What's your definition of benefit? di Alexiels (/viewuser.php?uid=101759)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The sun pins the branches to the sky. ***
Capitolo 2: *** All the strangers came today ***
Capitolo 3: *** As they ask her to focus on ***
Capitolo 4: *** Bullets rip the sky of ink with gold ***
Capitolo 5: *** See the storm set in your eyes ***
Capitolo 1 *** The sun pins the branches to the sky. ***
Giusto
due
parole prima che iniziate a leggere
(sappiate che siete ancora in tempo per tirarvi indietro! xD)
Anche se mi rendo conto del fatto che sia inutile dirlo ora, dal
momento che
dovranno passare un paio di capitoli prima che facciano la loro apparsa
tutti i
membri dell’Host Club, volevo fare una premessa: questa
storia è ambientata
qualche mese dopo il diploma di Mori e Honey, ma ho spudoratamente
ignorato gli
avvenimenti che si sono susseguiti dopo la cerimonia (per dirne una
Tamaki non
è ancora stato invitato nella prima residenza dei Suou, e i
capelli di entrambi
i gemelli sono ancora di un acceso color carota v.v). Non è
che l’abbia fatto
volontariamente, ma ho iniziato a scrivere questa fanfiction un paio di
settimane fa e, anche se mi sarebbe piaciuto attenermi il
più possibile al
finale del manga, ho finito di leggerlo solo oggi pomeriggio (mi sento
ancora
in subbuglio.. sono accadute tante di quelle cose negli ultimi numeri!)
Ah, e
poi mi volevo scusare per questo primo capitolo (che ho da subito
considerato
come una sorta di parte introduttiva e che dubito possa essere
consiederato
interessante o altro >.< )
Detto questo, buona lettura.. ^^”
L’orologio
segnava le nove spaccate quando, dopo aver
passato l’intera notte seduta sul bordo del letto ancora
fatto, fissando solo
apparentemente il suo pallido riflesso nello specchio mentre la sua
mente
stanca si perdeva in pensieri sempre più astratti e
scollegati, Kimie
si lasciò cadere all’indietro con un sospiro.
Rigiratasi su un fianco, afferrò la sottile coperta color
indaco e serrò con
forza i suoi occhi.
Non si illudeva di riuscire ad addormentarsi, ma non poter nemmeno
uscire la
rendeva nervosa.
Se fosse stata ancora a San Pietroburgo, sarebbe scesa da un pezzo e
magari
avrebbe passato la nottata al locale vicino al Trinity Brige dove
Nikolaj aveva
iniziato a lavorare per pagarsi la retta universitaria; invece, dopo
essere
sbarcata in Giappone con il volo delle ventitré, lei e
Karina erano state
accompagnate in un albergo a cinque stelle da dei subordinati di suo
fratello,
che poco dopo avevano acconsentito a lasciarla sola, chiedendole
però di
aspettare lì finché “Amamiya-sama non
fosse venuto a trovarla”, ma in ogni
caso, aveva notato con una certa irritazione, si erano assicurati di
restare
nelle sue vicinanze prenotando delle stanze anche per loro.
Così, assonnata e stizzita per l’essere stata
trattata come se fosse ancora una
bambina troppo vivace, non aveva avuto il tempo né la voglia
di pensare a che
cosa avrebbe fatto – perché era più che
sicura che, se i suoi desideri non
fossero combaciati con quelli di suo fratello, non avrebbe
accondiscenduto
tanto facilmente alle sue richieste– una volta venuta in
Giappone.
Si era limitata a fissare la luna percorrere un lento arco nel cielo
senza
stelle, ma rischiarato dalle mille luci della città, non poi
tanto diverso da
quello che era abituata a vedere dalla sua stanza a San Pietroburgo, in
quella
che era stata la sua casa da quando da bambina si era trasferita a
vivere dal
suo padrino, Andrej Philarete Sinitsin, un uomo stravagante dai nobili
natali,
fin troppo ricco e sorprendentemente acuto.
Dei passi leggeri sul pavimento di marmo chiaro, a cui seguì
un’improvvisa
pressione sul materasso, la fecero sussultare, istintivamente si
girò in fretta
verso la porta che trovò ancora chiusa, mentre un fresco
odore di aghi di pino
e terra investiva le sue narici.
Sorrise e alzò il suo sguardo verso il soffitto,
ritrovandosi a fissare gli
occhi dorati di Luthien.
Si sedette nuovamente sul letto e iniziò ad accarezzarla
piano sul collo,
facendo affondare le mani nel suo manto che, mano a mano che la sua
mano
scendeva, si colorava con varie sfumature di marrone, dal beige al
bistro; e
l’osservò divertita mentre sbadigliava, mostrando
una chiostra di denti
affilati che lei, pensando che erano ancora da latte, trovava quasi
buffa.
Non aveva mai tenuto
un animale prima d’ora, e
immaginava che il cucciolo di cane lupo dall’aspetto ancora
così simile a
quello di un morbido pupazzo che aveva preso con sé sarebbe
potuto sembrare uno
stravagante capriccio da ricca, ma, dopo averlo visto per la prima
volta,
immobile nella selva che circondava la tenuta di campagna di Vera
Popov, una
ragazza dallo sguardo color ambra e i corti capelli scuri eternamente
scompigliati,
la sua migliore amica, aveva avuto come la sensazione di non poter fare
altrimenti.
Sapeva che in quelle zone non era raro che i lupi venissero cacciati e,
osservando la sua estrema magrezza e la fame che sembrava divorare i
suoi
occhi, sospettosi e spaventati, aveva immaginato che la madre di quel
cucciolo
fosse stata uccisa.
Quindi, dopo essersi assicurata che non avrebbe perso una mano nel
tentativo di
prenderlo in braccio, l’aveva portato nella residenza.
Aveva chiesto ad Andrej il permesso di tenerla piuttosto che affidarla
alle
cure di qualcun altro riportando le parole sentenziate del veterinario
a cui
l’aveva mostrata per vaccinarla e assicurarsi del suo stato
di salute, secondo
il quale "l’animale poteva essere considerato ed allevato come
un cane, perché
non era un lupo vero e proprio, ma, dal momento che suo padre era
probabilmente
un pastore tedesco, un incrocio, e in più considerando il
fatto che era stata
preso quando era ancora così piccolo, a condizione di
dedicargli tempo e attenzioni,
sarebbe potuto essere addomesticato".
Lui aveva acconsentito con un leggero cenno del capo, le labbra piegate
in
sorriso sghembo che illuminò per un attimo i suoi occhi
scuri, preso
leggermente alla sprovvista da quella richiesta, anche se probabilmente
gli ci
erano voluti non più di una manciata di secondi per
concludere che per prima
cosa Kimie aveva da subito messo in chiaro la sua intenzione di
liberarlo in
una foresta appena fosse cresciuto abbastanza, e poi che non gli
sarebbe certo
mancato lo spazio dal momento che, pur vivendo in una residenza dalle
modeste
dimensioni poco lontana dal Palazzo d’Inverno, questa era
circondata da un
ampio parco, che ovattava i rumori della città, e la celava
quasi completamente
agli occhi dei passanti.
Ottenne dunque di tenerla assieme a sé, nonostante le
occhiate chiaramente
contrariate che Vera le scoccava tra uno starnuto e l’altro
ogni qualvolta che
Luthien, alla quale aveva deciso di dare il nome dell’elfa
dai capelli corvini
che era stata la protagonista di una delle storie che aveva amato di
più, le si
avvicinava.
Kimie smise di accarezzarla e congiunse le mani sul suo grembo,
pensierosa.
Il suo trasferimento in Giappone era stato deciso ed era avvenuto
talmente in
fretta che non aveva avuto il modo per pensare che probabilmente
portarsi
dietro Luthien non era stata una buona idea, specie se si considerava
il fatto
che non sapeva nemmeno dove sarebbe andata a vivere, ma con una punta
di
amarezza si disse che, fatta eccezione per alcuni libri e la momentanea
presenza di Karina, lei era l’unica parte della sua
quotidianità rimasta
invariata da quando era partita.
Scosse appena la testa, come a voler scacciare una mosca fastidiosa, e
strizzò
gli occhi, infastidita dalla luce che rischiarava sempre più
la stanza, mentre
Luthien, stanca di essere ignorata, si alzava dal letto e si voltava
verso la
porta, attraverso la quale doveva aver udito avvicinarsi dei passi.
In fatti, dopo nemmeno un minuto, sentì un bussare deciso
sull’uscio e,
ricevuto l’invito ad entrare, Karina fece il suo ingresso,
con quell’aria
affaccendata che, in tutti quegli anni, non l’aveva mai
abbandonata.
In effetti considerò Kimie sorridendonon
riesco nemmeno a immaginare
in che cosa consista il vero e proprio lavoro di una cameriera
personale di una
sola ragazza nemmeno troppo pretenziosa, dal momento che in tutto
questo tempo
non ho mai avuto la soddisfazione di vederla con le mani in mano..
“Signorina” esordì lei con la massima
educazione, seppure i suoi occhi scuri
sembravano volerla rimproverare“per prima cosa, potrebbe
dirmi come mai, tra le
valigie che abbiamo portato con noi, e nelle quali sarebbe dovuto
essere
riposto tutto il suo guardaroba, non sono contenuti
nient’altro che libri?”
Dopo aver sbuffato impercettibilmente, Kimie le rispose, sebbene avesse
intuito
che quella domanda fosse stata probabilmente retorica:“Questo
perché dal
momento che non trovo che sarà particolarmente difficile
comprare un abito
Prada o un profumo Chanel girando per poco più di un paio di
minuti tra i negozi,
mentre dubito fortemente che anche rivoltando l’intero
Giappone riuscirei a
trovare Samuel nella sua prima edizione o i
trentasei volumi di Viaggio
nelle regioni equinoziali del Nuovo Continente di Alexander
Von Humboldt,
ho ritenuto che fossero oggetti insostituibili come questi a dover far
ritorno
in Giappone assieme a me. Se la capienza del bagagliaio dello jet che
ci ha
traghettate non fosse stata tanto ridotta, avrei anche potuto
pensar..”
aggiunse lei più scherzosamente, ma convinta della razionale
ovvietà nella sua
scelta, venendo tuttavia zittita con un solo sguardo dalla sua
cameriera che,
posata la mano destra sulla tempia, come faceva ogni volta che sentiva
il
bisogno di riordinare i pensieri, e scostatasi una liscia ciocca di
capelli
corvini dalla fronte, continuò: “Pur ammettendo
che abbia seriamente ritenuto
necessario portarne cinquanta kili – non si fermò
nemmeno quando Kimie inarcò
con orrore le sopracciglia sentendola classificare per peso i suoi
libri–
avrebbe potuto preparare anche qualche vestito, e no, non valgono quel
paio di
pantaloni e la camicia che ha ficcato nella sua ventiquattrore,
signorina”precisò con un chiaro tono
d’accusa e, dato che sembrava intenzionata
a far continuare la ramanzina ancora per un po’, Kimie si
affrettò a borbottarle
delle scuse non troppo sentite, le quali riuscirono comunque a
calmarla.
“In ogni caso, mi è stato chiesto di recapitarvi
questo” e mosse leggermente la
mano destra, nella quale stringeva una lettera color
avorio“Ma prima ho colto
l’occasione per chiedere a uno di quei signori che suo
fratello ci ha messo
tanto gentilmente tra i piedi di andare a comprarle qualcosa che la
rendesse
presentabile..” concluse infine e la ragazza sorrise tra
sé e sé, divertita dal
modo in cui lei aveva trattato quelle che sarebbero dovute essere le
sue
guardie del corpo (perché poi a suo fratello fosse venuto in
mente di
affibbiarle delle guardie del corpo, proprio non l’avrebbe
saputo dire).
Osservando l’energica figura della cameriera avvicinarsi a
lei, Kimie si ritrovò
a considerare una volta di più che era stata davvero una
fortuna che Karina le
avesse spontaneamente proposto di accompagnarla in Giappone e restare
lì
qualche settimana, il tempo di aiutarla a sistemare le sue cose e farla
ambientare, sia perché doveva ammettere che il senso
pratico, così come quello
dell’orientamento, non era proprio il suo forte, e inoltre le
faceva piacere
continuare ad avere vicino a sé una presenza tanto
familiare.
In effetti, Karina aveva iniziato a lavorare nella residenza Sinitsin
appena
maggiorenne, quindi da un paio d’anni prima
dell’arrivo della ragazza, e i suoi
modi, schietti ma discreti, la rendevano una compagnia singolarmente
piacevole.
Con un sospiro,
protese il suo braccio e afferrò la lettera che le aveva
porto.
Non ebbe nemmeno
bisogno di leggere l’intestazione per capire chi fosse il
mittente, aveva subito riconosciuto la grafia sottile e lineare del
signor
Enjyo. L’aprì con delicatezza e notò
con sorpresa che era scritta in inglese,
mentre chissà perché lei si era aspettata che
fosse stata redatta usando i
kanji.
Senza perdere altro
tempo, iniziò a leggerla, chiedendosi per quale motivo
avesse pensato di scriverle.
L’ ipotesi,
azzardata dopo aver notato piccoli particolari, come la
rigidità
del foglio e l’elegante inchiostro color blu scuro usati, o
il registro
particolarmente formale che quel biglietto, che esordiva con un
laconico
“signorina Amamiya Sinitsin”, fosse un invito a
teatro, si rivelò esatta.
Increspò le
labbra, pensosa.
Le ci volle qualche
istante, prima di riuscire a collegare il cognome del
giovane e promettente imprenditore che aveva avuto modo di conoscere a
San
Pietroburgo, un amico di vecchia data di Andrej, a quello della
famiglia
Ootori, che, così almeno era scritto, l’invitava a
prender posto nel loro palco
privato.
Nello stesso momento
in cui si chiese, leggermente irritata, se anche a suo
fratello fosse stata indirizzata una lettera come la sua,
ricordò che la
sorella maggiore di Enjyo, non riusciva davvero a ricordarne il nome,
si era sposata
anni fa col signor Ootori.
Giusto.. pensò giocando
distrattamente con una ciocca rossa dei suoi
capelli, sfuggita dalla crocchia in cui li aveva raccolti,
complimentandosi con
la propria memoria per non aver subito cestinato
un’informazione che, nel
momento in cui l’aveva ricevuta, le era sembrata perfettamente inutile.
Sbuffò
impercettibilmente mentre Karina, dopo aver lanciato
un’occhiata
discreta al biglietto, le sorrise divertita, ben conoscendo la sua
avversione
verso gli eventi mondani.
Poco importa, affermò tra
sé e sé: in fondo ricordava Enjyo come una
persona particolarmente affabile, dagli occhi chiari e la voce
profonda, ed era
stato gentile, a farle recapitare un invito quando veramente in pochi
sapevano
del suo arrivo in Giappone..
Che poi, quale opera
verrà rappresentata?
Si chiese
sinceramente curiosa, perché il teatro era una delle sue
passioni. Ci andava assieme ad Andrej o i suoi amici ogni volta che ne
aveva il
tempo, fermandosi a lungo a parlare nell’elegante foyer del
Mariinskij e
lasciandosi catturare ogni volta dal pathos degli attori.
Rilesse velocemente il
biglietto, ma non vi trovò scritto il nome dello
spettacolo. Sollevando leggermente le spalle, si ripromise di
domandarglielo
nella sua risposta, mentre, per la seconda volta in quella mattinata,
sentì del
colpi alla porta, stavolta più leggeri.
Era
un’inserviente, che non si fermò a lungo,
congedandosi appena le ebbe
consegnato un pacco voluminoso da parte di suo fratello, il quale,
forse per il
pallido colore rosa, forse per il voluminoso fiocco in cui era avvolto,
non le
ispirava affatto fiducia, anzi, proprio per niente.
Fu la cameriera ad
aprirlo, mentre lei si sedeva vicino alla sua toilette,
mantenendo una ragionevole distanza da quella cosa color confetto,
dalla quale
Karina tirò fuori un vestito dalle spalline sottili e lo
scollo a barca, di un
verde scuro che, più o meno, richiamava il colore dei suoi
occhi, il quale, pur
essendo molto stretto in vita, scendeva più morbido fino a
poco dopo le
ginocchia.
Appurato che fosse un
abito molto più sobrio di quel che aveva temuto,
accettò
di indossarlo, prendendosi prima qualche minuto per sciacquarsi, e,
come quando
era ancora una bambina, chiese aiuto a Karina per prepararsi, lasciando
che
fosse lei ad assicurarsi che le pieghe del vestito cadessero bene e a
acconciarle i lunghi capelli di un rosso ramato,
raccogliendoli verso l’alto, ma lasciando che alcune ciocche
inanellate
scendessero ad incorniciarle il volto.
Pochi minuti prima che
scoccassero le undici, informò Karina che poteva
tranquillamente prendersi una mattinata libera, dal momento che voleva
uscire a
visitare la città e che dubitava che suo fratello sarebbe
venuto a trovarla
prima del tardo pomeriggio; poi, chiamata con uno sguardo Luthien
affianco a
sé, prese la sua piccola borsa nera, vi infilò
dentro cellulare e portafogli, e
si diresse verso l’uscita.
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Capitolo 2 *** All the strangers came today ***
Accelerò il passo,
lo sguardo che si
spostava ansiosamente da gli sfioriti alberi di ciliegio ai sentieri
del parco.
Non riusciva nemmeno a
ricordare il momento preciso in cui aveva perso di vista
Luthien, le si era allontanata in un attimo, probabilmente,
considerò cercando
di ironizzare, nel tentativo di rincorrere una farfalla o un bambino
con una
maglia dal colore particolarmente vivace..
Di solito non si
preoccupava se le si distanziava troppo, non aveva mai nemmeno
pensato di metterle il guinzaglio (o meglio, una volta aveva tentato
l’impresa,
ma dopo il quarto d’ora buono che le ci era voluto per
infilarglielo, cercando
di ignorare i guaiti di protesta e le occhiate supplicanti che le
lanciava,
aveva quasi perso un braccio per quanto tirava, e dopo quel tentativo
aveva
capito che non era il caso di insistere) e Luthien aveva sempre fatto
modo di
tornare da lei dopo poco.
In ogni caso, non si
sentiva affatto tranquilla, e anzi il pensiero che si
allontanasse dal parco e andasse a sperdersi per la città,
le bastava per
iniziare a sentire dei brividi freddi alle ginocchia e nelle mani.
Stava prendendo in
considerazione l’idea di chiamare qualcuno che
l’aiutasse,
quando vide, seduto su una panchina con le gambe a ciondoloni, un
ragazzino
dagli ondulati capelli biondi e gli occhi color cioccolata.
Senza essere realmente
interessata a darsi una risposta, si chiese cosa ci
facesse un bambino fuori da solo a quest’ora invece che stare
a scuola, ma gli
si avvicinò solo quando si rese conto che c’era la
possibilità che si fosse
perso o che magari avesse visto Luthien.
Quando ci furono solo
pochi passi a dividerli, lui si voltò verso la ragazza e
le domandò, con un sorriso tanto aperto da fargli rischiare
una paralisi
facciale: “Onee-chan, hai bisogno di qualcosa?”
All’inizio
Kimie si guardò intorno perplessa, immaginando che un saluto
così
informale non potesse di certo essere rivolto a lei, sebbene avesse
come
l’impressione di aver già avuto modo di vedere
quel viso, ma, resasi conto che
fatta eccezione per loro non c’era nessuno, gli rispose con
aria un po’
dubbiosa: “In effetti.. mi chiedevo se per caso avessi visto
un cane, ha il
pelo color terra ed è alto.. beh, diciamo che il suo garrese
mi arriva poco più
su del ginocchio” cercò di spiegarsi lei, poi lo
guardò, abbastanza sicura di
ricevere una risposta negativa.
“Oh..”
disse lui, spalancando gli occhioni mentre il suo labbro inferiore
iniziò tremare, fino a farle temere che scoppiasse a
piangere “Non riesci a
trovarlo?”
Con
l’impressione che avrebbe fatto meglio a restarsene per i
fatti suoi, Kimie
si limitò ad annuire, ansiosa.
“Non
preoccuparti!” esclamò lui, saltando
giù dalla panchina e afferrando la
sua mano “Ti aiuterò io a cercarlo”.
Mentre veniva tirata
per il polso dal ragazzino, il quale, con sua sorpresa,
era molto più forte di quanto la sua corporatura minuta e le
spalle sottili
l’avessero portata a pensare, cercò di
dissuaderlo, chiedendogli: “Ma non stavi
aspettando nessuno, seduto lì? E sei poi tua madre tornando
non ti vedrà più?
Non mi sembra il caso di farla preoccupare..”
A queste parole, lui
rise piano, una risata spensierata, da bambino: “Non
preoccuparti, nee-chan.. In realtà” ammise
“avevo promesso a Takashi di
aspettarlo là finché non fosse tornato col
gelato, ma adesso stiamo andando
proprio verso di lui, perché sono sicuro che vicino alla
fontana dove si trova
la gelateria ci saranno molte, molte più persone e che
riusciremo a trovare il
tuo cagnolino.. E poi così prendiamo un gelato anche per te,
quali sono i gusti
che preferisci, nee-chan?”
“D-direi
cocco e limone..” rispose lei, impressionata dal fatto che
fosse
riuscito a rivolgerle, senza mai fermarsi a prender fiato, una tale
sequela di
parole.
“In ogni
caso” aggiunse pochi istanti poco, aggrottando le
sopracciglia mentre
si chiedeva come avesse fatto a cacciarsi in quella assurda situazione,
e constatando
che a lei questo nome, Takashi, non diceva proprio nulla “
davvero, non ce n’è
bisogno..”
A queste parole, lui
le lasciò andare il braccio, ma le lanciò
un’occhiata
supplicante tanto dolce che la ragazza avrebbe potuto giurare di aver
visto
come dei piccoli fiorellini rosa librarsi attorno alla sua graziosa
figura,
un’aura a suo parere alquanto inquietante.
“ Ma oramai
siamo quasi arrivati.. e poi Takashi è tanto alto”
commentò il
ragazzino con l’aria di chi sta facendo una considerazione
tanto logica quanto
ovvia “che probabilmente se mi arrampicassi su di lui sarei
in grado di poter
osservare tutto il parco! Quindi vedi, riusciremo senza dubbio a vedere
il tuo
cane!” concluse con un altro sorriso.
Kimie, che
già riusciva a scorgere la fontana di cui aveva parlato
prima il
biondino e la folla di persone che si trovava attorno ad essa,
immaginò che
cercare anche lì non sarebbe stata una cattiva idea.
Annuì
piano, dando il suo assenso con un ok appena sospirato.
Arrivati vicino alla
gelateria, il ragazzino lanciò un occhiata deliziata ai
vassoi di gelati e, dopo aver spostato a malincuore lo sguardo, le
disse:
“Perfetto, ades..” ma si fermò quando
vide schiarirsi in un attimo lo sguardo
preoccupato che gravava sul viso della ragazza, la quale si
affrettò a
raggiungere un cane dagli occhi di un giallo intenso e scuro, simile a
quello
di una moneta d’oro.
Kimie si
ritrovò quasi a correre per il sollievo, grazie al cielo
quel
ragazzino aveva avuto ragione, e Luthien si trovava a una decina di
passi da
lei.
La raggiunse in
pochissimo e, piegate le ginocchia fino a far sfiorare la terra
all’orlo del suo vestito verde, mentre la cagna,
sfacciatamente ignara
dell’ansia che le aveva messo addosso, lasciava che la
ragazza l’abbracciasse,
seppellì il viso nel suo pelo morbido.
Staccatasi da lei
pochi secondi dopo, Kimie notò la presenza di
un’altra
persona, accovacciata anch’essa a pochi centimetri da lei.
I suoi occhi sorpresi
si specchiarono in quelli di un imperturbabile color
ebano di un ragazzo dall’aspetto straordinariamente posato.
Arrossendo leggermente
per quell’improvvisa vicinanza, si affrettò a
rimettersi
in piedi e anche lui, dopo aver dato un buffetto sul muso di Luthien,
fece lo
stesso.
Lo guardò
sempre più incuriosita, perché di solito la sua
cagna era del tutto
indifferente, se non infastidita dagli estranei, e questa era la prima
volta
che si lasciasse accarezzare da qualcuno che non fosse lei o Andrej.
“Takashi!”
La voce del bambino
che l’aveva accompagnata fin lì la fece girare di
scatto e,
con la coda dell’occhio, vede il ragazzo affianco a lei fare
lo stesso.
Li osservò
incuriosita, mentre il biondo si avvicinò a colui che
presumeva
fosse Takashi, le mani dietro la schiena e un aria spensierata, per poi
arrampicarsi – al momento non le venne in mente un termine
più appropriato –
sulla schiena di questo, lodandolo: “Sei stato davvero
bravissimo, come hai
fatto a trovare il cagnolino senza nemmeno sapere di doverlo
cercare?”
“Era seduto
su quel prato” rispose lui, indicando con lo sguardo
un’aiuola
vicina alla gelateria, con una voce calma e profonda che si adattava
alla
perfezione alla sua statura tanto elevata e i suoi lineamenti sobri e
decisi,
di una bellezza statuaria e imperturbabile.
Più o meno
l’opposto del ragazzino appollaiato su di lui.
Kimie era abbastanza
sicura che se li avesse visti prima, sicuramente non
avrebbe dimenticato un’accoppiata tanto particolare, eppure
aveva come questa
impressione..
Mentre la ragazza si
mordicchiava leggermente il labbro inferiore, pensosa, lui
concluse il suo discorso “ho pensato che potesse essere
affamato..”
“Io lo
sono” affermò con sicurezza il piccolino
“Takashi, ora che siamo tutti
qui.. andiamo a prenderci il gelato? E posso avere una coppetta con
solo panna
montata, oltre che al cono? E con delle fragole, se ce le
hanno..” aggiunse
poi, contando sulle piccole dita affusolate ciò che aveva
elencato.
“Nee-chan,
vieni con noi, no?”
Sentendosi chiamata in
causa, e non sapendo bene con che scusa declinare
l’offerta, si limitò ad annuire “Con
piacere..”
Il biondo scese con un
salto dalle spalle del ragazzo e iniziò a camminare a
passo spedito, seguito da loro a poca distanza.
“Questo cane
è suo, signorina Amamiya?” quando il ragazzo, che
le era sembrato
una persona tanto taciturna, le parlò, chiamandola tra
l’altro per il suo
cognome senza che si fosse presentata, si girò verso di lui,
senza smettere di
camminare, un po’ sorpresa.
“Si”
annuì accennando un sorriso: “grazie per avermi
aiutata a ritrovarla”
disse lanciando un occhiata a Luthien, che camminava lenta tra di loro,
quasi
per assicurarsi che non scomparisse di nuovo.
“Scusate la
mia dimenticanza, ma per caso ci siamo già visti
signor..?” gli
chiese lei, lasciando in sospeso la domanda, non sapendo bene come
concluderla.
“Sono
Takashi Morinozuka” si presentò lui, lo sguardo
che fissava immobile un
punto immaginario di fronte a lui “e anche se noi non ne
abbiamo avuto
l’occasione, ho conosciuto suo fratello”
“Capisco”
disse Kimie, senza aggiungere altro.
Anche a un osservatore
meno attento di lei, sarebbe stato chiaro che Morinozuka
non era una persona da definire loquace, e non voleva obbligarlo a
rifilarle
una serie di frasi di circostanza.
Un pensiero improvviso
le fece spalancare gli occhi quando, ricordatasi di
averli visti una volta in foto, realizzò che il ragazzino
biondo dovesse essere
Mitsukuni Haninozuka.
Quindi, mentre
Morinozuka si diresse senza dire nulla a fare la fila per il
gelato, chiese al biondo: “Ma allora.. Haninozuka-kun.. lei
sarebbe un mio
senpai?!”
Haninozuka,
guardandola dall’alto del suo metro e cinquanta, le rispose
con la
sua voce da bambino, incrociando con aria compunta le braccia sul
petto: “Certo
che sì! Non si vede, per caso?”
Kimie cercò
di nascondere la sua risata, portandosi una mano sulla bocca e
scuotendo la testa “Affatto”
“Ma”
aggiunse lui, prendendo posto attorno a uno dei tavolini bianchi
all’aperto di proprietà del gelataio, riparato da
un ombrellone verde “non c’è
bisogno di essere così formali.. Qual è il tuo
nome?”
“Kimie”
rispose la ragazza, imitandolo e sedendosi su una delle due sedie
ancora libere mentre Luthien si accoccolava vicino a lei
“Allora,
posso chiamarti Kimi-chan? Io sono Honey, lui è
Mori” disse lui
sorridendo e indicando Morinozuka, che nel frattempo si era avvicinato
assieme
a un cameriere che portava tre coppe sul un vassoio nero.
Quattro, se si contava
anche quella riempita interamente di fragole e panna, e
in più un piattino con un paio di biscotti dal colore scuro
che, dopo che il
vassoio fu posato tavolino, Morinozuka le chiese se poteva dare al suo
cane.
“A
Luthien?” chiese lei “Certo, è sempre
così affamata che le farà sicuramente
piacere. Grazie mille Morinoz..” si fermò
all’occhiata di rimprovero che le
lanciò il biondo e si corresse con riluttanza
“Mori-senpai.. ma posso davvero
chiamarti così?”
In fondo non si
conoscevano da più che da un paio di minuti e, che lei
ricordasse, fatta eccezione per delle sue amiche delle elementari,
nessuno
l’aveva mai chiamata in un modo tanto informale, almeno non
in Giappone.
Lui annuì
come se la cosa non l’interessasse particolarmente, e dopo
aver
spezzato un biscotto sul palmo della mano, l’offrì
alla cagna.
A osservarlo
attentamente, sembrava davvero a suo agio a stare vicino a un
animale che di solito a causa del suo aspetto da lupo, nonostante fosse
ancora
piccolo di stazza, intimoriva un po’ tutti e, a giudicare
dall’aria giocosa di
Luthien, doveva essere davvero una persona che ci sapeva fare con gli
animali.
“Ma
insomma!” esclamò Honey, facendola voltare
nuovamente verso di lui “non
mangiate i vostri gelati? Se si sciogliessero sarebbe uno
spreco..” commentò
poi con aria triste.
“Puoi
prendere il mio, non ho fame” rispose Mori-senpai, e il
piccoletto non se
lo fece ripetere due volte, allungando prontamente un braccio sul
tavolo per
afferrare la sua nuova coppa, le guance ancora sporche di panna montata.
Abbassando lo sguardo
sulla sua, Kimie constatò che in effetti era il caso di
iniziare a mangiarla.
Prese una piccola
cucchiaiata dalla pallina al gusto di fragola, osservando
come minimo impressionata Honey finire la sua con aria soddisfatta (ma
come era
possibile che mangiasse così in fretta?!).
Il rumore di delle
campane le fece capire che era già mezzogiorno, e a quel
suono Honey mise su un’espressione leggermente imbronciata,
mentre Mori si
alzava, a suo malgrado.
“Ne,
Kimi-chan.. tra dieci minuti riprendono le nostre lezioni, quindi
dobbiamo
proprio andare..” disse Honey con aria mogia, mentre lei
l’osservava ancora
stupita dal sentire una persona dall’aspetto così
infantile parlare dei suoi
studi universitari “Ma mi ha fatto davvero piacere
incontrarti, sono sicuro che
avremo presto un’altra occasione per vederci”
concluse sorridendo di nuovo.
“Assolutamente”
confermò Mori, lanciando a Luthien uno sguardo che avrebbe
potuto definire appassionato.
Erano arrivate da un
solo giorno, eppure la sua cagna già faceva conquiste.. Impressionante,
non ha davvero perso tempo pensò con un
sorriso.
Con sua sorpresa,
Honey la salutò con un veloce bacio sulla guancia,
lasciandole addosso un penetrante odore di fragole, mentre Mori si
congedò con
un più neutro segno del capo.
Li vide allontanarsi,
e notò che dandole le spalle la loro differenza
d’altezza
era ancora più evidente, anche se doveva ammettere che il
biondino, grazie alla
sua andatura saltellante, guadagnava un paio di centimetri.
Rimasta sola col suo
gelato e la silenziosa compagnia di Luthien, spilluzzicò
il cibo ancora un po’, poi, sebbene non avesse
l’intenzione di sprecare quel
dolce, sentì il suo stomaco chiudersi e lo lasciò
lì con un piccolo sospiro.
Chissà cosa
staranno facendo a San Pietroburgo.. là saranno ancora le
sette,
probabilmente fatta eccezione per Nikolaj, dormiranno ancora si disse
sorridendo tra sé e sé.
Si alzò in
fretta, come a voler mettere quanta più distanza dal velo di
malinconia che minacciava di avvolgerla, e, dopo aver perso un altro
po’ di
tempo girando per la piazza ad osservare i passanti muoversi, lenti o
veloci,
spinti da necessità che lei poteva solo immaginare, si
diresse con un sospiro
verso l’albergo.
Ho
pubblicato quasi subito questo secondo capitolo (anche
se temo che mi sarebbe convenuto riguardarmelo ancora
>.<) perché,
dovendo partire per due settimane, non avrei avuto
l'opportunità di farlo per
un po'..
Ringrazio le persone che hanno messo questa storia tra le ricordate, le
seguite
o che l'hanno anche solo letta, ma mi farebbe davvero piacere
ricevere un
commento, specie perché la cosa che vorrei più di
tutte, pubblicando questo
racconto, sarebbe riuscire a migliorare il mio modo di scrivere (che al
momento
- me lo dico da sola - non è dei migliori ^^")
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Capitolo 3 *** As they ask her to focus on ***
Tornata
nella stanza, Kimie aprì la sua ventiquattrore e, dopo aver
cercato un po’, ne
tirò fuori l’iPood e un libro pieno di segnalibri
improvvisati, fatti di carta,
dall’aria consunta e le alette che parevano sul punto di
strapparsi.
Si lasciò
sprofondare in una poltrona di pelle nera che si trovava nella
posizione ideale per leggere poiché, essendo
posizionata poco
più a sinistra rispetto all’ampia finestra, faceva
sì che, sedendosi, desse le
spalle alla pallida luce che filtrava attraverso le tende color
orchidea.
Sospirando
soddisfatta, accavallò le gambe e, lasciando che le note
di Sons of
a silent age coprissero ogni altro suono,
iniziò
a leggere i primi capitoli di
Guerra e Pace, alienandosi sempre più dalla
realtà a ogni pagina girata.
Una voce maschile la
scosse improvvisamente dalla lettura, chiamandola a voce
alta: “Signorina Amamiya!”
A quel suono Kimie,
interrompendosi nel momento in cui Pierre Bezuchov si
dichiara alla bella ed immorale Hélène,
sollevò piano lo sguardo dal libro.
Davanti
all’espressione un po’ perplessa della ragazza, il
signore che era
venuto a chiamarla e che, a giudicare dal sobrio completo nero che
indossava e
dalle ante di armadio che si ritrovava per spalle, doveva essere una
delle
persone addette alla sua sicurezza (ma era davvero necessario
incaricare
un’intera squadra di lavoro di svolgere una mansione tanto
inutile?) le disse:
“Mi perdoni per essere entrato tanto bruscamente, signorina..
dopo aver bussato
non ho ricevuto risposta, e ho pensato che le potesse essere successo
qualcosa.”
“Oh, mi
scusi lei, le mie cuffie avranno coperto il suono del suo
bussare..”
rispose Kimie, rimanendo intimamente convinta che quella reazione fosse
stata
decisamente esagerata.
“In ogni
caso, qual è il motivo per cui è venuto a
chiamarmi?” chiese poi,
sapendo già, a suo malgrado, la risposta.
“Suo
fratello le vorrebbe parlare, la sta aspettando nella sala da
tè” disse
infatti lui.
Con un sospiro un
po’ seccato, la ragazza posò il libro sul letto e,
rendendosi
conto dopo aver osservato con aria distratta le ombre più
dense e allungate
proiettate nella stanza che doveva essere pomeriggio inoltrato, gli
chiese di
farle strada.
“Kimie, che
piacere rivederti”
Al suono di quella
voce, si girò fino a trovarsi di fronte alla persona da cui
era stata fatta chiamare, mentre la porta della luminosa sala che era
stata
prenotata per loro veniva silenziosamente chiusa da un cameriere.
“Zero.. ti
trovo bene. Grazie per essere venuto a trovarmi oggi stesso, sarai
stato molto impegnato ultimamente..” gli rispose, terminando
così un veloce
scambio di battute di cortesia.
Dal momento che suo
fratello si limitò a squadrarla coi suoi sottili occhi da
gatto, non facendo nemmeno un passo verso di lei né
mostrando l’intenzione di
andare a salutarla, come forse sarebbe stato opportuno fare dopo i
quasi due
anni nei quali non si erano affatto sentiti, Kimie prese posto
nell’elegante
tavolo apparecchiato per due senza aggiungere una parola.
Non avrebbe saputo
spiegare come mai l’atmosfera tra di loro fosse
così
fredda o quando, né perché, i loro rapporti si
erano definitivamente incrinati,
fatto sta che col passare degli anni era arrivata a considerarlo poco
più di un
estraneo.
Le andava abbastanza
bene anche così, purché non si intromettesse
nella sua
vita, come aveva fatto nemmeno due giorni fa, ricordò
sentendo montare in sé
una certa rabbia, rivendicando il suo titolo di fratello e parente
più stretto,
presso il quale sarebbe dovuta stare.
Cosa verso cui Zero
non aveva mai mostrato il benché minimo interesse, nemmeno
quando dopo la notizia della morte dei loro genitori sua nonna aveva
deciso il
suo trasferimento in Russia, anzi probabilmente era stato un sollievo
per lui,
sbarazzarsi del rischio di dover crescere una bambina tanto piccola.
Ma, come detto prima,
non le importava affatto.. o meglio, questo poteva non
toccarla più, ma dal momento che non le ci era voluto molto
per capire il
perché di quella sua improvvisa insistenza
affinché lei ritornasse, le bastava
guardarlo per sentirsi irritata.
La ragazza sapeva che
l’aveva fatto perché qualche anno fa, quando il
suo
padrino era diventato legalmente il suo tutore e Kimie aveva affiancato
il
cognome Sinitsin al suo, in molti avevano pensato che, dal momento che
lui non
aveva figli, sarebbe stata lei la persona a cui avrebbe intestato il
suo
patrimonio.
Un’eredità
notevole, doveva ammetterlo, anche per una che era sempre vissuta in
una grande ricchezza.
Eredità che
non sarebbe stata aggiunta al capitale degli Amamiya, ma al suo
personale, e su questo Andrej era stato abbastanza chiaro.
In fondo, non era
mistero per lei né alcun altro che i rapporti tra Andrej e
suo fratello, tra lui e tutti i suoi parenti dal lato paterno, fossero
molto
tesi. Probabilmente quell’ostio reciproco era stato causato
da un’antipatia “a
pelle”, aggravatasi nel corso degli anni a causa di
rivalità e vari dissidi, causati
in gran parte da idee troppo diverse.
Fatto sta che,
probabilmente per aggiustare la situazione a suo favore, Zero
doveva aver pensato che non fosse più il caso che sua
sorella restasse ospite a
casa sua.
Poco importa di
ciò che lei pensasse della questione –
dell’assurda questione,
era il caso di aggiungere – o del fatto che in questo modo
non avrebbe avuto
uno straccio di possibilità per finire normalmente gli
studi, dal momento che lui
si spostava continuamente dall’America al Giappone per
lavoro.
Kimie immaginava che
Andrej avrebbe preferito che lei continuasse a vivere a
San Pietroburgo, anche a costo di lasciare a suo fratello carta bianca
sulla
questione, ma nonostante questo era probabile che Zero non
l’avrebbe lasciata
tornare in Russia, quindi a che pro insistere?
Mentre anche lui si
sedeva gli lanciò uno sguardo apertamente ostile che
dissipò ogni dubbio a Zero, semmai ne avesse avuti, sul
fatto che non l’avrebbe
perdonato facilmente per aver forzato il suo ritorno in Giappone.
Ma per il momento,
Kimie era ancora minorenne e quindi, se anche avesse provato
ad opporsi, difficilmente avrebbe potuto farsi valere, e Zero contava
sul fatto
che sua sorella fosse sveglia abbastanza da non pensare nemmeno di
rendere
pubblici fatti che avrebbero potuto gettare una cattiva luce sulla loro
famiglia.
A parte questo, non
aveva nessun motivo personale per avercela con lei, ed era
abbastanza convinto del fatto che avesse capito anche questo: per il
momento
voleva semplicemente concludere alla svelta l’affare
dell’eredità dei
Sinitsin, quella che in fin dei conti considerava una manovra economica
come le
altre; seppure sapeva che ci sarebbe voluto del tempo prima che le cose
prendessero la piega da lui desiderata, e per il momento era meglio che
Kimie
gli restasse vicina, o almeno, che non continuasse a soggiornare presso
quell’uomo.
Spostando lo sguardo
sul paesaggio rischiarato dalla calda luce pomeridiana che
si vedeva attraverso la finestra dell’ampio balcone,
affermò tra sé e sé:
“E’
un peccato che tu non sia venuta prima, oltre che cominciare
regolarmente
l’anno, avresti potuto ammirare la fioritura dei ciliegi.. Ma
immagino che alla
fine vada bene anche così. Sbaglio o in Russia è
proprio a settembre che
riprende la scuola?” le chiese e Kimie, trattenendo un paio
di risposte
decisamente troppo acide gli rispose dicendo la prima cosa che le
passò per la
mente: “Se per questo la data cade nei primi di settembre
anche in Europa,
negli Stati Uniti e in Madagascar, ma non è questo il
punto..” sospirò appena,
lo sguardo che vagava senza sosta tra gli angoli della stanza.
Pur trovandolo estremamente frustrante e non volendolo ammettere nemmeno a se stessa, sapeva che alla fine
non avrebbe potuto far nulla se non ciò che lui aveva
deciso al suo posto, e che non era il caso di peggiorare la situazione
per così
poco.
Respirò
profondamente e, cercando di dare inizio a una discussione
più
piacevole, gli domandò a sua volta, pur conoscendo
già la risposta: “ E a che
istituto pensi di iscrivermi, Nii-san?”
“All’Ouran,
ovviamente. Credo che i nostri genitori avrebbero voluto che lo
frequentassi anche tu” disse subito lui, e dopo aver
brevemente osservato la
tavola apparecchiata, bevve un sorso di tè.
Dopo poco lei fece lo
stesso, sollevando lentamente la delicata tazza di
porcellana azzurra e riconoscendo, prima ancora di essersela portata
alle
labbra, l’aroma di Assam.
“Quindi hai
intenzione di venire a vivere qui definitivamente..?” gli
chiese
abbastanza stupita, inarcando leggermente un sopracciglio alla vista
dell’espressione che lui fece ascoltando la sua domanda.
Sembrava voler
temporeggiare ancora un po’, ma poi si decise a risponderle:
“
Al momento.. al momento non è possibile. Ma mi ci vorranno
solo pochi mesi per
sistemare le ultime faccende, e nel frattempo mi sono organizzato in
modo da
non farti rimanere sola”
Precisazione abbastanza
ovvia,
considerando che se tu lo facessi sarebbe molto facile per Andrej
volgere le
cose a suo favore, dal momento che sembrerebbe quasi assurdo, dopo aver
insistito tanto affinché mi affidassero a te, che tu
riprendessi ad
infischiartene di come io stia..
Di fronte al silenzio
della ragazza, Zero riprese a parlare “Nel frattempo,
potresti soggiornare a casa di un mio caro amico..”
Kimie lo
fissò come se stesse scherzando, zittendolo con uno sguardo
che a
quanto pare le riuscì abbastanza terribile da convincerlo a
non insistere.
Non si era aspettata
che lui l’avesse richiamata presso di sé per
instaurare un
sincero rapporto di affetto fraterno, non era così ingenua,
eppure.. perché
sarebbe dovuta tornare in Giappone se lui non avrebbe nemmeno
realizzato la
premessa, quella di voler “tornare a vivere come una
famiglia”, con la quale
l’aveva costretta a farlo?
Abbassando lo sguardo
sulle sue mani, si rese conto che aveva stretto i pugni a
tal punto da far sbiancare le nocche e ferirsi i palmi con le unghie.
Respirò
lentamente, cercando di riordinare i pensieri, e di smetterla di vedere
le cose con tanta soggettività.
La situazione non le
andava giù, affatto, ma forse le sarebbe convenuto fare
buon viso a cattivo gioco: per prima cosa, era ancora minorenne, e
dunque
impossibilitata a vivere da sola o ritornare autonomamente in Russia,
poi non
era il caso di rispondergli come avrebbe voluto, in modo da non dargli
altre
scuse per lamentarsi della presunta cattiva educazione impartitale dal
suo
padrino.
E in fondo, aveva
sempre saputo che prima o poi avrebbe dovuto far ritorno in
Giappone.
Anche se questo
ragionamento non bastò a reprimere del tutto il suo
desiderio
di togliergli –possibilmente con la forza – quello
stupido sorriso che aveva
cominciato ad accennare, forse nel tentativo di assumere
un’aria il più
affabile possibile, la fece calmare abbastanza da potergli far notare
che non
era affatto gentile autoinvitarsi a casa di qualcuno, non importa se
quella
persona fosse un amico (o, più probabilmente, un socio
d’affari).
Zero, forse stupito
dalla razionalità della ragazza, che ricordava come una
persona abbastanza impulsiva e dalla quale si era già
preparato a sorbirsi una
scenata, a quelle parole allargò ancora di più il
suo detestabile sorriso,
mostrando una chiostra di denti bianchi e perfettamente allineati e la
informò,
scuotendo la testa: “Ma è stato il signor Ootori
ad insistere personalmente per
farmi questo favore, e anche se inizialmente ho pensato di rifiutare
per non
approfittare della sua disponibilità, alla fine mi sono reso
conto che sarebbe
stato sciocco rifiutare una proposta tanto gentile”
Gentile, pensò Kimie,
disgustata, certo.
Lo guardò
allibita.
Pensava davvero di
manovrarla con tanta facilità, come se fosse una mera pedina?
Si ripromise di
informarsi sui rapporti che in questo momento legavano suo
fratello a quella famiglia, da cui, ricordò velocemente, era
stata invitata ad
andare a teatro nei primi di ottobre, ma per il momento si rendeva
conto che c’era
ben poco da fare.
“Va
bene” acconsentì dopo qualche attimo, concedendosi
però di aggiungere:
“liberarmi per un altro paio di mesi della tua presenza
sarà un immenso
piacere.”
Detto questo si
alzò e, dopo aver attraversato la stanza con passo veloce e
deciso, si voltò per chiedergli: “In che giorno
dovrò recarmi alla residenza
Ootori?”
“Il cinque
ottobre.” fu la lapidaria risposta, poi Zero aggiunse, forse
non
volendosi congedare tanto freddamente: “ Sono sicuro che
avremo il tempo per
chiarire tutti i nostri malintesi, nee-san.”
Dopo aver osservato
per qualche attimo ancora l’alta figura di suo fratello,
Kimie se ne uscì dalla stanza in silenzio, avendo
però cura di non far sbattere
la porta.
Il cinque ottobre.. pensò tra
sé e
sé.
Una data che nella sua
agenda era già stata cerchiata, perché sarebbe
stato il
suo primo da studentessa dell’Ouran (non aveva quasi preso in
considerazione
l’idea di non passare l’esame
d’ammissione, che probabilmente avrebbe sostenuto
a momenti, verso gli ultimi di settembre).
Con un sospiro,
considerò che, almeno per questi primi tempi, non le sarebbe
affatto convenuto perdersi a guardare troppo lontano, ma piuttosto
concentrarsi
su ciò che aveva da fare..
Ok, ecco il terzo
capitolo.. l'ho postato a quest'ora indecente
perché (causa jet lag) stanotte non sono riuscita a chiudere
occhio, e detestando perdere tempo a rigirarmi nel letto ho deciso di
scriverlo.. Mi scuso in anticipo per qualunque errore abbiate trovato
>.< (rileggerò il tutto appena sarà
un tantino più lucida xD)
mi rendo conto che
fino ad ora ho pubblicato tre capitoli, tutti sulla
stessa giornata e in cui non è accaduto nulla di che, ma
diciamo che ho pensato a questa parte come a una sorta di introduzione,
e che da ora in poi le cose dovrebbero iniziare a muoversi
più velocemente ^^
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Capitolo 4 *** Bullets rip the sky of ink with gold ***
Hotta
si portò una mano alla bocca, tossendo piano, ma il suono
gli si strozzò in
gola all’occhiata di rimprovero scoccatagli da Tachibana
quando quel rumore,
risuonato nel silenzio assoluto che permeava l’auto,
arrivò alle sue orecchie.
Stiracchiando leggermente le dita, senza però staccare le
mani dal volante,
diede una sbirciata, la più discreta che gli
riuscì, all’espressione tirata e
stanca del suo superiore, seduto sul sedile anteriore affianco a lui e,
attraverso il riflesso dello specchietto interno, al signorino Kyouya
che,
nonostante la rigida postura, aveva lo sguardo distratto, perso a
fissare un
punto immaginario.
La sua espressione imperscrutabile era per certi versi simile a quella
del
signor Ootori, la quale però era resa più grave
dalle rughe leggere che gli
solcavano il viso e dalla fermezza dei suoi lineamenti, meno affusolati
rispetto a quelli del figlio.
Nessuno dei due aveva parlato da quando erano entrati in macchina,
probabilmente si erano già detti tutto il necessario, e lui
e Tachibana si
guardavano bene dal farlo.
Ecco il perché di quell’atmosfera ingrigita da un
così pesante silenzio, che
lui percepiva come profondamente tesa, e che gli faceva più
che mai desiderare
che Aijima si fosse unito a loro, invece di – per motivi di
spazio – scortare
la signorina Oot.. no, la signora Shiro (dopo tanti anni di servizio,
gli
suonava strano chiamarla col suo cognome da sposata), suo marito e il
cognato
del signor Ootori, perché la sua presenza aveva su di lui,
come su chiunque
altro, un effetto sorprendentemente calmante.
In ogni caso, arrivarono senza problemi, se non si considerava il
leggero
ritardo causato dal traffico di Tokyo.
Senza che ci fosse bisogno di dire nulla, Tachibana andò ad
aprire lo sportello
ai passeggeri, mentre lui restava seduto nel posto del guidatore.
Appena i due furono usciti, rimise in moto la macchina: prima di
raggiungerli
doveva lasciarla nel parcheggio riservato agli spettatori.
Tachibana dal canto suo lanciò un’occhiata truce
all’orologio, innervosito dal
fatto che avessero trovato un ingorgo stradale più esteso di
quanto avesse
calcolato, ma si ricompose in fretta.
Osservò velocemente il cielo, quella notte sembrava un velo
leggero, di un blu
intenso attraversato da sottili pennellate color ottanio, rischiarato
dai
flebili bagliori delle stelle che, almeno per quella sera, non avevano
permesso
ai gas ed alle altre luci di offuscarle.
Abbassò in fretta il suo sguardo e, seguendo come un ombra i
signori Ootori,
varcò il portone dell’Outo, il teatro fatto
costruire anni fa da Yuzuru Suou.
Il motivo della presenza dello staff Ootori a quella
première, come in
qualsiasi altro evento ed occasione, era quello di impedire un
qualunque
attacco alla sicurezza dei presenti, senza ovviamente dare
nell’occhio.
Quindi seguì a poca distanza il signorino Kyouya e suo padre
attraverso l’ampio
attico, fino all’ elegante foyer, dove si era già
riunita la maggioranza degli
spettatori.
La prima impressione che ebbe Tachibana fu quella di essere finito
nella
tavolozza di un pittore, per via dei variegati colori degli abiti delle
dame,
che visti in lontananza spiccavano con decisione contro lo sfondo del
marmo di
Carrara che rivestiva le pareti e i completi scuri dei loro compagni.
Ovviamente, anche il signor Ootori e suo figlio si sarebbero
intrattenuti nella
sala fino all’inizio dello spettacolo (una tragedia di
Shakespeare, se non
ricordava male) e lui li seguì con circospezione,
osservandoli scambiare
affabili commenti di circostanza con la moltitudine di persone che gli
si era avvicinata
per salutarli, ma non potendo fare a meno di notare ammirato i abiti,
la
qualità dei tessuti e l’eleganza dei tagli.
Avrebbe potuto persino elencare gli stilisti che li avevano disegnati,
e tutto
questo a causa di sua figlia che, da qualche mese a questa parte, non
faceva
altro che parlargli di moda e lasciare giornaletti sulle vite dei suoi
idols
preferiti in giro per la casa.
Aggrottò le sopracciglia, richiamando bruscamente la sua
attenzione sulla sala,
e vide il signorino Kyouya raggiungere assieme a suo padre un gruppo di
persone
sulle quali era puntato l’attento sguardo color ossidiana di
Aijima.
Affrettandosi a raggiungerli e scansando giusto in tempo un cameriere
con in
mano un elegante vassoio d’argento sul quale erano appoggiati
un paio di calici
dall’aspetto estremamente costoso, riconobbe la chioma scura
e la voce gentile
della signora Shido, la quale, semplice ed elegante nel suo vestito
color
miele, si trovava vicino a suo marito e stava parlando con un signore
dagli
occhi di un verde singolarmente intenso, enfatizzato dai capelli
corvini e la
pelle pallida, quasi malaticcia, che si ricordò essere il
signor Amamiya.
Fissandolo, provò una netta sensazione di disagio,
c’era un nonsoché nella sua
figura filiforme, nella gestualità enfatica delle mani, nel
silenzio dei suoi
sguardi..
Mosse impercettibilmente la testa, quasi a voler scacciare
quell’immagine, e
vide affianco a loro il signor Enjyo, il quale catturò la
sua attenzione a
causa del colore della sua pelle, di diverse tonalità
più scura di come se la
ricordava, sulla quale risaltava con decisione un sorriso aperto e i
denti
chiari.
Quando cercò sentire ciò che stava dicendo a una
signorina dalle spalle esili e
la vita sottile vestita di un sobrio color malva, di cui non riusciva a
vedere
il viso perché, trovandosi difronte al signor Enjyo, stava
dando loro seppur
involontariamente le spalle, si accorse di non conoscere la lingua con
cui
stavano parlando.
Che lei sia una straniera?
Pensò tra sé e sé, dopo aver osservato
la sua chioma fulva, raccolta in un
elegante chignon.
La lingua usata in ogni caso non era l’inglese e, anche se
per la musicalità
delle parole e le radici di alcuni termini assomigliava al francese, i
suoni
non erano abbastanza nasali.
In ogni caso, i due tacquero appena risuonò la voce del
signor Amamiya e
Tachibana si voltò piano, quasi a sincrono con loro,
cercando di mettere a
fuoco ciò che stava dicendo, sorpreso dalla sua distrazione
(causata
probabilmente da tutto quel lavoro arretrato che aveva dovuto sbrigare
la notte
scorsa), che non gli era affatto solita.
Li ascoltò distrattamente salutarsi, lo sguardo che
analizzava ognuno dei
presenti alla ricerca di qualcosa di sospetto.
In fondo Aijima sarebbe rimasto con loro, lui avrebbe fatto meglio a
raggiungere Hotta che, appena arrivato, si era appostato vicino
all’ingresso
del palco degli Ootori.
Allora.. per prima cosa,
chiedo scusa per il ritardo con cui ho postato questo capitolo (il mio
hard
disk ha realizzato di odiarmi e si è suicidato, facendomi
tra l’altro perdere
tutti i miei documenti D:) e poi, colgo l’occasione per
ringraziare di nuovo le
persone che stanno seguendo questa storia, chi è stato
così gentile da
commentare, ma anche chi si limita a leggere, o l’ha messa
tra quelle da
ricordare o seguite.. Grazie mille, davvero ^^
Spero che non cambiate idea dopo aver letto questo capitolo che, me ne
rendo conto
da sola, è l’inutilità fatta parole..
Non so nemmeno perché avevo iniziato a
scriverlo T_T Solo
che i membri dello
staff Ootori hanno da sempre riscosso la mia simpatia e per una volta
mi
sarebbe piaciuto cambiare punto di vista.. >.<
In compenso, ho praticamente finito di scrivere il successivo, che
credo
posterò a momenti..
Ah v.v un ultima
cosa: non so se qualcuno l’ha notato, ma ho scelto
di ambientare questi capitoli nel teatro di cui parla Kyouya (nel
capitolo in
cui, dopo aver giocato a nascondino, Haruhi scopre che Tamaki
è il figlio del
direttore dell’Ouran xD) onestamente non ne ricordavo il nome
– e forse
nell’anime è stato anche omesso, anche se ricordo
d’aver visto la scena – ma
dopo qualche ricerca sono riuscita a recuperarlo e..
..Aspettate D: ho dimenticato il reale motivo per cui avevo aggiunto
questa
precisazione o.O diciamo che se mi ritornerà in mente (cosa
di cui,
conoscendomi, dubito fortemente xD) completerò il discorso..
Odio quando mi dimentico di cosa volevo parlare, anche se temo che sia
quello
che succede ad aprir bocca senza prima aver pensato seriamente a cosa
dire T__T
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Capitolo 5 *** See the storm set in your eyes ***
Silenzioso
come quando era venuto, quel signore, ammantato di nero e dagli occhi
schermati da spesse lenti scure nonostante l’orario, si
allontanò senza aver
pronunciato parola.
Kimie gli lanciò un’occhiata perplessa, ma
notò che fu l’unica: gli altri
continuarono a conversare di temi leggeri, senza dare il minimo peso
all’accaduto.
Mi chiedo se anche io finirò con
l’abituarmi alla costante presenza di un’intera
squadra di Men in black
sguinzagliata alle mie calcagna, oppure mi
rimarrà un minimo di buon senso tale da lasciarmi continuare
ritenere che essa sia
inutile, in qualunque modo la si rigiri.. Non fanno altro che
trasmetterti
ansia, con quelle le mascelle serrate e la loro aria grave danno
l’impressione
d’esser pronti ad assistere a un terzo conflitto mondiale o
roba simile..
Sospirò piano, cercando di dissimulare
l’espressione irritata scolpita sul suo
viso.
Nella sua mente, questo soliloquio andava avanti da un po’, e
se cessò fu solo
perché aveva terminato le cose di cui lamentarsi:
inizialmente già riteneva
improbabile che sarebbe riuscita non solo a sopportare, ma a mostrarsi
lieta
della quanto mai sgradita presenza di Zero, con il quale aveva
praticamente
smesso di parlare se non quando le circostanze glielo imponevano, come
in
quella sera.
Eppure l’emozione che trovava più difficile
ignorare, talmente sentita da
arrivare a farle
bruciare gli occhi, era
un profondo biasimo, verso tutti, ma soprattutto verso se stessa.
Aveva acconsentito ad andare a questa serata, scegliendo di comportarsi
com’era
opportuno piuttosto che come credeva avrebbe dovuto: incontrare
formalmente
l’uomo che, per rendere un favore a suo fratello, col quale
avrebbe concluso a
momenti un importante affare, s’era offerto
d’ospitarla per qualche tempo nella
sua residenza piuttosto che affrontare Zero e dirgli che non aveva
intenzione
di sprecare nemmeno un attimo di più assieme a lui, che
presto, volente o
nolente, si sarebbe trovato ad acconsentire che facesse ritorno a San
Pietroburgo e che nell’attesa non aveva la minima intenzione
d’esser manovrata,
in un modo tra l’altro così palese e sconsiderato,
per i suoi interessi.
D’altronde, ripeté tra sé e
sé una volta di più, non era impuntandosi come
una
bambina che sapeva avrebbe avuto la meglio sulla questione, e in questo
caso le
rimanevano solo due opzioni da considerare se voleva riprendere a
vivere
indipendentemente: indurre Zero a farla ritornare in Russia, o
aspettare finché
non fosse divenuta maggiorenne, e dunque le conveniva accettare fin da
ora che
per la realizzazione di entrambe sarebbe dovuto passare del tempo,
tempo in cui
nulla, nessuna sua azione avventata o frase fuori luogo le potesse
essere
rivoltata contro.
E quindi eccola, a sfoggiare il più luminoso dei suoi
sorrisi, pervasa dalla
fredda consapevolezza della condotta che avrebbe dovuto sfoggiare a
prescindere
da ogni cosa, a prescindere dal fatto che, circondata da persone
estranee, con
le quali era però tenuta a intrattenersi avendo cura di non
incrinare
quell’atmosfera di falsa cordialità intessuta con
tanta cura, non c’era modo,
ne’ tanto meno motivo, per passare ad argomenti che
s’allontanassero dagli
interessi comuni condivisi, sprecandosi in complimenti, rimirando
l’eleganza
che permeava quella sala, il buon gusto con cui ogni cosa era stata
organizzata.
E dal momento che quella sera erano arrivati
nel teatro
con un largo
anticipo,
aveva avuto il tempo, che ai suoi occhi era parso infinitamente lungo,
per
iniziare comportarsi nel modo in cui si era ripromessa di fare.
E, seppure s’era resa conto che aveva sbagliato a giudicare
così negativamente
tutte le persone con cui avrebbe avuto a che fare (come ad esempio la
signora
Shido, tanto solare e spontanea da spingerla a chiedersi cosa ci
facesse una
persona come lei nella famiglia Ootori), era anche vero che il
più delle volte
i suoi pregiudizi si erano rivelati fondati.
Ne era un esempio la signora Yagami, vedova di un proprietario di
importanti
aziende d’elettronica, vestita con un abito nero, su cui
spiccava fin troppo
evidentemente il rossetto color carminio che infiammava le sue labbra e
le
gemme degli anelli che portava su ogni dito, e con cui – non
certo per sua
scelta – Kimie s’era ritrovata a scambiare inutili
convenevoli.
Enjyo si dovette rendere conto, almeno un po’, del suo reale
stato d’animo, o
quantomeno del pulsare innaturalmente veloce della vena sulla sua
tempia, che
andava ad accelerare ogni minuto perso a parlare con una persona che
fin
dall’inizio le era risultata particolarmente sgradevole,
perché, scusatosi per
l’interruzione e afferrato con delicatezza il polso della
ragazza, si allontanò
di qualche passo, trattenendo a stento un sorriso divertito.
Si fermò a pochi passi dalla parete e la lasciò
andare mentre Kimie, abbassate
impercettibilmente le spalle, rilassava i muscoli del viso: lo sforzo
di
mantenere una facciata di cortesia le aveva fatto dolere la bocca.
“A quanto pare, è stata un’idea quanto
mai saggia, quella di strapparti dalle
grinfie di quella donna.. Se ti può consolare, a me
è andata persino peggio:
sono abbastanza sicuro che dietro certe sue affermazioni” le
confidò con un
aria giocosamente spaventata, lanciando un’occhiata alla
giovane signorina con
cui stava parlando fino a un attimo fa per farle capire a chi si stesse
riferendo “si nascondessero chiare profferte
sessuali..”
Al sopracciglio che aveva ironicamente alzato mentre Enjyo le faceva
questa
confidenza, Kimie fece seguire uno sbuffo un po’ esasperato
quando poi lui
aggiunse, passandosi con aria distratta una mano sugli scompigliati
capelli
bruni : “Certo, non che le si possa dar torto..”
Lanciandogli un’occhiata sott’occhi mentre posava
la sua schiena sulla fredda
superficie del marmo chiaro, Kimie si trovò costretta ad
ammettere che no,
oggettivamente non lo avrebbe potuto fare: le labbra perennemente
sollevate ad accennare un sorriso sghembo, occhi in cui sembravano
danzare
fiamme color oro, la sua aria a volte quasi infantile e la sua statura
non
particolarmente alta, nonostante i lineamenti marcati e il fisico ben
delineato, lo facevano sembrare più giovane dei suoi
trentaquattro anni e
decisamente prestante, anche se non era il caso di dargli ragione, era
già una
persona fin troppo vanesia per i suoi gusti: “ Piuttosto,
continuo a non
riuscire a spiegarmi cosa spinse Mathilde a fidanzarsi con un una
persona
dall’ego così sfacciatamente
spropositato..”
“Ah Kimie, se non ti conoscessi tanto bene, potrei anche
pensare che una
sfumatura di rimprovero si nasconda tra le tue parole”
rispose lui, sbattendo
le palpebre con aria innocente.
“Sfumatura? Ma se non mi sarei potuta esprimere
più chiaramente..” ribatté la
ragazza, un sorriso ancora accennato sull’angolo della bocca.
“Bel modo per ringraziarmi per la mia gentilezza..”
bofonchiò poi Enjyo “quasi
quasi ti lascio di nuovo alla balia di quei pagliacci..”
Eppure c’era una luce divertita nello sguardo che le rivolse
quando, ascoltando
la sua proposta, Kimie non poté trattenersi dallo storcere
il naso.
“Mi pare di capire che in fondo nemmeno tu abbia una grande
opinione dei tuoi
illustri colleghi, no Enjyo?”
Lui rise seccamente alle sue parole: “Non
c’è nemmeno bisogno che io ti
risponda.. molti di loro sembrano desiderare il potere più
dell’aria che
respirano. Di certo se Ootori non fosse riuscito ad incastrarmi avrei
trovato
un modo per saltare questa serata.. ma non vedo perché
perdere altro tempo
annoiandoti coi miei borbottii. Piuttosto, perché ti ostini
a chiamarmi col
cognome?”
“Ti offenderesti nuovamente se ti facessi notare che vista la
differenza d’età
potrei sembrare quasi irrispettosa a trattarti troppo
informalmente?”
Enjyo, sentendosi etichettare, seppure indirettamente, come vecchio, le
rivolse
un’occhiata sorpresa e un po’ incredula, come se
una parte di lui fosse
convinta d’aver udito male: “Ma se abbiamo
solo..” tentò di fare il calcolo,
poi optò per una cifra approssimata “ una
quindicina d’anni di differenza! E
poi non ti sei mai fatta troppi problemi
a chiamare Mathilde col suo nome..”
Davanti alle sue osservazioni, Kimie sospirò divertita: la
prima volta che
aveva visto quella giovane scrittrice, nel salotto verde della
residenza di
Andrej, quello riservato alle visite, aveva appena otto anni e da
quanto
ricordava l’aveva subito presa in simpatia: coi suoi capelli
color cioccolata e
una spruzzata di lentiggini su tutto il corpo Mala sembrava proprio una
delle
fate che popolavano i racconti di cui scriveva..
“E’ diverso” disse solo “e poi,
già mi suona abbastanza strano non darti del
lei..”
“Per carità” alle sue parole, lui scosse
il capo con decisione “vuoi davvero
farmi sentire decrepito, eh?” ma non le diede il tempo di
rispondere che già
aveva nuovamente cambiato argomento: “Ah, prima che me ne
dimentichi.. Mala mi
ha chiesto di portarti i suoi saluti, le avrebbe fatto piacere
salutarti prima che
tu partissi, ma era fuori città..”
“Sì, l’avevo sentito.. quando
tornerà, dille che ricambio.”
“Avrò modo di farlo tra pochi giorni..”
disse lui, poi davanti allo sguardo
interrogativo della ragazza aggiunse: “Avevo pensato di
andarla a trovare in
Italia, questo weekend”
“In Italia?” domandò Kimie, non
riuscendo a capire per quale motivo lei si
trovasse lì, per poi rispondersi da sola pochi istanti dopo:
“Ah giusto, è là
che voleva ambientare l’ultima parte del suo racconto,
no?”
Enjyo le diede ragione con un cenno del capo, mentre lei gli chiedeva:
“Ma non
era entro il sei di questo mese che avrebbe dovuto consegnare il
manoscritto
all’editore?”
“Hai una buona memoria” le concesse lui
“a me ha dovuto ripetere la data un
centinaio di volte prima che la memorizzassi.. In ogni caso,
sì, hai ragione..
Ed è questo il motivo” aggiunse dopo poco, le
labbra arcuate ad accennare
l’ombra di un sorriso sghembo “che farò
in modo di non arrivare lì prima del
sette mattina, sai ci tengo alla vita io. E poi, checché tu
ne dica, sono
ancora troppo giovane e decisamente troppo bello per morire a questa
età..”
Alle sue parole, Kimie fece per ribattere, ma alla fine non
poté trattenere una
risata: aveva perfettamente ragione.
Sotto il momento della consegna, persino una persona posata come
Mathilde
diventava irascibile e intrattabile, si aggirava per casa con
l’immancabile
tazza di caffè in mano, attorno a lei un’oscura,
vibrante aria di pericolo.
“Scelta saggia” approvò infine
“e poi chissà, che stavolta tu non riesca a
imparare
sul serio l’italiano..”
“Ma se lo so parlare perfettamente!”
protestò lui, rispondendole proprio con quella lingua.
Alle sue parole, non poté trattenere un’altra
risata: Enjyo aveva l’abitudine
di prendere il dialetto dei posti che visitava, e quindi
l’italiano che parlava
era una strana accozzaglia di varie cadenze, dalla romana alla
bolognese, che
nell’insieme risultava davvero comica.
“Se così ti pare..”
gli rispose lei,
lo sguardo ridente fisso su di lui.
“E poi, potrei farti notare che
almeno io,
non lo parlo come se vivessimo ancora
nell’Ottocento..” ribatté
piccato.
A quest’affermazione, Kimie non trovò nulla da
ridire: sapeva benissimo che
stavolta era lui ad avere ragione, perché avendo imparato
gran parte delle
lingue che conosceva grazie ai libri, e leggendo principalmente scritti
antichi, si era resa conto, studiando ad esempio poeti contemporanei,
di
parlare come una reduce del Risorgimento.
Socchiuse piano i suoi occhi verdi, in cerca
di una
risposta adeguata,
ma non
ebbero il tempo di terminare il loro discorso, perché era
stato in questo
momento che, nel lasso di tempo di un minuto, era venuto e se ne era
andato
quel membro dello staff Ootori, e assieme a lui li avevano raggiunti il
signor
Ootori e suo figlio.
“Ah, signor Ootori, che piacere rincontrarla” fu
Zero il primo a prendere
parola, avanzando verso i due e salutandoli con una stretta di mano.
Istintivamente, Kimie abbassò di scatto lo sguardo e, dopo
un respiro profondo,
lo rialzò lentamente.
Non avrebbe saputo dire se lui l’avesse fatto apposta per
distrarla o meno, ma
quella chiacchierata con Enjyo era riuscita a distrarla da tutti suoi
pensieri,
e per questo gli fu grata.
“Signorina
Amamiya” sentì il signor Ootori
chiamarla e fece un mezzo giro su se stessa, mentre lui continuava:
“vorrei
presentarle mio figlio, Kyouya Ootori.”
In effetti affianco a lui, vi era un giovane in un sobrio completo
grigio
scuro, che le sembrò essere più o meno suo
coetaneo.
Lui si presentò formalmente, un imperscrutabile, gentile
sorriso scolpito in
viso.
Dopo avergli lanciato una seconda occhiata, Kimie rimase immobile,
osservandolo
con interesse.
Si ritrovò a rimirare l’arco preciso
dell’occhio, la curva pronunciata degli
zigomi, la linea diritta del naso del ragazzo che le era stato appena
presentato, se non fosse stato per la strana luce che brillava nei suoi
occhi e
il fatto che in fondo era pur sempre un Ootori, non avrebbe esitato a
definirlo
bello.
Rispose al saluto lentamente, lo sguardo che esaminava con attenzione
le sue
iridi cineree che, al pari di un cielo invernale, sembravano essere
adombrate
dalla presenza di nubi dense e scure, cariche di pioggia.
Le sarebbe piaciuto ritrarlo.
Chissà che tonalità di colori avrebbe dovuto
usare.. probabilmente, si disse
tra sé e sé, fatta eccezione per un pallido rosa,
le sarebbero bastate diverse
sfumature di grigio.
Scosse debolmente la testa, seriamente, in che razza di pensieri stava
andando
a perdersi?
Distolse lo sguardo, perdendosi a fissare gli arabeschi che decoravano
il
soffitto, per poi riabbassarlo, indecisa su cosa dire.
“Si aspettava il teatro fosse stato costruito con uno stile
più tipicamente
orientale, Amamiya-san?” lo sentì domandarle.
A quelle parole, scosse piano la testa, poi aggiunse: “
E’ solo che alcuni
elementi, le finestre ad arco del primo piano o la balaustra del
terrazzo, mi
hanno ricordato l’Opéra Garnier.. Non trova anche
lei?” disse piano, ed ebbe
come l’impressione che il viso del ragazzo si irrigidisse
prima di risponderle,
ma fu solo un attimo: “Ho avuto anche io
quest’impressione.. e inoltre il
teatro fu commissionato dal signor Suou qualche mese dopo il suo
ritorno dalla
Francia, quindi è probabile che abbia ripreso alcuni
particolari di ciò che
aveva visto a Parigi.. Avete un’affinata capacità
d’osservazione, signorina” si
complimentò poi, rivolgendole un sorriso tanto bello quanto
preparato, o almeno
questa fu la sua impressione.
Perché se con gli anni aveva imparato fin troppo bene che in
alcune situazioni
pur di essere cortesi era necessaria l’ipocrisia o comunque
saper fare buon
viso a cattivo gioco, di espressioni come quella ne aveva viste tante
da
trovarle quasi banali.
Riscossasi dai propri pensieri, la ragazza aggiunse, senza fare
particolarmente
caso al complimento che le era stato rivolto: “ In effetti..
avevo sentito dire
che anche i Suou avrebbe assistito a questa première. Eppure
non ho ancora
avuto modo di vederli..”
“Dubito che verranno, signorina.. Tamaki mi ha chiamato per
avvertirmi che
avevano avuto un imprevisto” tagliò corto lui,
aggiustandosi gli occhiali che
avevano iniziato a scendergli sul viso.
Immaginano che non fosse il caso d’insistere, Kimie gli
chiese dopo aver
sollevato appena le spalle e cambiando discorso: “In ogni
caso, anche lo
spettacolo sarà una rappresentazione di un’opera
europea, o sbaglio?”
Ootori scosse appena il capo, dandole ragione: “Affatto..
Verrà recitata una
tragedia di Shakespeare, Cesare.”
“Una delle mie preferite” sorrise la ragazza.
“Kimie, hai mai visitato il Foro Romano?” alle
parole del signor Enjyo,
aggrottò leggermente le sopracciglia, dubitava che avesse
seguito la loro
conversazione, ma evidentemente non gli era ancora passata la
discutibile
abitudine di unirsi ai discorsi altrui pur non avendo la minima idea di
che
cosa si stessero parlando, semplicemente perché qualcosa, un
nome, un luogo,
aveva attirato la sua attenzione.
“Sì, ma da bambina.. I ricordi che ne ho sono
abbastanza vaghi.. Scusa ma in
che modo potresti ricollegare la tua domanda al nostro
discorso?” gli rispose
in ogni caso lei.
“Di nuovo, la tua pungente schiettezza mi ferisce.”
borbottò lui, lanciandole
un occhiata profondamente offesa quando la ragazza sollevò
appena le spalle
alla sua affermazione.
“Oh” si costrinse ad aggiungere allora lei,
cercando di sfumare il tono
sarcastico nella sua voce “ non era affatto mia
intenzione. Per caso ti andrebbe
di raccontarmi il perché della sua domanda?”
Enjyo sorrise, apparentemente soddisfatto “Molto meglio.
Sarà un piacere,
signorina. Si da’ il caso che abbia comprato un appartamento
nel centro storico
della città e ascoltarvi parlare mi ha fatto pensare quanto
sia strano, il
fatto che pur avendolo comprato quasi un anno fa, non abbia ancora
avuto modo
di inaugurarlo..”
“Inaugurarlo?” gli fece eco lei, inarcando il
sopracciglio.
“Sì beh.. la regalai l’estate scorsa a
Mathilde per il nostro anniversario di
fidanzamento e..”
“Fammi indovinare, non ha accettato di andarci nemmeno una
volta?” lo
interruppe di nuovo Kimie, sorridendo apertamente: non dubitava che
Mala,
orgogliosa al punto da non accettare nemmeno che le venisse offerta la
cena,
davanti al suo costosissimo regalo avesse dovuto faticare non poco per
non
tirarglielo appresso.
“Non ha nemmeno mai voluto averne le chiavi..” le
diede infatti ragione lui, lo
sguardo basso e inconsolabile davanti al quale il sorriso della ragazza
non
poté fare a meno di aprirsi ancora di più.
“Credo che sia arrivato il momento di prendere i nostri
posti” li avvertì la
signorina Shido, mentre le persone attorno a loro iniziavano a
dirigersi verso
i rispettivi palchi.
Kimie si limitò ad annuire, guardandosi intorno incerta sul
dove andare.
“Su Kyouya, sii gentile e mostrale la strada”
aggiunse poi, pochi istanti prima
che lei ed Enjyo venissero salutati da un signore dai favoriti bianchi
e la
statura singolarmente imponente.
“Da questa parte, prego” fece subito lui,
incamminandosi a passo sicuro verso
un corridoio laterale dopo che la ragazza l’ebbe ringraziato.
“Ho sentito – riprese poi, interrompendo il breve
silenzio caduto tra loro –
che anche lei frequenterà l’istituto Ouran, non
è vero Amamiya-san?”
“Infatti. In realtà, è lì
che ho trascorso le elementari, e da qual poco che
ricordo.. era
“E’ un posto interessante, senza dubbio”
concordò lui con un mezzo sorriso.
Kimie sospirò mentre continuavano a percorrere quel
corridoio dalle pareti
scarlatte. Le risultava piuttosto difficile porsi nel modo giusto nei
confronti
di quel ragazzo quando l’unico posto dove sarebbe voluta
essere in quel momento
era a parecchi chilometri da lì, e una certa
ambiguità nel suo sguardo
le aveva fatto capire di non essere l’unica ad aver sentito
la necessità a
calarsi in un personaggio che non fosse il proprio.
Si chiese quanti mesi sarebbero passati prima che una sciocchezza qualsiasi
facesse disintegrare
il suo autocontrollo, già sufficientemente messo alla prova .
Per
prima cosa, ringrazio chi ha
lasciato un commento o anche solo letto, e spero che non troviate
questo capitolo troppo deludente.. l'ho finito di fretta
perché volevo
postarlo entro stanotte, ma prometto che sarà a discrezione
della
futura me la correzione di eventuali errori (sono messa bene xD)
Inoltre,
volevo scusarmi per il mio ritardo, non saprei dire il
perché ma appeno
prendo un po' di coscienza della storia che sto scrivendo, mi sembra
che sia una massa di sciocchezze e smetto di scrivere (sono per caso
l'unica a cui capita tipo tutte le volte? >.<)
Ma
risfogliando i miei vecchi manga ne ho ritrovato uno di Host Club e mi
sono ripromessa che non avrei lasciato incompleta questa ff (anche se
non saprei fino a che punto questa possa essere una buona idea xD)
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