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di Alexiels
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The sun pins the branches to the sky. ***
Capitolo 2: *** All the strangers came today ***
Capitolo 3: *** As they ask her to focus on ***
Capitolo 4: *** Bullets rip the sky of ink with gold ***
Capitolo 5: *** See the storm set in your eyes ***



Capitolo 1
*** The sun pins the branches to the sky. ***


Giusto due parole prima che iniziate a leggere (sappiate che siete ancora in tempo per tirarvi indietro! xD)
Anche se mi rendo conto del fatto che sia inutile dirlo ora, dal momento che dovranno passare un paio di capitoli prima che facciano la loro apparsa tutti i membri dell’Host Club, volevo fare una premessa: questa storia è ambientata qualche mese dopo il diploma di Mori e Honey, ma ho spudoratamente ignorato gli avvenimenti che si sono susseguiti dopo la cerimonia (per dirne una Tamaki non è ancora stato invitato nella prima residenza dei Suou, e i capelli di entrambi i gemelli sono ancora di un acceso color carota v.v). Non è che l’abbia fatto volontariamente, ma ho iniziato a scrivere questa fanfiction un paio di settimane fa e, anche se mi sarebbe piaciuto attenermi il più possibile al finale del manga, ho finito di leggerlo solo oggi pomeriggio (mi sento ancora in subbuglio.. sono accadute tante di quelle cose negli ultimi numeri!) Ah, e poi mi volevo scusare per questo primo capitolo (che ho da subito considerato come una sorta di parte introduttiva e che dubito possa essere consiederato interessante o altro >.< )
Detto questo, buona lettura.. ^^”

L’orologio segnava le nove spaccate quando, dopo aver passato l’intera notte seduta sul bordo del letto ancora fatto, fissando solo apparentemente il suo pallido riflesso nello specchio mentre la sua mente stanca si perdeva in pensieri sempre più astratti e scollegati, Kimie si lasciò cadere all’indietro con un sospiro.
Rigiratasi su un fianco, afferrò la sottile coperta color indaco e serrò con forza i suoi occhi.
Non si illudeva di riuscire ad addormentarsi, ma non poter nemmeno uscire la rendeva nervosa.
Se fosse stata ancora a San Pietroburgo, sarebbe scesa da un pezzo e magari avrebbe passato la nottata al locale vicino al Trinity Brige dove Nikolaj aveva iniziato a lavorare per pagarsi la retta universitaria; invece, dopo essere sbarcata in Giappone con il volo delle ventitré, lei e Karina erano state accompagnate in un albergo a cinque stelle da dei subordinati di suo fratello, che poco dopo avevano acconsentito a lasciarla sola, chiedendole però di aspettare lì finché “Amamiya-sama non fosse venuto a trovarla”, ma in ogni caso, aveva notato con una certa irritazione, si erano assicurati di restare nelle sue vicinanze prenotando delle stanze anche per loro.
Così, assonnata e stizzita per l’essere stata trattata come se fosse ancora una bambina troppo vivace, non aveva avuto il tempo né la voglia di pensare a che cosa avrebbe fatto – perché era più che sicura che, se i suoi desideri non fossero combaciati con quelli di suo fratello, non avrebbe accondiscenduto tanto facilmente alle sue richieste– una volta venuta in Giappone.
Si era limitata a fissare la luna percorrere un lento arco nel cielo senza stelle, ma rischiarato dalle mille luci della città, non poi tanto diverso da quello che era abituata a vedere dalla sua stanza a San Pietroburgo, in quella che era stata la sua casa da quando da bambina si era trasferita a vivere dal suo padrino, Andrej Philarete Sinitsin, un uomo stravagante dai nobili natali, fin troppo ricco e sorprendentemente acuto.

Dei passi leggeri sul pavimento di marmo chiaro, a cui seguì un’improvvisa pressione sul materasso, la fecero sussultare, istintivamente si girò in fretta verso la porta che trovò ancora chiusa, mentre un fresco odore di aghi di pino e terra investiva le sue narici.
Sorrise e alzò il suo sguardo verso il soffitto, ritrovandosi a fissare gli occhi dorati di Luthien.
Si sedette nuovamente sul letto e iniziò ad accarezzarla piano sul collo, facendo affondare le mani nel suo manto che, mano a mano che la sua mano scendeva, si colorava con varie sfumature di marrone, dal beige al bistro; e l’osservò divertita mentre sbadigliava, mostrando una chiostra di denti affilati che lei, pensando che erano ancora da latte, trovava quasi buffa.


Non aveva mai tenuto un animale prima d’ora, e immaginava che il cucciolo di cane lupo dall’aspetto ancora così simile a quello di un morbido pupazzo che aveva preso con sé sarebbe potuto sembrare uno stravagante capriccio da ricca, ma, dopo averlo visto per la prima volta, immobile nella selva che circondava la tenuta di campagna di Vera Popov, una ragazza dallo sguardo color ambra e i corti capelli scuri eternamente scompigliati, la sua migliore amica, aveva avuto come la sensazione di non poter fare altrimenti.
Sapeva che in quelle zone non era raro che i lupi venissero cacciati e, osservando la sua estrema magrezza e la fame che sembrava divorare i suoi occhi, sospettosi e spaventati, aveva immaginato che la madre di quel cucciolo fosse stata uccisa.
Quindi, dopo essersi assicurata che non avrebbe perso una mano nel tentativo di prenderlo in braccio, l’aveva portato nella residenza.
Aveva chiesto ad Andrej il permesso di tenerla piuttosto che affidarla alle cure di qualcun altro riportando le parole sentenziate del veterinario a cui l’aveva mostrata per vaccinarla e assicurarsi del suo stato di salute, secondo il quale "l’animale poteva essere considerato ed allevato come un cane, perché non era un lupo vero e proprio, ma, dal momento che suo padre era probabilmente un pastore tedesco, un incrocio, e in più considerando il fatto che era stata preso quando era ancora così piccolo, a condizione di dedicargli tempo e attenzioni, sarebbe potuto essere addomesticato".
Lui aveva acconsentito con un leggero cenno del capo, le labbra piegate in sorriso sghembo che illuminò per un attimo i suoi occhi scuri, preso leggermente alla sprovvista da quella richiesta, anche se probabilmente gli ci erano voluti non più di una manciata di secondi per concludere che per prima cosa Kimie aveva da subito messo in chiaro la sua intenzione di liberarlo in una foresta appena fosse cresciuto abbastanza, e poi che non gli sarebbe certo mancato lo spazio dal momento che, pur vivendo in una residenza dalle modeste dimensioni poco lontana dal Palazzo d’Inverno, questa era circondata da un ampio parco, che ovattava i rumori della città, e la celava quasi completamente agli occhi dei passanti.
Ottenne dunque di tenerla assieme a sé, nonostante le occhiate chiaramente contrariate che Vera le scoccava tra uno starnuto e l’altro ogni qualvolta che Luthien, alla quale aveva deciso di dare il nome dell’elfa dai capelli corvini che era stata la protagonista di una delle storie che aveva amato di più, le si avvicinava.

Kimie smise di accarezzarla e congiunse le mani sul suo grembo, pensierosa.
Il suo trasferimento in Giappone era stato deciso ed era avvenuto talmente in fretta che non aveva avuto il modo per pensare che probabilmente portarsi dietro Luthien non era stata una buona idea, specie se si considerava il fatto che non sapeva nemmeno dove sarebbe andata a vivere, ma con una punta di amarezza si disse che, fatta eccezione per alcuni libri e la momentanea presenza di Karina, lei era l’unica parte della sua quotidianità rimasta invariata da quando era partita.

Scosse appena la testa, come a voler scacciare una mosca fastidiosa, e strizzò gli occhi, infastidita dalla luce che rischiarava sempre più la stanza, mentre Luthien, stanca di essere ignorata, si alzava dal letto e si voltava verso la porta, attraverso la quale doveva aver udito avvicinarsi dei passi.
In fatti, dopo nemmeno un minuto, sentì un bussare deciso sull’uscio e, ricevuto l’invito ad entrare, Karina fece il suo ingresso, con quell’aria affaccendata che, in tutti quegli anni, non l’aveva mai abbandonata.
In effetti considerò Kimie sorridendonon riesco nemmeno a immaginare in che cosa consista il vero e proprio lavoro di una cameriera personale di una sola ragazza nemmeno troppo pretenziosa, dal momento che in tutto questo tempo non ho mai avuto la soddisfazione di vederla con le mani in mano..
“Signorina” esordì lei con la massima educazione, seppure i suoi occhi scuri sembravano volerla rimproverare“per prima cosa, potrebbe dirmi come mai, tra le valigie che abbiamo portato con noi, e nelle quali sarebbe dovuto essere riposto tutto il suo guardaroba, non sono contenuti nient’altro che libri?”
Dopo aver sbuffato impercettibilmente, Kimie le rispose, sebbene avesse intuito che quella domanda fosse stata probabilmente retorica:“Questo perché dal momento che non trovo che sarà particolarmente difficile comprare un abito Prada o un profumo Chanel girando per poco più di un paio di minuti tra i negozi, mentre dubito fortemente che anche rivoltando l’intero Giappone riuscirei a trovare Samuel nella sua prima edizione o i trentasei volumi di Viaggio nelle regioni equinoziali del Nuovo Continente di Alexander Von Humboldt, ho ritenuto che fossero oggetti insostituibili come questi a dover far ritorno in Giappone assieme a me. Se la capienza del bagagliaio dello jet che ci ha traghettate non fosse stata tanto ridotta, avrei anche potuto pensar..” aggiunse lei più scherzosamente, ma convinta della razionale ovvietà nella sua scelta, venendo tuttavia zittita con un solo sguardo dalla sua cameriera che, posata la mano destra sulla tempia, come faceva ogni volta che sentiva il bisogno di riordinare i pensieri, e scostatasi una liscia ciocca di capelli corvini dalla fronte, continuò: “Pur ammettendo che abbia seriamente ritenuto necessario portarne cinquanta kili – non si fermò nemmeno quando Kimie inarcò con orrore le sopracciglia sentendola classificare per peso i suoi libri– avrebbe potuto preparare anche qualche vestito, e no, non valgono quel paio di pantaloni e la camicia che ha ficcato nella sua ventiquattrore, signorina”precisò con un chiaro tono d’accusa e, dato che sembrava intenzionata a far continuare la ramanzina ancora per un po’, Kimie si affrettò a borbottarle delle scuse non troppo sentite, le quali riuscirono comunque a calmarla.
“In ogni caso, mi è stato chiesto di recapitarvi questo” e mosse leggermente la mano destra, nella quale stringeva una lettera color avorio“Ma prima ho colto l’occasione per chiedere a uno di quei signori che suo fratello ci ha messo tanto gentilmente tra i piedi di andare a comprarle qualcosa che la rendesse presentabile..” concluse infine e la ragazza sorrise tra sé e sé, divertita dal modo in cui lei aveva trattato quelle che sarebbero dovute essere le sue guardie del corpo (perché poi a suo fratello fosse venuto in mente di affibbiarle delle guardie del corpo, proprio non l’avrebbe saputo dire).
Osservando l’energica figura della cameriera avvicinarsi a lei, Kimie si ritrovò a considerare una volta di più che era stata davvero una fortuna che Karina le avesse spontaneamente proposto di accompagnarla in Giappone e restare lì qualche settimana, il tempo di aiutarla a sistemare le sue cose e farla ambientare, sia perché doveva ammettere che il senso pratico, così come quello dell’orientamento, non era proprio il suo forte, e inoltre le faceva piacere continuare ad avere vicino a sé una presenza tanto familiare.
In effetti, Karina aveva iniziato a lavorare nella residenza Sinitsin appena maggiorenne, quindi da un paio d’anni prima dell’arrivo della ragazza, e i suoi modi, schietti ma discreti, la rendevano una compagnia singolarmente piacevole.


Con un sospiro, protese il suo braccio e afferrò la lettera che le aveva porto.
Non ebbe nemmeno bisogno di leggere l’intestazione per capire chi fosse il mittente, aveva subito riconosciuto la grafia sottile e lineare del signor Enjyo. L’aprì con delicatezza e notò con sorpresa che era scritta in inglese, mentre chissà perché lei si era aspettata che fosse stata redatta usando i kanji.
Senza perdere altro tempo, iniziò a leggerla, chiedendosi per quale motivo avesse pensato di scriverle.
L’ ipotesi, azzardata dopo aver notato piccoli particolari, come la rigidità del foglio e l’elegante inchiostro color blu scuro usati, o il registro particolarmente formale che quel biglietto, che esordiva con un laconico “signorina Amamiya Sinitsin”, fosse un invito a teatro, si rivelò esatta.
Increspò le labbra, pensosa.
Le ci volle qualche istante, prima di riuscire a collegare il cognome del giovane e promettente imprenditore che aveva avuto modo di conoscere a San Pietroburgo, un amico di vecchia data di Andrej, a quello della famiglia Ootori, che, così almeno era scritto, l’invitava a prender posto nel loro palco privato.
Nello stesso momento in cui si chiese, leggermente irritata, se anche a suo fratello fosse stata indirizzata una lettera come la sua, ricordò che la sorella maggiore di Enjyo, non riusciva davvero a ricordarne il nome, si era sposata anni fa col signor Ootori.
Giusto.. pensò giocando distrattamente con una ciocca rossa dei suoi capelli, sfuggita dalla crocchia in cui li aveva raccolti, complimentandosi con la propria memoria per non aver subito cestinato un’informazione che, nel momento in cui l’aveva ricevuta, le era sembrata perfettamente inutile.
Sbuffò impercettibilmente mentre Karina, dopo aver lanciato un’occhiata discreta al biglietto, le sorrise divertita, ben conoscendo la sua avversione verso gli eventi mondani.
Poco importa, affermò tra sé e sé: in fondo ricordava Enjyo come una persona particolarmente affabile, dagli occhi chiari e la voce profonda, ed era stato gentile, a farle recapitare un invito quando veramente in pochi sapevano del suo arrivo in Giappone..
Che poi, quale opera verrà rappresentata?
Si chiese sinceramente curiosa, perché il teatro era una delle sue passioni. Ci andava assieme ad Andrej o i suoi amici ogni volta che ne aveva il tempo, fermandosi a lungo a parlare nell’elegante foyer del Mariinskij e lasciandosi catturare ogni volta dal pathos degli attori.
Rilesse velocemente il biglietto, ma non vi trovò scritto il nome dello spettacolo. Sollevando leggermente le spalle, si ripromise di domandarglielo nella sua risposta, mentre, per la seconda volta in quella mattinata, sentì del colpi alla porta, stavolta più leggeri.
Era un’inserviente, che non si fermò a lungo, congedandosi appena le ebbe consegnato un pacco voluminoso da parte di suo fratello, il quale, forse per il pallido colore rosa, forse per il voluminoso fiocco in cui era avvolto, non le ispirava affatto fiducia, anzi, proprio per niente.
Fu la cameriera ad aprirlo, mentre lei si sedeva vicino alla sua toilette, mantenendo una ragionevole distanza da quella cosa color confetto, dalla quale Karina tirò fuori un vestito dalle spalline sottili e lo scollo a barca, di un verde scuro che, più o meno, richiamava il colore dei suoi occhi, il quale, pur essendo molto stretto in vita, scendeva più morbido fino a poco dopo le ginocchia.
Appurato che fosse un abito molto più sobrio di quel che aveva temuto, accettò di indossarlo, prendendosi prima qualche minuto per sciacquarsi, e, come quando era ancora una bambina, chiese aiuto a Karina per prepararsi, lasciando che fosse lei ad assicurarsi che le pieghe del vestito cadessero bene e a acconciarle i lunghi capelli di un rosso ramato, raccogliendoli verso l’alto, ma lasciando che alcune ciocche inanellate scendessero ad incorniciarle il volto.
Pochi minuti prima che scoccassero le undici, informò Karina che poteva tranquillamente prendersi una mattinata libera, dal momento che voleva uscire a visitare la città e che dubitava che suo fratello sarebbe venuto a trovarla prima del tardo pomeriggio; poi, chiamata con uno sguardo Luthien affianco a sé, prese la sua piccola borsa nera, vi infilò dentro cellulare e portafogli, e si diresse verso l’uscita.

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Capitolo 2
*** All the strangers came today ***


Accelerò il passo, lo sguardo che si spostava ansiosamente da gli sfioriti alberi di ciliegio ai sentieri del parco.
Non riusciva nemmeno a ricordare il momento preciso in cui aveva perso di vista Luthien, le si era allontanata in un attimo, probabilmente, considerò cercando di ironizzare, nel tentativo di rincorrere una farfalla o un bambino con una maglia dal colore particolarmente vivace..
Di solito non si preoccupava se le si distanziava troppo, non aveva mai nemmeno pensato di metterle il guinzaglio (o meglio, una volta aveva tentato l’impresa, ma dopo il quarto d’ora buono che le ci era voluto per infilarglielo, cercando di ignorare i guaiti di protesta e le occhiate supplicanti che le lanciava, aveva quasi perso un braccio per quanto tirava, e dopo quel tentativo aveva capito che non era il caso di insistere) e Luthien aveva sempre fatto modo di tornare da lei dopo poco.
In ogni caso, non si sentiva affatto tranquilla, e anzi il pensiero che si allontanasse dal parco e andasse a sperdersi per la città, le bastava per iniziare a sentire dei brividi freddi alle ginocchia e nelle mani.
Stava prendendo in considerazione l’idea di chiamare qualcuno che l’aiutasse, quando vide, seduto su una panchina con le gambe a ciondoloni, un ragazzino dagli ondulati capelli biondi e gli occhi color cioccolata.
Senza essere realmente interessata a darsi una risposta, si chiese cosa ci facesse un bambino fuori da solo a quest’ora invece che stare a scuola, ma gli si avvicinò solo quando si rese conto che c’era la possibilità che si fosse perso o che magari avesse visto Luthien.
Quando ci furono solo pochi passi a dividerli, lui si voltò verso la ragazza e le domandò, con un sorriso tanto aperto da fargli rischiare una paralisi facciale: “Onee-chan, hai bisogno di qualcosa?”
All’inizio Kimie si guardò intorno perplessa, immaginando che un saluto così informale non potesse di certo essere rivolto a lei, sebbene avesse come l’impressione di aver già avuto modo di vedere quel viso, ma, resasi conto che fatta eccezione per loro non c’era nessuno, gli rispose con aria un po’ dubbiosa: “In effetti.. mi chiedevo se per caso avessi visto un cane, ha il pelo color terra ed è alto.. beh, diciamo che il suo garrese mi arriva poco più su del ginocchio” cercò di spiegarsi lei, poi lo guardò, abbastanza sicura di ricevere una risposta negativa.
“Oh..” disse lui, spalancando gli occhioni mentre il suo labbro inferiore iniziò tremare, fino a farle temere che scoppiasse a piangere “Non riesci a trovarlo?”
Con l’impressione che avrebbe fatto meglio a restarsene per i fatti suoi, Kimie si limitò ad annuire, ansiosa.
“Non preoccuparti!” esclamò lui, saltando giù dalla panchina e afferrando la sua mano “Ti aiuterò io a cercarlo”.
Mentre veniva tirata per il polso dal ragazzino, il quale, con sua sorpresa, era molto più forte di quanto la sua corporatura minuta e le spalle sottili l’avessero portata a pensare, cercò di dissuaderlo, chiedendogli: “Ma non stavi aspettando nessuno, seduto lì? E sei poi tua madre tornando non ti vedrà più? Non mi sembra il caso di farla preoccupare..”
A queste parole, lui rise piano, una risata spensierata, da bambino: “Non preoccuparti, nee-chan.. In realtà” ammise “avevo promesso a Takashi di aspettarlo là finché non fosse tornato col gelato, ma adesso stiamo andando proprio verso di lui, perché sono sicuro che vicino alla fontana dove si trova la gelateria ci saranno molte, molte più persone e che riusciremo a trovare il tuo cagnolino.. E poi così prendiamo un gelato anche per te, quali sono i gusti che preferisci, nee-chan?”
“D-direi cocco e limone..” rispose lei, impressionata dal fatto che fosse riuscito a rivolgerle, senza mai fermarsi a prender fiato, una tale sequela di parole.
“In ogni caso” aggiunse pochi istanti poco, aggrottando le sopracciglia mentre si chiedeva come avesse fatto a cacciarsi in quella assurda situazione, e constatando che a lei questo nome, Takashi, non diceva proprio nulla “ davvero, non ce n’è bisogno..”
A queste parole, lui le lasciò andare il braccio, ma le lanciò un’occhiata supplicante tanto dolce che la ragazza avrebbe potuto giurare di aver visto come dei piccoli fiorellini rosa librarsi attorno alla sua graziosa figura, un’aura a suo parere alquanto inquietante.
“ Ma oramai siamo quasi arrivati.. e poi Takashi è tanto alto” commentò il ragazzino con l’aria di chi sta facendo una considerazione tanto logica quanto ovvia “che probabilmente se mi arrampicassi su di lui sarei in grado di poter osservare tutto il parco! Quindi vedi, riusciremo senza dubbio a vedere il tuo cane!” concluse con un altro sorriso.
Kimie, che già riusciva a scorgere la fontana di cui aveva parlato prima il biondino e la folla di persone che si trovava attorno ad essa, immaginò che cercare anche lì non sarebbe stata una cattiva idea.
Annuì piano, dando il suo assenso con un ok appena sospirato.
Arrivati vicino alla gelateria, il ragazzino lanciò un occhiata deliziata ai vassoi di gelati e, dopo aver spostato a malincuore lo sguardo, le disse: “Perfetto, ades..” ma si fermò quando vide schiarirsi in un attimo lo sguardo preoccupato che gravava sul viso della ragazza, la quale si affrettò a raggiungere un cane dagli occhi di un giallo intenso e scuro, simile a quello di una moneta d’oro.
Kimie si ritrovò quasi a correre per il sollievo, grazie al cielo quel ragazzino aveva avuto ragione, e Luthien si trovava a una decina di passi da lei.
La raggiunse in pochissimo e, piegate le ginocchia fino a far sfiorare la terra all’orlo del suo vestito verde, mentre la cagna, sfacciatamente ignara dell’ansia che le aveva messo addosso, lasciava che la ragazza l’abbracciasse, seppellì il viso nel suo pelo morbido.
Staccatasi da lei pochi secondi dopo, Kimie notò la presenza di un’altra persona, accovacciata anch’essa a pochi centimetri da lei.
I suoi occhi sorpresi si specchiarono in quelli di un imperturbabile color ebano di un ragazzo dall’aspetto straordinariamente posato.
Arrossendo leggermente per quell’improvvisa vicinanza, si affrettò a rimettersi in piedi e anche lui, dopo aver dato un buffetto sul muso di Luthien, fece lo stesso.
Lo guardò sempre più incuriosita, perché di solito la sua cagna era del tutto indifferente, se non infastidita dagli estranei, e questa era la prima volta che si lasciasse accarezzare da qualcuno che non fosse lei o Andrej.
“Takashi!”
La voce del bambino che l’aveva accompagnata fin lì la fece girare di scatto e, con la coda dell’occhio, vede il ragazzo affianco a lei fare lo stesso.
Li osservò incuriosita, mentre il biondo si avvicinò a colui che presumeva fosse Takashi, le mani dietro la schiena e un aria spensierata, per poi arrampicarsi – al momento non le venne in mente un termine più appropriato – sulla schiena di questo, lodandolo: “Sei stato davvero bravissimo, come hai fatto a trovare il cagnolino senza nemmeno sapere di doverlo cercare?”
“Era seduto su quel prato” rispose lui, indicando con lo sguardo un’aiuola vicina alla gelateria, con una voce calma e profonda che si adattava alla perfezione alla sua statura tanto elevata e i suoi lineamenti sobri e decisi, di una bellezza statuaria e imperturbabile.
Più o meno l’opposto del ragazzino appollaiato su di lui.
Kimie era abbastanza sicura che se li avesse visti prima, sicuramente non avrebbe dimenticato un’accoppiata tanto particolare, eppure aveva come questa impressione..
Mentre la ragazza si mordicchiava leggermente il labbro inferiore, pensosa, lui concluse il suo discorso “ho pensato che potesse essere affamato..”
“Io lo sono” affermò con sicurezza il piccolino “Takashi, ora che siamo tutti qui.. andiamo a prenderci il gelato? E posso avere una coppetta con solo panna montata, oltre che al cono? E con delle fragole, se ce le hanno..” aggiunse poi, contando sulle piccole dita affusolate ciò che aveva elencato.
“Nee-chan, vieni con noi, no?”
Sentendosi chiamata in causa, e non sapendo bene con che scusa declinare l’offerta, si limitò ad annuire “Con piacere..”
Il biondo scese con un salto dalle spalle del ragazzo e iniziò a camminare a passo spedito, seguito da loro a poca distanza.
“Questo cane è suo, signorina Amamiya?” quando il ragazzo, che le era sembrato una persona tanto taciturna, le parlò, chiamandola tra l’altro per il suo cognome senza che si fosse presentata, si girò verso di lui, senza smettere di camminare, un po’ sorpresa.
“Si” annuì accennando un sorriso: “grazie per avermi aiutata a ritrovarla” disse lanciando un occhiata a Luthien, che camminava lenta tra di loro, quasi per assicurarsi che non scomparisse di nuovo.
“Scusate la mia dimenticanza, ma per caso ci siamo già visti signor..?” gli chiese lei, lasciando in sospeso la domanda, non sapendo bene come concluderla.
“Sono Takashi Morinozuka” si presentò lui, lo sguardo che fissava immobile un punto immaginario di fronte a lui “e anche se noi non ne abbiamo avuto l’occasione, ho conosciuto suo fratello”
“Capisco” disse Kimie, senza aggiungere altro.
Anche a un osservatore meno attento di lei, sarebbe stato chiaro che Morinozuka non era una persona da definire loquace, e non voleva obbligarlo a rifilarle una serie di frasi di circostanza.
Un pensiero improvviso le fece spalancare gli occhi quando, ricordatasi di averli visti una volta in foto, realizzò che il ragazzino biondo dovesse essere Mitsukuni Haninozuka.
Quindi, mentre Morinozuka si diresse senza dire nulla a fare la fila per il gelato, chiese al biondo: “Ma allora.. Haninozuka-kun.. lei sarebbe un mio senpai?!”
Haninozuka, guardandola dall’alto del suo metro e cinquanta, le rispose con la sua voce da bambino, incrociando con aria compunta le braccia sul petto: “Certo che sì! Non si vede, per caso?”
Kimie cercò di nascondere la sua risata, portandosi una mano sulla bocca e scuotendo la testa “Affatto”
“Ma” aggiunse lui, prendendo posto attorno a uno dei tavolini bianchi all’aperto di proprietà del gelataio, riparato da un ombrellone verde “non c’è bisogno di essere così formali.. Qual è il tuo nome?”
“Kimie” rispose la ragazza, imitandolo e sedendosi su una delle due sedie ancora libere mentre Luthien si accoccolava vicino a lei
“Allora, posso chiamarti Kimi-chan? Io sono Honey, lui è Mori” disse lui sorridendo e indicando Morinozuka, che nel frattempo si era avvicinato assieme a un cameriere che portava tre coppe sul un vassoio nero.
Quattro, se si contava anche quella riempita interamente di fragole e panna, e in più un piattino con un paio di biscotti dal colore scuro che, dopo che il vassoio fu posato tavolino, Morinozuka le chiese se poteva dare al suo cane.
“A Luthien?” chiese lei “Certo, è sempre così affamata che le farà sicuramente piacere. Grazie mille Morinoz..” si fermò all’occhiata di rimprovero che le lanciò il biondo e si corresse con riluttanza “Mori-senpai.. ma posso davvero chiamarti così?”
In fondo non si conoscevano da più che da un paio di minuti e, che lei ricordasse, fatta eccezione per delle sue amiche delle elementari, nessuno l’aveva mai chiamata in un modo tanto informale, almeno non in Giappone.
Lui annuì come se la cosa non l’interessasse particolarmente, e dopo aver spezzato un biscotto sul palmo della mano, l’offrì alla cagna.
A osservarlo attentamente, sembrava davvero a suo agio a stare vicino a un animale che di solito a causa del suo aspetto da lupo, nonostante fosse ancora piccolo di stazza, intimoriva un po’ tutti e, a giudicare dall’aria giocosa di Luthien, doveva essere davvero una persona che ci sapeva fare con gli animali.
“Ma insomma!” esclamò Honey, facendola voltare nuovamente verso di lui “non mangiate i vostri gelati? Se si sciogliessero sarebbe uno spreco..” commentò poi con aria triste.
“Puoi prendere il mio, non ho fame” rispose Mori-senpai, e il piccoletto non se lo fece ripetere due volte, allungando prontamente un braccio sul tavolo per afferrare la sua nuova coppa, le guance ancora sporche di panna montata.
Abbassando lo sguardo sulla sua, Kimie constatò che in effetti era il caso di iniziare a mangiarla.
Prese una piccola cucchiaiata dalla pallina al gusto di fragola, osservando come minimo impressionata Honey finire la sua con aria soddisfatta (ma come era possibile che mangiasse così in fretta?!).

Il rumore di delle campane le fece capire che era già mezzogiorno, e a quel suono Honey mise su un’espressione leggermente imbronciata, mentre Mori si alzava, a suo malgrado.
“Ne, Kimi-chan.. tra dieci minuti riprendono le nostre lezioni, quindi dobbiamo proprio andare..” disse Honey con aria mogia, mentre lei l’osservava ancora stupita dal sentire una persona dall’aspetto così infantile parlare dei suoi studi universitari “Ma mi ha fatto davvero piacere incontrarti, sono sicuro che avremo presto un’altra occasione per vederci” concluse sorridendo di nuovo.
“Assolutamente” confermò Mori, lanciando a Luthien uno sguardo che avrebbe potuto definire appassionato.
Erano arrivate da un solo giorno, eppure la sua cagna già faceva conquiste.. Impressionante, non ha davvero perso tempo pensò con un sorriso.
Con sua sorpresa, Honey la salutò con un veloce bacio sulla guancia, lasciandole addosso un penetrante odore di fragole, mentre Mori si congedò con un più neutro segno del capo.
Li vide allontanarsi, e notò che dandole le spalle la loro differenza d’altezza era ancora più evidente, anche se doveva ammettere che il biondino, grazie alla sua andatura saltellante, guadagnava un paio di centimetri.
Rimasta sola col suo gelato e la silenziosa compagnia di Luthien, spilluzzicò il cibo ancora un po’, poi, sebbene non avesse l’intenzione di sprecare quel dolce, sentì il suo stomaco chiudersi e lo lasciò lì con un piccolo sospiro.
Chissà cosa staranno facendo a San Pietroburgo.. là saranno ancora le sette, probabilmente fatta eccezione per Nikolaj, dormiranno ancora si disse sorridendo tra sé e sé.
Si alzò in fretta, come a voler mettere quanta più distanza dal velo di malinconia che minacciava di avvolgerla, e, dopo aver perso un altro po’ di tempo girando per la piazza ad osservare i passanti muoversi, lenti o veloci, spinti da necessità che lei poteva solo immaginare, si diresse con un sospiro verso l’albergo.

Ho pubblicato quasi subito questo secondo capitolo (anche se temo che mi sarebbe convenuto riguardarmelo ancora >.<) perché, dovendo partire per due settimane, non avrei avuto l'opportunità di farlo per un po'..
Ringrazio le persone che hanno messo questa storia tra le ricordate, le seguite o che l'hanno anche solo letta, ma mi farebbe davvero piacere ricevere un commento, specie perché la cosa che vorrei più di tutte, pubblicando questo racconto, sarebbe riuscire a migliorare il mio modo di scrivere (che al momento - me lo dico da sola - non è dei migliori ^^")


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Capitolo 3
*** As they ask her to focus on ***


Tornata nella stanza, Kimie aprì la sua ventiquattrore e, dopo aver cercato un po’, ne tirò fuori l’iPood e un libro pieno di segnalibri improvvisati, fatti di carta, dall’aria consunta e le alette che parevano sul punto di strapparsi.
Si lasciò sprofondare in una poltrona di pelle nera che si trovava nella posizione ideale per leggere poiché, essendo posizionata poco più a sinistra rispetto all’ampia finestra, faceva sì che, sedendosi, desse le spalle alla pallida luce che filtrava attraverso le tende color orchidea.
Sospirando soddisfatta, accavallò le gambe e, lasciando che le note di Sons of a silent age coprissero ogni altro suono, iniziò a leggere i primi capitoli di Guerra e Pace, alienandosi sempre più dalla realtà a ogni pagina girata.

Una voce maschile la scosse improvvisamente dalla lettura, chiamandola a voce alta: “Signorina Amamiya!”
A quel suono Kimie, interrompendosi nel momento in cui Pierre Bezuchov si dichiara alla bella ed immorale Hélène, sollevò piano lo sguardo dal libro.
Davanti all’espressione un po’ perplessa della ragazza, il signore che era venuto a chiamarla e che, a giudicare dal sobrio completo nero che indossava e dalle ante di armadio che si ritrovava per spalle, doveva essere una delle persone addette alla sua sicurezza (ma era davvero necessario incaricare un’intera squadra di lavoro di svolgere una mansione tanto inutile?) le disse: “Mi perdoni per essere entrato tanto bruscamente, signorina.. dopo aver bussato non ho ricevuto risposta, e ho pensato che le potesse essere successo qualcosa.”
“Oh, mi scusi lei, le mie cuffie avranno coperto il suono del suo bussare..” rispose Kimie, rimanendo intimamente convinta che quella reazione fosse stata decisamente esagerata.
“In ogni caso, qual è il motivo per cui è venuto a chiamarmi?” chiese poi, sapendo già, a suo malgrado, la risposta.
“Suo fratello le vorrebbe parlare, la sta aspettando nella sala da tè” disse infatti lui.
Con un sospiro un po’ seccato, la ragazza posò il libro sul letto e, rendendosi conto dopo aver osservato con aria distratta le ombre più dense e allungate proiettate nella stanza che doveva essere pomeriggio inoltrato, gli chiese di farle strada.

“Kimie, che piacere rivederti”
Al suono di quella voce, si girò fino a trovarsi di fronte alla persona da cui era stata fatta chiamare, mentre la porta della luminosa sala che era stata prenotata per loro veniva silenziosamente chiusa da un cameriere.
“Zero.. ti trovo bene. Grazie per essere venuto a trovarmi oggi stesso, sarai stato molto impegnato ultimamente..” gli rispose, terminando così un veloce scambio di battute di cortesia.
Dal momento che suo fratello si limitò a squadrarla coi suoi sottili occhi da gatto, non facendo nemmeno un passo verso di lei né mostrando l’intenzione di andare a salutarla, come forse sarebbe stato opportuno fare dopo i quasi due anni nei quali non si erano affatto sentiti, Kimie prese posto nell’elegante tavolo apparecchiato per due senza aggiungere una parola.
Non avrebbe saputo spiegare come mai l’atmosfera tra di loro fosse così fredda o quando, né perché, i loro rapporti si erano definitivamente incrinati, fatto sta che col passare degli anni era arrivata a considerarlo poco più di un estraneo.
Le andava abbastanza bene anche così, purché non si intromettesse nella sua vita, come aveva fatto nemmeno due giorni fa, ricordò sentendo montare in sé una certa rabbia, rivendicando il suo titolo di fratello e parente più stretto, presso il quale sarebbe dovuta stare.
Cosa verso cui Zero non aveva mai mostrato il benché minimo interesse, nemmeno quando dopo la notizia della morte dei loro genitori sua nonna aveva deciso il suo trasferimento in Russia, anzi probabilmente era stato un sollievo per lui, sbarazzarsi del rischio di dover crescere una bambina tanto piccola.
Ma, come detto prima, non le importava affatto.. o meglio, questo poteva non toccarla più, ma dal momento che non le ci era voluto molto per capire il perché di quella sua improvvisa insistenza affinché lei ritornasse, le bastava guardarlo per sentirsi irritata.
La ragazza sapeva che l’aveva fatto perché qualche anno fa, quando il suo padrino era diventato legalmente il suo tutore e Kimie aveva affiancato il cognome Sinitsin al suo, in molti avevano pensato che, dal momento che lui non aveva figli, sarebbe stata lei la persona a cui avrebbe intestato il suo patrimonio.
Un’eredità notevole, doveva ammetterlo, anche per una che era sempre vissuta in una grande ricchezza.
Eredità che non sarebbe stata aggiunta al capitale degli Amamiya, ma al suo personale, e su questo Andrej era stato abbastanza chiaro.
In fondo, non era mistero per lei né alcun altro che i rapporti tra Andrej e suo fratello, tra lui e tutti i suoi parenti dal lato paterno, fossero molto tesi. Probabilmente quell’ostio reciproco era stato causato da un’antipatia “a pelle”, aggravatasi nel corso degli anni a causa di rivalità e vari dissidi, causati in gran parte da idee troppo diverse.
Fatto sta che, probabilmente per aggiustare la situazione a suo favore, Zero doveva aver pensato che non fosse più il caso che sua sorella restasse ospite a casa sua.
Poco importa di ciò che lei pensasse della questione – dell’assurda questione, era il caso di aggiungere – o del fatto che in questo modo non avrebbe avuto uno straccio di possibilità per finire normalmente gli studi, dal momento che lui si spostava continuamente dall’America al Giappone per lavoro.
Kimie immaginava che Andrej avrebbe preferito che lei continuasse a vivere a San Pietroburgo, anche a costo di lasciare a suo fratello carta bianca sulla questione, ma nonostante questo era probabile che Zero non l’avrebbe lasciata tornare in Russia, quindi a che pro insistere?
Mentre anche lui si sedeva gli lanciò uno sguardo apertamente ostile che dissipò ogni dubbio a Zero, semmai ne avesse avuti, sul fatto che non l’avrebbe perdonato facilmente per aver forzato il suo ritorno in Giappone.
Ma per il momento, Kimie era ancora minorenne e quindi, se anche avesse provato ad opporsi, difficilmente avrebbe potuto farsi valere, e Zero contava sul fatto che sua sorella fosse sveglia abbastanza da non pensare nemmeno di rendere pubblici fatti che avrebbero potuto gettare una cattiva luce sulla loro famiglia.
A parte questo, non aveva nessun motivo personale per avercela con lei, ed era abbastanza convinto del fatto che avesse capito anche questo: per il momento voleva semplicemente concludere alla svelta l’affare dell’eredità dei Sinitsin, quella che in fin dei conti considerava una manovra economica come le altre; seppure sapeva che ci sarebbe voluto del tempo prima che le cose prendessero la piega da lui desiderata, e per il momento era meglio che Kimie gli restasse vicina, o almeno, che non continuasse a soggiornare presso quell’uomo.
Spostando lo sguardo sul paesaggio rischiarato dalla calda luce pomeridiana che si vedeva attraverso la finestra dell’ampio balcone, affermò tra sé e sé: “E’ un peccato che tu non sia venuta prima, oltre che cominciare regolarmente l’anno, avresti potuto ammirare la fioritura dei ciliegi.. Ma immagino che alla fine vada bene anche così. Sbaglio o in Russia è proprio a settembre che riprende la scuola?” le chiese e Kimie, trattenendo un paio di risposte decisamente troppo acide gli rispose dicendo la prima cosa che le passò per la mente: “Se per questo la data cade nei primi di settembre anche in Europa, negli Stati Uniti e in Madagascar, ma non è questo il punto..” sospirò appena, lo sguardo che vagava senza sosta tra gli angoli della stanza.
Pur trovandolo estremamente frustrante e non volendolo ammettere nemmeno a se stessa, sapeva che alla fine non avrebbe potuto far nulla se non ciò che lui aveva deciso al suo posto, e che non era il caso di peggiorare la situazione per così poco.
Respirò profondamente e, cercando di dare inizio a una discussione più piacevole, gli domandò a sua volta, pur conoscendo già la risposta: “ E a che istituto pensi di iscrivermi, Nii-san?”
“All’Ouran, ovviamente. Credo che i nostri genitori avrebbero voluto che lo frequentassi anche tu” disse subito lui, e dopo aver brevemente osservato la tavola apparecchiata, bevve un sorso di tè.
Dopo poco lei fece lo stesso, sollevando lentamente la delicata tazza di porcellana azzurra e riconoscendo, prima ancora di essersela portata alle labbra, l’aroma di Assam.
“Quindi hai intenzione di venire a vivere qui definitivamente..?” gli chiese abbastanza stupita, inarcando leggermente un sopracciglio alla vista dell’espressione che lui fece ascoltando la sua domanda.
Sembrava voler temporeggiare ancora un po’, ma poi si decise a risponderle: “ Al momento.. al momento non è possibile. Ma mi ci vorranno solo pochi mesi per sistemare le ultime faccende, e nel frattempo mi sono organizzato in modo da non farti rimanere sola”
Precisazione abbastanza ovvia, considerando che se tu lo facessi sarebbe molto facile per Andrej volgere le cose a suo favore, dal momento che sembrerebbe quasi assurdo, dopo aver insistito tanto affinché mi affidassero a te, che tu riprendessi ad infischiartene di come io stia..
Di fronte al silenzio della ragazza, Zero riprese a parlare “Nel frattempo, potresti soggiornare a casa di un mio caro amico..”
Kimie lo fissò come se stesse scherzando, zittendolo con uno sguardo che a quanto pare le riuscì abbastanza terribile da convincerlo a non insistere.
Non si era aspettata che lui l’avesse richiamata presso di sé per instaurare un sincero rapporto di affetto fraterno, non era così ingenua, eppure.. perché sarebbe dovuta tornare in Giappone se lui non avrebbe nemmeno realizzato la premessa, quella di voler “tornare a vivere come una famiglia”, con la quale l’aveva costretta a farlo?
Abbassando lo sguardo sulle sue mani, si rese conto che aveva stretto i pugni a tal punto da far sbiancare le nocche e ferirsi i palmi con le unghie.
Respirò lentamente, cercando di riordinare i pensieri, e di smetterla di vedere le cose con tanta soggettività.
La situazione non le andava giù, affatto, ma forse le sarebbe convenuto fare buon viso a cattivo gioco: per prima cosa, era ancora minorenne, e dunque impossibilitata a vivere da sola o ritornare autonomamente in Russia, poi non era il caso di rispondergli come avrebbe voluto, in modo da non dargli altre scuse per lamentarsi della presunta cattiva educazione impartitale dal suo padrino.
E in fondo, aveva sempre saputo che prima o poi avrebbe dovuto far ritorno in Giappone.
Anche se questo ragionamento non bastò a reprimere del tutto il suo desiderio di togliergli –possibilmente con la forza – quello stupido sorriso che aveva cominciato ad accennare, forse nel tentativo di assumere un’aria il più affabile possibile, la fece calmare abbastanza da potergli far notare che non era affatto gentile autoinvitarsi a casa di qualcuno, non importa se quella persona fosse un amico (o, più probabilmente, un socio d’affari).
Zero, forse stupito dalla razionalità della ragazza, che ricordava come una persona abbastanza impulsiva e dalla quale si era già preparato a sorbirsi una scenata, a quelle parole allargò ancora di più il suo detestabile sorriso, mostrando una chiostra di denti bianchi e perfettamente allineati e la informò, scuotendo la testa: “Ma è stato il signor Ootori ad insistere personalmente per farmi questo favore, e anche se inizialmente ho pensato di rifiutare per non approfittare della sua disponibilità, alla fine mi sono reso conto che sarebbe stato sciocco rifiutare una proposta tanto gentile”
Gentile, pensò Kimie, disgustata, certo.
Lo guardò allibita.
Pensava davvero di manovrarla con tanta facilità, come se fosse una mera pedina?
Si ripromise di informarsi sui rapporti che in questo momento legavano suo fratello a quella famiglia, da cui, ricordò velocemente, era stata invitata ad andare a teatro nei primi di ottobre, ma per il momento si rendeva conto che c’era ben poco da fare.
“Va bene” acconsentì dopo qualche attimo, concedendosi però di aggiungere: “liberarmi per un altro paio di mesi della tua presenza sarà un immenso piacere.”
Detto questo si alzò e, dopo aver attraversato la stanza con passo veloce e deciso, si voltò per chiedergli: “In che giorno dovrò recarmi alla residenza Ootori?”
“Il cinque ottobre.” fu la lapidaria risposta, poi Zero aggiunse, forse non volendosi congedare tanto freddamente: “ Sono sicuro che avremo il tempo per chiarire tutti i nostri malintesi, nee-san.”
Dopo aver osservato per qualche attimo ancora l’alta figura di suo fratello, Kimie se ne uscì dalla stanza in silenzio, avendo però cura di non far sbattere la porta.
Il cinque ottobre.. pensò tra sé e sé.
Una data che nella sua agenda era già stata cerchiata, perché sarebbe stato il suo primo da studentessa dell’Ouran (non aveva quasi preso in considerazione l’idea di non passare l’esame d’ammissione, che probabilmente avrebbe sostenuto a momenti, verso gli ultimi di settembre).
Con un sospiro, considerò che, almeno per questi primi tempi, non le sarebbe affatto convenuto perdersi a guardare troppo lontano, ma piuttosto concentrarsi su ciò che aveva da fare..

Ok, ecco il terzo capitolo.. l'ho postato a quest'ora indecente perché (causa jet lag) stanotte non sono riuscita a chiudere occhio, e detestando perdere tempo a rigirarmi nel letto ho deciso di scriverlo.. Mi scuso in anticipo per qualunque errore abbiate trovato >.< (rileggerò il tutto appena sarà un tantino più lucida xD)
mi rendo conto che fino ad ora ho pubblicato tre capitoli, tutti sulla stessa giornata e in cui non è accaduto nulla di che, ma diciamo che ho pensato a questa parte come a una sorta di introduzione, e che da ora in poi le cose dovrebbero iniziare a muoversi più velocemente ^^

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Capitolo 4
*** Bullets rip the sky of ink with gold ***


Hotta si portò una mano alla bocca, tossendo piano, ma il suono gli si strozzò in gola all’occhiata di rimprovero scoccatagli da Tachibana quando quel rumore, risuonato nel silenzio assoluto che permeava l’auto, arrivò alle sue orecchie.
Stiracchiando leggermente le dita, senza però staccare le mani dal volante, diede una sbirciata, la più discreta che gli riuscì, all’espressione tirata e stanca del suo superiore, seduto sul sedile anteriore affianco a lui e, attraverso il riflesso dello specchietto interno, al signorino Kyouya che, nonostante la rigida postura, aveva lo sguardo distratto, perso a fissare un punto immaginario.
La sua espressione imperscrutabile era per certi versi simile a quella del signor Ootori, la quale però era resa più grave dalle rughe leggere che gli solcavano il viso e dalla fermezza dei suoi lineamenti, meno affusolati rispetto a quelli del figlio.
Nessuno dei due aveva parlato da quando erano entrati in macchina, probabilmente si erano già detti tutto il necessario, e lui e Tachibana si guardavano bene dal farlo.
Ecco il perché di quell’atmosfera ingrigita da un così pesante silenzio, che lui percepiva come profondamente tesa, e che gli faceva più che mai desiderare che Aijima si fosse unito a loro, invece di – per motivi di spazio – scortare la signorina Oot.. no, la signora Shiro (dopo tanti anni di servizio, gli suonava strano chiamarla col suo cognome da sposata), suo marito e il cognato del signor Ootori, perché la sua presenza aveva su di lui, come su chiunque altro, un effetto sorprendentemente calmante.  
In ogni caso, arrivarono senza problemi, se non si considerava il leggero ritardo causato dal traffico di Tokyo.
Senza che ci fosse bisogno di dire nulla, Tachibana andò ad aprire lo sportello ai passeggeri, mentre lui restava seduto nel posto del guidatore.
Appena i due furono usciti, rimise in moto la macchina: prima di raggiungerli doveva lasciarla nel parcheggio riservato agli spettatori.

Tachibana dal canto suo lanciò un’occhiata truce all’orologio, innervosito dal fatto che avessero trovato un ingorgo stradale più esteso di quanto avesse calcolato, ma si ricompose in fretta.
Osservò velocemente il cielo, quella notte sembrava un velo leggero, di un blu intenso attraversato da sottili pennellate color ottanio, rischiarato dai flebili bagliori delle stelle che, almeno per quella sera, non avevano permesso ai gas ed alle altre luci di offuscarle.
Abbassò in fretta il suo sguardo e, seguendo come un ombra i signori Ootori, varcò il portone dell’Outo, il teatro fatto costruire anni fa da Yuzuru Suou.
Il motivo della presenza dello staff Ootori a quella première, come in qualsiasi altro evento ed occasione, era quello di impedire un qualunque attacco alla sicurezza dei presenti, senza ovviamente dare nell’occhio.
Quindi seguì a poca distanza il signorino Kyouya e suo padre attraverso l’ampio attico, fino all’ elegante foyer, dove si era già riunita la maggioranza degli spettatori.
La prima impressione che ebbe Tachibana fu quella di essere finito nella tavolozza di un pittore, per via dei variegati colori degli abiti delle dame, che visti in lontananza spiccavano con decisione contro lo sfondo del marmo di Carrara che rivestiva le pareti e i completi scuri dei loro compagni.
Ovviamente, anche il signor Ootori e suo figlio si sarebbero intrattenuti nella sala fino all’inizio dello spettacolo (una tragedia di Shakespeare, se non ricordava male) e lui li seguì con circospezione, osservandoli scambiare affabili commenti di circostanza con la moltitudine di persone che gli si era avvicinata per salutarli, ma non potendo fare a meno di notare ammirato i abiti, la qualità dei tessuti e l’eleganza dei tagli.
Avrebbe potuto persino elencare gli stilisti che li avevano disegnati, e tutto questo a causa di sua figlia che, da qualche mese a questa parte, non faceva altro che parlargli di moda e lasciare giornaletti sulle vite dei suoi idols preferiti in giro per la casa.
Aggrottò le sopracciglia, richiamando bruscamente la sua attenzione sulla sala, e vide il signorino Kyouya raggiungere assieme a suo padre un gruppo di persone sulle quali era puntato l’attento sguardo color ossidiana di Aijima.
Affrettandosi a raggiungerli e scansando giusto in tempo un cameriere con in mano un elegante vassoio d’argento sul quale erano appoggiati un paio di calici dall’aspetto estremamente costoso, riconobbe la chioma scura e la voce gentile della signora Shido, la quale, semplice ed elegante nel suo vestito color miele, si trovava vicino a suo marito e stava parlando con un signore dagli occhi di un verde singolarmente intenso, enfatizzato dai capelli corvini e la pelle pallida, quasi malaticcia, che si ricordò essere il signor Amamiya.
Fissandolo, provò una netta sensazione di disagio, c’era un nonsoché nella sua figura filiforme, nella gestualità enfatica delle mani, nel silenzio dei suoi sguardi..
Mosse impercettibilmente la testa, quasi a voler scacciare quell’immagine, e vide affianco a loro il signor Enjyo, il quale catturò la sua attenzione a causa del colore della sua pelle, di diverse tonalità più scura di come se la ricordava, sulla quale risaltava con decisione un sorriso aperto e i denti chiari.
Quando cercò sentire ciò che stava dicendo a una signorina dalle spalle esili e la vita sottile vestita di un sobrio color malva, di cui non riusciva a vedere il viso perché, trovandosi difronte al signor Enjyo, stava dando loro seppur involontariamente le spalle, si accorse di non conoscere la lingua con cui stavano parlando.
Che lei sia una straniera?
Pensò tra sé e sé, dopo aver osservato la sua chioma fulva, raccolta in un elegante chignon.
La lingua usata in ogni caso non era l’inglese e, anche se per la musicalità delle parole e le radici di alcuni termini assomigliava al francese, i suoni non erano abbastanza nasali.
In ogni caso, i due tacquero appena risuonò la voce del signor Amamiya e Tachibana si voltò piano, quasi a sincrono con loro, cercando di mettere a fuoco ciò che stava dicendo, sorpreso dalla sua distrazione (causata probabilmente da tutto quel lavoro arretrato che aveva dovuto sbrigare la notte scorsa), che non gli era affatto solita.
Li ascoltò distrattamente salutarsi, lo sguardo che analizzava ognuno dei presenti alla ricerca di qualcosa di sospetto.
In fondo Aijima sarebbe rimasto con loro, lui avrebbe fatto meglio a raggiungere Hotta che, appena arrivato, si era appostato vicino all’ingresso del palco degli Ootori.


Allora.. per prima cosa, chiedo scusa per il ritardo con cui ho postato questo capitolo (il mio hard disk ha realizzato di odiarmi e si è suicidato, facendomi tra l’altro perdere tutti i miei documenti D:) e poi, colgo l’occasione per ringraziare di nuovo le persone che stanno seguendo questa storia, chi è stato così gentile da commentare, ma anche chi si limita a leggere, o l’ha messa tra quelle da ricordare o seguite.. Grazie mille, davvero ^^
Spero che non cambiate idea dopo aver letto questo capitolo che, me ne rendo conto da sola, è l’inutilità fatta parole.. Non so nemmeno perché avevo iniziato a scriverlo T_T  Solo che i membri dello staff Ootori hanno da sempre riscosso la mia simpatia e per una volta mi sarebbe piaciuto cambiare punto di vista.. >.<
In compenso, ho praticamente finito di scrivere il successivo, che credo posterò a momenti..

Ah v.v un ultima cosa: non so se qualcuno l’ha notato, ma ho scelto di ambientare questi capitoli nel teatro di cui parla Kyouya (nel capitolo in cui, dopo aver giocato a nascondino, Haruhi scopre che Tamaki è il figlio del direttore dell’Ouran xD) onestamente non ne ricordavo il nome – e forse nell’anime è stato anche omesso, anche se ricordo d’aver visto la scena – ma dopo qualche ricerca sono riuscita a recuperarlo e..
..Aspettate D: ho dimenticato il reale motivo per cui avevo aggiunto questa precisazione o.O diciamo che se mi ritornerà in mente (cosa di cui, conoscendomi, dubito fortemente xD) completerò il discorso..
Odio quando mi dimentico di cosa volevo parlare, anche se temo che sia quello che succede ad aprir bocca senza prima aver pensato seriamente a cosa dire T__T


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Capitolo 5
*** See the storm set in your eyes ***


Silenzioso come quando era venuto, quel signore, ammantato di nero e dagli occhi schermati da spesse lenti scure nonostante l’orario, si allontanò senza aver pronunciato parola.
Kimie gli lanciò un’occhiata perplessa, ma notò che fu l’unica: gli altri continuarono a conversare di temi leggeri, senza dare il minimo peso all’accaduto.
Mi chiedo se anche io finirò con l’abituarmi alla costante presenza di un’intera squadra di Men in black sguinzagliata alle mie calcagna, oppure mi rimarrà un minimo di buon senso tale da lasciarmi continuare ritenere che essa sia inutile, in qualunque modo la si rigiri.. Non fanno altro che trasmetterti ansia, con quelle le mascelle serrate e la loro aria grave danno l’impressione d’esser pronti ad assistere a un terzo conflitto mondiale o roba simile..
Sospirò piano, cercando di dissimulare l’espressione irritata scolpita sul suo viso.
Nella sua mente, questo soliloquio andava avanti da un po’, e se cessò fu solo perché aveva terminato le cose di cui lamentarsi: inizialmente già riteneva improbabile che sarebbe riuscita non solo a sopportare, ma a mostrarsi lieta della quanto mai sgradita presenza di Zero, con il quale aveva praticamente smesso di parlare se non quando le circostanze glielo imponevano, come in quella sera.
Eppure l’emozione che trovava più difficile ignorare, talmente sentita da arrivare a  farle bruciare gli occhi, era un profondo biasimo, verso tutti, ma soprattutto verso se stessa.
Aveva acconsentito ad andare a questa serata, scegliendo di comportarsi com’era opportuno piuttosto che come credeva avrebbe dovuto: incontrare formalmente l’uomo che, per rendere un favore a suo fratello, col quale avrebbe concluso a momenti un importante affare, s’era offerto d’ospitarla per qualche tempo nella sua residenza piuttosto che affrontare Zero e dirgli che non aveva intenzione di sprecare nemmeno un attimo di più assieme a lui, che presto, volente o nolente, si sarebbe trovato ad acconsentire che facesse ritorno a San Pietroburgo e che nell’attesa non aveva la minima intenzione d’esser manovrata, in un modo tra l’altro così palese e sconsiderato, per i suoi interessi.
D’altronde, ripeté tra sé e sé una volta di più, non era impuntandosi come una bambina che sapeva avrebbe avuto la meglio sulla questione, e in questo caso le rimanevano solo due opzioni da considerare se voleva riprendere a vivere indipendentemente: indurre Zero a farla ritornare in Russia, o aspettare finché non fosse divenuta maggiorenne, e dunque le conveniva accettare fin da ora che per la realizzazione di entrambe sarebbe dovuto passare del tempo, tempo in cui nulla, nessuna sua azione avventata o frase fuori luogo le potesse essere rivoltata contro.
E quindi eccola, a sfoggiare il più luminoso dei suoi sorrisi, pervasa dalla fredda consapevolezza della condotta che avrebbe dovuto sfoggiare a prescindere da ogni cosa, a prescindere dal fatto che, circondata da persone estranee, con le quali era però tenuta a intrattenersi avendo cura di non incrinare quell’atmosfera di falsa cordialità intessuta con tanta cura, non c’era modo, ne’ tanto meno motivo, per passare ad argomenti che s’allontanassero dagli interessi comuni condivisi, sprecandosi in complimenti, rimirando l’eleganza che permeava quella sala, il buon gusto con cui ogni cosa era stata organizzata.


E dal momento che quella sera erano arrivati nel teatro con un largo anticipo, aveva avuto il tempo, che ai suoi occhi era parso infinitamente lungo, per iniziare comportarsi nel modo in cui si era ripromessa di fare.
E, seppure s’era resa conto che aveva sbagliato a giudicare così negativamente tutte le persone con cui avrebbe avuto a che fare (come ad esempio la signora Shido, tanto solare e spontanea da spingerla a chiedersi cosa ci facesse una persona come lei nella famiglia Ootori), era anche vero che il più delle volte i suoi pregiudizi si erano rivelati fondati.
Ne era un esempio la signora Yagami, vedova di un proprietario di importanti aziende d’elettronica, vestita con un abito nero, su cui spiccava fin troppo evidentemente il rossetto color carminio che infiammava le sue labbra e le gemme degli anelli che portava su ogni dito, e con cui – non certo per sua scelta – Kimie s’era ritrovata a scambiare inutili convenevoli.
Enjyo si dovette rendere conto, almeno un po’, del suo reale stato d’animo, o quantomeno del pulsare innaturalmente veloce della vena sulla sua tempia, che andava ad accelerare ogni minuto perso a parlare con una persona che fin dall’inizio le era risultata particolarmente sgradevole, perché, scusatosi per l’interruzione e afferrato con delicatezza il polso della ragazza, si allontanò di qualche passo, trattenendo a stento un sorriso divertito.
Si fermò a pochi passi dalla parete e la lasciò andare mentre Kimie, abbassate impercettibilmente le spalle, rilassava i muscoli del viso: lo sforzo di mantenere una facciata di cortesia le aveva fatto dolere la bocca.
“A quanto pare, è stata un’idea quanto mai saggia, quella di strapparti dalle grinfie di quella donna.. Se ti può consolare, a me è andata persino peggio: sono abbastanza sicuro che dietro certe sue affermazioni” le confidò con un aria giocosamente spaventata, lanciando un’occhiata alla giovane signorina con cui stava parlando fino a un attimo fa per farle capire a chi si stesse riferendo “si nascondessero chiare profferte sessuali..”
Al sopracciglio che aveva ironicamente alzato mentre Enjyo le faceva questa confidenza, Kimie fece seguire uno sbuffo un po’ esasperato quando poi lui aggiunse, passandosi con aria distratta una mano sugli scompigliati capelli bruni : “Certo, non che le si possa dar torto..”
Lanciandogli un’occhiata sott’occhi mentre posava la sua schiena sulla fredda superficie del marmo chiaro, Kimie si trovò costretta ad ammettere che no, oggettivamente non lo avrebbe potuto fare: le labbra perennemente sollevate ad accennare un sorriso sghembo, occhi in cui sembravano danzare fiamme color oro, la sua aria a volte quasi infantile e la sua statura non particolarmente alta, nonostante i lineamenti marcati e il fisico ben delineato, lo facevano sembrare più giovane dei suoi trentaquattro anni e decisamente prestante, anche se non era il caso di dargli ragione, era già una persona fin troppo vanesia per i suoi gusti: “ Piuttosto, continuo a non riuscire a spiegarmi cosa spinse Mathilde a fidanzarsi con un una persona dall’ego così sfacciatamente spropositato..”
“Ah Kimie, se non ti conoscessi tanto bene, potrei anche pensare che una sfumatura di rimprovero si nasconda tra le tue parole” rispose lui, sbattendo le palpebre con aria innocente.
“Sfumatura? Ma se non mi sarei potuta esprimere più chiaramente..” ribatté la ragazza, un sorriso ancora accennato sull’angolo della bocca.
“Bel modo per ringraziarmi per la mia gentilezza..” bofonchiò poi Enjyo “quasi quasi ti lascio di nuovo alla balia di quei pagliacci..”
Eppure c’era una luce divertita nello sguardo che le rivolse quando, ascoltando la sua proposta, Kimie non poté trattenersi dallo storcere il naso.
“Mi pare di capire che in fondo nemmeno tu abbia una grande opinione dei tuoi illustri colleghi, no Enjyo?”
Lui rise seccamente alle sue parole: “Non c’è nemmeno bisogno che io ti risponda.. molti di loro sembrano desiderare il potere più dell’aria che respirano. Di certo se Ootori non fosse riuscito ad incastrarmi avrei trovato un modo per saltare questa serata.. ma non vedo perché perdere altro tempo annoiandoti coi miei borbottii. Piuttosto, perché ti ostini a chiamarmi col cognome?”
“Ti offenderesti nuovamente se ti facessi notare che vista la differenza d’età potrei sembrare quasi irrispettosa a trattarti troppo informalmente?”
Enjyo, sentendosi etichettare, seppure indirettamente, come vecchio, le rivolse un’occhiata sorpresa e un po’ incredula, come se una parte di lui fosse convinta d’aver udito male: “Ma se abbiamo solo..” tentò di fare il calcolo, poi optò per una cifra approssimata “ una quindicina d’anni di differenza! E poi non ti sei mai fatta troppi problemi  a chiamare Mathilde col suo nome..”
Davanti alle sue osservazioni, Kimie sospirò divertita: la prima volta che aveva visto quella giovane scrittrice, nel salotto verde della residenza di Andrej, quello riservato alle visite, aveva appena otto anni e da quanto ricordava l’aveva subito presa in simpatia: coi suoi capelli color cioccolata e una spruzzata di lentiggini su tutto il corpo Mala sembrava proprio una delle fate che popolavano i racconti di cui scriveva..
“E’ diverso” disse solo “e poi, già mi suona abbastanza strano non darti del lei..”
“Per carità” alle sue parole, lui scosse il capo con decisione “vuoi davvero farmi sentire decrepito, eh?” ma non le diede il tempo di rispondere che già aveva nuovamente cambiato argomento: “Ah, prima che me ne dimentichi.. Mala mi ha chiesto di portarti i suoi saluti, le avrebbe fatto piacere salutarti prima che tu partissi, ma era fuori città..”
“Sì, l’avevo sentito.. quando tornerà, dille che ricambio.”
“Avrò modo di farlo tra pochi giorni..” disse lui, poi davanti allo sguardo interrogativo della ragazza aggiunse: “Avevo pensato di andarla a trovare in Italia, questo weekend”
“In Italia?” domandò Kimie, non riuscendo a capire per quale motivo lei si trovasse lì, per poi rispondersi da sola pochi istanti dopo: “Ah giusto, è là che voleva ambientare l’ultima parte del suo racconto, no?”
Enjyo le diede ragione con un cenno del capo, mentre lei gli chiedeva: “Ma non era entro il sei di questo mese che avrebbe dovuto consegnare il manoscritto all’editore?”
“Hai una buona memoria” le concesse lui “a me ha dovuto ripetere la data un centinaio di volte prima che la memorizzassi.. In ogni caso, sì, hai ragione.. Ed è questo il motivo” aggiunse dopo poco, le labbra arcuate ad accennare l’ombra di un sorriso sghembo “che farò in modo di non arrivare lì prima del sette mattina, sai ci tengo alla vita io. E poi, checché tu ne dica, sono ancora troppo giovane e decisamente troppo bello per morire a questa età..”
Alle sue parole, Kimie fece per ribattere, ma alla fine non poté trattenere una risata: aveva perfettamente ragione.
Sotto il momento della consegna, persino una persona posata come Mathilde diventava irascibile e intrattabile, si aggirava per casa con l’immancabile tazza di caffè in mano, attorno a lei un’oscura, vibrante aria di pericolo.
“Scelta saggia” approvò infine “e poi chissà, che stavolta tu non riesca a imparare sul serio l’italiano..”
Ma se lo so parlare perfettamente!” protestò lui, rispondendole proprio con quella lingua.
Alle sue parole, non poté trattenere un’altra risata: Enjyo aveva l’abitudine di prendere il dialetto dei posti che visitava, e quindi l’italiano che parlava era una strana accozzaglia di varie cadenze, dalla romana alla bolognese, che nell’insieme risultava davvero comica.
Se così ti pare..” gli rispose lei, lo sguardo ridente fisso su di lui.
E poi, potrei farti notare che almeno io, non lo parlo come se vivessimo ancora nell’Ottocento..” ribatté piccato.
A quest’affermazione, Kimie non trovò nulla da ridire: sapeva benissimo che stavolta era lui ad avere ragione, perché avendo imparato gran parte delle lingue che conosceva grazie ai libri, e leggendo principalmente scritti antichi, si era resa conto, studiando ad esempio poeti contemporanei, di parlare come una reduce del Risorgimento.


Socchiuse piano i suoi occhi verdi, in cerca di una risposta adeguata, ma non ebbero il tempo di terminare il loro discorso, perché era stato in questo momento che, nel lasso di tempo di un minuto, era venuto e se ne era andato quel membro dello staff Ootori, e assieme a lui li avevano raggiunti il signor Ootori e suo figlio.
“Ah, signor Ootori, che piacere rincontrarla” fu Zero il primo a prendere parola, avanzando verso i due e salutandoli con una stretta di mano.
Istintivamente, Kimie abbassò di scatto lo sguardo e, dopo un respiro profondo, lo rialzò lentamente.
Non avrebbe saputo dire se lui l’avesse fatto apposta per distrarla o meno, ma quella chiacchierata con Enjyo era riuscita a distrarla da tutti suoi pensieri, e per questo gli fu grata.

 “Signorina Amamiya” sentì il signor Ootori chiamarla e fece un mezzo giro su se stessa, mentre lui continuava: “vorrei presentarle mio figlio, Kyouya Ootori.”
In effetti affianco a lui, vi era un giovane in un sobrio completo grigio scuro, che le sembrò essere più o meno suo coetaneo.
Lui si presentò formalmente, un imperscrutabile, gentile sorriso scolpito in viso.
Dopo avergli lanciato una seconda occhiata, Kimie rimase immobile, osservandolo con interesse.
Si ritrovò a rimirare l’arco preciso dell’occhio, la curva pronunciata degli zigomi, la linea diritta del naso del ragazzo che le era stato appena presentato, se non fosse stato per la strana luce che brillava nei suoi occhi e il fatto che in fondo era pur sempre un Ootori, non avrebbe esitato a definirlo bello.
Rispose al saluto lentamente, lo sguardo che esaminava con attenzione le sue iridi cineree che, al pari di un cielo invernale, sembravano essere adombrate dalla presenza di nubi dense e scure, cariche di pioggia.
Le sarebbe piaciuto ritrarlo.
Chissà che tonalità di colori avrebbe dovuto usare.. probabilmente, si disse tra sé e sé, fatta eccezione per un pallido rosa, le sarebbero bastate diverse sfumature di grigio.
Scosse debolmente la testa, seriamente, in che razza di pensieri stava andando a perdersi?
Distolse lo sguardo, perdendosi a fissare gli arabeschi che decoravano il soffitto, per poi riabbassarlo, indecisa su cosa dire.
“Si aspettava il teatro fosse stato costruito con uno stile più tipicamente orientale, Amamiya-san?” lo sentì domandarle.
A quelle parole, scosse piano la testa, poi aggiunse: “ E’ solo che alcuni elementi, le finestre ad arco del primo piano o la balaustra del terrazzo, mi hanno ricordato l’Opéra Garnier.. Non trova anche lei?” disse piano, ed ebbe come l’impressione che il viso del ragazzo si irrigidisse prima di risponderle, ma fu solo un attimo: “Ho avuto anche io quest’impressione.. e inoltre il teatro fu commissionato dal signor Suou qualche mese dopo il suo ritorno dalla Francia, quindi è probabile che abbia ripreso alcuni particolari di ciò che aveva visto a Parigi.. Avete un’affinata capacità d’osservazione, signorina” si complimentò poi, rivolgendole un sorriso tanto bello quanto preparato, o almeno questa fu la sua impressione.
Perché se con gli anni aveva imparato fin troppo bene che in alcune situazioni pur di essere cortesi era necessaria l’ipocrisia o comunque saper fare buon viso a cattivo gioco, di espressioni come quella ne aveva viste tante da trovarle quasi banali.
Riscossasi dai propri pensieri, la ragazza aggiunse, senza fare particolarmente caso al complimento che le era stato rivolto: “ In effetti.. avevo sentito dire che anche i Suou avrebbe assistito a questa première. Eppure non ho ancora avuto modo di vederli..”
“Dubito che verranno, signorina.. Tamaki mi ha chiamato per avvertirmi che avevano avuto un imprevisto” tagliò corto lui, aggiustandosi gli occhiali che avevano iniziato a scendergli sul viso.
Immaginano che non fosse il caso d’insistere, Kimie gli chiese dopo aver sollevato appena le spalle e cambiando discorso: “In ogni caso, anche lo spettacolo sarà una rappresentazione di un’opera europea, o sbaglio?”
Ootori scosse appena il capo, dandole ragione: “Affatto.. Verrà recitata una tragedia di Shakespeare, Cesare.”
“Una delle mie preferite” sorrise la ragazza.
“Kimie, hai mai visitato il Foro Romano?” alle parole del signor Enjyo, aggrottò leggermente le sopracciglia, dubitava che avesse seguito la loro conversazione, ma evidentemente non gli era ancora passata la discutibile abitudine di unirsi ai discorsi altrui pur non avendo la minima idea di che cosa si stessero parlando, semplicemente perché qualcosa, un nome, un luogo, aveva attirato la sua attenzione.
“Sì, ma da bambina.. I ricordi che ne ho sono abbastanza vaghi.. Scusa ma in che modo potresti ricollegare la tua domanda al nostro discorso?” gli rispose in ogni caso lei.
“Di nuovo, la tua pungente schiettezza mi ferisce.” borbottò lui, lanciandole un occhiata profondamente offesa quando la ragazza sollevò appena le spalle alla sua affermazione.
“Oh” si costrinse ad aggiungere allora lei, cercando di sfumare il tono sarcastico nella sua voce “ non era affatto mia intenzione. Per caso ti andrebbe di raccontarmi il perché della sua domanda?”
Enjyo sorrise, apparentemente soddisfatto “Molto meglio. Sarà un piacere, signorina. Si da’ il caso che abbia comprato un appartamento nel centro storico della città e ascoltarvi parlare mi ha fatto pensare quanto sia strano, il fatto che pur avendolo comprato quasi un anno fa, non abbia ancora avuto modo di inaugurarlo..”
“Inaugurarlo?” gli fece eco lei, inarcando il sopracciglio.
“Sì beh.. la regalai l’estate scorsa a Mathilde per il nostro anniversario di fidanzamento e..”
“Fammi indovinare, non ha accettato di andarci nemmeno una volta?” lo interruppe di nuovo Kimie, sorridendo apertamente: non dubitava che Mala, orgogliosa al punto da non accettare nemmeno che le venisse offerta la cena, davanti al suo costosissimo regalo avesse dovuto faticare non poco per non tirarglielo appresso.
“Non ha nemmeno mai voluto averne le chiavi..” le diede infatti ragione lui, lo sguardo basso e inconsolabile davanti al quale il sorriso della ragazza non poté fare a meno di aprirsi ancora di più.
“Credo che sia arrivato il momento di prendere i nostri posti” li avvertì la signorina Shido, mentre le persone attorno a loro iniziavano a dirigersi verso i rispettivi palchi.
Kimie si limitò ad annuire, guardandosi intorno incerta sul dove andare.
“Su Kyouya, sii gentile e mostrale la strada” aggiunse poi, pochi istanti prima che lei ed Enjyo venissero salutati da un signore dai favoriti bianchi e la statura singolarmente imponente.
“Da questa parte, prego” fece subito lui, incamminandosi a passo sicuro verso un corridoio laterale dopo che la ragazza l’ebbe ringraziato.
“Ho sentito – riprese poi, interrompendo il breve silenzio caduto tra loro – che anche lei frequenterà l’istituto Ouran, non  è vero Amamiya-san?”
“Infatti. In realtà, è lì che ho trascorso le elementari, e da qual poco che ricordo.. era  
“E’ un posto interessante, senza dubbio” concordò lui con un mezzo sorriso.
Kimie sospirò mentre continuavano a percorrere quel corridoio dalle pareti scarlatte. Le risultava piuttosto difficile porsi nel modo giusto nei confronti di quel ragazzo quando l’unico posto dove sarebbe voluta essere in quel momento era a parecchi chilometri da lì, e una certa ambiguità nel suo sguardo le aveva fatto capire di non essere l’unica ad aver sentito la necessità a calarsi in un personaggio che non fosse il proprio.
Si chiese quanti mesi sarebbero passati prima che una sciocchezza qualsiasi facesse disintegrare il suo autocontrollo, già sufficientemente messo alla prova .

Per prima cosa, ringrazio chi ha lasciato un commento o anche solo letto, e spero che non troviate questo capitolo troppo deludente.. l'ho finito di fretta perché volevo postarlo entro stanotte, ma prometto che sarà a discrezione della futura me la correzione di eventuali errori (sono messa bene xD)
Inoltre, volevo scusarmi per il mio ritardo, non saprei dire il perché ma appeno prendo un po' di coscienza della storia che sto scrivendo, mi sembra che sia una massa di sciocchezze e smetto di scrivere (sono per caso l'unica a cui capita tipo tutte le volte? >.<)
Ma risfogliando i miei vecchi manga ne ho ritrovato uno di Host Club e mi sono ripromessa che non avrei lasciato incompleta questa ff (anche se non saprei fino a che punto questa possa essere una buona idea xD)

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