero.
- Qualcuno che lo odia profondamente, e che invece di far fuori direttamente lui ha voluto prima uccidere Kaori. - Saeko espirò una voluta di fumo che irritò parecchio Umibozu e che si voltò altrettanto irritato verso Mick quando fece lo stesso.
- Beh, si vede che è un professionista. Attentando prima alla vita di Kaori ha ottenuto un vantaggio psicologico notevole su di lui. - Mick ricordava bene che Kaori era sempre stata il punto debole di Ryo, era proprio su di lei che aveva puntato quando aveva tentato di ucciderlo prima e di sottrargli il nome di City Hunter poi. Ancora non si spiegava come aveva fatto a fallire. No meglio, non voleva spiegarselo.
- Ora che è preoccupato per lei e che sa che deve proteggerla, farlo fuori risulterà più facile. Non è pienamente concentrato sullo scontro e quindi se è in gamba ha più di una chance. - Umi nutriva davvero poca fiducia in Ryo e a detta sua si era unito alla discussione solo perché era preoccupato per Kaori.
- D’accordo, d’accordo, però chi diavolo l’ha mandato qui? È uno che non ha problemi di soldi ovviamente, Bruckmeyer non sembra essere alla portata di tutti, o sbaglio?- Reika non aveva gradito molto il denigramento di Ryo.
- Se sapessimo di più su chi lo manda e perché, potremmo cercare di organizzare qualcosa, ma per ora siamo completamente spiazzati. - Non era esattamente da Saeko quel genere di affermazione, Reika rimase leggermente spiazzata.
- Pensate… pensate che Ryo abbia già saputo di questo tedesco?-
- Se lo conosco un po’, penso proprio di si. - Mick annuiva vigorosamente. Sembrava che per lui fosse tutto un gioco appassionante e Reika non aveva bisogno di essere irritata di più.
- Ok, e allora cosa pensi che farà? -
- Immagino lo voglia uccidere. -
- Da solo? E senza informazioni? Non ci riuscirà mai così!-
- Ma come, credevo che ormai anche tu conoscessi Ryo, a quest’ora saprà già anche quante ragazze si è fatto al liceo e la loro taglia di reggiseno. Fidati, quel tipo non ha scampo. –
I quattro lo guardarono come si può guardare un ragazzino particolarmente irritante che insiste nel volervi convincere sulla sua tesi sul significato della vita, fatta principalmente di sesso, rock e film d’azione.
- Se lo dici tu. -

Il sonno che aveva catturato Ryo, non era molto tranquillo. Era un sogno particolarmente fastidioso, uno di quelli in cui ti metti a correre su panorami stranissimi e non riesci a fermarti. L’unica cosa a cui riesci a pensare è di andare avanti, fino a quando non incontri la variabile che ti fa smettere. Ryo in questo caso era in una foresta molto buia, rischiarata da vari fuochi che illuminavano oggetti e situazioni che gli apparivano davanti per un instante e dimenticava subito dopo. Diversi rumori, come di scoppi e latrati secchi e metallici, risuonavano nelle sue orecchie, assordandolo. I suoi passi non facevano rumore mentre correva, erano attutiti da un terreno soffice che non riusciva a vedere, mentre i battiti del suo cuore si mischiavano a quelli assordanti ed esterni. All’improvviso, un fuoco più luminoso degli altri comparve alla sua destra rischiarando diverse ombre nere, che svanirono come lui cercò di metterle a fuoco. Si fermò. D’un tratto, tutti i rumori cessarono e dopo attimi interminabili di silenzio, un grido squarciò le tenebre oltre il focolare.
Le grida si ripeterono, senza che lui riuscisse a distinguere ciò che dicevano e, come attirato da una calamita, riprese a correre in loro direzione. Più si avvicinava e più andava veloce, e più andava veloce più una gelida consapevolezza si faceva strada della sua mente: quelle era grida femminili e le conosceva bene, erano le grida di Kaori.
In preda al panico accelerò più che poté fino a quando non arrivò a una radura rischiarata da luci invisibili. Il grido provenì da delle figure al centro, stavolta chiaro e limpido.
- Ryo! -
Kaori era legata a un palo ed era vestita come il giorno del matrimonio di Miki e Umi.
- Ryo, aiutami! –
Dietro di lei, un’ombra scura aveva cominciato a ridere, facendolo infuriare.
- Che hai da ridere! Lascia subito Kaori! –
La voce non smetteva di ridere. Gli faceva venire i brividi.
- Ti ho detto di lasciare Kaori! –
Cercò la sua pistola ma non la trovò. La voce cominciò a deriderlo.
- Che ti succede Saeba? Hai perso la tua arma? –
Ryo fissò spaventatissimo la figura dietro a Kaori.
- Non va bene così, che figura ci fai come sweeper? Ora dovrò uccidere la tua socia, lo sai vero? –
- Lasciala! Che ti ha fatto di male? Lasciala andare! –
Ryo si accorse di sapere la risposta prima di sentirla e cominciò a tremare.
- Che mi ha fatto? Niente di particolare, è solo la tua socia e la devo uccidere. –
- No! –
Ryo tentò di lanciarsi verso Kaori ma qualcosa lo scaraventò lontano.
- E’ colpa tua se muore Saeba. Tu l’hai fatta diventare quello che è e ora morirà per questo. La colpa è solo tua. –
Una mano afferrò Ryo per una spalla e lui la afferrò cercando di liberarsi mentre una voce femminile lo chiamava.
- Ryo che fai! Lasciami! –
Questa voce non era di Kaori.
Ryo aprì gli occhi.
Il sole del tardo pomeriggio lo accolse tra i suoi raggi accoglienti mentre una Saeko visibilmente preoccupata e sofferente lo fissava, cercando di non urlare per il dolore: Ryo le aveva afferrato il polso e lo stava ancora stringendo.
- Ryo, lasciami. –
Lo mormorò appena, ma a Ryo sembrò chiaro come se l’avesse pronunciato ad alta voce. La lasciò e si portò una mano alla fronte, era imperlata di sudore. Si passò le mani tra i capelli chiudendo gli occhi alla ricerca delle immagini che lo avevano appena sconvolto, ma che gli sfuggivano rifiutandosi di lasciarsi mettere a fuoco.
- Ryo, tutto a posto vero?-
Ryo riaprì gli occhi e osservò la poliziotta che si era chinata sopra di lui, indecisa chiamare un medico o meno. Lo sweeper di mise seduto con un movimento agile, che non mostrava la stanchezza degli ultimi giorni.
- Certo che si. Era solo un incubo. -
Saeko lo guardò un attimo perplessa, poi si sedette anche lei sulla panchina.
- Sei sicuro? Ti vedo un po’ sconvolto. Kaori te le ha suonate di nuovo?-
Ryo guardò il sorrisetto beffardo della poliziotta e lo ricambiò, poi appoggiò la schiena alla panchina e si misero tutti e due a guardare il cielo sereno sopra di loro.
- Che cosa state tramando alle mie spalle?-
Saeko incassò il colpo senza mostrare la sorpresa. Quel bastardo sapeva sempre tutto, ma come diavolo faceva?
- So che hai chiesto tu a Umibozu di non dirmi niente su Hans Bruckmeyer. –
Saeko fece una smorfia per nulla impressionata, ci era troppo abituata per sorprendersi, ma il fallimento bruciava sempre.
- Beh, a quanto pare Mick aveva ragione, tu sai tutto come sempre. -
- E’ inutile che cercate di nascondermi certe cose, tanto io le scoprirò lo stesso. –Saeko diede voce alla stessa preoccupazione di sua sorella.
- E che cos’hai intenzione di fare ora? Ucciderlo? –
- Naturalmente. Nessuno mi attacca così deliberatamente sperando di farla franca. Comunque prima voglio sapere chi è che lo manda. -
La naturalezza con cui pronunciò quella frase la fece rabbrividire, non era più abituato al Ryo in quelle vesti, apparteneva a un passato ormai troppo remoto per rivangarlo. Comunque non aveva ancora finito, voleva sapere esattamente come aveva intenzione di agire Ryo.
- E Kaori? Lei sa di questa storia?-
Lo sguardo di Ryo, apparentemente perso nel blu del cielo primaverile, era una risposta più che sufficiente per la donna.
- Guarda che non potrai nasconderglielo per molto ancora, non è stupida, e tra le altre cose riesce a leggerti dentro come un libro stampato. -
- Ah, davvero?-
Ryo si alzò e guardò verso la camera di Kaori.
- Fatemi un favore tu e gli altri, occupatevi di Kaori, non so quanto mi prenderà questa storia. -
Saeko gli lanciò un’occhiata irritata.
- Non dovresti nemmeno chiederlo, lo sai.-
Ryo salutò Saeko con un cenno del braccio e si allontanò in direzione della sua macchina. La donna lo guardò andare via poi salì in camera di Kaori, tentando di reprimere l’irritazione che le stava salendo dalla bocca dello stomaco. “Stupido! Ma quando diavolo ti deciderai? Non puoi andare avanti così per sempre.”
Arrivata alla camera di Kaori si diede qualche secondo per riprendere un respiro e un’espressione normale ed entrò sorridente.
- Cambio della guardia Kaori, che cos’hai fato a Ryo per farlo andare via in quel … !-
Saeko si interruppe bruscamente: il letto di Kaori era vuoto.





Ce l'ho fatta!! Ho sul serio temuto di non farcela quando mi sono ricordata che molto probabilmente la biblioteca scolastica chiudeva il primo lunedì del mese, ma per fortuna non era così.
Il capitolo purtroppo è un po' di transizione, ma il prossimo sarà più lunghetto, anche perchè non ho la minima idea di come fare a spezzarlo.
Sarà quasi sicuramente pronto per mercoledì, perciò pregate che lo zio Murphy si volti dall'altra parte e che io riesca a scrivere. Baci ^^

Marziachan: sono riuscita a mantenere la promessa! Mi spiace, ma ci vorrà un bel po' prima di scoprire che cosa vogliono da Ryo... giusto fino alla fine della fic ^^ -me sadica!-
Grazie dei complimenti! Stanno aumentando terribilmente la mia autostima Ciau!

Mistral: hehehe, grazie troppo buona XD , credo però che se tu leggessi la stesura originale rabbrivideresti, lì si che si vede che avevo diciassette anni. Per fortuna ora sono cresciuta e ho un po' più di coscienza su come si dovrebbe scrivere una storia. Ciau ^^

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5

Sull’ampia terrazza della villa, Hans Bruckmeyer stava ammirando il tramonto sul mare. A qualche centinaio di metri dalla scogliera erano ormeggiati il peschereccio arrivato in mattinata e un battello per trasporto bestiame giunto poco dopo con la bandiera di Taiwan issata sopra il fumaiolo. I suoi uomini a bordo di un motoscafo erano andati a prelevare il comandante della seconda nave. Il trasferimento della merce sarebbe avvenuto con il favore delle tenebre, come si conveniva alla tradizione e alle regole del buon senso. Grazie ai capienti gommoni, i suoi uomini avrebbero trasportato le casse fino all’accesso della caverna, dove sarebbero state stipate nelle diramazioni e negli anfratti sotterranei scavati dalle acque secoli addietro. Quando aveva preso possesso della villa ci erano voluti pochi giorni per creare un ampio e comodo accesso dall’abitazione alla cavità sottostante, trasformando l’intera struttura in un quartier generale perfetto: la villa era circondata da un ampio giardino senza alberi, né cespugli, né altri tipi di anfratti o nascondigli di qualsiasi tipo. Qualche fila di alberi nascondevano alla vista una robusta recinzione elettrificata che si innalzava per tre metri dal suolo e scendeva per altri due sotto. Telecamere a circuito chiuso stavano per essere installate su tutto il perimetro, una guardia armata era sempre presente al cancello, l’allarme anti intrusione a infrarossi era entrato i funzione due ore prima. L’accesso alla caverna era possibile solo dal mare ed era sorvegliato costantemente da uomini e telecamere. Tre sentinelle erano sempre presenti sul tetto per avvistare un tentativo di avvicinamento aereo.
Un modo come un altro per dire che era in una botte di ferro.
Rientrò nel salone della villa. Il pavimento era ingombro di cavi che si diramavano da una serie di tavoli messi in fila e che andavano ai muri ingombri di grossi apparecchi ronzanti, un megaschermo e qualche decina di monitor più piccoli disposti leggermente a ferro di cavallo davanti a una scrivania dal lato opposto della stanza.
Dalle file di tavoli, ingombri di computer, cassette per gli attrezzi e diverse parabole, spuntavano ogni tanto gambe, braccia e teste. Tre ragazzi emergevano a turno dalle postazioni a cui erano intenti a lavorare chiacchierando tranquillamente tra loro.
- Quanto vi manca ancora? –
Il più vicino, una ragazzo di colore che non avrà avuto più di venticinque anni, sgusciò fuori da un grosso fasciò di cavi a un metro da lui, con il cacciavite in bocca e diversi fogli in mano. Si levò il cacciavite e rispose.
- Entra stasera avremo finito, purché ci arrivino le ultime apparecchiature. –
- Arriveranno. –
- Stasera avremo finito. –
- Molto bene. –
Bruckmeyer tornò sulla terrazza, il tramonto era ormai alla fine e tingeva le pareti della villa di un rosso aranciato molto cupo, che penetrava nel salone modificando i colori al suo interno.
Uno dei ragazzi fece scattare un interruttore e si accesero le luci elettriche.
Una ragazza in calzoncini corti e maglietta, si alzò dall’unità centrale su cui stava lavorando con i mano una scheda madre e guardò la terrazza.
- Secondo voi di che si tratta stavolta? Non ci ha mai messo tutta questa fretta. –
Il ragazzo di prima riemerse di nuovo dal fascio di cavi e rimase ad osservare dal basso il panorama offerto dalla ragazza davanti a lui. Judie, ventiduenne appassionata di sport, riusciva fin da adolescente ad attirare lo sguardo dei ragazzi senza alcuna fatica, specialmente quando i vestiti le si appiccicavano addosso a causa dell’abbondante sudorazione come in quel momento. Dexter rimase particolarmente affascinato dal movimento che la ragazza stava compiendo per raccogliersi i capelli sulla nuca quando qualcosa di molto duro atterrò pesantemente sulla sua testa con un sonoro ‘tuk’.
- Meglio che guardi quello che devi fare invece di rimanertene lì come uno stoccafisso. I cavi della corrente sono pericoli sai? –
Il ragazzo che aveva acceso le luci, Brad, lo guardava con un ghigno beffardo dalla parete su cui era stato appoggiato il megaschermo. Dexter si massaggio la testa e strinse gli occhi in finto disappunto.
- Ah la gelosia. Tranquillo, la tua ragazza mi ha già ampiamente istruito su quest’argomento. –
Il ghigno del ragazzo aumentò.
- A davvero? –
- Mi volete rispondere? –
Il ragazzo geloso, un tipo snello con dei grossi occhiali da lavoro e una maglietta piuttosto sudicia, si sostituì in veste di ammiratore all’amico e le rispose senza troppa fretta.
- Non lo so piccola, come al solito a noi non è dato sapere troppo. –
- E’ un po’ difficile programmare eventuali misure di sicurezza se non sappiamo con chi o cosa abbiamo a che fare e perché. –
La ragazza era pericolosamente sul piede di guerra, forse perché Bruckmeyer li aveva richiamati in tutta fretta al dovere proprio mentre lei si stava godendo una vacanza su una delle spiagge più belle d’Europa, a prendere lezioni di surf da un istruttore fin troppo carino per i gusti del suo ragazzo; infatti il suddetto non lo sapeva.
Dexter sorrise malizioso.
- Ma piccola, è semplice! – schivò l’ennesimo proiettile e le rivolse un sorriso smagliante – Bisogna semplicemente bloccare qualsiasi via d’accesso alla nostra rete, per qualsiasi motivo o utente. –
La ragazza sembrò interdetta. Era da due anni che lavorava per Hans Bruckmeyer, era stata l’ultima ad aggiungersi, prima di lei erano stati arruolati Brad e Dexter. Avevano fatto ogni genere di lavoro, dalla violazione di sistemi informatici alla creazione di sistemi di copertura per le attività illecite di Bruckmeyer. Ogni missione era programmata tutta nei minimi particolari prima a tavolino, e poi sul campo dopo un attento sopralluogo. Qualsiasi azione, militare o informatica, seguiva un rigido e attento protocollo, grazie al quale non erano mai stati sorpresi, individuati o fermati. Tutte le azioni che aveva seguito e non erano state coronate dal successo grazie soprattutto alla calma con cui venivano dirette le operazioni. Per questo tutta quella fretta e quel mistero la metteva a disagio.
- Ma come, niente copertura aziendale fittizia o di altro genere? –
- Esatto! Qualsiasi bellimbusto si presenti alla tua porta, lo devi semplicemente distruggere e dissuadere dal riprovarci una seconda. –
Judie, Brad e Dexter erano la sezione informatica non dichiarata di Bruckmeyer. Alla sezione militare faceva appello Jimmy Bolt, ex colonnello dei seal, invischiato in una storia di spionaggio e contrabbando quando Bruckmeyer lo contattò, tirandolo fuori da tutti i pasticci legali ed evitando il suo congedamento per disonore. Con una paga letteralmente triplicata e carta bianca assoluta sulla scelta degli uomini e le strategie da seguire, Bolt non aveva rimpianto la vita militare. Senza legami familiari, si era dedicato completamente al suo ruolo all’interno dell’organizzazione del tedesco. Altre persone figuravano sui suoi registri contabili non ufficiali: chimici ricercatori, chirurghi, linguisti, esperti d’arte, spie e attori, tutti selezionati da una lista di persone che erano state liquidate a causa di denuncie per molestie, violazione di regolamenti, furto. E poi c’era Melissa. Una delle migliori spie e killer freelance, Bruckmeyer se l’era aggiudicata grazie a un sotterfugio che aveva finito per incastrare anche lui: si erano innamorati. Ufficialmente Melissa svolgeva le sue funzioni di segretaria personale presso l’azienda ufficiale e legale di Bruckmeyer; ufficiosamente era a capo della sua sezione di spionaggio e la sua donna.
Bruckmeyer riusciva a tenere sottocontrollo un gruppo nutrito di persone alle quali nessun capo sano di mente avrebbe affidato qualcosa - per il semplice fatto che non ci si poteva fidare - perché concedeva carta bianca a tutti loro. Questo in teoria, ma in realtà non esistevano solo ordini precisi e divieti per costringere una persona a seguire certe linee direzionali. Bruckmeyer era un fervente patito della persuasione e la sapeva usare bene.
Era in quel modo che riusciva a tenere sotto controllo i tre hacker che avevano violato un centinaio di sistemi informatici, mandando mezzo mondo informatico, amministrativo, politico e industriale nel caos solo due anni prima solo perché si stavano annoiando e volevano un diversivo. Allo stesso modo, Judie era piovuta in Giappone dalla Spagna e Brad e Dexter avevano lasciato la competizione informatica alla quale attendevano da sei mesi di poter partecipare, ma lei cominciava a pentirsene.
Osservando i due ragazzi continuare a lavorare tranquillamente e poi il suo capo che osservava rapito il cielo giapponese rosso cupo, ebbe lo sgradevole presentimento che quella volta non sarebbe andato tutto liscio come al solito.
Hans osservò l’ultimo guizzo del sole morente e rabbrividì leggermente alla brezza fredda che soffiava dal mare. Era appoggiato alla balaustra della terrazza ed era perso in ricordi e fantasie. Sorrise al volto di un uomo ricoperto di sofferenza. Il momento in cui lo avrebbe visto anche nella realtà si stava avvicinando rapidamente.

Kaori era uscita dall’ospedale decisa a non rientrarci prima di aver capito che cosa stava succedendo. L’inattività non era mai stata il suo forte e non le era mai piaciuto che le si nascondesse qualcosa. Per qualche strana ragione, le persone che l’avevano circondata e amata avevano sempre pensato a lei come una ragazza troppo fragile per reggere la realtà dei fatti. Così suo padre e suo fratello erano morti senza dirle che lei era stata adottata, Ryo non l’aveva ancora fatto e sua sorella era partita per gli States senza dirle nulla per non costringerla a prendere una decisione che avrebbe potuto farla soffrire. Ryo aveva anche manomesso la sua pistola e solo poco tempo prima glie l’aveva rimessa a posto, ma sembrava non aver ancora accettato il suo ruolo di collega alla pari. Come se non bastasse, persone che prima sembrava attribuirle se non altro la coscienza di un’adulta, ora si comportavano come se fosse ancora una ragazzina indifesa. Non lo sopportava più. Aveva capito che qualcuno aveva tentato di ucciderli la notte prima, i rumori di quegli spari riecheggiavano chiari nella sua mente, così come quelli di risposta di Ryo. Quel che era successo dopo era completamente buio, ma non avrebbe accettato un’altra versione sulla presunta fuga di gas.
Aveva deciso di passare prima da casa sua per vedere i danni reali e recuperare qualsiasi vestito fosse sopravissuto all’esplosione. Aveva addosso solo dei vestiti che aveva trovato nello spogliatoio delle infermiere ed erano troppo piccoli per lei. Camminava decisa premendosi il braccio ingessato contro il petto che lamentava lo sforzo con fitte dolorose quanto bastava per farla ansimare. I cerotti e i lividi completavano un quadro abbastanza vistoso che attirava lo sguardo dei passanti per strada, ma nessuno fece domande o commenti.
Quando svoltò l’angolo che gli celava il palazzo alla vista, lo vide ricoperto per buona parte da impalcature e teloni dai quali provenivano rumori metallici e tonfi: il loro appartamento in particolare ne era completamente avvolto.
Entrò decisa nel palazzo e salì le scale. All’ingresso della sala si trovò proiettata in un mondo fatto di operai, piastrelle, mattonelle e assi di legno sparse ovunque, con un sottofondo di tonfi, martellature, grida e trapani; l ’aria era satura di polvere d’intonaco, che la stordì leggermente.
Guardandosi intorno, vide che non c’era alcun segno dello scontro appena avvenuto. I fori dei proiettili erano già stati stuccati e riverniciati, il parquet sostituito così come gli infissi e le finestre e i vetri della credenza. Sorpresa, andò di sopra, incrociando un paio di operai frettolosi che la degnarono appena di uno sguardo. I suoi occhi cercavano avidi segni dello scontro, invani. Il pavimento, sebbene un po’ impolverato, era intatto in qualsiasi punto, la vernice e l’intonaco nuovi avevano mascherato tutti i danni, i muri crollati erano stati rifatti.
Arrivò a un grosso telo che recintava l’area in cui si trovavano camera sua e il bagno. Fece per sollevarlo quando una mano le si posò decisa su una spalla, facendola sobbalzare. Mick le stava alle spalle, sorridendo. Kaori improvvisamente si ricordò che Ryo aveva istituito una rete di ‘protezione’ per non lasciarla mai sola; a quanto pare funzionava. Leggermente stizzita, si voltò verso l'uomo eletto a sua balia temporanea.
- Non dovresti essere qui. Sei ancora convalescente lo sai? Su che ti riporto all’ospedale, hai fatto prendere un infarto alla capo sala quando Saeko le ha detto che non eri più nel tuo letto. Siamo tutti seriamente preoccupati, sembra indecisa se suicidarsi o uccidere te appena ti trova. –
Kaori sorrise alla battuta per cortesia, l'apparizione di Mick poteva rivelarsi fruttuosa tutto sommato. Docilmente si lasciò accompagnare fuori dall’appartamento fino alla macchina di Mick. Una volta seduti Kaori si avvicinò a lui fino a sfiorargli il braccio con il petto.
- Senti Mick… -
Mick si voltò di colpo trovandosi con il viso a un solo centimetro da quello di Kaori. Preso alla sprovvista, la guardò sorpreso, ma mutò in allarmato quando Kaori appoggiò il viso sulla sua spalla.
- Mick? -
Mick, che non sapeva più se stare in guardia o protendersi anche lui, capiva che doveva rispondere, ma era troppo concentrato a non reagire. Ben inteso, la sua mente era più propensa alla prima opzione, ma il resto del suo corpo era decisamente proteso verso la seconda ed era più che evidente che stava vincendo lui. Alla fine, riuscì a spicciare due parole.
- Ah… dimmi Kaori. –
Vedendo che il trucco stava facendo effetto, Kaori utilizzo la voce più suadente che aveva in repertorio.
- Sai, nessuno vuole dirmi che sta succedendo, tu per caso sai perché? –
Kaori si appoggiò ulteriormente a Mick con il resto del corpo, prendendolo sottobraccio. Se proprio doveva giocarsela in quel senso, tanto valeva andarci pesante. In più avrebbe potuto prendersi anche una piccola rivincita per quando lui le aveva fatto credere di essere ancora innamorato di lei, mentre in realtà stava già con Kazue. Kaori non dimentica e perdona ancora meno.
- Eh… beh ecco… -
I livelli testosteronici gli stavano facendo capire che l’attrazione per la bella sweeper non gli era ancora passata. Maledizione alle donne e alla loro furbizia, con quel metodo sarebbe riuscita facilmente a estorcergli qualsiasi informazione. E no Mick, ragiona, sei stato un grande sweeper ai tuoi tempi non puoi assolutamente farti battere da una novellina, specie quando dovresti essere tu a farle quest’effetto e non l’opposto. Era lui il seduttore, doveva farsi valere in quanto tale.
Kaori, vedendo la sua esitazione, allungò il braccio sano sul petto dell’uomo scivolando fino alla coscia. Avvicinò ulteriormente il viso al suo facendo quasi concidere le loro labbra.
- Mick, anch’io ho il diritto di sapere, non credi? –
Cominciò a risalire lentamente verso l’interno coscia. Mick deglutì, visibilmente in difficoltà.
- Ryo sicuramente non me lo dirà se non all’ultimo. Posso contare solo su di te, Mick. –
Kaori arrivò fino all’inguine.
- Siete stati attaccati da un’organizzazione criminale che vi vuole morti. Fa capo ad Hans Bruckmeyer, un tedesco che offre servizi mercenari di qualsiasi tipo. Probabilmente è stato assoldato ma non sappiamo perché. Non sappiamo dove opera. Ryo sta lavorando da solo e probabilmente ha già in mente un contrattacco. –
- E’ tutto? –
- S-si. – bel dongiovanni del cavolo. Oh al diavolo, checchè be dicesse Ryo Kaori era una donna molto belle e un suo bacio valeva la sua ira.
Kaori gli sorrise dolcemente, si avvicinò ulteriormente alle sue labbra e… si staccò velocemente da lui sorridendogli gioiosa.
- Grazie mille Mick, mi sei stato di grande aiuto. –
Mick, ancora proteso in attesa del bacio, rimase bloccato qualche secondo, in cui si sentì un madornale stupido.
- Che ne dici se ora torniamo all’ospedale? Non vogliamo che Saeko si trovi alle prese con un’infermiera sclerotica, no? –
Mick le fece un sorriso sforzatissimo cercando di non pensare al livello di temperatura corporea che aveva appena raggiunto: gli sembrava di stare in una sauna, per non parlare della situazione del suo amico.
- A-assolutamente. –
- Bene. –
Kaori gli rivolse un sorriso di gioia mischiata a pura perfidia e si mise la cintura di sicurezza. Mick accese e accelerò a tavoletta.
- Senti un po’… -
- E no! Che c’è ancora? Vorrei farti notare che ora sto guidando. –
La ragazza sorrise maliziosamente ma non accennò a muoversi.
- Perché non me lo avete detto prima? Avevo il diritto di saperlo, in fondo sono io quella che è quasi finita all’altro mondo, no? –
Mick sogghignò. Quando aveva incontrato Kaori per la prima volta si era reso conto che la protettività del suo ex-socio, nei confronti della ragazza, era abbastanza ingiustificata. Ora ne aveva la conferma. Se Ryo avesse saputo quel che era successo in quella macchina avrebbe dato fuori di matto. Ecco, quello poteva essere un problema, ma era sicuro che né lui né Kaori si sarebbero fatti sfuggire una sola sillaba di quel pomeriggio.
- Sai com’è fatto Ryo, tende a volerti escludere da tutto ciò che potrebbe essere troppo pericoloso, troppo folle,… -
- Troppo sporco. –
Kaori pronunciò le ultime parole in un misto di irritazione e disgusto che stupirono persino lei. Mick sorrise senza allegria, ma non rispose.
- Ryo mi pensa ancora come la ragazza da proteggere. Credevo che ormai gli fosse passata. –
- Temo che non gli passerà mai Kaori. –
- Già. – il sapore di quella parola aveva uno strano gusto amaro e le venne l'improvviso bisogno di sputarlo.
Erano sulla statale sopraelevata, i palazzi di Tokyo li circondavano con il freddo splendore dei vetri polarizzati e le insegne ancora spente. Il sole al tramonto si rifletteva da loro all’abitacolo inondandoli a tratti di luce calda e accecante. Imboccarono un tunnel e all’abbacinante luce solare, si sostituì quella aranciata e intermittente delle luce elettriche.
- Sono così pericolosi questi tizi? –
Mick non sorrideva più, guardava davanti a se come a ponderare bene quello che doveva dirgli.
- Mettiamola così, un gruppo terroristi al loro confronto passerebbero come ragazzini che tormentano un po' un coetaneo. –
Kaori assentì silenziosamente. Il tragitto fino all’ospedale proseguì in completo silenzio. Pochi minuti dopo erano davanti al cancello d’ingresso, Saeko era lì davanti che cercava di trattenere una robusta matrona piuttosto agitata.
- Bene, siamo arrivati. La bella principessa è tornata sana e salva al suo maniero. –
Mick strizzò l’occhio a Kaori che rispose con un occhiataccia finto stizzita, poi sorrise.
- Grazie del passaggio e… scusa per prima. –
Mick ghignò lascivo.
- Ma di niente, solo la prossima volta ti pregherei di finire quel che avevi cominciato. –
Nel momento in cui la disse però, si morse la lingua e si protese leggermente verso lei, imbarazzato.
- Ehm, non diciamo niente a Kazue di questa storia eh? –
Kaori sorrise in un modo davvero poco rassicurante.
- Ma chissà… - e uscì dalla macchina trionfante, sventolando distrattamente una mano per salutarlo, già concentrata su Saeko che le faceva cenno di avvicinarsi.
Mick la guardò andare via frustrato e innestò la prima, conscio di aver dato a quell’arpia una nuova arma per ricattarlo. Mentre era fermo a un semaforo si chiese da chi diavolo aveva imparato quei trucchetti. Ripensandoci meglio però, forse non lo voleva sapere.

Kaori si avvicinò a Saeko, notando solo in quel momento che c’era anche Reika, con un cipiglio poco decoroso per una graziosa fanciulla. Si affrettò a raggiungere la prima evitando la rabbia della seconda e dell’infermiera, che non sembrava davvero in vena di calmarsi. Saeko le sorrise indulgente.
- Allora Kaori, dove diavolo ti eri cacciata? Non sei proprio in condizioni di fare una passeggiata sai? –
La voce stridula di Reika le impedì di rispondere.
- Non fare mai più una cosa del genere! Hai fatto prendere un infarto a tutti, oltre a dei seri danni fisici. –
Kaori fissò i vari lividi sulle braccia che la ragazza le stava mostrando e poi guardò di sottecchi la terza donna rabbrividendo appena. Questa la prese per il braccio sano e cominciò a trascinarla con energia verso l’ingresso dell’edificio.
- Le sue amiche hanno ragione. Mi segua a non provi più a scappare, siamo intesi? –
Il tono non ammetteva repliche. Kaori si lasciò guidare verso la sua camera e sopportò la visita di rito e il cambio delle medicazioni. In quel momento voleva solo sapere dove si era cacciato Ryo.

Erano le dieci di sera. Ryo era passato da casa a dare un’occhiata ai lavori e si era assicurato che Kaori stesse bene. Saeko non aveva accennato alla sua breve fuga e Mick non si sognava nemmeno di andare a dirgli che, dopo essere stato sedotto, le aveva rivelato tutto quello che lui si era tanto prodigato a nasconderle. Oltre a farci la figura del fesso, temeva l’ira scatenata dalla gelosia. Perciò Ryo si diresse verso la discoteca sopra la quale alloggiavano gli hacker inganno della tempesta che lo avrebbe accolto appena varcata la soglia della camera della sua collega.
Salì in fretta le scale lanciando un’occhiata vagamente interessata alle ragazze in attesa di entrare, in particolare alle loro mise che lasciavano scoperte abbondanti porzioni di gambe, addome e scollatura. Bussò con vigore alla porta dopo aver sorriso a una ragazza che gli aveva lanciato uno sguardo di apprezzamento tutto femminile e rispose alla voce del citofono. Gli aprirono praticamente subito.
La porta si spalancò su Kuno, vestito di una sgargiante camicia hawaiana, pantaloni bianchi sempre troppo grandi e un paio di sandali. I capelli erano lasciati sciolti e gli arrivano alle spalle.
- Ehilà! Qual buon vento?-
- Vento di denaro se riesci a trovarmi delle informazioni.-
Il ragazzo si scansò per farlo passare e richiuse la porta, poi lo raggiunse e gli indicò il divano mentre lui si dirigeva all’angolo cucina per offrirgli un drink. Quei ragazzi ci tenevano molto alla cortesia. Ryo si guardò in giro.
- Tua sorella non c’è? –
Kuno ghignò.
- No, Akira è passato di qua un’ora fa ed è riuscito a trascinarla fuori. Spero di non doverne raccogliere i pezzi torna. –
- Di lui o di lei? -
- Di lui, ovvio! -
Il ragazzo tornò non con due bicchieri, ma con due tazze alte e fumanti piene di caffè nero. Ryo prese la tazza chiedendosi se il suo bisogno di dormire fosse così evidente. Si passò una mano sul viso, che faceva sfoggio della barba lunga già da più di un giorno e sugli occhi; non voleva sapere a che profondità erano arrivate le occhiaie.
- L’ultima informazione che ti ho passato era buona? –
- Ottima. Avete fatto centro completo. –
Kuno sorrise soddisfatto ma senza troppo entusiasmo. Era chiaro che lui era già sicuro di aver fatto centro, ma voleva sentirselo dire.
- Allora, che ti serve? –
Lo sweeper sorseggiò il suo caffè appoggiandosi comodamente al divano. Doveva mettere bene in moto il cervello se voleva che la sua operazione riuscisse.
- Prima di tutto, sei in grado di scoprire quali e quanti uomini ha a disposizione qui in Giappone? –
Kuno ci rifletté un attimo.
- Passando per via tradizionali temo di no. Bruckmeyer è entrato in Giappone legalmente passando dalla dogana dell’aeroporto di Narita. I suoi uomini, non essendo ufficialmente suoi dipendenti, potrebbero essere entrati nel paese alla spicciolata, se non clandestinamente. –
- Quindi? –
- Quindi… -
Si alzò e fece un paio di passi per la stanza.
- Quindi si tratta solo di vedere se nella villa è stata installata una qualche rete telematica collegata alla normale rete telefonica o a un satellite. Potrebbe essere un lavoro lungo nel secondo caso, perché devo sottrarre un satellite e vedere se ci sono scambi di informazioni tra l’edificio e l’etere. –
- Ti facilito il compito. Stasera ho fatto un sopralluogo, ho visto che montavano antenne paraboliche su tutto il terrazzo e il tetto, sono sicuramente agganciati a un satellite. –
Kuno finì il suo caffè senza smettere di fissare il vuoto.
- Probabilmente è dello stesso Bruckmeyer, ne ha lanciato uno da una base sovietica sei mesi fa. Non dev’essere facile riuscire a bypassare le sue misure di sicurezza e introdurmici. Dovrei passare dalla normale rete di servizio dei suoi dipendenti e vedere se riesco a risalire al collegamento ufficioso. –
- Bene, fallo. –
Come se si fosse risvegliato da un sogno, il ragazzo portò di scatto la sua attenzione su Ryo spalancando gli occhi.
- Stai scherzando vero? –
- Io non scherzo mai in queste situazioni. –
Continuò a fissare l’uomo, ma non trovò accenni di indecisione. Ora doveva solo decidere se lui poteva permettersi di correre quel rischio e per giunta da solo. Se non fosse riuscito a penetrare nella rete poco male, avrebbe potuto riprovarci con l’aiuto di Aki e Shiori non appena fossero tornati, ma se fossero riusciti ad agganciarlo e a risalire fino al suo IP, avrebbe messo in pericolo anche loro due. Bruckmeyer non era certo il tipo di persona che lascia passare impunita una cosa come la violazione della sua rete. Ma, d'altro canto, da quanto tempo era che non violava una rete di massima segretezza?
Ryo fissava negli occhi il ragazzo che rifletteva, non aveva intenzione di accettare un no. Vide che riportava lo sguardo su lui, aveva una strana scintilla negli occhi. Interpretandola, capì che era attratto dal gioco. Avrebbe rischiato.

Un’ora dopo, Kuno era seduto alla sua postazione. Si era raccolto i capelli e aveva indossato degli occhiali da vista. La camicia era aperta e i pantaloni arrotolati fino alle ginocchia. Era sudato e con le spalle incurvate dalla concentrazione. Da quando aveva accettato il lavoro non si era più staccato dalla tastiera; Ryo ogni tanto gli riempiva la tazza di caffè o con qualsiasi altra cosa il ragazzo chiedesse, ingannando il tempo attingendo alla libreria dei ragazzi.
Alla fine del quinto manga e tre quarti d’ora dopo però, sollevò gli occhi in direzione del ragazzo, preoccupato. Forse era un compito troppo arduo per una persona sola o forse la rete di Bruckmeyer era davvero impenetrabile.
A mezzanotte passata stava seriamente ponderando di lasciar perdere, quando il ragazzo si drizzò sullo schienale portandosi le braccia dietro alla testa. Si voltò verso di lui ruotando sulla sedia girevole, aveva un gran sorriso stampato in faccia.
- Fatto? –
Ryo, quasi incredulo, osservò il sorriso del ragazzo allargarsi ancora di più e fare con la mano il segno della vittoria. Si alzò di scatto dal divano e lo raggiunse, afferrando al volo la sedia dalla postazione più vicina alla sua. Si sedette al suo fianco e lo osservò bene: aveva le occhiaie profonde e gli occhi iniettati di sangue, ma il ghigno malefico esprimeva una soddisfazione infinita.
- Forza fammi vedere. –
Il ragazzo si voltò verso lo schermo e schiacciò un tasto. Subito apparvero diversi fascicoli in digitale che Ryo cominciò a sfogliare dopo essersi impossessato del mouse. Più interessato ai soldati e alle spie che a resto delle divisioni, una volta scorse tuttie le pagine l’occhio gli cadde su una intitolata ‘Sezione informatica’, in cui capeggiava il vuoto.
- E questa? –
- Questa non è reperibile. Se lo fosse vorrebbe dire che Bruckmeyer si è circondato di incapaci. –
Ryo sorrise ricordandosi che, in genere, gli hacker tenevano il più possibile segreta la loro identità. I più bravi riuscivano addirittura a tenere nascosto il loro nickname e solo pochi intimi li conoscevano tramite interfaccia.
Kuno si stirò facendo schioccare le ossa della schiena e del collo.
- Allora, hai altro da chiedermi? –
Ryo ghignò e lo guardò con aria di sfida.
- Mettimi in contatto con loro. –
In quel preciso istante Kuno si rese conto di avere a che fare con un pazzo, e a lui i pazzi piacevano.

Era mezzanotte passata e tutte le apparecchiature elettroniche e belliche erano al loro posto, pronte e funzionanti.
Tutti i turni di guardia erano stati rivisti e ristabiliti e gli alloggi riforniti di viveri e altri generi di conforto.
I tre ragazzi, avevano appena finito collegare tutte le apparecchiature, installare la rete e i primi firewall, si erano già inseriti nei vari canali di comunicazione della polizia, nei loro archivi e li stavano monitorando. Stavano comunicando esclusivamente tramite il satellite della compagnia di Bruckmeyer, lui non aveva acconsentito ad usare altro. Una precauzione che loro non avevano discusso. Ci era voluto più tempo perché avevano dovuto costruire tutto da zero, ma ormai avevano finito. Stavano per ultimare le ultime barriere d’accesso quando un messaggio di errore apparve su uno dei monitor di Judie.
La ragazza, perplessa, controllò, ma non trovò nessun errore, non dove specificava il messaggio.
Quasi subito ne apparve un altro. Judie alzò lo sguardo dal suo monitor e guardò il ragazzo alla sua sinistra.
- Brad, credo che abbiamo un problema. –
Il ragazzo si stiracchiò e la guardò assonnato mentre reprimeva uno sbadiglio.
- Connessione? –
- No, credo che qualcuno stia cercando di inserirsi. –

- Allora, ce la fai? –
- Calma. I firewall che hanno messo su non sono facilissimi da oltrepassare. –
Ryo non decifrò il termine, ma adocchiò un piccolo strumento a lato del monitor.
- Quella è una videocamera? –
- Una web-cam si, perché? –
- Puoi fare in modo che mi vedano? –
Il suo piano gli si era ormai formato in mente, voleva metterlo in atto a tutti i costi.
- Ehm… credo di si, ma perché? –
L’espressione di Ryo divenne più maligna. Le cose stavano andando decisamente come aveva voluto.

Bruckmeyer entrò nel salone e notò subito lo stato di agitazione dei ragazzi.
- Che vi prende? –
I ragazzi sembrarono non notarlo, continuavano a parlare tra di loro.
- Accidenti, deve essere entrato prima che gli ultimi blocchi entrassero in funzione. Mi piacerebbe sapere come diavolo ha fatto. –
- Riesci a trovarlo? –
- No, sta mandando vari programmi di depistaggio, mi appaiono messaggi di errore in continuazione, non riesco a capire dov’è. –
Bruckmeyer aveva afferrato il senso della conversazione. Qualcuno era penetrato nella loro rete informatica. Non era affatto una cosa rassicurante considerando che l’avevano appena installata. Irritato si appoggiò a un tavolo parlando senza mascherare il suo disappunto.
- Voglio la sua posizione. Rintracciatelo. –
Brad alzò gli occhi dal monitor.
- Non è così facile, non riusciamo nemmeno a capire dov’è all’interno della nostra rete. –
Si bloccò di colpo, sul suo schermo era apparsa una finestra nera; contemporaneamente, i monitor della sala e lo schermo gigante sulla parete si accesero.
- Che diavolo… -
Una scritta apparve sulla finestra di dialogo.

La XYZLimited porge i suoi saluti alla CrucconiaSPA e chiede un risarcimento immediato dei danni.

Judie spalancò la bocca.
- Che… che significa? –
Bruckmeyer era pietrificato sul posto, la faccia una maschera rigida di disappunto. Ebbe la sgradevole sensazione di qualcosa di gelido che scivolava nel suo stomaco.
Prima che chiunque potesse dire altro, il testo scomparve e si materializzò un’immagine che ritraeva un uomo con un sorriso sardonico stampato in volto.
- Saaaalve. –
Bruckmeyer strinse le labbra..
- Saeba. –
I tre ragazzi osservavano allibiti l’immagine di Ryo che li fissava da tutti i loro schermi. Erano paralizzati dallo stupore.
- So che questa intrusione non è esattamente… come dire, convenzionale, ma proprio non ho saputo resistere. –
Bruckmeyer si voltò verso i ragazzi, furioso.
- Rintracciatemelo. Subito! –
Rianimandosi di colpo, i tre ragazzi si diedero immediatamente da fare sulle tastiere.
Ryo si voltò appena verso un lato dello schermo e poi tornò a fissare l’occhio della telecamera.
- Mi hanno appena avvertito che state tentando di rintracciarci. Mi hanno detto di riferire che non ce la farete, perciò non sprecate energie. -
Dexter imprecò sottovoce ma non distolse l’attenzione dai suoi monitor.
- Ora, dire ‘Preparati che sto venendo a prenderti’ suona tanto di film vecchio stile, ma il succo del mio discorso è più o meno questo, quindi non mi dilungherò oltre. –
Fece un pausa continuando a fissare l’occhio nero e freddo dell’obiettivo. Si sentiva stupido, ma Kuno gli aveva assicurato che quello che appariva sul monitor al suo fianco, lo stavano vedendo anche gli altri.
- Anche se forse non sarà necessario, perché ho come l’impressione che tu mi eviterai questa fatica, ho ragione? –
Bruckmeyer si astenne dal seguire l’esempio di Dexter ma la sua espressione diceva tutto. Si voltò verso i tre ragazzi tesi nella loro concentrazione e capì che sbraitare sarebbe servito a ben poco. Guardò di nuovo il volto tanto odiato, la mente che passava in rassegna tutti i tipi di tortura cinese che conosceva.
- Comunque ho deciso di fare il bravo, al punto che ti ho lasciato un regalino in segno della mia disponibilità al dialogo. Ora te lo mando. –
Ryo allungò una mano nella tasca della giacca e prese un cellulare. Premette il tasto di richiamata e il telefono prese a squillare libero. Al terzo squillo la linea si interruppe.
Con la coda dell’occhio, Bruckmeyer colse un bagliore aranciato provenire dalla finestra. Subito sentì sotto ai piedi una vibrazione prolungata, accompagnata dal lieve ronzio dei vetri del salone; il potente boato che si propagò nell'aria, lo fece impallidire leggermente e andò a controllare dal terrazzo cos’era successo.
Sull’acqua, a qualche centinaio di metri dalla costa, le due navi che avevano trasportato fin lì armi e apparecchiature bruciavano e affondavano velocemente. Le paratie di poppa di entrambe erano state completamente squarciate e ora imbarcavo acqua molto velocemente. I pochi uomini rimasti a bordo si erano gettati in mare e nuotavano per sfuggire al risucchio e al calore. Un rumore di motoscafi diede a intendere che gli uomini rimasti di guardia nella caverna stavano correndo in aiuto dei superstiti. In pochi istanti le navi sparirono nel nero delle acque.
Bruckmeyer tornò nel salone senza essere particolarmente impressionato. Aveva perso due della navi migliori della sua flotta certo ma non era scoraggiato o particolarmente infuriato, avrebbe tranquillamente potuto sostituirle e poi erano state svuotate ore prima. Tornò a osservare il volto di Ryo chiedendosi per quale razza di capriccio gli avesse fatto un dispetto tanto stupido. Non aveva affatto influito sul suo grado di operatività. Di nuovo con un colorito normale e un'espressione spavalda e solo leggermente infastidita, tornò a fissare il volto che sorrideva sardonico dallo schermo. Sembrava molto soddisfatto.
- Prima che tu possa pensare ‘Quel cretino di Saeba ha fatto saltare in aria due navi vuote’ ti consiglierei di controllare per bene le casse che avete depositato in magazzino. Sai le poste fanno spesso errori, e capitano situazioni poco piacevoli, come ad esempio lo scambio di pacchi. –
Impallidendo per la seconda volta in pochi istanti, Bruckmeyer afferrò la ricetrasmittente posata sul tavolo di uno dei ragazzi, stava per chiamare il comando nella caverna quando fu interrotto da un uomo in uniforme, che entrò di corsa nel salone visibilmente agitato. Dopo un breve saluto rispettoso si mise sull'attenti pronunciandio il suo rapporto con voce leggermente stridula.
- Mi-mister Bruckmeyer, le navi da carico sono esplose. –
Bruckmeyer si trattenne dall’urlare, ottenendone un sibilo minaccioso.
- Questo lo so da me. –
L’uomo balbettò cercando di trovare le parole adatte per continuare: dopo l’esplosione, si erano precipitati tutte alle casse ancora imballate per armarsi in previsione di uno scontro con un’eventuale squadra di attacco. Purtroppo, quel che c’era nelle casse non corrispondeva alle loro aspettative.
- Abbiamo aperto le casse signore e… e sono piene di armi giocattolo. –
Visibilmente terrorizzato dalla reazione possibile del suo capo, si ritrasse per quel che consentiva l’etichetta e l’amor proprio.
Judie alzò la testa dopo aver sentito il rapporto del soldato e trasalì quando vide l’espressione sul viso di Bruckmeyer: il colorito avrebbe potuto indicare un attacco epilettico, ma l’espressione omicida che aveva negli occhi avrebbe fatto fuggire il killer più sadico e sanguinario. Emanava un aura di pura malvagità che fece rabbrividire i presenti, che per un attimo presero in seria considerazione l’idea di fuggire.
Ryo, che non poteva sapere quello che stava accadendo realmente nel salone, era indeciso su cosa fare. Kuno stava avendo seri problemi a lanciare in continuazione programmi anti intrusione e di depistaggio, entro pochi minuti avrebbe dovuto staccare il collegamento se non voleva che scoprissero la loro ubicazione. Il ragazzo era stato molto chiaro, se avesse visto che stava per cedere, avrebbe chiuso tutto immediatamente.
- Bene, direi che hai avuto abbastanza tempo per goderti appieno il regalo, perciò me ne vado. Ah, un ultima cosa, - Ryo mutò improvvisamente espressione - non provare mai più a mettere in mezzo i miei amici, siamo intesi? –
La risposta di Bruckmeyer non lasciava dubbi su che cosa avrebbe voluto fare ai suoi amici se ci avesse messo le mani sopra. Ryo distese i lineamenti e accennò con la mano un saluto.
- Ci vediamo, byeee! –
Lo schermo si oscurò e i monitor tornarono liberi. I tre ragazzi rimasero immobili con l’immagine di Ryo ancora davanti agli occhi. Judie si stupì a pensare che, se l’espressione del suo capo era terrificante, quella dell’uomo apparso sul suo monitor mentre lo minacciava avrebbe potuto tranquillamente farla piangere senza ritegno. Non aveva mai visto degli occhi così gelidi; nonostante fosse solo una proiezione in pixel, le era sembrato di guardare dritta nel pozzo dell’inferno.
Tirò un sospiro di sollievo pensando che quella storia era finita e guardò gli altri ragazzi: Dexter era accasciato sulla sedia visibilmente sollevato, ma Brad no. Erano ancora dritto sulla sedia irrigidito dalla tensione, sudato e con un’espressione perplessa: non aveva la più pallida idea di chi aveva potuto violare così facilmente tutte le loro difese informatiche. Quando rivolse lo sguardo alla sua ragazza, lei si rese conto che in realtà era appena cominciata.
Bruckmeyer era furente. Non gli interessava affatto sapere chi era stato tanto abile da far arrivare l’immagine di Saeba fino a lui, il suo unico pensiero era che voleva vedere il cadavere di quell’uomo entro il giorno dopo.
Il soldato fece un timido e rispettoso saluto militare e si affrettò ad uscire da salone per raggiungere la caverna. Non sapeva chi era l’uomo apparso sullo schermo, ma si augurò di non scatenare mai una reazione del genere nel suo capo. Aveva la brutta impressione che le sue azioni successive non sarebbero state piacevoli.

A Tokyo l’atmosfera era decisamente diversa. Kuno aprì una bottiglia dell’alcolico alla frutta che aveva servito a Ryo il giorno prima e ne versò una dose abbondante in due bicchieri.
- Amico, sei stato grande, grande! Ma che dico gran-dio-so. Neanche nei film si vedono cose di questo genere. È stato spettacolare. Fantastico! –
Ryo sorrise nel suo bicchiere, pensando che i complimenti del ragazzo fossero esagerati, nondimeno gli fece piacere riceverli.
- Beh, direi che tu non sei stato da meno. Hai tenuto a bada i suoi signori dell’elettronica tutto da solo. I miei complimenti vivissimi. –
Kuno annuì soddisfatto vuotando il suo bicchiere d’un fiato e versandosene un’altra dose. Alzò il bicchiere in alto a brindare.
- Alla tua fratello! – e vuotò anche quello tutto d’un fiato. Mentre versava dell'altro alcolico, le guance cominciarono a colorarsi e gli occhi a divenire più vacui e lucidi. Decisamente non reggeva l’alcol.
Ryo lo vide vuotare la bottiglia bel bicchiere e pensò che era meglio andarsene prima di venir coinvolto nella sbronza di un ragazzino, maledettamente intelligente si, ma pur sempre un ragazzino. Vuotò il suo bicchiere, che gi fece più o meno l’effetto di una birra piccola poco alcolica, e lo appoggiò sul tavolino.
- Allora, qual è il prezzo di questa bravata? –
Il ragazzo, che stava perdendo il filo logico dei suoi pensieri, si accasciò sullo schienale del divano con lo sguardo verso il soffitto.
- Mmmh… vediamo, violazione di rete, download di file protetti, connessione con terminal protetti… - il suo sguardo fu catturato da una macchia sul muro che non aveva mai notato prima. Era una macchia davvero strana. Si ma cosa centrava adesso? Dove diavolo era rimasto?
Alzò il viso di scatto e guardo Ryo.
- Mi sono perso, dov’ero rimasto? –
- Ah… - Ryo, preso alla sprovvista, non sapeva cosa rispondere. Ma i ragazzini d’oggi non bevevano come spugne di solito?
Il ragazzo si raddrizzò.
- Ah! Ora mi ricordo. Aspetta, è meglio se prendo la calcolatrice. –
Si alzò goffamente e si diresse alla sua scrivania cercando tra i fogli sparsi lì intorno. Non trovandola, buttò all’aria le altre tre scrivanie, fino a che non gli venne in mente di alzare gli occhi sulla libreria su cui si fiondò non appena riconosciuta la calcolatrice: proprio davanti al suo naso e in bella vista. Si mise a battere sui tasti, lasciando Ryo vagamente perplesso e preoccupato: non voleva che il prezzo salisse a causa della sbronza di Kuno.
Il ragazzo si voltò e tornò trionfante dallo sweeper, tendendo la calcolatrice davanti a se come un trofeo aspramente combattuto.
Ryo osservò la cifra luminosa sul monitor: meno di quel che si aspettava. Prese il portafoglio dalla tasca, contò il denaro e lo mise sul tavolino. Kuno non era di certo in grado di contarli in quel momento. Era andato in cucina a prendere un’altra bottiglia e si era malamente sdraiato su un divanetto, metà sul cuscino e metà sul bracciolo.
Indeciso se lasciarlo solo o meno - non si sa mai cosa possono combinare i ragazzini da sbronzi - fu salvato dal sordo bussare alla porta.
- Illllll citoffono. – Kuno indicò con una mano l’apparecchio completo di un piccolo monitor a lato della porta. Ryo lo raggiunse, sollevò il ricevitore e guardò chi era. Era la sorella di Kuno. Aveva il viso alzato proprio davanti all’obiettivo, occupava tutta l'inquadratura.
- Kuno fammi entrare! –
Ryo guardò l’apparecchio davanti a se, aveva tre bottoni in fila a lato; li provò tutti e tre, niente. Guardò con aria interrogativa il ragazzo che lo osservava a sua volta con un ghignetto divertito.
- Quello innnmezzo. –
Ryo guardò meglio l’apparecchio e vide che c’era una piccola levetta da premere proprio in mezzo all’incavo da dove aveva staccato il citofono. Lo premette e il -clunck- di benvenuto accompagnò l’aprirsi della porta. Sporgendosi, vide che la ragazza stava tentando di aprire malamente il pesante blindato spingendola con la gamba e si affrettò ad aiutarla.
- Oh Saeba, salve. –
- Salve. –
Shiori gli elargì un largo sorriso che Ryo ricambiò. Guardandola meglio però, si accorse che aveva qualcuno sulle spalle. Quel qualcuno era Akira. La ragazza lo indicò con un cenno della testa facendo una smorfia mentre Ryo la liberava di quel peso.
- Questo scemo si è ubriacato e mi è toccato riportarlo qui in spalla. –
Ryo ghignò. Ecco un altro ragazzino che non sapeva reggere l’alcol.
- Oh, ma poverino. –
Non gli dispiaceva più di tanto, forse anche perché in quel momento era l’unico maschio sano di mente che poteva godere della compagnia di Shiori.
- Si, poverino. Ha proposto una gara per vedere chi reggeva di più solo perché sperava che mi sbottonassi di più. Illuso. –
Quella ragazza gli piaceva sempre di più. Chissà se la differenza di età per lei era un problema.
Aveva adagiato malamente Akira sul divano assieme al suo degno compare, che l’aveva salutato con un gioioso quanto biascicato “Akira! Bentornato fratello!”, che però era suonato come un “Aaaaki’ ven’onatorfrtello”. La bottiglia era già a metà e sua sorella glie l’aveva levata senza troppi complimenti ignorando le sue proteste. La raggiunse all’angolo cucina per cercare una risposta al suo interrogativo, quando il telefono suonò. Ryo sospirò. Classico. È sempre sul più bello che qualcuno sente l’irrefrenabile impulso di cercarti e rovinarti tutto.
Come se avesse inteso quel pensiero, la ragazza gli lanciò un occhiata maliziosa e si riempì il bicchiere, osservandolo mentre prendeva il cellulare e rispondeva.
- Pronto? –
- Sono Saeko. –
Ryo si trattenne dal fare una smorfia. Quella donna lo chiamava solo per affibbiargli seccature promettendo ricompense che puntualmente non pagava, ora voleva anche levargli la possibilità di provarci con le altre?
- Dimmi tutto. –
- Non so se la cosa ti interessi, ma oggi Kaori è scappata dall’ospedale. –
L’attenzione di Ryo si concentrò tutta sulla conversazione.
- Come sarebbe a dire scappata? Dov’è ora? Sta bene? –
Saeko, dall’altra parte del telefono sorrise. Quando gli aveva detto chi era non l’aveva salutata con il solito tono gioioso e lascivo, segno che era in compagnia al momento della chiamata, però si era immediatamente concentrato su Kaori. Chissà se si era reso conto che non era più in grado di fingere.
- Certo, certo. Sta benone, Mick l’ha riportata qui sana e salva prima di sera. –
Prima di sera? Ryo sentì chiaramente un campanello accendersi nei recessi della sua mente. Fece qualche passo nella stanza allontanandosi da Shiori che decise di distrarsi punzecchiando i suoi ‘compagni’ di scorribande.
- Perché non me l’hai detto quando ti ho chiamato prima? – sentì chiaramente uno sbuffò mal trattenuto, che ebbe il solo effetto di irritarlo.
- Non pensavo fosse necessario preoccuparti più del dovuto, ma credo che Kaori sia riuscita sa capire che cos’è successo veramente a casa vostra. –
- A si? E da cosa lo deduci? –
- Ha smesso completamente di fare domande. Non entra nemmeno in tema. Sembra che la curiosità le sia svanita di colpo. –
Ahi, ahi. Non era da Kaori accettare di rimanere all’oscuro di qualcosa.
- E da chi l’avrebbe saputo scusa? –
- Fai due più due scemo! –
Ryo, stanco morto e distratto dalle movenze di Shiori che si divertiva a torturare Akira, cercò di fare ‘due più due’.
Kaori era scappata, era andata in giro, Mick l’aveva trovata e riacc…
Dannazione. Mick.
- Cazzo. – Quattro.
- E si. - Saeko era felice che Ryo fosse arrivato così velocemente al punto della questione.
- Si può sapere perché quell’imbecille le ha raccontato tutto? –
- Questo dovrai chiederlo a lui, mi spiace. –
- Questo è sicuro. – Ryo stava ripassando mentalmente una serie di torture per far parlare l’amico, o anche semplicemente per punirlo.
- Bene, allora io me ne vado a letto. C’è Miki con lei, non preoccuparti. Ci vediamo domani, Ryo. ‘Buona serata’ –
Era una sua impressione o aveva calcato un po’ troppo sul ‘buona serata’? Lo sguardo gli cadde di nuovo su Shiori che, rimasta senza divertimento ora che entrambi i ragazzi erano addormentati, lo stava guardando.
- Uh, grazie anche a te. –
Riattaccò. Mise via il telefono senza staccare lo sguardo da Shiori. Quella sera la ragazza indossava un minigonna e una maglia aderente che gli stavano letteralmente facendo girare la testa. Era decisamente una ragazza attraente, troppo.
Il quel mentre, lei decise che era il momento buono per alzarsi e dirigersi verso di lui.
- Allora Saeba, hai altro da fare o puoi considerarti libero per un bicchiere in compagnia? –
Un bicchiere eh?
Ryo squadrò la ragazza appoggiata allo schienale del divano, a soli pochi centimetri da lui: l’offerta era più che allettante, ma a parte il sonnellino di quel pomeriggio, lui non aveva chiuso occhio dalla mattina dell’esplosione. Una vocina tanto onesta quanto fastidiosa gli disse che in ogni caso, non sarebbe riuscito a reggere a nessuna prestazione. Gli venne voglia di accettare solo per provarle che sbagliava, ma si rese conto che stava facendo fatica a mettere a fuoco le cose.
- Un’altra volta magari, quando non ho più di tre giorni di sonno arretrato. –
La ragazza lo guardò un po’ delusa, ma per lo meno non lo sguardo di disprezzo che aveva riservato ai due ragazzi: probabilmente aveva adocchiato le occhiaie e la barba lunga. Annuì comprensiva e gli si avvicinò silenziosamente, alzandosi poi in punta di piedi per avvicinarsi al suo viso.
- Beh, quando avrai abbastanza energie fai un fischio. Io sono sempre qui. –
Gli posò un bacio leggero sulla guancia. Profumava di vaniglia.
Ryo le sorrise, trattenendosi dal passarle un braccio intorno alla vita e ricambiare, annuendo a sua volta. La ragazza si staccò da lui e si diresse verso il corridoio che portava ad altre stanze della casa.
- Chiudi bene la porta quando esci per favore. –
Si voltò ancora una volta per salutarlo e scomparve nel buio.
Ryo si lasciò andare in un lungo sospiro e si diresse verso il corridoio, ma non prima di aver lanciato uno sguardo di compatimento ai due ragazzi sul divano.
- Ciao ragazzini. –
Fece scattare la serratura del portone blindato e uscì nella notte. L’aria era tiepida, ma non ancora asfissiante per fortuna, l’estate non era ancora così vicina. Inspirò a fondo tentando di illudersi che non stava respirando un miscela di gas di scarico, sigarette e esalazioni di rifiuti, ma una brezza marina. Scese le scale facendo attenzione a dove metteva i piedi e di diresse verso casa sua.
L’appartamento era quasi finito, mancavano solo la stanza di Kaori e il bagno da rifinire e ripristinare l’impianto elettrico e idrico, e i mobili ovviamente. Le cerate della facciata, ormai completamente restaurata, erano state tolte. La camera di Ryo non aveva subito molti danni, perciò era già a posto. Appena entrato, si distese nel letto completamente vestito e, già dimentico di Shiori, si addormentò.

 

 

 

 

Comunicazioni di servizio:
Innanzittutto scusatemi (perdonoperdonoperdono), ma proprio non sono riuscita più ad aggiornare. Questo capitolo sono riuscita ad iniziarlo solo venerdì e mi hanno buttato fuori dalla biblio prima di finire (era mezzanotte meno un quarto ^^'''').
Secondo, sono costretta ad annunciarvi che, molto probabilmente, non riuscirò a postare più di un capitolo a settimana per ovvi motivi di tempo: non ne ho. Sono a un mese dagli esami, uno dei quali è uno spettacolo teatrale da fare da zero, ho un sito internet da fare, non ho la connessione a casa e in più sono riuscite a convincermi a partecipare a un corso teatrale sulla (udite udite) Genesi. Il massimo insomma. Perciò perdonatemi ancora, ma preferisco prendermela un po' comoda e riuscire a rileggere un capitolo almeno cinque volte prima di postarlo.
Terzo, probabilmente vedrete comparire la fiction senza ulteriori capitoli aggiunti, questo perchè mi sono accorta che ci sono un paio di problemi strutturali e ho intenzione di correggerli.
Quarto (e ultimo prometto) se qualcuno conosce meglio di me determinate procedure informatiche... beh me lo dica XD, io mi sono inventata di sana pianta tutto quanto, il mio massimo della programmazione è l'html, perciò regolatevi.
Fine delle comunizacazioni di servizio

Marzia: mi spiace terribilmente ^^'' hai dovuto aspettare fino ad oggi, però eccoti accontentata. A Kaori non è successo nulla di spiacevole, aveva solo voglia di prendere un po' d'aria ^^, ma è stata una passeggiata molto fruttuosa XD (per Mick un po' meno) .
Grasie del commento, alla prox ^^

Mistral: wow grazie, che complimentone. I personaggi sono come li ho sempre visti e come li vedrei in un contesto più moderno. ^^
Ciau, grazie del commento

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6

Dopo la ‘bravata’ di Ryo, ci furono dei giorni di relativa quiete. Relativa perché la tensione che si accumulava nell’aria di giorno in giorno avrebbe potuto alimentare Tokyo per tre giorni consecutivi. Kaori era stata dimessa dall’ospedale due giorni dopo la ‘mossa’ di Ryo e naturalmente aveva smesso immediatamente la parte della protetta sottomessa per subissare lo sweeper di domande sull’accaduto. Tutto quello che Miki, Saeko e Reika non si erano subite all’ospedale, ora Kaori lo riversava sul socio.
Ryo si era presentato la sera stessa a casa di Mick con una faccia tale, che Kazue aveva preso la borsa e si era diretta verso quella che era diventata la filiale del Cat’s Eye, ovvero casa Saeba, data la quantità di tempo che Miki ci passava. A detta sua, i due ‘ragazzi’ dovevano vedersela da soli, in fondo era stato Mick a rivelare a Kaori tutto quel che avrebbe dovuto tenere per se. A dire il vero, a Kazue era saltata un po’ la mosca al naso quando quella mattina, incontrando Kasumi al supermercato, le aveva raccontato della piccola fuga di Kaori e da chi era venuta a sapere di Bruckmeyer. Lei lo aveva saputo a sua volta mentre origliava una delle riunioni al bar. Quando Kazue era tornata a casa e aveva chiesto a Mick come aveva fatto Kaori a estorcergli informazioni, lui era rimasto sospettosamente nel vago e si era affrettato a cambiare discorso. Era abbastanza per avere più di un fondato sospetto, quindi non ebbe molti rimorsi quando abbandonò il suo fidanzato tra le grinfie di Ryo. Al suo ritorno, lo sweeper aveva una faccia molto soddisfatta e ancora piuttosto arrabbiata; del suo uomo rimaneva solo una pallida imitazione mal concia appesa dal terrazzo a panino. Kazue lo aveva lasciato lì tutta notte a pentirsi delle sue azioni (che non conosceva, però conosceva lui e aveva rigirato il vecchio detto del picchiare la moglie a suo favore).
A Kaori non era andata altrettanto bene. Ryo continuava a ignorare le sue richieste di spiegazioni e a non volerle dire i suoi piani. A Kaori quella situazione non andava giù: nonostante gli avesse fatto presente che era conscia del pericolo, lui continuava a non volerla mettere da parte delle sue azioni successive all’attentato a casa loro. Lei non sapeva niente dei nuovi informatori di Ryo e tanto meno dell’attentato che aveva compiuto. Siccome non aveva intenzione di rimanere all’oscuro aveva ideato un piano: lo avrebbe preso per sfinimento. All’inizio Ryo, preoccupato, aveva deciso di stare di più in casa, ma Kaori aveva iniziato a seguirlo ovunque: al poligono, in soggiorno, in camera, una volta aveva addirittura forzato la serratura del bagno, entrando mentre lui era nella vasca. Arrivava di notte e al mattino presto, prima di andare a dormire e subito dopo pranzo; prima di uscire e subito dopo rientrato. Cercava di prenderlo alla sprovvista e gli chiedeva sempre le stesse cose. Alla fine Ryo, stanco e conscio che la sua socia stava benissimo, aveva delegato a Miki e Reika la responsabilità di Kaori e aveva praticamente smesso di andare a casa. Tornava solo per dormire e si alzava prestissimo per non incontrarla. Kaori non sapeva dove dormiva o come mangiava, a volte le impedivano anche solo di avvicinarsi alle finestre, figurarsi di uscire per andarlo a cercare. Le infermiere e i dottori si erano raccomandati di farle fare meno sforzi possibili, la sua fuga le aveva portato alla rottura di un paio di punti sull’addome e il rischio di un polmone perforato a causa delle costole spezzate. Miki non se l’era lasciato ripetere due volte, perciò Kaori era stata messa agli arresti domiciliari.
Mentre la sua socia stava soffrendo di un’imminente crisi di nervi, Ryo faceva la spola tra la villa, gli informatori e Doc. E il bar ovviamente. Stava aspettando febbrilmente la prossima mossa di Bruckmeyer ed era sicuro che sarebbe arrivata, esattamente come nel gioco degli scacchi, una volta uno, una volta l’altro; ma a Ryo non piaceva farsi cogliere impreparato, a lui piaceva giocare d’anticipo, perciò il tempo era speso a cercare il modo di prevedere ogni mossa possibile dell’avversario. Perciò, quando era troppo stanco o non aveva niente da fare, si infilava in uno dei locali a luci rosse o da Master, che era sempre felice di vederlo visto che i guai arrivavano attratti come una calamita fin lì. Normale quando si gestiscono certi tipi di locali in certi tipi di quartieri. Le visite ai ragazzi erano quelle che lo divertivano di più, purtroppo per lui però Shiori era spesso fuori casa e Ryo la trovava raramente. Le sue notti brave non si riducevano solo a farsi portare fuori da Akira e a lei che lo riportava in spalla, la ragazza aveva un nutrito gruppo di amici che sapevano come divertirsi senza poi avere bisogno della balia; ovvio che poi, quando rincasava al mattino, non si facesse poi più vedere fin a pomeriggio inoltrato. Ad ogni modo era meglio così, si ripeteva, in uno scontro del genere farsi coinvolgere da qualcuno con il rischio di distrarsi era la cosa peggiore che potesse fare. Bruckmeyer non era il solito criminale da quattro soldi, doveva affrontarlo con la stessa precauzione con cui aveva affrontato Kaibara pochi mesi prima. Il problema consisteva nel fatto che all’epoca sapeva esattamente chi stava combattendo, perché e come comportarsi, ma questa situazione era leggermente diversa.
Era ormai notte, i locali equivoci erano in pieno fermento mentre quelli più convenzionali stavano chiudendo. Era l’ora giusta per tornarsene a casa, Kaori era molto probabilmente già a letto.
Senza troppa voglia e convinzione, si alzò dal tavolino e lasciò qualche banconota per l’alcol. Era stato tutta la sera a osservare le coppiette di amanti e gruppi di uomini sbronzi e rumorosi, aveva fatto quattro chiacchiere con un abitué che aveva esordito con ‘Io lo so a cosa stai pensando!’, e siccome Ryo non accennava né a insultarlo né a mandarlo via, aveva continuato. Ne era uscito che Ryo era un impiegato sottopagato, con una vita mediocre con pochi stimoli, pericolosamente vicino all’apatia e in una disperata ricerca di un po’ di movimento e di una donna che sapesse soddisfare i suoi bisogni. Ryo l’aveva bloccato prima di sentirsi dire il tipo di divertimento sessuale che avrebbe dovuto stimolarlo meglio, se lo scambiavano addirittura per uno scribacchino frustrato era proprio grama. Gli aveva pagato da bere solo per farlo smettere e quello per tutta risposta aveva cominciato a raccontargli tutti i fatti di tutti quelli che vedeva. Forse a capire le persone non era un gran che, ma in quanto a orecchie doveva essere il massimo. Forse però non era nemmeno lui quello che aveva una vita monotona e mediocre, vero signor scroccone?
Alle tre e mezzo era dentro casa. L’odore di legno nuovo era quasi andato via, ma non quello di vernice e intonaci freschi. Peccato, sono sempre gli odori migliori quelli che spariscono prima.
Salì piano le scale per non fare rumore e si diresse in camera sua lanciando un’occhiata fugace alla porta chiusa di Kaori. Non aveva ancora rimpiazzato il cartello ‘Salotto, Camera di Kaori’, ma in fondo non ce n’era bisogno, non c’era più un cartello ‘Salotto’ da correggere.
“Pensieri stupidi a un’ora stupida. Meglio addormentarsi prima delle quattro e zero quattro, o non la finirò più.”
Entrò in camera sua, si tolse la giacca, la pistola e il resto dei vestiti e si buttò sul letto così com’era.
- Ahi! –
- Cos’ … -
Ryo si rialzò di scatto. Sul letto non aveva incontrato solo la morbida gommapiuma del materasso, ma anche qualcosa di più duro e spigoloso, che assomigliava a un corpo. Umano. Accese la luce e si trovò davanti a Kaori che si massaggiava le costole.
- Che diavolo ci fa qui! –
Sorpreso, ma neanche troppo, rimase a fissare lo sguardo iroso e accusatorio della sua partner.
- Beh, non è logico? Questo l’unico posto che frequenti quando torni a casa. Mai sentita l’espressione ‘Aspettare al varco’? –
Si, anche troppo.
- Ma…proprio nel mio letto? –
Kaori allontanò lo sguardo dallo sweeper - che sembrava non voler prendere la cosa sul serio – arrossendo, e non l’avrebbe presa sul serio nemmeno lei, almeno fino a quando non si fosse rivestito.
Come se il pensiero gli fosse stato trasmesso, Ryo agguantò i boxer dal pavimento e se li rimise, sedendosi poi sul letto per controllare di non averle fatto male, ma Kaori sembrava più vispa di lui in quel momento.
- Senti, è molto tardi, perché non… -
- Perché non mi vuoi dire quello che sta succedendo? –
Dopo essersi assicurata che il suo socio si fosse rivestito, Kaori lo aveva fulminato interrompendolo su una frase che conosceva troppo bene in quegli ultimi giorni: ‘E’ tardi, ne parliamo domani’, ‘Adesso no, ho da fare, stasera ok?’, ‘Non è il momento Kaori’. Era piuttosto stufa di sentirla.
Ryo distolse lo sguardo, cercando di prendere tempo.
- Perché non sono cose che ti devono riguardare. –
Anche senza guardarla seppe fin da subito che aveva sbagliato frase. Accidenti alla stanchezza e allo scarso repertorio.
- Come sarebbe a dire che non mi riguarda!? - Kaori era diventata rossa dalla rabbia e artigliava il lenzuolo con il pugno sano, la voce le era diventata un sibilo minaccioso. – Io sono la tua socia, la tua partner. Certo che mi riguarda. –
- E invece no. –
Kaori cambiò lo sguardo da arrabbiato a ironico.
- Ah davvero? Sei tu quello finito in coma vero? –
Ottima obiezione. Sul piano linguistico era difficile fargliela, doveva ammetterlo, soprattutto a quell’ora del mattino. Ma come diavolo faceva?
- Era un attentato diretto a me. Tu sei finita nel mezzo per sbaglio. –
Kaori continuava a cambiare espressione e voce peggio di un camaleonte, Ryo cominciava a sudare freddo: avrebbe preferito di gran lunga le solite martellate a quell’interrogatorio, stava cominciando a sentirsi in colpa. La voce di Kaori lo raggiunse in una tonalità bassa e roca, aveva socchiuso gli occhi e si preparava a colpirlo a morte. Purché fosse una morte veloce, si augurava.
- Ti vorrei ricordare, che quando si parla di te si parla anche di me perciò… -
- Il bersaglio era Ryo Saeba, non City Hunter, mettitelo bene in testa. –
Kaori spalancò gli occhi. Non aveva mai pensato a Ryo come anche qualcuno al di fuori del nominativo City Hunter, per lei erano una cosa sola, indissolubile. Che lui avesse messo una linea separatoria la lasciava di stucco.
- Che cosa vuoi dire? –
Ryo la fissò negli occhi con fermezza.
- Quello che ti ho detto prima. Non è una questione che ti riguardi, stanne fuori. –
Kaori aveva la testa già piena di obiezioni. Lavorare con lui e con Umi le aveva insegnato che ogni pretesto era buono per farsi coinvolgere: una vetrina sfondata, un’auto distrutta, una sfida, una ragazza che uno dei due conosceva. Lei era stata spedita all’ospedale e le sembrava un pretesto più che valido per farsi coinvolgere, oltre a quello che era il Ryo il bersaglio finale. Ma quegli occhi le dicevano chiaramente che quella volta non era così. Fu come una rivelazione scomoda e improvvisa, una di quelle che ti scivolano nello stomaco lente e gelate, entrando in circolo nel sangue e facendo venire la pelle d’oca. Kaori aveva capito, ma allo stesso tempo non capiva.
- Ma perché vuoi fare tutto da solo? –
- E’ una cosa che non… -
- Si si lo so! Dannazione smettila di ripetermelo, lo so! –
Ryo la guardò ansimare, teneva gli occhi bassi e il viso leggermente girato, impedendogli la vista dei suoi occhi; non riusciva a capire a che cosa stava pensando. Dato che i pensieri della sua socia gli erano preclusi, decise di utilizzare il tempo concessogli per rimuginare una frase adatta a farla uscire dalla stanza e potersi riappropriare del letto, ma Kaori riportò bruscamente lo sguardo su di lui, di nuovo in un atteggiamento iroso.
- Ma perché Bruckmeyer ce l’ha con te? Questo almeno dimmelo. –
Saeko l’aveva avvertito, ma lui non ci aveva badato tanto. Sentirselo dire da Kaori così un po’ lo spiazzava, ma in fondo che male avrebbe fatto mentire ancora?
- Che cosa sai di Bruckmeyer? –
Kaori fece spallucce.
- Solo che è a capo di un’organizzazione criminale che offre servizi mercenari. –
- E’ molto di più. –
Kaori guardava Ryo attenta, non voleva perdersi nemmeno una sillaba, doveva riuscire a farlo sbottonare.
- L’organizzazione di Bruckmeyer è mercenaria non solo dal punto di vista militare; offre servizi di spionaggio, di addestramento militare, trasporti di merce di ogni tipo, sabotaggi; qualsiasi cosa tu abbia bisogno, Bruckmeyer la offre. –
- Commerciano? – per Kaori, l’unico modello corrispondente a organizzazione criminale era la Union Teope, ma non era sicura Bruckmeyer vi corrispondesse. Ryo intuì i suoi pensieri e si affrettò a rassicurarla.
- No, non sono come l’Unione, loro non hanno niente a che farci, in nessun senso. –
Un lampo di sollievo passò per un attimo negli occhi di Kaori, che sparì quasi subito, non aveva minimamente risposto ai suoi interrogativi. Ryo pensò che dirle di più non avrebbe fatto male, forse se la sarebbe tolta dalle scatole per un po’ e lui sarebbe finalmente riuscito a lavorare oltre che riposare decentemente. Era brutto da pensare, ma Kaori in quella situazione era davvero una palla al piede, non voleva assolutamente coinvolgerla; tutto quello che poteva fare per lei al momento era impedire che venisse coinvolta ulteriormente e se per farlo avrebbe dovuto mentirle in continuazione, lo avrebbe fatto.
- Bruckmeyer poi è anche un uomo d’affari con un agenzia perfettamente legale, che ha ramificazioni in un po’ tutto il mondo. Perciò riesce a camuffare abilmente le sue attività di sottobanco con quelle di sopra e a far fruttare entrambe. È un uomo dalle mille risorse, può fare qualsiasi cosa e ottenere quello che vuole. È molto pericolo, hai capito? –
Kaori annuì, ma Ryo ancora non aveva risposto.
- Va bene, ma perché ti vuole morto? –
Ryo alzò le spalle in segno che non ne poteva essere certo.
- Bruckmeyer ha iniziato quando io ero ancora negli States, seguendo un caso gli ho messo ‘accidentalmente’ i bastoni fra le ruote e non me l’ha perdonata. –
- Bastoni fra le ruote? –
Ryo era imbarazzato, si grattava la testa e aveva l’espressione di chi ha fatto una cosa e la rivela pur sapendo che non avrebbe dovuto fare nessuna delle due.
- Beh ecco… gli ho fregato la donna. –
Kaori spalancò gli occhi. Tutto questo per una donna?
- E sai, la donna era il punto cardine di un’operazione che stavano concludendo e perciò andò tutto a monte. Bruckmeyer perse la commissione, il cliente, diversi contatti importanti e ci guadagnò solo un po’ di cattiva fama. Non fu un grande inizio per lui, eheheheheh. –
Ryo continuava a fare l’espressione cretina che dava tanto sui nervi a Kaori, ma lei non riusciva a farci caso. Riusciva solo a capire che avrebbe potuto morire solo a causa del vizio di Ryo. E non riusciva a crederci.
- Solo… per una donna. –
Ryo si fece improvvisamente serio e le mise un dito davanti al naso.
- Era una donna molto bella e anche molto brava nel suo mestiere. Fu una conquista molto vantaggiosa. –
- Ah… -
Ryo si fece subito allegro e cercò di sbattere fuori Kaori dalla stanza, che sembrava mezza imbambolata.
- Bene, allora è tutto chiarito no? –
- A-ah. –
- Perfetto quindi si può andare a dormire. –
- Certo. –
- Quindi che ne dici di alzarti dal mio letto e raggiungere il tuo? –
- Subito. –
- Ottimo, buonanotte Kaori. –
- Buonanotte. – Kaori si alzò e Ryo fece per accompagnarla.
- Mi raccomando, dormi bene. –
- Anche tu. –
- E se stai male chiamami, ok?
- Ok, perché non ti vuoi fare aiutare? –
- Perché è una questione personale. – Kaori si fermò sulla porta lo guardò negli occhi.
- Quanto personale?
Ryo perse immediatamente l’espressione seria. Ma perché non riusciva più a dirne una giusta?
- Quanto basta. Ora vai a dormire ok? Ciao. –
La spinse leggermente con una mano e chiuse la porta.
Kaori si diresse silenziosamente verso camera sua e si infilò sotto le coperte. Ryo si era rifiutato di nuovo di dirle la verità, e lei era punto e a capo.
Ryo spense la luce e sospirò: Kaori sapeva essere un osso terribilmente duro quando voleva. Si distese sul letto a osservare il soffitto. Sperava seriamente che Kaori volesse andare in giro a ficcanasare, nei giorni successivi non avrebbe avuto tempo per lei, doveva essere certo che non si allontanasse da lì e andasse allegramente per la città fare da bersaglio. Mentre chiudeva gli occhi pensò che Bruckmeyer stava attendendo un po’ troppo a fare la sua mossa, il giorno dopo gli avrebbe dato una svegliata.

Bruckmeyer era sulla balconata che si affacciava dalla camera da letto padronale direttamente sul mare. Sotto di lui le onde si infrangevano sulla scogliera senza troppo impeto, provocando un leggero rumore di risacca; il mare era tranquillo, blu cupo, rischiarato da una mezza luna non troppo alta nel cielo, già in declino; le poche stelle visibili, brillavano ferme e sicure e una corona di nubi lontane scure e basse si avvicinava dal mare alla costa.
I pensieri dell’uomo erano tutti rivolti al nemico e alla strategia. Aveva fatto una riunione quel giorno, dopo aver discusso bene con Bolt tutti i particolari della missione, avevano istruito insieme soldati e tecnici. La mossa era calcolata e con quella avrebbe dato scacco definitivo a Saeba. Non voleva farla durare troppo quella partita, quando c’era di mezzo quel demonio si poteva anche andare avanti per giorni, e lui non ne aveva la minima voglia.
Bruckmeyer si voltò verso l’interno della stanza, rilassato. Era consapevole di aver sfidato lo sweeper proprio nel suo territorio e che era ciò che di peggio poteva fare, ma era sicuro della sua vittoria, Saeba non avrebbe potuto sfuggirgli.
Nella stanza, la tenue luce lunare illuminava un letto matrimoniale con le colonne in legno scuro e lucido, senza cortine. Sia le lenzuola che le coperte erano bianche, e si sollevavano al centro a ricoprire una silouette femminile adagiata su un fianco: la donna aveva il respiro profondo e regolare di chi sta dormendo serenamente. Bruckmeyer rientrò nella stanza e chiuse la finestra dietro di lui, si avvicinò al letto e baciò sulla spalla nuda la donna, che ebbe solo un lieve movimento del braccio nel sonno. Si distese accanto a lei e chiuse gli occhi, il giorno dopo avrebbe pareggiato tutti i conti.

Il mattino dopo una spessa coltre di nuvole grigie si estendeva su tutta la città, privandola del calore e di buon parte della luce solare. A Kaori non piaceva quel clima, portava ricordi tristi e brutti presagi. Dopo la chiacchierata della sera prima con Ryo era più che sicura che le cose si stessero per mettere al peggio. Non aveva potuto fare a meno di pensarci tutta la notte e l’unica risposta che aveva trovata il suo cervello era sempre la stessa: Ryo mi sta nascondendo qualcosa di grosso e non si fida di me. Il non fidarsi di lei, era riferito alla sua abilità di sweeper ovviamente. Pur avendole restituito la pistola, Ryo si era comunque rifiutato di darle lezioni di tiro e aveva dissuaso Miki a farlo di nuovo. L’aveva convinta dicendole che, se avesse permesso ancora a Kaori di entrare nel suo poligono, avrebbe raccontato a Umibozu della bella donna venuta a chiedergli di proteggerlo, che si era offerta di pagarlo in natura e che indossava un profumo molto particolare alla viola.
Miki non aveva accettato, Falcon non avrebbe mai creduto a Saeba, ma poi lui le aveva fatto sentire il nastro di una conversazione registrata di nascosto, proprio quella in cui accettava di pagarlo in natura. Miki aveva parlato cercando di camuffare la voce, ma era sicura che Falcon l’avrebbe riconosciuta subito. Aveva capitolato e inventato ogni scusa plausibile per non far più entrare l’amica nel poligono. Kaori un po’ c’era rimasta male, ma non aveva sollevato troppe obiezioni. Sapeva che Miki aveva da lavorare – a differenza loro - e non se la sentiva di pesare su di lei. Così, come aveva previsto Miki, dopo un po’ aveva smesso di chiederglielo.
Quello che Ryo non aveva messo in conto però, era che Kaori era una donna dalle mille risorse e con molta iniziativa. Finì di bere il suo caffè e sparecchiò la tavola su cui aveva mangiato solo lei, Ryo era uscito presto e non si era fermato a mangiare. Miki sarebbe arrivata entro un’ora e aveva intenzione di passarla più fruttuosamente delle altre volte.
Sciacquò velocemente le stoviglie e uscì dal soggiorno, imboccando le scale che portavano al seminterrato. Aprì la pesante porta blindata a accese le luci. Il poligono si illuminò con un ronzio sommesso.
Kaori fece qualche passo dando una scorsa in giro, doveva essere molto tempo che Ryo non si dedicava al poligono: alcuni bersagli erano tutti crivellati di proiettili, alcuni erano caduti a terra completamente sbriciolati, altri erano completamente intatti. Sulle postazioni di tiro si era accumulata una leggera polvere, che in genere non c’era: Ryo era ossessivamente maniacale riguardo alla cura del poligono, faceva personalmente le pulizie e rimetteva tutto in ordine dopo ogni sessione di tiro. Nemmeno Reika si permetteva di lasciare in disordine dopo averne usufruito. Kaori osservò il pezzo di muro in cui avrebbe dovuto vedere il tunnel aperto da Ryo qualche anno prima: era intatto. Stupita, ci andò vicino e toccò con la mano il punto esatto in cui avrebbe dovuto trovarsi il varco e bussò. Faceva un rumore sordo, da muratura normale; picchiò sulla parete accanto e sentì immediatamente un suono molto più sordo. Kaori sorrise: Ryo aveva installato una parete finta. Si avvicinò con lo sguardo fino a non meno di tre centimetri dal muro e cominciò a perlustrare l’intonaco; odorava vagamente di fresco, Ryo doveva aver preso al balzo l’occasione quando aveva fatto entrare in casa gli operai. Procedette lentamente verso destra per qualche secondo tenendo la mano leggermente posata contro la vernice per captare qualsiasi cosa potesse sfuggire alla vista, ma non ce ne fu bisogno. Dopo mezzo metro, si trovò davanti un sottile linea verticale, appena visibile: le sarebbe anche sfuggita se non avesse saputo di dover cercare qualcosa. Ci passò sopra con la mano, ma non la sentiva. Guardandosi intorno, si chiese come faceva Ryo ad aprire il passaggio, ma la vista delle postazioni di tiro le fecero ricordare perché era lì.
Andò verso l’armeria e tirò fuori una scatola di cartucce, poi si mise in una delle postazioni, tirando fuori da dietro la schiena la sua pistola. La caricò con qualche difficoltà data dall’avere una mano in meno e poi, molto tranquillamente, prese la mira su uno dei pochi bersagli rimasti integri e fece fuoco. In pochi istanti scaricò il caricatore, che ricaricò quasi subito. Con cinque colpi, aveva fatto cinque centri.
Era da quando Mick e Ryo si erano sfidati per il nome di City Hunter che Kaori aveva deciso di prendere in mano la sua educazione balistica e di apportarne dei miglioramenti. Siccome Miki non era più disponibile, e quindi anche un poligono lontano dall’olfatto di Ryo, Kaori aveva studiato per giorni i movimenti del socio e di Reika, andando a sparare subito dopo di loro in modo che, entrando di nuovo, Ryo non avrebbe sospettato mai niente. Kaori sparava regolarmente già da mesi, ritornando con la memoria alle lezioni che l’amica e Mick le avevano impartito. Non era infallibile come Ryo, ma non era più nemmeno un’imbranata totale.
Kaori prese di nuovo la mira e sparò di nuovo.
Il braccio le fece quasi subito male. Non aveva mai sparato a una sola mano, ma era necessario che ce la facesse. Non appena il braccio sinistro fosse guarito, avrebbe cominciato ad allenarlo, in modo da riuscire a diventare ambidestra. Non la preoccupava che Ryo potesse sentire odore di polvere da sparo una volta rientrato, se lui poteva permettersi di fare lo gnorri e trattarla come una bambina, le poteva permettersi di sparare al poligono contro il suo parere. Non era una questione di ripicca, non solo almeno. Lei voleva sentirsi libera di fare ciò che voleva, senza l’ansia pressante del suo socio e soprattutto era stufa di sentirsi un’inetta. Ricaricò la pistola e si concentrò di più sull’arma che teneva in mano: quando premette il grilletto, la pallottola schizzò fuori dalla canna intrisa di tutta la sua frustrazione e centrò in pieno la fronte del bersaglio.

Fuori dal palazzo dei due sweeper Miki stava ancora tentando di convincere un alquanto riottosa Reika a fare qualcosa che sembrava contro le sue possibilità: essere gentile con Kaori. La donna non gradiva tutte le preoccupazioni che Ryo le riversava addosso e gradiva ancora meno esserne coinvolta. Tra l’altro, la sua breve fuga ospedaliera le avevano causato un’irritazione che non mancava mai di sfoggiare alla presenza della persona interessata e soprattutto non sopportava il suo temporaneo handicap, perché dava una motivazione alla preoccupazione dei suoi amici e di Ryo. Miki la capiva benissimo, ma era troppo amica di Kaori per reggerle il gioco, perciò la stava pregando di non ripetere la scena ospedaliera di qualche giorno prima, quando aveva praticamente insultato Kaori dandole della scansafatiche buona solo a fare da bersaglio. Per sua fortuna Kaori sembrava troppo presa dalle sue macchinazioni per risponderle a tono.
- Eddai Reika, non fare così. È solo per questo pomeriggio, oggi proprio Kazue non poteva venire. –
- E già, povera piccola indifesa Kaori, ha talmente tanto bisogno di protezione da dover scomodare ben due persone per lei. Ma è o non è l’assistente di City Hunter? Dovrebbe essere in grado di cavarsela da sola. –
- Dai, lo sai che è ferita. –
Reika sbuffò, purtroppo contro quelle obiezioni non aveva molte frecce al suo arco. Prima la imbonivano cercando di farle presente quanto fosse pericoloso Bruckmeyer, ma una volta capito che non funzionava passavano direttamente a quello su cui non poteva replicare: la salute fisica di Kaori.
- Beh, comunque non vedo perché dobbiamo essere noi ad andare da lei, ha dimostrato di saper camminare benissimo mi sembra. –
Miki si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo mentre apriva il portone del palazzo d’ingresso e cominciavano a salire le scale. Non capiva il perché di tutta quell’irritazione, Ryo non stava mai a casa, evitava la socia il più possibile, Reika avrebbe dovuto essere contenta. Guardando il cipiglio dell’amica decise che indagare non sarebbe servito a molto, perciò entrò nell’appartamento degli sweeper salutando a voce alta.
- Kaori siamo noi. –
Miki fece un rapido giro del piano e poi sbirciò sopra le scale. Provò a richiamare a voce alta ma non rispose nessuno.
- Non dirmi che è scappata di nuovo? – Miki non capiva se Reika era irritata o deliziata nel vedere che Kaori non era lì.
- Ma no sciocca, la porta era aperta. Magari è andata di sotto. –
- E a fare cosa? A rovinare l’impianto idrico? –
La donna si trattenne per la seconda volta dal dire o fare qualcosa e le passò davanti decisa a non darle soddisfazione. Scese le scale per dirigersi al poligono. In effetti però non sapeva nemmeno lei cosa ci avrebbe potuto fare Kaori di sotto: pur sapendo che era perfettamente in grado di colpire i bersagli, aveva pur sempre poca esperienza e un braccio in meno; l’ultima volta che l’aveva vista non era in grado di sparare molto bene a due mani, figurarsi con una.
Arrivò in fondo allo scantinato e aprì la pensate porta d’acciaio insonorizzata. Le due ragazze entrarono nel sotterraneo e avvertirono immediatamente l’odore di polvere da sparo fresco. Kaori era a uno dei banchi che finiva di riempire un paio di scatole con i bossoli vuoti. Incredule, si avvicinarono alla donna che le guardò piuttosto scocciata e annoiata.
- Ciao ragazze. -
Le due risposero all’unisono con un ‘Ciao’ molto impersonale; si guardavano in giro e il loro sguardo cadde inevitabilmente sul bersaglio di fronte a Kaori, che si era spezzato e metà ed era caduto a terra.
- Che ci fai qui? – Reika la osservava confusa e irritata, che avesse anche imparato a sparare? Non sarebbe mai riuscita a prendere il suo posto se diventava una brava sweeper. Miki dal canto suo si guardò intorno alla ricerca della pistola, ma non la trovò.
- Sono scesa a fare un po’ d’ordine, oggi Ryo ha lasciato tutto com’era. –
Miki le scoccò un occhiata dubbiosa.
- Strano, non è da Ryo, in genere è ossessivamente maniacale riguardo all’ordine del poligono. –
Kaori si strinse nelle spalle e si diresse verso l’armeria per posare i bossoli vuoti nell’apposito scaffale.
- Era stanco e di pessimo umore, si vede che lo stress gioca strani tiri pure a lui. –
Reika esibiva un’espressione sollevata e da ‘L’avevo detto io’ che irritò profondamente Miki, sapeva che l’amica le stava mentendo e che Reika continuasse a pensare a Kaori come a una povera scema la stava facendo andare fuori di testa.
- Avresti potuto lasciare un biglietto, Miki si è fatta quasi venire un infarto. – una altra battuta e l’avrebbe uccisa. Kaori fece spallucce come se la cose non le importasse più di tanto: in effetti anche la sola presenza di Miki ultimamente la irritava.
- Non vi aspettavo così presto. – Kaori uscì dall’armeria e notò l’espressione dell’amica: aveva lo stesso cipiglio che assumeva quando Ryo cominciava a prendere in giro Umi e a proporle di sostituire ‘lo scimmione’ con lui. Siccome Ryo non era lì, non sapeva a cosa attribuire l’arrabbiatura, ma un vago sospetto che centrasse la sua accompagnatrice si fece strada nella sua testa.
- Beh, non potevamo lasciarti da sola in queste condizioni. –
- Non potevamo lasciarti sola e basta, chissà magari ti procuravi qualche altra frattura o scappavi di nuovo. – Kaori aveva definitivamente inteso cosa faceva irritare l’amica e aveva l’impressione che presto le avrebbe fatto compagnia. Miki scoccò alla ragazza uno sguardo di gelido avvertimento che cadde nel vuoto e si rivolse di nuovo a Kaori.
- Ad ogni modo, non dovresti sforzarti nelle tue condizioni. Torniamo di sopra che ci facciamo un the. – Kaori assentì di malavoglia e le precedette. Erano arrivate troppo presto e la spalla le faceva male. Aveva voglia di stirarsi, massaggiarsela, mettersi l’unguento che utilizzava ogni volta che Ryo tornava da una missione con lividi e slogature varie, ma aveva paura che l’amica di sarebbe sospettata ulteriormente.
Mentre salivano le scale Reika ignorava bellamente la non troppo velata minaccia di morte che Miki le aveva lanciato poco prima, ingegnandosi a trovare sfrecciatine nella speranza di poter litigare con Kaori. Quella giornata prometteva di essere troppo noiosa per non tentare di svagarsi un po’ e il suo svago sarebbe stato vedere se riusciva a far salire abbastanza la pressione a Kaori, da far venire un altro infarto a Miki. Chissà quand’era diventata così perfida? Non se lo ricordava, ma non glie ne importava più di tanto.
Miki seguì l’amica che oltrepassava la porta del salotto e che tentava di non saltare addosso a Reika che, per l’ennesima volta, aveva molto gentilmente ricordato a tutte di quanto fosse pesante per loro – e in particolare Ryo – che lei non sapesse difendersi, quando entrambe vennero scaraventate all’indietro nel corridoio.
Miki sentì un dolore acuto provenire dalla spalla sinistra che aveva ammortizzato l’impatto con il muro. Lo ignorò e si tirò su in posizione accosciata portando una mano alla caviglia dove aveva nascosto una piccola colt; con la coda dell’occhio vide che anche Reika faceva lo stesso prendendo la pistola da dietro la schiena. Davanti a loro due uomini completamente vestiti di nero da capo a piedi si mossero fulmineamente calciando via le pistole a entrambe e mandandole di nuovo al tappeto con un altro calcio. “Dov’è Kaori?”. Miki tentò di girare per ritrovare l’amica ma la pianta di uno scarpone chiodato fu l’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi.
Kaori guardò impotente le amiche tentare di rialzarsi e poi venire messe ko dopo che le avevano immobilizzato entrambe le braccia dietro la schiena. Erano state aggredite da quattro uomini, tutti armati di automatiche con silenziatore e ben piazzati, con solo gli occhi in vista. Due avevano messo fuori gioco le guardie del corpo di Kaori e altri due l’avevano immobilizzata. Quelli fuori dal corridoio legarono le due ragazze con dei lacci di plastica ai polsi e alle caviglie, poi uno di loro venne verso di lei e lo vide sollevare la pistola tenendola per la canna e calarla di colpo.
Pochi istanti dopo i quattro uomini in nero uscivano dal garage del palazzo a bordo di una jeep coi finestrini oscurati, Kaori era sul fondo del baule legata e bendata con un taglio gonfio e profondo sulla tempia. Il tutto era durato meno di dieci minuti.
Miki riprese lentamente i sensi imponendosi di ritornare lucida. Erano state trasportate nel soggiorno e abbandonate contro una parete, Reika era accanto a lei, immobilizzata; vide un sottile rivolo di sangue farsi strada dall’attaccature dei suoi capelli fino alla base della fronte. L’orologio sulla parete segnava le dieci e un quarto. Umi non l’aspettava prima delle quattro e Ryo non sarebbe tornato fino a tarda sera. Kaori in quel lasso di tempo avrebbe potuto essere trasportata ovunque e lei non ci poteva fare niente.

Ryo era tornato dai ragazzi nella speranza di poter avere qualche notizia, ma aveva trovato un cartello appeso alla porta che diceva ‘Smaltimento da sbornia festaiola in corso. Pregasi di non disturbare.’ Sapendo l’effetto che faceva ai due ragazzi l’alcol, non ci aveva nemmeno provato e aveva cominciato a fare il giro di tutti i vecchi informatori, che purtroppo non sembravano aver aumentato la loro scorta di informazioni dal giorno prima; tutti tranne uno. Ryo lo trovò verso mezzogiorno in una delle strade in cui era costantemente allestito un mercato. Era un trentenne con l’aria perennemente imbronciata che sfoggiava un cinismo studiato e fastidioso, oltre che un giubbotto liso di pelle nera e un paio di jeans sformati dello stesso colore; una maglietta bianca e sporca completava il quadro. Lo stile gli era valso il soprannome fin troppo lusinghiero di Fonzie. Ryo aveva sempre avuto la netta sensazione che fosse stato scelto per il remake di Fonzie’s mai girato, ma che il ragazzo non ne fosse stato informato e stava ancora vestendo quei panni per immedesimarsi di più nella parte, in attesa di una chiamata dagli studios. Il paragone però strideva sul fatto che la somiglianza con il divo della tv si fermava al vestito, se ci si spostava sulla persona si vedeva chiaramente che di Henry Winkler il ragazzo non aveva proprio niente. Uno degli altri sospetti di Ryo infatti, era che il broncio servisse a non far notare il naso storto o gli occhi troppo vicini o gli incisivi storti, e che l’aggrottare di continuo la fronte era un modo per nascondere il riporto sulla calvizie precoce, per non parlare del fatto che non si capiva se aveva la spalle curve o la gobba. Era chiaro che il metodo non funzionava, ma lui sembrava non accorgersene e imperseverava nella sua farsa..
Aveva visto Fonzie davanti all’angolo di una strada invasa dai rifiuti di un ristorante, che si infilava una bustina bianca in tasca, passatagli da un tizio dileguatosi quasi subito. Lo raggiunse nel vicolo in cui si era infilato giusto prima che cominciasse a godersi il suo acquisto.
- Ciao Fonzie. – il ragazzo sobbalzò. Era seduto su una pila di cassette della frutta ed era assorto nella contemplazione del suo tesoro di polvere bianca e non si aspettava di certo un’interruzione. Alzò lo sguardo corrucciato ma si rilassò alla vista di Ryo.
- Ehi, come ti va amico? –
Ryo si avvicinò di un paio di metri tentando di mascherare il suo disgusto per il ragazzo e ciò che aveva in grembo.
- Come al solito. Niente di nuovo oggi? – Ryo aveva ripetuto la stessa frase ad altre otto persone e tutte gli avevano risposto la stessa cosa, chi in un modo chi in un altro: ‘No’, ‘Spiacente, prova domani’ o ‘Quei tizi sono troppo furbi, meglio starci alla larga.’. Si aspettava la stessa cosa da Fonzie, che scuotesse la testa con la sua solita aria cinica e afflitta, mormorando che nessuno in città sapeva niente e che quei tizi erano più invisibili dell’uomo invisibile, ma Fonzie non fece nulla di questo. Fonzie si fece apparire un ghignetto malvagio che sostituì completamente il broncio e fece sparire la bustina di coca, mentre saltava agilmente giù dalla pila e si avvicinava a Ryo che lo stava guardando sorpreso.
- Ci sono nuove, si si, buone nuove, si si. Il tuo amico Fonzie ha notizie per te. – ma chi glie li scriveva i dialoghi? Ryo lo guardò sospettoso.
- Ne sei proprio sicuro Fonzie? – per quel che ne sapeva, avrebbe anche potuto sognarseli quella notte le informazioni, proprio dopo l’ennesima dose.
Fonzie allargò le braccia indicandosi coi palmi aperto alla maniera di Winkler, col busto all’indietro e le gambe in avanti .
- Ehi amico, hai di fronte Fonzie, ricordatelo. – Ryo evitò di controbattere, quello non era proprio il periodo giusto per intavolare un dibattito verbale.
- Su forza allora, sputa il rospo Fonzie. –
Fonzie mantenne il ghigno e gli fece cenno con l’indice di seguirlo. Uscirono dal vicolo e si incamminarono lungo la via secondaria, ma affollata fino all’inverosimile, facendo lo slalom tra bancarelle e persone. Dopo qualche centinaio di metri Fonzie lo bloccò e o spinse dietro a un chiosco che vendeva ramen e gli indicò un negozietto dall’aria dimessa dall’altra parte della strada. Davanti c’era parcheggiato un furgone a nolo con un tizio seduto al volante, apparentemente in attesa.
Ryo studiò con attenzione i lineamenti dell’uomo e poi fissò Fonzie che lo guardava estremamente compiaciuto.
- Beh? – il ragazzo lo guardò offeso.
- Beh bello mio, quello è uno dei tuoi non amici che aspetta che i suoi amici finiscano la spesa. –
Ryo tornò ad osservare scettico il furgone. Erano davanti a una ferramenta che, Ryo lo sapeva bene, gestiva anche un fiorente mercato nero di armi, esplosivi e attrezzature militari. Questo ovviamente circoscritto all’area est di Shinjuku, la ovest era gestita da altri ed entrambe le parti ogni tanto si scontravano per cercare di prendersi i diritti sull’altro pezzo di territorio, salvo le occasioni in cui si alleavano per impedire l’impiantarsi di altri commercianti. Peccato che non ci riuscissero molto bene, infatti erano attorniati da una miriade di piccole imprese che gestivano più o meno i loro stessi traffici e che ovviamente non ci pensavano nemmeno a pagargli il pizzo. Ryo parlò a Fonzie senza distogliere lo sguardo dal tizio al volante, che si era appena messo gli occhiali da sole e stava cercando una stazione decente alla radio.
- Sei proprio sicuro che sia un dei tizi che sto cercando? –
- Assolutamente. –
- E da quanto tempo sono lì? –
- Circa tre quarti d’ora. –
Ryo si voltò irritato.
- E quando diavolo pensavi di dirmelo? Quando ti servivano soldi per farti un’altra pera? –
Il ragazzo perse qualsiasi tipo di espressione cordiale e tentò di farne una minacciosa, ma aveva troppa paura dello sweeper per riuscirci sul serio: tutto quello che gli uscì fu un arricciare di labbra e sopracciglia che non avrebbe spaventato un bambino impressionabile.
Ryo lasciò perdere il ragazzo che tentava di articolare qualche pensiero coerente e riportò la sua attenzione sul furgone. L’uomo si era fatto improvvisamente attento e infatti qualche secondo dopo un altro lo raggiunse. Misero in moto e si allontanarono lentamente dal marciapiede tentando di non investire né tamponare nessuno. Ryo si frugò in tasca, lanciò un paio di banconote a Fonzie e li seguì senza dire una parola.

Umibozu aveva appena finito di riassettare il locale ed era preoccupato. Miki non era ancora tornata ed erano le cinque passate. Aveva fatto il numero di casa Saeba tre volte ma non gli aveva risposto nessuno e ora era davvero in pensiero. Non era da Miki arrivare in ritardo e lo era ancora meno che non avvertisse. Si slacciò il grembiule e lo lanciò a Kasumi che aveva composto per l’ennesima volta il numero di Ryo invano e le disse di rimanere al locale e di chiudere lei se necessario. Prese la jeep e si diresse a casa di Ryo.
Pochi minuti dopo aveva slegato una Miki e una Reika frustrate ma perfettamente lucide e coscienti. Un volta accertatosi che nessuna delle due avesse bisogno urgente di un medico, aveva tentato di rintracciare Ryo, senza alcun successo: il suo cellulare squillava a vuoto, normale si solito, ma non quando la sua vita e quella della socia erano sotto un pericolo mortale. Si era affrettato ad avvertire Saeko e Mick ed era partito alla ricerca dei due sweeper, intimando alle due donne di mettersi tranquille in attesa di loro notizie.

Mentre Umi liberava le due donne, Ryo era impegnato in un pedinamento difficile quanto noioso. I due tizi sul furgone stavano facendo spese pazze nel quartiere, portandolo da un mercato nero all’altro. La cosa poteva apparire logica per il fatto che Ryo aveva distrutto tutto il loro arsenale, se nonché erano passati già otto giorni da quell’evento. La cosa non tornava, per niente. Dopo aver girato tutta Shinjuku, dai bassifondi ai quartieri alti, alla fine erano arrivati al porto. Il furgone era entrato in un magazzino dimesso la cui saracinesca era aperta già da prima del loro arrivo. Mezz’ora dopo nessuno accennava ad entrare o uscire dal magazzino. Un’altra mezz’ora dopo, Ryo decise di entrare.
Uscì dall’angolo dietro a cui si era nascosto con la macchina ed avanzò cautamente verso il magazzino tenendo la pistola al suo fianco, con il braccio teso a scattare.
Entrò silenziosamente nel magazzino, inondato ancora della luce del tardo pomeriggio e trovò il furgone. Il magazzino era completamente vuoto, niente container, niente casse o scatoloni ammassati, niente elevatori. Non c’erano sovrastrutture, solo un alto ballatoio appena sotto una fila di finestre a nastro. Sul lato sinistro, intravide una piccola porta arrugginita. Si maledisse e tornò ad osservare il furgone che era stato parcheggiato con il portelo di carico proprio di fronte a lui. Sollevò la pistola e si avvicinò a una delle portiere, voltandosi poi di scatto tenendo sotto mira il finestrino. L’abitacolo era vuoto. Osservò l’interno: il vano di carico non era separato dai sedili e Ryo poté vedere che il furgone era completamente vuoto, niente merci o uomini in agguato. Sospirando, mise via la pistola e notò una cosa strana: davanti al muso del furgone, c’era un piccolo tavolo da picnic, con sopra un piccolo portatile sul cui schermo fluttuava una molla elastica cangiante.
Si avvicinò al computer cominciando a sentirsi inquieto, sicuramente non era stato dimenticato e sicuramente non era stato lasciato lì per il primo barbone che passava. Osservandolo meglio notò che, oltre a non essere collegato a nessuan presa di corrente o un altro apparecchio, aveva anche una protuberanza che usciva da un lato, su cui lampeggiava una spia verde. Non trovandoci nulla di offensivo in un piccolo pezzo di plastica e silicio senza alcun cavo, appoggiò il dito sul touch pad e lo mosse.
La macchina emise un breve ronzio e quasi contemporaneamente un rumore di ferraglia alle sue spalle lo mise in allarme, facendolo scattare all’indietro con la pistola tesa a sparare: la pensate saracinesca si stava chiudendo molto velocemente e arrivò a terra prima che Ryo riuscisse ad articolare qualche passo in sua direzione. Lo stesso successe alle finestre a nastro, che si oscurarono all’istante lasciando Ryo al buio, con la sola illuminazione dello schermo del pc. Acuì tutti i suoi sensi, teso fino allo spasmo per captare qualsiasi tipo di rumore o movimento ostile, lanciando un’occhiata irritata alla macchina; solo allora notò che la spia sulla piccola protuberanza non lampeggiava più ma era ferma, e aveva accanto un’altra spia rossa. Imprecò sottovoce: forse doveva pretendere qualche lezione sui possibili pericoli derivanti da un portatile apparentemente inoffensivo.
Lo schermo si animò di colpo e apparve un’immagine che ritraeva Bruckmeyer tranquillamente seduto su una poltrona. Era un video registrato. La voce dell’uomo risuonò dai piccoli altoparlanti dell’apparecchio.
- Salve Saeba. - Ryo si irrigidì stringendo più forte l’impugnatura della pistola. – Ho pensato di utilizzare la tua stessa entrata in scena, purtroppo io non sono in diretta, ma presto ci potremo incontrare faccia a faccia. –
Ryo imprecò in direzione dell’uomo, ovviamente senza ottenere alcuna risposta: aveva l’assurda sensazione che avrebbe potuto rispondergli se si fosse rivolto a lui direttamente. Cominciò a guardarsi intorno per individuare possibili minacce e vie di fuga, intanto la voce di Bruckmeyer continuava il suo discorso.
- Naturalmente non mi illudo di averti messo in trappola con così poco, ci vuole ben altro per rendere inoffensivo City Hunter, ma confido che ti lascerai condurre da me senza troppa resistenza. –
Ryo guardò allibito la faccia arrogante e soddisfatta dell’uomo d’affari. Ma che diavolo stava dicendo?
- Sai anch’io ho un asso nella manica, ed è un gran bell’asso. Per darti un indizio, ti posso dire che è un gran bell’asso di cuori. –
- Cuori? – il suo livello di attenzione di spostò bruscamente sul quesito che gli era stato appena posto, non era sicuro che la risposta all’indovinello gli sarebbe piaciuta.
- Ma forse più che a un asso assomiglia a una donna di cuori. - dannazione a lui e al suo dannato istinto. Sentì il panico invadergli le viscere mentre il suo cervello associava immediatamente l’immagine della carta della donna di cuori, all’unica donna a cui Bruckmeyer poteva riferirsi.

Umibozu guidava come un pazzo per le strade di Tokyo spaventando a morte Mick, che non aveva ancora capito come diavolo faceva quello scimmione a guidare la jeep pur essendo cieco. Stavano facendo il giro degli informatori di quartiere per vedere se sapevano dove si era cacciato Ryo, chiedere di Kaori era inutile, se l’aveva presa Bruckmeyer di sicuro non lo sapeva nessuno. Mick tentò di intavolare una discussione nella speranza che l’amico si calmasse.
- Come sta Miki? –
- Solo un graffio, niente di che. –
- Bene. –
Umi sterzò per superare una macchina contro sterzò per evitare di investire dei pedoni. Mick si aggrappò al sedile con tutte le sue forze.
- Ma che cavolo fai?! –
Umi non rispose ma accostò al marciapiede inchiodando di botto. Mick si riassestò sul sedile e si tolse la cintura di sicurezza dal collo, ne capiva l’utilizzo solo da quando era salito per la prima volta in macchina con il mercenario.
- Beh? –
- Questa è la zona di Fonzie, vedi un po’ se riesci a scovarlo. –
Mick fece una smorfia, non gli piaceva Fonzie, troppo cinico, troppo subdolo, troppo fatto. In genere preferiva evitarlo, ma erano in una situazione disperata e anche lui poteva andare bene. Il mercato era ormai quasi finito, ancora un’ora e tutti i commerciati avrebbero chiuso baracche e baracchini e se ne sarebbero andati a casa. Mick era sicuro che non avrebbero trovato Fonzie, sicuramente era in giro a farsi o a cercare di che farsi, ma invece lo trovò a uno dei chioschi, proprio a meno di cento metri da loro.
- E’ a un centinaio di metri, sta mangiando. –
- Sul serio? Mangia anche per vivere? – allora non era l’unico a pensarla così.
Scesero dalla macchina e si diressero verso il chiosco. Fonzie si girò per osservare una ragazza che camminava spedita e li vide. Mick fece per alzare un braccio in gesto di saluto ma si pietrificò nell’atto: Fonzie era scattato giù dallo sgabello e stava correndo a perdifiato nella direzione opposta, cercando di mettere quanta più distanza fra lui e loro.
Senza fermarsi a pensare, Mick scattò, lasciando Umibozu ad aspettare in mezzo alla folla.

- Ci sei arrivato Saeba, mi sto riferendo ovviamente alla tua bella socia. –
Il gelo che aveva invaso il corpo di Ryo non accennava a diminuire, mentre tentava di scacciare il panico, un campanello d’allarme nella sua testa cominciò a suonare. Istintivamente seppe che lo stavano circondando.
- Puoi astenerti dal formulare qualsiasi minaccia, la tua socia è sotto la mia custodia e la sua salute fisica dipende solo da te. Ora, ti sarai sicuramente già accorto che il colonnello Bolt e i suoi uomini hanno circondato il magazzino. Seguili senza fare storie e ti assicuro che non le verrà torto un capello. Naturalmente dovrete entrambi fare i bravi. –
Ryo osservò furioso lo schermo del pc mentre alle sue spalle la saracinesca veniva fatta alzare lentamente; evidentemente avevano calcolato tutto, non solo i tempi del filmato.
- Ah Saeba, credo che il venire disarmato sia sottointeso. A presto. –
Il video si interruppe. Un paio di secondi dopo la saracinesca raggiunse la metà della sua apertura e un manipolo di uomini fece irruzione nel magazzino circondando lui e il furgone. Ryo si voltò verso l’apertura osservando un uomo che entrava nel circolo dei soldati con molta calma.
- Allora signor Saeba, che cos’ha deciso? –
Era un uomo sulla cinquantina, ben rasato e con i capelli grigi corti; indossava una divisa militare con qualche mostrina che lasciava trasparire il fisico ancora prestante, un basco metteva ulteriormente in ombra i suoi lineamenti. Per un attimo, Ryo considerò l’idea di mettersi al riparo del furgone e tentare di rompere l’assedio, aveva munizioni sufficienti per farcela. Bolt sembrò percepire i suoi pensieri e sollevò un radio telefono.
- Le consiglio di non fare scherzi, se entro dieci minuti non chiamo il quartier generale la sua socia è morta. Allora, che intende fare? –
Ryo lo osservò freddamente, senza alcuna emozione apparente in volto, poi spostò lo sguardo sulla pistola che teneva leggermente sollevata davanti a se e si chiese quante volte aveva gettato a terra la pistola in vita sua.
Due minuti dopo, il magazzino era vuoto. Una palla infuocata si sviluppò dall’esplosione di diverse scatole del latte abbandonate ai lati del magazzino e vicino al furgone. Le pareti di lamiera stridettero sotto la pressione e si incurvarono, le fiamme uscirono dalle fessure e avvilupparono completamente la struttura rendendola incandescente. Pochi minuti dopo il magazzino crollava su se stesso, cancellando qualsiasi traccia del passaggio di quegli uomini.

 

 

 

Bene, c'è l'ho fatta anche questa settimana. Alla fine per ora l'unica cosa che ho cambiato è la battuta finale nel prologo, al primo capitolo. Ho dovuto inserirla per far funzionare meglio la metafora del gioco ma non sono sicura che renda bene. Se avete suggerimenti li accetto volentieri, i miei due neuroni fanno fatica a fare contatto in questo periodo ^^'

Marzia: Grazie! Tra me e i miei compagni abbiamoa bisogno di un mucchio di auguri e di fortuna!
Come hai potuto leggere ho apportato altri cambiamenti a Kaori. Io ho sempre pensato che fosse più per insicurezza in se stessa e per l'ambigua situazione che viveva con Ryo che sembrava un'imbranata totale, e non perchè lo fosse sul serio. Spero di essere riuscita a renderlo bene il cambiamento, è una svolta piuttosto complicata e ho paura di sintetizzarla troppo.
Ryo ovviamente approfitta del fatto che Kaori non può sapere cosa sta combinando, in fondo non gli capita spesso che una ragazza bella e giovane gli si offra così spontaneamente e che la sua socia non sia lì a rompergli le uova nel paniere, no? ^_-
Credo che Mick si farà monaco prima di dire a chicchessia come ha fatto Kaori a estorcergli informazioni, e in fondo gli conviene sul serio mantenere il silenzio.
Grazie del commento, ciau ^^

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

Si avvicinava il tramonto e le luci della villa erano già tutte accese, i fari erano disposti a intervalli regolari per tutto il parco e occhieggiavano dall’erba, in attesa di rendere quello spazio aperto completamente visibile a occhio nudo. Tutti gli uomini si stavano preparando all’arrivo dell’ospite d’onore, prendendo tutte le precauzioni del caso: controllo equipaggiamenti, ronde raddoppiate, collegamento diretto con le spie che tenevano sotto controllo tutti gli amici dei due sweeper e in particolare la questura, nel caso Saeko decidesse di utilizzare anche le forze dell’ordine per liberare Kaori.
Dietro l’edificio padronale, c’era una costruzione rettangolare, che un tempo era servita da scuderia e ora era poco più di un magazzino. In uno dei box per i cavalli, stesa sopra del fieno fresco, Kaori stava lentamente riprendendo il controllo sui suoi sensi, non senza qualche controindicazione. Nel momento stesso in cui cercò di snebbiarsi la vista scuotendo la testa, un dolore lancinante si ripercuoté dalla sua tempia fino alla base del collo. Trattenendo le lacrime, cercò di aprire meglio gli occhi senza movimenti troppo bruschi. Era sdraiata su un fianco e non vedeva altro che assi di legno scuro, paglia e una corda. Il dolore alle costole era lieve e dovuto alla posizione in cui era messa, il braccio ingessato non pulsava: le sue ferite non erano peggiorate, era già qualcosa. Cercò di tirarsi su ma aveva le mani e le gambe bloccate dietro alla schiena. La fitta alla tempia di fece risentire e Kaori cercò di soffocare il gemito di dolore, tentando di portare i suoi pensieri su argomenti che non riguardavano la sua salute fisica. Come ci era finita lì? E soprattutto perché? Ricordava vagamente che stava parlando con Miki e Reika, ma poi?
Improvvisamente tutto cominciò a girare. Le vertigini e la nausea la costrinsero a chiudere gli occhi, mentre cercava di reprimere un conato di vomito. Quando le sembrò di essere riuscita a tornare a una condizione di normalità, tentò di riordinare le idee: dolore alla testa, nausea e vertigini, dovevano aver ricevuto un forte colpo in testa. Come in un classico flash-back, rivide un uomo con il passamontagna nero che sollevava il calcio di una pistola. Ah ecco cos’era successo. Stava rientrando in casa con Reika e Miki, quando quei quattro le avevano assalite e portato via lei. Non doveva nemmeno chiedersi chi era stato, era piuttosto chiaro: Bruckmeyer l’aveva rapita per ricattare Ryo. E dire che si era schernita delle preoccupazioni del suo socio.
Dopo qualche secondo in cui respirò a fondo, decise di tentare di mettersi almeno seduta. Si puntellò con uno dei gomiti e cercò di piegare le gambe. Al primo tentativo ricadde malamente. Al secondo riuscì quasi a farcela. Al terzo era appoggiata a una delle pareti di legno, ansimante. Kaori si guardò meglio intorno: era un recinto in legno, con in alto delle sbarre e una porta chiusa da un pesante catenaccio; l’ambiente era poco illuminato, la luce si diffondeva da oltre le sbarre, davanti a lei e al suo fianco. Guardò la parete alla quale era appoggiata e vide due grossi anelli in metallo arrugginito. L’avevano rinchiusa in una scuderia. Subito, osservò paglia su cui era seduta, ma non vide tracce scure e l’unico odore che percepiva era l’umido del legno, della paglia e del mare. Beh, per lo meno non l’avevano messa negli escrementi degli animali.
Un attimo, il mare? Tese l’orecchio, ma non sentì nulla. Eppure quello era l’inconfondibile odore salmastro del mare.
Un lieve rollio, e la luce aumentò. Alcuni passi rimbombarono sul pavimento in cemento e tra le pareti della scuderia: erano più di uno. Subito si mise allerta, dimenticando per un attimo di essere immobilizzata e ferita, ma imprecando sottovoce quando si ricordò della sua condizione. Dalla sua bassa postazione, vide delle teste avvicinarsi al suo box: una era di un biondo dorato molto chiaro. Qualcuno aprì il cancello e il biondo entrò, e Kaori vide per la prima volta Hans Bruckmeyer in faccia.
Se era quella la persona per cui doveva morire, beh forse ne valeva la pena. Si morse la lingua ricacciando indietro quel pensiero scomodo, non era da professionisti invaghirsi del proprio nemico, soprattutto se stava per ucciderla. La mente, traditrice, le inviò l’immagine del suo socio che si invaghiva di un travestito qualche anno prima. Ok, forse qualche pensiero se lo poteva concedere.
Bruckmeyer osservò la donna immobilizzata ai suoi piedi: aveva un grosso livido in fronte, da cui era sceso del sangue, ora rappreso. Era molto pallida, evidentemente sofferente per le diverse ferite inflittegli; meglio così, avrebbe opposto meno resistenza. Il suo sguardo però non aveva niente a che vedere con la sua salute, era vigile, deciso, attento, non si perdeva una sua mossa. Sorrise con gentilezza, in fondo era pur sempre una donna, una bella donna.
- Ben svegliata, dormito bene? –
Kaori si era immaginata una voce fredda, con un accento duro e secco, come quelli che si sentono nei film quando parodiano i tedeschi, fu molto sorpresa invece di sentire una voce molto calda e priva delle inflessioni rozze della sua lingua madre, parlava un perfetto giapponese. La domanda era tutta un’altra faccenda, da qualche parte i suoi neuroni la decifrarono come un presa in giro. Fece un smorfia, pentendosene quasi subito visto che risvegliò il dolore alla tempia.
- Per niente. I suoi uomini sono dei caproni. –
Inaspettatamente, Bruckmeyer rise.
- Si, ha ragione, ma il loro compito non è di essere gentili, bensì di portare a termine le missioni che io gli affido. –
- E la missione era quella di rapire una donna ferita e di malmenarla ancora di più? –
- No, la missione era quella di portarmi la socia di City Hunter, preferibilmente viva e senza troppe contusioni. –
Bruckmeyer sorrideva ancora, ma senza esprimere il calore del primo saluto. Osservava divertito l’ira della donna, che poteva sfogarsi solo con lo sguardo. Dalle informazioni che aveva raccolto, Kaori Makimura era una donna molto impulsiva, che non sapeva tenere troppo a freno la lingua e incapace di sparare. Tutte qualità negative per una sweeper, eppure, il suo istinto gli disse di fare attenzione. Non sapeva dire perché, ma quella donna gli appariva più pericolosa di quel che fosse in realtà. Probabilmente era solo perché l’associava a Ryo Saeba, lui si che era pericoloso. Cancellò quel pensiero, se anche fosse stata in grado di fare qualcosa, le sue ferite e il dispiegamento di uomini l’avrebbero fermata prima di mettere in atto chissà che.
Mentre osservava l’uomo che la stava deridendo, Kaori ebbe la strana sensazione di averlo già visto e più lo guardava, più la sensazione aumentava e diventava certezza. Lo conosceva, ne era sicura, ma non riusciva a ricordare perché.

Seduto sul cassone del camion, Ryo continuava a guardare fisso davanti a se, senza vedere realmente gli uomini che lo circondavano tenendolo sotto tiro costante. Era su un camion militare, di quelli con il cassone coperto da una spessa tela verde, che ora era saldamente chiusa su tutti i lati. I lunghi sedili destinati ai militari, erano occupati dai mercenari di Bruckmeyer: in tutto erano una dozzina.
Tutti solo per lui, che privilegio.
Ryo invece era stato posizionato al centro del cassone, su cui si era accomodato a gambe incrociate, ovviamente dopo essere stato ammanettato saldamente mani e piedi. Un uomo si preoccupava solo di controllare che lo sweeper non si liberasse le mani; Bolt non aveva lasciato niente al caso.
Un forte scossone lo proiettò malamente contro il fondo del camion; subito quattro mani lo riportarono al centro mentre tre canne da fuoco gli si conficcavano nelle carni.
- Ehi, andateci piano, oppure dite all’autista di imparare a guidare. –
Nessuno gli rispose e Ryo tornò a perdersi nei suoi pensieri osservando ciò che un lembo mal accostato del tendone lasciava vedere. Era quasi sera, tra poco avrebbe fatto buio e sarebbe stata ora di cena.

- Allora, che fai?! Vieni o no? Guarda che non so se troveremo ancora qualcosa se faremo troppo tardi. –
- Eh? –
- Ryo ti muovi?! Lo stufato non aspetta! –
- Oh, arrivo, solo un attimo. –
Un faccia brufolosa e sorridente gli si parò davanti, levandogli la visuale del cielo nero e stellato, facendolo gridare. La faccia ghignò.
- Smettila di guardare il cielo, quello c’era ieri, c’è oggi e ci sarà anche domani. Lo stufato speciale del cuoco invece no, quindi muoviti! –
La faccia scomparve e lui poté rialzarsi.
- Si. Il cielo c’è sempre, ma noi? –
Il ragazzo non gli rispose, si stava già dirigendo di corsa verso l’accampamento. Ryo sospirò e gli andò dietro, seguendo il chiarore dei fuochi e il ciarlare chiassoso di molti uomini. Sbucò in una radura che ospitava diverse tende mimetiche, un paio di baracche, molti mezzi pesanti e un mucchio di uomini in mimetica, cenciosi e con la barba lunga, seduti in circolo intorno a un grosso falò, che consumavano abbondanti porzioni di qualcosa che un uomo molto corpulento distribuiva davanti a una delle baracche. Il ragazzo brufoloso era già in fila e fece segno a Ryo con una mano, per fargli vedere che aveva già anche la sua ciotola. Ryo si affrettò a raggiungerlo. Dopo qualche secondo, entrambi cominciarono a fare i furbi e a tentare di passare sotto alle gambe del soldato davanti a loro o di distrarlo mentre uno dei due passava avanti; scoperti irrimediabilmente tutte le volte e ricacciati al loro posto con una pedata e una risata, i due ragazzi, ebbero alla fine la loro (abbondante) razione e andarono a sedersi nel cerchio con gli altri. Ryo precedette il ragazzo e si andò a sedere a fianco di un uomo dai tratti orientali che rideva di gusto alla battuta di uno dai tratti occidentali. Si interruppe per guardare il ragazzo accanto a lui.
- Allora, ce l’hai fatta finalmente, poltrone. - e gli scompiglio allegramente i capelli facendogli quasi affondare il naso della ciotola.
- Eddai papà! Sto mangiando! –
Gli uomini intorno scoppiarono a ridere.
- Si Kaibara, non disturbare il moccioso o gli rimarrà tutto sullo stomaco poverino. –
- Si, e poi ci toccherà sentirci le sue lamentele in tenda stanotte. –
- E anche qualcos’altro! –
Tutti scoppiarono a ridere mentre Ryo li mandava a quel paese con la bocca piena. Quando smisero di trovarlo interessante lui ricominciò a masticare tranquillamente. Il ragazzo accanto a lui lo guardava furbescamente. Ryo gli gettò un’occhiata di sbieco senza distrarsi troppo dal suo stufato.
- Beh, che hai? –
- A te non sembra incredibile? –
- Cosa? –
Ryo non guardò il ragazzo, era sicuro che si stava per lanciare in una delle sue conversazioni filosofiche, che capiva davvero poco. Era più alto di lui e sicuramente più grande, anche se non lo sapeva con certezza. Quand’era arrivato, dopo che l’avevano trovato nel bosco, non spiccicava parola e suo padre glie lo aveva affibbiato pensando che la compagnia di un moccioso più o meno della sua età lo avrebbe fatto sbottonare. Detto, fatto. Il giorno dopo il ragazzo non la finiva più di parlare: raccontava come alcuni uomini tutti col passamontagna l’avevano rapito dal collegio in cui studiava e portato di nascosto su un furgone e poi su un aereo. Di come l’avevano legato, di come non lo lasciavano andare al bagno da solo e che tenevano sempre addosso i passamontagna. Di come all’improvviso sull’aereo avevano cominciato tutti a gridare, mentre quello vibrava forte, come quando nei film fanno vedere la cabina passeggeri mentre l’aereo sta precipitando; ma loro non erano precipitati, il pilota era riuscito ad atterrare in una radura e allora lo avevano liberato, perché non volevano portarselo sulle spalle. Solo che due giorni dopo avevano incontrato altri uomini con un mucchio di fucili, che avevano attaccato i suoi rapitori e allora lui era scappato e aveva trovati altri uomini con altri fucili e lo avevano portato lì. Dopo tutta quella trafila (in cui raccontava tutto nei dettagli) raccontata tutta in inglese, Ryo era anche riuscito a carpirgli il nome e la nazionalità. L’avevano trasmessa al comando, che avrebbe deciso cosa fare. Il ragazzo sembrava entusiasta di quella vita, ma Ryo pensava che era solo perché non l’avevano ancora spedito nella giungla con un mitra in spalla. Se rimaneva lì ancora un po’, il comandante non ci avrebbe messo molto prima di dirgli che era ora di guadagnarselo in pane. Nel frattempo parlava, sempre, chiedendo delle strategie, di come pulissero le armi, se non gli si attaccavano malattie a furia di non lavarsi, addirittura le ricette del cuoco e, cosa ancora più incomprensibile, di come riuscisse il comandante a tenere a bada tutti quegli uomini di nazionalità e caratteri diversi, con tutti quegli istinti violenti, sotto pressione costante, senza far nascere conflitti interni o peggio dei pazzi. Ryo era sicuro che prima o poi lo avrebbero appeso a testa in giù da un albero, come facevano con lui quando lo beccavano a rubare la marmellata. Ora attendeva la solita sfilza di parole che non capiva e lo interessavano ancora meno.
- Che siano tutti così allegri e cordiali. Stona tantissimo con il loro aspetto esteriore. –
Ryo smise di masticare per lanciargli un’occhiataccia.
- Ma che cavolo vuol dire? –
- Insomma, non pensavo che i mercenari potessero essere così amichevoli. –
Ryo continuava a non capire.
- Insomma, ogni giorno uccidono molte persone e vedono i loro commilitoni rimanere a terra dopo che sono caduti. Partono e non sanno se tornano, vivono costantemente in mezzo alla violenza e al sangue, devono uccidere se vogliono sopravvivere… uno si aspetterebbe di trovare uomini duri, taciturni, scontrosi, non un gruppo di persone che non fanno che ridere e scherzare tutto il tempo. –
Vai a trovare il cuoco quando di è appena svegliato, vedi che lo trovi il tuo uomo scontroso e taciturno.
Ryo riprese a mangiare, nella speranza che il ragazzo fosse dissuaso a continuare e infatti non lo fece. Ryo proprio non lo capiva, perché i mercenari non avrebbero dovuto comportarsi così? Osservò di nuovo il ragazzo, perso nella contemplazione del fuoco, che lanciava riverberi rossastri sul suo volto, tingendogli gli occhi e i capelli chiari del suo stesso colore. Con un risucchio finì il suo stufato e diede una pacca al ragazzo.
- Senti Hans, per caso non hai appettito? Guarda che lo mangio io eh? –
Hans gli diede il suo stufato senza distogliere gli occhi dal fuoco, perso in pensieri che non confidò mai all’amico.

Il camion si fermò bruscamente, riportando Ryo alla realtà. Il colonnello Bolt si affacciò dal sedile anteriore.
- Bene Mr. Saeba, siamo quasi arrivati. Sta per incontrare il nostro comandante. –
“Comandante?” Ryo sorrise. Era l’ultimo appellativo che si sarebbe aspettato per Bruckmeyer.

Mick correva a perdifiato cercando di non urtare troppo forte i passanti sulla strada, non avrebbe mai detto che non tossico potesse correre così velocemente. Il ragazzo davanti a lui continuava lo slalom tra le bancarelle come se fosse la sua normale sessione di allenamento sportiva invece che una fuga a precipizio, ma forse si era appena fatto e aveva energie da vendere. Però non poteva competere con un professionista. Lo vide svoltare improvvisamente a destra, in un piccolo vicolo laterale che portava all’arteria principale del quartiere. Mick non perse tempo e aggrappandosi a un lampione per prendere lo slancio, portò avanti il braccio sinistro facendo compiere al polso scatto verso l’alto: nel momento stesso in cui si ritrovò con lo sguardo in linea con la direzione del ragazzo, dei piccoli pugnali sfrecciarono fuori dal polsino interno della sua camicia. Il ragazzo sentì solamente un dolore acuto alle gambe e cadde riverso a terra. Mick lo raggiunse in un istante e gli immobilizzò le mani dietro alla schiena.
- Buono ragazzo. Stai fermo, non reagire e non ti farò troppo male. –
Ma doveva essere la preoccupazione minore di Fonzie, perché scattò di lato liberandosi improvvisamente dalla stretta di Mick. Cercò di sferrargli un calcio per allontanarlo, ma i suoi muscoli erano lacerati dai pugnali e non rispondevano come dovevano. Mick stava già per sferrargli un colpo alla nuca quando il ragazzo prese il volo.
Mick lo guardò sbigottito scalciare debolmente in aria molto più sconvolto e sorpreso di lui. Umibozu lo stava tenendo per la collottola con un ghigno sadico che si allargava sul faccione abbronzato.
L’investigatore si trattenne dallo scoppiare a ridere, guardare quel moccioso rachitico tentare di opporsi a un Godzilla del genere era davvero comico.
- Bravo, sei riuscito a raggiungerci. –
- Tsè, questo teppistello puzza talmente tanto che non è stato affatto difficile, mi è bastato seguire la scia che si lasciava dietro. –
Mick sorrise e guardò il ragazzo che tentava un’eroica resistenza.
- Lasciami brutto scimmione, mettimi giù e ti faccio vedere io di che cosa sono capace. Ti riduco in briciole, ti ammazzo, ti pesto a sangue, perderai talmente tanto di quel sangue che ti sgonfierai come un pallone sgonfiato. –
- Ecco bravo, così la smette di demolire le macchine su cui tenta di salire. –
Umi mise giù il ragazzo che fendeva l’aria con calci e pugni e poi lo lasciò andare. Fonzie, sentendosi improvvisamene di nuovo a terra e senza legami, guardò l’imponente massa di muscoli che lo sovrastava per ottanta centimetri buoni e sbiancò.
- Uh… ma allora sei un tipo a cui piace lanciare minacce a vuoto. Che ne dici Umi, glie lo facciamo vedere noi cos’è una minaccia seria? –
L’omone, che non aspettava altro, estese ulteriormente il suo ghigno e si protese leggermente verso il ragazzo, sovrastandolo del tutto.
- Senti un po’ moccioso, se non ci dici esattamente tutto quello che sai, prenderò quella ridicola cosa che tu chiami apparato riproduttivo e te la strapperò, dopo di che comincerò a ripassare le strade di questo quartiere con la tua brutta faccia e quando avrò finito nemmeno il tuo spacciatore sarà in grado di riconoscerti. E ti assicuro che lo schifo che ti spari nelle vene non riuscirà a farti dimenticare l’immagine riflessa nel tuo specchio. –
Per tutta risposta, dall’inguine di Fonzie cominciò ad allargarsi una macchia scura giù per le gambe.
- Bleah! Che schifo. Diamine ragazzo, se ti spaventi per così poco non oso immaginare come ti comporti con la yakuza! –
Mick guardava schifato il ragazzo mentre Umi si distanziava quel tanto che gli permetteva di non stargli troppo vicino, ma da riuscire comunque ad agguantarlo se tentava di scappare.
- Vi… vi dirò tutto. –
- Bravo, - Mick si sedette su delle cassette delle frutta vuote – comincia da principio e non tralasciare una sillaba. –
- Sono stato io! Io ho derubato Ideky e ho nascosto la roba nel capanno di Mojo, abita in periferia a tre isolati di qui. Per favore non uccidetemi, non avevo intenzione di rivenderla! – a quel punto Fonzie si buttò ai piedi di Mick, che si lanciò indietro temendo che volesse toccarlo, nel frattempo osservò l’amico che aveva un’espressione sconcertata quanto la sua.
- Ma che diavolo stai blaterando?! – ora Fonzie piangeva.
- D-della rrroba che ho fregato a Ideky l-l’altro ieri. –
- E scusa, perché ce ne dovrebbe importare qualcosa? –
A quel punto Fonzie sollevò la testa guardando prima Mick e poi Umi, alternandoli.
- V-voi non siete gli uomini di Koji Unkaro? –
I due negarono all’unisono e fu il turno di Fonzie di rimanere sconcertato. Si alzò in piedi di scatto allontanandosi di qualche centimetro da Mick e puntando il dito in modo accusatorio contro i due.
- Voi non siete gli uomini di Koji Unkaro!! –
Umibozu cominciava ad avere un principio di mal di testa.
- Questo lo sappiamo anche noi. –
Sembrava che Fonzie avesse ritrovato tutta la sua baldanza e che avesse dimenticato la magra figura di poco prima; incrociò le braccia con fare sprezzante e alzò il mento guardandoli (tentando) dall’alto in basso.
- E che cosa volete allora? Qui le informazioni si pagano, lo sapete? –
I due cominciavano a spazientirsi. Mick non dovette spronare Umibozu: l’uomo, che sembrava piuttosto seccato di aver perso l’ascendete di terrore sul ragazzo, decise di fargli capire chi aveva davanti. Fece un passo lo afferrò per il bavero della giacca e lo bloccò contro il muro, portando il suo viso a pochi centimetri dallo sfortunato informatore.
- Noi vogliamo sapere che ne è stato di Ryo Saeba. Lo conosci vero? Sarà passato di qui giusto tutti i giorni nell’ultima settimana. –
Fonzie aggrottò la fronte e guardò il suo riflesso negli occhiali dell’uomo, per associazione di pensiero si ricordò della minaccia precedente e cominciò a tremare leggermente.
- E… Saeba eh? S-si è p-passato di qua parecchio ultimamente ma… ma oggi non l’ho visto. No, proprio no. Già. –
Fece una risata stridula che venne soffocata dalla stretta di Umibozu. Mick balzò giù dalle cassette e si avvicinò ai due.
- Che dici Umi? Dobbiamo credere a questa faccia di topo? – Umibozu non parlava, si limitava a tenere il ragazzo contro il muro, ma Mick avvertiva la tensione del suo corpo. Nessuno che aveva a che fare con lui era mai riuscito a fargli bere una balla, nessuno tranne Ryo, ma da quando era diventato cieco del tutto anche per lui mentirgli era diventato difficile. Se non ci riusciva uno degli sweeper più famosi del mondo, non poteva di certo riuscirci quel pivello.
Umibozu sogghignò e pronunciò il verdetto: - Sento puzza di menzogna. –
Come se avesse decretato la sua condanna a morte, Fonzie cominciò a piagnucolare.
- No, no, è vero. Credetemi, è vero. Vi giuro. Non vi sto mentendo, io … -
- Basta così. Umibozu, fagli vedere qual è la pena per i bugiardi. –
- Smettila di darmi ordini. –
L’ex killer però, senza staccare il ragazzo dal muro, cominciò lo stesso a dirigersi verso una piccola traversa senza uscita del vicolo, il giubbotto in pelle strideva a contatto con il cemento ruvido del palazzo. Il grido del ragazzo sembrava il lamento di un animale in agonia.
- No! Vi prego aspettate! Vi dirò tutto quello che volete! Non lasciatemi da solo con lui!! –
Umibozu si fermò permettendo a Mick di raggiungerli.
- Forza siamo tutt’orecchi. –
- Non… non mi tirate giù. –
Due identici ghigni sadici si affacciarono sui due uomini.
- Tu prima dicci quello che sai e forse potremmo lasciarti andar via sulle tue gambe.
- Esssseno? –
- Se no, - Mick si adombrò subito, - ti toccherà strisciare fuori di qui sui tuoi gomiti. –
- Se ti rimarranno i gomiti. – Umibozu teneva sempre molto alle precisazioni.
Fonzie deglutì faticosamente e decise che era meglio parlare.

Bruckemeyer pese dalla tasca un cellulare che vibrava forte e prese la comunicazione con un semplice “Si”. Ascoltò ciò che aveva da dire il suo interlocutore e poi chiuse la comunicazione, rivolgendo di nuovo la sua attenzione alla donna ai suoi piedi.
- Sembra che presto arriverà l’ospite d’onore. Chissà forse la sua vista riuscirà a smuoverla più della mia. –
Kaori lo guardò, ancora sconcertata per la certezza appena acquisita.
- Come? –
- Pare che lei sia così abituata a essere rapita che non la smuove nemmeno trovarsi al cospetto dell’uomo che decreterà la sua morte, immagino che non sia facile essere la donna di Saeba. -
- Io non sono la sua donna. –
- Non credo abbia molta importanza in questi casi, vero. –
Kaori sorrise mesta, aveva proprio ragione.
- Ad ogni modo presto nessuno farà più coppia con lui. – Kaori fissò negli occhi quell’uomo che appariva così freddo nella sua cordialità. - Proprio ora la stanno portando qui, dove potrò fargli fare la fine che merita. –
La donna non fece alcun cenno, non le aveva detto nulla che la potesse far desistere a sperare, era sicura che Ryo aveva qualcosa in serbo, come al solito. Eppure, da qualche parte nella sua mente, le speranze cominciarono lentamente ad affievolirsi.

Mick guardava Fonzie come se stessero facendo un normale conversazione tra colleghi, e non un interrogatorio in piena regola, con il torchiato appeso a un muro e tenuto sott’occhio da un uomo da più di cento chili di muscoli.
- Vediamo se ho capito bene. Due giorni fa due tizi ti si sono avvicinati, proponendoti di pagarti un bel gruzzolo se gli reggevi il gioco. Giusto? –
Fonzie annuì deciso.
- Si, si. –
- Il gioco consisteva nell’aspettare che Saeba si facesse vivo, di lanciare un segnale tramite una ricetrasmittente e di portarlo da loro, che si sarebbero opportunamente appostati con un furgone a nolo davanti alla ferramenta del vecchio Kaji, giusto? –
- Si, si. –
- A quel punto, loro avrebbero aspettato qualche minuto e se ne sarebbero andati lasciando che Ryo li seguisse. Giusto? –
- Si, si. –
- Tu non avresti dovuto parlarne con nessuno, bla bla, le solite storie… è tutto qua? –
- Si, si. –
Umibozu rafforzò la pressione contro la gola del ragazzo.
- E tu vuoi farci credere che non sai dove lo hanno portato? - il ragazzo cominciava a risentire lo stress e l’astinenza da stupefacenti, aveva lo sguardo spento e sudava a profusione, una situazione che dava parecchio fastidio ai due, dato l’incidente di prima.
- N-non me l’hanno detto. I-io ero solo un’esca. –
Mick fece una smorfia mentre Umi o lo lasciava andare. Si voltò verso l’imboccatura da cui erano entrati nel vicolo, riflettendo: come diavolo aveva fatto Ryo a non capire che era una trappola? Quel viscido topo di fogna trasudava menzogna da tutti i pori, non avrebbe mai dovuto usarlo come informatore. Il suo amico doveva essere ammattito del tutto. Umibozu interruppe il filo dei suoi pensieri dopo aver lasciato cadere malamente a terra Fonzie, che ora tossiva ai suoi piedi e si massaggiava la gola.
- Che facciamo ora? –
- Non abbiamo molta scelta, dobbiamo andare ad aiutarlo. –
Umi fece una smorfia.
- Dobbiamo? –
- Si certo, Kaori è ferita e lui sarà solo contro un intero esercito. Mica vorrai lasciarlo da solo? –
Mick guardò di sottecchi l’uomo, che sembrava deciso a sottolineare come lui non dovesse proprio fare niente nei confronti dello sweeper.
- Senza contare che hanno malmenato Miki; se Ryo non ce la dovesse fare quel damerino tedesco rimpatrierebbe subito, non vorrai mica lasciare che la passi liscia? –
- Tsè! Assolutamente no. Ma sia chiaro, è solo per questo che vado a dare una mano a quell’imbecille. –
- Si come no. –
I due ritornarono sui propri passi ignorando le flebili lamentele che il ragazzo emetteva, una volta saliti sulla jeep Umibozu si rivolse a Mick.
- Bene, qual è il tuo piano? –
- Eh? –
Mick si era sistemato comodamente sul sedile, allungando le gambe e portando le braccia incrociate dietro alla testa.
- Il tuo piano per fare irruzione, ne avrai uno no? –
- No. –
Umibozu si lasciò sfuggire la frizione proprio mentre girava la chiave per accendere il motore, con il risultato che il pesante mezzo sobbalzò un paio di volte.
- Come sarebbe a dire che non ce l’hai?! – Mick, per nulla scomposto, si limitò ad osservare una ragazza in minigonna che passava accanto a loro, scandendo bene le parole.
- Che-non-c’è-l’ho. –
Umibozu raggiunse la stessa tonalità di rosso che assumeva quando Miki gli faceva i complimenti, o Ryo toccava certi argomenti in sua presenza.
- E come avresti intenzione di entrare lì dentro? –
- Mah, prima o poi mi verrà in mente. –
Umibozu grugnì qualcosa di incomprensibile e riavviò il motore, stavolta con più fortuna, e si inserì nel traffico.
- Che dici? –
- Dico che faremo con il mio metodo. –
- Vale a dire bazooka puntati sul cancello principale e spianata totale su tutto ciò che incontreremo? –
- Esatto. –
Mick scivolò giù dal sedile mentre Umibozu evitava (non si sa come) una vecchietta con le sporte delle spesa che finiva di attraversare la strada; si infilò subito la cintura di sicurezza e riprese il discorso di prima.
- Stai scherzando vero?! –
- Assolutamente no. –
- Non puoi fare una cosa del genere? Ryo e Kaori potrebbero venire uccisi prima che noi riscissimo a raggiungerli oppure trasferiti su una delle sue navi, lo sai che ha un porto sotto alla villa! –
- E allora tu cosa proponi, sentiamo. –
Mick sbuffò e si sedette meglio sul sedile, cominciando a guardare le vie piene di traffico e di gente. Era una situazione spinosa, non potevano fare irruzione così alla villa, quello non era il solito esercito di mafiosi o mercenari alla buona, quello era un esercito in piena regola, ed entrambi erano ormai a digiuno di quelle azioni da un po’. Loro due sarebbero stati fermati prima ancora di raggiungere la villa e Ryo e Kaori sarebbero stati spacciati. Tra l’altro non sapeva quale sistema difensivo il tedesco avesse approntato alla villa, perciò sarebbe stato un colpo alla cieca. Non sapeva proprio che cosa fare.
Era un normale giorno settimanale nell’ora dell’uscita dagli uffici, perciò ben presto finirono imbottigliati a un incrocio. Tra clacson che suonavano, imprecazioni che volavano e fumi di scarico, Mick fece girare lo sguardo sulle macchine che li circondavano, andando poi a finire sul furgoncino di un piccolo corriere espresso che aveva la freccia per svoltare a destra, un paio di macchine più avanti. Rimase a fissarlo senza realmente vederlo per un tempo indefinito, poi si rese conto di che cosa stava guardando ed ebbe un’idea. Il semaforo diventò verde.
- Gira, segui quel furgone! –
- Eh? –
Mick non perse tempo in spiegazioni, afferrò il volante e premette sull’acceleratore, svoltando bruscamente per raggiungere il furgoncino del corriere. Un concerto di clacson e stridore di pneumatici accompagnarono la loro impresa, ma non si sentì nessun cozzare di carrozzerie.
- Ma sei matto?! –
Umibozu riprese di forza il controllo dell’auto, spingendo Mick al suo posto.
- Vai dietro a quel furgone! –
- Quale furgone?! –
Mick si morse le lingua: era vero, lui non lo vedeva.
- Ti dico dove svoltare, poi ti spiego. –
Seguirono il furgoncino per pochi minuti, fino a quando non si fermò davanti a un condominio con davanti un ampio cortile, pieno di bambini che giocavano. Il conducente scese dal mezzo, prese un pacco dal retro ed entrò nel cortile, dirigendosi verso un ingresso nascosto da un paio di alberi. Quando fu di ritorno pochi minuti dopo, non trovò più il furgoncino. I bambini dissero che il gigante buono aveva preso il furgone dicendo che era per una missione di salvataggio. Il conducente evitò accuratamente di indicare i bambini quali testimoni del fatto.

 

 

Mi spiace, altro capitolo di transizione (e pure in ritardo!!! Mi spiace tantissimo!). Purtroppo in questo periodo il tempo è tiranno e gli esami sono proprio dietro alla porta. Spero di riuscire ad aggiornare prox settimana (e di fare qualcosa di più...). Non manca molto alla fine, quindi forse riuscirò a fare tutta una tirata e spezzarlo in seguito. Ciau

Marzia: le sorti di Kaori sono ancora in sospeso, così come il suo contributo alla storia ^^
Non sono riuscita a mettere qualcosa di più di Ryo, ma spero di essere riuscita a stuzziare ulteriormente la tua curiosità con quest'elemento nuovo sul suo passato (è fin troppo facile inventarlo, Hojo non si è dilungato troppo su di lui). Spero che il chap ti sia piaciuto, anche se in realtà c'è poco. Ciau, grazie del commento ^^

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8

Mick convinse Umi a fare una tappa al suo appartamento, o meglio, al garage sotto al suo appartamento, dove l’investigatore sottoposte il furgoncino e loro stessi a un restyling molto breve, ma essenziale, nel quale era compreso anche il cambio di targa e l’ardua impresa di convincere lo sweeper a smettere la sua uniforme per una camicia e un cappello da baseball. Mick però dovette sorvolare sulla camicia, poiché non ne aveva della taglia dell’amico, anzi sospettava che quella del matrimonio fosse stata fatta proprio su misura e che l’indossare costantemente la divisa da guerrigliero fosse semplicemente la pigrizia di non volersi andare a cercare qualcosa della sua taglia. Fortuna che era arrivata Miki, o il suo guardaroba sarebbe stato ancora peggiore di quello di Ryo.
Neanche un quarto d’ora dopo (Mick era pur sempre un professionista), schizzavano già fuori da Tokyo, con l’investigatore al volante, diretti a una ben nota villa sulla costa.
- Allora, vuoi dirmi finalmente qual è il tuo piano? –
Mick sorrise sornione tra la finta barba scura, mentre superava due auto contemporaneamente lanciato alla moderata velocità di 130 chilometri orari. Aveva studiato bene le cartine e conosceva una scorciatoia per arrivare prima alla villa, una scorciatoia molto impraticabile e tortuosa, che correva parallela alla linea costiera e dimenticata da tempo sia dallo stato, che dagli automobilisti, dato che c’era spazio giusto per un auto e mezza. O quasi. Quando Umi prese una sonora zuccata sul tettuccio del mezzo al centramento della prima buca a tutta velocità, si disse che la scusa della cartina proprio non reggeva. Chissà se anche Kazue conosceva quella strada…
- O è un piano molto semplice. –
- E cioè? –
Umibozu aveva preso ad esempio l’uomo accanto a se e si era messo la cintura, ancora in ingrugnito per essere stato costretto a indossare quel berretto e la barba finta – sul fondotinta non aveva ceduto. Dannazione, lui non guidava così male! Nemmeno un cieco avrebbe preso in pieno tutte quelle buche.
- Ci faremo gentilmente aprire il cancello principale. –
Con un entusiasmo degno di un liceale al primo appuntamento, Mick accelerò proprio sopra a una buca larga almeno mezzo metro, mentre Umibozu lo osservava a bocca aperta mollando la presa dal sedile. Mick cominciò a fischiettare mentre l’uomo tentava di districarsi dalla cintura e dal fondo del furgone.
Una volta ricomposto e rimesso il berretto in una posizione più consona, si rivolse all’amico senza nemmeno tentare di celare il suo sbalordimento/ironia.
- Certo, noi arriviamo lì e quelli oltre ad aprirci ci stendono il tappeto rosso e magari ci offrono anche caviale a champagne. –
- Mmmh… magari, è un pezzo che non me ne offrono più. –
L’ex mercenario diventò paonazzo nello sforzo di non saltare al collo di quel disgraziato che lo stava conducendo a morte certa.
- Ma che razza di cretinata è mai questa?! –
Mick non perse un solo briciolo del suo buonumore e continuò a schivare e centrare le buche mentre illustrava il suo piano all’uomo al suo fianco. Alla fine della storia Umi dedusse che l’investigatore doveva aver trovato da qualche parte un negozio di cervelli nuovi. Doveva chiedergli dove, così avrebbe saputo dove andare a prendere il regalo di Natale per quell’idiota di sweeper che si ostinava a ancora a considerare come amico.

Reika e Miki avevano avuto la raccomandazione di non uscire di casa e di non pensarci nemmeno a trovare un modo per aiutarli, ma c’è gente che asserisce che le persone si circondano di amici degni di se stessi e persone che quando non sono inseguiti dai guai se li vanno a cercare, hanno degni rappresentati di questa loro natura al loro fianco. Tali erano Miki e Reika, in fondo una aveva sposato un ex-mercenario e una era innamorata cotta di uno sweeper, oltre a esserlo (quasi) lei stessa, per non parlare delle caratteristiche della discendenza Nogami. Da brave donne dal carattere forte e femministe – ovvero, consapevoli che in genere gli uomini senza di loro non sanno cavare che mezzo ragno dal buco da cui tentano di estrarlo – si rattopparono alla meglio e caricarono sulla jeep di Miki abbastanza armi da far paura all’esercito mafioso di Shinjuku. Ricordandosi della presenza di ben tre armi letali fuori controllo alla villa di uno dei più grandi magnati dell’alta finanza, pensarono bene di avvertire anche la sorella di Reika che ci sarebbero stati un bel po’ di cocci da nascondere sotto al tappeto. Finiti i preparativi afferrarono una cartina e partirono a razzo.

Umibozu ancora non si capacitava dell’idea avuta da quell’idiota americano. Con un po’ di fortuna avrebbe anche potuto funzionare. Una brusca fermata, quasi un’inchiodata, lo fecero però pentire quasi subito del complimento involontario che gli aveva fatto mentalmente.
- Che succede ora? –
- Ho come l’impressione che abbiamo compagnia. –
Mick si mise ad armeggiare con il cambio facendolo gemere e accelerando nel momento sbagliato, tenendo d’occhio lo specchietto retrovisore. Umi tese l’orecchio, tentando di eliminare dal suo panorama acustico i rumori di protesta del furgoncino. Quasi subito alzò la testa di scatto.
- Hai ragione. –
Cinque secondi dopo Mick li vide comparire da una curva, innestò subito la marcia in modo corretto e accelerò, facendo fare letteralmente un balzo in avanti al mezzo. Non si scomposero più di tanto, Mick continuò a guidare a velocità molto sostenuta avvantaggiato dal fatto che lui, a differenza dei loro inseguitori, conosceva già quella strada. Dopo un paio di chilometri trovò quello che cercava, una curva molto stretta di quasi centottanta gradi con una conca sul fianco quasi subito dopo: era quasi impossibile per chi usciva dalla curva vedere se c’era qualcuno parcheggiato lì sul fianco. Umi uscì dal mezzo e Mick lo lasciò fare, l’amico si divertiva sempre un mondo a tendere imboscate e gli lasciò il divertimento.
- Vedi se riesci a fermali invece di buttarli direttamente giù nel dirupo, così ci facciamo dire quanto hanno riferito sulle nostre manovre. –
Umibozu non rispose, ma si avvicinò a un cumulo di rocce proprio davanti a loro, ne prese una del diametro di circa un metro e senza troppi complimenti la sollevò. Mick aprì lo sportello del furgone e si mise a sedere di traverso, moriva dalla voglia di vedere le facce di quei disgraziati una volta sbucati dalla curva.

Mark era furioso. Quei due pazzi gli avevano fatto fare il giro di tutto il quartiere in mezzo al traffico dell’ora di punta e per un attimo aveva davvero temuto di averli persi o di essere stato scoperto. Non si spiegava in altro modo quella manovra rischiosa al semaforo. Il suo compagno accanto a lui la vedeva allo stesso modo, ma era meno nervoso. Ovvio, mica se li era dovuti sorbire lui i dannati guidatori giapponesi! Neppure a New York incontrava così tanti imbecilli amanti dello stare in mezzo alla strada. Non di fianco, da una parte, no!, in mezzo!, è più bello si ha una visuale migliore.
- Calmati, non perdere il controllo proprio ora. –
Alan era chino su una cartina per vedere dove li stavano portando quei due diavoli. Era stato un colpo di fortuna incredibile ritrovarseli a casa dell’investigatore. Avevano omesso il Cat’s Eye perché c’erano le due donne convalescenti ma non si poteva mai sapere, ma chissà dove diavolo avevano preso quel furgone del pony express. Quando lo avevano visto uscire dal garage con un nome diverso non ci avevano messo molto a fare due più due e avevano cominciato a seguirlo nel traffico, di nuovo!, proprio in direzione della villa e poi in quella dannata strada tutta buche e curve. E quel disgraziato non scendeva mai sotto le sessanta miglia orarie!
- Ma come diavolo fa! –
- Calmati, vedrai che alla prossima curva li intravediamo. –
- Già. –
Il suo umore era guastato ulteriormente dal non essere riusciti a comunicare per intero la notizia al quartier generale. Una volta capite le intenzione dei due, si erano subito messi in contatto via radio con il loro centro di controllo, ma in quel momento Mark aveva dovuto schivare velocemente un autocarro che aveva deciso di sorpassarne un altro proprio mentre stava passando lui, col risultato che il compagno si era beccato un bernoccolo alla tempia e il caffè preso allo Starbucks, ancora pieno per metà, era schizzato dal porta bicchieri davanti al cambio proprio sulla radio, inondandola. Morale della storia, i compagni sapevano che i due erano in dirittura di arrivo, ma non con cosa e soprattutto non sapevano che erano truccati.
Mark sbuffò un’altra volta cercando di rimanere concentrato sulla guida e sulle buche; arrivato dall’altra parte fece appena in tempo ad accorgersi della massa in mezzo alla strada, poi tutto rallentò. Quasi come in un sogno vide il cofano alzarsi e accartocciarsi, il parabrezza andare in frantumi e sentì chiaramente l’auto sollevarsi in avanti. Lui venne proiettato in avanti, ma la cintura di sicurezza lo tenne al suo posto, aiutata dall’airbag che si gonfiò istantaneamente. Il suo compagno non fu altrettanto fortunato: con la scusa che non erano più su una strada comunemente percorsa anche dalle pattuglie della stradale, si era tolto la cintura e lui lo vide sollevarsi, attraversare il parabrezza e piombare sulla strada, rimanendo a terra. L’auto tornò su tutte e quattro le ruote molto velocemente rispetto alla sua misurazione temporale e si ritrovò stordito a fissare il pallone che si sgonfiava davanti a lui, penzolando dal clacson. Meno male che avevano preso un utilitaria decente, si ritrovò a pensare. Un’ombra gli si parò di fianco. stordito, voltò lentamente la testa e si ritrovò un faccione scuro, con occhiali da sole, barba e cappello.
- Bene, che abbiamo qui? Ratto in scatola. – e lo afferrò per il bavero della giacca.
Cinque minuti dopo era anche lui a terra, dopo essere stato tirato fuori di forza dal finestrino dell’auto, mentre il furgoncino schizzava via slalomeggiando alla meglio tra le buche.
Guardano il suo compagno a terra, si chiese vagamente se avrebbero mai chiamato un ambulanza.

Mick e Umi erano arrivati davanti al cancello principale della villa di Bruckmeyer solo un quarto d’ora dopo aver lasciato quei due a sanguinare sulla strada. Avrebbero chiamato qualcuno dopo, forse… Erano fermi davanti alla barra orizzontale, il cancello infatti era aperto. Una guardia si era accostata al loro finestrino mentre un’altra rimaneva di guardia con un fucile nascosto puntato alla testa del guidatore.
- Questa è proprietà privata, dovete andarvene. –
Mick mascherò abilmente il divertimento a sentire a il tono autoritario di quel moccioso imberbe, non avrà avuto più di vent’anni. Si mise su una maschera di irritazione e arroganza, che a detta di tutti gli veniva anche fin tropo bene, e si rivolse al moccioso con tono molto scocciato.
- Ragazzino, questa sarà anche proprietà privata, ma io ho una consegna da fare, e bella voluminosa anche. Facci entrare alla svelta, che oggi ne ho avuto abbastanza di clienti petulanti.–
La guardia lanciò un’occhiata sospettosa a lui e poi al tizio che gli stava a fianco, una specie di colosso che sembrava uscito dritto dritto da un telefilm degli anni ottanta. L’abitacolo puzzava anche di alcol e una bottiglia semivuota era adagiata del porta oggetti.
- Per chi è la consegna? –
- Per il signor… - Mick afferrò una cartella con dei fogli e la lesse senza dar modo al ragazzo di sbirciare, – Brusk… Brucchemaier. –
- Bruckmeyer. –
- E io che ho detto? Dai, facci entrare. –
- Che genere di pacco dovete consegnare? –
- E io che ne so. –
- Come? –
- E io che ne so! Mica sbircio nella cose degli altri, sono un professionista io! - e si batté la mano sul petto, chinandosi poi su se stesso per un accesso di tosse. La guardia si allontanò di un passo con un espressione che mascherava a fatica il suo disgusto.
- Scendete. Devo perquisire il furgone. Intanto consegnate i vostri documenti al mio collega. –
- Cosa?! –
- Sono le regole, o così o non si passa. –
- Senti amico, è solo una puntata e via. Lo vedi questo colosso? Beve come una spugna e in continuazione e se non lo fa diventa mooolto scontroso e la bottiglia è quasi vuota. Perché non… -
- O così o non entrate e voi dovrete rifarvi tutta la strada fin qui domani. – Mick notò la smorfia sadica di soddisfazione del moccioso quando pronunciò quelle parole. Chissà se era tanto sicuro di se anche in combattimento. Da attore consumato, guardò l’amico, la bottiglia e il contachilometri, poi rivolse un’occhiata rassegnata al ragazzo.
- Eeeeh va bene. Su svegliati bestione, qui sono dei dannati maniaci della sicurezza. E svegliati! - diede una botta a Umi, che faceva finta di sonnecchiare e scesero. Si diressero di malavoglia verso la guardiola mentre il ragazzo apriva il retro del furgone e lo ispezionava. Fortuna che Mick aveva avuto il buon senso di cambiare il nome a uno dei pacchi più grandi. L’investigatore porse dei documenti alla seconda guardia, un altro moccioso imberbe, che li esaminò da vicino, bastavano quelli di identità, per fortuna non pretesero anche quelli di lavoro: ogni bravo sweeper che si rispetti ha almeno altre quattro identità fasulle a cui attingere nelle emergenze e loro due non facevano eccezione.
Pochi minuti dopo i mocciosi diedero il via libera e i due poterono entrare nel cancello principale. Mick sghignazzò allegramente.
- Che dici, si offenderanno quando scopriranno il mio brutto tiro? –
- Con tutto quel gel soporifero che hai sparso letteralmente ovunque sarà tanto se capiranno come mai sono in una cella. –
- Devo ringraziare Doc, non credevo che quella roba mi sarebbe tornata utile sul serio. –
- E ora come troviamo Ryo? –
- Beh… -
Con la coda dell’occhio Mick individuò nello specchietto retrovisore una massa scura e polverosa in movimento, guardò meglio e vide che era un grosso camion militare seguito da altri, lanciato ad alta velocità. Senza preavviso, sterzò verso il ciglio della strada, che era asfaltata, e frenò bruscamente, facendo guadagnare a Umibozu un’altra zuccata, della quale però non si lamentò.
Tre secondi dopo il convoglio li sorpassò senza degnarli della benché minima attenzione.
Mick sorrise soddisfatto, a differenza di quel che dicono i moralisti andare a velocità pazzesche anche su strade accidentate aiuta, in quel caso a sorpassare il convoglio con a bordo un rapito.
- Che dici? Anche loro avranno qualcosa di urgente da consegnare? – domandò ironico al compagno.
- Di certo non correva in quel modo per consegnare delle pizze ancora calde. –
- Certo che sei di buon umore oggi, eh? –
- Ho avuto un brutto risveglio. –
- Oh, vedo. –
Riavviò il furgone e si accodò al convoglio mantenendo una certa distanza mentre Umibozu si levava quel berretto odioso e sfilava da sotto il suo sedile il suo fedele bazooka.

Kaori era stata trasferita dalla scuderia a un salone molto grande ed elegante, ma ingombro di apparecchi elettronici e monitor. Il lungo tavolo al centro, era particolarmente carico di computer e cavi e tre ragazzi lavoravano davanti a tre postazioni con non meno di tre monitor ciascuno. La luce era molto forte, dovuta a delle lampade alogene che sostituivano gli originali lampadari pendenti di cristallo di cui si notava la mancanza, e veniva riflessa dal lucido pavimento di marmo e dagli specchi a muro che non erano riusciti a togliere o coprire dai monitor. Venne fatta sedere a un angolo della sala, su una sedia da ufficio di quelle girevoli, e legata di nuovo alle caviglie. Era passata bruscamente da un ambiente con poca luce a uno illuminato a giorno e si sentiva leggermente stordita, ma riuscì a intravedere un’ampia finestra priva di tendaggi che dava su un terrazzo ampio quasi quanto la sala. Doveva essere stato un salone da ricevimento splendido, pensò Kaori. Ora era nudo e spoglio e invaso da apparecchiature che sembravano quasi aliene in quell’ambiente. Strano a dirsi, il maxi schermo era quello che dava meno fastidio, la forma infatti ricalcava né più né meno un ampio quadro che molto probabilmente aveva sostituito, visto che occupava giusto il posto nella parete senza occultare niente. L’attenzione infine ricadde sull’angolo di fronte a lei, dove un uomo era fisso davanti a una ventina di piccoli monitor in bianco e nero, che spesso cambiano immagine.
“Così è questo il centro di controllo di Bruckmeyer.”
Bruckmeyer arrivò e fece un cenno col capo in direzione dell’uomo davanti al monitor, che premette un pulsante sulla consolle davanti a lui. subito il maxi schermo si accese e mostrò tanti riquadri differenti in bianco e nero.
- Dammi solo quelle della 13-A –
Un altro veloce movimento dell’uomo e i riquadri sparirono, per lasciare il posto a un’unica immagine in bianco e nero, grande quanto tutto lo schermo. Era l’ingresso della villa, era chiaro, ripreso probabilmente dalla sinistra del portone. Infatti si vedeva la scalinata e lo spiazzo antistante, tutto in un angolazione spostata verso destra; l’uomo cominciò ad armeggiare con un joystick fisso davanti a se e l’immagine si spostò per comprendere meglio lo spiazzo. C’erano delle guardie, con dei cani e alcuni fari alogeni puntanti sulla villa e all’esterno. Tutto era su una tonalità molto chiara di grigio.
- Bene, sono arrivati. –
Kaori osservò attenta quel che avveniva sullo schermo. Tre grossi camion militari apparvero uno alla volta nello spiazzo e parcheggiarono l’uno di fianco all’altro, l’ultimo più vicino alla scalinata. Degli uomini, circa una dozzina ciascuno, cominciarono a scendere dai primi due e si disposero in circolo intorno al terzo puntando contro dei mitra. Quando la disposizione fu ultimata, anche dal terzo camion uscirono circa sei uomini, che puntarono immediatamente le armi contro il loro camion. Kaori trattenne bruscamente il respiro quando vide apparire Ryo dal tendone, tenuto sotto tiro da altri sei uomini all’interno del cassone.
La telecamera zoommò, a beneficio degli spettatori in sala, tutti infatti si erano fermati guardare l’uomo per il quale erano state impiegate tutto quel dispiegamento di forze ed energie.
- Ecco signorina Makimura, il suo socio è appena arrivato. Come può vedere non ha troppo da sperare in un suo colpo di mano, è ben sorvegliato. –
Kaori non annuì ma ebbe lo stesso pensiero. Aveva visto Ryo fare le cose più incredibili anche davanti a uno spiegamento di forze maggiore, ma aveva sempre una pistola o altro che gli permetteva di avere la meglio, lì era completamente disarmato e i soldati non gli si avvicinavano a meno di due metri. L’unica cosa che non si spiegava era come avevano fatto a prenderlo e a renderlo inoffensivo. La sua domanda doveva riflettersi anche sui suoi lineamenti o forse Bruckmeyer lo aveva intuito, perché si sentì comunque in dovere di spiegarglielo, o forse era solo orgoglio.
- Il suo socio ha avuto il buon senso di consegnarsi per salvarle la vita, cosa che comunque non è assicurata. –
Kaori spostò lo sguardo dallo schermo al tedesco, che la stava osservando con uno sguardo molto soddisfatto e maligno. Kaori lasciò trapelare la rabbia e il suo disgusto per quell’essere.
- Non la prenda così male, dovrebbe essere felice, passerà il resto dell’eternità accanto all’uomo che ama, sempre che accetti di andare all’inferno con lui. –

Ryo era davanti all’ingresso della villa, era la prima volta che si rendeva conto di quant’era imponente, da lontano non sembrava così ampia. Davanti a lui si estendeva l’ampio ingresso sovrastato dal terrazzo illuminato a giorno: non riusciva a scorgere le vetrate delle finestre dal basso e, a causa della conformazione leggermente curva della villa, nemmeno gli angoli agli estremi; da lì sembrava alta solo tre piani ma lui sapeva che oltre il parapetto in alto c’era un’ampia veranda che era stata destinata al terzo distaccamento delle guardie di Bruckmeyer, divise rispettivamente in controllo acqueo, via terra e cielo. Il portone era ampio quanto la bianca scalinata marmorea e aperto solo per metà: era di legno scuro e lucido rinforzato in bronzo, Ryo si chiese se un blindato sarebbe stato sufficiente e buttarla giù. Bolt gli si avvicinò e gli fece cenno di salire. Mentre continuava ad osservare la villa non poté fare a meno di notare che era incredibilmente spoglia vista da vicino: i muri lisci e con pochi cornicioni essenziali non presentavano fronzoli o altro e sotto le finestre al piano terra riusciva a vedere ceppi contorti di quelle che doveva essere state maestose piante rampicanti, ora ridotte a dei tronchi secchi e sterili. Ai lati della scalinata invece si notavano chiazze chiare e perfettamente tonde e le finestre erano tutte prive di qualsiasi tipo di tendaggio. La sensazione si di desolazione si acuì quando varcò il portone d’ingresso seguito fedelmente dagli uomini e dalle telecamere: era molto ampio, ci avrebbero tranquillamente potuto giocare a calcetto o tennis e ci sarebbe stato spazio anche per un paio di file di spettatori su entrambi i lati. L’ambiente nel complesso era molto classico: scalinata sul fondo che si apriva in due ali con vetrata che faceva da sfondo, ora oscurata con delle stoffe che poco avevano a che fare con un ambiente tanto lussuoso; dai lati si accedeva tramite ampi corridoi alle ali estreme del palazzo, ma solo uno, quello di sinistra, era illuminato, mentre l’altro era tenuto spento. Anche per quanto riguardava il sotto scala solo il lato di sinistra sembrava utilizzato, infatti Ryo notò che il lucido pavimento in marmo era segnato di impronte fangose e chiazze scure non meglio identificate. Anche lì erano state tolte ogni genere di suppellettili inutili, quadri, specchi e vasi che avevano adornato quella casa per anni avevano lasciato i loro segni chiari sulle pareti, a denuncia di quell’atto di violazione di così poco gusto.
A dire il vero però un oggetto di arredo molto interessante era rimasto. Ryo raggiunse placidamente il centro dell’atrio ignorando la ventina di guardie si disponesse intorno a lui in circolo, infatti la donna che aveva davanti era più degna di attenzione. Gli rivolse la parola per primo nel suo solito mondo canzonatorio che sembrava piacere tanto alle donne, era prigioniero ma aveva pur sempre una dignità da difendere.
- Ho l’onore di parlare con Carla Rondoni o Melanie Oxley? –
La donne gli sorrise tranquilla, non si aspettava nulla di meno da un uomo con la sua reputazione.
- Dipende. –
- Da cosa? –
- Dal ruolo che mi costringerà ad assumere. –
Ryo guardò la guardò negli occhi: grigio ghiaccio, freddi quanto lo stesso, si chiese se era già riuscita ad uccidere con lo sguardo. Era bella, troppo, gli sarebbe dispiaciuto doverla uccidere, non avrebbe disdegnato per nulla poter affondare le mani nella folta chioma bionda della donna e sentire la consistenza del suo corpo sotto di se, ma era dell’opinione che lei non sarebbe stata molto d’accordo, soprattutto dopo che avrebbe ucciso il suo uomo.
- Facciamo così, lei farà la segretaria da brava, tenendosi alla larga dal macello in fase di realizzazione e io non le sparerò un proiettile nelle ginocchia, così potremo berci un drink sulla spiaggia raccontandoci aneddoti molto maliziosi e allusivi quando tutto sarà finito. –
Si aspettava anche questo, Ryo Saeba era un abile maestro nell’arte della sdrammatizzazione, spesso e volentieri disarmava gli avversari con la sua verve facendogli credere di essersi messi contro un gonzo che si era guadagnato la sua fama per puro caso, ma lei era di un’altra pasta. Ryo si accorse, con suo enorme disappunto che gli occhi della donna rimanevano freddi tanto quanto il suo sorriso. Se non riusciva più nemmeno a farle sorridere internamente, tanto valeva smettere, ma si sarebbe tolto la metà del divertimento.
- La sua fama di don Giovanni la precede signor Saeba, ma l’avverto che questi suoi tentativi di digressione serviranno solo ad aumentare la sorveglianza su di lei. E ora, se vuole seguirmi… -
Ryo la osservò voltarsi, ringraziando chi, tempo prima, aveva deciso che le tute aderenti era il massimo della praticità per un possibile scontro armato. Seguì docilmente la donna senza staccare gli occhi dal suo fondoschiena.

Mick aveva parcheggiato il furgone in una buca tanto provvidenziale quanto sottovalutata da quelli della sicurezza. Approfittando della luce del tramonto, che rendeva ancora inutili le luci alogene ma non rischiarava più di tanto il parco, aveva individuato un punto in cui la strada si alzava e curvava leggermente allo stesso tempo, creando una conca naturale in cui piazzare il furgone e capovolgerlo per eliminarlo completamente alla vista. Ora erano distesi proprio dietro al ciglio della strada, a poche decine di metri dalla villa. Erano fortunati, Bruckmeyer non aveva ritenuto necessario far uso dei cani o forse non aveva potuto, sta di fatto che le guardie umane e gli occhi elettronici sembravano ignorarli e loro non si stavano lamentando per l’improvvisa fortuna.
- Allora, qual è il piano? –
Umibozu era accanto a Mick con i sensi all’erta, non aveva bisogno di chiedere conferme, sapeva esattamente quante guardie aveva davanti a se e in che posizione, Mick invece non la smetteva più di scrutare in quel suo binocolo e stava seriamente pensando che anche lì avesse trovato qualcosa di più interessante da sbirciare.
Il biondino non accennò a smettere la sua attività mentre gli rispondeva.
- Cosa? -
- Qual è il piano? –
- Quale piano? –
Umibozu era lì lì per dare una capocciata al terreno ma mantenne il suo autocontrollo.
- Quello per liberare Kaori e Ryo, quale se no? –
- Non ho un piano.-
Non ce la fece. La testa gli piombò di scatto verso terra creando un foro di notevoli dimensioni.
- Shht! Vuoi farci scoprire?! – Mick si era appiattito al suolo e ora lanciava occhiate allarmate intorno, ma nessuno sembrava essersi accorto di niente. Umibozu non fece nemmeno lo sforzo di sollevare la testa dall’erba, sapeva che se l’avesse fatto non avrebbe resistito alla tentazione di strangolare quel damerino.
- E aflofa fsce faftiano? –
- Cosa? –
- E allora cosa facciamo?! – Umibozu si sollevò leggermente paonazzo in volto.
- Non lo so. –
Umibozu era pronto ad esplodere. Mick smise per un secondo di osservare la guardia che si dava il cambio per guardare il suo compagno e si accorse della gravità della situazione, infatti l’uomo aveva ormai raggiunto la colorazione del tramonto stesso e minacciava di fumare da un momento all’altro rivelando la loro posizione, o di ucciderlo. Mise giù il binocolo e si appiattì al suolo imitato dal mercenario.
- Calmati, vuoi farci scoprire? –
- Calmarmi?! Mi ha fatto entrare in questa trappola con tanto di esercito super attrezzato senza uno straccio di piano e tu dici di calmarmi?! -
Mick sapeva di avere la sua vita appesa a un filo, ma non aveva molte frecce al suo arco.
- Beh, con tutta l’agitazione per riuscire a entrare mi sono dimenticato del dopo. E poi scusa, potevi anche pensarci tu, o no? –
Mick capì di aver colpito nel segno quando il colosso di fianco a lui rimase pietrificato dov’era, il suo ragionamento non faceva un grinza. Umibozu borbottò qualcosa che Mick non capì ma che gli segnalava il suo scampato pericolo. Gli diede una pacca amichevole sulla spalla e riprese ad osservare i movimenti intorno alla villa con il binocolo. Ryo era appena stato scortato all’interno da ben venti soldati, che onore.
- Dai, non fare quella faccia, Ryo ci avrà sicuramente visto e avrà già messo in moto le sue cellule grigie. Non dobbiamo far altro che arrivargli abbastanza vicino da assecondarlo. -
- Umm… se lo dici tu, ma che cos’hai scritto sul furgone con quella vernice puzzolente?-
- O niente di speciale, ho solo cambiato il nome di quell’insulsa compagnia di Tokyo nella prestigiosa XYZ express. –
Umi rimase di stucco per l’ennesima volta. “Già, più prestigioso di così…”
In quel momento avvertì sotto ai polpastrelli il picchiare ritmico di qualcosa sul suolo un po’ distante da lui. Appoggiò l’orecchio guadagnandosi un’occhiata curiosa da parte dell’investigatore, che mutò in sorpresa quando gli vide allargarsi un ghignò furbo sul faccione. Aveva trovato il modo di entrare alla villa.

Ryo venne condotto dalla donna attraverso un lungo corridoio che partiva dal sottoscala e finiva in un ampio cortile interno alla villa;rimase un po’ sorpreso, dall’esterno nulla faceva presupporre che ci fosse anche quello spazio. Era a pianta trapezoidale, ampio abbastanza da poter mettere in rivista tutti i soldati di Bruckmeyer che, se ne rendeva conto solo ora, erano molti di più di quel che si aspettava. L’edificio principale in fatti era corredato di altri tre bassi lati che richiudevano perfettamente lo spazio, a cui si accedeva solo tramite le porte del palazzo padronale e un ampio ingresso dal lato della costa. Ryo non aveva visto tutto questo per il semplice fatto che c’era un boschetto piantato ad arte logistica, nascondeva perfettamente quel lato nascosto della casa. L’edificio alla sua sinistra sembrava essere stato adibito ad alloggi secondari, aveva molte finestre, nessuna illuminata, ma abiti appesi vicino alle finestre e vari oggetti sui davanzali, indicavano chiaramente che erano abitati; dissimulò una smorfia di disappunto, se quegli alloggi erano tutti abitati c’era il doppio delle forze ostili in campo da combattere. Quello alla sua sinistra invece aveva un ampio portone e delle finestre a nastro, non era illuminato e vi proveniva un forte odore di olio per motori. L’edificio davanti a loro invece era chiaramente una scuderia, la porta era aperta e la poca luce che rischiarava il cortile lasciava intravedere i box dei cavalli. Quello che attrasse di più la sua attenzione fu lo schermo posto proprio sulla porta scorrevole della scuderia, verso il quale si stava dirigendo Melanie.
- Non ditemi che vi siete scomodati così tanto solo per vedere qualche film! Potevamo andare al cinema, risparmiavano tutti in benzina. –
Si erano fermati al centro del cortile e gli uomini lo avevano di nuovo circondato, la donna si voltò verso di lui e sorrise.
- Questa è un’anteprima speciale signor Saeba, l’abbiamo riservata a lei solamente, dovrebbe esserne onorato. –
Ryo fece una smorfia. – Onoratissimo. – Continuò ad osservare impassibile il cortile intorno a lui mentre il suo cervello rimuginava furiosamente. Aveva già contemplato una mezza dozzina di soluzioni scartate subito nel giro di pochi secondi: era disarmato, ammanettato, tenuto sotto tiro costante da una ventina di uomini che si tenevano a non meno di tre-quattro metri di distanza ed era sicuro che ognuno di loro avrebbe potuto fare centro a occhi chiusi da cinquecento metri, figuriamoci da lì. Aveva visto il furgone delle consegne e aveva subito capito di essere di nuovo in gioco, ma lo scoprire che gli equilibri delle forze in campo avevano più dislivello di quel che pensavano lo stavano lentamente gettando nel panico: Umi e Mick non sapevano quanti avversari avevano realmente contro e lui non sapeva come comunicarglielo. Tra l’altro non aveva più visto il furgone quando lo avevano fatto scendere dal camion, ma sapeva che se li avessero catturati lo avrebbero già informato. No, non temeva che fossero già stati catturati, ma che fossero bloccati fuori si e soprattutto temeva che avrebbero potuto usare il metodo Falcon per poter entrare ad aiutarlo, cosa che avrebbe condannato Kaori senza alcuna sentenza d’appello.
Melanie accese il televisore che mostrò la sua pronta collaborazione colorando il proprio schermo di azzurro; un soldato le aveva porto una piccola custodia simile a quella delle macchine fotografiche e le ne tirò fuori un piccolo apparecchio molto simile a quello che aveva utilizzato a casa di Kuno per poter parlare con Bruckmeyer, collegò un filo dietro al televisore e la posizionò con l’occhio rivolto verso di lui; Ryo capì che in quell’occasione ci sarebbe stato un video dialogo in due direzioni. Una volta finito, la donna lo oltrepassò dirigendosi verso una porta dell’edificio degli alloggi secondari e sparì. Pochi istanti dopo il televisore diede un –blip- e comparve il viso di Hans Bruckmeyer, seguita dalla sua voce compressa dalla trasmissione.
- Buonasera Saeba. – Ryo smise immediatamente di rimuginare, irritandosi alla vista dell’ennesimo giochetto dell’uomo.
- Bruckmeyer cos’è questa pagliacciata, vieni fuori e affrontami da uomo. –
- Ma quanta foga, non sarà che hai già perso il tuo proverbiale sangue freddo? Sarebbe molto deludente. Ad ogni modo non sono stupido, so che se scendessi in campo di persona tu riusciresti a manipolarmi abbastanza da riuscire a giocarmi qualche brutto tiro, perciò mi accontenterò di godermi la tua esibizione dallo schermo, in compagnia della tua deliziosa compagna. –
L’inquadratura si spostò e inquadrò Kaori, seduta e legata a una sedia proprio accanto a Bruckmeyer.
- Ryo! –
- Stai bene? –
Kaori annuì sollevata e angosciata allo stesso tempo.
- Fatti forza, tra poco saremo di nuovo a casa. –
Kaori non fece tempo a rispondere che Bruckmeyer spostò l’inquadratura di nuovo su di lui.
- Mi spiace interrompere il vostro idillio, ma è tempo di concludere i giochi. –
- Lasciala andare Bruckmeyer, hai me, lei non ti serve più. –
L’uomo scosse la testa sorridendo.
- Oh andiamo Saeba, un uomo avvezzo alla vendetta come te non può non aver già capito che cosa sta per accadere. Purtroppo non potrò utilizzare la forma classica per ovvi motivi di sicurezza, quindi mi accontenterò di vedere la tua espressione poco prima della tua morte, nel sapere che anche la tua socia ti seguirà presto. –
Kaori sbiancò, conscia che il piano del tedesco era stato abbastanza ben congeniato da non offrire a Ryo qualsiasi tipo di occasione per sfuggire alla sorveglianza armata e contrattaccare. Guardò Ryo rigido come una statua di marmo, lo sguardo freddo e spietato che gli aveva visto tante volte i primi tempi che lavorava con lui, sguardo che si era perso da qualche parte nel tempo e non era più tornato, prima di quella sera. Lei non poteva saperlo, ma lo sweeper stava stringendo i pugni con tanta forza da farsi male da solo. Aveva la mascella serrata e non osava deglutire, come se il sospendere le normali funzioni fisiologiche potesse bastare a fermare il tempo e dargli qualche attimo in più per pensare. Ryo aveva la mente vuota, per la prima volta nella sua vita non poteva fare affidamento né sul suo istinto, né sulla sua esperienza e nemmeno sulla sua intelligenza. Non c’era niente che potesse fare per salvare Kaori e se stesso da quella situazione, anni passati a stare all’erta a qualsiasi minimo pericolo e si faceva fregare da una minaccia passata. Era stato un stupido. E per questo avrebbe pagato anche Kaori.
Bruckmeyer osservò l’oggetto del suo odio sentendosi quasi al limite di un orgasmo. In quei pochi secondi si concentravano anni di desiderio, piani, notti in bianco, bottiglie vuotate e quant’altro potesse fare da contorno adeguato alla sua sofferenza e sete di vendetta. Esagerata secondo alcuni, inutile secondo altri, perché tutto quel che era successo non aveva mai coinvolto direttamente Ryo, ma il fragile equilibrio psichico dell’uomo era crollato da tempo e solo il suo denaro e il potere che deteneva aveva fatto si che tutti lo seguissero obbedienti invece di tentare di fermarlo in tutti i modi. Si voltò verso la donna dello sweeper che sentendo il suo sguardo lo osservò di rimando. Occhi gelidi, freddi, spaventati anche, ma che non recavano alcuna traccia di resa.
- Pagherai per tutto questo. –
Bruckmeyer sorrise, era davvero la donna di Ryo Saeba. Ridacchio tra se leggermente pregustando il momento in cui il suo sguardo sarebbe mutato in puro terrore quando avrebbe premuto il grilletto della sua automatica proprio in mezzo ai suoi occhi. Prima però c’era lo spettacolo principale da gustarsi.
- Saeba hai sempre avuto buon gusto per le donne, buon per loro che non sarei più in giro a molestarle. Di addio al mondo terreno, Satana ti aspetta per brindare. –
Fece un cenno con una mano e i soldati disposti in mezzo a lui si tirano da una parte sola rimanendo in attesa del segnale del loro capo.
- Fuoco. –
L’ordine mormorato a mezza voce venne quasi subito soffocato dallo scoppiettio assordante delle mitragliette. Un primo proiettile dovette andare a vuoto e colpire la piccola videocamera di striscio perché l’inquadratura si spostò violentemente verso un lato del giardino vuoto. Pochi istanti dopo ci fu il silenzio.
Hans, leggermente stizzito per aver perso il clou della spettacolo, fece un cenno a Melanie che annuì impercettibilmente prima di dirigersi verso l’ampio ingresso del salone, poi guardò Kaori, pallida e tremante con gli occhi pieni di lacrime fissi sullo schermo. Sapeva che sarebbe riuscita a piegarla in qualche maniere.
- Pare che sia la fine di City Hunter quindi. –
Kaori, scossa da quel che aveva visto ma non ancora del tutto conscia dell’appena accaduto, recuperò dai recessi della sua mente quel tanto di personalità che le consentì di voltarsi e guardare il tedesco con occhi lucidi e colmi d’odio, che lo spiazzarono leggermente.
- Ti ucciderò con le mani, bastardo. –
Lo disse con voce bassa e strozzata, ma abbastanza nitida da penetrare della testa di Bruckmeyer e accendere un campanello dall’allarme. Aveva intenzione di risparmiarla a dire il vero, Saeba non esisteva all’anagrafe giapponese ed eliminarlo comportava rischi moderati facilmente eludibili, ma la sua collega sì ed era amica intima di una poliziotta della questura che non avrebbe lasciato insabbiare la questione molto facilmente. La sua scomparsa poteva essere un problema, ma lo decise che lo avrebbe affrontato: aveva già visto quel tipo di sguardi e Kaori Makimura aveva abbastanza contatti e amici per creargli dei problemi. Ora era lei il problema. Prevenirlo sarebbe stato più semplice che affrontarlo in seguito, si disse. Ricambiò il suo sguardo con impassibilità, era solo una donna in fin dei conti.
- Oh andiamo, non sia troppo triste, lo rivedrà presto e questa volta sarà sicuramente per sempre. -
Se possibile, l’odio di Kaori si fece ulteriormente profondo mentre le lacrime scendevano a bagnarle le guance.
- Certo che mi rivedrà. -
Entrambi si voltarono di scatto verso il megaschermo mentre tutti i presenti nella stanza si irrigidivano per lo sgomento e la sorpresa..
- Ryo! –
Lo sweeper era perfettamente visibile in un primo piano che occupava tutto lo schermo e sorrideva canzonatorio. Dietro di lui due guardie del plotone di Bruckmeyer imbracciavano i fucili con disinvoltura, ostentando dei ghigni divertiti. Erano gli unici due presenti, gli altri sembravano volatilizzati nel nulla.
- Ma cosa…? –
Per rispondere alla domanda che l’uomo non riusciva a formulare Ryo prese in mano la piccola telecamera e la spostò verso lo scenario alle sue spalle. Tutti gli uomini di Bruckmeyer era o riversi a terra in un lago di sangue, solo i due in piedi erano illesi e quando di levarono il berretto ben calato sul viso il tedesco lanciò un grido di sorpresa e rabbia allo stesso tempo: Umibozu e Mick lo guardavano evidentemente soddisfatti del loro operato.
- E’ evidente che in realtà il tuo sistema di sicurezza non è poi molto efficiente. – Ryo stava parlando con il tono tranquillo e discorsivo di chi sta discutendo sul tempo, nel frattempo si armava di un’automatica e una mitraglietta, poi si voltò a guardare dritto in camera con un sorriso sereno, di chi proprio non sta per andare ad affrontare un piccolo esercito di mercenari senza scrupoli – Preparati, sto per venire a riprendermi Kaori. – e con un colpo di pistola mandò in frantumi la videocamera.
Nel momento in cui la sua immagine scomparve Bruckmeyer lanciò un grido rauco e fece come per lanciare qualcosa contro lo schermo. Kaori era immobile sulla sua sedia, la girandola di emozioni violente degli ultimi momenti le avevano lasciato una strana sensazione di leggerezza e lucidità, che sul momento la lasciava anche vagamente stordita. Melanie fu al fianco di Bruckmeyer e stava per dirle qualcosa quando il salone improvvisamente piombò nel buio. Qualcuno gridò per la sorpresa, qualcuno imprecò, pochi secondi dopo la luce tornò anche se meno potente di prima. Kaori si svegliò completamente, non ebbe bisogno di sentire la voce concitata e infuriata di Brucmeyer che chiedeva spiegazioni ai tre ragazzi a la loro risposta di rimando: non c’erano solo Mick e Umibozu alla villa, erano arrivate anche Reika e Miki e molto alacremente le due donne avevano messo fuori uso il generatore principale della villa e ridotto parzialmente le difese. Ora c’era solo il generatore di emergenza a sostenere il tutto. Kaori mise tutti i sensi all’erta e si piegò leggermente sulla schiena, sfilò dalla cintura una sottile lama e cominciò a tagliare i legacci ai suoi polsi. Non sarebbe rimasta ad aspettare gli altri completamente inerte.

Il salone era piombato nel caos. I computer non avevano smesso di funzionare grazie agli ups e i ragazzi avevano quindi potuto comunque attivare tutti i programmi per le misure di sicurezza mentre il generatore principale ridava corrente all’edificio. Purtroppo però il generatore non era in grado di sostenere la totalità degli impianti e avevano dovuto ridurre drasticamente le difese e l’illuminazione all’esterno, rendendo il perimetro più vulnerabili ad altre eventuali penetrazioni, ma concentrando la quasi totalità dell’energia ai laser a infrarossi all’interno della villa. Chiunque fosse entrato là dentro non protetto dalla casacca elettromagnetica che lo identificava come ‘amico’ avrebbe dovuto affrontare anche il freddo e preciso fuoco di una macchina, oltre a quello dei cecchini umani. Lo comunicarono a Bolt che prese semplicemente atto della cosa con un ‘Ricevuto’ e poi riprese ad abbaiare ordini ai suoi uomini. Bruckmeyer osservava e ascoltava le voci via radio concitate e i dialoghi dei ragazzi con loro, c’erano spari che risuonavano in tutti i corridoi e urla concitate proprio sotto al terrazzo. Aveva lo sguardo vacuo e perso, per diversi minuti non fu in grado di proferire parola o pensiero degni di questo nome; a uno scoppio particolarmente violento che fece leggermente vibrare il pavimento trasalì e parve riprendere coscienza di se.
- Rapporto, ora. –
Brad, che stava sudando abbondantemente nonostante l’impianto di climatizzazione fosse fuori uso da soli cinque minuti, gli rispose con una voce impersonale che non corrispondeva affatto alla visione che offriva di se.
- Sistema di sicurezza interno attivato e operativo al cento per cento, sistemi di sicurezza esterni operativi al venti per cento, rete protetta, nessuna nuova minaccia proveniente dall’esterno, tutte le squadre tranne la sei e la dieci sono confluite nella villa e si stanno scontrando in due punti diversi. –
- Chi diavolo sono? –
Digitando velocemente sulla sua tastiera ordinò al suo processore di richiamare la memoria di una delle telecamere della seconda zona rossa, inserì l’ora di cinque minuti prima e sul suo schermo apparve nitida una fotografia a infrarossi di due figure snelle che armeggiavano intorno al loro generatore di corrente.
- Direi che sono due delle amiche di Saeba. –
Bruckmeyer fece un suono strozzato ma si trattenne dal commentare.
- Bolt? –
Sta dirigendo le operazioni di sotto, per il momento la situazione è sotto controllo.
Sotto controllo? Bruckmeyer ebbe voglia di ridere. come potevano anche solo pensare che la situazione fosse sotto controllo? Se anche ci fosse stato solo Ryo Saeba e non altre quattro persone abbastanza esperte da mettere comunque in difficoltà un piccolo esercito sarebbe stato comunque difficile mantenere la situazione sotto controllo. Calcolò che le donne ancora convalescenti sarebbero state messe fuori comabbitimento presto, ma questo non cambiava niente, i tre elementi pericolosi rimanevano, in particolare uno. Non c’era altro da fare, quella partita era persa, non gli restava che ritirarsi con l’unico trofeo che gli rimaneva. Bruckmeyer sclese quel momento per guardare Kaori e la sorprese piegata in una posizione che non doveva essere assolutamente comoda per una persona che si era rotta da poco un braccio. Sospettoso lo andò vicino e le sollevò il braccio illeso bruscamente verso l’esterno strappandole un gemito di dolore. Le torse il polso fin a quando non le fece cadere di mano la lametta, poi la respinse bruscamente. Non c’era più tempo da perdere. –
- Dove diavolo si è cacciata Melanie?! –

Nel momento stesso in cui Ryo accecò la sala controllo i tre scattarono verso l’ingresso secondario della villa, riuscendo ad arrivare indisturbati al salone: l’allarme non aveva fatto ancora in tempo a scattare. Non appena videro delle figure scure sbucare dalle scalinate e dagli ingressi la luce mancò, si tuffarono alla cieca dietro a ripari di cui avevano conservato memoria mentre i colpi dei loro avversari andavano a segno nel punto esatto in cui erano prima.
Visione notturna. Pensò automaticamente Ryo. Sentì Umibozu che rispondeva al fuoco, in una situazione del genere lui era sicuramente l’unico a non esserne svantaggiato. Sentì la mano di Mick che lo tirava da parte e gli porgeva qualcosa.
- Tieni. –
Ryo prese con cautelo l’oggetto che l’amico gli stava passando e tastandolo capì che era un visore; lo indossò e il mondo si colorò di una tenue luce verde che permetteva la visuale di tutto ciò che lo circondava.
- Gentile omaggio dei crucchi. Tu vai, qui ci pensiamo io e Umi. –
Ryo annuì brevemente e, dopo aver dato una veloce scorsa al duello tra Umibozu e i cecchini sulle scale, si precipitò fuori coperto da Mick, che mirò ai soldati sulla scala. In pochi istanti erano tutti riversi a terra mentre Ryo saliva velocemente finendo le ultime resistenze.
Memore degli alloggi che aveva visto in cortile si preparò a uno sbarramento serrato, ma i soldati dovevano essere tutti fuori per a ronda quando loro avevano deciso di fare il colpo di mano, perché incontrò solo gruppetti sparuti che si erano evidentemente formati da varie pattuglie di ronda per la villa e sul tetto.
Arrivato in cima allo scalone si ritrovò spiazzato, l’ingresso per il salone non era lì, c’era solo un muro lungo e senza aperture. Dovevano averlo murato come misura precauzionale. Durante gli appostamenti aveva notato molto movimento in quella parte della villa e ne aveva dedotto che il piano superiore fosse stato eletto a centro di controllo.
Un movimento alla sua destra. Si voltò con decisione per abbatterlo ma in quel momento si sentì un boato e il pavimento tremò. Parte della scala scomparve dietro di lui inghiottendo diversi soldati nemici e lasciando lievemente storditi quelli di fronte a lui. Li abbatté senza troppi scrupoli e corse via mentre dal basso si sentivano delle voce concitate.
- Razza di scimmione che non sei altro! non devi demolire tutto, non con me dentro almeno! –
- Taci damerino e guardati le spalle piuttosto. - spari e un nuovo colpo dell’infallibile bazooka di Umibozu. Ryo prese il corridoio a sinistra sogghignando tra se e sperando che la strada fosse quella giusta.
Una una debole sorgente di luce e calore sulla sua destra lo mise in allarme. Si buttò a terra e sparò in direzione di un punto luminoso che si muoveva verso di lui; qualcosa di simile a una piccola telecamera cadde a terra inerte. In quell’istante senti un bruciore al braccio. Controllò, una striatura superficiale e scura gli adornava il bicipite.
Laser.
Capì che la fortuna quel giorno proprio non era dalla sua parte.

Melanie era corsa subito fuori dal salone nel momento stesso in cui c’era stato il blackout. Armatasi con il primo mitra preso a uno dei soldati sulla sua strada si era precipitata all’ingresso ma il colpo di bazooka sparato di Umibozu aveva sbarrato la sua strada ed era stata costretta a tornare indietro e fare un giro inverso, passando per la zona dei generatori. Arrivata al corridoio del pian terreno aveva però incontrato uno sbarramento di proiettili e persone molto felici di poterla guardare in faccia puntandole contro un’arma.
- Spiacente dolcezza, la strada è chiusa per regolamento di conti. –
Davanti a lei una Miki e una Reika piuttosto furiose la tenevano sotto tiro.
- Tu e il tuo uomo ci dovete un gran brutto mal di testa. –
Melanie non si scompose, non sarebbero state quelle due a sbarrarle il passo.
- Sono spiacente ragazze, ma ora non ho proprio il tempo di giocare con voi. – e spianò il mitra.

La battaglia nell’atrio si era risolta con il prevedibile risultato di tutte le battaglie che coinvolgevano Umibozu e il suo bazooka, vale a dire: squadra di casa zero, esterni uno. Prima di dare il via alle danze però, Ryo aveva accennato a loro di un numero di soldati maggiore del previsto e ora erano ancora in allerta, avevano incontrato solo tre squadrette che i due avevano liquidato senza troppi sforzi e si aspettavano di vedere il grosso delle forze apparire da un momento all’altro. Tenendo tutti i sensi ben all’erta, cercarono l’ingresso per le caverne sotterranee alla villa, che era proprio accanto al corridoio che si prendeva per entrare in cortile. Si scambiarono uno sguardo di intesa e poi Mick imboccò con cautela la piccola porta che dava a uno stretto passaggio scalinato e molto pendente. Scesero senza fretta stando attenti a fare meno rumore possibile, più scendevano più aumentava il freddo e l’umidità. L’ingresso alla caverna marittima era almeno una cinquantina di metri sotto alla villa e odorava fortemente di sale e alghe. La scala era leggermente a chiocciola e dopo qualche minuto arrivarono in uno spazio molto ampio e buio. Videro delle casse e delle figure informi, prima ancora che potesse lanciare un grido Mick si ritrovò accecato. Si ritrasse indietro come se avesse ricevuto in pieno viso una fiammata e andò a sbattere contro il corpo del compagno che lo sostenne mentre cercava di capire quanti nemici avessero intorno. Una voce profonda e autoritaria li accolse da dietro una batteria di fari alogeni che avevano appena acceso.
- Spiacente signori, ma da qui non andrete più da nessuna parte. –

Ryo chiuse gli occhi e si buttò a terra istintivamente, cercando di dissipare il bianco che vedeva ancora al posto del mondo circostante. Qualcuno aveva acceso di colpo le luci e lui era rimasto abbagliato. Imprecò a bassa voce e a tastoni raggiunse l’angolo di un corridoio che aveva individuato poco prima e attese. Non sentiva nessun ronzio o movimenti strani, era ancora solo.
Nella sala di controllo Bruckmeyer dava ordini secchi e nervosi; era davanti alla consolle dell’impianto video e stava osservando le posizioni dei nemici. Aveva ordinato di spegnere completamente gli impianti esterni e convogliare l’energia all’impianto di illuminazione, in quel modo sperava di accecare tutti gli intrusi e dare ai suoi uomini, preavvertiti, un’occasione per infliggere duri colpi alla loro resistenza. Il piano aveva funzionato abbastanza bene. Vide Melanie che sparava le ultime raffiche contro le due sweeper che si affrettarono a mettersi al riparo. Saeba era nel corridoio accanto a loro, probabilmente in cerca di un ingresso per il salone. Non poteva sapere che l’ingresso era stato spostato giorni prima proprio per evitare intrusioni di quel genere.
Si rivolse all’uomo che stava operando alla radio e ai monitor.
- Ashton, vada a finirlo. Ora. –
Senza dire una parola l’uomo si alzò, si mise sull’attenti e corse via.
- Il suo tirapiedi non riuscirà uccidere Ryo. –
Bruckmeyer si voltò verso Kaori che aveva ripreso il suo naturale sguardo di sfida. Le sorrise con gentilezza.
- Lei sopravvaluta il suo socio signorina Makimura e sottovaluta me. Questo è un grave errore da parte di una sweeper professionista non crede? –
- Lei non lo conosce… -
- No. E’ lei che non conosce me e non conosce bene lui, io invece so bene con chi ho a che fare quindi se non ha altre argomentazioni da aggiungere alla causa le consiglio di stare zitta e o provvederemo anche a questo. – detto ciò si voltò di nuovo verso gli schermi. Kaori si morse un labbro e come un flash non atteso ma tanto cercato gli apparve chiara un’immagina in bianco e nero, sbiadita, trovata per caso nel fondo dell’armadio di Ryo qualche mese prima, e finalmente seppe chi era quell’uomo.













Avete il permesso di uccidermi. No giuro.
Purtroppo per cause del tutto scolastiche, lavorative e crisistiche non sono più riuscita a scrivere un solo rigo decente. Tra l'altro vi lascio anche con un finale decisamente in sospeso ma credo di riuscire ad aggiornare per tempo stavolta. In fondo ora sono disoccupata di tempo dovrei averne ^^'
Spero che vi piaccia. In questo momento sono mezza fusa e non l'ho per niente riletto, non ricordo nemmeno quand'è che scrissi queste pagine, ricordo solo che volevo finire tutta la storia il giorno in cui mi ci misi. Poi mi dimenticai (Perdono!!!!)
Spero che vi piaccia e scusatemi ancora!
Heresiae

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9

Ryo stava cominciando ad abituarsi alla luce quando avvertì la presenza di un nemico, si buttò dietro a un angolo proprio mentre una raffica di mitra crivellava di colpi il punto in cui si trovava. A quel punto rimase immobile in attesa di un segnale che gli rivelasse la posizione del nemico. Ashton fece un passo in sua direzione e fu allora che Ryo uscì dal suo rifugio sparando contemporaneamente al soldato. Entrambi crollarono a terra. Ashton era stato ferito mortalmente, Ryo aveva una spalla che sanguinava. “Maledizione!” Non era stato il suo nemico a ferirlo, ma un arma telecomandata posta sul soffitto: la fece fuori con un colpo, e cominciò a correre nella direzione in cui l’altro era arrivato. Mentre svoltava per l’ennesima volta, il suo istinto gli disse di buttarsi a terra, proprio mentre un laser lasciava una traccia scura sul pavimento. “È pieno di trappole qui!”
Bruckmeyer guardava lo schermo e rideva piano tra se.
- Saeba è bravo, ma non potrà scansare a lungo i colpi delle mie armi telecomandate. Quelle non hanno un’aura minacciosa da avvertire. –
Kaori non aveva smesso un attimo di fissarlo da quando si era ricordata chi era Hans Bruckmeyer. Certo, i lineamenti erano più maturi e solidi, ma ne era sicura. Quasi a volerne avere a conferma la sua mente la recuperò dai ricordi di un giorno piovoso in cui era particolarmente arrabbiata con lui: era uscito di casa lasciandola sola a fare le pulizie di fondo annuali. Aveva cominciato dalla sua camera con l’intento di fargli sparire più roba possibile prima del suo ritorno, ma mentre svuotava l’armadio buttando nel mucchio del pattume una delle tante riviste porno, un foglio non molto grande era uscito dalla rivista fluttuando sul pavimento. Aveva pensato a una foto delle sue ammiratrici e stava per buttare anche quella quando, girandola, vide che si trattava di tutt’altra cosa. Era una vecchia foto in bianco e nero, quasi seppia, coi bordi bianchi come non si usano più. Erano ritratti una decina di uomini, tutti nerboruti, con lo sguardo cupo ma un ghigno allegro sul volto. Erano armati e molti di loro presentavano cicatrici sul viso e sulle braccia lasciate scoperte dalle maniche arrotolate delle camicie. Erano inconfondibilmente un gruppo di guerriglieri. Mentre Kaori esaminava quei volti, ebbe con un moto di stupore quando riconobbe il volto di Shin Kaibara. Era chinato a terra, sorrideva tranquillo e teneva la mano sulla spalla di un ragazzo seduto davanti a lui, un ragazzo coi lineamenti orientali e lo sguardo ironico che amava ancora utilizzare quando ne stava pensando una delle sue. Era così sorpresa di aver trovato una foto della giovinezza di Ryo che quasi non si rese conto che accanto a lui c’era un altro ragazzo della sua età: un ragazzino biondo, sicuramente europeo, che rideva allegro vicino a quello che poteva essere il padre di Mary. Kaori aveva preso la foto e l’aveva rimessa sul fondo dell’armadio, non sentendosela di tenerla per se.
Mentre guardava Bruckmeyer, quei lineamenti adolescenziali avevano ritrovato un riscontro nell’uomo adulto e cinico che le stava di fronte. La scoperta la lasciava ancora di stucco, ma non priva di parola.
- Io l’ho già vista, so chi è lei. –
Bruckmeyer si voltò, non troppo sorpreso da quell’affermazione.
- Lei era compagno d’armi con Ryo in America Centrale, eravate insieme nella milizia. –
Bruckmeyer fece un mezzo sorriso, ma lo sguardo era triste o forse rassegnato? Qualsiasi fosse il sentimento che Kaori aveva risvegliato con quelle parole la sua voce risultò ferma e decisa quando rispose, priva di qualsiasi emozione.
- Si è vero, siamo stati commilitoni per un po’. –
Bruckmeyer non accennava ad andare avanti con il discorso; la fissava ma era sicura che non la stesse vedendo sul serio, era perso i chissà quali pensieri. Il suo silenzio durò tanto a lungo che Kaori pensò che non avesse più niente da dire. Proprio mentre si decise a dire qualcosa, lui alzò lo sguardo di scatto con un espressione dura e fredda sul volto, un’espressione che le fece venire i brividi alla schiena.
- E giusto per rispondere alla sua domanda, io e Ryo Saeba abbiamo un vecchio conto in sospeso, un conto molto salato, che ora riscuoterò. –
- Ma… -
- Niente ma. – Bruckmeyer si voltò di nuovo verso lo schermo in attesa di una mossa falsa dello sweeper, - Ryo Saeba sta per saldare il suo debito signorina Makimura, questo è tutto quel che deve sapere e non c’è niente che possa fare per impedirlo. –

Miki e Reika erano ancora in anticamera. Dopo che Melanie aveva spianato il mitra contro di loro, si erano rifugiate dietro ad alcune macerie, ma Reika non era stata abbastanza veloce ed era stata raggiunta al braccio da un proiettile. Miki la guardò preoccupata tamponarsi la ferita comprimendo con forza, era evidente che le faceva molto male, così com’era evidente che era esausta. Reika non era una guerrigliera ma d’altronde, nemmeno lei era più così in forma come un tempo. Il fatto che Melanie da sola le stesse mettendo sotto scacco ne era una dimostrazione più che lampante.
- Stai bene?-
- Non ti preoccupare, è solo una ferita di striscio, pensiamo a far fuori questa biondina piuttosto, sto cominciando a stufarmi e ho ancora mal di testa.-
- Ok.-
Miki prese il fucile a pompa e cominciò a mirare alla colonna dietro alla quale Melanie si era rifugiata per caricare. Al primo colpo si abbassò ulteriormente per evitare le schegge. “Maledizione, non mi lasciano passare! Ma non posso perdere altro tempo con loro!”
Dopo pochi colpi, la colonna cedette e crollò miseramente, lasciando Melanie allo scoperto. Con uno scatto felino la donna andò verso l’ingresso sparando per coprirsi mentre Reika e Miki rispondevano al fuoco schivando i colpi dell’avversaria. Reika venne raggiunta una seconda volta da un proiettile, stavolta alla spalla e cadde al suolo battendo molto forte la testa. Miki si lasciò distrarre e corse subito verso di lei.
- Reika! Reika, stai bene? –
Mentre Miki soccorreva l’amica, Melanie ne approfittò per oltrepassare l’ingresso e raggiungere l’edera che si arrampicava oltre il terrazzo. Si arrampicò agilmente e balzò sul terrazzo. Diede una scorsa all’interno del salone e constatò che Hans stava bene. Gli hacker erano ancora alacremente al lavoro e Kaori era legata alla sedia, visibilmente preoccupata. Bene, stava andando ancora tutto secondo i piani. Entrò decisa nel salone a schiena dritta, cercando di mascherare la stanchezza.
Come Hans la vide spalancò gli occhi: Melanie era impolverata e piena di graffi, un grosso livido stava facendo la sua comparsa a lato della fronte.
- Melanie! Che ti è successo?-
- Niente di grave, due ostacoli non previsti che hanno accompagnato Saeba. A proposito, dov’è? –
Hans sorrise senza distogliere lo sguardo da lei e le indicò lo schermo con un cenno del capo. Ryo era dietro a un angolo in una situazione di visibile stallo: era completamente circondato dalle armi laser, impossibilitato a muoversi se non a discapito della propria salute. I due sorrisero soddisfatti, il piano era quasi giunto al termine.

Dietro di loro i tre ragazzi lavoravano incessantemente sulle loro consolle. Si erano divisi i compiti e ognuno dei tre controllava un settore del loro impianto di sicurezza. Stava andando tutto bene e nessuno aveva ancora riscontrato dei problemi, cosa che li faceva immensamente felici e li rendeva orgogliosi anche se non sorpresi: in fondo erano tra i migliori in circolazione. Proprio mentre stava per appoggiarsi sui suoi allori - ma non troppo – una spia a destra del suo schermo principale distolse Dexter dai suoi imminenti pensieri di riposo.
- O-oh. –
Gli altri due non commentarono l’uscita del compagno, ma Judie fece una smorfia: quando Dexter se ne usciva con un ‘O-oh’, generalmente erano guai grossi, molto grossi. Dexter si buttò sulla tastiera come un forsennato, aprendo una finestra dopo l’altra e lanciando diversi programmi in contemporanea che cominciarono ad occupare gli schermi intorno a lui con i loro report. Per diversi minuti nessuno accennò un commento o una domanda, solo lo scatto repentino di Brad all’indietro fece capire ai tre che erano in guai più grossi di quelli che ‘O-oh’ poteva preannunciare.
- Porcamiseria! –
Quando si arrivava all’imprecazione era ufficiale: erano nei guai fino al collo.
Fu un attimo. Prima ancora che il ragazzo potesse rimettere le mani sulla tastiera tutti gli schermi presenti in sala si oscurarono, rifiutando di riaccendersi al comando dei ragazzi. Erano completamente isolati.

Ryo era nascosto dietro a una pianta e sudava freddo. La ferita al braccio non era grave, ma lo era la sua situazione. Era finita in quella che veniva definita una “situazione di stallo”. Saltando per evitare altri laser era finito in un angolo cieco al loro campo visivo, ma era un campo molto ridotto, se usciva da lì sarebbe stato colpito. Purtroppo però non poteva farci niente, perché dalla posizione in cui era non poteva sporgersi per sparare senza venir colpito a sua volta da chissà quante altre armi automatiche. Era a un ‘incrocio: il corridoio che aveva imboccato era tagliato da un altro corridoio, per metà in ombra, che gli aveva fatto perdere l’orientamento. Non riusciva proprio a trovare l’entrata per il salone, il che lo faceva imbestialire dato che era lì che si trovava Kaori. Ryo si adagiò alla parete facendo ben attenzione a non sporgersi troppo, di fronte a lui il corridoio in ombra. Le luci che illuminavano la villa erano decisamente soffuse, faceva molta fatica a distinguere i dettagli e cominciava a sentirsi stanco. Ecco come sfiancare un nemico risparmiando anche sull’elettricità, una genialata. Si ritrovò a ridacchiare tra se a quel pensiero, senza però riuscire a distogliere lo sguardo dal corridoio buio. Era davvero buio, non aveva neanche una luce accesa e quelle luci non erano sufficienti a illuminarlo oltre un paio di metri. Eppure furono sufficienti. Mentre abbassava lo sguardo per riflettere, la sua coda dell’occhio notò un particolare che non aveva notato: una zona più scura. Ryo rialzò lo sguardo di scatto e osservò meglio, strizzando gli occhi. Non ne era sicuro, ma gli sembrava che un parte del corridoio fosse più in ombra rispetto al resto. Un porta forse? Forse. Poteva rischiare?
Ripensò alle armi laser, allo stallo e a Kaori prigioniera a pochi passi con lui bloccato lì.
“O la va o la spacca” si decise e con un agile colpo di reni si rimise in piedi lanciandosi verso il corridoio buio.

Mick e Umi scattarono all’unisono in direzioni diverse mentre Bolt balzò indietro imbracciando un fucile e un mitra e facendo fuoco. I due riuscirono a mettersi al riparo prima che i colpi li raggiungessero, ma ci era mancato davvero poco. Quel bestione si era messo proprio davanti all’uscita di quella grotta, e quindi ostacolava la loro via di fuga. “Per colpa di quel maledetto il piano rischia di andare in fumo!” Mick e Umi avevano intenzione di impossessarsi delle imbarcazioni ormeggiate li sotto per creare poi un via di fuga per tutti gli altri. Sarebbe stato più facile se fossero passati dalla strada, ma avrebbero potuto incrociare le autorità, ed era l’ultima cosa che volevano. I due si guardarono e come di comune accordo balzarono fuori. Umi aveva imbracciato il suo bazooka e fece fuoco nel punto in cui si trovava il colonnello, mentre Mick faceva fuori tre dei suoi uomini che stavano arrivando da un’altra galleria e si appostava sopra il polverone creato da Umibozu tenendolo sotto tiro. Quando la polvere si dissolse fu chiaro che l’uomo non era stato lì a farsi impallinare. Infatti comparve fulmineo della parte opposta, imbracciando un lanciamissili puntato contro le casse dietro di loro, piene di tutt’altro che innocui giocattoli. “NO!” fu l’unico pensiero che riuscì ad avere Mick prima che Bolt premesse il grilletto facendo fuoco alle loro spalle.

- Che succede!-
La voce autorevole di Bruckmeyer era decisamente più alta di un’ottava. Gli schermi avevano appena smesso di funzionare e già da un minuto. Era stato il segnale che aveva dato il via a quella scintilla che, presto o tardi, lo avrebbe portato al panico. I tre ragazzi invece sembravano anche fin troppo calmi, Brad in particolare. Dopo la sua imprecazione di prima, osservava serafico il suo schermo senza mai smettere di digitare sulla tastiera in simultanea con i suoi compagni e altrettanto seraficamente rispondeva al suo capo: - Abbiamo un intruso telematico.-
- No, - Dexter, concentratissimo, corrugava la fronte e osservava il suo schermo che cominciava a dare deboli segni di vita a intermittenza, - sono tre, agiscono simultaneamente da tre postazioni diverse.-
Judie non perse tempo a rispondere o incuriosirsi, afferrò con una mano un porta cd-rom delle dimensioni di una grossa enciclopedia e sfogliò le pagine senza guardarle; arrivata a quella giusta gli diede giusto un’occhiata prima di afferrarne uno che si mise in bocca e metterne un altro nel driver del suo case. Brad era del suo stesso avviso e si era tuffato sotto la sua scrivania. Era Bruckmeyer quello che bramava di sapere.
- Cosa?!-
I tre hacker a cui Ryo si era rivolto non erano esattamente gli ultimi arrivati nel mondo cibernetico e non erano nemmeno tra quelli più tranquilli. Il mondo virtuale spesso e volentieri non si discosta molto da quello reale. Esistono diverse comunità, che si aggregano, accolgono nuovi adepti e a volte si scontrano. È il caso tipico di una delle comunità che della rete e dell’informatica hanno fatto uno degli scopi principali della loro vita, gli hacker appunto. Seguono regole tutte loro, che valgono per chiunque voglia far parte di quel mondo. Non sempre tra gli hacker corre buon sangue, forse perché ce ne sono alcuni di molto competitivi e quando due persone molto competitive si scontrano può cominciare una bella zuffa telematica con tanto di vincitori, vinti e promesse di vendetta. Il bello di tutto ciò è che un hacker non lo incontri magari per dei mesi o anni e poi ti spunta fuori nel momento meno opportuno, a restituirti il favore che gli avevi fatto tempo prima. In questo momento i tre ragazzi di Bruckmeyer si trovavano in uno di quei casi, o meglio, uno dei ragazzi di Bruckmeyer.
- Volete fare qualcosa? –
Il nervosismo di Bruckmeyer aumentava con lo scorrere del tempo. Non sapere che cosa stava facendo Saeba lo rendeva quasi isterico.
- Ci stiamo provando, ma non è semplice. Siamo sotto l’attacco di qualcuno molto, molto bravo. – Brad era appena tornato sulla sua sedia e stava inserendo un cd-rom nel suo case.
- Più che bravi, questi sono i TNT. –
- Che cosa? – Brad aveva fatto un salto sulla sedia, Judie aveva corrugato ulteriormente la fronte, ma stava attenta a non rovinare il cd che teneva ancora in bocca.
- Chi? -
- Gente a cui ho pestato i bit un paio di anni fa. –
- Ah! Complimenti bravo. E naturalmente hanno ben pensato di fartela pagare nel momento meno indicato, vero? –
- Senti, non mi aspettavo di certo di trovarmeli tra i piedi adesso, ti pare? –
- Si ma… -
- Piantatela voi due. – Judie cambiò il cd nel case senza distogliere lo sguardo dal suo monitor in fase di ‘frizzaggio’. –Non è esattamente il momento di battibeccare, risolviamo questa grana e riprendiamo il controllo sulle nostre apparecchiature, poi ci penseremo. Ora vediamo di evitare che piombino addosso anche le autorità. È chiaro?–
Sembrava calmissima, ma il tono non ammetteva repliche. I due ragazzi smisero immediatamente di parlare e tornarono ai loro computer mentre Bruckmeyer vedeva il suo piano andare definitivamente in fumo. Dannato Saeba, aveva pensato anche a quello.

Ryo atterrò nel corridoio, fece una capriola sferrando un calcio deciso all’ombra che si spalancò. Entrò e si rifugiò immediatamente dietro lo stipite.
Niente. Nessuna reazione armata.
Ryo rimase in attesa per qualche secondo ricacciando indietro lo sbigottimento. Non voleva sapere perché il sistema aveva smesso di funzionare, sperava solo che non sarebbe rimasto fuori uso fin tanto che non fosse riuscito a raggiungere il salone. Vide una finestra dietro di se illuminata da fuori e si ricordò della terrazza. “Credo proprio di non avere altra scelta”
I tre hacker a Tokyo tenevano duro, i ragazzi alla villa erano ancora in alto mare.
- Allora, ci siete? –
- Quasi Ju. –
- Dexter? –
- Non ho la rete Ju. Ci hanno isolato completamente, non riesco a rintracciarla e non riesco a rintracciare loro. –
La ragazza si morse la guancia e digitò altri comandi. Il driver del suo cd cominciò a ronzare furiosamente attivando il programma al suo interno. Ci aveva messo sei mesi per metterlo a punto e puntava tutto su di lui, era la sua ultima speranza. Il suo schermo smise di ballare un attimo, il computer gracchio rumorosamente e poi lo schermo si oscurò di nuovo. Judie rimase interdetta con le mani sospese sopra la tastiera, senza nemmeno osare respirare… e poi si riaccese. Con un blib sonoro si riaccesero anche i suoi due schermi accanto e il computer cominciò a ronzare in maniera normale.
- Ce l’ho fatta! –
Digitò un paio di comandi riattivando il programma e trasferendolo alla loro rete interna, pochi minuti e anche gli schermi degli altri si oscurarono per riaccendersi di nuovo felici e funzionanti. Il sistema era di nuovo attivo e anche la connessione stava tornando.
I tre ragazzi si lanciarono di nuovo sulle tastiere e in breve tempo gli schermi dietro a Bruckmeyer si riattivarono, facendolo voltare di scatto. Con ansia scrutò tutte le riprese delle telecamere cercando Ryo nella speranza di trovarlo di nuovo allo stesso punto, ma non lo trovò. Lanciò un mugugno di disappunto che fece tornare un po’ di speranza a Kaori.
- Bene e ora apriamo le danze. Ricacciamo questi tre nel loro angolino. –
Digrignando i denti Bruckmeyer si voltò verso di loro.
- Un’altra volta. Dobbiamo andare, Saeba non è più inquadrato dalle telecamere, restare è troppo rischioso. –
I tre lo guardarono interdetti, quasi sconvolti, solo Melanie non aveva avuto cenni di sorpresa.
- Io prendo la ragazza. –
- Bene. Forza voi, ce ne andiamo subito. –
I ragazzi si guardarono e scrollarono le spalle.
- Non possiamo. –
- Cosa? –
- Mi dispiace capo, ma se molliamo ora non potremo più accedere alla rete con un orgoglio da hacker. Verremmo cacciati dalla comunità. –
Bruckmeyer, che era già rivolto verso la porta dove melanine stava tenendo ferma Kaori senza troppo riguardo, li guardò sorpreso.
- Rimarrete qui? –
- Non si preoccupi, - Dexter rivolse al suo quasi ex-capo un sorriso, - Saeba non ha interesse a farci del male, il suo profilo non include la violenza gratuita. Non corriamo alcun pericolo, vedrà, ci ritroveremo al solito posto. –
Bruckmeyer li guardò conscio del fatto che non avrebbero più lavorato per lui, ma nonostante fossero tre dei migliori elementi che avesse mai avuto non poteva perdere tempo per loro.
- Bene allora. – si voltò e uscì dal salone seguito da Melanie e Kaori.
Dexter gli augurò buona fortuna mentalmente e si rimise alla sua consolle, per cominciare l’offensiva
Ryo scese dalla finestra, che fortunatamente si trovava sul alto della facciata e raggiunse la terrazza. Dalla porta spalancata vide Miki china su Reika.
- Tutto bene? –
Miki alzò lo sguardo e lo vide.
- Muoviti, Kaori è nel salone con loro. –
Ryo scattò in direzione dell’edera ma un movimento alla sua sinistra lo fermò: te figure si stavano avvicinando alla scogliera, per la precisione alla scaletta che scendeva fino al piccolo molo. “Sono già fuori.”
Balzò giù dalla siepe e cominciò ad inseguirli.

Un movimento di assestamento della casa convinse Miki ad abbandonare il campo. Poco prima aveva sentito un lieve brontolio provenire dal pavimento ed era sicura che non fosse una scossa sismica: qualcuno doveva aver sparato un colpo di bazooka nelle gallerie. Sperò che Falco non fosse disperato fino a quel punto.
Facendo un sunto veloce di tutte le informazioni, ne dedusse che le gallerie dovevano essere sicuramente crollate e la scogliera era un nuovo campo di battaglia: non poteva andarci con Reika in quelle condizioni, doveva portarla via subito. Cercando di farle meno male possibile se la issò sulle spalle e uscì dalla villa con cautela. Tutti gli uomini appostati in giardino erano stati richiamati all’interno per il conflitto ed erano morti o feriti, non c’era nessuno a fermarle. Adocchiò una jeep dietro a un camion e la raggiunse. Senza perdere troppo tempo mise Reika sul sedile del passeggero e si mise al posto di guida. In pochi istanti la machina fu convinta a partire e le due si allontanavano a tutta velocità dalla proprietà del tedesco. “Chissà come sta Falco.”

Mick ebbe la sensazione di essere finito all’altro mondo. Era tutto bianco e non riusciva a vedere nemmeno le palme delle sue mani.
- Ma… questo è l’aldilà? Me l’aspettavo più vivace.-
- Se è per questo anch’io.-
- UAGH!-
Una figura gigantesca gli era appena apparsa a fianco sovrastandolo.
- U-Umi! Sei tu! Accidenti a te che spavento! Ci credo che ti hanno dato il soprannome di un mostro. -
- Sarai bello tu. Comunque ci andata bene. A quanto pare il nostro amico ha fatto qualche errore di calcolo.-
- Piccolo? Secondo me in matematica aveva tre. –
Mick aveva ragione. Invece di mirare alle casse non sostituite, Bolt aveva colpito in pieno una pila di casse di ratti e fucili giocattolo, che però non avevano attutito gran che il colpo. La roccia dietro di loro era stata subito raggiunta e l’esplosione aveva creato un’ampia frattura che era andata ad allargarsi proprio verso lo sbocco della caverna. La volta, indebolita, aveva ceduto nella sua parte più sottile, quella dove si trovava il colonnello e l’aveva seppellito.
- Della serie, mai fare i conti senza Mamma Natura. – Umibozu si astenne dal commentare.
Mick cominciò a scrollarsi di dosso le macerie e a stirarsi il collo.
- Per poco non ci rimanevo secco. Com’è che tu non ti sei fatto niente? Quello era grosso quanto te.-
- Segreto professionale.-
- Seee…. –
Umibozu si voltò e si diresse verso l’uscita della caverna seguito da Mick che gli faceva le smorfie. Raggiunti i motoscafi salirono sul primo che trovarono.
- Ce qualcosa che non va. Sono solo due. -
- E allora?-
- Ce ne dovrebbero essere almeno sei o sette.-
In risposta all’affermazione di Umibozu, un ronzio sordo accelerò di colpo al di là del molo sull’acqua. Si voltarono, la luna illuminava bene il panorama e le sagome dei due motoscafi che si inseguivano erano perfettamente distinguibili, cosa che non fece nessun piacere ai due sweeper.

Come era arrivato alla scogliera Bruckemeyer aveva percepito l’aura minacciosa di Ryo. Senza voltarsi raggiunse uno dei motoscafi e cominciò a mettere in modo, mentre Melanie scaricava senza troppi complimenti Kaori sul fondo dell’imbarcazione. Prima che Ryo potesse arrivare al molo, la donna aveva estratto la pistola e cominciato a mettere fuori uso i gommoni e gli altri motoscafi, ma i colpi che arrivarono dall’alto la costrinsero a mettersi al riparo. In quel momento il motore si accese.
- Tieniti!-
L’imbarcazione fece un balzo in avanti e curvò dirigendosi verso la nave che aveva trasportato le casse con le armi quel pomeriggio. Ryo arrivò proprio quando i tre oltrepassarono il molo. Saltò su uno dei motoscafi superstiti e mise in moto con impazienza, imprecando quando il primo giro di chiave non sortì alcun effetto. Al terzo, il motore si mise in moto con un rombo e Ryo accelerò a manetta. Lo sweeper cercò di accelerare il più possibile per riuscire a riprenderli, ma i mezzi erano di eguale potenza e rimasero alla stessa distanza fino al peschereccio. Bruckmeyer vi si accostò senza rallentare, picchiando duramente contro la fiancata. Guardò dietro di se il secondo motoscafo che si avvicinava velocemente e rise: dopo tutto niente era perduto. Ignorando le donne, si avvicinò al fondo del motoscafo e sollevò una lunga asse di legno, sotto la quale si trovava un lanciamissili. Kaori sbiancò.
- Vieni Ryo, sono qui che ti aspetto. –
- No! –
Kaori si lanciò verso Bruckmeyer ma venne trattenuta da Melanie che la rimise sul fondo della barca puntandole contro la pistola.
- Non muoverti. –
Se anche avesse voluto non ci sarebbe riuscita. L’aveva afferrata per la spalla e ora il braccio le faceva malissimo, ma il pensiero di Ryo glie lo fece dimenticare immediatamente. Si voltò ed ebbe appena il tempo necessario per rendersi conto che, con quella luna e il mare calmo, Ryo era il bersaglio perfetto. Quasi non sentì il colpo. Un attimo e il punto bianco scintillante che sollevava spuma diventò una palla infuocata. Lo spostamento d’aria li schiacciò contro la fiancata della nave, ma a Kaori sembrò che gli avessero risucchiato l’aria dai polmoni. Non riusciva a distogliere lo sguardo. Come ipnotizzata, osservò i pezzi di motoscafo venire scagliati in aria con violenza e ricadere in acqua, infuocati e spegnersi con un sibilo. Il fumo che si alzava dai resti dell’imbarcazione era più nero del cielo e sembrava una colonna di cemento armato. Il motoscafo rimase qualche istante a galleggiare sull’acqua, dondolando placido sulle onde e le correnti e crepitando rumorosamente, poi cominciò ad inabissarsi violentemente sollevando spruzzi di vapore. Quando fu sommerso completamente dall’acqua, sia il fumo che il vapore scomparvero. In pochi attimi, quello che era uno dei più famosi sweeper del mondo era scomparso. Di lui non rimaneva più niente.

Passarono diversi istanti. Le correnti marine spazzarono via anche l’odore di quel che era accaduto. Pochi minuti e solo l’odore salmastro e il freddo della baia raggiungevano i tre accanto alla nave, del calore e del fumo non vi era più traccia.
Kaori non aveva la forza di muoversi, fissava in continuazione il punto in cui Ryo era scomparso senza riuscire a formulare nessun pensiero. Fu la risata di Bruckmeyer a scuoterla e a farla voltare verso di lui, spingendola a reagire.
- Ecco come muore il grande City Hunter. In una tomba invisibile e senza nome come merita! –
La sua risata la infastidiva. Era gioiosa, sadica e troppo soddisfatta per essere tollerata dalle sue orecchie. Serrò la mascella e per la prima volta in vita sua guardò qualcuno con odio.

Mick e Umibozu erano sul molo, pietrificati. stavano tentando di mettere in moto uno dei motoscafi e avevano visto il bagliore l’esplosione improvvisa scaturire dal motoscafo su cui sapevano esserci Ryo. Nessuno dei due riusciva a proferire verbo. Gli anni passati a lottare contro di lui e al suo fianco aveva dato ad entrambi una chiara concezione di quali erano le possibilità di Ryo, quali i suoi punti deboli e quali i suoi punti forti. Decisamente, una situazione del genere non rientrava nell’elenco dei modi con cui Ryo avrebbe potuto essere ucciso. Almeno per loro. Mick strinse il pugno e si impose la calma. C’era ancora Kaori nelle mani di quel bastardo. Guardò Umibozu sicuro che stesse pensando la stessa cosa. Senza scambiarsi una parola, misero in moto il motore e si diressero con cautela verso il peschereccio.

Al centro di controllo della villa si stava svolgendo una vera e propria battaglia telematica. I tre difensori del fortino clandestino stavano mettendo in piedi un’efficace tattica difensiva/offensiva che stava mettendo in seria difficoltà i loro assalitori. I tre infatti non erano per niente tranquilli, ma la resa non faceva parte del loro vocabolario. Si stavano destreggiando ancora bene tra la loro rete, abbastanza da mettere Dexter in confusione che proprio non riusciva a capire da dove si fossero intrufolati.
- Allora, quanto ci metti? –
- Scusa amico, ma sai, non è che sto giocando contro la squadra juniores. –
Brad sbuffò e lanciò un altro dei suoi programmi difensivi annullando un attacco diretto al suo sistema operativo. Judie non sembrava messa meglio di Dexter però, infatti stava facendo molta fatica a tenere in piedi la connessione, che qualcuno fin troppo bravo riusciva a far cadere con un precisione e una celerità sconcertanti.
- Dex, datti una mossa! –
- E va bene. –
Il ragazzo diede l’avvio a un programma scritto sul momento che cominciò a scrivere il suo report ubbidiente.
- Vediamo come ve la cavate con questo. –

Dall’altra parte della connessione, altri due ragazzi e una ragazza digitavano molto velocemente sulle loro tastiere tenendo sott’occhio più di un monitor a testa.
- Shiori, tesoro, non vorrei disturbarti, ma ho come l’impressione che stiano per localizzarci. –
- Allora perché non la smetti di infierire sulle loro schede grafiche e mi dai una mano? –
- Mi pare giusto amico, se non sbaglio hai anche il giochino giusto che fa per loro. –
- Eh? Ma no dai, è troppo bello per usarlo per loro. –
- Akira!! –
- Ok, ok. Mai contraddire una donna. Ah… -
Il ragazzo afferrò una custodia per cd e ne trasse fuori un dischetto colorato con una scritta molto pomposa che ne indicava il contenuto.
- Non sei quello col nome più fantasioso, ma se sicuramente il migliore. –
Lo inserì nel driver e diede il comando di avvio, mentre gli altri due alzavano gli occhi al cielo. – Muoviti, paparino. –
- Vai figliolo, fai vedere chi sei. –
Una piccola icona rappresentante un piccolo mostriciattolo apparve sullo schermo. Pochi secondi e una finestrella di report con un cursore interrogativo attendeva pazientemente. Akira digito una sequenza di lettere e numeri e diede l’invio. Il cursore lampeggio ancora e poi cominciò a illustrare al suo creatore il suo operato. Il ragazzo sorrise soffisfatto.
- Proprio così bimbo, proprio così. -
Dexter aveva lanciato un ululato: li aveva trovati.
- Presi! Sono in un entrata terziaria di una periferica del blocco C. Insomma stella, è colpa tua. –
- Piantala e buttali fuori. –
- Agli ordini. –
Fece per digitare il comando quando il suo schermo si oscurò di nuovo.
- Che cosa… -
I tre ammutolirono, ma impallidirono velocemente quando scoprirono che gli schermi non si erano spenti, semplicemente erano controllati da qualcun altro; nemmeno il tempo di formulare una domanda e un numero apparve sullo schermo, poi un altro si sostituì a lui, poi un altro e un altro ancora. Era un conto alla rovescia.
- Che diavolo è? –
- Non lo so, ma è il caso che lo fermiamo. –
- Si accettano suggerimenti. –
- Cretino. – Judie sibilò fra i denti l’ultima imprecazione tentando di ristabilire il controllo sulla sua macchina, senza successo. Tutti gli schermi presenti in sala riportavano la stessa cosa: il conto alla rovescia che si avvicinava inesorabilmente alla fine.
4… 3… 2… 1… 0
I tre trattennero il respiro. Un rumore acuto uscì dalle casse dei loro case assordandoli, un rumore come di connessione tramite modem ma a un volume altissimo.
Si coprirono le orecchie con le mani proprio mentre sui monitor capeggiava la scritta GAME OVER. Un attimo sentirono odore di bruciato provenire dai loro case. Quando si voltarono fecero giusto tempo a vedere le scintille da dietro i tower e ad allontanarsi. Il computer di Brad prede anche fuoco. Senza perdere tempo Dexter afferrò un estintore che metteva sempre per precauzione e inondò la postazione dell’amico con schiuma bianca.
- Ma che cosa… -
Brad era scioccato, Judie era livida e silenziosa e fissava il pavimento, solo Dexter sembrava ancora in vena di parlare normalmente.
- Che figli di buona donna. – i due lo guardarono vacui. – Hanno modificato i parametri di raffreddamento dei computer. Dannazione. –
La ragazza andò alla finestra senza pensare a nulla di particolare, il suo unico pensiero fisso è che avevano perso. Non si voltò nemmeno all’esclamazione di Dexter, non aveva voglia di reagire a nulla.
- Come vorrei averci pensato io! –

Mick e Umibozu erano riusciti ad arrivare al peschereccio senza farsi vedere. Accostarono a motore spento, sfruttando la spinta residua del motore e attutendo l’impatto con la fiancata con le mani. Come balzarono sulla nave si guardarono un istante e annuirono: Mick andò a prua a Umibozu a poppa. Non avevano fatto che pochi passi che si fermarono, quella nave aveva qualcosa di strano. Come avvertito da uno strano presentimento Mick si affacciò dalla fiancata: la linea di galleggiamento era completamente scomparsa mentre prima era ad almeno mezzo metro sopra il pelo dell’acqua; la nave stava affondando. Mick non ebbe tempo di lanciare un avvertimento a Umibozu, due spari echeggiarono nella notte verso poppa. Subito lo sweeper fu raggiunto da compagno mentre correva in direzione dei colpi.
Come arrivarono nello spiazzo di poppa ad armi spianate, rimasero impietriti di fronte a una scena che non si sarebbero mai aspettati. Bruckmeyer era alla loro sinistra, in centro in piedi per metà con un braccio intorno al fianco, che osservava scioccato il corpo di Melanie Oxley cadere a terra con una mano premuta sul petto. Ma non era la morte di una criminale a scioccare i due sweeper, o il corpo di una donna che giaceva in un pozza del suo stesso sangue, ma la figura immobile contro il parapetto con lo sguardo duro e deciso che impugnava ancora la pistola fumante con cui aveva ucciso la sua prima vittima. Mick fece un passo in su direzione completamente sbigottito, Kaori puntò l’arma verso Bruckmeyer: - Tocca a te Bruckmeyer. –

Si mosse istintivamente, senza pensare che poteva essere una mossa davvero stupida: Mick si lanciò in mezzo al ponte frapponendosi tra lei e Bruckmeyer. Kaori gli lanciò un’occhiata rabbiosa.
- Spostati. –
- Kaori, mettila giù. –
Mentre Mick tentava di disarmare Kaori, Umibozu punto il mitra contro Bruckmeyer che però lo stava già attaccando. Lo sweeper fu costretto a indietreggiare e schivare due calci volanti e proprio non avvertì il terzo che gli abbassò l’arma permettendo all’uomo di oltrepassarlo e balzare giù dal parapetto. Umibozu lo rincorse ma alcuni colpi di pistola lo costrinsero ad abbassarsi per mettersi al riparo. Il motoscafo partì e Bruckmeyer riuscì a fuggire nella scia di proiettili del guerrigliero. Quando fu certo che non poteva più raggiungerlo, l’uomo si voltò verso i due dietro di lui. Mick stava trattenendo Kaori che si era lanciata in direzione del tedesco quando lo aveva visto fuggire. Era riuscito a togliergli la pistola di mano ma non a calmarla.
- Lasciami maledizione, sta scappando! -
- È già scappato Kaori. –
- No! –
Lei si divincolò un po’ più forte e per trattenerla inavvertitamente Mick le fece male al braccio ingessato. Kaori perse la presa sul braccio di Mick e con quello l’equilibrio, cadendo sul ponte.
- Kaori. –
Preoccupato, lo sweeper si chinò su di lei per assicurarsi che non fosse ferita ulteriormente, ma Kaori non si stava preoccupando del suo braccio. Aveva cominciato a piangere e stringeva i pugni picchiandoli sul ponte della nave come se fosse lei la responsabile di tutto.
- Kaori? –
- È morto! È morto Mick. Ryo è morto! –
Il pianto disperato in cui irruppe la ragazza rese improvvisamente reale ciò a cui avevano appena assistito. Un boxer virtuale colpì i loro petti posandogli la triste, pesante e dolorosa sicurezza che non avrebbero mai più rivisto Ryo.
City Hunter era morto.








Eccomi qua. Grazie alla catalessi sociale in cui sono caduta la fic volge ormai al termine (si quasi, ci sarebbe ancora un capitolo e un epilogo, ma ci sono ^_-).
Bene, ora se volete potete dare via al linciaggio. Spero che sia venuto bene perchè non sono esattamente in un periodo di tensione, spero di non aver passato la catalessi alla storia.
Ciau ^^

Marzia: non ho mai avuto inenzione di abbandonarla, è che le casistiche si sono messe tutte contro di me. Ora la finirò, tranquilla. Ciao ^o^

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


CAPITOLO 10

Il giorno dopo la parola più gettonata era: ‘scandalo’.
La scomparsa del presidente di una delle più grosse mayor mondiali e la sua possibile implicazione in atti criminali e terroristici lasciava incredulo e sorpreso la maggior parte del mondo economico e politico.
Uomini potenti e famosi rilasciarono interviste in cui le frasi più usate erano: “Sono davvero sorpreso, non riesco a crederci”, “Non è possibile, è sempre stata una così brava persona, di certo c’è un errore”, “Non è assolutamente possibile, c’è sicuramente un’altra spiegazione”, “Bisogna mantenere la calma, l’inchiesta è appena iniziata e sicuramente avremo risposte che spiegheranno tutto”.
Una settimana dopo l’Interpol divulgò i documenti trovati a bordo del peschereccio affondato e durante le perquisizioni in tutte le sedi delle Bruckmeyer Group. Il risultato fu sorprendentemente veloce e il responsabile dell’inchiesta venne lodato pubblicamente. Nessuno si sognò di rivelare che le informazioni le avevano trovate proprio davanti a loro, per la precisione sui loro computer di casa, dell’ufficio, nella casella di posta elettronica…
Tra la sorpresa generale di azionisti, manager e politici, Hans Bruckmeyer e la sua azienda erano stati smascherati e il mercato azionario Europeo ed Asiatico erano in evidente stato di shock tanto quanto i suoi azionisti. La Bruckmeyer S.n.c. era tra le cinque mayor che controllavano una numero infinito di settori, dalla distribuzione degli alimentari alla piccola drogheria di quartiere, alla produzione di media televisivi ed editoriali.
Anche le stesse persone intervistate si rivelarono sorprendentemente veloci quanto a reazione: “C’era sempre stato qualcosa di lui che non mi convinceva, non dovrebbe sorprendere questa notizia, in fondo sappiamo di chi stiamo parlando”, “Ricordo che una volta trattò malissimo una mia amica che gli avevo appena presentato, da uno che si comporta in un certo modo ci si può aspettare questo ed altro!”, “Se non altro ora sappiamo il perché di molte cose che non riuscivamo a spiegarci, lei ovviamente sa a cosa mi riferisco”, “Bisogna mantenere la calma, abbiamo subito un brutto colpo ma ci riprenderemo. L’economia non si basa su una sola persona”.
Una settimana più tardi, la notizia sparì dai media. Purtroppo non sparì dalla vita di molte persone, che si ritrovarono senza più un posto di lavoro o in completa bancarotta. L’affare Bruckmeyer si ripercuoté sulla vita di centinaia di operai e impiegati per molti mesi avvenire, per qualcuno anche per anni. La polizia internazionale avrebbe dovuto creare due settori di indagine appositi solo per indagare sui traffici della famiglia Bruckmeyer, di cui il più folto solo per il figlio, che avrebbe impegnato gli agenti nella ricerca approfondita di tutti i suoi legami e lavori per almeno cinque anni.
Kaori era sul divano e osservava il tramonto fuori dalla finestra. Il televisore era spento, l’accendeva solo ai notiziari; lo ascoltava tutto senza particolare interesse e poi spegneva. Accanto a lei c’era un giornale aperto sulle notizie di cronaca dall’estero: il caso Bruckmeyer era stato relegato in un trafiletto di venti righe in undicesima pagina; nonostante i danni all’economia e alle persone fossero sempre più gravi man mano che si indagava, si preferiva mantenere un riserbo assoluto che rasentava il silenzio. Comprensibile forse, dato che le persone che avevano avuto rapporti in pubblico con Bruckmeyer erano tutti esponenti politici ed economici di spicco delle maggiori nazioni occidentali. Non tutti però amavano rimanere in silenzio: le manifestazioni organizzate dagli operai di diverse ditte gestite dalla Bruckmeyer Group riuscivano ancora ad arrivare alla stampa internazionale, ricordando al mondo che i loro il sistema di controllo e le leggi non bastavano a mettere al riparo da pericoli simili.
Quando non guardava i notiziari o leggeva i giornali, Kaori rimaneva anche ore intere a fissare il cielo fuori dalla finestra ripensando a quella notte, a tutti gli avvenimenti successi, a tutto quel che aveva visto. A Ryo.
Quella sera l’avevano portata subito in ospedale per dei controlli in evidente crisi isterica. Le avevano dato dei calmanti e poi sottoposta a diversi esami di routine, constatando che il gesso era rotto e l’osso anche. La tennero in osservazione per la notte e la dimisero il giorno dopo prescrivendole dei calmanti nel caso avesse avuto un’altra crisi. Ma Kaori non ebbe altre crisi.
Con ulteriore preoccupazione dei suoi amici, Kaori si rinchiuse in uno stato di apatia da cui emerse solo per cacciarli di casa, stanca delle loro assillanti preoccupazioni.
“Due settimane.”
Erano solo quattordici giorni che Ryo era stato ucciso, Kaori cominciava a chiedersi quando il mondo criminale se ne sarebbe accorto. Nessuno di loro aveva divulgato la notizia, i trasferimenti di Kaori dall’ospedale verso casa erano stati fatti in segreto, stando ben attenti a non far vedere che Ryo non era con lei e per entrare al palazzo usavano l’ingresso sotterraneo dal seminterrato di Reika. Per tutta Shinjuku, né Ryo né Kaori erano ancora rientrati a casa e cominciava a serpeggiare la preoccupazione e il sospetto. Ma City Hunter era un nome che valeva, nessuno faceva congetture vere e proprie, semplicemente aspettava.
Naturalmente sapeva il perché di tutte quelle messe in scene da parte dei suoi amici, tutti loro pensavano che dovesse essere lei a dare la notizia. Ma lei non aveva nessuna intenzione di darla. Non solo non aveva detto a nessuno della morte di Ryo, non solo non aveva esposto il simbolo del lutto, proprio si rifiutava di ammettere la sua morte. Ancora peggio, si rifiutava di credere che fosse morto per un maledetto malinteso elucubrato dalla mente di un pazzo. Il suo istinto le diceva che Ryo non era morto, che non era possibile. “E allora perché ti rifiuti di entrare nella sua camera e al poligono?”

Era stata issata sul per il peschereccio con i loro soliti modi rudi e bruschi e trascinata in una delle stive di carico. Mentre sbatacchiava contro le paratie e inciampava sui gradini bui, Kaori aveva un solo pensiero fisso: farla pagare ad Hans Bruckmeyer. Fino a quel momento, chiunque volesse uccidere Ryo lo aveva sfidato a un duello faccia a faccia; certo, il più delle volte lei era stata il veicolo per far arrivare Ryo fin da loro, per sfinirlo, ricattarlo, distrarlo, ma alla fine si era sempre risolto con un faccia a faccia. Nessuno era mai stato così vigliacco da ucciderlo a distanza per paura di vederlo da vicino.
“Ti sbagli” la voce della coscienza è una voce che non si vorrebbe mai sentire in determinate circostanze “Quasi tutti hanno tentato di ucciderlo con delle trappole e sotterfugi, ma lui è sempre stato troppo bravo per cascarci”. Era una verità talmente palese che si infuriò ancora di più. Ricacciò la voce dentro di se, ma è difficile spegnere la mente quando è l’unica arma che si ha in pungo: “Tu sei arrabbiata perché sai che quei due erano amici.”
È vero. Kaori conosceva Ryo e sapeva che se una persona era amica di Ryo poteva contare sul suo sostegno per il resto della vita. Kaori non perdonava a Bruckmeyer di essere stato amico di Ryo e di averlo ucciso.
L’impatto violento contro il ponte della stiva la riportò alla realtà eliminando qualsiasi eco di voce interiore. Era lucida.
Si guardò intorno: l’avevano portata in una stiva di carico, poco iluminata e ingombra di casse ancorate al ponte e alle paratie da spesse reti di corda; davanti a lei, Bruckmeyer e la sua Melanie erano in piedi e la guardavano con una soddisfazione sadica. Era lei a impugnare la pistola, non per la prima volta Kaori pensò che lui probabilmente non era abbastanza bravo in quel campo da competere con Ryo, ma qualcosa le diceva comunque di stare molto attenta.
- Credo signorina Makimura che siamo arrivati alla fine del viaggio anche per lei. –
Kaori guardò Bruckmeyer e non si sorprese della freddezza che provò verso di lui.
- Allora perché sono in questa stiva? –
- Perché ci potrebbero essere alcuni suoi amici molto intenzionati a fermarci e lei ci serve come garanzia. Nei restanti sessanta minuti per essere precisi. –
Kaori divenne di nuovo conscia del suo braccio ingessato e della sua inferiorità numerica. Un’ora poteva essere sufficiente, ma lei era pur sempre ferita. Prima ancora di riuscire a imbastire un piano in base a tutte le informazioni che aveva, un’ombra passò attraverso un oblò rettangolare posto in cima all’ingresso della stiva. Istintivamente rotolò di lato, proprio mentre alcuni proiettili andavano a conficcarsi con precisione nel punto in cui Melanie e Bruckmeyer si trovavano.
Addossata a una cassa cercò con lo sguardo i due. Il tedesco si trovava al riparo dietro una pila di casse ancorate al ponte e apparentemente cercava la sua donna con lo sguardo, ma non fu il suo nome quello che gli uscì dalle labbra.
- Saeba. –
- Proprio io. –
Altri colpi di pistola in direzione di Bruckmeyer, ma lui li schivò agilmente. Kaori comprese finalmente che l’apparente difficoltà di quell’uomo di misurarsi faccia a faccia con Ryo, era davvero solo apparenza.
- Sei riuscito a sopravvivere al tutto, bravo, in effetti sei sempre stato bravo a nuotare. –
- Sai, è difficile rimanere su una barca quando ti spediscono un pacco imbottito di esplosivo per via aerea. –
Bruckmeyer ghignò. Era dietro a una scansia, si protese di pochi centimetri e sparò. Le scintille dei proiettili contro il metallo della nave illuminarono il fugace profilo di Ryo che si dileguava nella penombra. Kaori si mise a sedere e si trascinò al riparo dietro ad alcune casse. C’era ancora Melanie in giro, doveva stare attenta.
- Sai, non sei cambiato molto dall’ultima volta. Sei rimasto il solito fighetto sbarbato e senza virilità. –
- Anche tu sei sempre il solito muso giallo inespressivo. Mi chiedo come facciano le donne ad andare con uno con il grugno così brutto. –
Succedeva spesso. Ryo tendeva a sdrammatizzare e levare la tensione nell’aria con delle battute, soprattutto se conosceva il suo avversario. Lo faceva per prendere tempo, per studiare meglio il nemico e capire lo stato psicologico in cui si trovava e soprattutto per metterlo ulteriormente in agitazione, ma stavolta era diverso. Kaori avvertiva distintamente la crescita di tensione allo scambio di battute, questo perché l’avversario era davvero all’altezza di Ryo: non si faceva smascherare e rispondeva a tono, giocava al suo stesso gioco. Era davvero pericoloso anche faccia a faccia.
- Sai, non vedo l’ora di vedere un’espressione sul quel tuo muso giallo, una bella espressione di dolore e terrore. Sempre che tu sia in grado di provare emozioni si intende. –
Ryo si protese prudentemente al di fuori del suo riparo per vedere dove si trovava il suo avversario, ma fu costretto a ritirarsi subito. Due colpi d’arma da fuoco provenirono dal punto opposto in cui pensava si dovesse trovare Hans. Un attimo dopo si ricordò di Melanie.
- Se è solo me che vuoi, lascia andare Kaori. Lei non ti serve a niente adesso che hai me. –
Per un attimo pensò che non avesse sentito, i secondi passavano ma gli rispondeva solo il silenzio. Poi gli giunse una voce, alterata e bisbigliata, quasi stesse uscendo a forza dalla gola dell’uomo.
- Non dire stronzate dannato bastardo. È lei la mia vendetta contro di te. –
“Beh, ci ho provato almeno.”
Fece un balzo con rotazione in avanti sparando nel punto da cui arrivava la voce e rotolò verso altre casse. Doveva trovare Kaori e subito.
- Certo, che sei uno che prova rancore. –
Qualcuno era appostato dietro a delle casse poco avanti a lui, si ritirò velocemente nell’ombra mentre la figura si voltava in cerca dell’origine della sua voce.
- Non esiste perdono per quello che mi ha fatto. –
- Già beh, devo ancora capirlo quello che ti ho fatto. –
La figura avanzava guardinga con la pistola spianata, doveva solo fare pochi passi.
- Sai, non sono sicuro che tu abbia capito bene che cosa sia successo, forse è il caso che ne parliamo con calma. –
- Non c’è proprio più niente da dire. –
La voce proveniva da dietro di lui. Appena in tempo Ryo si abbassò. Con un calcio rotante all’indietro fece cadere Bruckmeyer a terra che però non mollò lo pistola. Fece un giro su se stesso e glie la levò di mano proprio mentre la stava puntando su di lui. Avvertì la presenza della donna dietro di se e stava per sparare quando un colpo attutito la fece uscire dal suo campo sensoriale. Quando si voltò, Kaori era sopra Melanie che ansimava tenendosi il braccio ingessato; Ryo guardò lei e poi il gesso: un grosso bozzo ovale deformava uno scarabocchio che le aveva fatto lui qualche giorno prima. Per forza che la donna era svenuta.
- Attento. –
Senza voltarsi, Ryo puntò la pistola alle sue spalle e fece fuoco, sfiorando soltanto Bruckmeyer alla tempia.
- Non muoverti. –
L’uomo serrò la mascella e lo guardò con odio mentre Ryo si alzava e lo guardava negli occhi per la prima volta da tanto tempo.
- Eccoci qua. –
- Bastardo. –
Kaori era in piedi che guardava i due indecisa su cosa fare. A dire il vero era indecisa anche su cosa pensare. Fino a pochi istanti prima era stata assolutamente certa della morte di Ryo e ora era lì, davanti a lei, vivo e vegeto e con la pistola puntata contro il suo rapitore. Sembrava che fosse finito tutto bene ma la tensione non la lasciava anzi, aumentava. Qualcosa le diceva che le cose erano ben lontane dal finire ora, in quel preciso istante.
- Kaori. –
- Si? –
Kaori si destò dai suoi pensieri e si avvicinò a Ryo.
- Stai bene? - Ryo non accennava a distogliere lo sguardo dall’uomo ai suoi piedi.
- Si, sto bene. –
- Ce la fai a prendere Melanie e a portarla di sopra? –
Che razza di richiesta era? Non le piaceva per niente.
- Si, ma perché vuoi che… -
- Allora portala su e falle la guardia. –
Kaori rimase interdetta qualche secondo, poi Ryo si voltò e la guardò.
- Per favore, ho bisogno che la tieni sotto controllo lontana da lui . –
Kaori lo guardò per qualche istante e annuì. Si issò la donna su una spalla puntellandola con il gesso che aveva cominciato a pulsare, fortunatamente non era troppo pesante. La trascinò su per le scale e la posò fuori, si voltò a guardare ancora una volta Ryo e Bruckmeyer, semi illuminati dalla luce soffusa della stiva e uscì. Tutto ciò non le piaceva neanche un po’, ma Ryo sembrava avere la situazione in pugno. Ci si poteva sempre fidare di Ryo.

Lo sweeper aspettò che Kaori uscisse del tutto e poi si rivolse di nuovo all’uomo di fronte a se che si stava sedendo lentamente in una posizione più comoda e lo guardava divertito.
- Che c’è Saeba, non vuoi che la tua donna sappia quanto sai essere senza cuore? –
Ryo lo fissò negli occhi, riconoscendo una luce che sperava di non rivedere così presto negli occhi di una persona a cui aveva voluto bene.
- Credo che tu non abbia mai capito niente Hans. Quella notte… -
- No io ho capito benissimo invece. Quella notte tu mi hai venduto. Mi hai venduto ai cinesi. Dannato…-
- No ti sbagli. –
- No che non mi sbaglio! Solo tu sapevi… solo tu oltre a me potevi sapere come sarebbero andate le cose. –
- Hans. –
- Perché te lo avevo detto io. - scoppiò in una risata amara e rauca, esausta. In quel momento Hans Bruckmeyer sembrava esausto. – Che stupido. –

Era una notte afosa. L’aria era satura di gas di scarico e dei rumori della folla. La notte era sempre giovane se sapevi dove andarla a cercare. Il nero pece arrivava solo a sfiorare le cime dei palazzi, quasi completamente illuminate da insegne al neon di colori vivaci, prevalentemente sul rosso. Le strade affollate e i muri si tingevano di quella tonalità violenta dando ai suoi passanti colori con i quali non erano usciti di casa, ma con cui si drappeggiavano con maestria. Era il quartiere cinese di New York e, per essere precisi, era il cuore di Chinatown. Diversamente da quel che si aspetterebbe da un quartiere del genere, non giravano solo occhi a mandorla e dolci lineamenti orientali, ma anche diversi visi spigolosi, capelli e occhi chiari. I completi giacca e pantalone scuri non contrastavano così tanto con quelli vivaci di raso lucido delle ragazze che andavano e venivano o delle giubbe dei ragazzi. Era uno spettacolo normale a Chinatown, dove l’unica regola che valeva era quella che ti faceva guadagnare di più con il minimo spreco. In poche parole, quando gli affari chiamavano non si guardava in faccia alla nazionalità di chi ti stava facendo guadagnare un sacco di soldi; ai cinesi bastava che si levassero in fretta dal loro territorio quando avevano concluso l’affare.
Ma gli onesti uomini di affari in nero non erano gli unici occidentali che si potevano trovare a Chinatown: qualche temerario – o semplicemente menefreghista – lo si poteva trovare ad abitare in uno dei palazzi dietro agli sgargianti esercizi che costeggiavano le strade. In particolare in uno di questi palazzi, posto proprio accanto a una casa del piacere molto famosa del quartiere, all’ultimo piano a sinistra, l’appartamento al buio. Al buio perché la luce che proveniva dalla strada era più che sufficiente a illuminare il piccolo bilocale come se fosse l’alba o il tramonto. Al suo inquilino bastava così. Era steso sul divano che fissava il lento girare del ventilatore, mentre il fumo della sigaretta saliva verso l’alto piegandosi appena per la spinta dell’elettrodomestico. I lineamenti in penombra indicano provenienza orientale, anche se diversa da quella dei proprietari del quartiere. Il termometro posto accanto alla finestra indicava i trentotto gradi Celsius, l’orologio le ventitre e quarantacinque. La calura proprio non accennava a diminuire. E nemmeno la noia.
Il ragazzo vestito in soli boxer e canotta portò una mano dietro alla testa e girò gli occhi verso la porta. Tre colpi sonori la scossero ponendo la classica domanda sott’intesa: c’è nessuno in casa?
- Chi è? –
- Il fattorino. –
Il ragazzo non si mosse dalla sua posizione ma strinse meglio la mano sulla pistola dietro di se. Gli sembrava di conoscere quella voce, anche se non ricordava di altre voci che gli provocavano un’istantanea voglia di ridere.
- Non ho ordinato niente? –
- Ne è sicuro signore? Eppure l’odore che emana la sua topaia è molto simile a quel che ho in mano. Sicuro di non volerlo? –
“Ma porc…”
Il ragazzo si alzò dal divano con uno scatto e spalancò la porta, ritrovandosi davanti a un ragazzo della sua età, biondo sorridente e vestito. Come un damerino forse, ma vestito.
- Hans, mezza cartuccia, se non hai portato del whisky o una donna non ti saluto nemmeno. –
Il ragazzo biondo fece un’espressione finta seriosa e con fare molto ossequioso tirò fuori da dietro la schiena una bottiglia di Jack Daniels.
- Ah ma noi ai nostri clienti diamo solo il meglio, sa? – Ryo si appoggiò alla stipite portandosi una mano sugli occhi, ma li aprì ben bene quando l’amico fece un gesto molto teatrale indicando la sua destra e spostandosi un po’ in direzione opposta. – E offriamo un servizio completo. – Una bella ragazza cinese venne avanti sorridendo e inclinando leggermente la testa. Il ragazzo sulla porta aveva levato completamente la mano dal viso e aveva cominciato a prendere nota delle – notevoli – misure della ragazza davanti a lui. Il viso sorridente di Hans si intromise nella sua osservazione.
- Allora Ryo, possiamo entrare? - Ryo guardò la faccia da schiaffi che gli si era appena parata davanti e fece un’espressione simile, levandogli la bottiglia dalle mani.
- Le parole d’ordine ci sono tutte. –
- Bene allora! Vieni tesoro. –
Ryo guardò per bene il movimento del fondoschiena della ragazza mentre lo oltrepassava e poi chiuse la porta.
- Tesoro? –
- Essì. – Hans si lasciò cadere sul divano mentre la ragazza assumeva una posa spavalda e osservava la discarica che Ryo chiamava ‘casa’ – Sai, c’è solo un piccolo particolare: Kyoko è la mia ragazza. –
Ryo assunse subito un muso lungo quanto un treno. – Che cooooosa?! –
Kyoko si voltò verso di lui mettendo ulteriormente in mostra il fisico che, per la cronaca, era fasciato da un miniabito cinese blu elettrico e gli fece l’occhiolino. – Piacere Ryo, io sono Kyoko, la ragazza di Hans. –
Ryo la guardò a bocca aperta per qualche secondo e poi guardò malissimo il suo amico, parandosi davanti a lui.
- Sai Hans, è molto scorretto ingannare gli amici con simili sotterfugi. –
Hans rise imbarazzato, ma non troppo e gli fece cenno di sedersi sul divano accanto a lui.
- Su dai non te la prendere, in fondo tu non hai specificato che la donna doveva essere libera. –
Ryo lo guardò un istante e poi scrollò la testa, - È vero. – e si lasciò cadere sul divano accanto all’amico. – Ma che non capiti più intesi? La prossima volta porta sua sorella! –
La ragazza si accigliò mentre i due si mettevano a ridere stappando la bottiglia, poi si arrese e andò a sedersi su una poltrona davanti a loro due, dopo aver spostato mezzo quintale di vestiti s’intende.
- Su dai amico, non te la prendere, dopo il lavoro che ti sto per offrire potrai pagare da bere a molte ragazze belle come la mia Kyoko. – Kyoko gli lanciò un’occhiataccia – Si insomma, non belle quanto lei, lei è unica. –
Ryo si versò da bere cambiando impercettibilmente espressione.
- Un lavoro? –
- Si, una cosa semplice che però ci renderà molto bene. –
- E a che ti servo io? Tu sai cavartela molto bene anche da solo. –
- Perché non posso stare davanti al Boss Tanaka e allo stesso tempo controllarmi le spalle, non ho il dono dell’ubiquità . –
“Tanaka!”
Improvvisamente Ryo non ebbe più voglia di bere.
- È tutto molto semplice, solo un affare di compravendita. Io gli consegno un po’ di casse con del materiale che lui agogna e lui sarà così gentile da darmi in cambio una valigetta con molta carta che io agogno. Tutto molto chiaro, no? –
Ryo guardò l’amico chiedendosi se stesse dicendo sul serio o scherzando, non poteva parlare in modo così leggero di un affare con Tanaka. Guardò la ragazza che aveva portato, guardava Hans molto tranquillamente, senza traccia di emozione. Se quella ragazza era anche soltanto per metà cinese come appariva, non poteva essere così tranquilla, assolutamente. Non era per niente chiaro.
- Tu dovrai solo fare, come si può dire, il servizio di sicurezza. Naturalmente, se pensi che servano uomini in più si può fare, in fondo non avremo più problemi di soldi ‘dopo’. –
“Appunto, dopo”
- Quindi… -
- No. –
- Cosa? –
- Ho detto no. –
- Ma dai Ryo, non ho ancora finito. –
- E non è il caso che continui. Tanaka è la persona più pericolosa in cui tu potessi imbatterti Hans. Non solo io non verrò, ma non ci dovrai andare nemmeno tu. –
Hans perse di colpo tutta la sua giovialità.
- Ma che stai dicendo Ryo? –
Ryo posò la bottiglia sul tavolo e lanciò un occhiata a Kyoko: la ragazza era apparentemente impassibile, ma lo sguardo era duro e la mascella serrata. – Sto dicendo Hans, che da come ne parli tu non hai la più pallida idea di chi sia Tanaka e nemmeno di cosa voglia dire fare affari con lui. Qualsiasi sia la merce, se è con Tanaka che tratti, devi andare là con tre vite di scorta e l’esercito per uscirne vivo, non illeso bada, ma vivo. –
- Smettila Ryo, spaventi Kyoko. –
Ryo fissò Hans negli occhi. Non poteva preoccuparsi sul serio della reazione della sua ragazza in quel momento! Si passò una mano tra i capelli e si inumidì le labbra.
- Io lo so che è pericoloso, capito? Altrimenti perché sarei venuto da te? - Ryo lo guardò. Apparentemente, Hans entrando non aveva notato niente. Non aveva notato la penombra, la pistola sotto ai cuscini del divano, tutti i cartoni di cibo a domicilio, niente. Quindi non sapeva e si stava ficcando in una trappola da solo e probabilmente non era nemmeno una sua idea. Conosceva Hans, sapeva che non era un trascinatore ma un trascinato. Si erano tenuti in contatto per un po’ fino a quando il padre non lo aveva messo in un collegio militare dove controllavano anche la provenienza della posta e la posta.
- Hans, chi ha preso in contatti con Tanaka? –
Kyoko fece un balzo come se si fosse scottata. Hans aveva lo sguardo duro.
- Che cosa vuoi dire Ryo? –
- Lo sai perfettamente. –
- No, non lo so. –
L’atmosfera era tesa, troppo tesa. In quel momento la luce del salotto era accesa e lui era un bersaglio facile nonostante avesse Hans davanti. Doveva alleggerirla o non avrebbe sentito altri eventuali pericoli. Prese la bottiglia e uno dei tanti bicchieri che c’erano sul tavolino, versandosi da bere.
- Che cosa sai della situazione di Chinatown in questo periodo, Hans? –
- E questo che centra adesso? –
- Rispondimi. –
Il tedesco si appoggiò allo schienale del divano con le braccia conserte fissando la parete davanti a se.
- Che c’è una delle tante battaglie per il controllo del quartiere. Il potere è in bilico, si combatte tutti contro tutti, tutti badano ai loro interessi, il solito insomma. –
- E invece no. – Ryo sbatté il bicchiere sul tavolo ottenendo così l’effetto desiderato: ora Hans lo ascoltava.
- Questa non è la solita lotta per la successione. Il Boss Shoun Lo è morto due settimane fa, lasciando un’organizzazione piena di piccoli gruppi in competizione e un testamento che non è stato accettato. Shoun Lo era un Boss potente di cui tutti avevano paura, ma era un pessimo leader. Non si è creato un successore a alla fine ha dovuto tirare a caso. La scelta non è piaciuta al resto del suo consiglio e ora sono tutti i lotta tra di loro. Hanno ucciso Fu Chao, il nuovo Boss designato, due ore dopo l’apertura del testamento. Li How e Chien Lei hanno ucciso Mow Tao e poi si sono uccisi a vicenda assoldando due killer che, guarda a caso, sono fedeli a Tanaka. Sono sopravvissuti solo altri due membri del consiglio altre a lui, Saimo Lo e Orochimatsu. Sono gli unici sopravvissuti perché sono gli unici che vantano un potere che si avvicina a quello di Tanaka, oltre che una crudeltà spietata. In due settimane i vertici del potere di Chinatown si sono completamente stravolti e non accennano a trovare un equilibrio. I potenti del resto della città fanno avanti e indietro ogni giorno per capire da che parte tira il vento, qualcuno di loro ci ha già rimesso la pelle. Il Padrino Renato ha un nipote all’ospedale e stasera spedirà a Orochimatsu le mani degli uomini che ce lo hanno mandato. Maratoswkij sta facendo il doppio gioco tra Lo e Tanaka, per domani è prevista da parte del primo una bella spedizione punitiva alla scuola di danza di una delle figlie. Devo continuare o ti basta, Hans? –
Hans lo ascoltava ma non sembrava impressionato, anzi, calmo e rilassato. Addirittura sorrise.
- Vedo che sei sempre ben informato come sempre. –
Ryo lo guardò, il sapore del whisky gli impastava ancora il palato, aveva bisogno di bere.
- Naturale che so queste cose è per questo, come ti dicevo, che sono venuto da te. – si alzò e andò alla finestra. – Puoi chiamarlo massacro o lotta senza quartiere, come ti pare, per me è sempre e solo una stupida baruffa per decidere chi comanda. –
Si voltò verso Ryo e sorrise. – Naturalmente non ho mai detto a nessuno di questo affare, i contatti con Tanaka li ho presi io e non stato difficile, sai quanto sia influente mio padre, no? È bastato frugare un po’ tra le sue cose, le agende dei genitori sono sempre una fonte immensa di sorprese e di guadagno per i figli, credimi. –
I due rimasero a fissarsi in silenzio per un po’.
- Ti stai cacciando un brutto guaio Hans. Non concludere questo affare. –
Il ragazzo scrollò le spalle con fare non curante.
- Non ho intenzione di rimanere in questa città una volta concluso l’affare Ryo. Il luogo dello scambio è vicino a un piccola pista di atterraggio in disuso da anni, non compare più nemmeno sulle indicazioni per gli atterraggi di emergenza. Un piccolo aereo da turismo porterà me e Kyoko lontani da qui per sempre. Porterà via anche te se lo desideri. –
Sembrava serio e anche deciso. La ragazza ora si era rilassata sulla poltrona. Ryo non si fidava di lei, aveva modi troppo ambigui e non si capiva di cosa aveva paura, se del suo rifiuto o che Hans decidesse di mollare. La osservò meglio, i capelli lunghi e lisci tagliati a regola d’arte con la frangetta, il corpo formoso e ben modellato dell’abito attillato che indossava, le gambe nude e le scarpe basse. Non era armata certo, ma le armi convenzionali non sono l’unica cosa che può ferire o uccidere. Ryo scosse la testa. Ad ogni modo, anche se la storia non gli fosse sembrata così sporca fin dalle prime parole, non avrebbe potuto accettare. Andare con lui significava portarsi dietro mezzo clan Lo.
- Non mi piace Hans, non mi piace per niente questa storia. –
- Quindi è proprio un no definitivo? –
- Definitivo. E credimi, ti faccio anche un favore. –
- Uhm… -
Hans sembro solo in quel momento notare la lieve protuberanza del cuscino del divano e le scatole di cibo cinese a domicilio dappertutto.
- Da quanto tempo sei qui dentro? –
- Abbastanza. –
“E non c’è nemmeno la tv… ma come gli arrivano le informazioni, via piccione?”
Il ragazzo biondo scrollò le spalle e si scostò dalla finestra. – Bene, allora noi andiamo. Vieni tesoro, dobbiamo andare a trovare un altro paio di persone per il nostro ‘servizio di sicurezza’ –
La ragazza si alzò, prima di raggiungere Hans alla porta lanciò un lungo sguardo penetrante a Ryo, che lui non riuscì a decifrare ma gli mise addosso una bruttissima sensazione. ‘Tesoro’ raggiunse Hans che le teneva la porta aperta e uscì, i due ragazzi rimasero a guardarsi ancora un istante prima di accomiatarsi.
- Ci si vede Ryo. –
- Buona fortuna Hans. – la porta si chiuse.
- Ne avrai bisogno. –
Due ore dopo Ryo veniva svegliato da Mary che gli mise in mano un biglietto di sola andata per il Giappone e una borsa doppiofondo per la sua Magnum. La bottiglia era ormai vuota e i giochi fatti. Hans Bruckmeyer aveva trovato gli uomini del suo servizio d’ordine, purtroppo per lui non furono così onesti da rifiutare nonostante fossero sotto il mirino degli Orochimatsu. Ryo partì all’alba, quella notte Hans Bruckmeyer andò a concludere il suo affare con il Boss Tanaka. Lui non sapeva però che all’incontro erano presenti anche gli esponenti degli altri due clan in lizza e che uno era al suo fianco. Così, i cosiddetti servizi d’ordine di tutti e tre i clan si scontrarono fuori dal piccolo magazzino alla periferia della città. L’affare andò a monte. Tanaka, su tutte le furie, attribuì la colpa di tutto ciò al giovane sprovveduto che lo aveva coinvolto in quell’affare. Lui e Kyoko furono portati via in uno dei tanti posti segreti addetti all’interrogazione dei ‘sospetti’. La ragazza fu la prima a essere torturata sotto gli occhi di Hans. Quando lei confessò il suo coinvolgimento con i Lo, segnò la condanna anche del suo uomo. Il piano era semplice: arrivare a Tanaka servendosi di Hans e delle sue armi, di cui si sarebbero poi impadroniti. Hans aveva organizzato un grosso affare, una partita di armi pesanti e leggere tale da armare due compagnie dell’esercito statunitense. Tanaka presenziava sempre agli affari di una tale portata, era su questo che il clan Lo faceva affidamento. Kyoko morì davanti angli occhi del suo innamorato, che venne rinchiuso in una cella in attesa che venissero prese decisioni sul suo destino. Fortunatamente per lui, Tanaka era un uomo d’affari. In cambio di un cospicuo risarcimento lo ridiede al padre che fu costretto a chiuderlo in una casa di cura a causa dello stato in cui era ridotto. Quando Hans ne uscì non era più lo stesso e anche i suoi obiettivi erano cambiati. Per lui la colpa di tutto quel che gli era successo era solo di Ryo Saeba. Glie l’avrebbe fatta pagare cara.

I due erano ancora immobili al centro della stiva di carico. I ricordi affluivano forti e violenti riportando anche gli odori, che sembravano reali quando il metallo che calpestavano. L’odore di smog, di cucina cinese, di chiuso, di caldo, di whisky, della lozione che Kyoko aveva applicato sulla sua pelle; ma anche di sangue, di polvere da sparo, di dolore, di paura. Dietro agli occhi di Bruckmeyer si agitava qualcosa che Ryo aveva imparato a riconoscere presto, ma sperava che il metodo per sconfiggerla non dovesse essere sempre lo stesso.
- Sei stato male Hans. Non hai mai avuto la concezione di tutto quel che è successo. –
- O si invece. –
Bruckmeyer si alzò, Ryo non accennava ad abbassare la pistola.
- Ho avuto molto tempo per pensare a tutto quel che era successo Ryo, molto tempo. Tre anni sono lunghi da passare, soprattutto se stai in un posto dove il massimo dello svago è vedere un decerebrato che rovescia la sua minestra addosso al compagno di sventura, un giorno si e l’altro pure. – si spolverò il vestito, un gesto automatico o per prendere tempo? – Quella notte Ryo, mi si sono spalancati gli occhi. Non solo ho avuto la rivelazione di ciò a cui ero destinato a diventare, ma anche di chi erano le vere persone di cui fidarsi. Sai, gli uomini d’affari come Tanaka sono i più affidabili, in fondo seguono una sola regola, quella del Denaro. Segui e rispetta questa regola e da loro non avrai nulla da temere. –
Bruckmeyer aveva cominciato a muoversi lentamente in circolo intorno a Ryo, che aveva tutti i sensi allerta. Non si poteva permettere distrazioni.
- Che cosa credi che sia successo Hans? Perché pensi che sia stato io a venderti? –
- Non fare l’idiota Ryo! Te ne sei andato poche ore dopo che siamo usciti da casa tua. Nessuno oltre e noi in quella stanza sapeva che cosa stava per accadere. Ci hai venduti agli Orochimatsu, hai rovinato tutto! –
“Che cosa?!”
Ora Ryo capiva: Hans era d’accordo con i Lo. Lui sapeva che la sua Kyoko era al loro soldo, probabilmente era lei che teneva i contatti tra lui e il clan. Quando erano venuti a cercarlo sapevano perfettamente che tra lui e il clan Lo non correva buon sangue, perché era stato assunto da una famiglia proprietaria di un ristorante per proteggerli da loro. Poi la faccenda gli era sfuggita di mano e si era ritrovato a combattere una battaglia contro il clan Lo per liberare l’intero quartiere dalla loro influenza: un’utopia. Gli sguardi di Kyoko ora assumevano un significato, probabilmente il clan era disposto a rinunciare a vendicarsi di lui pur di prendere Tanaka, in fondo era un pesce piccolo in confronto alla vittoria su uno dei due Boss contro cui combattevano.
- Tu… lavoravi per i Lo?! –
- Naturale che lavoravo per i Lo. Mi credevi così stupido Ryo?! –
“Assolutamente si”. Che altro avrebbe dovuto pensare di un ragazzino che correva entusiasta dietro allo squadrone d’attacco, faceva il giocoliere con il machete e chiedeva incessantemente di raccontare com’era il ‘fronte’? Ryo non aveva mai avuto una buona stima di lui in quanto a intelligenza. Era diventato bravo con le armi ma era rimasto sempre un immaturo. Ma forse era cambiato. “Forse non lo era mai stato”.
- E così… hai creduto che io ti avessi venduto, in cambio di passaggio sicuro per il Giappone. –
- È esattamente quello che è accaduto. –
- No. Hans… -
- Non mentirmi Ryo. Non ci sono altre spiegazioni . –
A pensarci no, ma ci doveva essere, lui non li aveva venduti. Non lo avrebbe mai fatto.
Si riscosse, il tono di Hans era cambiato e si era fermato.
- Hai idea di quel che ho passato, Ryo? Ho visto morire Kyoko, l’ho vista morire in maniera così atroce da rimpiangere i tempi della guerriglia. I cinesi, i cinesi conosco infinti modi per far morire qualcuno il più dolorosamente e lentamente possibile. Lei però alla fine è morta, io invece… - guardò il ponte come incapace di parlare, ma poi continuò, aveva lo sguardo fisso e spento, - io invece no. Sono rimasto giorni chiusi in quella cella putrida, al buio, a ripensare a Kyoko, a Tanaka, all’affare, a te! E poi, quando mi hanno riconsegnato a mio padre, siccome io non smettevo di pensare lui ha pensato che fossi impazzito del tutto, completamente sciroccato. –
Esplose in una risata così triste che Ryo rabbrividì. Lo sguardo di Hans cambiò ancora e si fissò su di lui.
- Tre anni. Tre anni Ryo, passati in mezzo a dementi e ritardati. A farmi vomitare addosso, a indossare solo pigiami, a dormire quando me lo dicevano loro, mangiare quando me lo dicevano loro, pisciare quando me lo dicevano loro, respirare quando me lo dicevano loro! E quando sono uscito… ho deciso che da quel momento in poi sarebbe stato il contrario. Io sarei stato il burattinaio e gli altri le mie marionette. E come puoi vedere, ci sono riuscito. –

Kaori era sul portello della stiva, stava ascoltando tutto. Melanie era a poca distanza da lei ancora svenuta: non aveva bisogno di guardare la scena, le bastava sentirla, era più che sufficiente per farle venire i brividi alla schiena. La voce di Bruckmeyer cambiava continuamente di intonazione, a tratti cantilenava, a volte era assente, sembrava non fosse in grado di controllarsi. “È pazzo.”
Con un brivido, Kaori ebbe un terrificante dejavu. “No, sono solo ricordi, è una situazione completamente diversa, non finirà come l’altra volta”. Ma la coscienza l’avvertiva: qual’era l’ultima volta che il suo istinto aveva fallito? Kaori non lo ricordava.

Hans era immobile di fronte a lui e lo guardava con odio folle. Aveva i capelli scarmigliati e il viso paonazzo, Ryo sapeva di doversi aspettare di tutto da una persona del genere. Gli aveva insegnato lui a sparare, a difendersi, a lottare corpo a corpo, a usare le armi da taglio e la testa. Forse Bruckmeyer non si era tenuto in esercizio come lui in quegli anni, ma non era nemmeno detto. Alla fin fine, Ryo non sapeva niente di lui.
Bruckmeyer scattò. Ryo fece un balzò a sua volta e sparò mancandolo completamente. Rotolando su se stesso, Bruckmeyer raggiunse qualcosa sul pavimento che Ryo riconobbe come una pistola.
“Dannazione!”
Era completamente allo scoperto. Rotolò all’indietro cercando di raggiungere le casse più vicine ma due colpi a terra lo convinsero a fermarsi. Era proprio al centro della stiva. Un battito ritmico e lento di un paio di mani proveniva da dietro di lui.
- Bravo. Ottimo esempio di agilità. Peccato che non sia servito a molto. –
Bruckmeyer era dietro di lui, accanto alle scale. Ryo si voltò e lo osservò, chiedendosi che diamine avesse in mente.
- Sai, tempo fa mi è giunta voce di come è morto il povero Kaibara. – a Ryo gli si rizzarono i capelli sulla nuca – Me lo ricordo sai? Vi comportavate proprio come padre e figlio, anche se già all’epoca era evidente che non ci stava molto con la testa. Immagino che alla fine il tutto sia degenerato tra voi. Un vero peccato davvero, mi piaceva come persona. -
Aveva i brividi. Non sapeva perché, ma tutte le sue terminazioni nervose gridavano al pericolo. Doveva uscire di lì.
- Dev’essere stata dura poi, per te, uccidere tuo padre. Immagino che non sia stata facile da superare nonostante tutto, vero? – Bruckmeyer salì il primo gradino senza smettere di fissarlo.
- Ho pensato quindi che sarebbe stato carino, in fondo, permetterti di raggiungerlo in modo consono. Per la stessa via, magari, magari anche nello stesso modo. –
Bruckmeyer alzò un braccio e mostrò a Ryo quello che sembrava un piccolo telecomando. Senza dare spiegazioni, premette il bottone che si trovava sulla superficie. Un rumore di esplosione dietro di lui e fu spinto violentemente in avanti dallo spostamento d’aria. Subito il ponte venne invaso dall’acqua. Bruckmeyer salì velocemente le scale e richiuse il portello stagno dietro di lui. Ryo si rialzò barcollando, aveva battuto forte la testa contro il ponte. L’acqua gli arrivava già alle caviglie e non era difficile immaginare che cosa era successo: in una nave camuffata da peschereccio per poter eseguire trasporti illegali, una delle componenti base è un portello che permette l’aggancio per un piccolo sommergibile. Bruckmeyer lo aveva fatto saltare e aveva chiuso il portello. Non c’era uscita. Non asciutta.
“Beh, poco male.” Ryo si avvicinò all’apertura. L’acqua entrava velocemente, il che indicava che uno sfiato per l’aria c’era, ma era sicuramente in alto, tanto valeva uscire dal basso. Fece per mettere cautamente un piede nella forte corrente ma incontrò un ostacolo dopo solo mezzo metro. Con un terribile presentimento Ryo si immerse e tasto sotto di se, incontrando una grata.
“Dannato!”
Tentando di non farsi prendere dal panico, uscì dalla botola risalendo per quelli che erano ormai due metri; a quella velocità la stiva si sarebbe riempita in pochi minuti. “Lo sfiato per l’aria”. Ryo sapeva che se Hans aveva pensato a chiudere la botola, sicuramente aveva fatto lo stesso per lo sfiato, ma non accettava di arrendersi, non così, non adesso.

Kaori si era distratta e nel momento sbagliato. Quando aveva sentito lo sparo si era girata preoccupata a vedere che cosa succedeva a Ryo, il tempo necessario perché qualcuno la colpisse alle spalle. Cadde a terra perdendo la presa sulla pistola, quando si voltò, vide Melanie che la torreggiava minacciandola con un coltello. Perché non aveva pensato a perquisirla?
- Stai ferma dove sei. –
“Ma nemmeno per sogno”.
Kaori le sferrò un calcio alla base della caviglie facendola cadere. Cercò di riprendere la pistola ma la donna l’afferrò per i capelli tirandola indietro. Sferrò una gomitata alla cieca con il braccio ingessato raggiungendo qualcosa di morbido e la presa sui suoi capelli si allentò. Girò su se stessa e le sferrò un calcio rotante alla nuca; mentre la sua avversaria cadeva sul ponte, qualcuno dietro di lei chiuse il portello. Kaori si girò e vide Bruckmeyer che ansimava e si voltava verso di lei puntandole contro una pistola.
- Spiacente signorina Makimura. Ryo non è disponibile al momento. Ma se aspetta un po’, lo potrà raggiungere tra i più molto presto. –
“No!”
Si lanciò verso il portello preparandosi a essere respinta dall’uomo ma a sorpresa lui, invece di spingerla indietro, la schivò e l’afferrò per le spalle, mandandola a sbattere contro l’oblò. Le immobilizzò le braccia e le tirò indietro la testa, assicurandosi che riuscisse a vedere bene.
- Guarda, guarda come muore Ryo Saeba. –
Kaori osservò, impietrita, la stiva che si riempiva d’acqua. Osservò Ryo riemergere dal punto in cui l’acqua fuoriusciva spumeggiando e guardarsi intorno furioso. L’acqua continuava a salire, lui aveva cominciato a fare i giro delle pareti per cercare lo sfiato, fino a quando non individuò una piccola grata a livello del portello in cui si trovavano loro. E ce ne erano altre, tutte intorno, tante piccole grate che coprivano gli sfiati per l’aria. Non c’era, per lui, un’uscita abbastanza grande in grado di farlo passare. Era finita.
Dietro di lei Bruckmeyer sussultava, spingendola sempre più contro il vetro, alla fine scoppiò a ridere. Una risata scrosciante, sonora, divertita, una risata che condannava a morte Ryo. Kaori cercò di battere sul vetro e sulla porta, di farsi sentire, di librarsi, ma la presa dell’uomo su di lei era troppo forte, non ci riuscì. L’acqua arrivò a lambire il portellone e poi l’oblò. In pochi istanti la stiva fu piena.
Dagli sfiati cominciarono a fuoriuscire forti getti d’acqua, era evidente che per uccidere Ryo Bruckmeyer aveva minato la capacità della nave di stare a galla. L’acqua usciva e si riversava sui ponti, riempiendo i corridoi, la nave sarebbe affondata presto.
Bruckmeyer la tolse dall’oblò e la trascinò a peso morto su per delle scale che portavano all’esterno.
- Melanie prendi l’elicottero, ce ne andiamo. – la donna lo precedette verso la sezione di poppa.
Appena arrivarono sul ponte di poppa Kaori reagì. Sferrò una gomitata con il gesso alle reni di Bruckmeyer, mozzandogli il respiro. Per essere sicura ne sferrò un’altra facendogli mollare la presa su di lei, poi lo colpì alla testa. Il tedesco perse la presa sulla pistola, che Kaori afferrò. La puntò verso l’uomo ma due spari dall’alto la costrinsero a indietreggiare fino al parapetto. Melanie accorse subito in aiuto dell’uomo e si frappose tra i due. A Kaori sembrò di essere dentro una scena al rallentatore: la vide scendere dal ponte superiore, la vide correre verso di lei e prendere posizione per sparare; decise di non attendere, fece fuoco. Melanie fece una strana espressione di sorpresa quando il colpo la raggiunse e si portò una mano al petto. Tra tutti gli avversari presenti quella notte, Kaori non era mai stata classificata come un pericolo effettivo, solo come un fastidio. Avevano sbagliato. Quello fu l’ultimo pensiero di Melanie quando scivolò sul ponte priva di vita.

Kaori tornò alla realtà. Ricordava ogni particolare di quella notte. Rumori, odori, discorsi, sensazioni… le sue notti si dividevano tra il ricordo della morte di Ryo e quella di Melanie. Glie lo aveva detto tante volte ma non ci aveva mai creduto: il proiettile faceva sul serio un suono diverso quando colpiva qualcuno. Si alzò dal divano e andò alla finestra. Non lo faceva mai, avrebbero potuto vederla. Peggio, avrebbero potuto ucciderla. Mick e Saeko glie lo ricordavano un giorno si e l’altro pure quando erano qui: Bruckmeyer è ancora libero. Libero e pericoloso.
Il Professore lo aveva cercato dappertutto, ma non lo aveva trovato. Si erano persino rivolti ai tre hacker che avevano aiutato Ryo, ma con scarso successo. Sembrava scomparso dalla faccia della terra. Un po’ meno segreta era l’ubicazione dei tre hacker al soldo del tedesco che si erano dileguati dalla villa prima dell’arrivo delle autorità e ora progettavano il contrattacco per i TNT e cercavano nuovi clienti. Ma a loro non interessavano i tre ragazzi, loro erano dei freelance, lavoravano per chi li pagava e basta.
Con il braccio sano tastò la pistola nella fondina posta sulla sua schiena. Da quel giorno dormiva persino armata, sorprendendosi a trovare perfettamente naturali gesti che prima attribuiva solo a Ryo.
Il sole era ormai completamente tramontato, lo ombre cominciavano a allungarsi su Shinjuku e le insegne ad accendersi. Il bagliore vivace della città cominciava ad avere la meglio sulla scarsa luce solare.
C’erano poche ombre in movimento nella via davanti a casa sua, le numerose finestre accese indicavano che era ora di cena, di compagnia, di famiglia. Kaori non aveva fame. Non mangiava quasi nulla in quel periodo e si giustificava con Miki dicendo che, chi non fa niente tutto il giorno non ha bisogno di mangiare. Miki si arrabbiava ma alla fine si arrendeva. Sapeva che non c’era verso di farla ragionare in quel periodo.
Un’ombra fugace passo rasente al muro e si infilò nel palazzo di fronte. Senza un motivo preciso, Kaori si mise in allerta. Sfilò la pistola dalla fondina e attese, poteva essere un falso allarme, ma anche no.
Passarono diversi minuti senza che sentisse il minimo rumore sospetto, il sole era ormai tramontato del tutto e il cielo completamente buio. La stanza era illuminata solo dalle luminarie stradali e era quasi completamente in ombra. Kaori sospirò e mise di nuovo la pistola al suo posto. Un falso allarme. Stava diventando paranoica.
Quand’è l’ultima volta che il tuo istinto ha sbagliato?
“Accidenti!”
La porta si spalancò.
Kaori rotolò di lato sfoderando la pistola ma un colpo secco sul braccio glie la fece cadere. Senza darle il tempo di voltarsi, l’aggressore l’afferrò per il braccio ingessato e immobilizzò quello sano. Per poco Kaori non urlò.
- Ci rivediamo signorina Makimura. –
“Bruckmeyer!”
- Ha sentito la mia mancanza? In effetti no, non credo. –
Scaraventò Kaori contro la finestra e si levò il passamontagna. Era proprio Bruckmeyer, in tenuta da combattimento nera faceva tutto un altro effetto, ma era proprio lui.
- Lei ci ha proprio tratti in inganno sa? Era la persona da cui ci aspettavamo meno fastidi e meno sorprese e invece… Beh, è tardi per piangere sul passato, ma non per rimediare. –
Puntò la pistola contro di lei e armò il cane, poi sparò.
Kaori aveva chiuso gli occhi istintivamente, aspettandosi il colpo, che non venne. Il dolore che provava era sempre il solito al braccio, non ce ne erano di nuovi. Era illesa. Ma Bruckmeyer era a soli pochi passi da lei!
Aprì gli occhi e lo vide sempre in piedi davanti a lei, leggermente curvo con un piede in avanti e la pistola puntata, ma l’espressione era diversa. Sorpreso, Hans si portò una mano alla spalla destra, tastò e si portò la mano alle labbra. Sangue. “Sono stato colpito, ma chi…”
Non fece tempo a completare il pensiero, perché un secondo sparo lo raggiunse alla gamba, stavolta facendolo cadere.
Quando Bruckmeyer fu a terra, Kaori poté vedere una seconda figura che avanzava dall’ombra portandosi nel raggio di luce della finestra e in quel momento si sentì mancare. “Ryo.”
Era come quando l’aveva visto scomparire tra i flutti, l’aria le venne risucchiata dai polmoni rifiutandosi di entrare, come se un grosso peso le fosse stato appoggiato sul diaframma; poi il pensiero caldo e rassicurante che riprese a farle battere il cuore: “È vivo.”
Bruckmeyer era a terra e si era voltato a guardare il suo assalitore.
- Tu, tu sei… non è possibile. –
Ryo fece un mezzo sorriso amaro e si diresse verso la parete, accendendo l’interruttore.
- Tutto è possibile Hans. – Ryo si riavvicinò al tedesco e si chinò verso di lui, levando dalla tasca qualcosa e mettendoglielo davanti. Bruckmeyer sbiancò ulteriormente. – Soprattutto se mi lasci da solo in una stiva piena di questi giocattoli. –
“La stiva?”
Improvvisamente Kaori ricordò le casse. Non si era mai chiesta che cosa contenessero. Ryo allontanò la pistola dall’uomo e gli levò il coltello alla caviglia. Non era molto armato, probabilmente erano armi di riserva. Si diresse verso la sua assistente e si chinò verso di lei.
- Stai bene? –
Kaori era ancora senza parole. Aveva creduto sul serio che… Insomma, aveva visto che…
Ma quand’è stata l’ultima volta che il tuo istinto ha fallito?
Doveva dare più retta al suo istinto. Si, davvero.
Riuscì ad annuire brevemente e gli buttò le braccia al collo, tentando di reprimere i sussulti che era il preludio al pianto.
- Ma… ma come… ?-
Lui l’allontanò quel tanto che bastava a guardarla in faccia e le fece l’occhiolino.
- Semplice fortuna. –

Quando aveva visto le piccole grate poste in cima alla stiva, si era sentito perso. L’acqua invadeva ormai più di metà deposito e non c’era nessuna via di scampo. Se avesse tentato prima di scardinare la grata forse… ma ora era impossibile. Si era arrampicato su una delle pile di casse più alte. Aveva visto Kaori al di là dell’oblò e non si faceva illusioni, non era lei che aveva la pistola in mano in quel momento. Doveva uscire di lì, doveva raggiungerla subito. Con un gesto di stizza aveva sferrato un calcio alla cassa sotto di lui che cominciava ad essere sommersa. “Bravo, demolisci uno dei tuoi pochi punti di sostegno”, poi gli si accese la lampadina. “Le casse!”
Pochi giorni prima Ryo aveva scambiato le casse piene di armi trasportate nella caverna con altre piene solo di giocattoli e fatto saltare in aria le due navi mercantili che le avevano trasportate, con tutto il carico originale a bordo. Bruckmeyer le aveva rimpiazzate subito, ma aveva fatto arrivare una nuova fornitura di armi per essere più tranquillo. La politica del ‘non si sa mai’ però, per la prima volta aveva fallito. Nella foga di mettere a punto un piano di riserva per eliminarlo, l’uomo si era dimenticato che lasciava City hunter da solo in una stiva piena di esplosivi e i relativi accessori.
Nella cassa che aveva sfondato c’era abbastanza plastico da far saltare in aria mezza costa giapponese. Aveva afferrato un panetto di esplosivo e aveva cominciato a dividerlo in fretta. Aveva afferrato i detonatori e i fili presenti in ciascuna casse e si era tuffato. In alto non c’erano aperture sufficientemente gradi per farlo passare nemmeno se le avesse fatte esplodere, ne rimaneva sempre solo una. Aveva raggiunto la botola ringraziando che l’acqua non avesse ancora spento le luci, ma raggiungere la grata non era stato facile, soprattutto nella corrente della botola. Aveva raggiunto il centro e aveva creato un circolo di panetti aggrappandoli per bene alle maglie della grata. Poi aveva inserito il detonatore, lo aveva collegato al cavo e il cavo… “Il telecomando!”
Era riemerso in fretta, constatando che anche se aveva il telecomando era difficile farlo partire senza le batterie e il dispositivo di comunicazione. Guardò in alto: aveva solo due metri prima di toccare il soffitto della stiva. Al diavolo. Tirò fuori il cellulare dalla tasca, lo smontò, prese la batteria e si immerse di nuovo. Arrivato alla botola fu tentato di tirare un sospiro di sollievo nel vedere che cavo, plastico e detonatore erano tutti lì. Prese i fili del detonatore, li spelò velocemente con i denti e li collegò alla batteria.
L’impattò contro la paratia fu violento e l’aria gli uscì dai polmoni. Aveva battuto la testa e la nausea lo stava invadendo. Aveva una gran voglia di lasciarsi andare, di chiudere gli occhi e lasciarsi trascinare via dalla corrente e dall’acqua, ma sapeva perfettamente che la morte per annegamento era tutt’altro che dolce. Facendo ricorso alle sue ultime energie, raggiunse la botola e guardò lo squarcio nella grata: era appena sufficiente per farlo passare. Sentì i polmoni premere per inspirare e la testa che lamentava la mancanza di ossigeno, oscurandogli la vista. Si infilò velocemente nell’apertura, il metallo slabbrato gli penetrò nei fianchi ferendolo, la corrente lo ricacciò indietro. Si aggrappò al bordo del portello esterno e si diede una spinta. Era fuori.
Cercando di non cedere nuotò otre la fiancata della nave resistendo all’impulso di portarsi una mano alla bocca per aiutarsi. Una. Due. Tre bracciate. Inspirò. L’acqua di mare gli bruciò la gola e i polmoni alla prima sorsata, sentì gli occhi tentare di difendersi con le lacrime e si impose di non inspirare più. Una. Due. Tre bracciate. Stava davvero andando in alto? Non lo capiva più. Era così distante la superficie? Una. Due. Tre… non ce la faceva più. Una. Due. Era la luna quella? Una. Inspirò una seconda volta. Le braccia si rifiutarono di rispondere, le gambe erano terribilmente pesanti. Forza! Uno! Due! Tre! No. Non ce la faccio. Un’ondata di acqua calda lo sollevò e lo fece rivoltare, improvvisamente la sua faccia incontrò l’aria.
“Aria!”
Come i suoi polmoni incontrarono l’ossigeno, espettorarono violentemente l’acqua di mare. Ryo annaspò tentando di tenersi a galla e di non soffocare mentre tentava di tornare a respirare. Dopo qualche istante in cui il suo apparato respiratorio tornava alla normalità, Ryo sentì qualcosa di duro sotto un piede. Tentò di voltarsi e prese una gran gomitata contro qualcosa di ancora più duro che gli fece riprendere lucidità per qualche istante, il tempo necessario di accorgersi che era parecchio distante dalla villa di Bruckmeyer. “Che stupido, ho nuotato in diagonale.”
La corrente lo aveva trascinato in un anfratto dove le onde non si infrangevano troppo violentemente. Ryo si arrampicò sopra uno scoglio abbastanza grande e in alto e svenne. Si sarebbe svegliato solo il giorno dopo, a sera e si sarebbe riaddormentato quasi subito, svegliandosi il pomeriggio seguente. Ben riposato, avrebbe risalito la scogliera non troppo ripida e raggiunto il bosco, stando attento a non farsi vedere dalle forze dell’ordine che perquisivano la villa.

Kaori stava cominciando a piangere senza rendersene conto, ma non sapeva se di sollievo o semplice sfogo. Si erano completamente dimenticati di Bruckmeyer.
- Bravo. Ben fatto, come sempre Ryo. –
I due si voltarono verso l’uomo che parlava a fatica e li guardava ancora con odio. Si era trascinato fino alla spalliera del divano e aveva qualcosa in mano.
- Ma non credere che sia finita qui. Non ti lascerò mai vincere così facilmente. –
Sollevò un braccio e lanciò verso di loro l’oggetto molto simile a una granata. Ryo sollevò Kaori e balzò in avanti nel tentativo di sfuggire all’esplosione. La granata toccò la parete ed esplose in un sfolgorio accecante di luce. I due sweeper atterrarono pesantemente sul pavimento coprendosi le mani con gli occhi, non ci vedevano più. Sentirono i passi zoppicanti di lui uscire il più velocemente possibile dalla porta e sparire in fondo alle scale. Ryo non accennava a muoversi.
- Ryo! Sta scappando! –
- Lascialo andare. –
Kaori si sfrego gli occhi nel tentativo di ritrovare la vista, mentre il peso del corpo di Ryo si sollevava da lei. Dopo pochi istanti riuscì a distinguere i colori della stanza e si voltò verso lo sweeper, che stava appoggiato stancamente alla parete e si teneva una mano sul volto; il suo braccio era ancora intorno alla sua vita.
- Ryo, stai bene? Sei ferito? –
Ryo sorrise e si voltò verso di lei.
- Si sto bene, stai tranquilla. – e si riappoggiò alla parete.
Kaori si accorse di non avere la forza di replicare. Non aveva la forza di fare niente. Si appoggiò a Ryo e respirò a fondo. Ryo era lì, Ryo era vivo. Era finita.

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


EPILOGO

Svizzera, 22.34 Briga

La sera era calma e limpida sopra la cittadina di Briga. La luna splendeva serafica nel cielo nero pece, appena trapuntato da qualche stella. Il bar era di un albergo in vecchio stile, costruito in pietra e legno scuro lucidato dal tempo. Posto sul fianco della montagna e dotato di una vetrata panoramica, i suoi ospiti potevano godere della splendida vista sulla vallata e sul vecchio borgo. Uno degli ospiti stava seduto da solo, in disparte, su uno dei divanetti del locale e sorseggiava un whisky con ghiaccio in tutta tranquillità, godendosi il panorama e la quiete.
Al bancone un cameriere prese una telefonata trasferita dalla reception, mise in attesa e si diresse verso i divanetti. Quando fu accanto all’uomo da solo, si chinò e con discrezione sussurrò qualcosa all’orecchio del cliente. L’uomo annuì appena, posò il bicchiere e si diresse verso il bancone, i cameriere discretamente all’opera in altri angoli del locale. Ascoltò brevemente quello che il suo interlocutore aveva da dirgli, pronunciò un breve “Ho capito”, riagganciò e tornò al suo divano. Sorseggiò il resto del suo whisky in silenzio ammirando la montagna buia che si accendeva di qualche falò e di fari isolati della macchine.
“City Hunter… pare che con te si dovrà faticare più del previsto”

Tokyo, 11.24 Shinjuku

Un’altra bella mattinata di sole splendeva nel cielo di una delle città più famose, alcuni dicono anche bella, del mondo. Questa però è una città del tutto particolare perché vanta un fenomeno aereo molto curioso: nelle belle giornate come queste, oltre al volo di aerei, uccellini, farfalle e insetti vari, si può osservare il volo dei martelli.
Uno - stonk – particolarmente sonoro riempì la strada tranquilla, facendo volare solo qualche foglia giù dagli alberi.
- Ryyyo! Accidenti a te. Non puoi proprio fare a meno di molestare tutte le ragazze che incontri. E si che sei in convalescenza. -
- Ah! E lasciami stare Kaori! Ho passato dei brutti momenti e ora voglio godermi la vita e… Ehi! Ehi!! Quella è una minigonna con un paio di gambe da schianto. Signorina? Ehi signorina! Si fermi!! –
- Ryo!! -
È un fenomeno non molto insolito in realtà, gli abitanti del quartiere hanno il privilegio di poterlo osservare da qualche anno e lo trovano interessante a ogni sua manifestazione. In particolare sono di questo avviso gli abitanti della zona est di Shinjuku, quelli che vivono vicino al Cat’s Eye, un bar non troppo frequentato a dir la verità, ma molto carino e conosciuto, soprattutto perché i proprietari sono molto amici dei responsabili di questo fenomeno.
- E così, Bruckmeyer è ora un ricercato a livello internazionale. –
Miki era dietro al bancone e parlava con le due donne davanti a lei.
- Esatto. Tutte le forze dell’ordine di tutte le nazioni sono in stato di allerta. Voglio dire, tutte quelle che hanno accettato di collaborare con l’Interpol. Ci sono nazioni che ritengono di non aver subito danni e si rifiutano di emanare ordini di cattura in caso di avvistamento. –
- Che cosa?! Ma è un criminale! –
- Ma è così che vanno le cose sorellina. Ci sono paesi a cui non interessa come un uomo faccia i suoi affari, basta che ne porti di vantaggiosi a loro. –
- Già, un bello spreco di tempo per noi tutti però. –
Miki sorrise e salutò la sua amica che entrava in quel momento nel bar accompagnata da un allegro scampanellio. Kaori andò al bancone e appoggiò stancamente il suo martello al banco, sedendosi e appoggiando la testa sul ripiano.
- Ciao Kaori. Che aria cupa, che succede? –
- Ah niente, - Kaori si tirò su e regalò un sorriso all’amica - è colpa di Ryo come al solito. Fammi un favore, appena lo vedi dagli una martellata da parte mia. – e diede un buffetto affettuoso al manico del martello.
- Ah… d’accordo. Ma scusa, tu dove vai? –
Kaori si alzò e fece un cenno di saluto alle due sorelle.
- All’ospedale, pare che mi tolgano il gesso finalmente. Cominciavo a non poterne più. –
- Bene. Così potrai tornare a maneggiare il martello come prima! –
- Che fortuna… -
Saeko lanciò un’occhiataccia alla sorellina che andò del tutto sprecata. Kaori dal canto suo era troppo abituata alle frecciate di Reika per dar peso a quella battuta, quindi si diresse verso la porta e salutò
- Ci vediamo dopo, ciao. –
- Ciao. –
Saeko e Miki rimasero in silenzio per un po’ dopo che Kaori se ne fu andata, l’occhiata che si scambiarono era più che eloquente.
- Che avete voi due da fare quella faccia da funerale? –
- Siamo solo preoccupate per Kaori, tutto qui. –
- E perché? –
Reika stava finendo il suo frappè alla vaniglia, producendo un risucchio che stava dando molto sui nervi a sua sorella, tanto quanto l’atteggiamento che aveva verso la sweeper.
- Perché, - le prese la coppetta e glie la levò di mano, - Kaori ha appena passato un periodo molto difficile in cui non ci ha mai permesso di starle vicino. Non sappiamo come la sta prendendo o cosa pensa e questo potrebbe essere pericoloso, lo sai. –
- Si vede che sta bene. Smettila di preoccuparti. –
Saeko si trattenne dall’imprecare. Sapeva che Reika non pensava veramente quello che aveva appena detto, ma sapeva anche che una volta deciso l’atteggiamento che doveva avere con una persona difficilmente l’avrebbe cambiato. Senza contare che Kaori faceva ancora parte della sua lista nera.
Un altro scampanellio annunciò l’entrata di nuove persone, anche se non clienti. Umibozu e Kasumi con le borse della spesa erano seguiti da un gioviale Mick, che doveva aver fatto la corte a Kasumi per tutta la strada a giudicare dalla sua faccia.
- Bentornati. –
- Ciao Miki, tutto bene qui? –
- Si, tutto tranquillo. –
Umibozu andò dietro al bancone a posare la spesa; Kasumi fece lo stesso, dopo aver pestato in maniera poco casuale il piede a Mick. Passando vide il martello di Kaori.
- Kaori è qui? Dov’è? –
- All’ospedale le tolgono il gesso. –
- Sarà contenta allora. –
- Io pure. –
- Reika! –
- Uh… -
I due cominciarono a mettere a posto la spesa mentre le sorelle cominciavano una battaglia di sguardi che Mick osservava lievemente sconcertato.
- Si può sapere che succede qui? Non che mi dispiaccia vedere una bella zuffa tra gatte, ma… - Mick venne fulminato all’instate – Ih! Va bene, va bene. – e andò a sedersi sullo sgabello con il broncio. – Però non è da voi, ecco. –
Le sorelle Nogami si guardarono di nuovo male, poi Reika decise di adottare la stessa tecnica di Mick e mise il broncio. Saeko sospirò.
- Non è successo niente Mick. Siamo solo tutti un po’ preoccupati per Kaori. –
Reika stava per aprire bocca ma una gomitata della sorella le fece cambiare idea.
- Uh? E per cosa? –
- Beh… per quando… -
- Per quando ha ucciso Melanie. –
Ryo era apparso nel locale senza far suonare lo scampanellio. Capacità che a Miki dava un po’ sui nervi a dire il vero.
- Ah… Ryo! Ciao, benvenuto. –
- Ehilà compare! Caccia infruttuosa? –
Ryo andò a sedersi regalando uno scappellotto all’amico. Umibozu cominciò a preparare il caffè. Il silenzio calò sul locale, tutti sembravano molto assorti nelle proprie consumazioni o ad ammirare il soffitto. Quando Umibozu mise la tazzina davanti a Ryo il silenzio si ruppe.
- Chi le ha insegnato a sparare? –
Tutti si irrigidirono ed evitarono di guardarsi. Sapevano bene la risposta a quella domanda, ma non l’avrebbero mai detta, non con Ryo in quello stato d’animo.
- Io, non ricordi? – tutti di voltarono verso Mick, chiedendosi se per caso non fosse impazzito. – Quando venni qui la prima volta per ucciderti insegnai a Kaori a sparare. Da quel giorno ha fatto progressi. – si dondolava sullo sgabello tenendo le braccia incaricate dietro alla testa, era il ritratto della noncuranza. Ryo dal canto suo lo guardava gelido.
- Ne ha fatti un po’ troppi di progressi. –
- Già… -
L’ultima parola di Mick era quasi un sussurro, ma si udì benissimo. Ryo riportò la sua attenzione al caffè con gran sollievo di Miki. Aveva dato libero accesso al poligono di tiro a Kaori, l’aveva fatto perché glie lo aveva chiesto l’amica ma non aveva mai seguito fedelmente i suoi progressi, aveva troppo da fare con il bar. Non sapeva con quale metodo si era allenata e nemmeno a quali bersagli sparava, Kaori levava sempre i cartoni con cui si era allenata, non li trovava mai. Solo in quel momento le venne il sospetto che Kaori avesse imparato anche a mirare per uccidere. Ma non capiva perché.
- Ad ogni modo, - la loro attenzione tornò immediatamente su Mick, che aveva perso completamente la sua aria noncurante – dovevi aspettartelo. Credevi davvero che standoti sempre accanto non avrebbe imparato niente? –
- Se così non fosse stato Kaori quella notte sarebbe morta. – Era stata Saeko a parlare, era appoggiata al bancone del bar e teneva un tono fermo e tranquillo. Erano tutti tesi nello sforzo di tranquillizzare Ryo. O di farlo ragionare. – E tu lo sai. –
Ryo la guardò brevemente negli occhi e poi annuì, finendo il suo caffè.
- Beh! – Mick si rimise dritto e diede una gran pacca a Ryo, che per poco non inghiottì la tazzina – Ora cambieranno un sacco di cose tra voi, non è vero? –
Sei smorfie di vario tipo gli fecero capire che si era espresso davvero male.
- Sul lavoro!! Sul lavoro intendo. Insomma, ora è una vera sweeper, puoi fare più affidamento su di lei, no? – Ryo non cambiava smorfia. Indicò il martello accanto a lui e disse: - Da una che usa ancora simili mezzi trogloditi non affiderei nemmeno la custodia dei proiettili della mia Magnum. –
- Ehehe… Ma come sei pignolo! –
Ryo si alzò e si diresse verso l’uscita deviando leggermente verso le sorelle Nogami.
- Io vado, ci vediamo più tardi. –
- Tsk! Spero proprio di no. –
- Falco! –
Un urlo stridulo li fece sobbalzare.
- Ryo! Maledetto maniaco non cambi mai! –
Lo schiocco sonoro di uno schiaffo ben piazzato risuonò per il locale, lasciando la sua visibile traccia a cinque dita sulla guancia di Ryo.
- Eddai Saeko-chan! Ti sei già dimenticata tutti i tuoi debiti? E poi nessuna ragazza sembra interessata a me oggi, quindi possiamo approfittarne e andare subito in al…-
A Ryo non fu permesso di finire la parola. Con un movimento da manuale, Miki aveva afferrato il martello lasciato da Kaori e lo aveva lanciato con precisione millimetrica sulla testa di Ryo.
- Scusami Ryo. È che avevo promesso a Kaori di darti una martellata appena ti avessi visto. –
- Argh… dannata… Kaori… -
Ryo era sul pavimento con la faccia impressa sulle mattonelle. Si sollevò a fatica ricordando i movimenti di un insetto in agonia e si trascinò verso lo sgabello di Reika.
- Reika, tesoro… -
- Scordatelo Ryo. Sono molto arrabbiata con te e non pensò che mi passerà velocemente. – e gli diede una pestata.
- Femmine spietate, siete tutte contro di me. -
- Ben ti sta Ryo, così impari comportarti da pervertito. –
Ryo si sentì sollevare per la collottola e trascinare fuori.
- Argh! Lasciami bestione! Mettimi giù! Guarda che miagolo eh? Uargh! –
Ryo fu scaraventato di mala grazia sul marciapiede e la porta richiusa.
- E ve bene! dato che qui nessuno mi apprezza tornerò a donare i miei servigi alle belle fanciulle di passaggio. Ragazze! Dove siete? Arriva Ryuccio, lo stallone del Shinjuku!! Yahoo! –
- Ma tu senti… -

Quando calò la sera Kaori rientrò a casa, trovandola vuota. Per nulla stupita si diresse in camera sua e cominciò a spogliarsi. Si tolse la fondina da dietro la schiena e rimase a fissarla per qualche istante, poi estrasse la pistola. Non sapeva come, non sapeva quando, ma le cose erano cambiate. Erano cambiate per lei, erano cambiate per lui e ora sarebbero cambiate anche tra di loro; non sapeva quanto esserne felice. Sospirò e la rinfoderò. Qualsiasi cosa sarebbe successa l’avrebbero superata insieme.
“Che lui lo voglia o no…”
Sentì la porta di ingresso aprirsi e richiudersi e una voce familiare seguire il passo deciso che ormai conosceva alla perfezione.
- Kaori! Dove sei? È pronta la cena? –
- Tra un minuto, arrivo. –
Fece per uscire dalla stanza ma sulla porta ci ripensò. Afferrò la fondina e la rimise al suo posto dietro la schiena, poi scese. Giù di sotto trovò Ryo seduto sul divano che leggeva il giornale.
- A sei qui. Ho una fame da lupo. –
- Ci metto poco. –
Lui la osservò andare in cucina, irrigidendosi appena quando intuì la presenza dalla pistola.
Non poteva farci niente, si disse, così era lo stato delle cose e non si poteva più cambiare. Trattenne un sospiro e cercò di concentrarsi sul giornale. Le cose sarebbero cambiate, cambiate irreversibilmente. Ma era logico, doveva essere ubriaco quando aveva pensato di poter fare in modo che le cose non cambiassero mai. Davvero, ubriaco perso.
I rumori della cucina e i suoi odori cominciarono a spargersi per la casa, rilassandolo.
Non aveva mai sul serio pensato che le cose potessero cambiare, ma era successo. Ci si sarebbe adattato. Ci si adatta sempre. Non era neanche detto che non gli sarebbe dispiaciuto.
- È pronto. –
- Aaaarrivo. –
Kaori portò in tavolo e si sedettero a mangiare parlando del più e del meno.
Fuori, Shinjuku cominciava la sua solita e vivace attività: accendeva le insegne, lanciava inviti, stappava bottiglie, iniziava balletti. La vita riprendeva tranquilla, perché era così che andava, si riprendeva sempre.



Finita! L'avreste mai detto?
Spero che vi sia piaciuta tanto quanto a me è piaciuto riscriverla. Alla fine si sono aggiunte una trentina di pagine a quelle che avevo scritto in precedenza e sono anche cambiate un po' di cose, non solo i nomi. Spero, un giorno, di riuscire a finire anche il seguito (in quello mi sono cacciata nella classica situazione: e adesso come ne esco?) ma si vedrà.
E' stato un piacere ragazzi. Alla prossima! (Forse ^^')
Heresiae

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