Dragonslayer

di Eternal Fantasy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - The Prophecy ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo: Losing you ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo: The Kingdom of Damned ***



Capitolo 1
*** 1 - The Prophecy ***


A Escaflowne Fanfiction

A Tenku no Escaflowne Fanfiction

Scritta da Eternal Fantasy

 

NdA: Questa storia è nata sulle note e le parole delle canzoni dell’album “Dragonslayer” dei Dream Evil, 2002. Consiglio di leggere  il prologo e il primo capitolo ascoltando “The Prophecy”.

 

 

Prologo

 

Hitomi Kanzaki mescolò il suo mazzo di tarocchi. Ogni volta che le sue dita si posavano sulla liscia, lucida e vagamente scivolosa superficie di quelle carte che custodivano così tanti ricordi, e ancor più segreti, la sua mente tornava a volare verso Gaea, agli eventi che l’avevano coinvolta in quel mondo al di là del cielo; avventure magnifiche e terribili, che le avevano posto di fronte agli occhi meraviglie e orrori oltre la realtà, tanto da farle pensare al suo viaggio come ad un magico sogno. Ma quando nella sua mente ricomparivano i volti di coloro che aveva imparato a conoscere ed amare, sentiva che il calore generato dal suo cuore non poteva essere ingannevole: il suo caro Van e tutti gli altri non potevano essere mero frutto della sua fantasia.

Sorridendo, permise alle immagini dei suoi amici lontani di scorrere di fronte agli occhi della sua mente; per ognuno di loro aveva un ricordo e un pensiero, felice e malinconico allo stesso tempo. Rivide con gioia e nostalgia tutti quei volti tanto familiari, nitidi come quando, sei mesi prima, li aveva salutati tutti al momento dell’addio: Van, che la guardava con quei suoi grandi occhi scuri, il sorriso amichevole di Merle, Allen che la salutava mantenendo una stretta mista di sollievo e incredulità sulle spalle della sorella inaspettatamente ritrovata, Serena…

Hitomi avvertì improvvisamente un brivido, che la scosse con violenza, facendole cadere una carta di mano: nel suo ricordo i limpidi occhi azzurri di Serena Shezar s’erano accesi per un istante d’un infuocato bagliore scarlatto, e il suo tranquillo sorriso celava una consapevolezza misteriosa.

Hitomi cercò di regolarizzare il respiro; era solo la sua immaginazione, nient’altro; in realtà, durante la separazione dai suoi amici, nulla aveva lasciato trapelare che nella ritrovata Lady Shezar si celassero ancora tracce di…

Deglutì il nodo che le si era bloccato in gola e si chinò a raccogliere la carta caduta. L’incubo era finito, non aveva intenzione di pronunciare di nuovo, neppure nella sua mente, il nome del più temibile guerriero di Zaibach, il demone di fuoco che alla testa dei suoi Dragonslayers aveva contribuito a rendere Gaea un inferno di guerra.

Le sue dita tremanti si posarono sulla carta riversa a terra e la raccolsero: dall’altro lato di quel piccolo specchio profetico le sorrise il tetro ghigno della Morte.

 

 

Dragonslayer

 

Capitolo primo

 

La fresca primavera simboleggiava speranza e rinascita, dopo un anno segnato indelebilmente dagli orrori della guerra che aveva sconvolto Gaea. La novella stagione era però ancora agli albori, non ancora completamente giunta a far sbocciare le campagne che circondavano la capitale d’Asturia, Palas.

Le prime foglie degli alberi che circondavano la casa avita degli Shezar, stillanti di rugiada nelle prime ore del mattino, scintillavano sotto la pallida luce azzurrina della Luna dell’Illusione e della sua perlacea sorella minore; quell’atmosfera sospesa tra sogno e veglia era la più indicata a celare, col contribuivano del fitto sottobosco, le due tenebrose figure all’apparenza umane: emerse dalla notte, sembravano portarne con sé l’oscurità più profonda, sfidando i timidi raggi del sole nascente. Immobili al limitare della selva, osservavano muti l’edificio davanti a loro.

La costruzione, grande ed elegante, parlava di antica nobiltà e di una ricchezza forse recentemente un po’ decaduta, ma in grado di sostentare in modo decoroso gli abitanti della casa, che in questo momento, buia e silenziosa, appariva disabitata.

Questa supposizione venne però smentita dal lieve cigolio di una porta aperta con cautela. Una figura snella ed agile scivolò furtivamente fuori dall’abitazione, evitando di esporsi alla rivelatrice luminescenza celeste, allontanandosi verso l’estremità più ombrosa del cortile, in cui aleggiava ancora una tenue nebbiolina.

La fioca luce che precede l’alba si riflesse in un fulmineo bagliore sulla lama snudata, e la persona che la impugnava, piccola e sottile come solo un ragazzo appena adolescente poteva essere, cominciò l’allenamento mattutino alla spada; a lungo si esibì in metodici esercizi di affondi, parate e fulminei fendenti, rivelando una grazia e un’abilità davvero fuori dal comune.

Quando il sole fu completamente oltre l’orizzonte i lievi rumori provenienti dalla casa, che segnalavano il destarsi dell’altro occupante, costrinsero il giovane spadaccino a interrompere la propria esercitazione clandestina. Un veloce guizzo verso la porta fu l’unica cosa che uno spettatore umano avrebbe potuto scorgere… insieme al meraviglioso scintillare del sole su corti, luminosi capelli biondi.

Protette dalle tenebre, le due misteriose figure si scambiarono uno sguardo compiaciuto.

 

L’improvviso alzarsi di voci concitate dall’interno della casa riportò la loro attenzione alla soglia, che venne spalancata dall’uscita di un uomo: lunghi capelli color grano, una divisa azzurra e una spada al fianco. Il volto attraente del Cavaliere Celeste Allen Shezar era tirato da una smorfia irata, ma la vista troppo acuta dei due osservatori riuscì a scorgere chiaramente sotto il nervosismo un’ombra di lacerante paura.

La sua voce s’alzò, nascondendo dietro la rabbia la corrente di emozioni negative che lo tormentavano: “Questa è la mia ultima parola, Serena. Il tuo comportamento è assolutamente disdicevole per una nobile damigella di Asturia; uscire da sola, prima dell’alba, per maneggiare le armi! Vestire da uomo! Parlare ed esprimere opinioni con eccessiva libertà! Salire senza permesso sul *mio* Guymelef! Ho tollerato per sei mesi credendo che si trattasse solo di una fase d’irrequietezza, ma in nome dell’affetto che provo per te credo sia giunto il momento di correggere le tue pessime abitudini e il tuo atteggiamento…”

“Consegnandomi alla tua preziosa Regina Millerna e alle sue petulanti damine? Imprigionandomi in una gabbia dorata e costringendomi a una vita di reclusione che mi è odiosa? Trasformandomi in una bambola graziosa e vuota, priva di anima e personalità? È questo che tu consideri amore, fratello? Cancellare ciò che sono?”

Allen si bloccò come paralizzato, pugnalato alle spalle dalle parole furiose e affilate della sorella, che lo fissava a testa alta e con occhi scintillanti di fiera collera. Senza dirlo esplicitamente, lei lo accusava di comportarsi come gli esecrati Alchimisti di Zaibach: loro avevano manipolato il suo Destino, trasformando il suo corpo e la sua mente spinti dall’ambizione di creare il soldato perfetto; lui stava facendo la stessa cosa, per trasformarla nell’immagine della sorella perfetta che per anni aveva cullato nella sua mente, ignaro della realtà della persona in carne e ossa che ora aveva accanto.

“Non… tu non sei…” Allen inspirò profondamente e si voltò a guardare la giovane donna che gli stava di fronte; la sua maschera d’indignazione infranta, schiacciata, e tutto ciò che poté proferire fu la sua unica certezza: “Tu sei la mia amata sorella: Serena Shezar.”

La rabbia di Serena sembrò placarsi, le fiamme cremisi che bruciavano dietro i suoi occhi furono sostituite da un’azzurra, malinconica consapevolezza:

“Per quanto tu ti sforzi, mio caro fratello, troppi fantasmi inquieti ancora vagano su questa terra, e nella mia mente; la guerra è finita, ma loro non hanno potuto trovare la pace.”

A quel tono così colmo di tristezza, Allen cercò di ammorbidire la propria voce in cui si univano tremulo sollievo e disperata speranza:

“Supereremo ogni cosa, Serena. Dimenticheremo tutto, sarà come se nulla di tutto ciò fosse mai accaduto. Ora che ti ho ritrovato, non ti lascerò mai più andare.” E d’impulso l’abbracciò.

Negli occhi di Serena, fissi oltre la spalla robusta di Allen, passò un lampo d’insofferenza che sembrava dire –Cos’è, una minaccia?- ma quando li riportò sul viso del fratello quell’ombra era già svanita.

“Ora devo proprio andare. Mi aspettano a Palazzo.” E si diresse verso le stalle a prelevare la sua cavalcatura.

Serena si morse la punta delle dita, come a voler trattenere le parole che però le uscirono ugualmente dalla bocca: “Allen, limitati a fare salamelecchi a Dryden e Millerna; guai a te se prendi accordi per rinchiudermi a corte! Tutti quei pizzi e quelle gonne mi danno l’orticaria!”

Allen le lanciò un’occhiataccia molto contrariata, ma si limitò ad un teso “Ne riparleremo al mio ritorno” e partì a spron battuto.

 

Dopo che la figura del cavaliere fu scomparsa alla vista, Serena si diresse nuovamente alla porta… ma prima ancora di arrivare alla veranda, si voltò di scatto verso il bosco oltre il cortile e ordinò con voce autoritaria: “Chi è là?! Mostratevi!”

Dai recessi dell’oscurità avanzarono due figure avvolte da neri mantelli, e non appena misero piede sul terreno aperto Serena mosse inconsciamente le mani verso la cintura, ad impugnare una spada che non c’era; il solo modo di muoversi di quei due sconosciuti urlava pericolo al suo istinto da guerriero veterano, la cadenza elastica e sicura del loro passo rivelava un’attitudine al combattimento chiaramente riconoscibile agli occhi di un loro pari… o di una fanciulla che, nascosta per dieci anni nel corpo e nell’anima del soldato perfetto, aveva guidato eserciti in battaglia fin dall’infanzia.

Indurendo lo sguardo e ponendosi istintivamente in posizione di guardia, ripeté: “Mostratevi e rivelate i vostri nomi, stranieri!”

Essi portarono ai cappucci due mani di insolito pallore, dalle dita lunghe ed agili, ma forti e temprate dall’uso delle armi. La stoffa che ricopriva le loro teste rivelò folte chiome di capelli corvini, benché uno li portasse corti e l’altro più lunghi, fino a coprire la schiena. I due volti avevano lineamenti finemente scolpiti, ma la grazia non nascondeva la loro durezza, il taglio sottile e freddo delle bocche e gli occhi scuri, rapaci. Anche nella corporatura erano piuttosto simili, non molto alti (poco più di lei, dato che era alta per una ragazza), snelli, dai muscoli sottili ma ben definiti; quello dai capelli corti vestiva completamente di nero con una casacca a maniche lunghe e a collo alto, pantaloni di cuoio e stivali sopra il ginocchio. L’altro si differenziava nell’abbigliamento solo per la presenza di un cappotto di pelle lungo fino alle caviglie, lasciato aperto a rivelare una camicia di seta color ruggine sbottonata sul petto; la pelle chiara esaltava in contrasto un ciondolo color rosso scuro –rosso sangue-, una gemma a goccia assicurata al suo collo da tre giri di un laccio di cuoio.

Fu proprio quest’ultimo a rispondere con voce calma, rassicurante e piacevolmente morbida:

“Buondì madamigella. Il mio nome è Harold Midnight Hawk, e il mio compagno si chiama Hiro Kurosuzaku no Shinigami. Chiedo scusa per essere entrati senza invito nelle terre che vi appartengono, ma abbiamo compiuto un lungo viaggio.”

“Questo è certo; non credo d’aver mai visto uomini con un aspetto simile al vostro. Se non sono indiscreta, da quanto tempo siete rimasti nascosti vicino a casa nostra?”

I due si scambiarono una fulminea occhiata, poi il giovane dai capelli lunghi le rivolse un sorriso sibillino e, ignorando la domanda, le chiese dolcemente

“Siete felice, Serena?”

Serena, presa alla sprovvista, si ritrovò a scendere i gradini della veranda e fissare direttamente lo sguardo in quegli occhi oscuri… che s’illuminarono di stupefacenti scintille dorate, quasi una corona attorno alla pupilla, una raggiera di affilate schegge metalliche roventi e gelide al tempo stesso.

“Cosa… intendete dire?” sussurrò quasi ipnotizzata, catturata da quelle iridi da falco che sembravano conoscere sogni ed incubi della sua anima enigmatica.

“Siete una guerriera, madamigella Serena.” Più un’affermazione che una domanda, posta dalla voce tagliente e diretta dell’altro straniero; essa squarciò il velo onirico che sembrava aver avvolto la ragazza per un istante, riportando la sua attenzione sul giovane nerovestito che si era fatto udire per la prima volta. “Era di questo che vostro fratello si lamentava; volevate sapere se avevamo sentito? Si, e non sono d’accordo con lui. Una donna ha il diritto di sapersi difendere da sé.”

Serena spostò lo sguardo verso il punto in cui il fratello era sparito e non riuscì a celare una smorfia d’amarezza: “Allen mi proibisce di allenarmi con lui. Dice che è ‘disdicevole’ per una dama. Sono costretta ad esercitarmi da sola, di nascosto.”

Il giovane dai capelli corti scostò la falda del suo mantello, rivelando una spada di squisita fattura: “Allora, mi farebbe l’onore di disputare un breve scontro con me? Un semplice allenamento, nulla di più.”

Gli occhi di Serena brillarono quando vide la splendida lama, che snudata sembrava rifulgere di lampi d’argento su un acciaio scuro come lei non aveva mai visto. “Dove avete trovato un’arma simile?”

“Essa fu creata e mi venne donata dalla persona che a me è più cara della vita stessa.”

Un fugace sguardo al suo compagno le fece intuire che tale persona si trovava esattamente al suo fianco.

Esaltata dalla prospettiva di un autentico duello per la prima volta (o forse solo dopo molto tempo?) la fanciulla corse in casa a recuperare una delle spade del fratello dal nascondiglio non-più-segreto dove lui le custodiva. Solo quando ebbe la lama tra le mani si rese conto che quegli stranieri conoscevano il suo nome. Certo, potevano averlo sentito da Allen… ma qualcosa dentro di lei le diceva che lo conoscevano fin da prima; e le strane sensazioni che quei due agitavano nei recessi più tenebrosi della sua anima non la lasciavano tranquilla. Strinse la presa sull’elsa della spada: lei non era una comune fanciulla indifesa, tutt’altro; se quei due avevano cattive intenzioni, avrebbero avuto modo di pentirsene amaramente.

 

I duellanti si misero in posizione e lo scontro cominciò.

Le lame guizzavano come serpenti di luce, fulminei, sibilando nell’aria armonie mortali. Gioco di polsi e di gambe, occhi e muscoli, nervi tesi e respiri affrettati; il cuore di Serena cantava un inno alla battaglia, feroce e violento, sanguinario e selvaggio, il sangue che bruciava di un fuoco mai dimenticato.

“Siete straordinariamente forte per essere una fanciulla fragile e delicata.” Le giunse la voce del suo avversario mentre incrociavano le spade vicino all’elsa.

“Sarò pure una fanciulla, ma chi vi dice che io sia *fragile*?” replicò con un sorriso pericoloso sulle labbra rosse, ripartendo all’attacco.

Il modo di combattere di Serena era basato su una straordinaria velocità e precisione, un’energia la cui foga era imbrigliata da un controllo totale, e una fantasia straordinaria che rendeva i suoi colpi imprevedibili: sempre, perfettamente, potenzialmente letale. Un sorriso compiaciuto sfuggì alle labbra pallide e severe di Shinigami:

“Ottima tecnica, Lady Shezar!”

“Non chiamarmi così!” ruggì lei, ridendo di pura esaltazione.

“Perché? Non è forse questo il vostro nome?” stuzzicò insinuante il suo avversario.

Serena rimase un attimo senza risposta, poi, nel momento in cui intravedeva un’apertura nella guardia dell’avversario e si lanciava in affondo, gridò:

“No! Non ora! In questo momento io sono…”

Le spade s’incrociarono sprizzando scintille e Serena, colta da un improvviso sconcertante pensiero, lasciò la presa sulla spada, che volò nell’aria conficcandosi a terra molti metri più in là. Lei cadde seduta a terra, lo sguardo perso nel vuoto… o dentro di sé.

Senza apparentemente far caso all’errore che aveva portato alla fine dello scontro, Harold si avvicinò ai contendenti battendo educatamente le mani: “Straordinario. Siete una spadaccina di raro talento, Serena.”

Hiro posò su di lei uno sguardo intenso quanto quello del proprio compagno: “Concordo. La vostra tecnica di scherma però non somiglia affatto a quella in uso ad Asturia. Inoltre, è assolutamente perfetta… *perfettamente* simile a quella padroneggiata dai migliori combattenti dell’impero di Zaibach.”

A quell’osservazione, Serena sbiancò: “Credo che vi stiate sbagliando…” ma un solo sguardo a quegli occhi oscuri screziati d’argento le fece capire che no, loro *sapevano*.

Shinigami scrutò il suo volto pallido e l’anima divisa che vi si celava dietro, e ad essa si rivolse: “Esisteva un solo spadaccino che possedesse un modo di combattere tanto peculiare e inconfondibile quanto il vostro… non desiderate conoscerne il nome?”

Serena rialzò lo sguardo; i suoi occhi azzurri rivelavano una forzata calma e sicurezza di sé mentre fissavano senza timore i due oscuri stranieri di fronte a lei:

“Conosco il suo nome. State parlando di Dilandau Albatou.”

 

 

 

 

 

NdA: Questo è l’inizio di una storia che desideravo scrivere da molto tempo; amo troppo Dilandau e i suoi Dragonslayers per accettare la loro scomparsa come la fine di Tenku no Escaflowne ce la presenta. Personaggi del genere meritano molto di più che un’etichetta di comparse troppo presto cancellate dalla storia. Intendo farli tornare e dare loro l’occasione di dimostrare quel che valgono.

Ricomincia la Caccia al Drago!

 

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo: Losing you ***


Dragonslayer

Dragonslayer

 

 

Capitolo secondo: Losing you

 

AN: I titoli dei capitoli corrispondono alle canzoni dei Dream Evil – Dragonslayer (2002) che fanno da ‘colonna sonora’.

 

 

Serena fece accomodare in casa i due misteriosi ospiti; accomodati su un divano di fronte alla poltrona dove sedeva la fanciulla, i tre rimasero per lunghi minuti in silenzio, solo il lieve stormire delle foglie dall’esterno turbava quell’atmosfera onirica. Infine, fu lei a spezzare quel velo di irrealtà che pareva ricoprire la stanza.

Cosa volete da Dilandau?” i due si scambiarono nuovamente il loro solito sguardo che nascondeva un intero dialogo senza parole, ma Serena li prevenne: “Ho capito che voi due sapete molto più di quanto io o chiunque altro possa mai indovinare su di lui… e forse su tutto ciò che lo riguarda. Quello che voglio sapere ora è se siete venuti qui, come credo, per riprendervelo.”

Il sopracciglio di Hiro ebbe un guizzo, ma Harold con un gesto conciliante prese la parola col suo tono pacato e cortese: “Siamo stupefatti dalla vostra perspicacia, ma prima vorrei farvi una domanda, madamigella: cosa sapete esattamente *voi* di lui?”

Serena sorrise con un tocco di malinconia: “Molto meno di quanto si penserebbe, considerato che la maggior parte della mia vita l’ho vissuta dentro di lui, senza che nessuno di noi due ne fosse consapevole. Eppure… in certi momenti avevamo degli sporadici contatti, quando le fluttuazioni del Destino diventavano instabili e l’Essenza di Dilandau si trovava a vacillare per pochi istanti su ciò che lui era e su *chi* invece avrebbe dovuto essere. Ma lui non sapeva dell’esperimento degli Alchimisti, la verità su come era stato creato. E io… avevo cinque anni quando cessai di esistere come Serena, e non ero in grado di mettermi in contatto con lui; non potevo fare altro che dormire nelle profondità della SUA mente e del SUO corpo, vivendo la sua vita come immagini di un sogno.

“Allora voi possedete i suoi ricordi?” puntualizzò Hiro.

“No, quei ricordi sono di Dilandau. Io li conosco come se li avessi letti in un libro, o visti in un quadro. Non mi appartengono. Un’ombra di tristezza offuscò le sue iridi azzurre con una patina di lacrime: “A volte mi chiedo se la mia stessa *vita* mi appartenga. Io… cosa sono io? Una bambina che non è esistita per dieci anni e poi è tornata, riprendendosi un’esistenza che non è mai stata sua. Era di Dilandau; lui era una persona incredibile: a dodici anni già si era diplomato con lode all’Accademia militare di Zaibach, a tredici guidava eserciti di guymelef, a quattordici l’Imperatore in persona lo insignì del titolo di Comandante dei Dragonslayers, il reparto di combattenti d’èlite più prestigioso dell’Impero. Che valore ha al confronto una patetica damina di Asturia? Come potrei mai competere con ciò che Dilandau era… e che io gli ho tolto, tornando ad esistere?”

Serena s’alzò e si diresse alla finestra, voltando le spalle ai suoi ospiti per nascondere loro le lacrime d’amarezza che minacciavano di scendere dai suoi occhi. “Me lo chiedo ogni volta che mi guardo allo specchio” sussurrò posando una mano accanto al suo riflesso sul vetro “quando il mio viso non mi sembra proprio il mio, simile ma diverso, più maschile; quando sotto la luce della luna i miei capelli invece che di biondo oro scintillano di riflessi d’argento puro; quando i miei occhi si tingono di rubino alla luce scarlatta del tramonto.”

Le due oscure figure ponderarono accuratamente le sue parole: “E a quali conclusioni siete giunta?” chiese Shinigami.

Lei rivolse verso di loro due occhi di zaffiro privi di lacrime e colmi di determinazione: “Che non intendo vivere una vita che non mi soddisfa; mio fratello Allen non mi permetterà mai di essere una guerriera, come desidero. Non c’è una sola persona che possa considerare veramente amica, e che mi accetti per quella che sono. Mi rendo conto che quello che Dilandau ha perso per sempre è molto più di quello che io potrò mai avere, ma nonostante questo… se lui volesse tornare indietro, io gli cederei nuovamente il mio posto.

Le sue parole suonarono decise e senza ripensamenti, non il capriccio di una ragazzina viziata, ma la cosciente presa di posizione di un condottiero veterano. I due stranieri non poterono che esserne sorpresi, e una nuova possibilità si aprì alle loro menti.

“Allora, siete qui per questo o no? Se potete farlo, avanti. Non pongo obiezioni.” Decretò Serena.

Harold le rivolse un sorriso che invitava alla pazienza: “Prima che ne direste di scoprire cosa ne pensa lui?” Serena lo guardò interrogativa e Midnight Hawk proseguì: “Se me lo permettete, io ho la facoltà di immergermi nel vostro inconscio; spingendomi al di là della vostra mente, potrei raggiungere Dilandau e parlare con lui.”

Serena prese in considerazione la possibilità e con un cauto cenno acconsentì.

Il moro dai capelli lunghi le fece cenno di sedersi al suo fianco sul divano e le posò una mano delicata sulla fronte: “Rilassatevi.

Non era la cosa più semplice del mondo, dato che quegli occhi scuri le stavano tanto vicini da poter scorgere con estrema chiarezza ogni pagliuzza dorata che brillava nelle loro enigmatiche profondità… che ad un tratto parvero inghiottirla in un baratro simile ad una pupilla sottile che non aveva nulla d’umano.

 

Harold Midnight Hawk attraversò in un lampo gli strati della coscienza di Serena; non si soffermò a leggere nella sua mente, sapeva che la fanciulla era stata completamente sincera nella sua coraggiosa confessione. Il suo obiettivo si trovava oltre, in una parte della ragazza che non le apparteneva, che era dentro di lei ma che non era lei. Era un’altra persona. Era Dilandau.

Infine, giunse a destinazione. La realtà mentale e spirituale che si trovò di fronte si rese comprensibile per lui assumendo la rappresentazione fisica di una fitta coltre di nebbia in mezzo alla quale sorgeva una tenda: di foggia spoglia e sobria, un aspetto tipico della severa e pragmatica funzionalità militare, come se ne potevano vedere a migliaia, tutte uguali, negli accampamenti dell’esercito di Zaibach durante le loro lunghe campagne.

Harold, pur consapevole della futilità del gesto, bussò educatamente al palo di sostegno e scostò le falde di tessuto grigio per accedere all’interno. L’ambiente, molto più ampio di quanto una vera tenda avrebbe consentito, era immerso nell’ombra. Unica fonte di luce, una torcia a gas dalla fredda fiamma azzurra che illuminava a malapena un lato della persona seduta scompostamente su uno sgabello, facendo tuttavia scintillare i suoi corti e lisci capelli d’argento.

Il ragazzo, snello ma dotato di muscoli sottili e nervosi, vestiva la divisa di pelle nera dei Dragonslayers, aperta sul petto glabro e compatto a malapena celato dalla canotta bianca slacciata. La testa china faceva pensare che fosse addormentato, oppure perso in conteplazione delle sue mani abbandonate in grembo, ancora ricoperte dei guanti corazzati della sua rossa armatura. Quando però il visitatore avanzò di un passo, fu immediatamente inchiodato sul posto da due occhi ardenti di un fuoco color sangue, che brillavano febbrili nell’ombra che celava il suo viso.

“I miei omaggi, Comandante Dilandau Albatou.

Un roco sussurro rese palpabile la minacciosa ostilità che impregnava l’atmosfera: “Non m’importa chi sei o quello che vuoi. Vattene. Non sono dell’umore di ricevere visite, almeno per molto tempo.

Harold si vide costretto a cambiare approccio: “Nemmeno per avere notizie di Serena?”

Quel nome destò un guizzo d’interesse in Dilandau, che rialzò il viso esponendo alla fioca luce i suoi lineamenti delicati, ma tirati da stanchezza e sofferenza: “Che è successo alla ragazza?”

“Soffre. Odia sé stessa e la sua vita. Sente di averti fatto un torto, ed è disposta a rinunciare alla sua esistenza per restituirti la tua.

Il Dragonslayer sbottò in una bassa risatina in cui si mescolavano amarezza e una punta di incredulità: “Piccola stupida.” sibilò, ma nella sua voce c’era un’inedita tenerezza. “Ora che so tutto, crede che per me sarebbe così facile? Oh, non fraintendermi; se si trattasse di qualcun altro non mi farei scrupoli, ma *lei*? Quella bambina ne ha passate troppe per farle anche questo. Inoltre, a che mi gioverebbe tornare là fuori? Zaibach ha perso la guerra, l’Impero è distrutto, non troverei che nemici pronti a reclamare il mio sangue. Non troverei che nemici…” ripeté con voce spezzata.

Dilandau si portò le mani a coprire il volto, contratto da un dolore che non riusciva ad accettare: “I miei Dragonslayers, tutti i miei fedeli soldati… sterminati, massacrati sotto i miei occhi, senza che io potessi fare niente, NIENTE! E il povero Jajuka… ha dato la sua vita per salvare la mia… no, non la mia, quella di Serena. Il minimo che io e lei possiamo fare per lui ora è non rendere vano il suo sacrificio.”

Midnight serrò la mascella; non poteva credere, non poteva *permettere* che il terribile e spietato Comandante dei Dragonslayers crollasse a pezzi sotto il peso dell’auto-compatimento e della sofferenza. “Sono qui per darti la possibilità di riprenderti tutto ciò che ti è stato tolto. Non è un’occasione che capita spesso, quindi ascoltami attentamente.

Queste parole alleviarono la cappa opprimente che soffocava l’atmosfera all’interno della tenda, manifestazione della melanconia del suo creatore. Dilandau rivolse nuovamente i suoi occhi di rubino, ora leggermente foschi, verso il moro. “Spiegati.”

“Io e il mio compagno vogliamo riportarti indietro. Abbiamo dei progetti che hanno come necessità imprescindibile l’azione dei Dragonslayers. E di te a comandarli.

“Parli di cose che non esistono più.” Ribadì testardo il guerriero.

“Possono tornare. Sia tu, che gli uomini che hai perso. Tutti quanti. Non vorresti riavere la tua squadra, Comandante?” chiese insinuante.

“Non sono né uno sciocco né un illuso, e non credo alle favole, straniero. Ho ucciso abbastanza uomini da sapere che dall’aldilà non si torna.

“Solitamente no, non senza un preciso permesso e un bel po’ di lavoro. Puntualizzò con un sorrisetto sibillino “Ma tentare non costa nulla, giusto?”

E poi?”

“Ci serve la tua collaborazione, l’ho già detto.

“Non mi riferivo a quello! Parlo di Serena! Non voglio che le sia fatto del male!”

Harold lo fissò a braccia conserte: “Quella ragazza ha molto più valore di quanto non avessimo considerato. Faremo tutto il possibile per potervi conservare entrambi.

“Un’altra idea assurda; il mio corpo e il suo sono composti dalla stessa sostanza, anche se la forma esteriore cambia. Non è possibile per noi esistere contemporaneamente.

“Se pensi di poter accettare l’idea che i tuoi fedeli soldati tornino dagli Inferi, perché pensi che non possiamo fare in modo che tu e Serena abbiate due corpi distinti?”

Dilandau scrollò incredulo il capo argenteo: “Questa è la sagra delle assurdità. Tuttavia” rialzò lo sguardo, e un ghigno combattivo fece nuovamente ruggire le fiamme nei suoi occhi “Ho affrontato altre battaglie disperate prima, e sono ancora abbastanza pazzo da combattere per vincere, a qualsiasi costo! Ci sto!”

Harold ricambiò il sorriso compiaciuto: “Ottimo. Andiamo.”

“Andiamo? Hai dimenticato *dove* siamo… o meglio, NON siamo?” chiese derisorio il guerriero.

“Appunto; intendo guidarti ad un livello più vicino a quello conscio di Serena; così, finché non vi avremo separati, potrai comunicare mentalmente con lei, e tramite lei con noi.”

“Addio privacy.” Commentò ironicamente Dilandau, che ad ogni istante pareva recuperare sempre più frammenti del suo sarcastico, testardo, ribelle se stesso.

L’unica risposta di Midnight Hawk fu una cortese risata, prima di fargli strada fuori dalla tenda che svanì nuovamente nella nebbia quando le proiezioni mentali dei due abbandonarono definitivamente quel luogo che non era un luogo.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo: The Kingdom of Damned ***


Capitolo terzo: The Kingdom of Damned

Capitolo terzo: The Kingdom of Damned

 

Attenzione: dato che questa storia si svolge DOPO la fine di Tenku no Escaflowne, essa comporta la presa in considerazione di tutto ciò che accade nella serie. Questo capitolo in particolare comprende enormi spoiler di tutta la seconda parte dell’anime e del finale. È la mia personale invenzione di ciò che potrebbe celarsi dietro il background del mondo di Gaea e la sua storia (e quindi le premesse su cui si basa la mia). Mi sono attenuta scrupolosamente alle informazioni che ho raccolto, per inserirmi in modo coerente negli avvenimenti noti; se dovessi aver commesso errori, sarei felice se me lo faceste sapere. Spero che risulti comprensibile anche a chi non conoscesse o ricordasse la vicenda della serie; in caso contrario, chiedete pure e io farò del mio meglio per rispondere alle vostre perplessità.

 

 

 

Serena seguì i due tenebrosi figuri nuovamente all’esterno della casa: “Posso sapere la nostra destinazione, e con che mezzo viaggeremo?” chiese educatamente, cercando di non mostrare in modo troppo evidente la propria sorpresa quando, non appena Midnight Hawk ebbe riaperto gli occhi, il suo compagno si limitò a decretare un laconico: “Partiamo.”

La sua preoccupazione era però tenuta sotto controllo da una presenza, nuova eppur conosciuta, che percepiva nella sua mente, come un secondo paio di occhi che fissassero il mondo da dietro i suoi. La ragazza sapeva di chi si trattava, e il pensiero di riavere *lui* con sé (seppur in un certo senso fosse sempre stato così; ma ora poteva avvertire la sua vicinanza, e questo la faceva sentire bene) le donava conforto e sicurezza come nient’altro al mondo.

Così prese posizione in cima ai gradini della veranda, rifiutandosi di scendere la piccola rampa se prima non avesse ricevuto risposta alle ovvie domande che aveva posto.

Due coppie di sguardi acuti e rapaci si posarono su di lei, e Serena sfidò quegli occhi che avrebbero potuto penetrare un muro di roccia, opponendovi i suoi zaffiri cristallini supportati dal fuoco di iridi rubino.

“Vi fidate di noi?” fu il secco interrogativo posto da Shinigami. Il plurale venne usato di proposito.

La fanciulla incrociò le braccia in modo autoritario, come un generale di fronte a una recluta irrispettosa, e sulle sue labbra sottili si dipinse un ghigno che di femmineo aveva ben poco:

“Per ora vi concediamo il beneficio del dubbio.”

L’unica reazione del pallido moro dai capelli corti fu inarcare un sopracciglio: “Se la risposta fosse stata diversa, vi avremmo scaricato all’istante.”

“Questo non ti esonera dal dirci ciò che vogliamo sapere.” Serena non cedette di un millimetro.

Hiro lanciò un’occhiata di sfuggita ad Harold, che si limitò a un lievissimo cenno col capo che nel loro personalissimo linguaggio significava ^Gestisci pure la situazione come preferisci; sono certo che ti comporterai nel modo appropriato. Ho piena fiducia in te e sosterrò ogni tua decisione, se avrai bisogno del mio intervento agirò immediatamente.^

(Approssimativamente. Neanche il traduttore universale più avanzato dell’universo riesce a decifrare tutte le sfumature dei contorti processi mentali di quei due. NdA)

Hiro replicò con una impercettibile alzata di spalle: ^Non mi è mai piaciuto interagire con le persone, anche se in questo caso trovo che quei due siano interessanti. Tu sei decisamente più abile di me a fare il finto diplomatico, ma proseguirò comunque.^

(Traduttore OFF. Altrimenti se mi perdo dietro ai dialoghi impliciti di questi due la storia diventa lunga il triplo. NdA)

“Zaibach. Vi portiamo noi.” Fu tutto ciò che Kurosuzaku no Shinigami disse a parole.

La risposta parve sorprendere non poco Serena e il suo ‘gemello’ interiore: “L’Impero? Ma non esiste più; dopo la fine della guerra, ho saputo che la capitale non è altro che una città in rovina: la popolazione se n’è andata quasi completamente, vi vivono solo sbandati e fuggiaschi, e gli ultimi rimasugli della nobiltà che restano arroccati nei loro palazzi-fortezza. La cittadella imperiale, poi, è rimasta deserta ed abbandonata, considerata alla stregua di un luogo infestato dagli spettri. E non mi sorprenderebbe se fosse davvero così.” L’ultima frase fu proferita in modo sommesso, come se Serena e Dilandau condividessero i reciproci terribili ricordi delle sevizie e degli esperimenti a cui erano stati sottoposti dagli infami Alchimisti dell’Imperatore.

“Sei molto bene informata, per essere una damigella tenuta sotto una campana di vetro.”

Questo commento vagamente sarcastico riportò l’attenzione della bionda fanciulla su Hiro, e lo ricambiò con un sorrisetto non privo di un’amara ironia: “Leggo di nascosto le lettere che arrivano ad Allen, e quando ci rechiamo a Palas faccio in modo di restare nella stessa stanza quando mio fratello, re Dryden e gli altri nobili discutono di politica; è straordinario come una donna che se ne sta in silenzio in un angolino fingendo di ricamare scompaia dalla considerazione degli uomini, come se la sua esistenza fosse completamente insignificante.”

Serena fu vagamente compiaciuta dal fulmineo scambio di sguardi d’approvazione dei due uomini in nero; inoltre, sentì la sua melanconia scomparire immediatamente quando Dilandau le trasmise attraverso la loro intrinseca comunicazione un forte senso di compiacimento per la sua intelligenza. Improvvisamente di ottimo umore, esclamò: “Ebbene, che aspettiamo? Partiamo. E durante il viaggio pretendo di sapere qualcosa di più su di voi .”

Harold intervenne nella conversazione per la prima volta: “Forse su di noi non scoprirai molto, ma di sicuro verrai a conoscenza di molte verità nascose del mondo in cui vivi, della sua storia… e della parte di essa che riguarda te e Dilandau.”

“Per quanto ci riguarda, accontentati di poterci vedere nella nostra altra forma.” Sbuffò Hiro, allargando le braccia, subito imitato dal compagno. I loro mantelli si sollevarono come agitati da un vento innaturale, i contorni dei loro corpi divennero sfocati e poi si sciolsero in ombre nere che aumentarono pericolosamente di dimensione, turbinando vorticosamente; s’intravidero ali, artigli, becchi adunchi, e quando la trasformazione finì, di fronte a una Serena sbigottita s’ergevano due enormi uccelli rapaci dal tenebroso piumaggio: il Falco e la Fenice si erano rivelati in tutta la loro ferina possanza.

“COSA diavolo siete?” la domanda che uscì dalle labbra della fanciulla fu proferita in un tono di voce qualche ottava più basso del normale; lo stupore che aveva ammutolito Serena evidentemente non aveva avuto lo stesso effetto sul più smaliziato Dilandau.

“Per ora, siamo il vostro mezzo di trasporto; per il resto, nel corso della nostra lunga chiacchierata arriveremo anche a questo… forse.”

Serena pensò che sebbene il becco affilato del Falco di Mezzanotte non gli permettesse di mostrare quel quasi-sorriso sibillino, le bastava conoscerlo da un’ora per avvertirlo ugualmente come una goccia gelida che scendeva lungo la spina dorsale. Quindi, se doveva scegliere tra due mali ugualmente minacciosi, si avvicinò alla Fenice Nera, che arruffò le piume per esprimere il suo scarsissimo gradimento per la soluzione di viaggio, ma acconsentì a chinarsi per far accomodare la ragazza sul suo dorso, tra le piume delle maestose ali.

“A che velocità siete in grado di volare?” chiese Serena, con una sfumatura d’interesse rivelatrice dell’esperto di macchine da guerra volanti. “La capitale dell’Impero… o meglio, ciò che ne rimane, dista parecchi giorni di viaggio.” Inevitabilmente il suo pensiero si posò su Allen: se non l’avesse trovata a casa al suo ritorno, l’iperprotettivo fratellone avrebbe rivoltato fino all’ultimo sasso di Gaea per rintracciarla. E non aveva pensato ad un piano per depistarlo. È proprio vero che l’inattività stava arrugginendo le sue facoltà strategiche, le giunse l’auto-critica che Dilandau rivolse a se stesso.

“Possiamo volare alla velocità che vogliamo.” Giunse un’altra mezza risposta da Shinigami “In questo caso, arriveremo quando avremo finito di spiegarti ciò che dobbiamo. Quindi, reggiti forte, chiudi il becco, e risparmiati le domande per dopo.” Impartite queste insolite istruzioni di volo, i due rapaci dal notturno piumaggio s’innalzarono nel cielo come macchie oscure contro il sole.

 

Serena si sentì cogliere da un brivido misto di esaltazione e nostalgia al brusco sbalzo dovuto al decollo. Istintivamente si trovò a paragonare quella sensazione ai ricordi di Dilandau sulla modalità di volo degli Alseides; i guymelef di Zaibach risultavano decisamente superiori in comfort: la soluzione liquida da cui il pilota era circondato, lo proteggeva dagli urti. Ma l’abitacolo di una macchina da guerra non consentiva la visione totale del panorama sottostante che si estendeva a perdita d’occhio, né l’ebbrezza di totale libertà provocata dal battito delle enormi ali, come il pulsare di un cuore selvaggio.

“Allora, dove cominciano queste spiegazioni?”

“Esattamente sopra di te.”

La ragazza alzò lo sguardo, ma tutto ciò che poté vedere nell’infinito cielo limpido di Gaea fu l’azzurra Luna dell’Illusione e la sua più piccola gemella pallida; esse incombevano nella loro astrale indifferenza. I suoi occhi si fecero pensosi: quel satellite misterioso era oggetto di numerose superstizioni, ma anche il luogo di provenienza della fanciulla tanto cara ad Allen, Hitomi Kanzaki. Il fratello le aveva narrato dei misteri che circondavano la straniera, custode della chiave dei misteri di Atlantide; quegli stessi segreti che avevano allontanato e condotto alla morte il padre che lei non ricordava.

Dilandau le comunicò con malcelata ira le più precise informazioni che egli aveva raccolto sulla veggente durante la sua ultima e sfortunata Caccia al Drago: ricordi che trasmettevano una sensazione viscosa e dall’odore di sangue, come una ferita mai rimarginata, grondanti di rabbia e amarezza. Aggiunse poi le leggende che aveva sentito discutere ai vertici della gerarchia politica e militare di Zaibach, e che personalmente non aveva mai degnato di reale interesse.

Serena vagliò con attenzione le informazioni ricevute e azzardò un’ipotesi: “Vi riferite alla leggenda secondo la quale il mondo di Gaea venne creato dai desideri dei superstiti di Atlantide?”

“Sei ben informata” si complimentò il Falco “ma vorrei che tu prendessi in considerazione l’altra faccia della medaglia. Ovvero, gli Atlantidei costruirono sì un dispositivo tanto immensamente potente da creare un mondo parallelo; ma prima di ciò, questo stesso potere li portò a tali livelli di arroganza da condurli alla quasi completa autodistruzione. Un potere in grado di annientare un continente in un battito di ciglia, sfuggendo al controllo dei suoi stessi creatori.”

Un lampo color scarlatto illuminò le iridi celesti, e la mente del guerriero devastatore ebbe per un attimo la meglio: “Quindi chissà cosa potrebbe scatenare un potere del genere se usato *deliberatamente* come arma.”

“Scommetto che tu hai abbastanza fantasia da farti un’idea in proposito.” Ghignò la Fenice.

“Così avete deciso di usare NOI per ordire un piano ed impadronirvi del segreto di Atlantide e conquistare il mondo?” Il tono di accusa di Serena era un’affermazione, non una domanda; ma fu subito schiacciato dalla replica imperiosa e severa di Shinigami:

“Non saltare alle conclusioni, ragazzina! Tu non puoi neppure lontanamente concepire i nostri scopi, né immaginare come si dipana il nostro agire nei meandri del tempo, manipolando lo spirito e il Destino stesso degli esseri umani!”

L’accenno a quella parola maledetta, Destino, fece ritirare Serena in un doloroso silenzio e destò in Dilandau una ferocia ancor più guardinga.

Una risata priva d’allegria di Harold smorzò i toni del diverbio con una rivelazione stupefacente nella sua apparente noncuranza: “In realtà noi possediamo già il cosiddetto ‘segreto di Atlantide’. I tuoi scrupoli di coscienza, Serena, sono del tutto fuori luogo: non abbiamo intenzione di renderti complice di quello che consideri un crimine contro l’umanità; crimine che noi, in realtà, abbiamo già commesso da tempo immemorabile.”

La voce derisoria di Hiro era impregnata di un sarcasmo che bruciava come acido: “Chi credi che abbia aiutato quegli stupidi Atlantidei a raggiungere tali livelli di potere? Le loro stesse anime sono il prezzo che abbiamo preteso in cambio della conoscenza che cercavano. Ma alla fine quegli idioti si sono rovinati con le loro stesse mani!”

“Purtroppo il loro fallimento ha condotto inevitabilmente alla distruzione di tutto ciò che *noi* avevamo fatto in modo che costruissero: la macchina dei desideri, in grado di mutare il corso del destino. Così dovemmo escogitare un nuovo progetto perché qualcun altro la ricostruisse.” Commentò Midnight con una punta di esasperazione per quell’immensa perdita di tempo. “Stavolta però decidemmo di concentrarci su di un solo individuo, così che fosse più agevole controllarlo periodicamente. Ed anche in questo caso trovammo la persona che faceva al caso nostro sulla Terra, ovvero il pianeta che su Gaea veniva già chiamato ‘Luna dell’Illusione’.”

Shinigami sbuffò disgustato: “Ci toccò un povero illuso che in punto di morte ancora voleva a tutti i costi scoprire ciò che agli uomini mortali non è dato conoscere. Nel suo caso, irretirlo fu tanto semplice da essere quasi imbarazzante: nel momento della sua morte, non lo trasportammo negli Inferi ma su Gaea; sospendemmo il momento della sua dipartita, e in cambio lui usò le sue conoscenze tecnologiche per creare il regno più grande, fiorente e sviluppato che questo pianeta potesse sognare di avere.”

“L’Impero di Zaibach!” esclamò Serena, mentre alla sua mente si presentava il ricordo, solo in parte suo (il frammento più sbiadito e consunto di un puzzle di istanti molto più vario e complesso), di un vecchio impossibilmente antico, tenuto in vita da una gigantesca macchina dal funzionamento ignoto. “Volete dire che *voi* controllavate da dietro le quinte la politica dell’Imperatore Dornkirk?” sibilò stupefatta una voce troppo simile a quella di Dilandau, permeata dall’incredulità al pensiero che il suo mentore, il suo creatore ed aguzzino, fosse stato a sua volta la marionetta di entità che ancora non riusciva a definire.

Harold spiegò pazientemente: “Ci servivano i mezzi di un paese ricco per poter disporre delle risorse materiali e umane necessarie alla realizzazione di una nuova Macchina del Destino. Ma altrettanto importante era il sostegno psicologico della società che l’avrebbe prodotta. L’idealismo ipocrita alla base della propaganda di Dornkirk…”

“Quel pazzoide esaltato di Isaac non poteva scegliersi uno pseudonimo di peggior gusto.” Sibilò Hiro.

“…servì perfettamente allo scopo. Il miraggio di un impero globale, una guerra di conquista per mettere fine a tutte le guerre che laceravano il pianeta e instaurare una pace mondiale, era solo un pretesto per la corsa alla ricerca scientifica a scopi militari. Giustificava moralmente, come ‘sacrifici necessari’, esperimenti che sarebbero stati ripudiati con orrore da qualunque altra comunità civile. Tutto ciò portò allo sviluppo della fusione tra tecnologia e pratiche occulte necessaria per la manipolazione del Destino. Un trionfo di cui voi due” l’occhio dorato e inumano del Falco si posò con rapacità penetrante su Serena, giungendo anche oltre lei “siete senza dubbio il risultato più perfetto.”

La bionda guerriera si chiese per un istante se doveva considerare quella constatazione un complimento o un’ambigua minaccia.

“Sfortunatamente” la voce sferzante come una frustata rivelò che l’irritazione della Fenice stava giungendo a livelli pericolosi, la ragazza poteva avvertire il fremito di collera sotto le sue nere piume “Anche stavolta scoprimmo di esserci fidati di un emerito imbecille. L’idiota, credendo di poter realizzare il suo senile, totalmente utopistico desiderio di felicità universale, usò la ragazza della Luna dell’Illusione per attivare la Macchina di Modifica del Destino; essa innescò un’alterazione incontrollata durante la grande battaglia che portò alla distruzione di Zaibach: generò il caos, in cui gli uomini si trucidarono l’un l’altro senza distinzione, nel miraggio di realizzare i loro avidi desideri di potere. Poi la mocciosa impicciona e quell’insulso seccatore del Re di Fanelia distrussero la Macchina; e ancora una volta, tutto il nostro lavoro finì in malora.”

Serena non riuscì a trattenere l’indignazione repressa: “Che razza di creature siete in realtà, per cui i secoli e gli imperi significano meno di niente? Ne parlate come se fosse un gioco di scacchi! Come se le pedine che avete mosso e sacrificato non fossero esseri umani vivi e pensanti! Come se questa assurda, cosmica macchinazione non avesse distrutto innumerevoli vite! La *mia* vita!”

“Basta così, ragazzina!” ribatté Hiro, ora realmente adirato “Neppure ti rendi conto dell’enormità delle vicende di cui parli, di ciò che ti permetti di *giudicare*!” e la sua palese impazienza non avrebbe certo lasciato trapelare altre preziose informazioni che avrebbero facilitato la comprensione che Serena cominciava a intravedere vagamente dai pochi spiragli che le erano stati offerti, quasi distrattamente. Ma il rimprovero della Fenice era ben lungi dall’essere completamente sfogato. “Se non fosse stato per il nostro sottile schema per indirizzare il corso della storia, tu saresti ora una damina tutta moine e riverenze, con una mentalità non più ampia di un cucchiaino da tè, incapace di concepire la vita di una donna oltre al badare alla casa, al marito e ai figli. Non potresti neppure immaginare che esista altro per cui valga la pena combattere, come tu hai fatto e stai facendo ora – in caso contrario non saresti certo qui e questa nostra conversazione non avrebbe mai avuto luogo. Per di più, Dilandau non sarebbe mai esistito” Serena non poté evitare un brivido di inorridito rifiuto a quest’ipotesi; la presenza del suo gemello era per lei un’idea imprescindibile quanto la propria esistenza. “…e forse neppure la stessa Gaea sarebbe stata creata, con tutto ciò che ne consegue… o NON ne consegue.”

Il silenzio calò pregno dell’immenso peso di incalcolabili destini perduti o mai realizzati.

“Ananke, la Necessità dell’Universo, opera per vie imperscrutabili.” Sentenziò filosofico Midnight “Nessuno può giudicarle giuste o sbagliate, perché in un modo o nell’altro esse sono inevitabili.” Di nuovo l’occhio dorato esaminò attentamente il volto pallido della fanciulla e gli occhi guerrieri che lo animavano, compiacendosi internamente della forza d’animo che le consentiva di tenere testa addirittura a Hiro, impresa che alla stragrande maggioranza delle persone sarebbe risultata impossibile. “Inoltre, puoi dire che te ne sia venuta solo infelicità? Le persone che hai conosciuto ti sono state tutte tanto odiose da desiderare di non averle mai incontrate?”

L’anima di Dilandau si ribellò vigorosamente a questa insinuazione: neppure il pensiero degli orrendi esperimenti a cui era stato sottoposto poteva costringerlo a rinnegare l’orgoglio – e, si, la felicità – di scegliere i giovani più valorosi dell’Impero come suoi Dragonslayers e guidarli nelle loro vittoriose battaglie. Come dimenticare la devozione commovente che quei ragazzi coraggiosi avevano nutrito fino alla morte e persino oltre, per il loro severo ma carismatico Comandante? Come scordare la fedeltà di Jajuka, disposto a sacrificare tutto per il bene di entrambi i suoi ‘signorini’, che lui soltanto conosceva come le due facce di un’unica entità? E infine Folken: il discusso, volubile, indecifrabile ex-principe di Fanelia; colui che si poneva inevitabilmente come controparte stoica ed inamovibile del focoso e irrequieto Dilandau; un contrasto che li spingeva a discutere e criticarsi in continuazione, ma che celava un profondo rispetto reciproco.

No, Dilandau decise senza mezzi termini: la sua vita, per quanto breve, era valsa la pena di essere vissuta; per quanto solo ora riuscisse a scorgere la trama dell’ignoto retroscena, era disposto ad accettarlo. La sua filosofia di soldato, di Dragonslayer, sanciva che era impossibile cambiare il passato: tutto quel che veramente contava era andare sempre avanti, aprendosi la strada col fuoco e con l’acciaio, verso l’obiettivo da conquistare.

La spietata logica del guerriero ebbe la meglio anche sulle ultime remore di Serena, che accettando quella nuova risolutezza chiese con rinnovata calma: “Allora che cosa ci attende nell’immediato futuro?”

I due rapaci si scambiarono un fugace sguardo soddisfatto, ma la loro risposta non fu meno sibillina del consueto: “Lo saprete quando ci saremo riuniti ad una vecchia conoscenza di Dilandau.”

Serena rispecchiò nel suo accigliarsi la stessa sospettosa incredulità del suo alter-ego maschile, mentre davanti a loro si ergevano all’orizzonte le rovine di quella che fu la maestosa capitale dell’Impero di Zaibach.

 

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