Ronin per scelta

di Filakes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Frammenti di ricordi ***
Capitolo 2: *** Pranzo ***
Capitolo 3: *** Convocazione ***
Capitolo 4: *** Attacco ***
Capitolo 5: *** Lutto e Vendetta ***
Capitolo 6: *** Me ne vado ***
Capitolo 7: *** Ai e Sumi ***
Capitolo 8: *** Primo Incarico ***



Capitolo 1
*** Frammenti di ricordi ***


Ronin per scelta
Capitolo I:
“Frammenti di ricordi”

  Le mani di sua madre acconciarono velocemente e con precisione i suoi capelli lisci, scuri come le piume di un corvo.
Aveva quattro anni, allora, il giorno in cui le fu insegnata per la prima volta l’arte della spada.
Non appena sua madre finì la ringraziò e corse dal padre che si stava allenando con il figlio maggiore in giardino.
-         Papà!
-         Mariko! Piccola, sei già sveglia?
-         Sì, la mamma oggi mi aiuta nello shodo.
-         Brava la mia bambina.
Mariko sorrise al padre, gli voleva un bene dell’anima.
-         Quando mi insegnerai l’arte della spada papà?
Domandò allegra, amava vedere il padre allenarsi col fratello, anche lei voleva imparare a combattere.
-         Mariko torna qui!
La voce della madre arrivò dalla casa.
-         Se fai la brava e vai dalla mamma ora, ti prometto che oggi pomeriggio ti insegnerò l’arte della spada.
-         Davvero?
-         Davvero.
-         Grazie!
Corse di nuovo dentro casa verso sua madre, i tabi che picchiettavano leggeri sul tatami avevano un suono dolce, mentre raggiungeva la stanza dove la madre l’aspettava col pennello in mano.
 

  -         Brava Mariko! Stai diventando proprio brava.
Si complimentò il padre dopo che la figlia aveva disarmato senza troppo sforzo il primogenito.
-         Goemon, ti stai facendo battere da tua sorella, vedi di impegnarti, un giorno erediterai il feudo. Devi saperlo proteggere!
-         Certo padre.
Goemon si inchinò per scusarsi e rientrò in casa.

  Mariko aveva tredici anni quando suo padre le disse:
-         Mariko, per un po’ mi concentrerò ad allenare Goemon, ha bisogno di riacquistare fiducia in se stesso e presto ci sarà una guerra, il nostro daimyo è ai ferri corti con il suo nemico, presto saremo in guerra, e Goemon verrà con me. Deve saper combattere.
-         Porta anche me!
-         No Mariko.
-         Ma padre io so combattere e sono un samurai tanto quanto lo è Goemon.
-         Anche meglio, se per questo, ma tu devi sposarti e darmi un nipotino, ormai sei in età da marito, devi badare a tua madre. Se i nemici attaccassero il feudo tu dovrai essere qui a proteggere tua mamma.
-         Va bene.
Si arrese Mariko.
 

  Quell’estate la guerra scoppiò davvero. E il ciliegio dove soleva parlare col padre morì, colpito da un fulmine.



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Salve sono Filakes, è la mia seconda storia, vi prego se faccio alcuni errori sulla storia giapponese di avvisarmi per migliorare, grazie mille.
Filakes

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Capitolo 2
*** Pranzo ***


Capitolo II:
“Pranzo”

  Mariko era seduta sulle ginocchia in veranda, le mani appoggiate elegantemente sulle gambe. Stava osservando il fratello maggiore allenarsi col padre, l’alba era appena sorta e la brezza primaverile era leggera e profumata.
Dai ciliegi del giardino cadevano dolcemente spirali di petali rosa, pensò ad una poesia, un haiku, sentita in paese, dolce come quel momento.
La porta dietro di lei si aprì poi si richiuse.
-         Mariko-san, vostra madre vi attende.
L’avvisò Kiri, la loro domestica più anziana, inchinata.
-         Arrivo subito.
Kiri si inginocchiò di fronte alla porta scorrevole in legno e carta di riso, l’aprì, si alzò, rientrò in casa e di nuovo si inginocchiò e la richiuse.

  Mariko fissò il cielo terso e sospirò, quel giorno avrebbe dovuto conoscere il suo promesso sposo. Il padre era orgoglioso di essere riuscito a combinare il matrimonio tra la sua adorata Mariko ed il terzogenito del daimyo, due anni più grande di Mariko.
Senza far rumore, per non disturbare il fratello ed il padre, Mariko rientrò in casa, a passi veloci ma delicati, raggiunse la stanza della madre e proprio come Kiri, aprì la porta inginocchiata entrò e rimettendosi in ginocchio la chiuse.
-         Ditemi madre.
-         Dobbiamo prepararci, Haku ti accompagnerà a fare il bagno, dopo il massaggio ti vestirai con un nuovo kimono, preso per l’occasione e, prima dell’ora del Cavallo, devi essere pronta, mangia un po’ di riso, mi raccomando, a pranzo col tuo futuro marito non devi mangiare molto, altrimenti non potrai conversare con lui.
-         Non sono una geisha, madre.
-         Lo so, ma devi essere altrettanto bella e posata.
Concluse la madre sorridendole, poi Haku entrò nella stanza e accompagnò Mariko a fare il bagno.


  L’acqua calda era estremamente piacevole sul corpo e il profumo di fiori di ciliegio era rilassante. Haku stava aiutando Mariko a lavarsi, aveva la stessa età della giovane samurai.
-         Siete emozionata, Mariko-san?
-         Un po’, Haku-san. Direi preoccupata, forse.
-         Come mai, Mariko-san?
-         Se fosse brutto? Se fosse violento?
-         Il vostro Nobile padre non vi avrebbe mai dato in sposa ad un uomo del genere.
-         Hai ragione Haku-san.
Sorrise Mariko, più tranquilla.
 

  Il palanchino si fermò davanti al cancello della casa del daimyo. Mariko e la madre scesero, aiutate dai portatori ed entrarono dal cancello in legno. Camminavano silenziose sui ciottoli di pietra che conducevano alla casa e si fermarono di fronte all’ingresso.
Mariko indossava un kimono di seta arancione con ricami dorati, i capelli acconciati come prevedeva la moda del tempo, alti e fermati da spilli d’argento e con un piccolo fiore di loto alla base dell’acconciatura.
Mariko notò l’enormità della casa e ne rimase impressionata, un servitore, vestito solo del perizoma, aprì porta e si inchinò, lasciando entrare le due donne, poi una donna di mezza età le accompagnò di fronte ad una stanza chiusa.
-         Vi prego di attendere.
Disse inchinandosi profondamente.
Entrò nella stanza e sentirono la donna annunciarle alla padrona di casa.
-         Fatele pure entrare.
Sentirono dire ad una voce soave.
La donna di prima aprì la porta e fece loro segno di accomodarsi, entrambe si inchinarono profondamente prima di entrare, poi si accomodarono su due cuscini dalla parte opposta del tavolino, rispetto alla bellissima donna ed al figlio del daimyo.
-         E’ un onore essere state invitate alla vostra tavola.
Ammise la madre di Mariko.
-         La ringrazio, ma la prego, si senta a suo agio e faccia come fosse a casa vostra.
Sorrise la moglie del daimyo.
-         Lei è mia figlia Mariko.
-         Buongiorno, Midori-sama.
Salutò inchinandosi alla futura suocera.
-         Buongiorno a te. E’ bella e aggraziata quanto una geisha, l’avete educata bene, Yuriko-san.
-         Siete troppo gentile, Midori-san
Mariko arrossì leggermente e ringraziò chinando il capo.
-         Lui è mio figlio Sudara. Su, saluta.
-         Buongiorno.
Mariko guardò il ragazzo era senza dubbio bello, i lineamenti delicati, le ciglia lunghe incorniciavano gli occhi neri come l’abisso.
Per tutto il pranzo Mariko mangiò spiluccando e apprezzando il cibo, senza abbuffarsi, ma soprattutto rispose alle domande della Nobile Midori, per quanto si sentisse a suo agio, sapeva di essere sotto esame.
Sudara al contrario parlò poco, solo quando il discorso cadde accidentalmente sulla bellezza delle katana, il suo sguardo si illuminò ed i due parlarono con entusiasmo, Yuriko dovette fingere un colpetto di tosse per riportare la figlia coi piedi per terra.
 


  -         Allora com’è andata, Mariko-san?
Domandò Haku, appena tornarono a casa.
-         Spero bene, almeno mi è sembrato così.
Sorrise Mariko allegra.
-         La cena è pronta, Yuriko-sama.
Avvisò Kiri.
-         Meno male, ho proprio fame.
Si rallegrò Mariko, facendo l’occhiolino ad Haku, che rise divertita.

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Capitolo 3
*** Convocazione ***


Capitolo III:
“Convocazione”

  Era l’ora di pranzo, tutta la famiglia era seduta a tavola e mangiavano in silenzio.
In paese giravano voci sempre più insistenti sullo scontro imminente tra i due daimyo e il padre di Mariko, Noburo, aveva rispolverato l’armatura e ne aveva fatta fare una per Goemon.
Come sempre, il padre avrebbe combattuto in prima linea, fronteggiando i nemici più terribili.
 

-         Sai, Mariko.
Aveva cominciato il padre, il giorno che aveva iniziato ad insegnarle l’arte della spada.
-         Non c’è gloria nel morire mentre si è in ritirata, né morire dopo essere stati catturati. Il massimo onore è morire proteggendo il proprio daimyo, uccidendo più nemici possibili. Quando invece si è catturati o non si è portata a termine una richiesta, è ancora possibile morire con onore facendo seppuku, se il signore te lo permette.
Aveva concluso il padre.
Erano seduti sotto il ciliegio, in giardino, faceva caldo per essere primavera.
-         E come si fa seppuku?
-         Te lo insegnerò, tutti i samurai devono saperlo fare.
-         Perché il padrone è tanto importante?
-         Perché ci dà terre e finanziamenti, perché è più saggio di noi e dipendiamo da lui. Per questo esiste un disonore ancora più grande degli altri: diventare ronin.
Il padre pronunciò la parola “ronin” con disgusto, come se lasciasse uno spiacevole sapore in bocca.
-         Che cos’è?
Domandò preoccupata Mariko.
-         E’ un samurai senza terra né padrone. Si diventa ronin se il padrone ti sottrae il feudo per punizione o se il tuo signore viene ucciso con tutta la discendenza e non hai più qualcuno da proteggere e che ti protegga. Devi vagare in giro per il Paese sostentandoti come mercenario o brigante; è la peggior condanna per un samurai.
Finì, scuotendo la testa.

 
  Qualcuno bussò alla porta, e tornò alla realtà. Noburo appoggiò le bacchette e tese le orecchie ad ascoltare, nessuno mosse un muscolo.
Sentirono Kiri aprire la  porta e una voce profonda parlare con calma, dopo alcuni attimi Kiri aprì la porta della loro stanza.
-         Nobile Noburo, un funzionario del daimyo chiede di voi.
-         Arrivo subito, fallo accomodare nella terza stanza e prepara del cha.
-         Sì, signore.
Il padre ringraziò per il pranzo e si inchinò, poi uscì dalla stanza sotto lo sguardo di tutti.
-         Continuate a mangiare voi due, io vado ad aiutare Kiri.
La madre si alzò e uscì dalla stanza.

 Mariko e Goemon si guardarono un momento, nessuno dei due aveva il coraggio di mangiare.
-         Credi sia per la guerra?
Chiese Goemon, lievemente preoccupato.
-         Credo di sì…
Sentirono le voci provenire dalla terza stanza, la più grande della casa.
-         Andrai a combattere?
-         Sì, per l’onore della famiglia e del nostro daimyo.
-         Vorrei venire anch’io.
-         Tu devi proteggere la mamma.
-         Lo so, ma vorrei esservi più utile.
Goemon sorrise alla sorella minore.
-         Ma tu sarai d’aiuto.
Le diede un buffetto e riprese a mangiare.
Mariko attese per un’ora, ma le sembrò un’eternità, poi il padre annunciò che tre giorni dopo, lui e Goemon sarebbero partiti verso il confine del territorio.
 

-         Mariko!
Il padre la svegliò, ancora non era sorta l’alba.
-         Sì?
-         Ho un regalo per te.
Il padre le porse un fagotto lungo, lo prese in mano e Mariko subito capì.
-         Posso?
-         Certo, bambina mia.
Con le mani tremanti, Mariko aprì il fagotto e scorse una katana, la cui tsuba, ovvero la guardia, era decorata abilmente.
-         Era di mia sorella, è morta proteggendo l’onore della famiglia.
Spiegò il padre.
Mariko sorrise e ringraziò di cuore.
-         La userò per proteggere il nostro onore.
-         Lo spero, piccola mia.

  All’alba il padre e il fratello partirono, Mariko dovette trattenere le lacrime.

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Note: Il "cha" è il tè giapponese

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Capitolo 4
*** Attacco ***


Capitolo IV:
“Attacco”

  Su richiesta di Mariko, Haku si allenava con lei la mattina, senza ascoltare le critiche di Kiri, per l’anziana governante una serva non poteva minimamente toccare le antiche armi della famiglia.
Erano passati due mesi dalla partenza del padre e del fratello e nessuna notizia le aveva raggiunte. Sudara, il futuro marito di Mariko, era partito per la guerra, ma era tornato alcuni giorni prima, ferito gravemente dopo un’imboscata dei nemici.
-         Haku, mi passeresti quel pezzo di stoffa?
-         Certo.
Mariko ringraziò e pulì la lama della katana facendo attenzione a non tagliarsi.
-         Mariko-san, posso andare a messa questa mattina?
-         Ancora con questa storia del cristianesimo? Vai pure, ho convinto mia madre a lasciar correre.
-         Grazie mille, pregherò anche per la tua anima, Mariko-san!
Mariko sorrise ad Haku che andò a cambiarsi di corsa.

  Erano molti anni ormai che i portoghesi puzzolenti commerciavano con il Giappone le sete cinesi e con il commercio avevano portato anche la loro religione.
Benché la maggior parte dei samurai e dei nobili fosse ancora buddhista, gran parte del popolo era diventato cristiano.
-         Fai attenzione, mi raccomando Haku.
-         Te lo prometto.
Haku si inchinò e uscì di corsa dal giardino. Con calma Mariko completò i suoi rituali di ringraziamento alla katana e contemplò l’alba.
Osservò una piccola nuvola sorvolare il cielo.
“Chissà se papà sta vedendo quest’alba” pensò, poi sospirò.
Sua madre stava ancora dormendo, erano giorni che lavorava senza sosta, nascondendo la sua preoccupazione dietro una maschera impassibile.
Socchiuse gli occhi, la brezza leggera le sfiorò la pelle chiara, poi tutto accadde in un attimo.

 Un pugnale si conficcò nella carta di riso dietro di lei, era riuscita a schivarlo all’ultimo momento.
Con un solo movimento sguainò la spada e tagliò la mano del suo aggressore, poi gli tirò un calcio nel ventre e con un altro colpo gli mozzò la testa, che rotolò silenziosamente nell’erba.
Lo sguardo serio di Mariko era vigile, la spada insanguinata era in guardia. Un piccolo rumore e Mariko capì che il nemico era alla sua destra, un ninja vestito di nero si trovava sulla tettoia bassa della latrina.
Velocemente Mariko estrasse il tanto, ovvero il pugnale, dall’obi e lo lanciò contro l’uomo, che fu costretto a scendere e lei gli corse incontro, lui sguainò la katana e le due spade cozzarono con un rumore metallico.
L’uomo le tirò una ginocchiata, ma lei strinse i denti senza scomporsi, ignorando il dolore, e lo sopraffò, lo disarmò e lo fece cadere a terra, gli puntò la katana alla gola.
-         Chi vi ha mandato?
L’uomo non rispose.
-         Parla o ti uccido.
-         Allora uccidimi, perché non te lo dirò.
La katana calò con un sibilo sul ninja ma fu fermata dal tanto della madre.
-         Ferma Mariko. Lo porteremo da chi lo farà parlare.


 
  -         Che brutto livido, Mariko-san!
-         Non è nulla, meno male che eri appena uscita Haku, non mi sarei mai perdonata se ti avessero fatto qualcosa.
Commentò Mariko.
-         Non erano molto forti, probabilmente servivano per avvisarci, per farci capire quanto siamo vulnerabili.
Continuò Mariko pensierosa.
-         Promettimi che farai attenzione.
-         Va bene Haku.
Promise Mariko.

  Finite le medicazioni, la ragazza raggiunse la stanza della madre e aprì la porta.
-         Cosa facciamo?
-         L’ho portato dai samurai rimasti a proteggere la zona. Ora dobbiamo aspettare e stare all’erta. Hai pulito la katana?
-         Sì, l’ho pulita dal sangue.
-         Come ti senti?
-         Non lo so, so solo che ho svolto il mio compito.
Yuriko si alzò e abbracciò la figlia, in tutta la sua vita Yuriko non era mai stata costretta ad uccidere, ora invece, la figlia si era già macchiata di sangue.
Mariko non capì il motivo di quell’abbraccio, ma ne fu contenta e ricambiò.
 


  -         Avete scoperto qualcosa?
Chiese Yuriko al samurai.
-         Si è suicidato in cella prima che potessimo fare qualsiasi cosa.
-         Capisco.
Era strano che glielo avessero lasciato fare, un dubbio si insinuò nella mente della donna, ma subito lo scacciò.
-         Vi ringrazio lo stesso.
Yuriko si inchinò e accompagnò alla porta il samurai.
-         Fate attenzione e fate i complimenti a Mariko per la sua bravura.
-         Sarà fatto. Arrivederci.
Yuriko osservò la figlia che rideva e chiacchierava con Haku spensierata, ma colse un velo di tristezza negli occhi della piccola samurai e sospirò rientrando in casa.

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Capitolo 5
*** Lutto e Vendetta ***


Capitolo V:
“Lutto e Vendetta”

  Mariko camminava senza sosta avanti e indietro per il giardino. Perché avevano attaccato casa sua? Perché attaccare proprio loro? Non avevano particolari nemici, solo uno, ma da tempo le tensioni si erano placate.
Non riusciva a capire, e la cosa le metteva una certa agitazione. In più erano sicari deboli, perciò sapevano che la missione sarebbe fallita. Allora perché?
Il suono dei geta sui ciottoli nel giardino la distolse dai suoi pensieri. Kiri stava accompagnando un samurai dal kimono scuro in casa. Rimase un attimo ad osservarlo, mentre sentiva il sangue che lentamente le si gelava nelle vene.
Vide l’uomo fermarsi sulla porta d’entrata e la madre uscire dalla casa.
Le orecchie fischiavano, non riusciva a sentire quello che l’uomo diceva, non lo voleva sentire. Vide l’uomo porgere alla madre il kimono del padre e le due spade.
L’uomo si inchinò, facendo le condoglianze, la madre, tremante, si inchinò, trattenendo le lacrime.
L’uomo se ne andò e Yuriko si obbligò a mantenere la calma di fronte agli altri; Mariko, invece, si lasciò sfuggire le lacrime.
Come un automa tornò in casa, Haku la osservava preoccupata, anche lei piangeva.
-         Mariko-san, come state?
Chiese tra i singhiozzi.
-         Io… non lo so.
Bisbigliò priva di voce.
 

  Il samurai le aveva detto che il marito era morto combattendo in prima fila, per difendere il daimyo, un enorme onore. Sorrise, sarebbe rinato samurai. Poi Yuriko aveva chiesto notizie del figlio, ma la risposta l’aveva distrutta: era scomparso, nessuna traccia del suo corpo, probabilmente era caduto nel fiume vicino al campo di battaglia e l’armatura pesante l’aveva trascinato sott’acqua.
Non aveva ancora detto nulla a Mariko, non sapeva come fare. Sospirò riprendendo la calma.
-         Madre, posso entrare?
-         Certo Mariko.
La figlia entrò nella stanza, gli occhi arrossati.
-         Papà è morto?
-         Sì. Ma non devi piangere, è morto con onore.
-         Sì…
Mariko respirò profondamente per riprendere controllo di se stessa.
-         E Goemon…?
-         Lui… è scomparso.
Come un macigno, la risposta della madre la soffocò.
-         Scomparso non vuol dire morto.
Tentò Mariko.
-         Illudersi è inutile.
L’ammonì la madre.
Quella risposta colpì Mariko come uno schiaffo in pieno viso, anzi, fu molto peggio.
 
Quella notte Mariko non riuscì ad addormentarsi, l’agitazione le rovinava il sonno, si alzò e uscì in giardino. Osservò il punto dove lei e il padre si allenavano, dove lei e Goemon giocavano da bambini, era tutto così straziante…
 
-         I samurai devono sapere controllare le proprie emozioni. Sempre. Anche nei momenti peggiori.
-         Perché?
-         Perché bisogna mostrarsi forti, non deboli. Mai, sarebbe un’onta sul proprio onore.
Le aveva detto il padre una sera, quando Mariko era scoppiata a piangere perché Goemon aveva rotto un suo giocattolo. A quelle parole si era calmata, lei era una samurai e come tale si doveva comportare. Il padre le aveva sorriso e l’aveva abbracciata.
 
“Mi spiace papà, non sono così capace di controllarmi” pensò malinconica.
Dietro di lei sentì un leggero fruscio, ma non si girò, aspettando che l’altro facesse la sua mossa. Ma tutto rimase completamente immobile.
-         Chi sei?
Domandò Mariko con calma.
-         Non importa chi sono, ma devo parlarti. Non ti voltare.
La voce era famigliare, ma lei non riuscì a ricordarsi a chi apparteneva. Rimase immobile aspettando che parlasse.
-         Sono stato mandato ad informarti su come davvero sono andate le cose.
-         Riguardo quali cose?
-         Riguardo alla morte di tuo padre.
Mariko rimase in ascolto, i muscoli tesi sotto il kimono di seta.
-         Tuo padre è stato assassinato per motivi politici.
Il sangue di Mariko si congelò nelle vene, le parole le risuonarono nella mente senza sosta.
-         Il nostro daimyo ha promesso il vostro feudo, la testa di tuo padre e del suo primogenito in cambio della pace.
-         Cosa?!
La rabbia prese con prepotenza il posto della tristezza.
-         Tu ti sposerai con Sudara, portando in dote parte del tuo feudo e delle ricchezze, dopodiché tua madre non avrà abbastanza ricchezze per sostenere il resto del feudo. Sarà allora che il daimyo la convincerà a sposare Hayato, vostro nemico, per risanare la ricchezza perduta.
-         Ma è assurdo!
-         Lo so.
Mariko non sapeva cosa pensare.
-         Perché?
-         Perché tuo padre stava diventando troppo potente.
Mariko era immobile.
-         Perché me l’hai detto?
-         Ero molto amico di tuo fratello, qualcuno deve rendergli giustizia.
-         Perché non tu?
-         Oh, io sono nella rete di spionaggio, non posso uscire allo scoperto. Poi sono sicuro che tu voglia fare da sola.
-         Hai perfettamente ragione, Kazuo.
Concordò, ricordandosi di chi era quella voce.
Kazuo rise e diede una pacca a Mariko, poi lei non avvertì più la sua presenza.
Avrebbe avuto la sua vendetta. Ad ogni costo, anche quello di perdere il suo onore.

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Capitolo 6
*** Me ne vado ***


Capitolo VI:
“Me ne vado”

-         Haku! Haku svegliati!
Haku aprì piano gli occhi, ancora assonnata. Di fronte a lei vide Mariko, la ragazza era vestita con un kimono semplice, aveva un fagotto in spalla, la katana riposta nel fodero.
-         Cosa c’è?
Biascicò mezza addormentata.
-         Me ne vado.
-         Cosa?
La ragazza spalancò gli occhi, doveva essere uno scherzo.
-         Io… mi è stata detta una cosa.
Mariko raccontò tutto all’amica, che rimase sbalordita.
-         Ma non può essere vero!
-         Ascolta, deve avere anche a che fare con l’attacco dell’altro giorno, per forza!
Esclamò Mariko.
-         Ma, non dovresti parlarne con la tua Nobile madre?
-         Non mi ascolterebbe o mi ordinerebbe di fare seppuku per le cattiverie dette nei confronti del daimyo.
Disse sarcastica la samurai.
Mariko aveva ragione, la madre le avrebbe ordinato seppuku o le avrebbe detto di non far nulla e conoscendo la ragazza, Haku era che non se ne sarebbe stata buona a subire quell’onta.
-         Cosa vuoi fare, quindi?
Chiese Haku per farla arrivare al dunque.
-         Voglio partire, diventerò più forte e poi ucciderò tutti quelli che hanno a che fare con l’assassinio di mio padre.
Affermò decisa Mariko, gli occhi erano due fuochi incandescenti.
-         Vuoi diventare una ronin?! Non puoi! Ti devi sposare, devi difendere tua madre, se qualcuno lo venisse a sapere sarebbe un disonore per tutta la casata e…
-         Calmati Haku, ti prego. Il mio matrimonio era soltanto una stupida farsa per indebolire la nostra famiglia. Poi farò finta di morire, nessuno saprà che sono una ronin, tranne te.
-         Portami con te allora!
La pregò Haku in ginocchio.
-         No, tu devi restare e proteggere mia madre, in più ho bisogno di te per sapere cosa succede qui. Ti prego Haku!
Haku era spiazzata e preoccupata.
-         Prendi il mio tanto, lo sai usare, perciò ti prego Haku, fai come ti dico.
-         Va bene.
Si arrese la ragazza, afferrando il pugnale.
-         Ti manderò io delle lettere, non prendere mai l’iniziativa. In caso di pericolo scrivi: “I fiori stanno appassendo”, io arriverò il prima possibile.
-         Va bene, farò come vuoi Mariko-san.
 Mariko l’abbracciò, era come una sorella per lei.
-         Addio.
Sussurrò Mariko.
-         Arrivederci.
La salutò Haku con le lacrime agli occhi.
 


  La mattina dopo Haku si svegliò sentendo la voce preoccupata di Kiri.
-         Signora, Mariko-san non si trova!
Urlava governante in preda al panico.
Haku si mise a sedere. Allora non era stato un brutto sogno, era la verità.
Si alzò e propose a Kiri di andarla a cercare, era curiosa di scoprire come Mariko avesse finto la sua morte.
Camminarono senza sosta per ore, in lungo e in largo per tutto il villaggio, senza trovare nessuna traccia della ragazza, nessuno che l’avesse vista.
Haku stava cercando nella boscaglia al limitare del villaggio, quando sentì Kiri urlare.
Haku le corse in contro, in una risacca del fiume, un geta di Mariko galleggiava passivo.
La donna scoppiò in lacrime.
-         Su Kiri-san, Mariko potrebbe essere ancora viva, magari ha voluto raggiungere il campo di battaglia.
Ipotizzò per evitare un infarto alla donna.
-         Hai ragione, sarebbe da lei.
Kiri raccolse il geta e lo strinse forte, Haku alzò gli occhi al cielo. “Compi la tua vendetta il prima possibile e torna, giovane ronin” pensò tornando sui suoi passi.
 


  Mariko camminava nella boscaglia, doveva allontanarsi il prima possibile dal villaggio, prima che qualcuno la trovasse.
I rami scricchiolavano sotto i suoi piedi, temeva di non riuscire ad uscire dai confini: se l’avessero trovata sarebbe stato un vero guaio, avrebbe dovuto spiegare il perché di quella fuga, inventandosi una qualsiasi scusa.
Non sapeva da che parte cominciare: doveva prima di tutto migliorare la sua tecnica di spada e la cosa migliore era senza dubbio combattere. Ma con chi?
La sorte l’aiutò, da lontano sentì la voce di una donna che chiedeva aiuto, corse in quella direzione evitando di far rumore.
Una ragazza dal kimono povero e consunto era circondata da un gruppo di briganti.
-         Allora, piccola, hai qualche soldo o preferisci continuare a starnazzare?
La ragazza impallidì, l’uomo che aveva parlato estrasse un coltello dalla manica e lo puntò al collo della giovane, che indietreggiò, andando contro un albero. Un altro, vestito di nero, le si avvicinò con una strana espressione in viso, Mariko era disgustata dalla scena. Senza far rumore estrasse la spada e, avvicinandosi, tagliò la testa all’uomo vestito di nero, poi, con un altro colpo, mozzò il braccio al bandito armato.
-         Ma cosa?!
Sconcertati, gli altri scapparono nel mezzo della foresta.
-         Cosa credevate di fare?
Lo sguardo gelido di Mariko si posò sull’uomo che aveva appena privato del braccio.
-         N… NON UCCIDERMI!
Urlò terrorizzato l’uomo.
-         Allora vattene e non farti più vedere. Schifosa feccia.
L’uomo a fatica si alzò e scappò, il sangue che sgorgava dalla ferita, non sarebbe sopravvissuto. Mariko pulì la katana e la rinfoderò, poi guardò la giovane che si era lasciata cadere a terra, tremante.
-         Tutto bene?
Domandò con gentilezza alla ragazza che non rispose: era scioccata dall’accaduto.
-         Ti riaccompagno a casa, va bene?
La ragazza annuì piano, provò ad alzarsi, ma ricadde, la paura le impediva di muoversi.
-         Non voglio farti del male, sul serio.
Mariko l’aiutò ad alzarsi.
-         Come mai sei qui?
Nessuna risposta.
-         Vuoi dell’acqua?
La ragazza annuì.
Mariko prese la borraccia dal fagotto e gliela porse, bevendo la ragazza riprese colorito.
-         Io sono Mariko, tu come ti chiami?
-         Ai.
Sussurrò la ragazza.
-         Da che parte abiti?
Con la mano tremante, la ragazza indicò una stradina sterrata nel bosco.
Mariko si mise il braccio destro della ragazza intorno alle spalle e le circondò la vita, mentre insieme camminavano verso il villaggio di Ai.

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Capitolo 7
*** Ai e Sumi ***


Capitolo VII:
“Ai e Sumi”

  Mariko e Ai raggiunsero il villaggio dopo un’ora di camminata. La ragazza non aveva mai parlato e Mariko non le aveva più fatto domande. Il silenzio fu subito rimpiazzato dal vociare dei bambini che correvano tra le strade linde e pulite. Mariko si guardò in torno: era un villaggio molto povero. Ogni donna che vedeva passare, indossava kimono logori ma portati con dignità. La maggior parte degli uomini, invece, indossavano perizomi poco coprenti, pochi altri portavano kimono scuri. Mariko sentì nell’aria il profumo di pesce alla griglia, mentre da lontano, giovani e anziane massaie si occupavano delle risaie. Ai indicò a Mariko una strada che portava verso il centro del villaggio e, insieme, vi si diressero poco alla volta. Dopo un centinaio di metri, la ragazza indicò una casetta in legno, senza porte d’ingresso. Sulla soglia, Ai si pulì i piedi nudi ed entrò nella casa, mentre Mariko tolse i geta di scorta, si inchinò e la seguì all’interno.

  Mariko si fermò di colpo vedendo, nell’unica stanza della casa, una bambina ammalata, sdraiata nel futon. Ai vi si avvicinò e le appoggiò sulla fronte una pezza umida.
-         Ero uscita a prendere erbe medicinali e bacche da mangiare, purtroppo non ho i soldi per comprare del cibo, quando quei banditi mi hanno assalito.
Spiegò finalmente Ai, con voce tremante.
-         Ora purtroppo non ho nulla con cui nutrire mia sorella.
-         Che cos’ha?
Domandò Mariko.
-         Ha la stessa malattia che ha ucciso i nostri genitori.
Raccontò con le lacrime agli occhi.
Mariko era davvero turbata, non credeva che esistesse tanta povertà.
-         Ti ringrazio davvero molto per quello che hai fatto per me, ma non ho nulla con cui ricompensarti… mi dispiace.
Si scusò inchinandosi verso Mariko.
-         Oh, io… tranquilla, non voglio ricompense. Stavo solo viaggiando e per fortuna ti ho vista, tutto qui.
La tranquillizzò Mariko, poi si inchinò e se ne andò dall’abitazione, mentre pensava a quanto fosse ingiusto che la gente vivesse così in povertà. Se l’avesse saputo prima avrebbe convinto i genitori ad aiutare quelle persone. Continuò a camminare finché non vide un mercato pieno di cibo. Con lei si era portata una buona quantità di soldi, così comprò del cibo e dei vestiti nuovi per la ragazza.

  Un’ora dopo Mariko, Ai e Sumi, la bambina, stavano pranzando con del riso, del pesce e del the verde.
Sumi aveva ripreso colorito e Ai non smetteva un attimo di ringraziare Mariko.
-         Davvero, non devi ringraziarmi. Chiunque l’avrebbe fatto.
-         Ti sbagli Mariko-sama. Nessuno nel villaggio ci ha mai aiutate. Quando i nostri genitori sono morti, io e Sumi abbiamo dovuto lottare per un pugno di riso. Nemmeno i parenti ci hanno accolto, anzi, dopo che Sumi si è ammalata, hanno smesso di rivolgerci la parola.
Raccontò Ai.
-         Per questo, Mariko-sama, sono poche le persone come te.
-         Ti prego, chiamami solo Mariko. Se avrai la cortesia di ospitarmi questa notte, vi porterò da un medico. Pagherò io le cure.
Propose Mariko.
-         Sul serio? Sareste così gentile Mariko-sama?
-         Sì, ma solo se mi chiami Mariko!
Rise la ragazza.
-         Oh, grazie, grazie mille Mariko!
Ai scoppiò in lacrime e si inchinò di fronte a Mariko, che ricambiò l’inchino.
-         Grazie a te.
Sorrise lei.
Quella sera, quando le due ragazze che la ospitavano si furono addormentate, Mariko pulì la katana e uscì ad osservare le stelle.
Erano poche le persone che camminavano ancora per il villaggio, per la maggior parte prostitute, uomini d’affari e geisha, tutte accompagnate dalle maiko.  Il vento era fresco e piacevole, era quasi impossibile per lei pensare che, solo pochi mesi prima, a quell’ora avrebbe chiacchierato col padre sui doveri dei samurai. “Ora invece non sono altro che una ronin…” Pensò con tristezza. Quella strada l’aveva scelta lei, era stata lei a voler abbandonare il nome da samurai. Si voltò e vide Ai e Sumi che dormivano: se lei non avesse deciso di percorrere questa strada, Sumi si sarebbe ritrovata sola e destinata a morire. Sorrise: ogni cosa portava sia ad un po’ di bene che ad un po’ di male, bastava saper scegliere con il cuore.

  Mariko si alzò e si ridiresse in casa, aveva bisogno dormire, ma qualcuno le afferrò il braccio. Mentre si girava, Mariko estrasse la spada e con un suono metallico fu bloccata dal pugnale di Kazuo.
-         Cosa ci fai qui?!
Si sorprese Mariko.
-         Ti cerco, che domande!
Rise lui.
Mariko rimase a fissarlo, come aveva fatto a trovarla? Era così facile capire dove fosse?
-         Ti va di fare due passi?
Propose Kazuo, rinfoderando il pugnale.
-         Va bene, ma non allontaniamoci troppo.
Acconsentì Mariko, sospirando.
-         Come ha preso la notizia mia madre?
-         Bene. E’ una donna molto forte, crede che tu sia viva.
-         Ah sì? E perché Goemon allora dovrebbe essere morto?
Sbuffò Mariko.
-         Perché tu sei più forte di lui, hai i riflessi più pronti e hai una grande forza d’animo. Kazuo è molto più… sensibile e fragile.
-         Stai dicendo che ho un cuore di ghiaccio?!
Si inalberò Mariko.
-         No, no, figurati. Però è vero che sei più distaccata. Ho visto come hai conciato quei banditi.
Commentò Kazuo scuotendo la testa.
-         Cioè, eri lì? E perché non hai aiutato Ai?
-         Perché l’hai fatto tu. Poi io ho altro da fare.
Rispose Kazuo, come se la cosa fosse ovvia.

  Si stavano avvicinando alle risaie, camminarono per un po’ in silenzio. I grilli cantavano senza sosta, le stelle e la luna erano come delle piccole lanterne nell’immenso cielo.
Mariko stava per parlare, quando sentì le urla di un uomo provenire da un capannone. Lei e Kazuo si guardarono negli occhi e senza dire altro corsero a vedere cosa stava succedendo.
Mancavano pochi metri quando il capannone prese fuoco.
-         Bisogna spegnere le fiamme! Sveglia il villaggio, io vado a vedere se c’è qualcuno dentro!
Urlò Kazuo a Mariko e corse verso le fiamme. Con il cuore in gola, Mariko corse per il villaggio urlando: in poco tempo tutti si erano alzati e avevano aiutato i due ragazzi a spegnere le fiamme. Tutto era confuso, e tutto si muoveva troppo velocemente, nessuno capiva cosa, o chi, avesse scatenato l’incendio. Kazuo riuscì a salvare dalle fiamme l’uomo dentro al capannone, ma nessuno lo salvò dalla ferita inflitta nella schiena, provocata da un pugnale.
Tra lo sgomento di tutti, il cadavere fu riconosciuto: il capo villaggio giaceva immobile tra le braccia di Kazuo.

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Capitolo 8
*** Primo Incarico ***


Capitolo VIII:
“Primo Incarico”

  Kazuo stava parlando con gli abitanti del villaggio per capire cosa fosse accaduto, mentre Mariko aveva portato Ai e Sumi da un medico in un villaggio vicino.
-         E’ una forma molto leggera, se continua a riposarsi, mangiare e bere degli infusi con le erbe che vi ho dato, nel giro di pochi giorni sarà guarita.
Commentò il medico, sorridendo a Mariko.
-         Grazie mille signore.
Mariko si inchinò e così fece Ai.
Ai prese in braccio la sorella e insieme uscirono dalla stanza.
Mariko tirò fuori delle monete per pagare il medico, poi si inchinò di nuovo, prese le erbe e raggiunse le altre due.
-         Grazie infinite Mariko-san, sei stata molto gentile.
-         Figurati! Mi hai ospitata e te ne sono riconoscente.
Ringraziò Mariko mentre tornavano al villaggio.
 


  Kazuo raggiunse Mariko a casa di Ai nel tardo pomeriggio.
-         Mariko, devi venire con me. Ora.
La incitò il ragazzo.
-         Va bene.
Mariko si alzò, legò la katana all’obi e uscì con Kazuo dalla piccola casa.
-         Cosa c’è?
-         Ti ho trovato un incarico: scoprire cos’è accaduto al capo villaggio.
Disse Kazuo, mentre si avvicinavano alla casa del defunto, dove la moglie del pover uomo li aspettava.

  Mariko e Kazuo si inchinarono di fronte alla donna e lei ricambiò.
-         Le mie più sentite condoglianze.
Sussurrò Mariko dispiaciuta, Kazuo fece lo stesso.
-         Grazie mille. Entrate, vi prego.
La donna aveva gli occhi rossi dal pianto, ma faceva di tutto per mostrarsi forte. La donna li accompagnò dentro la casa, li fece accomandare ad un tavolino basso e versò loro del the.
-         Come posso esserle d’aiuto?
-         Kazuo mi ha detto che siete una ronin dalle alte abilità. Vorrei assumervi per scoprire chi e perché ha ucciso mio marito.
Spiegò sorseggiando il the caldo.
-         Farò il possibile.
Mariko si chinò di fronte alla donna.
-         Posso chiedervi come mai siete una ronin? Siete molto giovane.
Chiese poi la donna.
-         Mio padre e mio fratello sono morti nell’attuale guerra, sono rimasta sola.
-         Non vi hanno data in sposa ad alcuno?
Continuò la donna.
-         Non hanno fatto in tempo.
Mentì Mariko lievemente scocciata.
-         Mi dispiace molto, cara.
-         Anche a me.
Sussurrò Mariko, le stava tornando il malumore.
-         Io e Mariko ci occuperemo della questione e la concluderemo il prima possibile.
Tagliò corto Kazuo rendendosi conto del cambio d’umore di Mariko.
-         Togliamo il disturbo.
I due si inchinarono e uscirono dall’abitazione.

  Mariko non disse nulla, non ci riusciva: quella donna aveva rigirato il coltello in una ferita ancora aperta. Sapeva che se avesse parlato sarebbe scoppiata in lacrime. Kazuo non diceva nulla, non sapeva come iniziare un discorso per farla distrarre, il silenzio era davvero opprimente e voleva tirarle su il morale.
All’improvviso il silenzio fu spezzato dai singhiozzi strozzati di Mariko, anche se voleva essere forte, era ancora profondamente addolorata dalla perdita del padre.
-         Mariko… cosa c’è?
Sussurrò Kazuo, fermandola.
-         Io… Scusami.
Singhiozzò asciugandosi le lacrime che ormai scendevano senza sosta.
Kazuo l’abbracciò e la strinse a sé.
-         Ti prego, se hai bisogno di piangere fallo. Liberati.
Sussurrò senza l’asciare l’abbraccio.
Mariko scoppiò in lacrime e si strinse a Kazuo. Il suo esile corpo era scosso dal pianto lasciato finalmente libero. Mariko affondò il viso nel petto di Kazuo, che appoggiò le labbra sulla fronte della ragazza per darle sicurezza. Tutta la tristezza che fino ad allora aveva tenuto a bada, ora stava venendo fuori. Dopo alcuni minuti Mariko si staccò finalmente da Kazuo, gli occhi rossi dal pianto.
-         Scusami, ora hai il kimono fradicio.
Si scusò lei, preoccupata.
-         Figurati. Ora che ti sei liberata dobbiamo iniziare le indagini, eh?
Sorrise lui scompigliandole i capelli.
-         Hai ragione.
Sorrise lei.
Insieme raggiunsero la casa di Ai e Mariko si avvicinò alla ragazza.
-         Ai, ho un enorme favore da chiederti.
-         Dimmi.
-         Potresti ospitare me e Kazuo per alcuni giorni?
Domandò speranzosa.
-         Certamente.
La rassicurò Ai.
-         Grazie mille.
Sorrise Mariko alla ragazza, mentre Sumi dormiva pacifica.



  Haku osservò gli uomini in kimono che si avvicinavano alla casa.
Proprio come aveva detto Mariko, il daimyo voleva far risposare Yuriko con Hayato. Strinse i denti, odiava quell’uomo, avrebbe fatto di tutto per evitare quel matrimonio. “Te lo prometto Mariko, proteggerò la nobile Yuriko” pensò, fulminando Hayato e il daimyo che ormai avevano quasi raggiunto la casa.

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