Anime Incerte

di SparkingJester
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ideali ***
Capitolo 2: *** Sintomi ***
Capitolo 3: *** Strani Comportamenti ***
Capitolo 4: *** Titani ***
Capitolo 5: *** Oblio ***



Capitolo 1
*** Ideali ***


Occhi azzurri scrutavano il campo di battaglia; capelli bianchi e lunghi seguivano i movimenti della testa da sotto la corona dorata; la lingua faceva capolino da una barba corta color rame per inumidire le labbra; con lo spadone in mano, il mantello in spalla e i piedi nelle staffe l’Imperatore diede finalmente la carica:
<< Avanti! >>
Il suo possente frisone non si mosse al passaggio di migliaia di suoi simili lanciati all’attacco con feroce impeto. L’imperatore fissò l’orizzonte: le forze nemiche stavano avanzando con passo lento e deciso, con picche, scuri e scudi alti. Il vento, causato dal passaggio dei cavalieri, sollevò i capelli di Bihares che, colto da una scarica di adrenalina e col sorriso sulle labbra, si lanciò anch’esso alla carica per sconfiggere l’avversario di tutta una vita: Surga, Re Anziano dei Suriaki.
Le due armate si infransero l’una sull’altra: cavalieri imperiali impalati dalle picche, soldati suriaki travolti dai possenti destrieri. Tra Impero e Suriaki vi era sempre stata guerra; in pochi ricordano di una collaborazione o di una pace tra le due potenze. L’una governa sulle terre dell’Ovest, l’altra sui deserti dell’Est e i motivi dei loro contrasti non potevano essere che di natura economica: entrambe volevano ciò che l’altra possedeva e nessuna delle due si accontentava di ciò che aveva. 
Scudi accartocciati dai martelli, teste trafitte da lance, spalle recise da spade: ecco come finivano la maggior parte delle dispute tra i due Re: nel sangue, nella morte.
La cavalleria imperiale era solo un diversivo; dalle retrovie un battaglione di fanti pesantemente corazzati avanzava in formazione serrata: sarebbe stato facile assegnare la vittoria all’Impero, erano in superiorità numerica e meglio equipaggiati. I soldati suriaki iniziarono infatti ad avere difficoltà nell’affrontarli: le spade leggere e sottili degli orientali non potevano scalfire le corazze temprate dei fanti imperiali, spesse svariati centimetri, e di certo non era facile colpire le giunture tra un pezzo e l’altro dell’armatura. Ma i suriaki, benché meno numerosi e diversamente armati, erano da sempre i migliori strateghi: un corno risuonò nel marasma della battaglia. Urla di dolore, di rabbia, di morte, smisero di uscire dalle gole di migliaia di soldati. La battaglia sembrò fermarsi. Un brivido di paura scosse gli imperiali, uno di speranza attraversò i suriaki.
Due possenti macchine da guerra attraversarono l’orizzonte riuscendo miracolosamente a piazzarsi nel bel mezzo del campo di battaglia senza essere sfiorate dalle forze avversarie. Le ruote vennero tolte, le basi fissate a terra. Due sfere di ferro, legate con una catena, vennero fatte penzolare a tre metri da terra: uno stregone iniziò a formulare strane litanie e a bagnare le sfere con un liquido. Le sfere iniziarono a brillare e gli sguardi imperiali erano fissi su di esse. Ogni soldato suriaki estrasse dalla cintola un paletto e lo conficcò, in fretta e furia, nell’armatura del soldato nemico più vicino. Lo stregone finì di preparare le macchine, tirò una leva e le sfere si mossero: un flash. Fumo e puzza di carne bruciata iniziò a riempire il campo. Bihares non riusciva a crederci, non sapeva cosa dire, cosa ordinare: le sfere si erano toccate e tutti i soldati con un paletto addosso furono colpiti da una scarica elettrica, un fulmine. Lo sguardo dell’imperatore si muoveva frenetico sul campo dove guerrieri suriaki posizionavano altri paletti nei corpi dei loro avversari, inermi alla loro velocità e sveltezza di mano, inermi alle loro magie. Le sfere si mossero ancora, si toccarono ed esplosero. Altri soldati caddero, altro fumo si levò. 
All’imperatore non restò altro da fare: estrasse uno strano corno a spirale e, con forza, richiamò la “sua” arma segreta. Con il corno in mano e il volto soddisfatto per l’imminente vittoria, Bihares spalancò le braccia e salutò i nuovi arrivati:
<< Cavalieri dei Draghi, rendetemi fiero di voi! >>
Tre grandi figure attraversarono il cielo oscurando il sole e tutti i soldati sotto di loro.
Una di esse si appollaiò sull’altura dal quale l’imperatore aveva dato la carica, l’altra atterrò su una delle macchine da guerra mandandola in pezzi e l’ultima rimase a volare in circolo, come un condor a caccia di carogne.
Eito, dall’altura, osservava seduto a gambe incrociate sulla testa del suo drago, Tolus. Alto più del normale e col fisico di un atleta, era uno dei cavalieri più rispettati dell’Impero: indossava una casacca priva di maniche, lunga fino alle caviglie e legata con una cintura. I volti di drago e cavaliere erano simili: il drago aveva una testa affusolata, lunga e liscia, senza occhi e con due strette fessure per naso; Eito invece portava sempre un velo di fronte al viso e i capelli sempre nascosti sotto ad una cuffia. I colori delle sue vesti, bianche e azzurre, rispecchiavano la sua personalità e i suoi modi di fare, nonché il suo titolo: il Pacifista. 
Bihares si voltò verso quest’ultimo come per ricevere una conferma e un cenno del capo da parte del cavaliere placò le sue paure. L’imperatore, il condottiero dell’armata, poteva tornare sul campo di battaglia in tutta tranquillità, sicuro che nessun soldato nemico sarebbe mai riuscito a toccarlo, non con il Pacifista a coprirgli le spalle.
In volo vi era Algos, la Guida dei Falchi, a cavallo del suo irto drago, Baton. Considerato il miglior arciere dell’impero, Algos rendeva onore al suo di titolo: mira infallibile con ogni tipo di arma, occhio svelto. Un soggetto iperattivo, attento ad ogni minimo movimento, obbediente e paranoico. Forse il miglior soldato che un generale possa desiderare se non fosse per la sua schizofrenia, la quale spesso riduce il povero cavaliere alla solitudine o all’emarginazione per paura di un qualche attacco d’ira. 
Protetto dalla sua armatura d’osso, con occhi verdi sgranati e coi corti capelli al vento, Algos faceva strage di nemici dall’alto col suo elaborato arco in ebano. Per grande sfortuna dei nemici però non erano frecce quelle che partivano da quell’arco, ma altre ossa. Baton era un drago particolare cresciuto con una strana abilità: quella di mutare continuamente le proprie squame e rigenerarle all’istante se queste fossero state in qualche modo danneggiate. Il vantaggio più grande per Algos, però, era che le squame non erano neanche minimamente simili a quelle degli altri draghi bensì erano enormi lance d’osso. Bastava sfilare una lunga e affilata squama, incoccarla e mirare; la morte era assicurata e il nemico a volte veniva anche sbalzato a qualche metro di distanza con forza spaventosa. Spesso Algos si divertiva a combattere corpo a corpo utilizzando le “frecce” più grandi come lance o come giavellotti. Ma questa volta, dalla schiena del suo drago, quasi fosse una faretra di frecce infinite, la Guida dei Falchi massacrava i suriaki trapassando anche due o più nemici insieme, disarcionando cavalieri o impalando nemici al terreno.
Ma il vero pericolo per i suriaki era a terra, proprio su una delle loro amate macchine da guerra: Cikra il Dragone, seguito da Vantos, il Drago Nero. Il nero era infatti il principale colore che ricopriva i due: nere le squame del drago, nere le fiamme che sputava sui nemici indifesi e nera la pelle del cavaliere che insieme alla lucente armatura, donava a Cikra un aspetto maestoso e spaventoso. Maglio alla mano, era una leggenda vivente e si diceva fosse inarrestabile. Forse mortale, forse immortale. Le sue parole risuonarono nel silenzio del campo:
<< Facciamola finita in fretta, ho una cena in sospeso! >>
La voce, profonda, bassa e minacciosa, spaventò a morte tutti. Il Dragone stava per mostrare la fonte del suo immenso potere e l’origine della leggenda della sua immortalità: Vantos si sollevò su due zampe, spalancò le ali e ruggì potente come non mai. Molti si strinsero le orecchie e contemporaneamente assistettero ad uno spettacolo unico: il drago stava lentamente svanendo, si trasformava in fumo e il suo ruggito si arrestò nell’aria. Lo strano fumo però era risucchiato da qualcosa che proveniva da terra: l’ombra del suo padrone. Cikra aveva gli occhi completamente bianchi, le braccia tremavano, il maglio cadde a terra. L’ombra catturò tutto il fumo, assorbì l’intero drago nero. E iniziò la magia: le componenti della corazza di Cikra iniziarono a cadere lasciandolo a petto scoperto. Le ossa iniziarono a fremere e poi a spaccarsi rumorosamente. Il cranio si gonfiò e, all’altezza della nuca, due ossa acuminate fuoriuscirono. Le spalle si allargarono e delle placche ossee strapparono la pelle e andarono a coprire spalle e avambracci. Le nocche divennero irte di ossa e il petto insieme alle costole si dilatarono mostrando anch’essi delle placche ossee nere come la pece. Cikra il Dragone si era ormai trasformato in un mezzo-drago. Un ibrido con la forza e i poteri di un drago e con la coscienza e l’intelletto di un uomo. Un sorriso bianco stagliò sul nero del viso:
<< Che inizino i giochi. >>
Detto questo, le guance si gonfiarono e un’intensa fiammata nera carbonizzò decine di nemici. Altri tentarono di attaccare e di penetrare le ossa con spade, lance e asce ma l’esoscheletro del drago era più resistente del previsto. Possenti pugni sfondarono teste, poderosi urli fecero volare soldati. Recuperato il maglio, Cikra era ormai in preda ad una furia omicida.

Un anziano, stanco e sdraiato su un trono di cuscini, osservava i cavalieri di Bihares devastare le sue truppe. Barba lunga e bianca, corona sulla testa e rughe sul volto, Surga era ormai allo stremo delle forze.
<< Vassor… >>
La voce, flebile e rauca, era pronta ad impartire il suo ultimo ordine:
<< Vassor…Vieni qui. >>
<< Si, maestà. Eccomi. >>
Svariati colpi di tosse resero l’immagine del potente Re Surga solo quella di un vecchio malato e in fin di vita.
<< Le nostre forze stanno per essere sbaragliate, i mercenari sono in rotta e non abbiamo più rinforzi. >>
Un dito rinsecchito fuoriusciva dalla manica delle rosse vesti sfarzose; indicava il campo di battaglia, al sicuro dal trambusto, dalle polveri, dal sangue e dalle urla in un baldacchino sull’alto di una collina, protetto da un manipolo di forze d’elite.
<< Hai il permesso di attuare il tuo piano. Fallo, fallo per il bene dei Suriaki. Poni fine alla guerra… >>
Il volto di Vassor, giovane e delicato, divenne deciso e pieno di rabbia.
<< Non la deluderò, maestà. >>
Il giovane si strinse gli ultimi lacci dell’armatura, prese con se un pugnale e una pietra con sopra incisa una runa e li ripose nel cinturone. Voltatosi verso l’Anziano Re, si inchinò per poi proseguire in sella ad un cavallo senza dire una parola e con le lacrime al viso.
Vedendolo andar via, Surga parlò tra se e se:
<< Buona fortuna, figlio mio… >>

La battaglia era ormai agli sgoccioli: Cikra e Algos stavano ripulendo il campo dagli ultimi soldati rimasti mentre Eito teneva d’occhio il suo imperatore mentre errava alla ricerca di qualche nemico facile da sconfiggere. Alla sua età Bihares non era più un valoroso guerriero ma la sua volontà era più forte di qualsiasi ramanzina dei suoi fedeli consiglieri e, spesso, si ritrovava a vagare da solo per il campo di battaglia.
Vassor, abbandonato il cavallo, attraversò rapido le file alleate scavalcando cadaveri e schivando fendenti ma senza troppi problemi riuscì a giungere al cospetto di Cikra. Intorno a lui una macchia di morte: cadaveri mutilati, ustionati, carbonizzati e maciullati. Il Dragone era intento a spezzare una formazione di scudi suriaki e di sicuro non poteva capitare momento migliore. Vassor uscì allo scoperto, sotto gli sguardi terrorizzati dei suoi compagni, e si diresse verso l’enorme guerriero. Vassor era decisamente più basso del cavaliere posseduto e sembrava che quest’ultimo non avesse neanche notato la presenza del piccolo intruso. Dopo un attimo di esitazione, il principe estrasse la pietra con la runa e con il coltello ne seguì l’incisione. Una volta finito, la lama iniziò a surriscaldarsi. Divenne incandescente e con forza Vassor la conficcò nel fianco del possente Dragone, all’altezza del rene. I soldati, sia nemici che amici, non poterono credere ai loro occhi. Un singolo colpo, una singola pugnalata, aveva scalfito l’impenetrabile corazza di Cikra dove già altre asce e spade avevano tentato senza risultati. Lo stesso cavaliere nero si voltò stupefatto e con un sorriso soddisfatto parlò:
<< Oh, complimenti. Sei il primo che ci riesce, ma mi dispiace. Addio. >>
Un veloce manrovescio scaraventò Vassor in aria facendolo atterrare su un mucchio di cadaveri. Con la schiena dolorante e col respiro mozzato, il principe benedì l’imbottitura di squame di Viverna della sua corazza leggera e col cuore in gola trovò le forze per alzarsi. In lontananza Cikra era ancora intento a massacrare i suoi compagni ma il principe non poteva perdere tempo. 
<< Devo trovare qualcosa. Ma cosa? >>
Lo sguardo si mosse in ogni direzione, il collo e tutti i muscoli tremavano ancora per il colpo ricevuto. Qualcosa catturò la sua attenzione: un bagliore. Vassor si mosse, fortunatamente era in una zona ormai piena di cadaveri e poté muoversi liberamente senza essere attaccato. Finalmente individuò la natura di quel bagliore: la corona dell’imperatore. Bihares cavalcava in quel mare di corpi senza vita alla ricerca di un nemico e i due non poterono che incrociare i loro sguardi: Bihares si paralizzò notando la divisa di Vassor. Eito era la guardia del corpo dell’imperatore e avrebbe fatto di tutto per impedire al suo sovrano di farsi del male, ma l’imperatore si accorse che il suo protettore era momentaneamente distratto, concentrato su un grosso soldato suriaki che stava apparentemente tenendo testa a Cikra con la pura forza bruta. Dopo attimi di silenzio e immobilità, Bihares diete un’occhiata fugace verso Eito, poi verso Vassor e infine si lanciò alla carica con sguardo feroce. Vassor era pronto, estrasse il pugnale e con mano rapida ripeté l’operazione con la runa sulla pietra. Bihares sollevò la spada a pochi centimetri dal nemico ma per Vassor fu piuttosto semplice: si spostò di un passò lateralmente. Il colpo andò a vuoto e Bihares, perso l’equilibrio, cadde da cavallo e batté forte la schiena contro il terreno, perdendo la corona. Il principe approfittò di quel momento e praticò un piccolo foro sulla corona dell’imperatore. Una volta finito, indietreggiò di qualche passo con aria soddisfatta fissando Bihares. Prese un cadavere e lo posizionò nel punto in cui lui avrebbe dovuto essere e lasciò che il vecchio imperatore, una volta ripresosi dal colpo, credesse di aver finalmente ucciso qualcuno.
Vassor si allontanò correndo e una volta fuori dal campo visivo, Bihares si risollevò da terra osservando con volto dolorante l’operato della sua spada. Soddisfatto, estrasse il corno e suonò. La vittoria era sua, l’Impero aveva vinto.

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Capitolo 2
*** Sintomi ***


Un forte odore di fard e altre sostanze inquinava la piccola stanza. Ragazze con abiti verdi e aderenti truccate come bambole, uno strano individuo intento a mescolare ferocemente un mazzo di carte, un vecchio equilibrista pronto ad indossare i trampoli: il circo privato dell’imperatore.
<< Vasher, vieni qua. Corri a vedere! >>
Da una marcia tettoia in legno, il richiamo giunse alle orecchie del diretto interessato:
<< Dammi solo un secondo. >>
Il giullare di corte sistemava meticolosamente le pieghe dell’abito assicurandosi contemporaneamente che le sue espressioni facciali risultino il più veritiere possibili.
<< Dai, sbrigati, stanno passando! >>
<< Dannazione, eccomi! >>
Con uno scatto degno di un atleta, Vasher schizzò tra i suoi colleghi, attento a non urtare nessuno. Salì rapidamente le scricchiolanti scalette e si affacciò ad una feritoia con Bulbo, un bambino apprendista lanciatore di coltelli.
<< Sono così… così… meravigliosi. >>
Bulbo andava matto per i cavalieri dei draghi; per lui erano come degli Dei scesi in terra, delle fonti di ispirazione, dei modelli da seguire. Per Vasher erano solo le fedeli guardie dell’imperatore, disposte a morire per la patria. Si sentiva fortunato: loro erano pagati per lottare e rischiare la vita, lui solo per far ridere Bihares, niente di più facile e sicuro.
La feritoia si affacciava su un agglomerato di edifici ma, oltre i loro tetti, si poteva godere della vista della strada principale dove in quel momento sfilava la parata in onore della vittoria contro i suriaki.
La vista dei possenti cavalieri ora libratisi in aria fu interrotta da un urlo agghiacciante:
<< Aaaaah! >>
Tutti si voltarono spaventati, con il cuore a mille. Vasher, di risposta, estrasse un pugnale da lancio dalla cintura e fu pronto ad agire.
<< Ho sbavato l’ombretto! >>
Il clima di paura gelò immediatamente sostituito da uno di furia omicida nei confronti di Gilla, una sfacciata ex-prostituta senza cervello adottata come ballerina.
Gli animi si calmarono e i due abbandonarono la feritoia.
<< Quella Gilla, non la sopporto più. Giuro che un giorno sbaglierò a lanciare un coltello. >>
Bulbo era nervoso, non gli piacevano le storie del terrore e odiava chi lo faceva spaventare.
<< E poi dirò che sei stato tu. >>
Vasher lo fissò con sguardo minaccioso ma l’incrocio con lo sguardo di Bulbo si trasformò in una risata sfrenata. 
<< Sei un moccioso subdolo, lo sai? Ringrazia che nello spettacolo di oggi non ti hanno accoppiato con me o te la saresti vista brutta! >>
<< Oh, ma che paura! >>
<< Che fai? Il sarcastico? Sei ancora un dilettante e hai solo dieci anni, non fare il precoce! >>
I due risero ancora ma al Cappone, il capo di tutti gli artisti di corte, la cosa non andò giù. 
<< Signori? Vi prego. Non è una delle solite esibizioni settimanali. Questa è più importante, vi saranno anche i tre cavalieri! Voi ricordate un singolo giorno di tutta la vostra carriera in cui uno di quegli eroi ha assistito ad una delle nostre performance? Non credo proprio. Diamine! Non lo ricordo nemmeno io che ho più anni dell’imperatore stesso! Finite di prepararvi e iniziate a ripassare le scene. Arriveranno a momenti a palazzo! >> 
<< Non si preoccupi, Boss. Mi esibirò nei miei numeri migliori! >>
<< Si, Vasher. È proprio quello che faranno tutti. Poco esibizionismo, più professionalità. Datti da fare e vai a sistemarti quei calzari! Sembri mio nipote tornato dalla pesca nel fiume. >>
Il povero clown fissò i suoi piedi: calzari aperti da un lato, calzini di fuori e piedi sporchi in bella mostra.
<< Non erano così quando le ho indossate, giuro! >>
Un gesto con la mano del Cappone fu più che sufficiente. Trampolieri, giocolieri, domatori di belve feroci come tortore e gatti, ballerini, lanciatori di coltelli e mangiafuoco erano in fermento, muovendosi caoticamente in quel misero camerino che era stato gentilmente concesso loro dal personale delle cucine. Non c’era tempo, la parata stava per tornare e non ci sarebbe voluto molto prima che Bihares chiudesse il discorso di ringraziamento e venisse a rilassarsi di fronte ad un lauto pasto e ad uno spettacolo coi fiocchi seguito dai suoi fedeli cavalieri. L’ansia era tangibile.
Toc toc toc. Qualcuno bussò alla porta. Tutti si voltarono: strano, il gruppo era al completo e solitamente nessuno disturbava gli artisti. Si sentì ancora bussare. Il Cappone, spaventato, si avviò alla porta e gridò:
<< Chi va là? >>
<< Il Circo della Luna! >>
Vi fu una ventata di stupore generale, una di disgusto per il Cappone e una di felicità per Vasher. Questo poteva significare una sola cosa: Sambo!
Il capo-comico aprì la porta e all’interno si riversarono altri cinque elementi, tutti colorati e sorridenti, già truccati e attrezzati. 
<< Siamo venuti a darvi una mano! >>
A parlare era proprio Sambo, un vecchio e caro amico di Vasher. 
<< Ma che ci fate, voi ciarlatani, qui!? >>
<< Oh, si calmi signore. Siamo solo di passaggio. Siamo diretti a Sud ma abbiamo saputo della vittoria dell’Imperatore e abbiamo deciso di fare una capatina, offrendo i nostri servigi in cambio di una sistemazione. Siamo accampati alla piazza d’armi, tanto, a quanto ho capito, i poderosi cavalieri dei draghi non ne hanno più bisogno per ora! >>
Il Circo della Luna era una delle più grandi compagnie di girovaghi dell’impero. Decine di illusionisti, comici e atleti ingrossavano le sue fila e viaggiavano spesso in grosse carovane. 
<< Che il Dio Kerma mi protegga, fortunatamente siete solo in cinque. Sarebbe stato un problema se voi e la vostra masnada di dementi aveste invaso il palazzo reale. Qui comandiamo noi, è territorio nostro. Rimanete pure, ma niente scherzi! >>
<< Come? Niente scherzi? Siamo qui per far ridere! >> 
Bulbo andò a nascondersi dietro una botte poiché il volto di Sambo incuteva timore più che una risata.
Una maschera bianca con due fessure per gli occhi affusolate e sottili e una identica per la bocca fissava il Cappone mentre Vasher, alle sue spalle, si avvicinava con fare disinvolto. Gli occhi e i capelli scuri del giullare di corte si abbinavano perfettamente alla divisa blu notte ma il volto scoperto e malamente truccato non dava credibilità al personaggio. Sambo invece, oltre alla maschera, era perfettamente vestito: colori chiari di tutte le tonalità e un cappello con un unico sonaglio lo rendevano riconoscibile anche a kilometri di distanza.
<< Ma guarda chi c’è laggiù che fa l’indifferente. Vasher, è cosi che si accoglie un amico? >>
<< Sambo, è cosi che si abbandona un amico? Mi hai lasciato in quella stupida osteria, mezzo sbronzo e senza soldi. Ho lavorato per due giorni per ripagare tutto ciò che avevamo bevuto. Sei un ladro. >>
<< E anche un truffatore. E un infedele. E un puzzone. E un assassino. >>
I due si misero faccia a faccia. Si fissarono con aria di sfida, o almeno lo fece Vasher dato che del suo amico non era possibile intravederne gli occhi.
Ma il broncio non poté durare molto e i due si abbracciarono calorosamente.
<< Smutandata! >>
I logori calzoni di Vasher si allungarono fino alle spalle e, tra le risate di Sambo e di tutti i presenti, una testata raggiunse le costole del giullare della Luna che cadde a terra tra lacrime di dolore e divertimento. 
<< Sei sempre la solita testa calda! Ahahah! >>
<< Sei sempre il solito Sambo. Un perfetto idiota! >>
Il dolore alle costole sembrò svanire tutto d’un tratto, il giullare tornò in piedi, mise una mano in tasca, ne estrasse un cilindretto e lo diede in mano a Vasher. 
<< Sbattilo sulla tua mano e guarda che rumore che fa. E’ un nuovo giocattolo in dotazione ai membri del Circo della Luna. >>
L’amico seguì ignaro le istruzioni e il piccolo cilindro esplose rumorosamente in un lampo blu.
<< Brucia! >>
Le risate continuarono e i colleghi della Luna presero posto tra gli artisti, pronti ad esibirsi.

 
La sala del trono sembrava l’interno di una chiesa: due piccole navate laterali accompagnavano una grande navata centrale verso l’altare dove risiedevano i due troni, ora occupati da imperatore e imperatrice. Un lungo tappeto rosso, grosse colonne di marmo bianco e antichi arazzi alle spalle dei troni rendevano questa una delle sale più stranamente arredate del palazzo ma altrettanto degna di attenzione. Bihares e la sua consorte sedevano con ampi sorrisi sui loro troni, circondati dagli scranni dei Tre Cavalieri di Drago e dai consiglieri e con alle spalle un nutrito gruppo di spettatori, ovviamente di nobili natali privatamente invitati, ad assistere allo spettacolo che di lì a poco sarebbe iniziato. Tutti parlavano, tutti sussurravano e, con pancia piena e labbra umide di vino, la tensione della battaglia era svanita completamente sostituita da un piacevole rilassamento. Algos sorseggiava un bicchiere di vino, muovendo il collo a destra e a sinistra con aria disinvolta ma Eito il Pacifista era irrequieto,aveva notato qualcosa durante il discorso di ringraziamento e dell’imperatore: il suo collega, Cikra, non stava molto bene. Lo aveva visto stropicciarsi gli occhi e battere velocemente le ciglia ed ora se ne stava seduto al suo posto, senza prendere parola con nessuno e con lo sguardo fisso a terra o, per meglio dire, perso nel vuoto. Ma la sua mente venne svegliata da un poderoso colpo di tromba e dall’entrata in scena di un giovane ragazzo coperto da pellicce che annunciò lo spettacolo e gli artisti che avrebbero intrattenuto il pubblico.
Poche parole e le porte infondo alla sala si spalancarono riversando di fronte all’imperatore e ai cavalieri un’ondata di colore, frenetici movimenti e note coinvolgenti: ballerine saltarono di qua e di là con lacci colorati, piroettando e contorcendosi continuamente mentre agili saltimbanchi percorsero tutto il tragitto, dalla porta ai troni, eseguendo fantasiosi salti mortali. Tutti rimasero estasiati da tale spettacolo e molti iniziarono anche a battere le mani a ritmo dei violini e dei tamburi dei musicisti che avevano praticamente circondato gli artisti, formando un cerchi dentro al quale si sarebbero esibiti.
Bihares stringeva la mano della moglie ed entrambi godevano dei prodigiosi inganni di illusionisti e prestigiatori, abili nel far sparire e riapparire monete, predire carte e trapassarsi a vicenda con le mani.
Eito rimase più che altro allibito di fronte alla magnifica mira di un ragazzino: il giovane lanciava coltelli con una velocità e una mira degni di un assassino; infilzava delle mele legate ad un gatto ammaestrato che aveva il compito di saltare a destra e a sinistra per rendere il numero ancora più difficile e coinvolgente dato che di tanto in tanto si avvicinava agli spettatori suscitando paure e risate. Algos invece rimase estasiato dal canto angelico di una dolce ma paffuta fanciulla la quale intonava una nota dopo l’altra in una serie di canti tradizionali resi ancor più orecchiabili e soavi del normale. Ma ciò che preoccupava Eito era ancora Cikra: non si era mosso. Era tornato a fissare il vuoto ma un sorriso stampato in faccia tradiva lo stato della sua salute.
Vasher era nervoso e tremava mentre Sambo sembrava rilassato e disinvolto. Entrambi erano fermi, in posa uno di fianco all’altro di fronte all’intero pubblico che, attratti dalle parole del giovane in pelliccia che presentava il loro numero, erano concentrati ancor di più sulle loro figure.
<< Spero solo che siano abbastanza ubriachi da non seguirci. >>
Sussurrò a denti stretti Vasher cercando di mantenere un sorriso convincente sul viso. 
<< E smettila di preoccuparti. Guardali, in pochi ci seguiranno. >>
In effetti l’imperatrice era felicemente poggiata sulla spalla del marito con occhi chiusi e lui muoveva ancora la testa rievocando il ritmo della canzone precedente. Parte dei nobili parlava in piccoli gruppetti, altri, più ubriachi, rimanevano appoggiati ad alcune colonne con aria assente. Molti consiglieri, per lo più anziani, erano già andati via e dei cavalieri dei draghi, solo uno, il Pacifista, sembrava prestare attenzione. Uno era crollato ubriaco sul suo scranno e l’altro era come intontito, forse per la stanchezza.
Il giovane impellicciato finì il suo amabile discorso e i due giullari cambiarono posa, pronti ad iniziare. Vasher tremava ancora, incapace di mantenere quella posizione così contorta per un periodo così lungo ma il suo sguardo, oltre che affaticato, era sereno. Sambo, dalla parte opposta, col suo unico campanellino e con la sua maschera bianca, era immobile come una statua ma un leggero movimento ondulatorio della sua testa tradiva il suo nervosismo: nonostante fosse un giullare di lunga data, esperto e preparato, era pur sempre uno spettacolo di fronte all’imperatore e ai sacri cavalieri. 
D’un colpo, un tonfo scosse i presenti. Vasher perse l’equilibrio a causa della tensione e cadde rumorosamente a terra. Cikra era svenuto. Il Dragone, il possente cavaliere ritenuto invincibile, era caduto dal suo scranno battendo il volto sul rosso tappeto. Eito era saltato in piedi ed era corso per verificare lo stato del suo compagno mentre Algos stava ancora stropicciando gli occhi, incuriosito. I nobili iniziarono a formare un cerchio, mentre l’imperatore osservava dall’alto. Vasher non poté che sgattaiolare tra le gambe dei presenti per giungere ai piedi del grosso cavaliere: ansimava, ma era vivo e sudato come non aveva mai visto in vita sua. Il giullare fece per dire qualcosa ma si accorse di non essere in compagnia: Sambo stava eseguendo il numero da solo, come se nulla fosse successo.
Vasher, sconsolato, sussurrò:
<< Ah già. Mi ero dimenticato. >>
Sambo era sempre stato sveglio e abile ma ogni tanto era colto da “momenti di bassa lucidità” come li chiamava lui, che lo rendevano estremamente ridicolo, imprevedibile e, in situazioni come queste, pericoloso. Fortunatamente nessuno prestò attenzione a lui o sarebbe stato impiccato sul posto.
Il Pacifista urlò:
<< Presto, levati di mezzo! Algos, dannazione aiutami a sollevarlo. >>
I due sollevarono il compagno caduto e lo misero braccia in spalla. 
<< Mio Signore, lo condurremo nei suoi alloggi. Ci mandi dei medici appena può e qualcuno a controllare il suo drago. >>
Sotto gli occhi incuriositi degli invitati, quelli spaventati dell’imperatore, quelli confusi di Vasher e di fronte al balletto di Sambo, il Dragone venne condotto in direzione dei suoi alloggi.

<< Non dovrebbe essere difficile. >>
Il principe estrasse la lama dalle costole, la conficcò tra gli occhi e i lamenti di dolore della guardia vennero messi a tacere.
<< Basta sembrare convincenti, sembrare sconvolti. >>
Un calciò spezzò un ginocchio, un pugno slogò un’altra mandibola. Le guardie caddero a terra.
<< Magari qualche lacrima. Oh, dimenticavo! Devo sporcami di sangue. >>
La lama affondò nella gola del soldato ormai privo di ginocchio e un calcio fratturò l’osso del collo della guardia svenuta.
<< Questo dovrebbe bastare. Via la lama. Fuori le lacrime. >>
Vassor attraversò la fitta pineta con andatura da passeggio nonostante fosse notte, gettò via il suo coltello, la pietra con la runa e la divisa dei suriaki, sostituendola con un’armatura imperiale. Dopo ore di cammino, la luna era ormai alta nel cielo e le stelle sembravano una miriade di occhi brillanti. Il monastero era vicino e il piano di Vassor stava finalmente per avere luogo.
<< Ci siamo. Non deludetemi, maledetti fanatici. >>
Un edificio fatiscente, una baracca, si presentava di fronte a lui quasi chiedesse pietà. La struttura sembrava stesse per crollare da un momento all’altro e a parte dell’edificio mancavano le pareti o il tetto.
Un porta di legno marcio si spalancò al suo arrivo e un anziano, con barba lunga e privo di capelli, gli si parò davanti:
<< Soldato, sei molto lontano da casa. >>
<< S-signore, chiedo pietà. >>
Lacrime iniziarono a macchiare il viso insanguinato di Vassor.
<< S-sono sopravvissuto alla battaglia. Mi sono svegliato e i miei compagni… erano… erano tutti morti. S-sono pentito, padre! >>
<< Di cosa stai parlando, ragazzo? >>
Il volto del vecchio passò da spaventato a comprensivo.
<< Avete capito bene, padre. Voglio convertirmi. Non voglio più combattere, non toccherò mai più una spada. Non ucciderò più. >>
<< Questo è un bene, figliolo. Ma come posso aiutarti? >>
<< Accettandomi come adepto, padre. Lo sapete anche voi che tutti a palazzo non credono in Dio. Fanno solo finta di credere, la tradizione lo richiede. E anche io ero come loro. Ma ora sono cambiato, credo che Kerma, il dio dragone, esista e che ci protegga tutti. Mi ha protetto, me, che avevo un animo debole e indeciso. Mi ha mostrato la sua esistenza e mi ha donato una seconda possibilità. Mi lasci prendere i voti, padre. Voglio seguirlo! >>
Il vecchio sacerdote sembrò addolcirsi e, afferrata la mano insanguinata del povero soldato, lo condusse all’interno.
Un sorriso beffardo sostituì le finte lacrime di Vassor e, oltre la porta di legno marcio, un nuovo mondo gli si presentò.

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Capitolo 3
*** Strani Comportamenti ***


Gli avvenimenti della notte precedente avevano già fatto il giro di mezza città. Vasher e Sambo, immersi in una puzzolente osteria, non facevano altro che sentir parlare del Dragone, sempre e solo di Cikra.
<< Per tutti gli dei, ho fatto un’esibizione da urlo. E nessuno mi ha guardato! >>
<< Certo, eri l’unico idiota che non guardava un cavaliere di drago a terra mezzo morto. >>
<< Bhé, scusa tanto se non mi interessa! >>
<< Bhé, scusa tanto se la performance di un imbecille mascherato è più noiosa di un cavaliere invincibile svenuto. >>
<< Mmh… Non male come idea. >>
Vasher osservò sbalordito il suo compagno, sbalordito dall’assenza di un filo logico nei suoi discorsi.
Entrambi stavano seduti ad un tavolo, posto in uno degli angoli più bui del tetro locale in cui si erano rifugiati da praticamente tutta la mattinata e buona parte del pomeriggio. Bevevano idromele e raccontavano aneddoti di avventure passate ma il trambusto e le voci avevano indirizzato i loro discorsi su cose più attuali.
<< Sambo senti… >>
<< Basta. >>
Il singolare giullare mascherato spaccò il boccale in peltro sul tavolo, sotto gli occhi esterrefatti del compagno. L’oste si voltò, quasi come se il suono del bicchiere rotto avesse filtrato tutte le voci, i mormorii e la musica della sala per giungere alle sue orecchie.
Sambo, sotto lo sguardo straniato dei clienti dei tavoli vicini, si alzò in piedi, poggiò una mano sulla spalla dell’amico e salì sul tavolo.
<< Ma che fai, Sambo. Scendi da lì, l’oste ci sgozzerà! >> 
E infatti era già intento a cercare qualcosa sotto al bancone.
<< Smettila di agitarti. Solo mi sento grasso, me lo sento da un mese. Ora voglio dimagrire. >>
<< C-cosa? Tu, grasso? Ma ti sei visto!? >>
Sambo era alto e insolitamente magro, gli si potevano intravedere costole e scapole quando indossava i costumi più aderenti.
Il nuovo passatempo dell’osteria saltò e si appese ad una delle travi portanti della baracca iniziando a fare su e giù, tenendo il conto.
<< Ma sei totalmente rincretinito? Ti sembra questo il momento di fare esercizi? Per l’amor del cielo, ho lasciato perdere il fatto che tu stia indossando una maschera anche  fuori dallo spettacolo e dentro un’osteria ma questo è troppo. >>
L’oste iniziò ad avvicinarsi minacciosamente con una mannaia alla mano. Vasher abbandonò il bicchiere e si allontanò dal tavolo mentre Sambo contava ancora e ancora, mettendo in mostra i suoi tonici addominali da sotto la veste attillata.
Vasher era fuori; con aria sconsolata, sbuffò, e con le orecchie tese iniziò ad ascoltare il concerto di urla, bestemmie e rumore di sedie spaccate che Sambo aveva provocato.
<< Spero gliele diano di santa ragione. >>
Pochi secondi e la porta si spalancò con violenza, vomitando Sambo nella strada, al fianco di Vasher.
<< E non tornare mai più, pazzo di un… Pazzo! >>
L’oste richiuse la porta alle sue spalle mentre da dentro si levava un coro di “Nooo”, probabilmente a causa della perdita di un potenziale buffone.
<< Allora? Te le ha suonate? >>
<< No, sono sceso e sono scappato. Ehi! Non ho pagato! >>
Sambo girò i tacchi e con andatura comica riaprì la porta ed entrò.
Vasher era sconcertato; altre urla e la porta si riaprì nuovamente: stavolta Sambo venne letteralmente lanciato fuori dall’oste ed atterrò faccia, anzi maschera, a terra.
Lo sguardo dell’oste e del giullare di corte si incrociarono ed entrambi rotearono gli occhi, privi di pazienza.
Vasher lo afferrò per la collottola e lo tirò; Sambo pulì la maschera bianca con piccoli colpi alla cieca dato che non poteva vedere dove fosse sporca e venne trascinato dal compagno.
<< Non hai intenzione di alzarti, vero? >>
<< Perché dovrei faticare quando ci sei tu? >>
<< Perché sei un… >>
<< Ehi, guarda! >>
Tra le vie dei bassifondi della città era possibile vedere ogni genere di persona e, soprattutto a quell’ora, all’imbrunire, la vita diveniva più frenetica. I mercanti dovevano smontare le loro postazioni, le prostitute dovevano rientrare nelle case chiuse e tutti coloro i quali avevano “affari” in quei vicoli, dovevano concluderli in fretta e ritornare da dove erano venuti. Dopo una certa ora, briganti e assassini si aggiravano indisturbati nei budelli tra le baracche in cerca di lavoretti semplici o di bersagli da depredare e non era certo una passeggiata tenergli testa. Ma, ciò che videro i due, era ancor più interessante: Algos.
Il cavaliere di drago camminava a passo svelto, con la testa abbassata, un pacchetto stretto tra le braccia e con gli occhi che cercavano a destra e a sinistra. Probabilmente non voleva essere visto in quelle zone e stava ritornando alla caserma.
<< Andiamo, seguiamolo. >>
Sambo miracolosamente riprese a camminare e stavolta fu lui ad afferrare Vasher per uno dei tre campanellini e a tirarlo con sé.
<< Ehi, vedi che mi rovini il cappello! E poi finiscila, se ci vede quello ci ammazza. E’ un cavaliere, probabilmente è venuto per fare un’indagine. >>
<< Ah, un indagine? Perché allora ha in mano un pacchetto di erba-pipa? >>
<< Un cosa? >>
<< E’ un droga, maledetto imbecille. >>
<< Ehi, non chiamarmi imbecille, non paragonarmi a te. Sei tu quello che sta andando in contro alla morte… e che mi stai trascinando con te! >>
<< Oh, frignone. >>
I due seguirono il cavaliere dall’aria sospetta per i vicoli dei bassifondi, svoltarono svariate volte e furono costretti a prendere scorciatoie per evitare di essere scoperti. Ad un tratto però il cavaliere si arrestò e iniziò a guardarsi attorno.
<< Ehi, Algos! Siamo qua! >>
Vasher fece appena in tempo a placcare il suo amico che lo sguardo del cavaliere puntò nella loro direzione.
<< Sei impazzito! >>
Sussurrò il giullare da terra. Algos gridò minaccioso:
<< Chi va là? Mostrati o sparisci. >>
<< Visto? Non è arrabbiato. >>
<< Lui no, ma io si! Ti strozzo se lo fai ancora. >>
Il cavaliere non indagò oltre e proseguì spedito.
<< Dai, continuiamo a seguirlo. Mi sto divertendo! >>
<< A me credo verrà un infarto. >>
I due proseguirono e, usciti dai bassifondi, si diressero cautamente verso gli alloggi dei cavalieri nella caserma. Le loro doti atletiche gli permisero di eludere le sorveglianza e lo sguardo di Algos in più di un’occasione saltando sui tetti, muovendosi silenziosamente e distraendo le guardie lanciando sassi contro oggetti metallici. Algos entrò nel suo alloggio, posto nella soffitta di una torre. Mentre il cavaliere saliva le scale, i due amici scalarono la torre a mani nude, affidandosi al loro equilibrio e alle sporgenze della struttura. Unico spiraglio sulla vita privata del cavaliere era una finestrella posta sul tetto: da quella posizione era possibile vedere tutto il monolocale.
Algos arrivò dopo i giullari e iniziò a spogliarsi e a mettersi indumenti più leggeri. Diede da mangiare ad un falco ingabbiato e inizio a riversare il contenuto del pacchetto su un tavolino.
<< Che ti dicevo? Erba-pipa. >>
Qualcosa però destò i loro sospetti: una porta si chiuse violentemente sotto di loro. I due non fecero in tempo a vedere chi fosse entrato nella torre e lo stesso Algos rimase immobile, orecchie tese, ad ascoltare. Niente rumori. Il cavaliere lasciò perdere e iniziò a sminuzzare l’erba fino a ridurla in filamenti finissimi. La mise dentro una foglia, la arrotolò e ne accese un’estremità alla fiamma del caminetto. Alogs iniziò a fumare e a rilassarsi, dando le spalle alle scale. Misteriosamente un’ombra scura apparve dietro di lui; i due giullari avrebbero voluto avvertirlo ma sarebbero stati scoperti. Cikra era dietro di lui e Algos, spaventato, si voltò per poi calmarsi subito.
Vasher si accorse che i vetri erano probabilmente insonorizzati poiché vedeva le labbra di Algos muoversi senza emettere suoni. Il cavaliere girò per la stanza, continuando a fumare e a parlare, mentre Cikra rimase sul posto senza fiatare. 
Seguirono interminabili secondi prima che Cikra alzasse il braccio destro, caricò il pugno fin dietro la scapola e sfondò il cranio del compagno voltato di spalle alla finestra della sua camera. L’evento accadde così inaspettatamente che i cuori dei due impavidi giullari smise di battere per qualche istante, per poi riprendere con velocità inaudita. Cikra estrasse la mano dal cadavere del suo compagno e, con lenti movimenti, mosse il collo e lo sguardo nella loro direzione.
<< Ci ha visti. >>
Sambo era visibilmente agitato, tremava:
<< Impossibile, non poteva sapere che eravamo quassù, dannazione è scuro in cielo! >>
<< Presto, scendiamo. Dobbiamo denunciare tutto all’imperatore! >>
I due scesero rapidamente lanciandosi su un tetto vicino e calandosi dalle finestre ma il pericolo non era ancora passato: Cikra li aveva raggiunti fuori con velocità sorprendente e gli stava addosso.
<< Mer… >>
<< Scappa! >>
Sambo fuggì a gambe elevate seguito da Vasher. I due corsero all’impazzata senza curarsi di verificare la presenza di Cikra alle loro spalle.
<< Ma ci sta ancora dietro? >>
<< Si! >>
Sambo continuò a correre ma Vasher si voltò per verificarne l’effettiva presenza: non c’era. Vasher si immobilizzò ma Sambo continuò a correre.
<< Fermati, scemo! Se n’è andato! >>
Sambo si bloccò.
<< Ah, si? >>
<< Si. >>
<< Allora vado a bermi qualcosa. >>
Il mascherato si voltò e si diresse ancora verso i bassifondi ma stavolta il suo compagno non poté sopportare tanta sconsideratezza. Prese un sasso e colpì in piena tempia il collega, suscitando lamenti e imprecazioni.
<< Ora vieni con me, andiamo dall’imperatore e confessiamo tutto. Poi vai a fare quello che ti pare! >>
Vasher si ritrovò ad urlare, afferrò Sambo per la collottola e si diressero alla sala del trono.
Giunti in fretta e furia, si fiondarono sulle porte ignorando gli avvisi minacciosi delle guardie. Schivarono le loro prese e corsero dritti verso i due troni, dai quali Bihares osservava con pazienza.
<< Signore, abbiamo un problema. >>
Preannunciò Sambo. Vasher aggiunse:
<< Cikra ha ucciso Algos! >>

Seduto tra i banchi dell’Aula Bianca, Vassor ascoltava con attenzione le parole del Gran Maestro. Parole di compassione, di amore verso il prossimo, di vendetta contro coloro che non avessero osservato il culto. 
Un collega novizio gli si avvicinò:
<< Non credi che tutto questo sia fantastico? >>
<< Tutto questo cosa? >>
<< Tutta questa spiritualità, tutta questa “pace” che il culto infonde nella tua anima. Ti ho osservato prima, hai molti dubbi. Pomeriggio al corso di Scrittura Magica impareremo un incantesimo fantastico capace di farti moltiplicare in un centinaio di tuoi cloni! >>
<< Davvero? >>
<< Si! Il Dio Kerma professa pace e tolleranza ma fornisce anche armi ai suoi seguaci affinché creino e mantengano questi stati. >>
<< Sapevo che questo culto fosse un po’, come dire, particolare. >>
<< Mio caro, fidati. Non rimarrai deluso. >>
<< Grazie, fratello. >>
Le impressioni che Vassor si era fatto su quel posto erano completamente diverse da quelle reali. Una sola notte trascorsa lì, era come passare almeno una settimana; il tempo e lo spazio, la velocità di apprendimento, le capacità fisiche, era tutto distorto, tutto ampliato e amplificato. Il luogo perfetto per muovere le redini di un piano articolato e di difficile attuazione.
Vassor però era impaziente e, senza mezzi termini, domandò:
<< Scusami, fratello. Ma quando ci insegneranno la tecnica dell’Assorbimento Astrale? >>
<< C-cosa? E chi ti ha detto questa cosa? >>
<< Mio nonno. Era un monaco come voi e mi ha rivelato la presenza di questo incantesimo. Vorrei apprenderla poiché anche lui voleva farlo ma non ha potuto. Vorrei rendergli onore apprendendola al posto suo. >>
<< Bhé, se la mettiamo così, la imparerai tra circa dieci anni. Sempre che tu sia portato per la magia e sempre che tu riesca a passare tutti gli esami. >>
<< D-dieci anni!? >>
<< Ehi, parla più piano! Qui ci sbattono fuori al minimo disturbo. Comunque, si. Dieci anni. Se vuoi dopo posso insegnartene uno di controllo sul corpo ma non dura molto ed è difficile da eseguire. Per il resto, dieci anni. >>
<< Dannazione… Grazie, fratello. Accetto la tua proposta. >>
<< Piacere mio, fratello. >>
I piani del principe subirono dunque un ritardo colossale. Da un piano di facile e rapida attuazione, ora era diventato di profondo impegno e pazienza: l’anima del Dragone era quasi pronta e il catalizzatore in posizione. Mancavano solo altri due elementi: lo scheletro e l’incantesimo.


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Capitolo 4
*** Titani ***


All’ombra e su due rami di un albero, i due giullari riposavano placidamente. Avevano confessato di aver visto il Dragone uccidere la Guida dei Falchi. Cikra era stato intercettato, trovato con una mano imbrattata di sangue e cervella e imprigionato. Il cadavere di Algos era stato prelevato e seppellito con sontuosi funerali ed Eito, unico cavaliere rimasto, decise di andare fino in fondo. I due amici furono invitati a restare a palazzo in veste di testimoni e a passare la notte nelle camere private per gli ospiti, ovviamente sotto scorta.
Sambo dondolava una gamba avanti e indietro, con le braccia dietro la testa; Vasher era comodamente seduto, spalle al tronco, intento a rosicchiare una mela. I giardini del chiostro interno del castello erano rigogliosi e verdi e offrivano una finestra di pace dal trambusto politico della vita reale.
<< Per una volta che decido di fare tappa qua per venirti a trovare, guarda che succede: il più famoso tra tutti i cavalieri di drago esistiti sviene, impazzisce e uccide un suo compagno. Siamo diventati testimoni di un delitto e dobbiamo sottoporci a processo. Non era questa la vita che immaginavo quando ho iniziato a fare il buffone per professione. >>
<< Rilassati, Sambo. Siamo nei giardini imperiali, all’ombra di un salice e sotto la protezione delle guardie. Che abbiamo da temere? >>
<< I fantasmi… >>
<< I cosa? >>
<< Guarda! >>
Vasher non si accorse minimamente della spettrale presenza che vagava nei giardini: un fantasma, un uomo dalla forma eterea e dal colorito azzurrognolo, camminava lentamente, senza far rumore. Il passo era quello di un disperato, strascicava i piedi a terra e, con le mani aperte di fronte al viso, sembrava piangesse e gridasse.
<< No… Non ci posso credere. >>
Era Cikra. Il cavaliere dalla pelle nera stava avanzando nell’erba; si fermò e con occhi pieni di lacrime si voltò verso i rami del salice, proprio verso i due giullari. Vasher rischiò di cadere per lo spavento. Sambo si protrasse verso l’amico, gli rubò la mela di mano e la lanciò verso il cavaliere fantasma: l’oggetto attraversò il corpo senza incontrare resistenza e ruzzolò al suolo. Lo spettro non ne risentì e continuò a piangere e a mostrare le mani ai due giullari, muovendo le labbra.
<< Ma ci sta parlando? >>
<< Non lo so, Vasher. Le sue mani, guardale! Sono più scure. >>
<< Forse è sangue. Forse è il sangue di Algos. >>
La figura stava lentamente svanendo ma l’immagine era terribile: lacrime, sangue e lamenti. Le parole di Cikra non avevano alcun suono; per quanto potesse gridare, i due giullari non riuscivano a sentire niente.
<< “Aiutatemi”. >>
<< Cosa? >>
<< Sta chiedendo aiuto. Gli leggo il labiale. Dice: “Aiutatemi”. >>
<< Cosa? Perché dovremmo aiutarlo? In che modo? >>
Il fantasma scomparve e Sambo saltò giù dall’albero. Proprio in quel momento, dietro al fantasma, era apparso Bihares.
<< Oh… Maestà! >>
La maschera di Sambo toccò quasi terra per il poderoso inchino che fece; Vasher lo raggiunse e si chinò a sua volta.
<< Cosa vi prende a tutti e due? >>
<< Mi scusi, Maestà? >>
<< Vi sentivo parlare e vi ho visto fissare un punto. Eravate come… Spaventati. >>
<< Oh, oh! Non si preoccupi Maestà, va tutto bene. >>
Vasher però intervenne:
<< Si, Maestà, va tutto bene ma se non le dispiace vorremmo andare a visitare il Dragone. >>
<< E perché dovreste? >>
<< Ci dispiace un po’ per lui e vorremmo mostrargli compassione. Parlargli o magari semplicemente osservarlo. E’ la prima volta che siamo testimoni di un omicidio ed è… strano. >>
<< Non vi ho capito, ma andate pure. >>
<< Grazie, Signore. >>
I due giullari si alzarono e corsero alle spalle dell’impietrito Bihares: il poveretto era la prima volta che veniva a contatto con tali eventi e soprattutto con tali soggetti. Il vecchio scosse la testa e andò a sedersi all’ombra dello stesso salice.
Alle sue spalle, Sambo sussurrò al compagno in corsa:
<< Ma che razza di scuse ti inventi? >>
<< Non rompere, non sapevo che dire! >>

Le prigioni erano nei sotterranei del palazzo reale: posto scomodo e illogico per una prigione, ma in realtà erano solo le fondamenta di un altro edificio su cui è successivamente sorto il Palazzo Imperiale. I due buffoni attraversarono in fretta e furia i cunicoli labirintici delle prigioni, destando sospetti e curiosità tra le guardie ai lati delle celle e tra i detenuti stessi:
<< Sambo, ma che cavolo era? >>
<< Un fantasma mio caro Vasher. Probabilmente Cikra è morto e vuole essere sepolto. >>
<< Dici? >>
<< Dico. >>
Raggiunsero finalmente un’area sospetta: il corridoio era bloccato da tre guardie armate fino ai denti ed un bancone con un ufficiale. I giullari chiesero di poter passare e, dopo un breve ma approfondito controllo, furono ammanettati e scortati dalle tre guardie verso la cella del detenuto.
Sambo non era ovviamente capace di comprendere la situazione delicata e iniziò a raccontare barzellette alle guardie. Vasher era nervoso e sapeva che qualcosa stava per andare storto.
La cella era finalmente di fronte a loro: due guardie tenevano d’occhio Cikra dall’esterno, mentre altre tre restavano all’interno, vicine al detenuto, per intervenire in caso di disordini.
<< Ma… è vivo? >>
Una guardia si preoccupò di rispondere e chiarire ogni dubbio:
<< Si, il detenuto Cikra Skaolis è vivo. E’ rimasto sveglio dal momento dell’incarcerazione. E’ stato anche sottoposto a visite mediche e, oltre a un po’ di febbre e ad una piccola ferita, è perfettamente in forze. Non si può dire lo stesso della sua salute mentale però. >>
<< Ma.. ma ho visto il suo fantasma! >>
Vasher non poté credere alle sue parole; si era lasciato sfuggire una sciocchezza simile. Tutti risero eccetto Cikra. Anche Sambo rideva dal fondo della sua maschera bianca:
<< Ma che ti ridi, scemo! Da che parte stai? >>
<< Ahahaha! Scusatelo guardie, è un po’ matto il mio amico! >>
<< Senti chi parla. >>
Un boato scosse la terra:
<< Cos’è stato? >>
Si affrettò a dire una guardia dall’interno della cella. I presenti iniziarono a guardarsi attorno mentre in sottofondo un rumore di passi segnava l’avvicinarsi di qualcuno. Difatti una guardia sbucò immediatamente da dietro un angolo. Aveva il fiatone e delle strane bruciature sulla corazza parlavano da sole:
<< Svelti, Vantos sta combattendo con Baton alla piazza d’armi! >>
Le guardie si allarmarono e, eccetto quelle nella cella di Cikra, abbandonarono la posizione e fuggirono insieme alla guardia superstite. Vasher iniziava lentamente ad abbinare i nomi alle immagini finché non capì che si trattava dei draghi; Sambo era invece paralizzato. Tremante, riuscì a sussurrare:
<< L-l’accampamento, i miei amici! >>
Con furia, Sambo fece saltare le manette e Vasher si stupì di tale forza. Il giullare mascherato liberò anche l’amico e, afferrandolo per un braccio, lo trascinò con se.
<< Dobbiamo tornare! Dobbiamo aiutare! Dobbiamo salvare i miei amici! >>
Sembrava spaventato a morte, sembrava che non vi fosse cosa più importante dei suoi compagni. Vasher pensò che fosse strano poiché in due giorni non li aveva nemmeno accennati ma lo seguì senza troppe storie.

Lo spettacolo che gli si presentò quando arrivarono era spaventoso: la piazza d’armi, sede dell’accampamento  del Circo della Luna, era ora dominata da due figure imponenti che lottavano tra loro. Vantos, nero, robusto e visibilmente adirato, era intento a sputare minacciose fiamme nere su Baton, più piccolo di dimensioni, con la testa e il corpo schiacciati e affusolati e con la schiena, la testa e la punta della coda irti di aculei ossei; i resti dell’accampamento erano sparsi ovunque e piccoli fuochi neri stavano ancora bruciando residui di tendaggi, attrezzi da circo accatastati e corpi ormai privi di vita; soldati della guardia imperiale tentavano di legare Vantos con lacci e catene ma l’enorme Drago Nero faceva piazza pulita di quei fastidiosissimi insetti solo con un colpo di coda o un battito d’ali. I due draghi erano spariti dalla fine della battaglia contro i suriaki, si erano nascosti chissà dove e nessuno dei due aveva mai fatto ritorno alla Torre-Nido: un possente edificio terminante con una guglia, al cui interno vi era la dimora dei draghi dei cavalieri.
Vasher non poté credere ai suoi occhi e forse nemmeno Bihares aveva mai visto nulla di simile. Il vecchio infatti arrivò correndo alle spalle dei due giullari e, tutti insieme, rimasero paralizzati ad osservare quello spaventoso scenario.
Vantos azzannò una zampa di Baton, ma il piccolo drago irsuto menò un potente colpo di coda sul fianco scoperto del drago nero. Il colpo abbandonò decine di lance d’osso sulla carne del rivale e suscitò un’imponente fiammata nera scatenata più dal dolore che dal desiderio di colpire. Sfruttando il vantaggio, Baton ruggì, un suono stridulo e logorante, e le spine su schiena e testa si sollevarono e iniziarono a vibrare: un avvertimento. Vantos tornò in sé, spinse con le zampe anteriori verso terra e si impennò ruggendo a sua volta, un urlo di rabbia e furia omicida, un ruggito profondo, pesante e cupo. Il drago nero tornò su quattro zampe e, ignorando l’avviso del rivale, colpì anch’esso con la coda sulla schiena di Baton: la coda di Vantos, anch’essa dotata di protuberanze ossee, presentava due lame gemelle. Il colpo penetrò nella corazza e nella carne dell’animale che ruggì di rimando. Vantos estrasse la coda, seguita da un fiotto di sangue, e, approfittando del momento di dolore, sputò fiamme nella bocca di Baton. Quest’ultimo richiuse immediatamente la bocca e, sconfitto, si appallottolò. Divenne una sfera irta di aculei e impenetrabile, probabilmente per aver il tempo di riprendersi dal danno subito a bocca e gola, ma Vantos non si lasciò scoraggiare e sputò ancora fiamme nere sul dorso del drago ora diventato una palla chiodata. Baton reagì sparando centinaia di lance d’osso in tutte le direzioni: Vantos venne colpito alla gola, al petto e alle ali ma i danni più ingenti vennero assorbiti da tutto ciò che stava intorno ai due draghi: soldati vennero impalati a terra o sulle pareti del palazzo reale che faceva da sfondo, le poche tende rimaste in piedi vennero crivellate e lo stesso vale per i corpi dei compagni caduti di Sambo; lo stesso imperatore, seguito dai due buffoni, fu costretto a gettarsi a terra per evitare di essere decapitato da una di quelle spaventose lance.
La battaglia sembrava non aver fine, i due draghi avevano ancora molti assi nelle loro maniche ma qualcosa attirò l’attenzione di tutti i presenti: un canto.
Uno strano suono, flebile e dolce, risuonò nell’aria. La piazza d’armi fu costretta ad ospitare un’altra imponente figura: Tolus, il drago azzurro. Con straordinaria delicatezza, il possente drago atterrò alle spalle di Baton: Tolus era decisamente più largo e massiccio di Vantos ma questo non significava che fosse più forte. Tolus, come il padrone, era un pacifista e le sue abilità non vertevano certo sulla violenza. Vantos non vide di buon occhio quest’intrusione e iniziò a ruggire contro il nuovo arrivato; quest’ultimo rispose con un altro canto che, da come Vasher poté capire, non era un canto bensì il suo ruggito. Un ruggito morbido, leggero e sinuoso. Non poteva esistere in natura suono più rilassante e piacevole di quello. Tolus spalancò le ali e, curvandole contemporaneamente verso l’alto e verso la sua testa, formò una specie di corona alle sue spalle: visto frontalmente, Tolus avrebbe intimidito chiunque e sembrava avesse una specie di aureola o di disco dietro la testa liscia e priva di fessure. Il drago iniziò a portare il peso all’indietro e, sollevando le zampe anteriori, si poggiò sul terreno con il petto. Le zampe anteriori, libere, iniziarono a muoversi come quelle di un umano ed eseguirono alcune posizioni rituali con inesorabile lentezza. Vantos cercò di interrompere quel rituale sputando fiamme sul nuovo nemico ma Tolus aprì la bocca, più larga di quelle dei compagni, e assorbì, anzi inghiottì, tutte le fiamme.
Le pose vennero eseguite e le ali, insieme alla testa, iniziarono ad illuminarsi: Vantos sembrò calmarsi, le ali si abbassarono, la fronte, prima aggrottata per la rabbia, tornò alla normalità e il drago nero si accasciò a terra come a voler dormire. I soldati e lo stesso Baton, posti tutti frontalmente alle ali di Tolus, subirono gli stessi effetti: tutti si rilassarono, tutti abbandonarono ogni idea aggressiva, tutti lasciarono andare le armi e Baton tornò ad essere un normale drago e non più una sfera; tutti si accasciarono a terra e riposarono.
La scena,indimenticabile, aveva zittito tutti i presenti, o almeno, coloro i quali erano sopravvissuti alla furia dei due draghi. Sambo e Vasher avevano smesso di pensare e di parlare da circa dieci minuti, incantati dalle immense figure dei tre draghi, in lotta tra loro. Ma qualcosa svegliò i loro animi: un grido.
<< Fermati! >>
Una voce decisa e forte. Uno sfrigolare di tegole e un’ombra assalì la piazza d’armi: Cikra era libero. Il Dragone era in qualche modo fuggito dalle prigioni ed ora era saltato dal tetto del palazzo reale, a più di dieci metri d’altezza, e cadeva in direzione di Baton con una lancia d’osso in mano. Alle sue spalle, Eito il Pacifista, non poté che fermarsi e assistere impotente alla scena: Cikra atterrò, a piedi e petto nudi, sulla testa di Baton, ormai in trance. La lancia d’osso penetrò il suo creatore nell’occhio e, quasi per intero, si conficcò nel cervello della creatura. Bihares rimase allibito e sconcertato e la vista del sangue verde dell’animale irsuto, suscitò un conato di vomito.
Eito, in preda alla collera, saltò giù atterrando però sulla testa del suo drago e scese a terra. Con rapidità e professionalità, tra i leggeri movimenti del velo sul volto e delle vesti sotto le gambe, eseguì delle posizioni uniche con entrambe le mani, imitando il drago: delle spire di luce afferrarono le spalle di Cikra, le bloccarono con violenza, seguite dalle ginocchia. Il cavaliere nero era immobilizzato ma con evidente sforzo, con occhi spiritati e a denti stretti, si voltò verso il giullari, verso l’imperatore in particolare e disse:
<< Ridammi… la mia… Anima! >>


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Capitolo 5
*** Oblio ***


Quelle parole non avevano alcun senso per l’imperatore. Guardò il suo infuriato cavaliere ed ebbe paura; indietreggiò, con la bocca spalancata, mentre Vasher si mise fra i due. Altre guardie seguirono l’esempio del giullare e si schierarono per proteggere il loro imperatore. Cikra non sembrò turbato: il suo sguardo stavolta però non era perso nel vuoto ma era colmo di disperazione; una mano testa verso Bihares, l’altra stretta in un pugno pronto ad esplodere.
Il cavaliere nero si lanciò con tutta la sua forza contro le guardie, spezzando l’incantesimo di Eito. Un potente pugno sfondò il cranio di un soldato e colpì allo stesso modo le altre guardie con la forza di un maglio. Ossa spezzate e corazze ammaccate separavano il Dragone dell’Imperatore. Nel frattempo il Pacifista si preparava a reagire. Le mani eseguirono altre posizioni e, con un palmo rivolto verso Cikra, prese ancora il controllo del corpo. Cikra si sentì bloccato, altri fasci di luce bloccavano i suoi piedi mentre indietreggiavano da soli. Vasher iniziò a preoccuparsi, iniziò a dubitare della sua forza, non certamente all’altezza del cavaliere, ma notò qualcosa di strano: Sambo stava in silenzio a fissare una delle torri del palazzo.
<< Sambo. Sambo! Ma che stai facendo? Scappa. >>
Sussurrò il giullare, ma il compagno rispose:
<< C’è qualcosa lassù. Vado a controllare. >>
<< Ma dove vai! >>
Detto questo, il buffone mascherato iniziò a correre abbandonando l’amico e la memoria di tutti i colleghi del Circo della Luna, che attimi prima erano soggetto delle sue preoccupazioni.
Eito iniziò però a perdere efficacia contro il cavaliere nero. Dalle spalle del Pacifista iniziarono ad apparire lievi ombre spettrali di colore azzurro: iniziarono a flettersi, a cambiare, a mutare in braccia. Quattro nuove braccia azzurre nacquero dalla schiena di Eito e iniziarono anch’esse a muoversi creando sigilli con le mani. Finito il rituale, dai palmi iniziarono ad intravedersi delle rune rosse e, con stupore di tutti, uno strano laccio rosso comparve a collegare la corona di Bihares al fianco del Dragone. Eito comprese il problema: una tecnica di trasferimento era stata applicata a Cikra. La sua anima si stava spostando nella corona, abbandonando completamente il corpo.
Vasher capì il perché dello spettro, capì la richiesta d’aiuto nei giardini del chiostro.
Il Pacifista tentava ancora di entrare nella mente di Cikra per calmarlo ma non era un compito facile. Il Dragone senza anima era più forte del previsto, riusciva spesso a liberarsi dagli incantesimi del suo avversario. Eito aveva tecniche di paralisi, di controllo del corpo e di annullamento della mente ma niente di tutto ciò riusciva a fermare quella macchina da guerra a torso nudo.
La rabbia che scorreva in lui iniziò a prendere forma, il suo corpo invece cominciò a mutare la propria. Fattezze di drago presero posto ma Vantos rimaneva ancora lì, addormentato. La solita tecnica di fusione non stava avvenendo eppure Cikra era ormai trasformato. Eito si accorse di una sottile ombra che collegava i due e fu costretto a dare l’ordine:
<< Tolus, fallo fuori! Subito! >>
Il drago azzurro eseguì e, per impedire a Cikra di completare la sua trasformazione, emise dalla bocca un potente getto d’aria pressurizzata che spazzò via tutto ciò che colpì. Il possente drago nero ormai privo di sensi venne violentemente spinto giù nel burrone che circondava la piazza d’armi ma fu Eito a dare il colpo finale.
La presa su Cikra si allentò e, con tutte e sei le proprie mani, Eito formulò un unico grande sigillo: un’onda di luce azzurra calò dal cielo e riempì il burrone creando un muro. Tutti i presenti rimasero attratti da tale splendore ma non Cikra.
Vasher si sentì afferrare per la faccia. Quel momento di distrazione gli era costato caro e ora si ritrovava a più di un metro da terra, a scalciare, a cercare di levare quella enorme mano nera dal proprio volto. Cercò di gridare e di chiedere aiuto ma non ci riuscì. Il suo cranio venne compresso e schiacciato con forza; il cadavere di Vasher cadde a terra, con occhi e cervella fuori posto, in una pozza di sangue. 
Ora il Dragone avanzava a passo lento e minaccioso verso il prossimo bersaglio: Bihares.
L’imperatore indietreggiò ma non ebbe la forza di correre. Inciampò e si ritrovò a strisciare sotto l’ombra del suo fedele cavaliere. Eito cercò di fare in fretta, terminò l’ondata di luce creata per uccidere il drago e si preparò ad uccidere il suo padrone.

Sambo attraversò il palazzo reale in fretta e furia, rischiando spesso di cadere o di sbattere contro qualche colonna. Trovò ad intuito la torre che lo aveva incuriosito e ne salì i gradini a tre alla volta. Arrivò in cima e con un calcio sfondò la porta. Colui che era all’interno non sentì nulla, Sambo poteva vedere dritto davanti a se una finestra, sulla quale era seduto un uomo in una veste cremisi, e attraverso essa un enorme muro di luce azzurra. Ma il buffone mascherato non si lasciò impressionare. Si avvicinò quatto all’intruso e si accorse che muoveva le mani quasi fosse un marionettista. Sambo gli fu alle spalle e Vassor si accorse di lui. Si voltò, vide la maschera bianca di Sambo, ebbe paura e venne spinto giù.

Un altro evento imprevisto bloccò la situazione: delle urla e un corpo cadevano giù da una delle torri del palazzo reale. Il corpo, cadendo, colpì balconi, merli di mura e dei legni in sospensione prima di schiantarsi al suolo. La caduta gli fu forse fatale ma nessuno si curò di lui poiché qualcosa di più importante era accaduto: Cikra si era calmato. Era tornato uno zombie, a guardare fisso l’imperatore, perso nel vuoto. Eito si voltò rapido verso il corpo, poi verso il Dragone e, con due dita puntate contro Cikra, emise un raggio di luce azzurra che penetrò il cranio del suo ex-collega. Il corpo si accasciò a terra ma l’imperatore non smise di tremare. 

Vassor si sentì a pezzi, senza forze, la mente intorpidita. Aprì piano gli occhi e ascoltò:
<< Sei sveglio, finalmente. >>
Una voce maschile, giovane, lo accolse.
<< D-dove sono? >>
La voce usciva a malapena dalla gola del principe suriaki.
<< Sei nell’infermeria del monastero. >>
<< E come ci sono finito? >>
<< Sei caduto da più di dieci metri d’altezza. Hai tutte le ossa rotte e hai perso qualche organo ma sei ancora miracolosamente vivo. >>
<< Che è successo? >>
<< Sei stato spinto giù di qualcuno o, almeno, è quello che hai detto alle guardie quando ti hanno soccorso, prima di svenire. >>
<< D-davvero? >>
<< Si. Hai detto loro che stavi cercando di prendere il controllo di Cikra per allontanarlo dall’imperatore e che un tizio mascherato ti ha spinto giù. È vero ciò che hai detto? >>
<< Eh? Si, certo. Ma… che fine ha fatto il drago nero? >>
<< Vantos è stato spinto nel burrone e ucciso da Eito. >>
<< E Cikra? >>
<< Cikra è morto. L’ha ucciso sempre Eito e ne abbiamo già celebrato i funerali. >>
<< Come? Ma da quanto tempo sono qua? >>
<< Un mese, mio caro. >>
<< Un mese!? Dannazione! >>
Vassor fece per alzarsi ma il dolore fu assurdo e non ne ebbe la forza.
<< M-ma… che fine ha fatto quel tizio, quello che mi ha spinto giù? >>
<< È stato riconosciuto come un buffone della compagnia del Circo della Luna ma è stato arrestato con l’accusa di aver impedito soccorsi all’imperatore e di favoreggiamento nei confronti di Cikra. Lo hanno impiccato una settimana fa. >>
<< E l’imperatore? >>
<< Sta bene. È vivo e vegeto. >>
<< Eito? >>
<< Eito serve ancora l’imperatore visto che è l’unico cavaliere rimasto ma ha egli stesso dichiarato di voler andare via il prossimo anno. Purtroppo il regno rimarrà così scoperto e privo di cavalieri per altri tre anni, prima che altre uova siano partorite. >>
<< Ma non c’è il pericolo di un attacco? >>
<< Oh, non ora. Il re dei suriaki è morto di recente. Credo che per qualche anno non verremo toccati. Ecco perché l’imperatore non si è opposto alle dimissioni di Eito ed ecco perché possiamo permetterci tre anni senza cavalieri. >>
<< E per quanto riguarda la corona? Ho visto un filo rosso collegare la corona a Cikra. >>
<< Bhé gli esperti hanno constatato che la corona dell’imperatore è pulita. Forse l’incantesimo non era ancora stato avviato o stava per farlo. >>
Vassor si sentì finalmente sollevato: niente più minacce, niente sospetti su di lui e dopo una caduta di venti metri era ancora vivo. Ma la sua mente iniziò a mutare:
<< Dunque devo ringraziare Dio per essere ancora qui. >>
<< Si. Il Dio Kerma ti ha prescelto se sei sopravvissuto ad una caduta così. >>
<< Fratello, perché la gente non crede in Dio? >>
Il monaco sorrise e rispose:
<< Perché se non vedono, non credono. >>
Vassor si ritrovò a pensare all’immortalità dell’anima, all’esistenza di Dio e al padre ormai defunto. Trattenne le lacrime e cambiò i suoi piani.
<< Allora vedranno. >>

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