Anime Incerte di SparkingJester (/viewuser.php?uid=130390)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ideali ***
Capitolo 2: *** Sintomi ***
Capitolo 3: *** Strani Comportamenti ***
Capitolo 4: *** Titani ***
Capitolo 5: *** Oblio ***
Capitolo 1 *** Ideali ***
Occhi
azzurri scrutavano il campo di battaglia; capelli bianchi e lunghi
seguivano i movimenti della testa da sotto la corona dorata; la lingua
faceva capolino da una barba corta color rame per inumidire le labbra;
con lo spadone in mano, il mantello in spalla e i piedi nelle staffe
l’Imperatore diede finalmente la carica:
<<
Avanti! >>
Il
suo possente frisone non si mosse al passaggio di migliaia di suoi
simili lanciati all’attacco con feroce impeto.
L’imperatore fissò l’orizzonte: le forze
nemiche stavano avanzando con passo lento e deciso, con picche, scuri e
scudi alti. Il vento, causato dal passaggio dei cavalieri,
sollevò i capelli di Bihares che, colto da una scarica di
adrenalina e col sorriso sulle labbra, si lanciò
anch’esso alla carica per sconfiggere l’avversario
di tutta una vita: Surga, Re Anziano dei Suriaki.
Le
due armate si infransero l’una sull’altra:
cavalieri imperiali impalati dalle picche, soldati suriaki travolti dai
possenti destrieri. Tra Impero e Suriaki vi era sempre stata guerra; in
pochi ricordano di una collaborazione o di una pace tra le due potenze.
L’una governa sulle terre dell’Ovest,
l’altra sui deserti dell’Est e i motivi dei loro
contrasti non potevano essere che di natura economica: entrambe
volevano ciò che l’altra possedeva e nessuna delle
due si accontentava di ciò che aveva.
Scudi
accartocciati dai martelli, teste trafitte da lance, spalle recise da
spade: ecco come finivano la maggior parte delle dispute tra i due Re:
nel sangue, nella morte.
La
cavalleria imperiale era solo un diversivo; dalle retrovie un
battaglione di fanti pesantemente corazzati avanzava in formazione
serrata: sarebbe stato facile assegnare la vittoria
all’Impero, erano in superiorità numerica e meglio
equipaggiati. I soldati suriaki iniziarono infatti ad avere
difficoltà nell’affrontarli: le spade leggere e
sottili degli orientali non potevano scalfire le corazze temprate dei
fanti imperiali, spesse svariati centimetri, e di certo non era facile
colpire le giunture tra un pezzo e l’altro
dell’armatura. Ma i suriaki, benché meno numerosi
e diversamente armati, erano da sempre i migliori strateghi: un corno
risuonò nel marasma della battaglia. Urla di dolore, di
rabbia, di morte, smisero di uscire dalle gole di migliaia di soldati.
La battaglia sembrò fermarsi. Un brivido di paura scosse gli
imperiali, uno di speranza attraversò i suriaki.
Due
possenti macchine da guerra attraversarono l’orizzonte
riuscendo miracolosamente a piazzarsi nel bel mezzo del campo di
battaglia senza essere sfiorate dalle forze avversarie. Le ruote
vennero tolte, le basi fissate a terra. Due sfere di ferro, legate con
una catena, vennero fatte penzolare a tre metri da terra: uno stregone
iniziò a formulare strane litanie e a bagnare le sfere con
un liquido. Le sfere iniziarono a brillare e gli sguardi imperiali
erano fissi su di esse. Ogni soldato suriaki estrasse dalla cintola un
paletto e lo conficcò, in fretta e furia,
nell’armatura del soldato nemico più vicino. Lo
stregone finì di preparare le macchine, tirò una
leva e le sfere si mossero: un flash. Fumo e puzza di carne bruciata
iniziò a riempire il campo. Bihares non riusciva a crederci,
non sapeva cosa dire, cosa ordinare: le sfere si erano toccate e tutti
i soldati con un paletto addosso furono colpiti da una scarica
elettrica, un fulmine. Lo sguardo dell’imperatore si muoveva
frenetico sul campo dove guerrieri suriaki posizionavano altri paletti
nei corpi dei loro avversari, inermi alla loro velocità e
sveltezza di mano, inermi alle loro magie. Le sfere si mossero ancora,
si toccarono ed esplosero. Altri soldati caddero, altro fumo si
levò.
All’imperatore
non restò altro da fare: estrasse uno strano corno a spirale
e, con forza, richiamò la “sua” arma
segreta. Con il corno in mano e il volto soddisfatto per
l’imminente vittoria, Bihares spalancò le braccia
e salutò i nuovi arrivati:
<<
Cavalieri dei Draghi, rendetemi fiero di voi! >>
Tre
grandi figure attraversarono il cielo oscurando il sole e tutti i
soldati sotto di loro.
Una
di esse si appollaiò sull’altura dal quale
l’imperatore aveva dato la carica, l’altra
atterrò su una delle macchine da guerra mandandola in pezzi
e l’ultima rimase a volare in circolo, come un condor a
caccia di carogne.
Eito,
dall’altura, osservava seduto a gambe incrociate sulla testa
del suo drago, Tolus. Alto più del normale e col fisico di
un atleta, era uno dei cavalieri più rispettati
dell’Impero: indossava una casacca priva di maniche, lunga
fino alle caviglie e legata con una cintura. I volti di drago e
cavaliere erano simili: il drago aveva una testa affusolata, lunga e
liscia, senza occhi e con due strette fessure per naso; Eito invece
portava sempre un velo di fronte al viso e i capelli sempre nascosti
sotto ad una cuffia. I colori delle sue vesti, bianche e azzurre,
rispecchiavano la sua personalità e i suoi modi di fare,
nonché il suo titolo: il Pacifista.
Bihares
si voltò verso quest’ultimo come per ricevere una
conferma e un cenno del capo da parte del cavaliere placò le
sue paure. L’imperatore, il condottiero
dell’armata, poteva tornare sul campo di battaglia in tutta
tranquillità, sicuro che nessun soldato nemico sarebbe mai
riuscito a toccarlo, non con il Pacifista a coprirgli le spalle.
In
volo vi era Algos, la Guida dei Falchi, a cavallo del suo irto drago,
Baton. Considerato il miglior arciere dell’impero, Algos
rendeva onore al suo di titolo: mira infallibile con ogni tipo di arma,
occhio svelto. Un soggetto iperattivo, attento ad ogni minimo
movimento, obbediente e paranoico. Forse il miglior soldato che un
generale possa desiderare se non fosse per la sua schizofrenia, la
quale spesso riduce il povero cavaliere alla solitudine o
all’emarginazione per paura di un qualche attacco
d’ira.
Protetto
dalla sua armatura d’osso, con occhi verdi sgranati e coi
corti capelli al vento, Algos faceva strage di nemici
dall’alto col suo elaborato arco in ebano. Per grande
sfortuna dei nemici però non erano frecce quelle che
partivano da quell’arco, ma altre ossa. Baton era un drago
particolare cresciuto con una strana abilità: quella di
mutare continuamente le proprie squame e rigenerarle
all’istante se queste fossero state in qualche modo
danneggiate. Il vantaggio più grande per Algos,
però, era che le squame non erano neanche minimamente simili
a quelle degli altri draghi bensì erano enormi lance
d’osso. Bastava sfilare una lunga e affilata squama,
incoccarla e mirare; la morte era assicurata e il nemico a volte veniva
anche sbalzato a qualche metro di distanza con forza spaventosa. Spesso
Algos si divertiva a combattere corpo a corpo utilizzando le
“frecce” più grandi come lance o come
giavellotti. Ma questa volta, dalla schiena del suo drago, quasi fosse
una faretra di frecce infinite, la Guida dei Falchi massacrava i
suriaki trapassando anche due o più nemici insieme,
disarcionando cavalieri o impalando nemici al terreno.
Ma
il vero pericolo per i suriaki era a terra, proprio su una delle loro
amate macchine da guerra: Cikra il Dragone, seguito da Vantos, il Drago
Nero. Il nero era infatti il principale colore che ricopriva i due:
nere le squame del drago, nere le fiamme che sputava sui nemici
indifesi e nera la pelle del cavaliere che insieme alla lucente
armatura, donava a Cikra un aspetto maestoso e spaventoso. Maglio alla
mano, era una leggenda vivente e si diceva fosse inarrestabile. Forse
mortale, forse immortale. Le sue parole risuonarono nel silenzio del
campo:
<<
Facciamola finita in fretta, ho una cena in sospeso! >>
La
voce, profonda, bassa e minacciosa, spaventò a morte tutti.
Il Dragone stava per mostrare la fonte del suo immenso potere e
l’origine della leggenda della sua immortalità:
Vantos si sollevò su due zampe, spalancò le ali e
ruggì potente come non mai. Molti si strinsero le orecchie e
contemporaneamente assistettero ad uno spettacolo unico: il drago stava
lentamente svanendo, si trasformava in fumo e il suo ruggito si
arrestò nell’aria. Lo strano fumo però
era risucchiato da qualcosa che proveniva da terra: l’ombra
del suo padrone. Cikra aveva gli occhi completamente bianchi, le
braccia tremavano, il maglio cadde a terra. L’ombra
catturò tutto il fumo, assorbì l’intero
drago nero. E iniziò la magia: le componenti della corazza
di Cikra iniziarono a cadere lasciandolo a petto scoperto. Le ossa
iniziarono a fremere e poi a spaccarsi rumorosamente. Il cranio si
gonfiò e, all’altezza della nuca, due ossa
acuminate fuoriuscirono. Le spalle si allargarono e delle placche ossee
strapparono la pelle e andarono a coprire spalle e avambracci. Le
nocche divennero irte di ossa e il petto insieme alle costole si
dilatarono mostrando anch’essi delle placche ossee nere come
la pece. Cikra il Dragone si era ormai trasformato in un mezzo-drago.
Un ibrido con la forza e i poteri di un drago e con la coscienza e
l’intelletto di un uomo. Un sorriso bianco stagliò
sul nero del viso:
<<
Che inizino i giochi. >>
Detto
questo, le guance si gonfiarono e un’intensa fiammata nera
carbonizzò decine di nemici. Altri tentarono di attaccare e
di penetrare le ossa con spade, lance e asce ma
l’esoscheletro del drago era più resistente del
previsto. Possenti pugni sfondarono teste, poderosi urli fecero volare
soldati. Recuperato il maglio, Cikra era ormai in preda ad una furia
omicida.
Un
anziano, stanco e sdraiato su un trono di cuscini, osservava i
cavalieri di Bihares devastare le sue truppe. Barba lunga e bianca,
corona sulla testa e rughe sul volto, Surga era ormai allo stremo delle
forze.
<<
Vassor… >>
La
voce, flebile e rauca, era pronta ad impartire il suo ultimo ordine:
<<
Vassor…Vieni qui. >>
<<
Si, maestà. Eccomi. >>
Svariati
colpi di tosse resero l’immagine del potente Re Surga solo
quella di un vecchio malato e in fin di vita.
<<
Le nostre forze stanno per essere sbaragliate, i mercenari sono in
rotta e non abbiamo più rinforzi. >>
Un
dito rinsecchito fuoriusciva dalla manica delle rosse vesti sfarzose;
indicava il campo di battaglia, al sicuro dal trambusto, dalle polveri,
dal sangue e dalle urla in un baldacchino sull’alto di una
collina, protetto da un manipolo di forze d’elite.
<<
Hai il permesso di attuare il tuo piano. Fallo, fallo per il bene dei
Suriaki. Poni fine alla guerra… >>
Il
volto di Vassor, giovane e delicato, divenne deciso e pieno di rabbia.
<<
Non la deluderò, maestà. >>
Il
giovane si strinse gli ultimi lacci dell’armatura, prese con
se un pugnale e una pietra con sopra incisa una runa e li ripose nel
cinturone. Voltatosi verso l’Anziano Re, si
inchinò per poi proseguire in sella ad un cavallo senza dire
una parola e con le lacrime al viso.
Vedendolo
andar via, Surga parlò tra se e se:
<<
Buona fortuna, figlio mio… >>
La
battaglia era ormai agli sgoccioli: Cikra e Algos stavano ripulendo il
campo dagli ultimi soldati rimasti mentre Eito teneva
d’occhio il suo imperatore mentre errava alla ricerca di
qualche nemico facile da sconfiggere. Alla sua età Bihares
non era più un valoroso guerriero ma la sua
volontà era più forte di qualsiasi ramanzina dei
suoi fedeli consiglieri e, spesso, si ritrovava a vagare da solo per il
campo di battaglia.
Vassor,
abbandonato il cavallo, attraversò rapido le file alleate
scavalcando cadaveri e schivando fendenti ma senza troppi problemi
riuscì a giungere al cospetto di Cikra. Intorno a lui una
macchia di morte: cadaveri mutilati, ustionati, carbonizzati e
maciullati. Il Dragone era intento a spezzare una formazione di scudi
suriaki e di sicuro non poteva capitare momento migliore. Vassor
uscì allo scoperto, sotto gli sguardi terrorizzati dei suoi
compagni, e si diresse verso l’enorme guerriero. Vassor era
decisamente più basso del cavaliere posseduto e sembrava che
quest’ultimo non avesse neanche notato la presenza del
piccolo intruso. Dopo un attimo di esitazione, il principe estrasse la
pietra con la runa e con il coltello ne seguì
l’incisione. Una volta finito, la lama iniziò a
surriscaldarsi. Divenne incandescente e con forza Vassor la
conficcò nel fianco del possente Dragone,
all’altezza del rene. I soldati, sia nemici che amici, non
poterono credere ai loro occhi. Un singolo colpo, una singola
pugnalata, aveva scalfito l’impenetrabile corazza di Cikra
dove già altre asce e spade avevano tentato senza risultati.
Lo stesso cavaliere nero si voltò stupefatto e con un
sorriso soddisfatto parlò:
<<
Oh, complimenti. Sei il primo che ci riesce, ma mi dispiace. Addio.
>>
Un
veloce manrovescio scaraventò Vassor in aria facendolo
atterrare su un mucchio di cadaveri. Con la schiena dolorante e col
respiro mozzato, il principe benedì l’imbottitura
di squame di Viverna della sua corazza leggera e col cuore in gola
trovò le forze per alzarsi. In lontananza Cikra era ancora
intento a massacrare i suoi compagni ma il principe non poteva perdere
tempo.
<<
Devo trovare qualcosa. Ma cosa? >>
Lo
sguardo si mosse in ogni direzione, il collo e tutti i muscoli
tremavano ancora per il colpo ricevuto. Qualcosa catturò la
sua attenzione: un bagliore. Vassor si mosse, fortunatamente era in una
zona ormai piena di cadaveri e poté muoversi liberamente
senza essere attaccato. Finalmente individuò la natura di
quel bagliore: la corona dell’imperatore. Bihares cavalcava
in quel mare di corpi senza vita alla ricerca di un nemico e i due non
poterono che incrociare i loro sguardi: Bihares si paralizzò
notando la divisa di Vassor. Eito era la guardia del corpo
dell’imperatore e avrebbe fatto di tutto per impedire al suo
sovrano di farsi del male, ma l’imperatore si accorse che il
suo protettore era momentaneamente distratto, concentrato su un grosso
soldato suriaki che stava apparentemente tenendo testa a Cikra con la
pura forza bruta. Dopo attimi di silenzio e immobilità,
Bihares diete un’occhiata fugace verso Eito, poi verso Vassor
e infine si lanciò alla carica con sguardo feroce. Vassor
era pronto, estrasse il pugnale e con mano rapida ripeté
l’operazione con la runa sulla pietra. Bihares
sollevò la spada a pochi centimetri dal nemico ma per Vassor
fu piuttosto semplice: si spostò di un passò
lateralmente. Il colpo andò a vuoto e Bihares, perso
l’equilibrio, cadde da cavallo e batté forte la
schiena contro il terreno, perdendo la corona. Il principe
approfittò di quel momento e praticò un piccolo
foro sulla corona dell’imperatore. Una volta finito,
indietreggiò di qualche passo con aria soddisfatta fissando
Bihares. Prese un cadavere e lo posizionò nel punto in cui
lui avrebbe dovuto essere e lasciò che il vecchio
imperatore, una volta ripresosi dal colpo, credesse di aver finalmente
ucciso qualcuno.
Vassor
si allontanò correndo e una volta fuori dal campo visivo,
Bihares si risollevò da terra osservando con volto dolorante
l’operato della sua spada. Soddisfatto, estrasse il corno e
suonò. La vittoria era sua, l’Impero aveva vinto.
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Capitolo 2 *** Sintomi ***
Un
forte odore di fard e altre sostanze inquinava la piccola stanza.
Ragazze con abiti verdi e aderenti truccate come bambole, uno strano
individuo intento a mescolare ferocemente un mazzo di carte, un vecchio
equilibrista pronto ad indossare i trampoli: il circo privato
dell’imperatore.
<< Vasher, vieni qua. Corri a vedere! >>
Da una marcia tettoia in legno, il richiamo giunse alle orecchie del
diretto interessato:
<< Dammi solo un secondo. >>
Il giullare di corte sistemava meticolosamente le pieghe
dell’abito assicurandosi contemporaneamente che le sue
espressioni facciali risultino il più veritiere possibili.
<< Dai, sbrigati, stanno passando! >>
<< Dannazione, eccomi! >>
Con uno scatto degno di un atleta, Vasher schizzò tra i suoi
colleghi, attento a non urtare nessuno. Salì rapidamente le
scricchiolanti scalette e si affacciò ad una feritoia con
Bulbo, un bambino apprendista lanciatore di coltelli.
<< Sono così…
così… meravigliosi. >>
Bulbo andava matto per i cavalieri dei draghi; per lui erano come degli
Dei scesi in terra, delle fonti di ispirazione, dei modelli da seguire.
Per Vasher erano solo le fedeli guardie dell’imperatore,
disposte a morire per la patria. Si sentiva fortunato: loro erano
pagati per lottare e rischiare la vita, lui solo per far ridere
Bihares, niente di più facile e sicuro.
La feritoia si affacciava su un agglomerato di edifici ma, oltre i loro
tetti, si poteva godere della vista della strada principale dove in
quel momento sfilava la parata in onore della vittoria contro i suriaki.
La vista dei possenti cavalieri ora libratisi in aria fu interrotta da
un urlo agghiacciante:
<< Aaaaah! >>
Tutti si voltarono spaventati, con il cuore a mille. Vasher, di
risposta, estrasse un pugnale da lancio dalla cintura e fu pronto ad
agire.
<< Ho sbavato l’ombretto! >>
Il clima di paura gelò immediatamente sostituito da uno di
furia omicida nei confronti di Gilla, una sfacciata ex-prostituta senza
cervello adottata come ballerina.
Gli animi si calmarono e i due abbandonarono la feritoia.
<< Quella Gilla, non la sopporto più. Giuro
che un giorno sbaglierò a lanciare un coltello.
>>
Bulbo era nervoso, non gli piacevano le storie del terrore e odiava chi
lo faceva spaventare.
<< E poi dirò che sei stato tu.
>>
Vasher lo fissò con sguardo minaccioso ma
l’incrocio con lo sguardo di Bulbo si trasformò in
una risata sfrenata.
<< Sei un moccioso subdolo, lo sai? Ringrazia che nello
spettacolo di oggi non ti hanno accoppiato con me o te la saresti vista
brutta! >>
<< Oh, ma che paura! >>
<< Che fai? Il sarcastico? Sei ancora un dilettante e hai
solo dieci anni, non fare il precoce! >>
I due risero ancora ma al Cappone, il capo di tutti gli artisti di
corte, la cosa non andò giù.
<< Signori? Vi prego. Non è una delle solite
esibizioni settimanali. Questa è più importante,
vi saranno anche i tre cavalieri! Voi ricordate un singolo giorno di
tutta la vostra carriera in cui uno di quegli eroi ha assistito ad una
delle nostre performance? Non credo proprio. Diamine! Non lo ricordo
nemmeno io che ho più anni dell’imperatore stesso!
Finite di prepararvi e iniziate a ripassare le scene. Arriveranno a
momenti a palazzo! >>
<< Non si preoccupi, Boss. Mi esibirò nei miei
numeri migliori! >>
<< Si, Vasher. È proprio quello che faranno
tutti. Poco esibizionismo, più professionalità.
Datti da fare e vai a sistemarti quei calzari! Sembri mio nipote
tornato dalla pesca nel fiume. >>
Il povero clown fissò i suoi piedi: calzari aperti da un
lato, calzini di fuori e piedi sporchi in bella mostra.
<< Non erano così quando le ho indossate,
giuro! >>
Un gesto con la mano del Cappone fu più che sufficiente.
Trampolieri, giocolieri, domatori di belve feroci come tortore e gatti,
ballerini, lanciatori di coltelli e mangiafuoco erano in fermento,
muovendosi caoticamente in quel misero camerino che era stato
gentilmente concesso loro dal personale delle cucine. Non
c’era tempo, la parata stava per tornare e non ci sarebbe
voluto molto prima che Bihares chiudesse il discorso di ringraziamento
e venisse a rilassarsi di fronte ad un lauto pasto e ad uno spettacolo
coi fiocchi seguito dai suoi fedeli cavalieri. L’ansia era
tangibile.
Toc toc toc. Qualcuno bussò alla porta. Tutti si voltarono:
strano, il gruppo era al completo e solitamente nessuno disturbava gli
artisti. Si sentì ancora bussare. Il Cappone, spaventato, si
avviò alla porta e gridò:
<< Chi va là? >>
<< Il Circo della Luna! >>
Vi fu una ventata di stupore generale, una di disgusto per il Cappone e
una di felicità per Vasher. Questo poteva significare una
sola cosa: Sambo!
Il capo-comico aprì la porta e all’interno si
riversarono altri cinque elementi, tutti colorati e sorridenti,
già truccati e attrezzati.
<< Siamo venuti a darvi una mano! >>
A parlare era proprio Sambo, un vecchio e caro amico di Vasher.
<< Ma che ci fate, voi ciarlatani, qui!? >>
<< Oh, si calmi signore. Siamo solo di passaggio. Siamo
diretti a Sud ma abbiamo saputo della vittoria
dell’Imperatore e abbiamo deciso di fare una capatina,
offrendo i nostri servigi in cambio di una sistemazione. Siamo
accampati alla piazza d’armi, tanto, a quanto ho capito, i
poderosi cavalieri dei draghi non ne hanno più bisogno per
ora! >>
Il Circo della Luna era una delle più grandi compagnie di
girovaghi dell’impero. Decine di illusionisti, comici e
atleti ingrossavano le sue fila e viaggiavano spesso in grosse carovane.
<< Che il Dio Kerma mi protegga, fortunatamente siete
solo in cinque. Sarebbe stato un problema se voi e la vostra masnada di
dementi aveste invaso il palazzo reale. Qui comandiamo noi,
è territorio nostro. Rimanete pure, ma niente scherzi!
>>
<< Come? Niente scherzi? Siamo qui per far ridere!
>>
Bulbo andò a nascondersi dietro una botte poiché
il volto di Sambo incuteva timore più che una risata.
Una maschera bianca con due fessure per gli occhi affusolate e sottili
e una identica per la bocca fissava il Cappone mentre Vasher, alle sue
spalle, si avvicinava con fare disinvolto. Gli occhi e i capelli scuri
del giullare di corte si abbinavano perfettamente alla divisa blu notte
ma il volto scoperto e malamente truccato non dava
credibilità al personaggio. Sambo invece, oltre alla
maschera, era perfettamente vestito: colori chiari di tutte le
tonalità e un cappello con un unico sonaglio lo rendevano
riconoscibile anche a kilometri di distanza.
<< Ma guarda chi c’è
laggiù che fa l’indifferente. Vasher, è
cosi che si accoglie un amico? >>
<< Sambo, è cosi che si abbandona un amico? Mi
hai lasciato in quella stupida osteria, mezzo sbronzo e senza soldi. Ho
lavorato per due giorni per ripagare tutto ciò che avevamo
bevuto. Sei un ladro. >>
<< E anche un truffatore. E un infedele. E un puzzone. E
un assassino. >>
I due si misero faccia a faccia. Si fissarono con aria di sfida, o
almeno lo fece Vasher dato che del suo amico non era possibile
intravederne gli occhi.
Ma il broncio non poté durare molto e i due si abbracciarono
calorosamente.
<< Smutandata! >>
I logori calzoni di Vasher si allungarono fino alle spalle e, tra le
risate di Sambo e di tutti i presenti, una testata raggiunse le costole
del giullare della Luna che cadde a terra tra lacrime di dolore e
divertimento.
<< Sei sempre la solita testa calda! Ahahah!
>>
<< Sei sempre il solito Sambo. Un perfetto idiota!
>>
Il dolore alle costole sembrò svanire tutto d’un
tratto, il giullare tornò in piedi, mise una mano in tasca,
ne estrasse un cilindretto e lo diede in mano a Vasher.
<< Sbattilo sulla tua mano e guarda che rumore che fa.
E’ un nuovo giocattolo in dotazione ai membri del Circo della
Luna. >>
L’amico seguì ignaro le istruzioni e il piccolo
cilindro esplose rumorosamente in un lampo blu.
<< Brucia! >>
Le risate continuarono e i colleghi della Luna presero posto tra gli
artisti, pronti ad esibirsi.
La sala del trono sembrava l’interno di una chiesa: due
piccole navate laterali accompagnavano una grande navata centrale verso
l’altare dove risiedevano i due troni, ora occupati da
imperatore e imperatrice. Un lungo tappeto rosso, grosse colonne di
marmo bianco e antichi arazzi alle spalle dei troni rendevano questa
una delle sale più stranamente arredate del palazzo ma
altrettanto degna di attenzione. Bihares e la sua consorte sedevano con
ampi sorrisi sui loro troni, circondati dagli scranni dei Tre Cavalieri
di Drago e dai consiglieri e con alle spalle un nutrito gruppo di
spettatori, ovviamente di nobili natali privatamente invitati, ad
assistere allo spettacolo che di lì a poco sarebbe iniziato.
Tutti parlavano, tutti sussurravano e, con pancia piena e labbra umide
di vino, la tensione della battaglia era svanita completamente
sostituita da un piacevole rilassamento. Algos sorseggiava un bicchiere
di vino, muovendo il collo a destra e a sinistra con aria disinvolta ma
Eito il Pacifista era irrequieto,aveva notato qualcosa durante il
discorso di ringraziamento e dell’imperatore: il suo collega,
Cikra, non stava molto bene. Lo aveva visto stropicciarsi gli occhi e
battere velocemente le ciglia ed ora se ne stava seduto al suo posto,
senza prendere parola con nessuno e con lo sguardo fisso a terra o, per
meglio dire, perso nel vuoto. Ma la sua mente venne svegliata da un
poderoso colpo di tromba e dall’entrata in scena di un
giovane ragazzo coperto da pellicce che annunciò lo
spettacolo e gli artisti che avrebbero intrattenuto il pubblico.
Poche parole e le porte infondo alla sala si spalancarono riversando di
fronte all’imperatore e ai cavalieri un’ondata di
colore, frenetici movimenti e note coinvolgenti: ballerine saltarono di
qua e di là con lacci colorati, piroettando e contorcendosi
continuamente mentre agili saltimbanchi percorsero tutto il tragitto,
dalla porta ai troni, eseguendo fantasiosi salti mortali. Tutti
rimasero estasiati da tale spettacolo e molti iniziarono anche a
battere le mani a ritmo dei violini e dei tamburi dei musicisti che
avevano praticamente circondato gli artisti, formando un cerchi dentro
al quale si sarebbero esibiti.
Bihares stringeva la mano della moglie ed entrambi godevano dei
prodigiosi inganni di illusionisti e prestigiatori, abili nel far
sparire e riapparire monete, predire carte e trapassarsi a vicenda con
le mani.
Eito rimase più che altro allibito di fronte alla magnifica
mira di un ragazzino: il giovane lanciava coltelli con una
velocità e una mira degni di un assassino; infilzava delle
mele legate ad un gatto ammaestrato che aveva il compito di saltare a
destra e a sinistra per rendere il numero ancora più
difficile e coinvolgente dato che di tanto in tanto si avvicinava agli
spettatori suscitando paure e risate. Algos invece rimase estasiato dal
canto angelico di una dolce ma paffuta fanciulla la quale intonava una
nota dopo l’altra in una serie di canti tradizionali resi
ancor più orecchiabili e soavi del normale. Ma
ciò che preoccupava Eito era ancora Cikra: non si era mosso.
Era tornato a fissare il vuoto ma un sorriso stampato in faccia tradiva
lo stato della sua salute.
Vasher era nervoso e tremava mentre Sambo sembrava rilassato e
disinvolto. Entrambi erano fermi, in posa uno di fianco
all’altro di fronte all’intero pubblico che,
attratti dalle parole del giovane in pelliccia che presentava il loro
numero, erano concentrati ancor di più sulle loro figure.
<< Spero solo che siano abbastanza ubriachi da non
seguirci. >>
Sussurrò a denti stretti Vasher cercando di mantenere un
sorriso convincente sul viso.
<< E smettila di preoccuparti. Guardali, in pochi ci
seguiranno. >>
In effetti l’imperatrice era felicemente poggiata sulla
spalla del marito con occhi chiusi e lui muoveva ancora la testa
rievocando il ritmo della canzone precedente. Parte dei nobili parlava
in piccoli gruppetti, altri, più ubriachi, rimanevano
appoggiati ad alcune colonne con aria assente. Molti consiglieri, per
lo più anziani, erano già andati via e dei
cavalieri dei draghi, solo uno, il Pacifista, sembrava prestare
attenzione. Uno era crollato ubriaco sul suo scranno e
l’altro era come intontito, forse per la stanchezza.
Il giovane impellicciato finì il suo amabile discorso e i
due giullari cambiarono posa, pronti ad iniziare. Vasher tremava
ancora, incapace di mantenere quella posizione così contorta
per un periodo così lungo ma il suo sguardo, oltre che
affaticato, era sereno. Sambo, dalla parte opposta, col suo unico
campanellino e con la sua maschera bianca, era immobile come una statua
ma un leggero movimento ondulatorio della sua testa tradiva il suo
nervosismo: nonostante fosse un giullare di lunga data, esperto e
preparato, era pur sempre uno spettacolo di fronte
all’imperatore e ai sacri cavalieri.
D’un colpo, un tonfo scosse i presenti. Vasher perse
l’equilibrio a causa della tensione e cadde rumorosamente a
terra. Cikra era svenuto. Il Dragone, il possente cavaliere ritenuto
invincibile, era caduto dal suo scranno battendo il volto sul rosso
tappeto. Eito era saltato in piedi ed era corso per verificare lo stato
del suo compagno mentre Algos stava ancora stropicciando gli occhi,
incuriosito. I nobili iniziarono a formare un cerchio, mentre
l’imperatore osservava dall’alto. Vasher non
poté che sgattaiolare tra le gambe dei presenti per giungere
ai piedi del grosso cavaliere: ansimava, ma era vivo e sudato come non
aveva mai visto in vita sua. Il giullare fece per dire qualcosa ma si
accorse di non essere in compagnia: Sambo stava eseguendo il numero da
solo, come se nulla fosse successo.
Vasher, sconsolato, sussurrò:
<< Ah già. Mi ero dimenticato. >>
Sambo era sempre stato sveglio e abile ma ogni tanto era colto da
“momenti di bassa lucidità” come li
chiamava lui, che lo rendevano estremamente ridicolo, imprevedibile e,
in situazioni come queste, pericoloso. Fortunatamente nessuno
prestò attenzione a lui o sarebbe stato impiccato sul posto.
Il Pacifista urlò:
<< Presto, levati di mezzo! Algos, dannazione aiutami a
sollevarlo. >>
I due sollevarono il compagno caduto e lo misero braccia in spalla.
<< Mio Signore, lo condurremo nei suoi alloggi. Ci mandi
dei medici appena può e qualcuno a controllare il suo drago.
>>
Sotto gli occhi incuriositi degli invitati, quelli spaventati
dell’imperatore, quelli confusi di Vasher e di fronte al
balletto di Sambo, il Dragone venne condotto in direzione dei suoi
alloggi.
<< Non dovrebbe essere difficile. >>
Il principe estrasse la lama dalle costole, la conficcò tra
gli occhi e i lamenti di dolore della guardia vennero messi a tacere.
<< Basta sembrare convincenti, sembrare sconvolti.
>>
Un calciò spezzò un ginocchio, un pugno
slogò un’altra mandibola. Le guardie caddero a
terra.
<< Magari qualche lacrima. Oh, dimenticavo! Devo sporcami
di sangue. >>
La lama affondò nella gola del soldato ormai privo di
ginocchio e un calcio fratturò l’osso del collo
della guardia svenuta.
<< Questo dovrebbe bastare. Via la lama. Fuori le
lacrime. >>
Vassor attraversò la fitta pineta con andatura da passeggio
nonostante fosse notte, gettò via il suo coltello, la pietra
con la runa e la divisa dei suriaki, sostituendola con
un’armatura imperiale. Dopo ore di cammino, la luna era ormai
alta nel cielo e le stelle sembravano una miriade di occhi brillanti.
Il monastero era vicino e il piano di Vassor stava finalmente per avere
luogo.
<< Ci siamo. Non deludetemi, maledetti fanatici.
>>
Un edificio fatiscente, una baracca, si presentava di fronte a lui
quasi chiedesse pietà. La struttura sembrava stesse per
crollare da un momento all’altro e a parte
dell’edificio mancavano le pareti o il tetto.
Un porta di legno marcio si spalancò al suo arrivo e un
anziano, con barba lunga e privo di capelli, gli si parò
davanti:
<< Soldato, sei molto lontano da casa. >>
<< S-signore, chiedo pietà. >>
Lacrime iniziarono a macchiare il viso insanguinato di Vassor.
<< S-sono sopravvissuto alla battaglia. Mi sono svegliato
e i miei compagni… erano… erano tutti morti.
S-sono pentito, padre! >>
<< Di cosa stai parlando, ragazzo? >>
Il volto del vecchio passò da spaventato a comprensivo.
<< Avete capito bene, padre. Voglio convertirmi. Non
voglio più combattere, non toccherò mai
più una spada. Non ucciderò più.
>>
<< Questo è un bene, figliolo. Ma come posso
aiutarti? >>
<< Accettandomi come adepto, padre. Lo sapete anche voi
che tutti a palazzo non credono in Dio. Fanno solo finta di credere, la
tradizione lo richiede. E anche io ero come loro. Ma ora sono cambiato,
credo che Kerma, il dio dragone, esista e che ci protegga tutti. Mi ha
protetto, me, che avevo un animo debole e indeciso. Mi ha mostrato la
sua esistenza e mi ha donato una seconda possibilità. Mi
lasci prendere i voti, padre. Voglio seguirlo! >>
Il vecchio sacerdote sembrò addolcirsi e, afferrata la mano
insanguinata del povero soldato, lo condusse all’interno.
Un sorriso beffardo sostituì le finte lacrime di Vassor e,
oltre la porta di legno marcio, un nuovo mondo gli si
presentò.
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Capitolo 3 *** Strani Comportamenti ***
Gli
avvenimenti della notte precedente avevano già fatto il giro
di mezza città. Vasher e Sambo, immersi in una puzzolente
osteria, non facevano altro che sentir parlare del Dragone, sempre e
solo di Cikra.
<< Per tutti gli dei, ho fatto un’esibizione da
urlo. E nessuno mi ha guardato! >>
<< Certo, eri l’unico idiota che non guardava
un cavaliere di drago a terra mezzo morto. >>
<< Bhé, scusa tanto se non mi interessa!
>>
<< Bhé, scusa tanto se la performance di un
imbecille mascherato è più noiosa di un cavaliere
invincibile svenuto. >>
<< Mmh… Non male come idea. >>
Vasher osservò sbalordito il suo compagno, sbalordito
dall’assenza di un filo logico nei suoi discorsi.
Entrambi stavano seduti ad un tavolo, posto in uno degli angoli
più bui del tetro locale in cui si erano rifugiati da
praticamente tutta la mattinata e buona parte del pomeriggio. Bevevano
idromele e raccontavano aneddoti di avventure passate ma il trambusto e
le voci avevano indirizzato i loro discorsi su cose più
attuali.
<< Sambo senti… >>
<< Basta. >>
Il singolare giullare mascherato spaccò il boccale in peltro
sul tavolo, sotto gli occhi esterrefatti del compagno. L’oste
si voltò, quasi come se il suono del bicchiere rotto avesse
filtrato tutte le voci, i mormorii e la musica della sala per giungere
alle sue orecchie.
Sambo, sotto lo sguardo straniato dei clienti dei tavoli vicini, si
alzò in piedi, poggiò una mano sulla spalla
dell’amico e salì sul tavolo.
<< Ma che fai, Sambo. Scendi da lì,
l’oste ci sgozzerà! >>
E infatti era già intento a cercare qualcosa sotto al
bancone.
<< Smettila di agitarti. Solo mi sento grasso, me lo
sento da un mese. Ora voglio dimagrire. >>
<< C-cosa? Tu, grasso? Ma ti sei visto!? >>
Sambo era alto e insolitamente magro, gli si potevano intravedere
costole e scapole quando indossava i costumi più aderenti.
Il nuovo passatempo dell’osteria saltò e si appese
ad una delle travi portanti della baracca iniziando a fare su e
giù, tenendo il conto.
<< Ma sei totalmente rincretinito? Ti sembra questo il
momento di fare esercizi? Per l’amor del cielo, ho lasciato
perdere il fatto che tu stia indossando una maschera anche
fuori dallo spettacolo e dentro un’osteria ma questo
è troppo. >>
L’oste iniziò ad avvicinarsi minacciosamente con
una mannaia alla mano. Vasher abbandonò il bicchiere e si
allontanò dal tavolo mentre Sambo contava ancora e ancora,
mettendo in mostra i suoi tonici addominali da sotto la veste attillata.
Vasher era fuori; con aria sconsolata, sbuffò, e con le
orecchie tese iniziò ad ascoltare il concerto di urla,
bestemmie e rumore di sedie spaccate che Sambo aveva provocato.
<< Spero gliele diano di santa ragione. >>
Pochi secondi e la porta si spalancò con violenza, vomitando
Sambo nella strada, al fianco di Vasher.
<< E non tornare mai più, pazzo di
un… Pazzo! >>
L’oste richiuse la porta alle sue spalle mentre da dentro si
levava un coro di “Nooo”, probabilmente a causa
della perdita di un potenziale buffone.
<< Allora? Te le ha suonate? >>
<< No, sono sceso e sono scappato. Ehi! Non ho pagato!
>>
Sambo girò i tacchi e con andatura comica riaprì
la porta ed entrò.
Vasher era sconcertato; altre urla e la porta si riaprì
nuovamente: stavolta Sambo venne letteralmente lanciato fuori
dall’oste ed atterrò faccia, anzi maschera, a
terra.
Lo sguardo dell’oste e del giullare di corte si incrociarono
ed entrambi rotearono gli occhi, privi di pazienza.
Vasher lo afferrò per la collottola e lo tirò;
Sambo pulì la maschera bianca con piccoli colpi alla cieca
dato che non poteva vedere dove fosse sporca e venne trascinato dal
compagno.
<< Non hai intenzione di alzarti, vero? >>
<< Perché dovrei faticare quando ci sei tu?
>>
<< Perché sei un… >>
<< Ehi, guarda! >>
Tra le vie dei bassifondi della città era possibile vedere
ogni genere di persona e, soprattutto a quell’ora,
all’imbrunire, la vita diveniva più frenetica. I
mercanti dovevano smontare le loro postazioni, le prostitute dovevano
rientrare nelle case chiuse e tutti coloro i quali avevano
“affari” in quei vicoli, dovevano concluderli in
fretta e ritornare da dove erano venuti. Dopo una certa ora, briganti e
assassini si aggiravano indisturbati nei budelli tra le baracche in
cerca di lavoretti semplici o di bersagli da depredare e non era certo
una passeggiata tenergli testa. Ma, ciò che videro i due,
era ancor più interessante: Algos.
Il cavaliere di drago camminava a passo svelto, con la testa abbassata,
un pacchetto stretto tra le braccia e con gli occhi che cercavano a
destra e a sinistra. Probabilmente non voleva essere visto in quelle
zone e stava ritornando alla caserma.
<< Andiamo, seguiamolo. >>
Sambo miracolosamente riprese a camminare e stavolta fu lui ad
afferrare Vasher per uno dei tre campanellini e a tirarlo con
sé.
<< Ehi, vedi che mi rovini il cappello! E poi finiscila,
se ci vede quello ci ammazza. E’ un cavaliere, probabilmente
è venuto per fare un’indagine. >>
<< Ah, un indagine? Perché allora ha in mano
un pacchetto di erba-pipa? >>
<< Un cosa? >>
<< E’ un droga, maledetto imbecille.
>>
<< Ehi, non chiamarmi imbecille, non paragonarmi a te.
Sei tu quello che sta andando in contro alla morte… e che mi
stai trascinando con te! >>
<< Oh, frignone. >>
I due seguirono il cavaliere dall’aria sospetta per i vicoli
dei bassifondi, svoltarono svariate volte e furono costretti a prendere
scorciatoie per evitare di essere scoperti. Ad un tratto
però il cavaliere si arrestò e iniziò
a guardarsi attorno.
<< Ehi, Algos! Siamo qua! >>
Vasher fece appena in tempo a placcare il suo amico che lo sguardo del
cavaliere puntò nella loro direzione.
<< Sei impazzito! >>
Sussurrò il giullare da terra. Algos gridò
minaccioso:
<< Chi va là? Mostrati o sparisci.
>>
<< Visto? Non è arrabbiato. >>
<< Lui no, ma io si! Ti strozzo se lo fai ancora.
>>
Il cavaliere non indagò oltre e proseguì spedito.
<< Dai, continuiamo a seguirlo. Mi sto divertendo!
>>
<< A me credo verrà un infarto.
>>
I due proseguirono e, usciti dai bassifondi, si diressero cautamente
verso gli alloggi dei cavalieri nella caserma. Le loro doti atletiche
gli permisero di eludere le sorveglianza e lo sguardo di Algos in
più di un’occasione saltando sui tetti, muovendosi
silenziosamente e distraendo le guardie lanciando sassi contro oggetti
metallici. Algos entrò nel suo alloggio, posto nella
soffitta di una torre. Mentre il cavaliere saliva le scale, i due amici
scalarono la torre a mani nude, affidandosi al loro equilibrio e alle
sporgenze della struttura. Unico spiraglio sulla vita privata del
cavaliere era una finestrella posta sul tetto: da quella posizione era
possibile vedere tutto il monolocale.
Algos arrivò dopo i giullari e iniziò a
spogliarsi e a mettersi indumenti più leggeri. Diede da
mangiare ad un falco ingabbiato e inizio a riversare il contenuto del
pacchetto su un tavolino.
<< Che ti dicevo? Erba-pipa. >>
Qualcosa però destò i loro sospetti: una porta si
chiuse violentemente sotto di loro. I due non fecero in tempo a vedere
chi fosse entrato nella torre e lo stesso Algos rimase immobile,
orecchie tese, ad ascoltare. Niente rumori. Il cavaliere
lasciò perdere e iniziò a sminuzzare
l’erba fino a ridurla in filamenti finissimi. La mise dentro
una foglia, la arrotolò e ne accese
un’estremità alla fiamma del caminetto. Alogs
iniziò a fumare e a rilassarsi, dando le spalle alle scale.
Misteriosamente un’ombra scura apparve dietro di lui; i due
giullari avrebbero voluto avvertirlo ma sarebbero stati scoperti. Cikra
era dietro di lui e Algos, spaventato, si voltò per poi
calmarsi subito.
Vasher si accorse che i vetri erano probabilmente insonorizzati
poiché vedeva le labbra di Algos muoversi senza emettere
suoni. Il cavaliere girò per la stanza, continuando a fumare
e a parlare, mentre Cikra rimase sul posto senza fiatare.
Seguirono interminabili secondi prima che Cikra alzasse il braccio
destro, caricò il pugno fin dietro la scapola e
sfondò il cranio del compagno voltato di spalle alla
finestra della sua camera. L’evento accadde così
inaspettatamente che i cuori dei due impavidi giullari smise di battere
per qualche istante, per poi riprendere con velocità
inaudita. Cikra estrasse la mano dal cadavere del suo compagno e, con
lenti movimenti, mosse il collo e lo sguardo nella loro direzione.
<< Ci ha visti. >>
Sambo era visibilmente agitato, tremava:
<< Impossibile, non poteva sapere che eravamo
quassù, dannazione è scuro in cielo!
>>
<< Presto, scendiamo. Dobbiamo denunciare tutto
all’imperatore! >>
I due scesero rapidamente lanciandosi su un tetto vicino e calandosi
dalle finestre ma il pericolo non era ancora passato: Cikra li aveva
raggiunti fuori con velocità sorprendente e gli stava
addosso.
<< Mer… >>
<< Scappa! >>
Sambo fuggì a gambe elevate seguito da Vasher. I due corsero
all’impazzata senza curarsi di verificare la presenza di
Cikra alle loro spalle.
<< Ma ci sta ancora dietro? >>
<< Si! >>
Sambo continuò a correre ma Vasher si voltò per
verificarne l’effettiva presenza: non c’era. Vasher
si immobilizzò ma Sambo continuò a correre.
<< Fermati, scemo! Se n’è andato!
>>
Sambo si bloccò.
<< Ah, si? >>
<< Si. >>
<< Allora vado a bermi qualcosa. >>
Il mascherato si voltò e si diresse ancora verso i
bassifondi ma stavolta il suo compagno non poté sopportare
tanta sconsideratezza. Prese un sasso e colpì in piena
tempia il collega, suscitando lamenti e imprecazioni.
<< Ora vieni con me, andiamo dall’imperatore e
confessiamo tutto. Poi vai a fare quello che ti pare! >>
Vasher si ritrovò ad urlare, afferrò Sambo per la
collottola e si diressero alla sala del trono.
Giunti in fretta e furia, si fiondarono sulle porte ignorando gli
avvisi minacciosi delle guardie. Schivarono le loro prese e corsero
dritti verso i due troni, dai quali Bihares osservava con pazienza.
<< Signore, abbiamo un problema. >>
Preannunciò Sambo. Vasher aggiunse:
<< Cikra ha ucciso Algos! >>
Seduto
tra i banchi dell’Aula Bianca, Vassor ascoltava con
attenzione le parole del Gran Maestro. Parole di compassione, di amore
verso il prossimo, di vendetta contro coloro che non avessero osservato
il culto.
Un collega novizio gli si avvicinò:
<< Non credi che tutto questo sia fantastico?
>>
<< Tutto questo cosa? >>
<< Tutta questa spiritualità, tutta questa
“pace” che il culto infonde nella tua anima. Ti ho
osservato prima, hai molti dubbi. Pomeriggio al corso di Scrittura
Magica impareremo un incantesimo fantastico capace di farti
moltiplicare in un centinaio di tuoi cloni! >>
<< Davvero? >>
<< Si! Il Dio Kerma professa pace e tolleranza ma
fornisce anche armi ai suoi seguaci affinché creino e
mantengano questi stati. >>
<< Sapevo che questo culto fosse un po’, come
dire, particolare. >>
<< Mio caro, fidati. Non rimarrai deluso. >>
<< Grazie, fratello. >>
Le impressioni che Vassor si era fatto su quel posto erano
completamente diverse da quelle reali. Una sola notte trascorsa
lì, era come passare almeno una settimana; il tempo e lo
spazio, la velocità di apprendimento, le capacità
fisiche, era tutto distorto, tutto ampliato e amplificato. Il luogo
perfetto per muovere le redini di un piano articolato e di difficile
attuazione.
Vassor però era impaziente e, senza mezzi termini,
domandò:
<< Scusami, fratello. Ma quando ci insegneranno la
tecnica dell’Assorbimento Astrale? >>
<< C-cosa? E chi ti ha detto questa cosa? >>
<< Mio nonno. Era un monaco come voi e mi ha rivelato la
presenza di questo incantesimo. Vorrei apprenderla poiché
anche lui voleva farlo ma non ha potuto. Vorrei rendergli onore
apprendendola al posto suo. >>
<< Bhé, se la mettiamo così, la
imparerai tra circa dieci anni. Sempre che tu sia portato per la magia
e sempre che tu riesca a passare tutti gli esami. >>
<< D-dieci anni!? >>
<< Ehi, parla più piano! Qui ci sbattono fuori
al minimo disturbo. Comunque, si. Dieci anni. Se vuoi dopo posso
insegnartene uno di controllo sul corpo ma non dura molto ed
è difficile da eseguire. Per il resto, dieci anni.
>>
<< Dannazione… Grazie, fratello. Accetto la
tua proposta. >>
<< Piacere mio, fratello. >>
I piani del principe subirono dunque un ritardo colossale. Da un piano
di facile e rapida attuazione, ora era diventato di profondo impegno e
pazienza: l’anima del Dragone era quasi pronta e il
catalizzatore in posizione. Mancavano solo altri due elementi: lo
scheletro e l’incantesimo.
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Capitolo 4 *** Titani ***
All’ombra
e su due rami di un albero, i due giullari riposavano placidamente.
Avevano confessato di aver visto il Dragone uccidere la Guida dei
Falchi. Cikra era stato intercettato, trovato con una mano imbrattata
di sangue e cervella e imprigionato. Il cadavere di Algos era stato
prelevato e seppellito con sontuosi funerali ed Eito, unico cavaliere
rimasto, decise di andare fino in fondo. I due amici furono invitati a
restare a palazzo in veste di testimoni e a passare la notte nelle
camere private per gli ospiti, ovviamente sotto scorta.
Sambo dondolava una gamba avanti e indietro, con le braccia dietro la
testa; Vasher era comodamente seduto, spalle al tronco, intento a
rosicchiare una mela. I giardini del chiostro interno del castello
erano rigogliosi e verdi e offrivano una finestra di pace dal trambusto
politico della vita reale.
<< Per una volta che decido di fare tappa qua per venirti
a trovare, guarda che succede: il più famoso tra tutti i
cavalieri di drago esistiti sviene, impazzisce e uccide un suo
compagno. Siamo diventati testimoni di un delitto e dobbiamo sottoporci
a processo. Non era questa la vita che immaginavo quando ho iniziato a
fare il buffone per professione. >>
<< Rilassati, Sambo. Siamo nei giardini imperiali,
all’ombra di un salice e sotto la protezione delle guardie.
Che abbiamo da temere? >>
<< I fantasmi… >>
<< I cosa? >>
<< Guarda! >>
Vasher non si accorse minimamente della spettrale presenza che vagava
nei giardini: un fantasma, un uomo dalla forma eterea e dal colorito
azzurrognolo, camminava lentamente, senza far rumore. Il passo era
quello di un disperato, strascicava i piedi a terra e, con le mani
aperte di fronte al viso, sembrava piangesse e gridasse.
<< No… Non ci posso credere. >>
Era Cikra. Il cavaliere dalla pelle nera stava avanzando
nell’erba; si fermò e con occhi pieni di lacrime
si voltò verso i rami del salice, proprio verso i due
giullari. Vasher rischiò di cadere per lo spavento. Sambo si
protrasse verso l’amico, gli rubò la mela di mano
e la lanciò verso il cavaliere fantasma: l’oggetto
attraversò il corpo senza incontrare resistenza e
ruzzolò al suolo. Lo spettro non ne risentì e
continuò a piangere e a mostrare le mani ai due giullari,
muovendo le labbra.
<< Ma ci sta parlando? >>
<< Non lo so, Vasher. Le sue mani, guardale! Sono
più scure. >>
<< Forse è sangue. Forse è il
sangue di Algos. >>
La figura stava lentamente svanendo ma l’immagine era
terribile: lacrime, sangue e lamenti. Le parole di Cikra non avevano
alcun suono; per quanto potesse gridare, i due giullari non riuscivano
a sentire niente.
<< “Aiutatemi”. >>
<< Cosa? >>
<< Sta chiedendo aiuto. Gli leggo il labiale. Dice:
“Aiutatemi”. >>
<< Cosa? Perché dovremmo aiutarlo? In che
modo? >>
Il fantasma scomparve e Sambo saltò giù
dall’albero. Proprio in quel momento, dietro al fantasma, era
apparso Bihares.
<< Oh… Maestà! >>
La maschera di Sambo toccò quasi terra per il poderoso
inchino che fece; Vasher lo raggiunse e si chinò a sua volta.
<< Cosa vi prende a tutti e due? >>
<< Mi scusi, Maestà? >>
<< Vi sentivo parlare e vi ho visto fissare un punto.
Eravate come… Spaventati. >>
<< Oh, oh! Non si preoccupi Maestà, va tutto
bene. >>
Vasher però intervenne:
<< Si, Maestà, va tutto bene ma se non le
dispiace vorremmo andare a visitare il Dragone. >>
<< E perché dovreste? >>
<< Ci dispiace un po’ per lui e vorremmo
mostrargli compassione. Parlargli o magari semplicemente osservarlo.
E’ la prima volta che siamo testimoni di un omicidio ed
è… strano. >>
<< Non vi ho capito, ma andate pure. >>
<< Grazie, Signore. >>
I due giullari si alzarono e corsero alle spalle
dell’impietrito Bihares: il poveretto era la prima volta che
veniva a contatto con tali eventi e soprattutto con tali soggetti. Il
vecchio scosse la testa e andò a sedersi all’ombra
dello stesso salice.
Alle sue spalle, Sambo sussurrò al compagno in corsa:
<< Ma che razza di scuse ti inventi? >>
<< Non rompere, non sapevo che dire! >>
Le prigioni erano nei sotterranei del palazzo reale: posto scomodo e
illogico per una prigione, ma in realtà erano solo le
fondamenta di un altro edificio su cui è successivamente
sorto il Palazzo Imperiale. I due buffoni attraversarono in fretta e
furia i cunicoli labirintici delle prigioni, destando sospetti e
curiosità tra le guardie ai lati delle celle e tra i
detenuti stessi:
<< Sambo, ma che cavolo era? >>
<< Un fantasma mio caro Vasher. Probabilmente Cikra
è morto e vuole essere sepolto. >>
<< Dici? >>
<< Dico. >>
Raggiunsero finalmente un’area sospetta: il corridoio era
bloccato da tre guardie armate fino ai denti ed un bancone con un
ufficiale. I giullari chiesero di poter passare e, dopo un breve ma
approfondito controllo, furono ammanettati e scortati dalle tre guardie
verso la cella del detenuto.
Sambo non era ovviamente capace di comprendere la situazione delicata e
iniziò a raccontare barzellette alle guardie. Vasher era
nervoso e sapeva che qualcosa stava per andare storto.
La cella era finalmente di fronte a loro: due guardie tenevano
d’occhio Cikra dall’esterno, mentre altre tre
restavano all’interno, vicine al detenuto, per intervenire in
caso di disordini.
<< Ma… è vivo? >>
Una guardia si preoccupò di rispondere e chiarire ogni
dubbio:
<< Si, il detenuto Cikra Skaolis è vivo.
E’ rimasto sveglio dal momento dell’incarcerazione.
E’ stato anche sottoposto a visite mediche e, oltre a un
po’ di febbre e ad una piccola ferita, è
perfettamente in forze. Non si può dire lo stesso della sua
salute mentale però. >>
<< Ma.. ma ho visto il suo fantasma! >>
Vasher non poté credere alle sue parole; si era lasciato
sfuggire una sciocchezza simile. Tutti risero eccetto Cikra. Anche
Sambo rideva dal fondo della sua maschera bianca:
<< Ma che ti ridi, scemo! Da che parte stai?
>>
<< Ahahaha! Scusatelo guardie, è un
po’ matto il mio amico! >>
<< Senti chi parla. >>
Un boato scosse la terra:
<< Cos’è stato? >>
Si affrettò a dire una guardia dall’interno della
cella. I presenti iniziarono a guardarsi attorno mentre in sottofondo
un rumore di passi segnava l’avvicinarsi di qualcuno. Difatti
una guardia sbucò immediatamente da dietro un angolo. Aveva
il fiatone e delle strane bruciature sulla corazza parlavano da sole:
<< Svelti, Vantos sta combattendo con Baton alla piazza
d’armi! >>
Le guardie si allarmarono e, eccetto quelle nella cella di Cikra,
abbandonarono la posizione e fuggirono insieme alla guardia superstite.
Vasher iniziava lentamente ad abbinare i nomi alle immagini
finché non capì che si trattava dei draghi; Sambo
era invece paralizzato. Tremante, riuscì a sussurrare:
<< L-l’accampamento, i miei amici!
>>
Con furia, Sambo fece saltare le manette e Vasher si stupì
di tale forza. Il giullare mascherato liberò anche
l’amico e, afferrandolo per un braccio, lo
trascinò con se.
<< Dobbiamo tornare! Dobbiamo aiutare! Dobbiamo salvare i
miei amici! >>
Sembrava spaventato a morte, sembrava che non vi fosse cosa
più importante dei suoi compagni. Vasher pensò
che fosse strano poiché in due giorni non li aveva nemmeno
accennati ma lo seguì senza troppe storie.
Lo spettacolo che gli si presentò quando arrivarono era
spaventoso: la piazza d’armi, sede
dell’accampamento del Circo della Luna, era ora
dominata da due figure imponenti che lottavano tra loro. Vantos, nero,
robusto e visibilmente adirato, era intento a sputare minacciose fiamme
nere su Baton, più piccolo di dimensioni, con la testa e il
corpo schiacciati e affusolati e con la schiena, la testa e la punta
della coda irti di aculei ossei; i resti dell’accampamento
erano sparsi ovunque e piccoli fuochi neri stavano ancora bruciando
residui di tendaggi, attrezzi da circo accatastati e corpi ormai privi
di vita; soldati della guardia imperiale tentavano di legare Vantos con
lacci e catene ma l’enorme Drago Nero faceva piazza pulita di
quei fastidiosissimi insetti solo con un colpo di coda o un battito
d’ali. I due draghi erano spariti dalla fine della battaglia
contro i suriaki, si erano nascosti chissà dove e nessuno
dei due aveva mai fatto ritorno alla Torre-Nido: un possente edificio
terminante con una guglia, al cui interno vi era la dimora dei draghi
dei cavalieri.
Vasher non poté credere ai suoi occhi e forse nemmeno
Bihares aveva mai visto nulla di simile. Il vecchio infatti
arrivò correndo alle spalle dei due giullari e, tutti
insieme, rimasero paralizzati ad osservare quello spaventoso scenario.
Vantos azzannò una zampa di Baton, ma il piccolo drago
irsuto menò un potente colpo di coda sul fianco scoperto del
drago nero. Il colpo abbandonò decine di lance
d’osso sulla carne del rivale e suscitò
un’imponente fiammata nera scatenata più dal
dolore che dal desiderio di colpire. Sfruttando il vantaggio, Baton
ruggì, un suono stridulo e logorante, e le spine su schiena
e testa si sollevarono e iniziarono a vibrare: un avvertimento. Vantos
tornò in sé, spinse con le zampe anteriori verso
terra e si impennò ruggendo a sua volta, un urlo di rabbia e
furia omicida, un ruggito profondo, pesante e cupo. Il drago nero
tornò su quattro zampe e, ignorando l’avviso del
rivale, colpì anch’esso con la coda sulla schiena
di Baton: la coda di Vantos, anch’essa dotata di protuberanze
ossee, presentava due lame gemelle. Il colpo penetrò nella
corazza e nella carne dell’animale che ruggì di
rimando. Vantos estrasse la coda, seguita da un fiotto di sangue, e,
approfittando del momento di dolore, sputò fiamme nella
bocca di Baton. Quest’ultimo richiuse immediatamente la bocca
e, sconfitto, si appallottolò. Divenne una sfera irta di
aculei e impenetrabile, probabilmente per aver il tempo di riprendersi
dal danno subito a bocca e gola, ma Vantos non si lasciò
scoraggiare e sputò ancora fiamme nere sul dorso del drago
ora diventato una palla chiodata. Baton reagì sparando
centinaia di lance d’osso in tutte le direzioni: Vantos venne
colpito alla gola, al petto e alle ali ma i danni più
ingenti vennero assorbiti da tutto ciò che stava intorno ai
due draghi: soldati vennero impalati a terra o sulle pareti del palazzo
reale che faceva da sfondo, le poche tende rimaste in piedi vennero
crivellate e lo stesso vale per i corpi dei compagni caduti di Sambo;
lo stesso imperatore, seguito dai due buffoni, fu costretto a gettarsi
a terra per evitare di essere decapitato da una di quelle spaventose
lance.
La battaglia sembrava non aver fine, i due draghi avevano ancora molti
assi nelle loro maniche ma qualcosa attirò
l’attenzione di tutti i presenti: un canto.
Uno strano suono, flebile e dolce, risuonò
nell’aria. La piazza d’armi fu costretta ad
ospitare un’altra imponente figura: Tolus, il drago azzurro.
Con straordinaria delicatezza, il possente drago atterrò
alle spalle di Baton: Tolus era decisamente più largo e
massiccio di Vantos ma questo non significava che fosse più
forte. Tolus, come il padrone, era un pacifista e le sue
abilità non vertevano certo sulla violenza. Vantos non vide
di buon occhio quest’intrusione e iniziò a ruggire
contro il nuovo arrivato; quest’ultimo rispose con un altro
canto che, da come Vasher poté capire, non era un canto
bensì il suo ruggito. Un ruggito morbido, leggero e sinuoso.
Non poteva esistere in natura suono più rilassante e
piacevole di quello. Tolus spalancò le ali e, curvandole
contemporaneamente verso l’alto e verso la sua testa,
formò una specie di corona alle sue spalle: visto
frontalmente, Tolus avrebbe intimidito chiunque e sembrava avesse una
specie di aureola o di disco dietro la testa liscia e priva di fessure.
Il drago iniziò a portare il peso all’indietro e,
sollevando le zampe anteriori, si poggiò sul terreno con il
petto. Le zampe anteriori, libere, iniziarono a muoversi come quelle di
un umano ed eseguirono alcune posizioni rituali con inesorabile
lentezza. Vantos cercò di interrompere quel rituale sputando
fiamme sul nuovo nemico ma Tolus aprì la bocca,
più larga di quelle dei compagni, e assorbì, anzi
inghiottì, tutte le fiamme.
Le pose vennero eseguite e le ali, insieme alla testa, iniziarono ad
illuminarsi: Vantos sembrò calmarsi, le ali si abbassarono,
la fronte, prima aggrottata per la rabbia, tornò alla
normalità e il drago nero si accasciò a terra
come a voler dormire. I soldati e lo stesso Baton, posti tutti
frontalmente alle ali di Tolus, subirono gli stessi effetti: tutti si
rilassarono, tutti abbandonarono ogni idea aggressiva, tutti lasciarono
andare le armi e Baton tornò ad essere un normale drago e
non più una sfera; tutti si accasciarono a terra e
riposarono.
La scena,indimenticabile, aveva zittito tutti i presenti, o almeno,
coloro i quali erano sopravvissuti alla furia dei due draghi. Sambo e
Vasher avevano smesso di pensare e di parlare da circa dieci minuti,
incantati dalle immense figure dei tre draghi, in lotta tra loro. Ma
qualcosa svegliò i loro animi: un grido.
<< Fermati! >>
Una voce decisa e forte. Uno sfrigolare di tegole e un’ombra
assalì la piazza d’armi: Cikra era libero. Il
Dragone era in qualche modo fuggito dalle prigioni ed ora era saltato
dal tetto del palazzo reale, a più di dieci metri
d’altezza, e cadeva in direzione di Baton con una lancia
d’osso in mano. Alle sue spalle, Eito il Pacifista, non
poté che fermarsi e assistere impotente alla scena: Cikra
atterrò, a piedi e petto nudi, sulla testa di Baton, ormai
in trance. La lancia d’osso penetrò il suo
creatore nell’occhio e, quasi per intero, si
conficcò nel cervello della creatura. Bihares rimase
allibito e sconcertato e la vista del sangue verde
dell’animale irsuto, suscitò un conato di vomito.
Eito, in preda alla collera, saltò giù atterrando
però sulla testa del suo drago e scese a terra. Con
rapidità e professionalità, tra i leggeri
movimenti del velo sul volto e delle vesti sotto le gambe,
eseguì delle posizioni uniche con entrambe le mani, imitando
il drago: delle spire di luce afferrarono le spalle di Cikra, le
bloccarono con violenza, seguite dalle ginocchia. Il cavaliere nero era
immobilizzato ma con evidente sforzo, con occhi spiritati e a denti
stretti, si voltò verso il giullari, verso
l’imperatore in particolare e disse:
<< Ridammi… la mia… Anima!
>>
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Capitolo 5 *** Oblio ***
Quelle
parole non avevano alcun senso per l’imperatore.
Guardò il suo infuriato cavaliere ed ebbe paura;
indietreggiò, con la bocca spalancata, mentre Vasher si mise
fra i due. Altre guardie seguirono l’esempio del giullare e
si schierarono per proteggere il loro imperatore. Cikra non
sembrò turbato: il suo sguardo stavolta però non
era perso nel vuoto ma era colmo di disperazione; una mano testa verso
Bihares, l’altra stretta in un pugno pronto ad esplodere.
Il
cavaliere nero si lanciò con tutta la sua forza contro le
guardie, spezzando l’incantesimo di Eito. Un potente pugno
sfondò il cranio di un soldato e colpì allo
stesso modo le altre guardie con la forza di un maglio. Ossa spezzate e
corazze ammaccate separavano il Dragone dell’Imperatore. Nel
frattempo il Pacifista si preparava a reagire. Le mani eseguirono altre
posizioni e, con un palmo rivolto verso Cikra, prese ancora il
controllo del corpo. Cikra si sentì bloccato, altri fasci di
luce bloccavano i suoi piedi mentre indietreggiavano da soli. Vasher
iniziò a preoccuparsi, iniziò a dubitare della
sua forza, non certamente all’altezza del cavaliere, ma
notò qualcosa di strano: Sambo stava in silenzio a fissare
una delle torri del palazzo.
<<
Sambo. Sambo! Ma che stai facendo? Scappa. >>
Sussurrò
il giullare, ma il compagno rispose:
<<
C’è qualcosa lassù. Vado a controllare.
>>
<<
Ma dove vai! >>
Detto
questo, il buffone mascherato iniziò a correre abbandonando
l’amico e la memoria di tutti i colleghi del Circo della
Luna, che attimi prima erano soggetto delle sue preoccupazioni.
Eito
iniziò però a perdere efficacia contro il
cavaliere nero. Dalle spalle del Pacifista iniziarono ad apparire lievi
ombre spettrali di colore azzurro: iniziarono a flettersi, a cambiare,
a mutare in braccia. Quattro nuove braccia azzurre nacquero dalla
schiena di Eito e iniziarono anch’esse a muoversi creando
sigilli con le mani. Finito il rituale, dai palmi iniziarono ad
intravedersi delle rune rosse e, con stupore di tutti, uno strano
laccio rosso comparve a collegare la corona di Bihares al fianco del
Dragone. Eito comprese il problema: una tecnica di trasferimento era
stata applicata a Cikra. La sua anima si stava spostando nella corona,
abbandonando completamente il corpo.
Vasher
capì il perché dello spettro, capì la
richiesta d’aiuto nei giardini del chiostro.
Il
Pacifista tentava ancora di entrare nella mente di Cikra per calmarlo
ma non era un compito facile. Il Dragone senza anima era più
forte del previsto, riusciva spesso a liberarsi dagli incantesimi del
suo avversario. Eito aveva tecniche di paralisi, di controllo del corpo
e di annullamento della mente ma niente di tutto ciò
riusciva a fermare quella macchina da guerra a torso nudo.
La
rabbia che scorreva in lui iniziò a prendere forma, il suo
corpo invece cominciò a mutare la propria. Fattezze di drago
presero posto ma Vantos rimaneva ancora lì, addormentato. La
solita tecnica di fusione non stava avvenendo eppure Cikra era ormai
trasformato. Eito si accorse di una sottile ombra che collegava i due e
fu costretto a dare l’ordine:
<<
Tolus, fallo fuori! Subito! >>
Il
drago azzurro eseguì e, per impedire a Cikra di completare
la sua trasformazione, emise dalla bocca un potente getto
d’aria pressurizzata che spazzò via tutto
ciò che colpì. Il possente drago nero ormai privo
di sensi venne violentemente spinto giù nel burrone che
circondava la piazza d’armi ma fu Eito a dare il colpo finale.
La
presa su Cikra si allentò e, con tutte e sei le proprie
mani, Eito formulò un unico grande sigillo:
un’onda di luce azzurra calò dal cielo e
riempì il burrone creando un muro. Tutti i presenti rimasero
attratti da tale splendore ma non Cikra.
Vasher
si sentì afferrare per la faccia. Quel momento di
distrazione gli era costato caro e ora si ritrovava a più di
un metro da terra, a scalciare, a cercare di levare quella enorme mano
nera dal proprio volto. Cercò di gridare e di chiedere aiuto
ma non ci riuscì. Il suo cranio venne compresso e
schiacciato con forza; il cadavere di Vasher cadde a terra, con occhi e
cervella fuori posto, in una pozza di sangue.
Ora
il Dragone avanzava a passo lento e minaccioso verso il prossimo
bersaglio: Bihares.
L’imperatore
indietreggiò ma non ebbe la forza di correre.
Inciampò e si ritrovò a strisciare sotto
l’ombra del suo fedele cavaliere. Eito cercò di
fare in fretta, terminò l’ondata di luce creata
per uccidere il drago e si preparò ad uccidere il suo
padrone.
Sambo
attraversò il palazzo reale in fretta e furia, rischiando
spesso di cadere o di sbattere contro qualche colonna. Trovò
ad intuito la torre che lo aveva incuriosito e ne salì i
gradini a tre alla volta. Arrivò in cima e con un calcio
sfondò la porta. Colui che era all’interno non
sentì nulla, Sambo poteva vedere dritto davanti a se una
finestra, sulla quale era seduto un uomo in una veste cremisi, e
attraverso essa un enorme muro di luce azzurra. Ma il buffone
mascherato non si lasciò impressionare. Si
avvicinò quatto all’intruso e si accorse che
muoveva le mani quasi fosse un marionettista. Sambo gli fu alle spalle
e Vassor si accorse di lui. Si voltò, vide la maschera
bianca di Sambo, ebbe paura e venne spinto giù.
Un
altro evento imprevisto bloccò la situazione: delle urla e
un corpo cadevano giù da una delle torri del palazzo reale.
Il corpo, cadendo, colpì balconi, merli di mura e dei legni
in sospensione prima di schiantarsi al suolo. La caduta gli fu forse
fatale ma nessuno si curò di lui poiché qualcosa
di più importante era accaduto: Cikra si era calmato. Era
tornato uno zombie, a guardare fisso l’imperatore, perso nel
vuoto. Eito si voltò rapido verso il corpo, poi verso il
Dragone e, con due dita puntate contro Cikra, emise un raggio di luce
azzurra che penetrò il cranio del suo ex-collega. Il corpo
si accasciò a terra ma l’imperatore non smise di
tremare.
Vassor
si sentì a pezzi, senza forze, la mente intorpidita.
Aprì piano gli occhi e ascoltò:
<<
Sei sveglio, finalmente. >>
Una
voce maschile, giovane, lo accolse.
<<
D-dove sono? >>
La
voce usciva a malapena dalla gola del principe suriaki.
<<
Sei nell’infermeria del monastero. >>
<<
E come ci sono finito? >>
<<
Sei caduto da più di dieci metri d’altezza. Hai
tutte le ossa rotte e hai perso qualche organo ma sei ancora
miracolosamente vivo. >>
<<
Che è successo? >>
<<
Sei stato spinto giù di qualcuno o, almeno, è
quello che hai detto alle guardie quando ti hanno soccorso, prima di
svenire. >>
<<
D-davvero? >>
<<
Si. Hai detto loro che stavi cercando di prendere il controllo di Cikra
per allontanarlo dall’imperatore e che un tizio mascherato ti
ha spinto giù. È vero ciò che hai
detto? >>
<<
Eh? Si, certo. Ma… che fine ha fatto il drago nero?
>>
<<
Vantos è stato spinto nel burrone e ucciso da Eito.
>>
<<
E Cikra? >>
<<
Cikra è morto. L’ha ucciso sempre Eito e ne
abbiamo già celebrato i funerali. >>
<<
Come? Ma da quanto tempo sono qua? >>
<<
Un mese, mio caro. >>
<<
Un mese!? Dannazione! >>
Vassor
fece per alzarsi ma il dolore fu assurdo e non ne ebbe la forza.
<<
M-ma… che fine ha fatto quel tizio, quello che mi ha spinto
giù? >>
<<
È stato riconosciuto come un buffone della compagnia del
Circo della Luna ma è stato arrestato con l’accusa
di aver impedito soccorsi all’imperatore e di favoreggiamento
nei confronti di Cikra. Lo hanno impiccato una settimana fa.
>>
<<
E l’imperatore? >>
<<
Sta bene. È vivo e vegeto. >>
<<
Eito? >>
<<
Eito serve ancora l’imperatore visto che è
l’unico cavaliere rimasto ma ha egli stesso dichiarato di
voler andare via il prossimo anno. Purtroppo il regno
rimarrà così scoperto e privo di cavalieri per
altri tre anni, prima che altre uova siano partorite. >>
<<
Ma non c’è il pericolo di un attacco?
>>
<<
Oh, non ora. Il re dei suriaki è morto di recente. Credo che
per qualche anno non verremo toccati. Ecco perché
l’imperatore non si è opposto alle dimissioni di
Eito ed ecco perché possiamo permetterci tre anni senza
cavalieri. >>
<<
E per quanto riguarda la corona? Ho visto un filo rosso collegare la
corona a Cikra. >>
<<
Bhé gli esperti hanno constatato che la corona
dell’imperatore è pulita. Forse
l’incantesimo non era ancora stato avviato o stava per farlo.
>>
Vassor
si sentì finalmente sollevato: niente più
minacce, niente sospetti su di lui e dopo una caduta di venti metri era
ancora vivo. Ma la sua mente iniziò a mutare:
<<
Dunque devo ringraziare Dio per essere ancora qui. >>
<<
Si. Il Dio Kerma ti ha prescelto se sei sopravvissuto ad una caduta
così. >>
<<
Fratello, perché la gente non crede in Dio? >>
Il
monaco sorrise e rispose:
<<
Perché se non vedono, non credono. >>
Vassor
si ritrovò a pensare all’immortalità
dell’anima, all’esistenza di Dio e al padre ormai
defunto. Trattenne le lacrime e cambiò i suoi piani.
<<
Allora vedranno. >>
|
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