About Wings and Tails

di _Ella_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I due poli ***
Capitolo 2: *** Verità gusto salsa e limone ***



Capitolo 1
*** I due poli ***



About  ings and  ails;

-I due poli.

 


Le Isole del Destino erano sempre state un posto tranquillo, ma tutt’altro che monotono.
Non c’era mai troppa confusione, non si correva mai troppo, tanto che alcune persone venivano lì dalla città per rilassarsi sulle bianche spiagge o con un picnic nel bosco. C’erano gli stessi negozi e negozianti da una vita, salvo passare agli eredi, ma comunque li si conosceva già da così tanto tempo che ti sembrava non fosse cambiato assolutamente nulla.
Pioveva di rado, il clima era così mite che in inverno si potevano tranquillamente indossare delle felpe un po’ più pesanti e continuare a far finta che l’estate fosse diventata un solo più fresca, tant’è che i ragazzi si divertivano un mondo a fare surf in quel mare le cui onde si increspavano più del solito.
Per tutta la settimana le persone lavoravano, uscivano a fare la spesa o compere e si fermavano a fare quattro chiacchiere coi negozianti, mentre i ragazzi andavano a scuola e dopo si rincontravano nel loro posto perché – anche se quelle isole non erano troppo grandi – ognuno magicamente ne aveva uno “proprio”.
Roxas aveva pensato che, vedendo da questo punto di vista il suo luogo di nascita, c’era tutt’altro che esserne fieri: non sembrava uno spasso, per dirla tutta. Il fatto era che gli abitanti rendevano così speciale quel posto che lui poteva semplicemente adorare.
Ogni giorno c’era qualcosa che incuriosiva, qualcosa che qualcuno aveva combinato che faceva ridere, qualche posto da andare a visitare in ricordo ai bei vecchi tempi, il calore che tutti ti riservavano come se fossero un’unica grande famiglia.
E poi – aveva notato nel corso dei suoi sedici anni – vivere in un luogo un po’ fuori mano dalle mode e dalle tendenze di tutto il resto del mondo era stato un bene: ogni adulto, ogni ragazzo e bambino, aveva l’opportunità di crescere senza che ci fosse l’esempio della massa, tant’è che lui non aveva neppure un amico che condividesse tutte le sue passioni, tutte le sue idee, neppure uno che portasse lo stesso paio di scarpe o lo stesso taglio di capelli.
Le Isole del Destino, coi loro colori sgargianti e forti, avevano impresso anche negli abitanti un’indole originale, rendendo quel luogo un’enorme tavolozza di colori che raramente creavano sfumature, tuttavia sin troppo belle per essere considerate un miscuglio di varie tonalità.
Roxas, del resto, non era un ragazzo fin troppo appariscente, ma non gli spiaceva. Faceva cose normali e viveva tranquillo, non faceva sapere troppo di sé.
Amava fare surf – e questo era anche il periodo dell’anno che preferiva, per farlo –, gli piaceva un mondo disegnare – soprattutto assieme la sua amica Naminé – ed aveva la passione per gli animali marini, che puntualmente cercava di immortalare sulla carta, quando si trovava a fissare lo specchio brillante del mare.
La sua routine non era neppure così esaltante: si svegliava presto, lasciava che il suo gemello Ventus andasse in bagno per primo mentre lui connetteva il cervello, poi si preparava e dopo la colazione andava a scuola, dove prima della campanella si rivedeva con alcuni dei suoi amici che comunque avrebbe visto durante l’intervallo e a lezioni finite; il pomeriggio studiava, faceva merenda con un panino ed un succo di frutta – sempre assieme al suo gemello –, leggiucchiava qualcosa oppure giocava ai videogiochi mentre aspettava che i loro amici venissero a chiamarli, così da rincontrarsi tutti nello stesso posto e starci fino ad ora di cena, tranne il sabato che tornavano più tardi.
Era una vita che non gli dispiaceva, per niente, anche perché Roxas non poteva assolutamente dire che non avesse delle sorprese.
Sbadigliò, stiracchiandosi sotto le coperte, poggiandosi sul fianco per spegnere la sveglia che trillava sul comodino e per poter guardare la sagoma di suo fratello che, nel letto lì di fianco, dall’altra parte del mobile bianco, ronfava ancora.
«Ehi, ehi. Ven…» borbottò, resistendo a stento dal non ficcarsi di nuovo con la testa sotto le coperte. «Dai, oggi hai l’interrogazione…».
«No, no. Non ce la faccio, non ce la faccio. Non ricordo niente, niente! Quella vipera mi ucciderà…» si lamentò l’altro, che nel frattempo si era già messo a sedere, le gambe incrociate tra le coperte sfatte. «Ti prego, vai al posto mio? Tu l’hai già fatta l’interrogazione!».
«Ma se ne accorge, abbiamo le voci diverse…».
«Di poco, pochissimo. Dai, dai. Dimmi di sì!».
“Non dovresti, Roxas. Non va bene mentire alle persone”.
“Ma cosa te ne importa! Sai meglio di me che tuo fratello verrà rimandato in arte, aiutarlo non fa male… e poi, a buon rendere. Un favore serve sempre”.
“Non mettergli in testa strane idee!”.
-Per l’amor del cielo, state zitti voi due. Già così svegli di prima mattina?-.
Roxas era un ragazzo normalissimo: scuola, passatempi e passioni, amici, e due esserini sulle sue spalle che potevano essere considerati la sua coscienza.
Li vedeva da che ne avesse memoria, inoltre ricordava che, nel bene e nel male, erano sempre stati loro ad influenzarlo con qualsiasi cosa: un Angelo ed un Diavolo con la sua faccia e vestiti strani indosso, che lo tartassavano con i loro consigli e non lo facevano riflettere, che litigavano tra loro e lo facevano impazzire.
“Scusaci, Roxas. Ma sul serio, è bene che Ventus prenda le proprie responsabilità”.
Sora era il suo Angelo. Capelli castani ed occhi celesti, un paio di alette piumate e bianche dietro la schiena, con l’immancabile aureola dorata – anche se era una corona vera e propria – , ed indossava una specie di vestitino bianco monospalla, tenuto su da una spilla dorata, e dei sandali? ai piedi. Era terribilmente ingenuo e buono, a volte un po’ asfissiante. Ma del resto, rappresentava la sua parte migliore.
“Responsabilità? Puah, per favore. Roxas, stammi a sentire: se fai questo scambio, poi potrai chiedergli di farlo anche per l’interrogazione di storia…”.
Ecco, questo era Vanitas, la controparte. Fisicamente era tale e quale a Sora, se non per i capelli neri e gli occhi ambrati, quasi gialli, due piccole corna rosse che spuntavano sul capo, una flessuosa coda puntuta al terminare della schiena dello stesso colore e un pantaloncino inguinale di pelle nera.
Ma chi era l’incapace disegnatore di quei modelli ridicoli?
Probabilmente la moda nell’aldilà aveva ancor meno importanza di quanta ne avesse lì alle Isole.
-Ragazzi, sul serio, mi sta scoppiando la testa- si lagnò mentalmente, coprendosi la faccia col cuscino.
Sora e Vanitas si fissarono male, prima di arrampicarsi sul comodino e rimanere lì seduti in silenzio. Erano alti quanto il palmo di una mano – o almeno, Roxas così li vedeva – e spesso si accomodavano sulla sua spalla, così leggeri che non riusciva a sentirli.
«Roxas, te lo chiedo per favore. Vai al posto mio, ti scongiuro… fai un po’ di voce rauca così la prof non se ne accorge…» continuò a pregarlo Ventus, che adesso lo aveva raggiunto sul letto, spostandogli dal volto il cuscino.
Sperava più di ogni altra cosa che quei due fossero andati via: quando si arrabbiava con loro, sparivano nel nulla in una piccola nube di fumo, per poi comparire solo quando ne aveva necessità; eppure erano ancora lì, accomodati sullo spigolo del mobile. Scoccò un’occhiataccia ad entrambi.
“Se lo farai, non solo dirai una bugia, ma gli impedirai anche di crescere” disse Sora, fissandolo coi suoi occhioni celesti, così uguali a quelli del suo gemello e quindi ai propri. “Non sempre dire di ‘no’ è facile, ma è necess__” Vanitas gli tappò la bocca in un attimo, attorcigliando la coda attorno al suo volto; nel frattempo, l’Angelo si dimenava.
“Vai all’interrogazione. Gli fai prendere un bel voto, lo fai contento. Guardalo, è disperato!” Sora riuscì a morderlo, così l’altro lo lasciò con un guaito di dolore, afferrandosi la coda tra le mani e carezzando la parte lesa.
“Invece di aiutarlo a mentire, potresti aiutarlo a studiare. Non ti costa nulla”.
Roxas guardò loro, poi fissò gli occhi di suo fratello.
«Ok, vado io, torna a letto» acconsentì e quello gli saltò al collo per abbracciarlo, mentre il Diavolo faceva un sorrisino soddisfatto e Sora si piazzava una mano in faccia. «Ma da oggi studiamo assieme, così poi la prossima volta ci vai tu» aggiunse, senza liberarsi della sua stretta.
Questa volta, fu Sora a sorridere trionfante.
 
A volte Roxas si chiedeva come potesse essere esserne uno solo nella sua testa. Insomma, da che ricordava non aveva mai fatto ragionamenti da solo visto che la sua coscienza divisa in due parti interveniva sempre, tanto che delle volte rimaneva persino delle ore assente ed in silenzio, tutto preso da battibecchi e discorsi interiori.
Altre volte si chiedeva se fosse l’unico che, guardandosi allo specchio, trovasse due fastidiosi mezzi puffi sulle spalle che si specchiavano e preparavano a loro volta, oppure commentavano senza riguardi i pensieri che faceva sul proprio fisico: quando pensava di essere troppo magro, Vanitas rideva e gli punzecchiava la guancia con l’estremità puntuta della coda e “Decisamente” diceva, mentre Sora gli ricordava che aveva sedici anni e che stava ancora crescendo e che l’aspetto esteriore non era assolutamente importante.
Quei due lo aiutavano sempre – e mettevano nei guai, del resto – poiché era davvero illuminante per uno come lui poter discutere con obbiettività con entrambe le parti del suo essere. L’eventualità di essere completamente pazzo, non lo sfiorava neppure.
E così adesso camminava verso scuola, la camicia della divisa scolastica tutta abbottonata tranne per l’ultimo bottone sotto il gilet e senza cravatta, così come si vestiva il suo gemello. Ah, ovviamente aveva l’immancabile polsino che, differentemente dal proprio, aveva le estremità bianche. La professoressa non doveva assolutamente notare, che lui non era Ventus, altrimenti sarebbero entrambi finiti nei guai, poco ma sicuro.
“Esatto, esatto. E ti starebbe bene, ti starebbe benissimo! Ah, Roxas, ma perché ascolti sempre quello lì!” si lamentò Sora, materializzandosi sulla sua spalla destra e battendo forsennatamente le ali, tanto che la coroncina con le tre punte che aveva in testa tremò. “Non è una cosa giusta, e lo sai bene anche tu”.
-Certo che lo so, ma è necessaria. Non gli ci vuole un altro brutto voto, a Ven- disse, grattandosi la nuca e facendo attenzione mentre attraversava la strada, aggiustando la tracolla sulla spalla. -Il fine giustifica i mezzi, no?-.
“Verissimo!” Vanitas ed il suo sorriso seducente sbucarono fuori, sull’altra spalla; probabilmente era per quel sorriso ipnotico che gli dava sempre retta. “Ma adesso non ti interessa neppure, giusto? Perché siamo quasi arrivati, e stai pensando a lui”.
-Smettila, Vanitas. Ti ho già detto che siamo amici-.
“Naturale” s’intromise Sora, sporgendosi per fissare male il Diavolo. “Sono amici, sei tu quello che pensa sempre al male!”.
Pff. Tanti discorsi sul bene e sull’amore e poi…”.
“Per me non ci sarebbe niente di male se ammettesse di esserne innamorato, ma sappiamo entrambi come immagini tu le cose…”.
-Ehi, ehi! Qualcuno mi sta a sentire? Ho detto che siamo amici e basta! Smettetela di fantasticare, e sparite-.
“Signorsì signore” sbottò Vanitas ridendo, prima di scomparire; Sora lo seguì a ruota.
Roxas prese un profondo respiro, prima di guardarsi attorno spaesato.
Bene, aveva anche sbagliato strada, per stare a sentire quei due. Si passò una mano in volto e fece dietrofront, iniziando a correre verso scuola.
Piccola postilla: non parlare più con quei due quando sei per strada.
 
Naturalmente, per colpa di quei due danni – Roxas solo così riusciva a definirli, perché creavano più casini di quanto dovessero – si era beccato un ritardo sul registro di classe con una lunga, lunghissima ramanzina da parte della vicepreside che gli aveva fatto il permesso per entrare, anche se si era presentato fuori scuola dieci minuti dopo che i cancelli erano stati chiusi.
Anzi, era Ventus quello in ritardo, lui quel giorno era assente.
Si chiedeva, mentre prendeva appunti sulla dimostrazione di un teorema, se la prof avesse creduto a quella storia, e se soprattutto l’avesse interrogato anche se mancava uno di loro. Magari era abbastanza tonta da crederci, se era fortunato – se erano fortunati, perché lui si stava mettendo nei guai per il suo gemello.
In una nuvoletta bianca e con un piccolo “puf”, Sora gli comparve nel campo visivo, seduto sul suo porta pastelli e con l’aria piuttosto imbronciata. Anzi, più che imbronciata: lo stava fissando male, malissimo.
Capendo che non avrebbe parlato né sarebbe andato via se non gli avesse dato retta, Roxas sbuffò e poggiò la guancia sul pugno chiuso, sperando che il prof non notasse che era distratto, altrimenti Ventus si sarebbe beccato una nota, oltre che un ritardo.
-Dimmi, Sora-.
“C’è anche bisogno che te lo dica?!” urlò, e la vocina divenne terribilmente stridula. “È… è uno sbaglio, quello che stai facendo!” disse, avvicinandosi a lui e bloccandogli la penna quando tentò di tornare a scrivere per ignorarlo. Ma quell’Angelo era straordinariamente bravo ad essere sempre al centro dell’attenzione, del resto.
-E cosa vuoi che faccia, eh?-.
“Dici la verità!” lo pregò, tenendo stretta al petto la biro, alta tre dita più di lui; praticamente era come se lui abbracciasse un palo della luce, o quasi… magari un palo della luce alto quanto gli alberelli che stanno lungo il marciapiede fuori casa… ecco! “Roxas, ascoltami! Sei in tempo per dire che sei Roxas, e…”.
-E… cosa? Torno a casa e dico a Ven che mi sono pentito di questa colossale cazzata? Non se ne parla, è il mio gemello, se dobbiamo cacciarci nei guai, lo si fa assieme-.
“Bravo ragazzo” Vanitas sbucò dal nulla, seduto a gambe spalancate sul libro di geometria che aveva poggiato sul banco dall’inizio dell’ora.
Ecco, solo quest’altro ci mancava…
Quest’altro, caro il mio biondino, è parte della tua coscienza, e sente i pensieri che fai, anche se non li rivolgi direttamente a me” fece indispettito, la coda rossa che vibrava tesa in aria; Roxas roteò gli occhi, mosse un po’ la penna per costringere Sora a lasciarla e scrisse le ultime cose che c’erano alla lavagna, così almeno avrebbe potuto rileggerle a casa e farsele spiegare da Aqua, magari, la sua vicina tanto brava in tutto.
-Mi avete stufato, sul serio-.
“Ah, sentitelo, è nervoso” la risata roca di Vanitas vibrò nell’aria, la coda gli finì sotto il naso così il Diavolo la leccò lascivamente per provocarlo, fissandolo dritto negli occhi. “Perché, hm? Forse perché non hai visto Axel, stamattina?”.
“Oh, è vero! Gli avevi promesso dieci minuti prima delle lezio__”.
-Grazie, Sora, me lo ricordo!- sbottò esasperato, poi punzecchiò entrambi col tappo della sua biro nera. -Andate via, non sono dell’umore giusto- ringhiò mentalmente, guardando stancamente alla lavagna e poi girò il viso verso sinistra, fissando fuori dalla finestra gli alberi del bosco della città, esattamente al confine con la scuola. Cercò di giocare con gli anelli che solitamente aveva alle dita, e con malinconia dovette ricordare che non li aveva, perché Ventus non li portava.
Sospirò: voleva solo che quella giornata finisse prima possibile, che la prof gli mettesse un buon voto e che soprattutto non notasse che c’era il distacco dell’abbronzatura sull’indice ed il medio mancini, altrimenti da brutto quel giorno sarebbe diventato una vera e propria catastrofe.
Abbandonò la testa sul banco, sospirando e singhiozzando quasi.
«Ehi, tutto bene?» gli chiese Kairi, sua compagna di classe nonché parte del suo gruppo, seduta esattamente dietro di lui; rispose con un grugnito, senza neppure disturbarsi di darle una vera e propria risposta. «Dimmi un po’, Ven… come mai tuo fratello non è venuto? Axel ha dato di matto, stamattina».
Si sarebbe anche dispiaciuto del fatto che, nonostante si vedessero tutti i giorni a scuola, non l’avesse riconosciuto, ma poi la notizia che aveva appena formulato prese la prima occupazione nella sua mente: il diciassettenne lo avrebbe ucciso, gli avrebbe piantato negli occhi due legnetti puntuti e si sarebbe mangiato il suo cuore, ne era sicuro. Sperò con tutto se stesso che non lo riconoscesse.
«Ehm… mal di stomaco» mentì, cercando di rendere più rauca possibile la voce, mentre si lisciava il gilet grigio e poi ritornava ad ascoltare il professore.
La giornata peggiorava, peggiorava alla grande.
Era meglio che mi facevo gli affari miei, pensò, ed il suo pensiero aveva la voce così dannatamente simile a quella di Sora.
Pochi minuti prima che suonasse la campanella e che quindi fosse l’ora dell’interrogazione, Roxas aveva cominciato a sudare freddo; non era mai stato granché bravo a contenere l’ansia, e non voleva combinare nessun casino, assolutamente.
Quando la donna entrò, e lo vide bianco come un cencio aggrappato all’angolo del banco, gli rivolse il sorriso più sadico che aveva, e Roxas pensò che Ventus aveva tutte le ragioni del mondo ad esserne spaventato, perché nei suoi confronti era davvero terrificante.
 
L’interrogazione, durata esattamente cinquantatre minuti – salvo qualche attimo in cui l’arpia si dedicava una pausa per pensare quale domanda porgli – era andata una meraviglia. Le aveva spillato un otto e mezzo che aveva fatto ben attenzione a controllare che segnasse a penna, gli aveva fatto i complimenti, e adesso quell’idiota di suo fratello Ventus poteva stare tranquillo fino alle vacanze di Natale, e lui avrebbe fatto di tutto per fargli entrare qualcosa in quella testa di coccio.
Finalmente nel corridoio, Kairi lo affiancò, ed entrambi raggiunsero in fretta gli altri del gruppo al campetto di calcio nel retro della scuola, vicino ai parcheggi ed al bosco.
Nonostante l’ottimo voto, Roxas aveva voglia di piangere.
Del suo gruppo lì a scuola non c’erano tutti, ma la maggior parte dei componenti.
C’era Kairi, la ragazza sedicenne in classe con lui, occhi celesti e corti capelli rossicci, sempre allegra e gentile; lui non l’adorava, visto che alcune volte era un pochino appiccicosa, ma tutto sommato non la trovava affatto male, anche perché era la sorella del suo migliore amico, quindi era abituato ad avercela intorno.
C’era Naminé, sua migliore amica da quando avevano i pannolini, così terribilmente delicata e gentile da ricordagli un fuscello, ma la verità era che con quegli occhi che sembravano un violetto spento ed i capelli chiarissimi dava l’idea di poter svanire da un momento all’altro e lasciare soltanto il blocco da disegno che si portava sempre in giro, aspettando che l’ispirazione arrivasse.
C’era Xion, la cugina dai capelli corvini di Kairi nonché sua prima cotta; era riuscito anche a darle un bacio quando in seconda media erano in classe assieme, ma lei dopo l’aveva gentilmente rifiutato, dicendogli che voleva che rimanessero solo amici. Lui troppo male non c’era rimasto: del resto, era riuscita a baciarla, quindi niente rancore.
C’era Demyx, il ragazzo di quarta con la cresta e gli occhi azzurri che organizzava sempre le feste lì nei dintorni, e gli voleva davvero benissimo, perché era di una bontà e di un’ingenuità che gli ricordavano tantissimo le qualità di Sora, e poi chiacchierare con lui lo metteva sempre di buon umore perché sapeva sempre qual’era la cosa migliore da dire per tirare tutti su di morale.
Infine – ma non meno importante, anzi – c’era Axel, la colpa del suo attuale terrore, nonché suo migliore amico. Axel aveva diciassette anni, occhi verdi e capelli rossi di natura che poi aveva tinto per rendere ancora più rossi (ma questo lo sapevano solo loro due), era piuttosto inquietante quando voleva, ad esempio se doveva prenderlo in giro o quando lo faceva innervosire, per il resto era un’alternanza di momenti tranquilli ad altri nei quali ti faceva venire un gran mal di testa. Ma gli voleva bene, tanto, perché avevano passato assieme i dieci anni più belli dalla sua vita, e gli doveva molte cose.
Li salutò tutti con un sorriso ed il rosso in questione lo fissò senza dire nulla, prima di inarcare un sopracciglio.
Merda, se ne è accorto.
“Certo che se ne è accorto, conosce meglio il tuo corpo che il suo” lo sfotté Vanitas, comparendo sulla sua spalla, solleticandogli l’orecchio con la coda.
-Non ora!-.
“Dai, stai calmo, basterà spiegargli come sono andate le cose” l’Angelo comparve dall’altra parte, aggrappandosi al suo collo.
«Ehm… Ven, posso parlarti un attimo?» disse il rosso, non molto convinto, e lui si trovò ad annuire meccanicamente, mentre lo seguiva un po’ più lontano perché nessuno del gruppo li sentisse.
Sperò con tutto se stesso che, anche se per sbaglio, Demyx intervenisse come suo solito, anche se non sperava in un miracolo improvviso, e sospirò pesantemente alla schiena dritta dell’altro, che lo precedeva.
“Uhm, Roxas, alza un po’ gli occhietti. So che ha un bel culo, ma fissarglielo così spudoratamente…”.
«NON GLIELO STO GUARDANDO!» urlò, lo urlò sul serio, e la risata sfacciata del Diavolo rimbombò tutta contro i suoi timpani, ed Axel si girò di scatto nella sua direzione, prima spaventato, poi sconcertato, ed infine sinceramente divertito, tanto che le sopracciglia aggrottate lasciarono spazio ad un’espressione sinceramente compiaciuta, mentre rideva mantenendosi la pancia con le mani.
-Ti odio, Vanitas- asserì, e quando sentì che anche Sora stava ridendo, mandò entrambi a quel paese e si limitò ad incrociare le braccia al petto, continuando a fissare il rosso che quasi si accasciava a terra per il troppo ridere.
Cosa ci trovasse di così divertente, poi, lui non l’aveva davvero capito.
«Se avevo anche un solo dubbio sul fatto che tu fossi Roxas o meno, adesso non c’è più!» continuò a ridere.
Ah, ecco perché.
Naturalmente, era lui il più schizzato tra i gemelli.
«Axel, smettila di ridere…» lo pregò avvicinandosi, quando si rese conto che gli altri guardavano nella loro direzione. «Se la smetti giuro che ti spiego tutto, e poi puoi anche insultarmi per stamattina».
«Oh, questo è sicuro, nanetto» Axel era tornato improvvisamente serio, ma non troppo, il solito ghigno in volto.
“Dai, lo so che ti arrapa. Non me la dai a bere, Roxas!”.
-Giuro che se non sparisci darò retta a Sora per tutto il resto della mia esistenza- il Diavolo sbuffò, poi rise lascivo prima di sparire e lasciarlo finalmente da solo con l’Angelo, che se ne stava zitto e buono seduto sulla sua spalla.
Si accomodarono entrambi per terra, le spalle contro il muro. Axel gli afferrò noncurante la mano sinistra, sfiorando con le dita i segni pallidi che avevano lasciato gli anelli, e lui cominciò a raccontargli con calma quel che era successo quel mattino, omettendo i particolari meno importanti, tipo che aveva sbagliato strada per colpa di quei due. Il rosso non gli chiese neppure di spiegargli come potesse essersi confuso, visto che ormai ci era più che abituato alla sua perenne distrazione.
A volte ci aveva pensato. Spiegargli tutte le cose non dette, le cose che aveva omesso sin dai primi momenti, tutti quei buchi che non aveva nemmeno provato a riempire con qualche scusa. Roxas gli aveva sempre detto tutto, tutto, ogni singola cosa, tranne quelle riguardanti alle sue coscienze e le coscienze stesse, per paura di essere giudicato. Se Axel non gli avesse creduto? O peggio gli avesse dato del matto? Perché quella di essere completamente fuso, era un’opzione che Roxas non aveva mai scartato.
Insomma, supponeva non fosse normale avere e vedere, soprattutto, un Angelo ed un Diavolo consiglieri. Una volta aveva pianto, persino, ed aveva chiesto a Sora se fosse il caso di dire tutto a sua madre, al suo gemello, al suo migliore amico, e l’esserino era stato zitto, gli aveva asciugato i lacrimoni con le mani piccine ma non aveva detto niente, ed anche Vanitas era rimasto in silenzio e gli aveva porto un fazzoletto invece che la solita presa in giro.
Quella probabilmente era stata l’unica volta che non gli avevano consigliato cosa fare, e ché e ché Roxas ne dicesse – che erano fastidiosi, che lo mettevano nei guai – il pensiero di non avere mai più il loro parere lo spaventava alquanto. Come facevano gli altri a prendere le decisioni da soli?
Roxas finì lo sproloquio, e prese un grosso respiro.
«Tu? Che dovevi dirmi stamattina?» chiese infine, girandosi a guardarlo e storcendo un po’ il naso per l’acre odore di fumo che veniva dalla sua sigaretta ormai finita.
«Lascia stare» disse il rosso, spegnendo il mozzicone tra la ghiaia. «Piuttosto, oggi raggiungimi agli allenamenti di basket prima di passare in spiaggia per il surf, Riku ha detto che deve darti una cosa, boh…».
«Oh, sarà il libro che gli ho chiesto di prestarmi, fantastico! Non vedevo l’ora di leggerlo» disse, e nel mentre la campanella s’annunciò in tutta la sua confusione. «Torniamo a casa assieme? Esci un ora dopo, ma posso aspettare» chiese, afferrando la mano di Axel che lo aiutò a tirarsi su e successivamente scosse la testa, mentre raggiungevano anche gli altri.
«Niente da fare, Demyx mi ha chiesto compagnia per aiutarlo a studiare per l’interrogazione di domani, e vado a casa sua» spiegò, e gli cinse le spalle col braccio mentre gli posava un bacio tra i capelli. «Il piccolo Roxy è triste?».
«Tantissimo!» rise ironico, prima di scrollarselo di dosso. «Corro in classe, vado per di qui che faccio prima… ci vediamo agli allenamenti» lo salutò, e fece un cenno anche agli altri, mentre raggiungeva Kairi che saliva per le scale d’emergenza.
 
Praticamente, quando era tornato a casa ed aveva detto al suo gemello come era andata l’interrogazione, Ven gli aveva fatto la ola, e nonostante l’assenza totale di onestà anche i suoi genitori gli avevano detto che era stata una buona trovata, ed avevano chiuso un occhio.
Adesso era in camera avanti al pc, nessuna voglia di studiare, mentre il suo gemello leggeva steso a pancia in giù sul letto. Era un pomeriggio parecchio tranquillo, quasi noioso, e non vedeva l’ora di uscire di casa per andare al campo da basket e poi fare surf in spiaggia, dove aveva appuntamento coi soliti.
Sbadigliò, girando sulla sedia con le rotelle fino a fermarsi in direzione del suo gemello e dare le spalle alla scrivania col pc ancora acceso.
“Che. Bel. Culo… ah, se fossi lì che gli farei…”.
-…I tuoi pensieri mi molestano la mente, Vanitas. Che schifo, è il mio gemello!-.
“Infatti non capisco come sia possibile che lui avrei voglia di farmelo mentre te mi faresti senso. Probabilmente perché siamo la stessa persona…”.
-Oh mio…-.
Roxas si passò una mano in faccia, prima di sbirciare oltre la mano la piccola sagoma del Diavolo, seduto sul bracciolo della sedia tutto intento a fissare il suo gemello, mordicchiandosi la punta della coda.
“E dai, smettila, non vuole sentire i tuoi commenti su Ventus” Sora comparve nel giro di un momento, poggiato sul suo ginocchio e il viso in direzione di Vanitas. “Tienile per te, queste cose”.
-Se è per questo, Sora, oggi come sai si va al campo… per favore, non mi frega un accidente di quanto siano bianchi i capelli di Riku, o altre menate sul fatto che nemmeno da dove vieni il bianco era così bianco, e che cos’è- disse e l’Angelo mise su il broncio, arrossendo, mentre Vanitas rise fortissimo ed approfittò per prenderlo in giro.
Riku faceva parte del loro gruppo, aveva la stessa età di Axel e Demyx, e nonostante non andasse con loro a scuola lo avevano conosciuto grazie al rosso, che praticamente lo conosceva sin da bambino perché facevano sport assieme, ed era una vera forza, anche se a volte lo faceva parecchio incazzare. Da che lo avesse conosciuto, comunque, Sora aveva iniziato a fare commenti particolari su di lui esattamente da quando Vanitas aveva cominciato con suo fratello.
A volte si chiedeva se non fosse per colpa loro che delle volte faceva dei pensieri non proprio… normali?
“Ah, Roxas… noi siamo te. Se a noi piacciono i maschi, è perché a te piacciono per primo” puntualizzò il Diavolo, sorridendogli sottile e sparendo prima che potesse ribattere o insultarlo in qualche modo.
Il biondo sospirò forte, ed anche la parte buona della sua coscienza andò via in uno sbuffo.
Mandò un’occhiata all’orologio e si decise finalmente a darsi una mossa, visto che voleva fare una doccia prima di uscire di casa.
«Ven, mi infilo sotto la doccia» borbottò mentre prendeva i vestiti puliti e il suo gemello mugolò in risposta, troppo immerso nella lettura per dargli retta sul serio
Si chiuse la porta del bagno alle spalle, e Sora e Vanitas sbucarono sul lavandino, seduti vicino il piattino su cui tenevano poggiato il sapone; cominciò a spogliarsi tranquillo, sorpreso che quei due alle sue spalle non si stessero azzannando, visto che erano peggio di gatto e cane.
“Qualche volta perché non la fai la doccia assieme al tuo gemello, eh?” provò il Diavolo, e si girò a fissarlo accigliato. “Che palle, Roxas, dopo la partita di calcio la settimana scorsa hai fatto le docce negli spogliatoi e c’era Riku, tocca anche a me adesso!”.
-Ma Sora non fa pensieri spinti ad alta voce, Vanitas. Quindi smettila di insistere- disse, mentre si infilava sotto il getto caldo dell’acqua.
“E poi io non l’ho guardato mica!” ribatté l’Angelo, agitando le ali bianche. “N-non sono come te”.
“Se, certo. E speri anche che ci creda? Se te lo stavi mangiando con gli occhi” ghignò il corvino, punzecchiandogli il sedere con la coda.
Roxas cercò di ignorarli, mentre si insaponava la pelle. Se loro litigavano non era di certo affar suo, poteva anche far finta che non ci fossero almeno per la durata della doccia.
Fece con calma e, quando si disse che era davvero ora di uscire, o avrebbe fatto tardi, si asciugò a stento con un asciugamani e infilò velocemente i vestiti, che gli si incollarono contro la pelle visto che era ancora umida.
“Ahia, le ali!” Roxas alzò lo sguardo quando sentì Sora piagnucolare e, vedendo che Vanitas si stava divertendo un mondo a strappargli le piume e sembrava non avere davvero intenzione di finirla, si mosse velocemente per cercare di dividerli.
Peccato che i suoi piedi fossero bagnati, che il pavimento fosse umido di vapore e che non ci fosse nulla cui aggrapparsi.
La botta che prese alla nuca fu così forte da togliergli il fiato e, mentre l’ultima cosa che sentiva erano le voci preoccupate di Sora e Vanitas che lo chiamavano, non poteva davvero immaginare che sarebbe stata l’ultima volta che li avrebbe sentiti nella propria testa.













TADAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAN.
Sono caduta nella trappola di un'altra long <3
Come ho già annunciato in "La quarta parete" Questa non sarà molto lunga, affatto, credo che intorno ai 5 capitoli riuscirò a finirla :3
E, essendo molto più semplice da scrivere - sia per lo stile che ho utilizzato, sia per la tematica vagamente comica - credo che sospenderò per un po' gli aggiornamenti della Parete, per poter scrivere e finire questa e poi dedicarmi completamente alla stesura dell'altra :3
Dunque!
Come già avrete dedotto, i pairing trattati saranno l'AkuRoku, la RiSo, ed un VanitasxVentus per me completamente nuovo; ad ogni modo, saranno solo accenni, non voglio rendere questa fic il solito polpettone sentimentale che non se ne scende giù nemmeno coi digestivi migliori XD
Poi ce ne saranno degli altri, accennati ancor più vagamente (nel senso che le coppie sono già formate, quindi ci sarà qualche sorrisino dolce o bacetto innocente, per capirci bene).
ALLORDUNQUE QUA QUA (?) - non fateci caso, colpa della mia prof d'italiano e latino che continua ad inculcarci questi motti strani -.
Vi lascio con questo... prologo? Beh no, diciamo che è un vero e proprio primo capitolo, con la speranza che sia piaciuto, naturalmente :3
Fatemi sapere miei prodi (?) che Ella attende impaziente e promette che nel giro di una settimana il continuo arriva!
le utlime parole famose. 
Ah, per capirci bene, la coroncina che Sora ha in testa è esattamente quella che ha come ciondolo, solo che qui è dorata, essendo un aureola :3
E adesso fuggo, che ho da scrivere BarAonda, che è 4 mesi che non si aggiorna!
MihaChan mi prenderà a fucilate.
Alla prossima, dolcissimiHHHH

See ya! 




 

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Capitolo 2
*** Verità gusto salsa e limone ***



About  ings and  ails;

-Verità gusto salsa e limone.



La prima cosa che percepì dopo quella che gli sembrò un’eternità, fu un grande mal di testa.
La sentiva vuota e dolorante, e gli fischiavano le orecchie. Non si sarebbe stupito se, invece che il buio contro per le palpebre chiuse, fosse uscita la scritta “Trasmissioni interrotte”, perché quel sibilo fastidioso che vibrava contro i timpani era sicuramente lo stesso di quando c’era un’interferenza in TV.
Quando il senso di smarrimento e la nausea si calmarono un po’, Roxas cercò finalmente di aprire gli occhi, piuttosto intontito.
«Mamma, mamma, si è svegliato!» la voce di Ven quasi gli fece esplodere la scatola cranica, così portò velocemente le mani alle orecchie.
Era in camera sua, niente di strano. Adesso che ci faceva caso c’era qualcosa a fasciargli la testa, forse bende, ed aveva i piedi poggiati su qualche cuscino. La prima cosa che realizzò, fu che aveva dato per l’ennesima volta buca ad Axel e che non ci sarebbe stato nessun allenamento di surf quel pomeriggio, sempre che non fosse rimasto svenuto per ore ed ore intere.
Tutta colpa di quelle due piaghe.
Cercò di mettersi a sedere e il suo gemello lo aiutò, sistemandogli bene il cuscino dietro la schiena.
«Hai un bel bernoccolo» sghignazzò, aggiustandogli meglio le bende che stavano iniziando a scivolare giù.
«Per quanto ho dormito?» chiese, tastandosi dietro la testa per cercare i segni della sua caduta; quando beccò sotto i polpastrelli un rigonfiamento piuttosto evidente, sibilò dal dolore.
«Hm, una ventina di minuti, non di più…» rispose, stringendosi nelle spalle prima di farsi da parte per lasciare spazio a Mary, loro mamma dai capelli biondi ed occhi celesti, esattamente come loro.
«Come ti senti?» chiese, sedendosi sul bordo del letto e carezzandogli il volto.
«Intontito» ammise, sospirando. «E scommetto che non posso uscire…».
«Bingo» la donna gli afferrò il naso tra le dita, poi gli posò tra le mani una borsa con dentro il ghiaccio. «Mettila dove hai gonfio, che così passa prima, e cerca di non addormentarti».
Addormentarsi pensando ad Axel che avrebbe voluto ucciderlo? Improbabile. Magari lo risparmiava, sapendo che non era colpa sua, no?
Si grattò la tempia, mentre poggiava l’impacco sul bernoccolo. Era tutto così silenzioso.
«Mettiamo un film?» propose Ventus, mentre spegneva le luci e tirava le tende.
«Hm, sì, decidi tu» borbottò, mentre si metteva più di lato per lasciare spazio al suo gemello sul letto.
Decisamente, c’era troppo silenzio: fu nel bel mezzo del film, che se ne rese conto.
Woody e Buzz erano appena caduti giù dall’auto, senza che Andy se ne rendesse conto. A volte Roxas si era chiesto come potesse quel bambino essere così tonto da non accorgersi che i propri giocattoli si muovessero, poi ogni volta si dava dell’idiota perché effettivamente i giocattoli non prendevano certo vita. O almeno credeva. Insomma, certe volte alcuni film o cartoni animati ti mettono in testa idee così strane e balorde che suonano benissimo, e non riesci mai a staccartene del tutto. Ogni tanto li immaginava, i suoi giocattoli lamentarsi per il fatto che fossero in uno scatolone in soffitta.
Ad ogni modo si rese conto, mentre quei due se le menavano sull’asfalto, che non li sentiva, ed era per questo che si era sentito così strano.
-Ragazzi…?- provò, più volte, ma non ci fu risposta; sperò con tutto se stesso che non si fossero uccisi a vicenda mentre lui era svenuto sulle piastrelle del bagno.
Magari… magari non riusciva a richiamare Sora e Vanitas perché la testa gli faceva ancora malissimo?
Sì, magari è così.
Forse se aspettava un altro po’, quei due ritornavano. Il fatto era che era così strano ma così infinitamente bello, non sentirli in continuazione nella sua testa; del resto era stata colpa loro se adesso era segregato in casa a vedere Toy Story e non era andato né a salutare Axel, né a prendere il libro di Riku né tantomeno agli allenamenti di surf.
Sospirò rilassato, ascoltando il silenzio nella sua testa, rotto solo dai propri pensieri. Esserne uno era davvero così rilassante?
Si stiracchiò un poco, scivolando più in basso.
«Non dormire» lo raccomandò Ven, e lui sorrise.
Dormire?
Nemmeno per sogno, adesso che poteva ascoltare la pace più assoluta: niente litigi, niente battibecchi al di fuori dei suoi interessi. Niente Sora che gli ripeteva che faceva un mare di errori, niente Vanitas che cercava di fargli fare sempre la cosa più pericolosa in assoluto. Non ricordava di aver mai visto un film senza i loro commenti in sottofondo, critici, fuori luogo, come quelli dei ragazzini fastidiosi che puntualmente becchi seduti dietro di te al cinema.
Era silenzio, nella testa, quello così acuto che ti fanno male le orecchie ed inizi a sentire quello strano sibilo sordo che non hai idea da dove provenga. Il mal di testa passava più in fretta del previsto, mentre quel ragazzino con la faccia da tonto pescava col braccio meccanico i due pupazzi.
Magari qualcuno aveva sradicato Sora e Vanitas dal suo cervello esattamente allo stesso modo, rendendoli due pupazzetti inanimati privi di qualsiasi utilità.
-Sora? Vanitas?- provò ancora, ma non ci fu risposta che non fu una battuta del film.
Sperò che tornassero a fare confusione il più tardi possibile.
 
La chiamata di Hayner era arrivata prima di quanto credesse: di solito, quando non riusciva ad avvisare né lui né tantomeno Olette o Pence che non sarebbe andato in spiaggia, si ricordava di chiamarlo solo dopo cena. Ma del resto il cervello di quel ragazzo non funzionava affatto senza che ci fosse qualcosa di consistente nello stomaco.
Roxas all’inizio aveva creduto che fosse Axel, e con sollievo aveva realizzato che non avrebbe subito nessun rimprovero, per il momento.
“Axel è venuto a cercarti qui da noi” disse però il suo amico, dall’altra parte del telefono. “Era piuttosto incazzato” e rise.
A lui veniva solo da piangere. «Ha… ha detto qualcosa?».
“Niente di niente. Meglio se lo chiami” e dopo averlo salutato staccò, lasciandolo sospirare al “tu-tu” del telefono.
Aveva voglia di chiamare il proprio migliore amico, ma non ne era certo. Insomma, d’accordo, quel mattino non era arrivato in tempo al loro “appuntamento” – ma comunque gli aveva spiegato il perché, nei limiti del possibile – e quel pomeriggio non l’aveva raggiunto agli allenamenti di basket, ma avrebbe comunque potuto chiamarlo, magari per informarsi se stesse bene o meno. Di certo non era lui ad avere torto, per niente.
No, sbaglio?
E sbuffò sconsolato, sbattendo con rancore la cornetta che aveva ancora tra le dita nella base del telefono, quando gli rispose soltanto l’eco dei propri pensieri. Non aveva realizzato che stare senza Sora e Vanitas significasse decidere da solo: come faceva, adesso?
-Andiamo, ragazzi… se è uno scherzo non è divertente!- ma ancora una volta non ci fu risposta diversa dal silenzio.
Passando una mano in volto, si rese conto che avrebbe dovuto trovare una soluzione da solo, e all’istante, perché un minuto di ritardo per chiamare Axel significava giocarsi la vita. Però lui non si era affatto preoccupato di vedere che fine avesse fatto, diamine!
Ok, Roxas, ok. Calmo. Analizza la situazione come se ne fossi in tre.
La sua opinione era… ok, non aveva opinioni al momento.
Quella di Sora sarebbe stata di certo: “Chiamalo, Roxas, non è bello mancare agli appuntamenti e non farsi sentire. Magari si è offeso!”. E a quel punto lui avrebbe detto “Uhm, sì, mi sa che hai ragione.
Però c’era Vanitas, che avrebbe tirato una frustata all’Angelo con la sua coda ed avrebbe attirato la sua attenzione col solito sorriso mellifluo: “Ehi, è il tuo migliore amico – anche se un po’ ti attizza, ammettilo. Se non si è preoccupato per sapere che fine hai fatto, non hai motivo di interessarti a tua volta”. Ed ascoltando le sue parole, Roxas avrebbe sentito il solito pizzicorino alle labbra, avrebbe mordicchiato quello inferiore – come stava facendo anche ora – e si sarebbe messo a pensare.
Sora o Vanitas? Vanitas o Sora?
Sei da solo, Roxas. Adesso che parli con qualcuno che non c’è più sei pazzo sul serio.
«Roxas, ti senti bene?» sua madre gli afferrò delicatamente le spalle, riscuotendolo. «Stai qui a fissare il muro da cinque minuti…».
Perfetto, sanità mentale a puttane, completamente.
«Sì, sì» si affrettò a rispondere, titubante, quasi sconvolto. «Io… io salgo in camera, mi porto il telefono» e lo afferrò alzandolo dal tavolo lì in corridoio per sbrigarsi a salire le scale; Mary tentò inutilmente di fermarlo, e l’attimo dopo il telefono gli era caduto di mano ruzzolando per terra.
Un sospiro. «Era quello fisso, Roxas…».
«…L’avevo dimenticato».
E questa volta non poteva dare la colpa né all’Angelo né al suo Diavolo, se sua madre stava a fargli una ramanzina che non finiva più sul fatto che fosse sempre costantemente distratto ed imbranato, con chissà cos’altro in quella testolina bionda.
Aveva quasi voglia di dirle che adesso non c’era niente, proprio più niente - nessuno, e che questa novità lo mandava fottutamente nel panico.
Come aveva potuto pensare che potesse essere una forza, il ragionare da soli?
Finalmente liberatosi da sua madre, Roxas era salito in camera e, sotto lo sguardo scioccato di Ventus, aveva tirato un urlo di frustrazione.
Doveva parlare con qualcuno, subito. Doveva trovare dei sostituti a quelle coscienze che erano andate bellamente a farsi un giro chissà dove, forse Honolulu, con tanto di ghirlande ed intenti a bere succo d’ananas, mentre il moro guardava senza il minimo pudore il sedere di qualche surfista ignaro.
Girò di scatto la testa verso il proprio gemello, che deglutì, terrorizzato: «Oggi sei più fuori del solito…».
«Non capisci, Ven, non capisci!» urlò, saltandogli addosso ed afferrandogli le spalle, scuotendolo con vigore, gli occhi puntati nei suoi sgranati. «Io… io non so come decidere, capisci? Non c’è nessuno che mi parla, nella testa! Nessuno, Ven, nessuno! Niente di niente!».
«Oh mio Dio…».
«Esatto, esatto, adesso capisci il problema, lo capisci?».
«Mamma! MAMMA!».
«Ecco, meglio che chiami anche lei, cazzo, io non so come fare! Ti va di fare una delle due parti, sì?».
«Lasciami, Roxas, ora! Mi fai paura, molla!».
Lo spinse per terra, e lui lo guardò senza capire davvero. L’attimo dopo si era steso con la schiena contro il pavimento, nascondendo il volto tra le mani e soffocando un singhiozzo di completa disperazione. Respirò piano, cercando di calmarsi, provando a riprendere controllo del filo dei propri pensieri: senza quei due ad occupargli la testa, sembrava di avere davvero troppo spazio e non riusciva a controllarlo.
Ventus si avvicinò, trascinandosi sulla sedia a rotelle, pungolandogli il fianco con la punta dei piedi scalzi.
«Lasciami in pace» ringhiò.
«Senti, sei convinto di non essere strafatto?».
«Sta’ zitto» sbottò, lasciando scivolare le braccia accanto ai fianchi, mandando via il suo piede con una manata nervosa. «Ho dato buca ad Axel, sia stamattina che oggi pomeriggio… e non si è fatto sentire: mi ammazza».
«Allora chiamalo» concluse con semplicità il suo gemello, sorridendogli. «Almeno ti levi un peso dal cuore».
Roxas si morse le labbra, tirando un po’ i ciuffi sulla fronte prima di rimettersi a sedere. «Come fai?» chiese, ma l’altro lo guardò senza capire. «A decidere, senza che nessuno ti dica niente…».
«Ehm… come tutti?» rispose titubante e lui lo fissò smarrito. «Cioè… vedi l’ipotesi che ti va meglio… credo… che ne so, viene naturale!».
Naturale, sì, certo. Per lui era naturale quanto un elefante rosa a pallini verdi.
Che poi il rosa ed il verde stavano così male assieme…
Annuendo, non molto convinto, Roxas s’alzò per afferrare il cordless che s’era portato dietro ed aveva lanciato malamente sul letto, appena aveva messo piede in camera. Compose il numero con la morte nel cuore, mentre sempre tirandosi i ciuffi biondi fissava vacuamente il soffitto. E se Axel l’avesse mandato a quel paese?
“Chi non muore si rivede… beh, risente”, il tono un po’ acido gli fece stringere lo stomaco.
«…Che ne sai che sono io?».
“Ho letto il futuro dai tarocchi di mia nonna…” una mezza risata ironica. “Guarda che esce il numero sul telefono, sveglione”.
«Ah».
“Già”.
Sospirò. «Senti Axel… ehm, oggi sono svenuto… ho preso una botta dietro la testa – ho un bernoccolo enorme, infatti. Mi spiace non essere venuto, davvero» ammise, sentendosi finalmente più leggero.
“Oh… stai bene adesso?” quando sentì il suo tono addolcirsi, apprensivo come al solito nei suoi confronti, gli sfuggì un sorriso. “Va be’ che è certo, con la testa dura che hai” rise e lui lo seguì.
«Attento a come parli, eh!».
“Mhm, adesso sì che ho paura. Però domani ci rifacciamo, okay? Puntuale”.
«Sicuro! A domani allora» lo salutò, e sinceramente sollevato schiacciò il tasto rosso, concedendosi un sorriso.
Con quello che gli stava succedendo, mancava solo che il suo migliore amico ce l’avesse con lui e davvero non avrebbe saputo dove sbattere la testa. In realtà continuava a sperare che da un momento all’altro quei due si fossero fatti vivi, magari ridendo e dicendogli che era tutto uno scherzo, solo per fargli rendere conto quanto gli costava cara la loro mancanza. E lui sarebbe stato pronto ad ammetterlo, scusarsi un’infinità di volte e dire loro che non li avrebbe più sgridati – nei limiti del possibile, ovvio – e che non dovevano più lasciarlo solo, perché decidere senza qualcuno che gli mostrasse le alternative opposte era sicuramente più difficile del previsto.
Alzò gli occhi azzurri su Ven, che lo fissava in silenzio dalla scrivania. Praticamente erano nella posizione opposta ad ore prima, quando lui era quello seduto sulla sedia girevole, con tanto di Vanitas che faceva commenti sul culo del suo gemello.
Il biondo lo fissò. «Sai, mi chiedevo…» tamburellò nervosamente le dita sul bracciolo. «Tu ed Axel state assieme?».
«Cosa?» Roxas saltò a sedere, facendo cadere il telefono sul pavimento. «No!» urlò isterico.
«O-ok, calmo! Era per… un dubbio mio, tutto qui» chiarì, mettendo le mani avanti. «Però insomma, lo dico tanto per, eh… se ti piacesse, non ci sarebbe niente di male…».
«Ventus. Axel non mi piace, siamo solo amici. Migliori amici, okay? Tutto chiaro?».
«Trasparente».
Sbuffò dal naso, come un toro imbizzarrito, e si tirò su, uscendo dalla camera per andare in salotto. Era davvero snervante ritrovarsi a fare gli stessi discorsi che faceva di solito con Sora e Vanitas col suo gemello. Si chiese se non fosse merito di una qualche strana cospirazione, mentre si stendeva sul divano ed accendeva la tv.
Meglio non pensarci, almeno per il momento.
 
Il mattino seguente al trillare della sveglia sobbalzò come al solito, e con un grande sforzo d’animo allungò il braccio per zittirla. Ven era già seduto in mezzo al letto, gli occhi un po’ appannati dal sonno, ma prontissimo per cominciare la giornata: Roxas non era convinto di esserlo davvero, quel mattino. Probabilmente se la sera prima non avesse promesso ad Axel di raggiungerlo se ne sarebbe stato a dormire tutto il giorno.
Quando era andato a dormire, ed aveva augurato la buonanotte prima di chiudere finalmente gli occhi solo il suo gemello gli aveva risposto, e lui aveva sentito più che mai la mancanza delle sue coscienze e si era sentito solo, quasi in pericolo nel suo stesso letto.
Si tirò su sbadigliando, trascinandosi fino all’armadio per tirare fuori la propria divisa, sperando che le camicie non fossero tutte stropicciate, visto che il suo gemello era piuttosto disordinato. Ne prese una a caso e l’infilò, sbadigliando ancora fino ad allargare al massimo la bocca, e sentì le lacrime del sonno pizzicare fino ad inumidire gli occhi.
«Ven, sbrigati in bagno!» lo richiamò dalla camera, quando seduto sul bordo del materasso stava ad allacciarsi le scarpe; sperò che non si fosse addormentato sul gabinetto come la settimana scorsa, che l’avevano trovato con la faccia contro le piastrelle e il Topolino in grembo.
La risposta farfugliata arrivò chiaramente alle sue orecchie, sollevandolo: non avrebbero fatto ritardo – anche perché non c’erano eventuali coscienze a distrarlo e fargli sbagliare strada, purtroppo – e Axel non l’avrebbe ucciso per tutto quello che aveva combinato i giorni precedenti.
Era dal giorno precedente che, entrato in bagno, si guardava intorno con una certa circospezione: sperava che quei due sbucassero fuori da un momento all’altro. A dire il vero l’idea di prendere un’altra botta e provare a farli ritornare gli era passata in testa diverse volte, ma era rimasta solo un’idea: se avesse fatto una caduta come la sera precedente come minimo ci sarebbe rimasto secco.
Spazzolò bene i denti e sciacquò la bocca, prima di correre giù in cucina per mettere qualcosa nello stomaco.
«Come ti senti stamattina?» chiese Mary, porgendogli le fette di pane tostato e il barattolo con la marmellata di fragole.
Affondò il coltello nel burro, per poterlo spalmare. «Hm, bene, il mal di testa è andato via del tutto» la rassicurò, portandosi la fetta alla bocca.
«È rimasto comunque svitato…» borbottò Ven, guardandolo sottecchi mentre rimestava stancamente i cereali nella tazza.
La donna gli lanciò un’occhiataccia. «Non parlare così di tuo fratello! Ha solo… qualche disturbo di personalità, a volte allucinazioni, non è pazzo».
«Guardate che ci sono anche io, qui» si lamentò, riempiendo il bicchierone con del succo. «E non è vero che ho le allucinazioni».
«Ma se a volte parli da solo!» ribatté il gemello, e Mary alzò gli occhi al cielo allontanandosi dal tavolo per evitare di ascoltare i loro soliti battibecchi, cominciando a sciacquare le posate. «E poi ieri eri tipo… da brividi».
«Io sono normalissimo, Ven! Sei tu quello che legge quegli schifo di cosi…».
«Manga, Roxas, si chiamano manga!».
«Kiss me Licia, Ven. È roba da… da ragazzine!».
Il gemello lo fulminò, puntandogli contro il cucchiaio ancora sporco di latte che schizzò sulla sua camicia – che tentò inutilmente di pulire, tra l’altro. «A parte che si chiama Love me Knight, caprone. E poi non capisci un bel niente!».
Mary s’asciugò le mani. «Okay, campioni» intervenne, prendendo il cucchiaio di Ventus e posandolo nella tazza. «È ora di andare, e smettetela di litigare, su».
Roxas sospirò, prendendo un ultimo sorso di spremuta ed afferrando la tracolla che aveva lasciato di fianco la sedia, poi mandò un’occhiata all’orologio: fortunatamente erano anche in anticipo, quel mattino.
«Okay, pronto!» dichiarò Ven, sorridendo appena. «‘ndiamo? Così possiamo stare più tempo fuori scuola a perdere tempo».
Roxas lo seguì senza aggiungere altro – non ce ne fu bisogno, visto che s’era lanciato fuori di casa.
Aqua era la loro giovane vicina. Abitava lì da che ne avessero memoria assieme ad un certo Terra – probabilmente il suo fidanzato – con cui non aveva parlato molte volte a differenza del proprio gemello, che lo trovava piuttosto simpatico. Inutile dire che quel romanticone avesse una cotta per la ragazza – che, diamine, era davvero bella! – ed ogni volta che la guardava tirava fuori un’espressione così ebete che Roxas non era mai riuscito a trattenersi dallo sghignazzare.
Aqua gli piaceva – non come al proprio gemello, ovvio. Era sveglia e spigliata, dolce e altrettanto divertente. E poi gli dava una mano con la matematica!
«Buongiorno ragazzi» li salutò con un sorriso, poggiata col gomito alla cassetta della posta. «Come ve la passate? Non avete una gran bella cera».
Roxas si strinse nelle spalle. «Va» disse semplicemente, mentre Ven al suo fianco cercava di trovare le parole, imbarazzato come sempre. «Tu? Sembri più allegra del solito».
«Oggi arrivano i miei cuginetti» spiegò. «Quando ritornate passate, eh, che ve li faccio conoscere. Scommetto che vi piaceranno».
«… P-passare a casa… tua?».
La donna rise. «E dove sennò, Ven?» gli scompigliò i capelli. «Dai, andate, altrimenti arrivate tardi per colpa mia. In bocca al lupo, eh!».
«Crepi!» esclamarono in coro, prima di avviarsi definitivamente.
Roxas sospirò, storcendo un po’ il naso. Per come si sentiva quel giorno non aveva davvero idea se potesse andargli di conoscere qualcuno, specie se doveva fare bella figura: non gli andava che i parenti di Aqua pensassero che era un perfetto svitato.
Ironica, bastarda e pungente, l’eco dei suoi pensieri gli rispose. Ma lo sei! – gli suggerì, e Roxas ringhiò perché non aveva nessuno con cui prendersela, niente ali da spennare o code da strappare.
Inutile dire che la prospettiva di starsene chiuso in una classe solo con se stesso non era tra le più allettanti. Magari poteva cadere, fingere di rompersi una gamba e ciaociao, scuola! Ma supponeva che se avesse finto di star male neppure quel pomeriggio sarebbe potuto andare a fare surf con Hayner, Pence ed Olette e non ci voleva, visto che era una delle poche cose che riuscisse a distrarlo completamente.
Sbuffando salutò i soliti: si lasciò baciare una guancia dalle ragazze, soffermandosi ad abbracciare Naminé, diede il cinque a Demyx e poi si lasciò afferrare da Axel, che gli strofinò il pugno tra la zazzera bionda, facendogli piuttosto male.
Non si lamentò, non troppo, visto che immaginava di meritarselo.
«Ma si può sapere che cavolo hai fatto?» rise Demyx, scuotendo la testa. «Sei davvero finito con la testa a terra?».
Roxas alzò gli occhi al cielo. «Sì, una craniata dritta nelle piastrelle. Che cazzo di male!».
Kairi rise, lisciandosi le pieghe della gonna. «Quando Axel me l’ha detto non volevo crederci!».
«Uhm, ecco la domanda del secolo: perché Axel te l’ha detto?» chiese, guardando male il diretto in questione che rise, stringendosi nelle spalle.
«Oh, dai, la notizia del secolo!».
«Povero, chissà che male» borbottò Xion, tirandosi a sedere sul muretto.
Naminé scosse il capo, ironica. «Con quella testa dura? È strano che non abbia sfondato il pavimento!» esclamò e Ven rise forte, raggiungendo la mora sul muro.
«Effettivamente!» commentò.
Begli amici, sul serio.
Roxas li fissò fintamente offeso, prima di ridere. «Stronzi» li apostrofò, poi Axel gli scompigliò per l’ennesima volta i capelli, tirando un po’ le ciocche per costringerlo ad alzare il viso e guardarlo.
Incrociò i suoi occhi verdi, piuttosto seri, e non poté far altro che arcuare le sopracciglia. Che volesse ancora discutere della sua mancanza di attenzioni durante quei giorni? Ma avevano chiarito a telefono, no? Gli rivolse un “cosa c’è?” titubante, e quando si accorse di avere ancora la sua mano tra le ciocche bionde scrollò appena il capo per fargliele lasciare.
Axel si tirò più in dietro, battendo finalmente le palpebre. «Lascia stare, una cazzata» si limitò a dire, con un mezzo sorriso sulle labbra.
Ok, forse era pazzo, ma non era mica scemo – era un’opzione che Roxas non aveva mai nemmeno voluto mettere in discussione, ecco.
Arricciò le labbra, incuriosito. Si chiese se Vanitas gli avrebbe suggerito di insistere – “È il tuo migliore amico! Deve dirtelo!” sarebbe stata di sicuro la prima cosa che gli avrebbe urlato.
Sora probabilmente non sarebbe stata della stessa opinione. Sicuramente, anzi – “Magari non è ancora pronto! E poi anche tu hai segreti, con lui. È normale averne” gli avrebbe suggerito, cercando di farlo desistere dal consiglio del Diavolo.
Ma adesso era solo. Solo da meno di ventiquattrore e già si era sentito avvilito un mare di volte.
Dai, Roxas, pensa.
Naminé gli poggiò una mano sulla spalla, lo scosse. «Ehi, ritorna tra noi» scherzò.
«Questa volta l’ascesa spirituale è stata silenziosa» rise Demyx e Ven arricciò il naso – probabilmente ricordando quando l’aveva a dir poco aggredito sperando che facesse una delle parti della sua coscienza, ma non disse nulla o almeno non ce ne fu il tempo.
La campanella costrinse tutti loro a salutasi ed avviarsi verso le classi; Kairi prese lui ed il suo gemello sotto braccetto, esattamente al centro – come facevano sempre, del resto – e li trascinò verso la classe.
O almeno, quel mattino Roxas si fece trascinare sul serio, con la poca voglia che aveva.
 
Dopo scuola Ven l’aveva implorato.
Lui aveva ben poca voglia di presentarsi a sconosciuti, causa schizofrenia momentanea ed acuta, ma quella piattola con la sua faccia era chissà come riuscito a convincerlo – forse per tutti i “Dai, ti prego, siamo a casa di Aqua! Aqua! Da solo ho vergogna, fallo per me!” che gli aveva rivolto durante tutto il tragitto della strada.
In fondo gli voleva bene, e Ventus gli aveva fatto tanti di quei favori molto spesso, quindi non poteva permettersi di dire di no, insomma.
Seguirono il vialetto al centro del giardino estremamente curato fino alla porta di casa, dove un tappetino a forma di tazzina con su scritto “Benvenuti alla tana del Bianconiglio!” li accolse. Roxas pensò che se avesse avuto i piedi sporchi non se li sarebbe puliti lì, perché era di certo il tappeto più carino che avesse mai visto, probabilmente.
Suo fratello bussò al campanello e in un attimo l’imponente figura di Terra aprì loro la porta, guardandoli dall’alto con i suoi… tre metri e ottanta?, di contenuta altezza.
«Oh, i due gemellini. Venite, Aqua mi ha detto che sareste arrivati da un momento all’altro» e si fece da parte, lasciandoli accomodare.
La prima cosa che Roxas percepì, fu un buonissimo odore di fresco, assieme ad un pizzico di lavanda, probabilmente. C’era una bella luce calorosa lì, e nonostante la villetta fosse praticamente uguale a casa sua e a meno di dieci metri di distanza gli sembrò di trovarsi nel posto migliore del mondo. E poi era arredata con gusto, quella casa, tutta colorata ed allegra – sembrava davvero il Paese delle Meraviglie! – ed un confronto con la propria non faceva altro che renderla ancora più bella.
Mandò un’occhiata a suo fratello, che sembrava si fosse ritrovato improvvisamente tra le nuvole e gli tirò una gomitata nelle costole, mentre ancora seguivano Terra fino al soggiorno, dove li fece accomodare su un piccolo ma comodo divanetto che c’era nella cucina.
Sentirono un gran trambusto, poi la figura sorridente di Aqua comparve dall’uscio, un grembiule allacciato malamente sui pantaloncini ed una maglia con le bretelline; era un po’ sporca di terreno, Roxas immaginò stesse mettendo in ordine le sue bellissime aiuole profumate.
«Ragazzi!» esclamò, correndo al frigo. «Vi piace la limonata? Ma sì, vi piace sicuro» rise, prendendo la brocca e versandone nei loro bicchieri, con tanto di ghiaccio e cannucce colorate, a spirale – insomma, aveva le cannucce a spirale! Era una forza. «Volete qualcosa da mangiare?» stavano per negare, quando tirò fuori dal forno una teglia con dentro della pizza appena cotta e porse loro dei tranci piuttosto grandi. «Oh, Ven, tesoro: Mary ti cercava, credo fosse importante. Vai prima da lei e poi ritorna, che altrimenti la fai preoccupare».
Ven divenne praticamente tutt’uno col pomodoro sull’impasto, quando lei si chinò appena in avanti di fronte a lui, scoprendo una parte del reggiseno a pallini colorati – pallini colorati! Roxas se ne sarebbe potuto innamorare a propria volta, diamine!
«O-ok» balbettò, posando sia il bicchiere che la pizza sul tavolo. «Vengo… vengo subito».
Roxas lo guardò andare via con sufficienza, poi addentò la pizza: buona! Oddio, ma Aqua sapeva davvero fare tutto.
«Uhm… dimmi un po’, successo qualcosa di strano, ultimamente?» gli chiese la ragazza, afferrandogli una sedia e sedendoglisi di fronte.
Terra si massaggiò la fronte con una mano. «Povero, povero ragazzo» a coprire l’ultima sillaba ci furono alcuni rumori provenienti da un’altra camera, ma non ci badò molto: la faccia disperata di quel colosso aveva attirato tutta la sua attenzione.
«Io credo… niente di che. Perché?» chiese, dando un altro morso e ingollando buona parte del contenuto del bicchiere.
«Uhm… ci sono un po’ di cose che devo spiegarti, ecco».
Roxas la guardò senza capire. «Cioè?» chiese, portandosi nuovamente il bicchiere alle labbra, poi sputò tutto il liquido direttamente addosso ad Aqua, che si lamentò con un mugolio, quando due figure che ben conosceva comparvero da dietro lo stipite della porta, una che lo guardava colpevole, l’altra con un ghigno in faccia.
«Ehilà, dolcezza! Ti siamo mancati?» Vanitas rise.
Roxas si fece cadere la fetta di pizza dalla mano – non sentì neppure lo “splat” che fece, segno che era caduta inevitabilmente dal lato del sugo e della mozzarella.
Sora si mordeva il labbro. «È che… avevamo promesso di non dirtelo».
Roxas sbatté le palpebre.
Fissò il bicchiere.
Si lanciò il resto della limonata in faccia.
«Che. Cosa. Sta. Succedendo?!» urlò isterico mentre Vanitas ancora rideva, mentre Sora si mordeva ancora la bocca, mentre Aqua ancora si lamentava per tutto lo schifo che stava facendo in cucina.
Solo Terra lo guardò, caritatevole. «Aqua è una strega» disse come se potesse essere una spiegazione più che esauriente, e Roxas si rese conto che non era lui il pazzo, ma erano tutti gli altri ad essere una banda di cazzoni avariati.
Intanto riuscì solo a pensare che quella sera avrebbe avuto un gran mal di testa. E che voleva un’altra fetta di pizza, adesso.












E dopo millemila anni (e qualcosa in più, forse!) ecco aggiornata W&T! (no dai, il nome intero è troppo lungo XD)
Dunque, dunque.
Prima di tutto: davvero non mi aspettavo che questa fic riscuotesse così tanto successo! °^° quindi... aw, grazie, grazie davvero! *-*
Quindi, mi scuso come da programma per il ritardo e spero di non scoparire di nuovo per così tanto tempo - ma vi avverto! Al momento ho tante shot per la testa, potrei impigliarmici XD
Ah, dunque! Mary, la loro mamma, non è altro che la stessa mamma di Wendy - e... cazzo, non mi ricordo i nomi degli altri due LOL - in Peter Pan! Ce la vedevo azzeccata, e poi volevo rimanere in tema Disneyano, insomma :3
Dunque, dunque... non credo di avere null'altro da dire, se non che a scrivere questo capitolo mi sono divertita addirittura di più che nel primo x°D
Spero piaccia anche a voi, naturalmente :3
Alla prossima, allora! E fatemi sapere, eh :3

See ya! 

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