Academy of the World__Dai due Lati della Cattedra

di Koori_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***








Academy of the World__Dai due Lati della Cattedra














A volte la natura ci da dei segnali, dei suggerimenti, quasi degli ordini che faremmo meglio a seguire.
Quel giorno diluviava. Un’acqua che Dio la mandava.
Ogni creaura mentalmente sana se ne sarebbe rimasta a casa, al calduccio, sotto le coperte, ma lei no: lei doveva andare.
Aveva preso l’autobus delle sei del mattino, in modo da arrivare con almeno un’ora di anticipo, ma la pioggia scrosciante aveva pesantemente rallentato il mezzo, mandando a monte tutti i suoi piani di puntualità.
Le gocce di pioggia si sfracellavano gridando sui vetri dell’autobus, che si faceva strada a fatica attraverso il fiume che aveva ormai inglobato l’asfalto, mentre la ragazza contava mentalmente le fermate.
- Ok, la prossima è la mia… - sussurrò, premendo il pulsante di prenotazione.
Il trillo risuonò in tutto il veicolo, svegliando  una vecchietta seduta nelle ultime file, una delle poche persone presenti su quell’autobus, che arrestò la sua corsa aprendo le porte cono uno sbuffo stanco e affaticato.
Marina raggiunse il marciapiede trascinandosi dietro fra mille imprecazioni l’enorme valigione rosso che conteneva tutte le sue cose, andando a piantarsi di fronte a un imponente cancello in ferro battuto posto a guardia di un grande parco verdeggiante.
Sospirò, ormai rassegnata  al fatto di  incominciare il nuovo anno scolastico bagnata fradicia, mentre la figura della scuola alla fine del sentiero si faceva sempre più vicina.
Quattro mesi prima era riuscita ad ottenere una borsa di studio per meriti scolastici e, sommandola ai suoi risparmi degli ultimi otto anni, aveva finalmente potuto tentare l’iscrizione all’Academy of the World, la scuola più famosa, più prestigiosa, e ovviamente più costosa che esistesse sulla faccia della terra.
Certo, era stato un bel sacrificio, ma studiare in quell’istituto era sempre stato il suo più grande sogno, e sarebbe stata disposta a tutto pur di realizzarlo.
E adesso eccola lì, di fronte al gigantesco portone in quercia, pronta a varcare la soglia di quell’edificio che sarebbe stato la sua casa per gli anni a venire.
Il salone d’ingresso, illuminato dalla calda luce di due enormi e probabilmente antichi lampadari a goccia, era piuttosto affollato: zaini e valige erano abbandonati a terra, mentre ragazzi di tutte le nazionalità chiacchieravano animatamente raccontandosi il viaggio compiuto per raggiungere la scuola.
Marina, un po’ spaesata, si guardò intorno alla ricerca di qualcuno a cui chiedere informazioni.
In un angolo del grande salone, la schiena appoggiata contro il muro e le cuffie dell’iPod nelle orecchie, se ne stava un ragazzo dai mossi capelli castani e il viso gentile.
- Ciao… sai per caso cosa dobbiamo fare? – domandò timidamente.
Il giovane si tolse le cuffie, rivolgendole un ampio sorriso imbarazzato.
- Nuova anche tu? Mi dispiace, ma non ne ho proprio idea. Poco fa però è venuto un tipo a dirci di aspettare qui… prima o poi qualcosa accadrà… - spiegò, dispiaciuto per non essere stato abbastanza d’aiuto.
- Comunque io mi chiamo Toris, vengo dalla Lituania, e tu? –
La ragazza arrossì leggermente, un po’ imbarazzata dalla sua provenienza.
- Io sono Marina, di Genova… -
  Toris, come da pronostico, esibì un’espressione stupita.
- Genova? E’ una città dell’Italia, giusto? Ma come hai fatto ad essere ammessa? –
Domanda più che lecita, in effetti.
Il punto di forza e la pecca più grande dell’Academy of the World era forse proprio il criterio di ammissione.
Una cosa che a Marina non era mai andata giù.
Quella era una scuola particolare, a cui potevano accedere solamente i rappresentanti delle nazioni e non persone normali; una scuola d’élite, che ammetteva i propri studenti solo dopo una severa graduatoria in base al reddito della nazione stessa.
In poche parole solo gli stati più ricchi e avanzati avrebbero potuto permettersi di entrare alla’Academy of the World, mentre le nazioni più povere, le regioni o le città come lei sarebbero state costrette a rimanere ad un livello di studi inferiore, che non gli avrebbe mai permesso un dignitoso sviluppo.
Lei era stata fortunata vincendo quella borsa di studio, ma altri paesi stavano ancora lottando duro per ottenere un posto in quella scuola.
Stava per rispondere alla domanda del ragazzo quando un’altra voce si fece sentire.
- Liet!!! Cioè, questa scuola è tipo troppo figa!!! -  un altro ragazzo biondo, vestito con una felpa rosa dal taglio stranamente femminile e un paio di jeans strappati sulle ginocchia era spuntato dal nulla con un enorme sorriso stampato sul volto. Alla vista di Marina parve leggermente indispettito, ma fu questione di un attimo, poi si voltò in sua direzione stringendole la mano vigorosamente.
- Ciao! Io sono Feliks di Polonia e questo è il mio amico Liet! Sono troppo tipo contento di essere riuscito a entrare. Cioè, ci ho messo tipo quattro anni prima di avere un reddito sufficiente! –
La ragazza inarcò un sopracciglio, un po’ colpita dallo strano modo di parlare del polacco, e si presentò a sua volta.
Feliks parve non far caso alla sua provenienza, cosa di cui gli fu molto grata, e continuò il suo agitato monologo, afferrando una mano di Toris e scrollandola con insistenza.
- Ho sentito una cosa troppo inquietante! Sembra che sul totale degli iscritti manchino dei posti letto nei dormitori, così qualcuno dovrà andare al misto! –
Dalla mancanza di “tipo” e “cioè” Marina comprese che si trattava di una cosa piuttosto seria.
- Al misto? – chiese, curiosa.
- Si, non lo sai? Qui ci sono tre dormitori, il maschile, il femminile e il misto. Pare che nel misto ci sia gente strana, io non vorrei capitarci… - spiegò Liet, mentre Feliks continuava a scuotergli la mano.
Se è un luogo per gente strana, pensò la genovese,  il tuo amico ci finirà sicuramente.
Non ebbe però il tempo di chiedere ulteriori spiegazioni, il grande portone in cima alle scale di marmo opposte all’entrata si aprì, lasciando uscire un sommesso vocìo.
Una donna alta e dall’espressione severa aveva fatto il suo ingresso nel salone, calandolo nel silenzio più religioso.
Indossava una camicia immacolata e una cravatta blu, in tinta con la gonna lunga fin sopra al ginocchio. I lunghi e mossi capelli castani erano raccolti in una coda alta, i seri occhi verdi scrutavano i ragazzi da dietro un paio di occhialetti dalla montatura argentea.
Batté le mani un paio di volte per richiamare l’attenzione, poi incominciò a parlare.
- Buongiorno a tutti e benvenuti all’Academy of the World!  Qui sappiamo tutti quanti sacrifici abbiate dovuto fare per essere ammessi in questa scuola e penso di parlare a nome di tutto il corpo insegnanti nel farvi i complimenti per la vostra tenacia e il vostro impegno. –
Feliks gonfiò il petto tutto orgoglioso, mentre Toris sospirava, evidentemente abituato ai comportamenti bizzarri dell’amico.
- Io sono Daphne Karpusi, la vicepreside di questa scuola nella quale, se tutto va bene, trascorrerete i prossimi anni in vista del vostro diploma. –
Il lituano sbiancò, rivolgendosi agli altri due in un sussurro.
- Quindi è lei la famosa Hellas! –
- Famosa? – Marina incominciava a vergognarsi, sapeva davvero poco su quella scuola, nonostante ne sentisse parlare da tutta la vita.
- Pare che sia la professoressa più severa dell’intero istituto. Su di lei circolano le voci più disparate, ma sembra che i suoi occhi riescano a trapassare borse, abiti e… carne… -
Gli altri due deglutirono, leggermente terrorizzati.
- Per quanto ne so non c’è modo di copiare se si finisce nella sua classe, e chi riesce ad arrivare all’Esame di Diploma nel tempo medio si può ritenere di una tempra più forte del diamante… -
Che quella donna fosse davvero infernale come dicevano? La genovese tornò ad ascoltare il suo monologo, cercando di non pensare alla probabilità di finire nella sua classe.
- Fra pochi attimi varcherete questa soglia. Vi chiedo di non fare confusione e di fare ciò che vi dirò. Sarete chiamati uno ad uno per firmare la vostra ammissione ufficiale nei registri scolastici, poi potrete prendere posto a tavola e fare colazione… Direi che per ora vi ho già bombardati abbastanza di informazioni, coraggio, entriamo! – e così dicendo aprì per la seconda volta il portone di legno alle sue spalle, conducendo il timido gruppetto di studenti all’interno di un ampio salone gremito di gente.
Quattro lunghi tavoli erano disposti per tutta la lunghezza della sala, mentre un quinto, il tavolo degli insegnanti, stava dal lato opposto all’ingresso, perpendicolare agli altri.
Hellas li condusse fin dall’altra parte della stanza, ai piedi del tavolo degli insegnanti, montato su una sorta di pedana in modo da essere rialzato rispetto agli altri.
Seduti e intenti a parlare come se nulla fosse c’erano due uomini e una donna. Ad uno sguardo più attento si poteva scorgere, in piedi accanto a loro, un ometto basso e rotondetto, dalla carnagione scura e dagli ingenui occhi ametista. In confronto agli altri, anche per la voce sottile e acuta, sembrava proprio un bambino.
Daphne raggiunse il gruppetto, sussurrando qualcosa all’orecchio dell’uomo seduto al centro.
Era certamente una persona di bell’aspetto, alta, con un bel fisico e un fascino carismatico. Si alzò in piedi rivolgendo alle matricole un ampio e caloroso sorriso.
- Benvenuti ragazzi e ragazze! E’ sempre un piacere ricevere nuovi studenti nella nostra scuola! –
A questa frase Marina storse il naso, incrociando le braccia.
- Io sono Marcus Julius Vargas, il bellissimo preside di questa scuola, ma voi potete semplicemente chiamarmi “Nonno Roma”… - terminò con voce suadente ammiccando all’indirizzo delle ragazze presenti in sala.
L’espressione da Don Giovanni fu prontamente sostituita da un “ahi” di dolore, causato dalla quadernata che Hellas, stizzita e imbarazzata, gli aveva dato in testa con violenza.
- Suvvia, Roma, mantenga un po’ di serietà… -
L’uomo si massaggiò la testa con fare teatrale, mentre l’altra professoressa guardava scandalizzata la vicepreside e gli altri due  sorridevano leggermente, come abituati a scene del genere.
-Ok, visto che non voglio essere ucciso  già il primo giorno di scuola dalla nostra adorata vicepreside direi che è il caso di proseguire con le faccende burocratiche… sicuramente Hellas vi avrà già spiegato la procedura… A mano a mano che la qui presente assassina – e qui si alzò una leggera risata da parte della platea, mentre la donna incrociava le braccia al petto, distogliendo lo sguardo-  chiamerà il vostro nome, voi vi avvicinerete al tavolo degli insegnanti e firmerete il nostro registro ufficiale! –
Marina ebbe abbastanza tempo per prepararsi psicologicamente, ma finì per sprecarlo tutto osservando ammirata gli stucchi del soffitto affrescato. Quando la voce limpida e autoritaria di Hellas chiamò “Marina Parodi, Genova!” fu costretta a recarsi davanti al preside con passo incerto e il volto rovente d’imbarazzo.
- E così alla fine la mia nipotina adorata ce l’ha fatta! – esclamò Roma con un sorriso a trentadue denti.
La ragazza gli rivolse un’occhiata raggelante, per nulla addolcita dalla gioia negli occhi ambrati dell’uomo.
- Così sembra… - proferì, piatta.
- Su, non ce l’avrai mica ancora con me per la faccenda del reddito! –
- No, non ti preoccupare, acqua passata. – fece sarcastica, incidendo il registro con il suo nome.
La ragazza gli lanciò un’altra occhiataccia prima di alzarsi e lasciare il posto a chi fu chiamato dopo di lei.
- Tutto bene? – sussurrò la vicepreside all’orecchio dell’uomo.
- Non ti preoccupare, solo un piccolo disguido… - replicò l’altro, accogliendo un altro studente con uno dei suoi calorosi sorrisi.
Marina si sedette a tavola con Feliks e Toris, ancora inacidita dallo scambio di battute con suo nonno.
Nonno, poi, era davvero un soprannome bizzarro visti i trentacinque anni scarsi dell’uomo. La ragazza divorò ferocemente una fetta biscottata senza proferire parola, chiedendosi come mai la sua famiglia dovesse essere così strana.
Abitualmente viveva con sua nonna Liguria, una vecchina strampalata e arzilla sempre preoccupata per la salute della nipotina. Quando l’anziana signora, aggredita da ignoti in un vicolo di Genova, era stata a lungo tempo ricoverata in ospedale, Marina, ancora piccola, era stata data in affido alla famiglia di Marcus, composta da lui e i suoi due nipoti, Veneziano e Romano. Nonostante non vi fosse alcun legame di sangue fra di loro, Marina si era affezionata molto a quei tre buffi individui, finendo per frequentarli anche dopo le dimissioni dall’ospedale di Liguria. 
- Hey, Marina, tutto bene? – chiese premurosamente Liet, notando l’espressione incupita della nuova amica.
Quella si riscosse, annuendo agitata. Non voleva che si sapesse in giro dei suoi rapporti con Roma, altrimenti tutti avrebbero pensato che le erano stati fatti favoritismi.
Proprio in quel momento il preside parlò nuovamente, mentre gli altri studenti se ne andavano verso le loro classi, pronti ad incominciare un nuovo anno scolastico.
- Gentilmente, matricole, potreste starmi a sentire un momento ? – il silenzio piombò nuovamente all’interno della sala, interrotto di tanto in tanto dal ticchettio dei cucchiai in fondo alle tazze di porridge o caffelatte.
- Purtroppo vi è stato un piccolo inconveniente nell’assegnazione delle camere, e uno di voi dovrà prendere alloggio al dormitorio misto… -
Feliks, Liet e Marina si scambiarono sguardi preoccupati: nessuno di loro voleva capitare al misto.
- Ecco, per farvi vedere che la scelta è completamente casuale estrarremo a sorte il nome dello sfig… ehm, della persona! Coraggio, Daphne, passami l’urna. –
La donna si avvicinò con un grande sospiro, porgendogli una scatoletta di cartone, evidentemente fabbricata poco prima apposta per l’occasione. Roma mescolò vigorosamente il contenuto, per poi affondarvi la mano ed estrarre un pezzetto di carta bianca come il latte.
Quando lesse il nome scritto sul bigliettino impallidì letteralmente, alzando gli occhi sulla platea con aria colpevole.
“Fa che non sia io, fa che non sia io…” pregava Marina, le mani tutte sudate strette in una morsa.
Avrebbe dovuto prevederlo, avrebbe dovuto restarsene in casa alla vista del diluvio, non avrebbe mai dovuto varcare la soglia di quella scuola.
La voce del preside era ridotta ad un sussurro, ma il labiale fu chiarissimo da comprendere.
- Marina Parodi… Genova… -
Gli sguardi dei due si incrociarono per una frazione di secondo e Roma fu certo che se sua nipote avesse avuto la capacità di uccidere con lo sguardo sarebbe stato già bello che stecchito.
Nel salone si alzò unanime un sospiro sollevato, mentre Feliks batteva comprensive pacche sulle spalle dell’amica e Toris la guardava con un misto di sollievo e pietà.
La presa attorno al cucchiaio si fece sempre più ferrea, mentre il braccio della ragazza tremava leggermente.
- Ma che sorpresa. – fu il suo aspro commento a quanto appena accaduto.
Oh, si, suo nonno avrebbe dovuto smuovere mari e monti, quella volta, per farsi perdonare…
Dopo la colazione i ragazzi vennero smistati in due grandi gruppi e successivamente condotti nelle aule che li avrebbero ospitati per il resto della giornata.
Feliks, Toris e Marina finirono, grazie a Dio, nello stesso gruppo, assegnato alla classe della professoressa che era seduta a tavola al loro arrivo.
Era una donna di bassa statura, ma di una bellezza folgorante.
La carnagione scura, tipica dei popoli del Mediterraneo meridionale, i capelli neri e setosi lasciati sciolti lungo la schiena e un paio di magnetici occhi dalle lunghe ciglia folte.
- Per fortuna non siamo con Hellas… - sussurrò il polacco, mentre gli altri due annuivano pienamente d’accordo.
L’insegnante parve aver sentito il commento di Feliks, indirizzandogli un sorrisetto… compiaciuto? Sembrava proprio di si…
La donna si sedette sulla cattedra, accavallando le gambe e facendo scorrere lo sguardo sulla classe, integrata di qualche nuovo studente.
- Ciao a tutti! Io sono la prof Aegypt, ma potete tranquillamente chiamarmi Cleo, mi rende decisamente più giovane, non trovate? – sorrise civettuola.
- Che ne dite di presentarvi ai vostri futuri compagni di scuola? Su, incominciamo da… - scorse rapidamente su per l’elenco del suo gruppo di matricole, finché non parve soddisfatta.
- Feliks Lukasiewicz! –
Il ragazzo si alzò di scatto, andando alla cattedra con passo disinvolto. Quanto lo invidiava, Marina! Almeno lui sembrava non essere mai in imbarazzo! Era così sicuro di sé…
- Ciao! Io sono Feliks e tipo, vengo dalla Polonia… Cioè, non so molto cosa dire… però sono contento di essere qui! –
- Parlaci dei tuoi hobby, cosa ti piace fare… - lo incalzò Aegypt.
Feliks si illuminò, dando inizio al suo monologo.
- Beh, mi piace tantissimo fare delle passeggiate in campagna e poi cioè, adoro troppo i pony! Sono così carini! Sono tipo la cosa più tenera che esista sul mondo, a parte Liet! –
Al che, il giovane chiamato in causa assunse un colorito violaceo, tanto che la genovese temette di doverlo portare di corsa in infermeria.
Sempre che in quella scuola ne esistesse una.
Dai banchi alle sue spalle si alzò un risolino trattenuto, seguito da alcuni commenti davvero poco carini.
- Se i polacchi sono tutti così stiamo freschi… - fece una ragazza dai lunghi capelli scuri e gli occhi dal taglio orientale. La sua compagna di banco ridacchiò, zittendola con un gesto della mano.
- Ma dico, hai visto la felpa? Secondo me è di sua sorella! – infierì sistemandosi il fiocco arancione fra i capelli.
- Io dico che è gay… -
- Prova a chiederlo al suo amichetto Liet… - terminò l’altra con aria maliziosa e leggermente maligna.
Il ragazzo, seduto nella fila accanto a quella di Marina, sentiti i discorsi delle due compagne, diventò ancora più rosso. Era chiaro come il sole che avrebbe voluto essere in qualunque altro posto tranne che in quella classe.
- Belle, MeiMei, fate silenzio, su… - le rimbeccò senza particolare enfasi la prof, come se anche lei avesse condiviso ogni parola di quanto detto da loro.
Le due ragazze tacquero, mentre altri studenti si avvicendavano alla cattedra.
- Marina Parodi! –
Ecco, era il suo turno.
Si alzò, sperando di non inciampare nei suoi stessi piedi e raggiunse la cattedra già rossa per l’imbarazzo. Odiava davvero essere al centro dell’attenzione.
- Ehm… buongiorno… Io sono Marina Parodi… Vengo da Genova…- perfetto, ora poteva pure sprofondare.
MeiMei assunse un’espressione pensosa.
- Genova? Dov’è? –
Fu Belle, la sua amica bionda, a risponderle.
- In Italia, credo. Un posticino sperduto… Come hai ottenuto l’ammissione, Marina? – chiese malignamente.
L’interpellata deglutì sonoramente, salutando mentalmente il suo caro anonimato.
- Si, ecco… ho vinto una borsa di studio e… -
- Ah, davvero? Beh, ci vuole del coraggio per una provincialotta come te a iscriversi a questa scuola… si vede che ci tenevi! –
Marina rimase basita da una frase simile, ma ancora di più la colpì il fatto che Aegypt non rimproverasse minimamente la sua studentessa per un atteggiamento così scortese.
- Beh, ho sempre lavorato duro per… -
Ma la voce dell’insegnante la interruppe, facendole desiderare di non essere mai nata.
- Borsa di studio? Ah, ma quindi tu sei la nipote di Marcus! – esclamò, come se fosse stato uno scoop da prima pagina.
- Ecco che tutto si spiega… - commentò MeiMei.
- Ah! Abbiamo una raccomandata! –
- Io ho sempre faticato per raggiungere i miei obbiettivi, non mi è stato fatto alcun favoritismo per l’ammissione all’Academy of the World! – si infiammò Marina.
Belle fece per ribattere, ma un ragazzo dai tratti nordici seduto in ultima fila, che si era palesemente fatto i cavoli suoi per tutta la lezione, decise che era giunto il momento di intervenire.
- Taci, Belle, e lasciala parlare! Quali sono i tuoi hobby? –
La ragazza decise che sarebbe stata sempre debitrice a quel biondino dagli ingenui occhi azzurri.
- Mi piace leggere, è il mio passatempo preferito! – spiegò, mentre Belle e MeiMei facevano le linguacce al loro compagno.
Le ore di lezione passarono con una lentezza esasperante per Liet e Marina, mentre Feliks sembrava non essersi accorto delle frecciatine che le due ragazze della fila dietro continuavano a rivolgere a lui e ai suoi amici.
La genovese, dal canto suo, era parecchio demoralizzata. Iniziava a chiedersi se iscriversi a quella scuola fosse davvero stata una buona idea. In effetti quella Belle non aveva tutti i torti: lei, in confronto agli altri, era davvero una campagnola. Non era una nazione vera e propria, e anche se in passato lo era stata ormai non contava più niente.
Con questi pensieri ben poco allegri anche l’ora di pranzo scivolò alle spalle degli studenti, conducendoli in una stanza più grande dell’aula del mattino, dove incontrarono le altre matricole e un altro insegnante alto, dai lunghi capelli biondi e l’espressione imbronciata.
- Buongiorno. Sono il professor Ulrich Beilschmidt, o Germania, come preferite. Qua avete i fogli del vostro test. Avete un’ora di tempo, dopodiché sarete liberi di fare quello che volete fino alle sei e mezza, l’ora di cena. Il corpo insegnanti correggerà i vostri test in modo da collocarvi nella classe di livello più adeguato. – fece piatto, consegnando i fogli con l’accortezza di lasciare la parte scritta a faccia in giù sul banco.
Dopo un’occhiata al suo orologio da polso diede il via al test, mentre gli studenti leggevano febbrilmente le domande, facendo roteare penne e matite fra le dita.
Per Marina quella fu l’ora più piacevole della giornata. Pensava che il test d’ingresso fosse molto più difficile, mentre lei l’aveva trovato, a eccezione di un paio di domande, addirittura divertente.
Al termine della prova si guardò intorno curiosa: con l’ansia che fosse tutto perfetto il suo primo giorno a scuola non si era nemmeno fatta un’idea degli altri ammessi!
Due ragazzi chiaramente orientali se ne stavano in fondo all’aula a conversare in una lingua troppo strana per tentare di decifrarla. Un altro tipo misterioso era rimasto seduto al suo posto, con le mani fra i capelli chiarissimi e un’espressione affranta in volto. Il suo test non doveva essere andato tanto bene… Un ragazzone dalla carnagione abbronzata  stava terrorizzando un altro figuro apparentemente impassibile, nonostante il mulinare continuo dei rasta dell’altro ad ogni domanda sul test.
I due elementi più strani erano però due ragazze in piedi davanti alla cattedra. Una sembrava una fata, una principessa di quelle narrate nelle favole da tanto la sua pelle era chiara e i suoi biondi capelli fini. L’altra pareva più che altro un piccolo satiro, forse a causa del rosso acceso dei suoi capelli.
- Ma Sis’, l’hai lasciata in bianco! – esclamò la bionda, sconvolta.
- Lo so… non ne avevo voglia di scrivere… e poi la mia calligrafia fa schifo! – ridacchiò l’altra, come se non si fosse resa conto dell’esito disastroso che avrebbe avuto il suo compito.
Marina sorrise. Fra tutti erano veramente un gruppetto eterogeneo!
Stavano per andarsene tutti quanti per i fatti loro, quando Germania li richiamò svogliatamente.
- Le chiavi delle vostre stanze. Siete stati accontentati tutti per la sistemazione, quindi vi chiamerò uno per coppia e vi darò due paia di chiavi. Non perdetele, o dormirete in palestra. –
Feliks saltò al collo di Toris sprizzando gioia da tutti i pori.
- Cioè, siamo finiti insieme, Liet! Avevo tipo troppa paura che mi mettessero con quel bruttone là in fondo! – e indicò il ragazzo coi rasta, che si scoprì poi essere di Cuba.
A mano a mano che le matricole ricevevano le chiavi della loro stanza l’aula si svuotava, finché, partiti anche Feliks e Toris, rimase soltanto Marina.
- R6. A Ovest dell’Edificio Centrale, poi segui i cartelli. –
- Perché “R”? – fu la domanda che le sorse spontanea.
La risposta fu molto più deludente del previsto.
- Sta per “Random”. Non sapevamo come altro classificare le stanze del misto… -
La genovese afferrò la sua chiave con espressione insoddisfatta, ma prima che potesse dileguarsi l’uomo la afferrò per una mano e, con occhi sinceri, proferì un’unica, inquietantissima frase.
- Buona fortuna… -













Note


Eccoci qui, con il primo capitolo di una fanfiction che ha più del demenziale che altro...
L'idea per questa storia mi è venuta circa due anni fa, ma ci è voluto del tempo per riuscire a buttare giù qualcosa di lontanamente passabile.
Beh, questo capitolo è più che altro una prima introduzione ai personaggi, che dal prossimo inizieremo a conoscere un po' meglio.
spero di avervi incuriosito almeno un po'!  :)
Kisses,
Koori-chan

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***



Capitolo II


















Il 1 Ottobre.
Una data, mille significati.
Per i ragazzi dell’Academy of the World voleva dire ricominciare la scuola, incontrare gli amici dopo due lunghi mesi di vacanza e buttarsi a capofitto in una nuova annata di compiti e interrogazioni.
Per Daphne Karpusi, quella data significava tutta un’altra cosa.
Per lei l’Academy of the World era più di una semplice scuola, un posto di lavoro: era la sua casa, l’unico luogo dove si sentisse davvero a suo agio. Ma come in ogni casa non tutto andava sempre liscio e i membri di quell’eterogenea famiglia sembravano divertirsi in modo particolare a farla dannare.
In quanto vicepreside della scuola spettava a lei il compito di fare sì che tutto proseguisse per il meglio, compito nel quale Impero Romano non le era certo d’aiuto: al lavoro d’ufficio, l’uomo preferiva di gran lunga serate in compagnia di belle donne o bevute presso un qualsiasi Pub di bassa lega assieme a Germania.
Germania, già. Forse l’unico in quella scuola che non mettesse a dura prova la già scarsa pazienza di Daphne.
- E così siamo di nuovo qui… - sospirò, osservando con disappunto uno dei test da correggere.
Roma ridacchiò, sorseggiando tranquillo il suo caffè.
- Mi siete mancati, ragazzi… L’estate è sempre così vuota senza di voi… -
- Io mi sono divertita! Ho trascorso delle vacanze di completo relax: sole e mare nonstop a Sharm-El-Sheik! Tu, Daphne? – chiese Aegypt, ricontrollando un test che aveva appena finito di correggere Germania: per regolamento le prove dovevano essere valutate dall’intera commissione d’esame.
Hellas alzò gli occhi dal suo foglio.
- Niente di che. Sono andata in Giordania a vedere le rovine di Petra e poi a Berlino a dare un’occhiata ai musei… -
- Neanche un po’ di mare? – fece la collega con aria sconvolta.
- Ti pare che questa donna possa perdere tempo ad abbronzarsi? Quando è venuta da me mi ha fatto visitare musei per tre giorni di fila! – si lamentò scherzosamente Ulrich. Tutti sapevano che in realtà era dello stesso parere della greca.
- Io invece sono andato ad Atene! – una vocetta acuta e infantile si intromise nel discorso.
I professori si voltarono verso l’ometto che stava trafficando con la macchinetta del caffè. Basso, grassoccio e pelato, Persia non era certo il più brillante fra gli insegnanti dell’Academy of the World.
- Ah, davvero? E ci sei andato da solo? – domandò Roma, con aria un tantino crudele.
- Roma! – esclamò Hellas, che aveva compreso perfettamente i suoi pensieri.
- Eh si… Speravo di incontrare Daphne, ma si vede che era via… - commentò l’interpellato, un po’ deluso.
All’interno della scuola era ormai di dominio pubblico l’informazione a riguardo dell’interesse di Persia nei confronti di Hellas.
La povera donna, che non aveva il cuore di dirgli apertamente che non si sarebbe mai abbassata ad un uomo come lui, era quindi costretta a boicottare tutte le sue avances in maniera piuttosto rocambolesca.
Una fra le tante, la reclusione in casa sua per tutta la permanenza ad Atene del collega.
- E tu, Roma, come hai trascorso l’estate? –
Sul viso dell’uomo si dipinse un sorrisetto malizioso.
- Sono stato a Rimini a spassarmela con delle belle ragazze! –
- A me risultava fossi rimasto tutto il tempo con Romano e Veneziano… - lo smontò immediatamente Germania.
- Hey! Ma tu da che parte stai?! –
La risata si alzò unanime attorno al tavolo di legno in sala professori.
Daphne scosse la testa, fra il divertito e il rassegnato. Ormai erano scene alle quali era abituata.
La correzione dei test rubò loro un abbondante paio d’ore, durante le quali poterono leggere davvero le cose più disparate.
Alcuni studenti erano davvero ben preparati, altri erano un disastro totale.
- Ma questa ragazza ha lasciato tutto in bianco! – esclamò scioccato Germania alla vista del foglio di tale “Evelyn O’Malley”.
- Persia, ce n’è un’altra per te! – lo informò Roma.
- Questa Kaitriona deve essere la sorella… una tipa decisamente più preparata… - commentò la vicepreside.
- Questa ce la giochiamo noi due… - continuò.
- Oh! Laurinatis e Lukasiewicz me li prendo io! – esclamò Aegypt tutta soddisfatta.
- Li conosci? – chiese Roma, incuriosito.
L’egiziana annuì, spiegando che erano stati smistati nella sua classe quella mattina.
- E Marina che ha combinato? – si informò il preside, curioso di spere come se la fosse cavata la sua adorata nipotina.
- Solo due errori… - fece ammirato Persia.
- Ah, perfetto, allora viene in B1 con me! – gioì l’uomo.
- Scherzi? Così si rischiano favoritismi! – Ulrich non sembrava d’accordo.
- Te la prendi tu, Daphne? – si rivolse all’altra come se si trattasse di figurine.
- Ok, allora ti cedo la scozzese… -
E fu così che, fra un test e l’altro, giunse l’ora di cena.
I professori uscirono dalla stanza dirigendosi ognuno verso il proprio alloggio, decisi a farsi una doccia rigeneratrice prima di affrontare la confusione del refettorio.
Hellas schizzò a gran velocità verso la sua casetta a limitare del bosco, ma Germania la raggiunse prima che potesse sparire dietro alla porta.
- Allora si ricomincia? – le chiese, gettando qualche rapida occhiata alle sue spalle per controllare che Roma e gli altri fossero ancora lontani lungo il sentiero ghiaioso.
La donna fece spallucce, girando le chiavi nella toppa.
- Basta che tuo nipote non mi faccia dannare come ogni anno! – sorrise, facendo arrossire il collega.
- La prossima volta che Gilbert ne combina una delle sue lo metteremo in punizione, ecco cosa… magari in questo modo diventerà un po’ più disciplinato! – sentenziò il biondo, serio.
- A dicciassette anni di età? Rassegnati, Ulrich, quel ragazzo ce lo dobbiamo tenere così! – e ridendo sgusciò all’interno del suo piccolo appartamento, si spogliò rapidamente e si infilò sotto la doccia, ben intenzionata a lavarsi di dosso la stanchezza di quella giornata e ad affrontare la cena rigenerata e fresca.
 

*

 
I bagagli dei nuovi studenti erano già stati portati nelle rispettive stanze, così Marina non dovette trascinarsi per tutto il parco l’enorme valigione rosso contenente tutto ciò che le sarebbe servito in quel lungo anno scolastico.
Vagò per il grande parco verdeggiante alla ricerca del Dormitorio Misto per almeno mezz’ora, ma si stufò pesto di cercare e si sedette ai piedi di un albero, decisa a chiedere informazioni al primo studente di passaggio.
Evidentemente aveva scelto l’albero meno frequentato dell’intero istituto perché, un’ora dopo, nessuno era ancora passato di lì, e lei aveva quasi finito il libro che aveva incominciato a leggiucchiare per noia.
La sua attenzione era tutta concentrata su un paragrafo particolarmente intrigante quando sentì una sorta di presenza dietro alla sua spalla destra.
Sussultò nell’accorgersi che, sporto da dietro all’albero, c’era un ragazzo più o meno della sua età.
- Ciao, Gilbert Beilschmidt! Tu sei nuova, vero? – si presentò tendendole una mano.
Marina si ritrovò a specchiarsi negli allegri occhi scarlatti di un albino. Il viso pallido incorniciato dai fini capelli argentei era illuminato da un sorrisetto accattivante, i denti bianchissimi e appuntiti erano dritti e ordinati fra le labbra sottili.
Sorrise timidamente, stringendogli la mano e presentandosi a sua volta.
- Ah, quindi sei la nipote di Roma! – esclamò additandola con la stessa espressione di quando si riconosce un attore in un film.
Marina corrugò la fronte.
- Vedo che le notizie corrono veloci… - borbottò.
Il ragazzo scoppiò in una fragorosa risata, forse leggermente sguaiata, ficcando le mani nelle tasche della felpa blu.
- Tranquilla! Siamo nella stessa barca! Hai presente Germania? Quel tipo silenzioso coi capelli lunghi, quello che sembra Legolas del Signore degli Anelli? –
La ragazza annuì vigorosamente.
- Si, ci ha fatto fare il test di ammissione… Il professor… com’era? Beilschmidt! – e in quel momento si accorse che si trattava dello stesso cognome del suo interlocutore.
- Esatto, il mio caro nonnino… Ma fra i due è lui quello che non tiene particolarmente a far sapere della parentela… - commentò sottovoce, come se si trattasse di un segreto importantissimo.
- E perché? –
- Beh, sai… non sono il massimo come studente… Diciamo che sono un genio incompreso! –
Marina rise, chiudendo il libro e alzandosi in piedi.
- Genio incompreso? – quel ragazzo le stava simpatico, sembrava un po’ matto, ma nel complesso dava l’idea di poter essere un buon amico.
- Certo! Sei al cospetto del Magnifico Gilbert Beilschmidt, mica davanti a uno studentello qualsiasi! Io farò grandi cose, Hellas non capisce il mio talento! – pronunciò con tono pomposo, chiudendo gli occhi e portandosi il pugno chiuso all’altezza del cuore.
- Sei nella classe di Hellas?! –
L’albino annuì con un’aria piuttosto soddisfatta.
- E tu invece? In che classe sei? Ti hanno già smistata? – fece lui, curioso.
Marina scosse la testa, rigirandosi il libro tra le mani.
 - Non ancora, ma oggi sono capitata con Aegypt! – ma vista l’espresisone di Gilbert si pentì immediatamente di averlo detto.
- Con quella? E come ti sei trovata? – le sembrava che avesse preso le distanze, come se il fatto di aver avuto contatti con l’egiziana li avesse portati su due piani diversi.
Ci pensò un po’ su, poi decise che dire la verità non avrebbe potuto nuocerle particolamente.
- Mah, non saprei… Lei mi è sembrata un po’ strana… Piuttosto alcune della classe non sono state molto gentili… -
- Scommetto che stai parlando di Belle e MeiMei… - biascicò Gilbert fra i denti.
- Esatto! Avevano sempre qualcosa da dire su tutti! –
- Vecchie galline! Non le sopporto! Criticano sempre qualunque cosa non vada loro a genio. Fossero in classe con me gliela farei vedere io! Che ti hanno detto?  Ti hanno presa in giro? Beh, non dargli retta, sono due idiote! – poi si interruppe improvvisamente.
- Ma scusa, che ci facevi qui nel bel mezzo del nulla con sto tempo? – domandò, alludendo con un cenno della testa alla nebbia che stava lentamente calando sulla scuola.
La genovese si guardò intorno, grattandosi la nuca leggermente imbarazzata.
- Stavo cercando il Dormitorio Misto, ma non so come arrivarci… - confessò.
Il viso del giovane Beilschmidt parve illuminarsi.
- Al misto? Non è molto distante! Dai, ti ci accompagno io! – si offrì, ampliando sempre di più il suo già grande sorriso.
Marina cercò di rifiutare, dispiaciuta di fargli perdere tempo.
- Ma che dici? Tanto sono di strada, sto al Misto pure io! –
A quel punto non ebbe più modo di replicare, Gilbert la prese per un braccio e la trascinò letteralmente lungo il sentiero, senza interrompere un momento il suo monologo.
Le raccontò diversi aneddoti sulla scuola, le fece una rapida carrellata dei professori e degli studenti, suggerendole con chi fare amicizia e da chi invece era meglio tenersi alla larga e dandole dritte e suggerimenti riguardo a cosa scegliere a mensa fra l’arrosto e la zuppa.
In quei pochi minuti di cammino ricevette così tante informazioni che non sapeva più quale memorizzare per prima.
- E qualunque cosa ti serva chiedi pure a me, il Maginifico Gil sa sempre come uscire dai guai! – terminò, indicandole una costruzione di legno verniciato di bianco alla fine del sentiero.
- Eccoci, siamo arrivati! –
Spinse la porta cigolante introducendola in un piccolo cucinino. Svoltarono a destra, raggiungendo quello che doveva essere una sorta di salotto. Su un muro era affisso un televisore a schermo piatto acceso su un canale regionale, dall’altra parte, contro ad una parete a vetri, vi erano due divani rossi, del medesimo colore della moquette che ricopriva il lungo corridoio di fronte all’ingresso.
Fra i divani vi era un tavolino di legno sovrastato da una piantina e qualche vecchia rivista consunta da tutte le volte che era stata sfogliata.
- Benvenuta a casa! – esclamò il ragazzo, allargando le braccia come per abbracciare tutto il locale.
Casa.
Marina sorrise, facendo scorrere una mano sullo schienale di un divano, mentre lo sguardo saettava rapido a destra e a sinistra desideroso di catturare ogni più insignificante dettaglio.
- R6… - sussurrò, estraendo la chiave dalla tasca dei jeans.
Gilbert si voltò di scatto in sua direzione, spalancando gli occhi.
- Ti hanno messa nella 6? Ehm… ecco, è la seconda porta a sinistra.  Io vado un attimo in camera mia, mi sono appena accorto che devo fare una cosa! Ci vediamo a cena! – e così dicendo sparì dietro a una porta infondo al corridoio.
Marina stette alcuni secondi ad osservare il corridoio ora vuoto chiedendosi cosa potesse esservi di tanto terrorizzante oltre all’uscio dell’R6 da far letteralmente fuggire il povero Gilbert.
Fece spallucce e infilò la chiave nella toppa. Non dovette neppure girarla, la porta era già aperta.
Dall’altro lato della stanza, di fronte a un’armadio in legno chiaro, se ne stava una ragazza dai mossi capelli castani sciolti lungo le spalle. Alle orecchie aveva le cuffiette dell’iPod, e dal modo in cui canticchiava indisturbata sembrava non doversi essere resa conto di trovarsi in mutande e reggiseno di fronte a una perfetta sconosciuta.
Improvvisamente lo sguardo della ragazza si posò sulla porta spalancata.
- Ommioddio! E tu chi sei?! – esclamò, rossa come un pomodoro maturo, per poi nascondersi dietro a un’anta dell’armadio.
Marina non era certo meno imbarazzata di lei.
- Ehm, scusa… credevo che la stanza fosse vuota… Sono Marina Parodi, mi hanno detto che avrei alloggiato qui… - cercò di scusarsi.
L’altra riemerse dal suo nascondiglio, esibendo un sorriso caloroso e tendendole la mano.
- Allora non c’è problema! Mi avevano detto che saresti arrivata! Elizaveta Hedervay, ungherese! –
La genovese le strinse la mano, ancora un po’ imbarazzata, poi chiuse la porta.
- Scusa se ti accolgo in mutande, mi stavo vestendo per la cena… Ti va di sederti al tavolo con me? Così facciamo amicizia! – continuò Elizaveta, che sembrava aver abbandonato tutto l’imbarazzo precedente e che ora si stava infilando un maglioncino della divisa scolastica.
- Sì, d’accordo… non credo che a Gilbert dispiacerà… - rispose, sussurrando la seconda parte. La compagna di stanza le indirizzò un’occhiata indecifrabile al sentir nominare l’albino, ma Marina non ebbe il coraggio di chiederle spiegazioni.
Era meglio non inimicarsi l’ungherese già dai primi minuti di convivenza…
- A proposito, Marina! Non mi hai detto da dove vieni! Sei portoghese? – continuò quella, sbirciando sotto il letto in cerca dei calzini.
La ragazza sorrise, abituata a quell’equivoco per via dell’accento.
- No, sono genovese… - e suo malgrado si lanciò per l’ennesima volta nel racconto di come si era ritrovata lì. Elizaveta ascoltò attentamente ogni singola parola senza aprire bocca, mentre la nuova compagna di stanza tentava di ricordare la combinazione del lucchetto della valigia.
- Ah, si! Avevo sentito parlare di te… Deve essere proprio una bella soddisfazione, eh! – e in quelle parole Marina non colse nemmeno un po’ di malignità, cosa di cui fu immensamente felice.
Annuì e aprì la valigia, iniziando a sistemare le sue cose nell’armadio di fronte a quello dell’ungherese. Avrebbe voluto farle un sacco di domande, ma temeva di sembrare invadente. Eppure quella Elizaveta le aveva fatto una buona impressione. Non sembrava una persona cattiva -o forse semplicemente superficiale- come Belle e MeiMei; dava l’impressione di essere una ragazza buona e disponibile, i suoi modi avevano un nonsoché di materno, nonostante quel velo di infantile eccitazione.
- Vieni! Non vedo l’ora di presentarti alle altre! – esclamò quando, fra un borbottio e l’altro, Marina riuscì finalmente a far scorrere fino in cima la zip della gonna a quadri.
La prese per mano e senza nemmeno aspettare una qualche replica la condusse fuori dall’edificio.
Nemmeno trenta secondi dopo, le gocce che erano rimaste avvinghiate alle nuvole per tutto il pomeriggio cominciarono a precipitare impietose costringendo le due a raggiungere l’edificio centrale di corsa. Entrarono in refettorio ridendo, poi Elizaveta si diresse a passo sicuro verso il primo tavolo, andando a sedersi accanto a una ragazzina minuta dai corti capelli biondi.
- Buonasera! Sesel? – domandò, guardandosi intorno.
- Buon… buonasera… - rispose quella con una vocina sottile, immediatamente sovrastata dall’impeto di una nuova eslamazione.
- Mi stavi cercando, chérie? Ero andata a salutare le sorelle celtiche, sono nella stanza accanto alla mia! – spiegò una terza studentessa, i codini tenuti fermi da due enormi fiocchi rossi, per poi lasciarsi cadere sulla panca dalla parte opposta del tavolo.
- Oh, ma abbiamo una new entry! – commentò, accortasi della presenza di Marina.
- E’ la mia nuova coinquilina! – spiegò Elizaveta, presentandola alle altre due.
- Co… condoglianze… sarà dura sopravvivere… - scherzò la bionda, presentandosi come Lili Zwingli, del Lichtenstein.
La genovese ridacchiò scuotendo la testa.
- Se sopporto mia nonna Liguria posso resistere a qualsiasi cosa! – commentò, subito interrotta da uno strano verso di Sesel, mezza soffocata nell’intento di ingoiare il couscous e parlare allo stesso tempo.
- Liguria? Quella Liguria? Ma allora tu sei la cugina di Fran! –
- Sì, lo conosci? – finalmente qualcuno che non la ricollegava a Roma!
Certo, anche Francis Bonnefoy, rappresentante della Francia, non era una parentela di cui vantarsi eccessivamente, ma gli era troppo affezionata per non provare una punta di orgoglio quando i loro nomi venivano accostati.
Alla sua domanda seguirono un paio di secondi di silenzio, poi Lili ed Eliza scoppiarono a ridere, tirandosi gomitatine decisamente esplicite.
- Eddai, piantatela! – fu l’urletto imbarazzato di Sesel.
- Ah, ora capisco molte cose… E poi fate le condoglianze a me? – e ancora giù a ridere.
- Marina! –
Le quattro si voltarono simultaneamente, ancora le lacrime agli occhi.
Gilbert Belischmidt, bagnato fradicio, se ne stava in piedi di fronte alla panca sulla quale erano sedute, il gesto di accomodarsi come bloccato sul nascere da una ragione che Marina non fu in grado di definire.
- Ciao Gil! – lo salutò, mostrandogli il posto vuoto al suo fianco per incentivarlo a sedersi.
Il ragazzo però non sembrava minimamente interessato alla panca di legno. Si passò una mano fra i capelli gocciolanti senza proferire parola, degnandosi di rispondere dopo un lungo silenzio.
- No grazie. Sarà per un’altra volta. – ma Marina comprese che non era stata altro che il filtro di quella frase fredda e quasi sgarbata. Nonappena l’albino ebbe preso posto accanto a un tipo biondo di cui non riuscì a scorgere il viso, la giovane si voltò verso le altre in cerca di spiegazioni. Lili aveva lo sguardo rivolto ad un altro tavolo, Eliza, a testa bassa, sembrava tutta concentrata nello sfogare chissà quale rabbia repressa sulla sua coscia di pollo. L’unica a considerarla fu la rapresentante delle Seychelles, che roteando lentamente l’indice le fece comprendere che le avrebbe dato spiegazioni in un momento più opportuno.
Imbarazzata da quel silenzio improvviso di cui non riusciva a comprendere la causa, decise di darsi un’occhiata intorno giusto per farsi un’idea degli altri compagni di scuola. Vi erano ancora parecchi posti vuoti, quindi dedusse che gran parte degli studenti doveva ancora cenare. Cercò con gli occhi due visi che sperava e temeva al tempo stesso di scorgere, e proprio quando le parve di riconoscerli sulla soglia del grande salone la vista le venne ostruita dall’enorme sorriso di Feliks.
- Ciao Marina! Tipo, possiamo sederci? –
E fu così che fu il turno di Toris e del polacco di presentarsi alle tre ragazze.
Chiacchierarono un poco scambiandosi le loro opinioni sul test di smistamento, esprimendo la loro speranza di capitare in una classe non particolarmente impegnativa, ossia non nella sezione di Hellas.
- Noi siamo con Germania, è un o-ottimo insegnante! – spiegò Lili.
- E siamo la classe con più donne dell’intero istituto! – si vantò Sesel.
- Ah, non riesco ad aspettare fino a domani mattina! Sono troppo curiosa di sapere in che classi finirete! – aggiunse l’ungherese.
- Speriamo di essere tutti insieme! – fu il commento di Toris, che probabilmnte non avrebbe potuto sopportare il pensiero di essere smistato definitivamente nella casse di Aegypt.
- Cioè, ma quando escono i risultati? Tipo domani prima di colazione o dopo? –
Sesel fece spallucce.
- Dipende. Di solito li comunicano dopo la colazione, ma può anche succedere che vi vengano a pescare uno per uno durante le ore di lezione… -
Toris e Marina si scambiarono un’eloquente occhiata di disperazione: con la fortuna che avevano sarebbero stati costretti a trascorrere tutta la giornata bersagliati dalle frecciatine di quelle due arpie.
Ma la stanchezza di quella giornata così intensa si fece presto sentire, e fra uno sbadiglio e l’altro il gruppo di amici convenne che era giunto il momento di andarsene a dormire. Marina rivolse un’occhiata veloce al tavolo degli insegnanti, ma suo nonno non la stava guardando, intento a discutere con Germania mentre Aegypt osservava schifata Persia tutto contento fra i suoi tre piatti di dolce. Vi era una sola persona in tutta la tavolata che fosse concentrata sugli studenti, e più in particolare sul gruppetto che stava lasciando la sala: Daphne Karpusi.
- Hellas! Diglielo! Diglielo che ho ragione! – il mugolio disperato di Roma la richiamò al suo tavolo.
- Eh? Cosa? Su cosa ha ragione? – fece, caduta dalle nuvole.
- La solita stupida discussione sul calcio. – sospirò Cleo.
- Diglielo che Totti è il calciatore più bravo di tutti! –
- Ma piantala, questo non fa della Roma la migliore squadra del mondo! – lo rimbeccò Germania.
- Chi è stato a qualificarsi per la Champions l’ultima volta? – continuò poi con un sorrisetto sornione.
- La vostra è stata solo fortuna! –
- Noi sono anni che non ci qualifichiamo nemmeno per i mondiali… - piagnucolò Persia, affogando il dispiacere nell’ennesima fetta di torta al cioccolato.
- Perché, voi avete una Nazionale di calcio? – Aegypt sembrava, più che stupita, quasi scandalizzata.
- Certo. Tutti hanno una Nazionale di calcio… - spiegò Hellas, sempre intenta ad osservare i grandi tavoli di fronte al loro. Non avrebbero potuto andarsene a dormire finchè la sala non fosse stata completamente vuota.
- Oddio, Serse, pietà! – sbottò improvvisamente l’egiziana, Persia bloccato a metà nel gesto di servirsi ancora una porzione di dolce.
- Tutto questo cibo non fa affatto bene alla tua… linea… - tentò di spiegargli, il labbro superiore arricciato in una smorfia di puro disgusto.
- Ma se mangio sempre almeno quattro porzioni! –
- Appunto. – fu il commento di Roma, che suscitò una risata generale.
Dopo un’altra mezzora di puro delirio anche per il corpo insegnanti giunse il momento di andarsene a dormire. Cleo, disperata perché con quell’umidità i suoi capelli sarebbero diventati peggio di una pecora delle Highlands scozzesi, fu costretta a farsi dare un passaggio sotto l’ombrello di Hellas, che ebbe l’involontaria premura di inclinarlo più dalla sua parte, rendendo vani i tentativi della collega di ripararsi dalla pioggia.
- Dannazione, Daphne! Ho tutti i piedi bagnati! – si lamentò.
- Certo che se avessi messo un paio di scarpe chiuse al posto dei sandali… -  fu il suo velato rimprovero.
- Scherzi? Io mica mi vesto da suora come te! – ribatté accennando al suo tailleur con un gesto della mano.
- Suora?! Io non mi vesto da suora! Sei tu che non sei adatta al contesto scolastico! – esclamò, appropriandosi definitivamente del cono d’ombra dell’ombrello con un gesto brusco e impettito.
- Ma che contesto e cont… Hey! Rimetti subito l’ombrello! Così mi scolo! –
- Dai ragazze, per favore… almeno il primo giorno sforzatevi di fingere di andare d’accordo! - esalò Ulrich, a cui, come agli altri due, non importava un granché di essere già bagnato fino al midollo.
Eh sì, un nuovo anno era incominciato in quella che per Hellas altro non era che una scuola di matti.
A quel punto non restava che decidere chi fosse più sano fra insegnanti e studenti…





Note


Buonsalve a tutti!
Eccoci qui con il secondo capitolo... Mi scuso subito se troverete degli errori di battitura, ma per motivi ancora ignoti non mi funge più la correzione automatica. Ho fatto del mio meglio, ma temo che ci siano ancora errori ovunque... ^^"
Ebbene, abbiamo avuto modo di conoscere un po' meglio la nostra Daphne e il resto di quegli schizzati del corpo insegnanti...
Per quanto riguarda le ragazze è la prima volta in assoluto che mi ritrovo a scrivere su di loro, quindi chiedo scusa se le ho un po' snaturate, ma prometto che migliorerò col tempo! XD
Grazie mille a chi ha recensito, messo la storia tra le seguite/preferite e chi ha anche solo letto.
Kisses,
Koori-chan

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