Raramente a Nausicaa Malfoy capitava di
provare emozioni forti.
Si considerava piuttosto apatica e la
cosa non le aveva mai dato fastidio: la rendeva più forte... o
almeno la convinceva di esserlo.
In quel momento, però, era
assolutamente terrorizzata.
Stava volando via, lontano dalla sua
famiglia, dalla sua vita e da tutto ciò che conosceva, diretta nel
bel mezzo di una città babbana. Il tutto su uno di quei trabiccoli
di latta che la gente chiamava aeroplani.
Oggettivamente, come era possibile
viaggiare sicuri su quei cosi?
Il naso affondato il più possibile
nella rivista che illustrava le diverse meraviglie degli Stati Uniti,
Nausicaa maledisse il momento in cui aveva rifiutato l'offerta di suo
padre di materializzarsi con lei a Washington.
Sì, era stata una vera stupida.
Ora l'aereo sarebbe caduto e lei non
sarebbe stata altro che una stupida babbana morta in uno stupido
incidente.
Sentì il suo respiro accelerare.
Accidenti.
Erano anni che gli attacchi la
lasciavano in pace.
Aveva imparato a controllarli con la
sua impassibilità: se nulla la intaccava, nulla poteva farle paura.
Ma questo funzionava a casa,
naturalmente.
“Desidera qualcosa, signorina?”
“Una bacchetta magica e una vita
normale.” Replicò la giovane, scocciata.
La hostess davanti a lei strabuzzò i
grandi occhi azzurri.
Nausicaa pensò che sembrava una rana.
Una gigantesca raganella azzurra.
“Prego?”
“Lasci perdere.”
Babbani.
Erano così ottusi.
Eppure avrebbe dovuto abituarcisi:
quella era la gente con cui avrebbe dovuto vivere, da quel momento in
poi.
“Sa, anche io vorrei tanto una
bacchetta magica, in questo momento...”
La donna accanto a lei era invisibile.
Non nel senso magico del termine,
ovviamente. Era semplicemente una persona di quelle che non si notano
nemmeno se ci si passa accanto una giornata intera.
Piccola, bionda e vestita completamente
di nero, assomigliava vagamente ad una matrijoska in lutto.
“Non credo che intendiamo la stessa
cosa, signora.”
La vecchina si strinse nelle spalle.
“Io vorrei poter fare un incantesimo,
tornare indietro nel tempo e fare qualcosa per impedire che mio
figlio muoia di nuovo come è morto ieri sera. Sto andando a dirgli
addio.”
“Io vorrei cambiare tutto e basta.”
Sputò fuori Nausicaa, chiedendosi poco dopo che cosa l'avesse spinta
a dire quelle cose ad una perfetta sconosciuta.
Una sconosciuta babbana.
Eppure, sempre senza sapere perché, la
sua lingua continuò a produrre suoni.
“Vorrei essere nata diversa... come
mio fratello, che è giusto.”
La vecchina, a sorpresa, sorrise.
“Signorina bella, tutti siamo giusti
e tutto quel che accade è giusto. Purtroppo, anche la morte di mio
figlio lo è.”
“Lei crede che sia giusto che io sia
diversa da tutto quello che ho sempre conosciuto?” La donna
inclinò la testa da un lato.
“Forse è nata diversa perché il suo
destino vuole che faccia qualcosa di diverso, non trova?”
Stronzate, avrebbe voluto rispondere
Nausicaa, ma non era da lei.
Volgarità non era un vocabolo che la
famiglia Malfoy conoscesse.
Si limitò, quindi a voltarsi
dall'altra parte.
E il suo sguardo si ritrovò a vagare
sopra all'Oceano sconfinato.
Il fiato le si bloccò in gola.
Quanto, quanto lontana era da casa sua?
La Nuova Farmacia di Diagon Alley,
rivendita autorizzata di rimedi miracolosi, era costantemente presa
d'assalto da una quantità spropositata di giovani streghe mamme alla
ricerca di ogni sorta di medicamento per i figlioletti un po'troppo
esuberanti.
Quando Scorpius vi fece il suo
ingresso, i capelli del mago alla cassa viravano verso il rosso.
Segno inequivocabile che Ted Lupin
aveva urgente bisogno di una pausa.
Cosa che cadeva a fagiolo, dato che lui
aveva esattamente lo stesso bisogno di parlare con lui.
E sapeva anche perfettamente come fare.
Con passo deciso, si fece strada in
mezzo al proliferare di donne agitate, scavalcò il bancone e,
mentre Ted lo guardava con enorme disapprovazione, gli depositò un
rumoroso bacio a stampo sulle labbra.
Almeno sei bocche esalarono un sospiro
scandalizzato e quattro clienti se ne andarono di corsa, scuotendo la
testa.
“Sei un idiota” Gli soffiò contro
Ted, consegnando ad una delle due superstiti un antidoto contro il
veleno della Belladonna.
La seconda cliente, una nonna, a
giudicare dall'età, gli chiese ciò che doveva comprare, poi si
guardò intorno per accertarsi che nessuno sentisse e rivolse loro
un'occhiata complice.
“Siete proprio una bella coppia, sa?”
I capelli di Ted virarono rapidamente
al rosso fuoco.
“Ehm... grazie signora Fungus. La
prego di non dirlo a nessuno, però.”
“Oh beh, vorrà dire che mi farà uno
sconto.”
Con un sorriso professionale stampato
in faccia, il giovane Lupin eseguì.
Quando la vecchietta uscì, però,
l'espressione che Ted rivolse a Scorpius era molto, molto meno
gioviale.
“Ciao Teddy.” Mormorò il biondo.
Nei suoi occhi non c'era traccia della pestifera allegria che Ted
aveva imparato a conoscere.
“Che ti è successo?” Domandò
senza preamboli, pragmatico come sempre.
“Puoi chiudere per qualche minuto?”
Ted guardò l'orologio. Dieci minuti
alle sette.
Per Scorpius, poteva anche anticipare
la chiusura.
In un attimo, tutte le imposte erano
chiuse e le saracinesche abbassate.
Ted non si era mosso di un millimetro.
“Parla.”
“Ogni tanto mi fai paura più di mio
padre.”
“Scorpius, hai fatto scappare quattro
clienti che probabilmente non torneranno più. Parla.”
“Se sono delle stupide omofobe non è
certo colpa...”
“Scorpius!”
“Nausicaa è partita.”
Lo sputò fuori come la ghianda di una
ciliegia.
Come qualcosa di sgradito che non può
restare in bocca un secondo di più.
“Oh....” I capelli di Ted tornarono
immediatamente blu e la sua espressione si addolcì. “Di già? Ma
il suo compleanno è stato solo...”
“Solo ieri, sì.”
Ted non disse più nulla. Si limitò ad
avvicinarsi al giovane e a stringerlo forte a sé, mentre Scorpius
lasciava finalmente che le lacrime fluissero liberamente dai suoi
occhi.
Ted si sedette sul pavimento,
trascinandolo con sé e prese a cullarlo lentamente, come si fa per
tranquillizzare i bambini spaventati. Ogni tanto, a intervalli più o
meno regolari, posava un bacio delicato sui suoi capelli biondi.
Niente “andrà tutto bene”. Niente
“si sistemerà”.
Ted Lupin non raccontava bugie.
Non a chi non se le meritava.
“Lei è la mia sorellina, Teddy... e
non è mai andata da nessuna parte da sola. Il mondo è così... così
immenso.”
“Lo so...” Mormorò piano Ted tra i
suoi capelli. “Lo so. Però guardami, Scorpius.”
Il ragazzo alzò gli occhi verdissimi
in quelli cangianti dell'altro.
Come al solito, nonostante le
circostanze, gli mancò il respiro.
“Il mondo sarà anche immenso, ma tu
sei libero di percorrere quell'immensità ogni volta che vuoi in un
secondo soltanto.”
“Ma è pericoloso materializzarsi
così lontano.”
“E allora prenderai l'aereo. Dai
Scorpius, non è morta.”
“Sarà terrorizzata, là fuori da
sola in mezzo ai babbani...”
Ted ridacchiò.
“Non più di quanto lo sia tu in
questo momento, testone. Senti, se vuoi domenica la andiamo a
trovare. Insieme. Ok?”
Gli occhi verdi brillarono di speranza.
“Davvero?”
“Ma sì, certo! Ho fatto diverse
volte materializzazioni intercontinentali. Non ti devi preoccupare,
ok?”
Scorpius annuì, sistemandosi meglio
tra le braccia di Ted.
Gli veniva spesso da sorridere al
pensiero di come avrebbero reagito i suoi all'apprendere della loro
relazione.
Una figlia maganò e l'altro fidanzato
con il figlio, maschio e di dieci anni più vecchio di lui, di un
licantropo e una metamorfomagus.
Probabilmente suo nonno si ribaltava
nella tomba ogni volta che suo padre chiamava i loro nomi.
“Va meglio?” Domandò Ted,
vedendolo sorridere.
“Molto meglio, professore.”
Il volto di Ted si illuminò
improvvisamente.
“Che idiota, me ne stavo
dimenticando! Lo sai che da settembre professore mi ci chiameranno
davvero?”
Scorpius alzò un sopracciglio.
Il sorriso smagliante sul volto di Ted
poteva significare solo una cosa.
“Ti hanno preso?”
“Stai parlando con il nuovo
insegnante di pozioni di Hogwarts. Ciao ciao farmacia e benvenuto
sogno!”
Di slancio, Scorpius gli gettò le
braccia al collo.
“Sono fiero di te!”
“Anche io sono fiero di me!”
Replicò Ted, iniziando a fargli il solletico.
In un attimo si ritrovarono a rotolarsi
per terra come due bambini.
Draco Malfoy non avrebbe davvero
sopportato quella vista.
La stanza che i suoi genitori avevano
scelto per lei non poteva, effettivamente, essere definita come una
semplice stanza.
Si trattava più di un loft, volendo
vedere.
Un loft grande.
In un
angolo, un grosso quadro completamente nero, dominava la stanza
grazie alla sua considerevole mole.
Nausicaa
pensò che poteva trattarsi di un televisore, anche se quello che le
aveva mostrato la sua insegnante privata di babbanologia era più
piccolo e decisamente meno piatto.
Sul
bordo superiore dell'apparecchio, un biglietto diceva che per i
babbani era praticamente impossibile vivere senza televisore, e
quindi anche lei doveva averne uno.
La
firma era quella di suo padre.
“Peccato
che io non sia babbana.” Borbottò la ragazza tra sé.
“Signorina,
questo è l'ultimo!” La richiamò il tassista dall'ingresso,
appoggiando a terra il terzo, pesante baule. “Dovrebbe davvero
comprarsi delle valigie, sa? Sono più comode.”
Nausicaa
inarcò un sopracciglio, piuttosto scocciata dal consiglio.
“Tenga.”
Sibilò, porgendo all'uomo una banconota da cento dollari. “E non
mi dia il resto.”
Sbigottito,
il tassista rimase immobile, come spento, per qualche istante.
“Ma
signorina, mi deve solo venti...”
“Esca
da casa mia, per favore.”
Negli
occhi smeraldo non c'era la minima voglia di scherzare e l'uomo si
affrettò ad eseguire l'ordine, salutando in maniera scomposta e
quasi incomprensibile.
Non
appena la porta si chiuse, Nausicaa alzò gli occhi al cielo.
Il
primo pensiero che colpì la sua mente in quell'istante fu che i
babbani erano davvero
degli idioti di portata gigantesca.
Il
secondo fu che ora era davvero sola.
Completamente
sola.
La
stanza che Marcel Floriday aveva scelto per se stesso non poteva, in
tutta coscienza, essere considerata una stanza.
Ripostiglio
sarebbe stato probabilmente un termine più appropriato.
Un
ripostiglio piccolo.
Nessun
elettrodomestico, un letto e una gruccia come armadio. La finestra,
priva di imposte, dava su di un parco dove, probabilmente, solo
tossici ed alcolisti si azzardavano ad andare. Il bagno era situato
in un microscopico stanzino grande più o meno quanto la doccia che
conteneva.
Eppure
la stanza che Marcel Floriday aveva scelto per se stesso era
assolutamente meravigliosa.
Canticchiando
tra sé un motivo della sua gente, il giovane si spogliò dei suoi
abiti antiquati, pensando che il giorno dopo avrebbe per forza dovuto
comprare qualcosa di più moderno.
Lo
sguardo sognante puntato verso il soffitto, Marcel pensò che quella
sarebbe stata la migliore estate della sua vita.
E
l'inizio di tutto quello che avrebbe voluto diventare.
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