I'll be Home for Christmas *MISSING MOMENTS*

di Nonna Minerva
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. La notte che cambiò due, anzi tre, vite. ***
Capitolo 2: *** 2. Una decisione importante. ***
Capitolo 3: *** 3. Come la chiamo? ***
Capitolo 4: *** 4. Rosa. ***
Capitolo 5: *** 5. Ci sono cose per cui vale la pena combattere. ***
Capitolo 6: *** 6. Sleeping arrangments. ***
Capitolo 7: *** 7. Contrattempi. ***
Capitolo 8: *** 8. Qualcosa di blu. ***



Capitolo 1
*** 1. La notte che cambiò due, anzi tre, vite. ***


I’ll be home for Christmas

Uff… si direbbe che ce l’ho fatta...

Scusate se pubblico a quest’ora indegna, ma questo originariamente avrebbe dovuto essere il capitolo 4, ma poi ho pensato che forse era più semplice e più corretto pubblicare i capitoli in ordine cronologico e questa è la prima cosa che succede, la premessa della storia...

 

Bene, ora, se siete pronti ad iniziare questa seconda maratona, vi lascio leggere in pace...

 

Mi è venuta un po’ triste, ma vi prometto che il prossimo sarà più allegro.

 

Buona lettura!!

 

Nonna Minerva

 

 

I’ll be home for Christmas

(Missing Moments)

 

 

Ad Alektos, che non può betare, anche se sono certa vorrebbe...

e a Stateira, che è molto depressa...

 

 

1. La notte che cambiò due, anzi tre, vite.

 

 

Fin da bambina aveva sempre adorato la Vigilia di Natale.

L’atmosfera, i regali, la sua famiglia, la neve... soprattutto la neve.

Quando all’improvviso tutto si ricopriva di bianco ed il paesaggio fuori dalla finestra diventava irriconoscibile ed allo stesso tempo magico.

Passava giornate all’aperto a giocare con la neve, per poi tornare in casa tutta intorpidita e sedersi davanti ad un fuoco scoppiettante per scaldarsi, assaporando una dolce cioccolata calda.   

Che bei tempi erano.

Senza pensieri, preoccupazioni... nessuna maledetta guerra da combattere.

 

Questa non assomiglia per niente ad una Vigilia di Natale. Pensò amaramente Ninfadora. Dove sono le risate, i sorrisi, dove sono finite l’atmosfera,il vischio, e tutte le cose che fanno il Natale? Persino la neve si rifiuta di cadere quest’anno...

La ragazza guardò con tristezza fuori dalla finestra, per poi voltarsi verso la stanza, alla ricerca di un solo lontanissimo segno in quella casa che le indicasse che il giorno dopo era Natale.

Ma già sapeva che non avrebbe trovato niente di quello che cercava.

Nessuno aveva molta voglia di festeggiare.

Non si avevano notizie di Harry, Ron ed Hermione, partiti ormai da mesi alla ricerca degli Horcrux.

Voldemort era più forte che mai e la fine della guerra sembrava sempre più lontana.

Insicurezza, timore e preoccupazione regnavano dappertutto oramai.

Seguì con lo sguardo tutti gli occupanti della stanza. Meno della metà di quelli che erano una volta.

Molly aveva preparato la cena, ma aveva perso la sua solita allegria.

Era pallida e i suoi occhi erano stanchi per le notte insonni trascorse a preoccuparsi per i figli.

Arthur sedeva accanto a lei, altrettanto pallido, perso nei suoi pensieri.

Charlie parlava con Kingsley.

Minerva e Moody erano passati velocemente dopo cena dicendo che proprio non si potevano fermare.

Remus occupava una poltrona accanto al fuoco, totalmente concentrato nella lettura di un libro che aveva preso dalla libreria, un bicchiere di Whiskey Incendiario in mano.

La ragazza si soffermò ad osservarlo.

L’impassibile Remus.

 

Non aveva battuto ciglio quando il giorno prima aveva annunciato la sua intenzione di andarsene per un po’ e questo non aveva fatto altro che rafforzare la sua convinzione.

Nonostante avesse rinunciato da tempo all’idea di far tornare il mago sulle proprie decisioni, e all’apparenza potesse sembrare che i suoi sentimenti per lui fossero esattamente come Remus li aveva chiamati, un’infatuazione passeggera, lei continuava ad amarlo profondamente ed incondizionatamente.

Non poteva farne a meno.

Non si decide di chi innamorarsi.

Avevano raggiunto uno stato di convivenza civile, non sarebbero mai riusciti a ricostruire il legame di amicizia che li univa una volta, ma almeno ora riuscivano a stare nella stessa stanza senza che lui scappasse nel timore che lei continuasse la sua sfuriata, o che lei si sentisse a disagio per la sua presenza.

Probabilmente pensava che lei avesse realizzato quale immenso errore stava per compiere nel volersi legare a uno come lui ed ora fosse sì, preoccupata per la guerra e tutto il resto, ma comunque sollevata e serena per lo scampato pericolo.

Peccato che i suoi capelli raccontassero tutt’altra storia.

Ancora si rifiutavano di cambiare. Non volevano diventare verdi,  blu, o gialli, né tanto meno rosa.

Solo quel monotono castano spento.

Ma lui sembrava non farci caso.

Probabilmente si era solo immaginata che lui ricambiasse in qualche modo i suoi sentimenti.

Tutte quelle volte quando affermava che non potevano stare insieme, che lui  non provava niente, quando c’era quella scintilla, nei suoi occhi, che a lei sembrava dicesse proprio l’esatto contrario.

Lei non significava niente per lui.

Niente.

Ed ora più che mai desiderava andarsene.

Per fortuna la sua valigia era quasi pronta e, tempo un paio di giorni, si sarebbe lasciata alle spalle quella vita dove ancora fresco era il ricordo della morte di Sirius, di Silente, e la consapevolezza che Remus non l’avrebbe mai amata.

Ancora qualche giorno e per lei sarebbe iniziata una nuova vita, nella speranza di ritrovare presto i suoi colori, la sua allegria e, col tempo, dimenticare.

 

***

 

Remus voltò un’altra pagina di quel libro che teneva aperto sulle gambe, senza essere riuscito a leggere una sola parola in tutta la sera.

Non era concentrato.

L’unica cosa a cui riusciva a pensare era lei, ed il fatto che in pochi giorni se ne sarebbe andata.

Bevve distrattamente un altro sorso dal bicchiere che aveva in mano, la benvenuta sensazione dell’alcool che gli annebbiava la mente, nella speranza di scacciare quei tristi pensieri.

Dopo la sfuriata all’infermeria, la notte in cui Silente era stato assassinato, Ninfadora non lo aveva più tormentato, non le aveva più chiesto niente, e lui era felice che alla fine avesse realizzato che era semplicemente una follia dedicare il resto della sua giovane vita ad uno come lui.

Poco importava che lui ricambiasse i suoi sentimenti e che l’amasse più della sua stessa vita, questo era l’unico modo in cui Remus Lupin avrebbe mai potuto guardare una donna, da lontano.

Sarebbe stato difficile non poterla più nemmeno guardare da una debita distanza, ma di sicuro era meglio per lei.

Si sarebbe trovata qualcuno di giovane e sano, che l’amasse e avrebbe avuto la vita che si meritava.

 

A poco a poco la stanza iniziò a svuotarsi.

Era presto per andare a dormire, ma nessuno era dell’umore giusto per scherzare e chiacchierare.

Ninfadora e Remus erano gli unici rimasti.

La ragazza si allontanò dalla finestra, lanciando un’ultima occhiata speranzosa al giardino, e poi appoggiò il bicchiere vuoto sul tavolino, mentre Remus si alzava ed andava a riempire di nuovo il suo, tornando al suo posto e portando la bottiglia con sé.

“Chi stai aspettando Tonks?” le chiese, sorseggiando il suo drink, “E’ tutta la sera che guardi fuori da quella finestra.”

A Tonks non era sfuggito l’uso del suo cognome da parte di lui.

Quando Sirius ancora non era morto la chiamava ‘Ninfadora’ sempre e comunque, non importava quanto la cosa la irritasse o lei minacciasse di vendicarsi, lui lo faceva lo stesso, per il gusto di farla arrabbiare.

Dove sono finiti quei tempi? Si chiese.

“La neve.” Rispose. “Aspetto la neve. Ma non credo arriverà quest’anno. Guarda.” Disse, indicando con un gesto la stanza spoglia. “Una volta questa stanza era piena di decorazioni in questo periodo, guardala adesso. Nessuno avrà voglia di festeggiare domani. La neve l’avrebbe fatto sembrare un po’ più Natale, invece sarà un giorno come tutti gli altri.

Si allungò sul tavolino e prese la bottiglia e riempì di nuovo il bicchiere.

Remus sospirò profondamente.

“So a cosa ti riferisci,” disse, “E’ strano... Molly che ha smesso di cucinare quantità industriali di cibo e si limita a preparare lo stretto indispensabile, l’assenza dei ragazzi che fanno baccano, niente albero, niente decorazioni... hai ragione, non sembra Natale.”

Rimasero in silenzio per un po’, ognuno perso nei propri pensieri.

Tonks assaporava per la prima volta dopo tanto tempo la sensazione di riuscire a stare da soli nella stessa stanza e parlare, senza sentirsi a disagio.

Alla fine Remus recuperò la bottiglia ed alzò lo sguardo cercando gli occhi di lei.

“Il bicchiere della staffa?” domandò.

La ragazza lo guardò per qualche istante, contemplando la sua proposta.

“Perché no,” rispose infine.

Remus versò il liquido ambrato nel bicchiere di lei e poi fece lo stesso col suo.

Tonks scivolò lungo il divano fino al lato più vicino a lui.

Alzarono i bicchieri e li accostarono per un breve istante.

Nessuno dei due aveva idea di qualcosa per cui poter brindare, per cui si limitarono semplicemente a vuotare i bicchieri.

 

“A letto adesso,” mormorò Remus, alzandosi dalla poltrona.

Tonks lo imitò e represse un sorriso nel vedere che nell’alzarsi Remus era abbastanza instabile sulle gambe.

Era alquanto insolito vedere Remus anche solo leggermente brillo.

Cercò di appoggiarsi alla poltrona, ma la prima volta la sua mano mancò di dieci centimetri buoni lo schienale, rischiando di mandare all’aria il suo già precario equilibrio.

La seconda volta riuscì ad aggrapparvisi, ma ancora faticava a stare in piedi.

In un secondo Tonks era al suo fianco per sorreggerlo.

Gli bastò percepire il suo alito per vedersi confermato il sospetto che non era solo brillo, anzi, era decisamente ubriaco.

“Forza, andiamo, ti porto a letto,” disse portandosi un braccio di lui dietro le spalle, arrossendo furiosamente per il doppio senso che c’era nelle sue parole e di cui si era accorta troppo tardi.

 

Con un po’ di fatica riuscirono ad arrivare in cima alle tre rampe di scale che portavano alla stanza di Remus.

Inaspettatamente, durante l’ultima rampa Remus si era fatto abbastanza collaborativo, e non ci avevano messo moltissimo a salire quegli  ultimi gradini.

Stavano vacando la soglia della sua stanza e lei già pregustava il calduccio del suo letto una volta messo lui a dormire, quando Remus si bloccò improvvisamente, spostando il braccio con cui si aggrappava a lei.

La ragazza si voltò, confusa e vide che lui aveva chiuso la porta, e ora si avvicinava lentamente a lei.

Senza rendersene conto si ritrovò intrappolata fra lui e la porta.

Remus alzò la mano e le accarezzò una guancia.

“Remus, cosa stai fac...?

Ma non ebbe il tempo di finire la frase, perché le labbra screpolate di Remus stavano sfiorando le sue in un tenero, delicato bacio.

Lui si allontanò quasi subito, ma lei gli passò le dita fra i capelli, riportando la sua bocca alla propria, mentre lui apriva le labbra, lasciandole approfondire il bacio.

Baciare Remus era come lo aveva sempre immaginato, ogni piccolissima parte di lei fremeva per quella stupenda sensazione alla bocca dello stomaco e sembrava che le sue ginocchia non l’avrebbero retta ancora per molto.

Ma forse quello dipendeva dall’alcool.

 

E poi ricordò perché si trovava lì.

Remus aveva bevuto troppo e lei l’aveva accompagnato su perché sembrava non riuscire a reggersi in piedi.

Non poteva approfittare di lui mentre era in quello stato.

Si separò da lui controvoglia.

“Remus, non possiamo farlo...” balbettò, mentre le mani di lui che le accarezzavano i fianchi rischiavano seriamente di distruggere la sua risoluzione.

“Perché?” sussurrò Remus, ed un brivido le percorse la schiena alle sue parole. “Non dirmi che non lo desideri anche tu, perché non ti credo.”

Anche tu.

Lui desiderava fare quello che aveva fatto.  

Non era possibile, doveva essere stata colpa dell’alcool.

Ma poi alzò lo sguardo e lesse la verità nei suoi occhi.

Lo pensava davvero.

 

Allora capì.

Capì che tutte le barriere che lui aveva costruito fra di loro erano crollate insieme all’ultimo bicchiere di Whiskey Incendiario.

La sua coscienza non era lì per tormentarlo e stava facendo esattamente quello che il suo corpo gli chiedeva di fare, tenere fra le braccia la donna che amava.

Ma per quanto i gesti di questo Remus disinibito e temerario le dicessero che sarebbe andato tutto bene, lei non era così stupida da non sapere che il mattino dopo tutte le sue paure sarebbero tornate e lui l’avrebbe respinta di nuovo, nonostante fosse certa che desiderava davvero stare con lei.

L’alcool non stava alterando i suoi sentimenti, facendogli fare qualcosa di azzardato, anzi, aveva dato voce ai suoi desideri più intimi e profondi.

Le sue mani erano dappertutto nello stesso tempo, accarezzavano, tormentavano, domandavano silenziosamente il permesso di sfiorarla, e lei non poteva negare che la cosa le dispiacesse.

 

In condizioni normali l’avrebbe fermato  e se ne sarebbe andata, ma non questa volta.

Ne sapeva abbastanza per prevedere che lui il giorno dopo si sarebbe svegliato con un mal di testa colossale e nessun ricordo di quello che era successo.

Gemette quando lui le posò le labbra sul collo, solleticandola alternativamente con la lingua e i denti.

E poi, anche lei aveva bevuto un po’ quella sera, nemmeno lei era completamente in sé, specialmente quando le sue mani... Merlino, fallo di nuovo ti prego...!

 

Non si illudeva, quello che stava succedendo quella notte non si sarebbe ripetuto, non avrebbe cambiato idea riguardo la sua partenza, ma ci voleva un bel ricordo cui aggrapparsi nei momenti difficili.

E fare l’amore con Remus sarebbe stato senza dubbio il suo ricordo più bello.

 

Era tutto così... perfetto.

Accarezzò il volto di lui e riportò le sue labbra sulle sue, impaziente di sfiorarlo di nuovo, impaziente di avere di più.

Affondò le mani nei capelli morbidi di Remus impedendogli di allontanarsi, scendendo poi delicatamente lungo il collo.

Lui rispondeva con passione ad ogni sua mossa, ad ogni suo bacio.

Improvvisamente le gambe toccarono il bordo del letto e un secondo dopo Tonks era distesa sulle coperte di lana e lui sopra di lei.

 

Remus infilò lentamente le mani sotto il suo maglione mentre lei tra un bacio e l’altro iniziava a sbottonargli la camicia.

L’indumento volò sul pavimento, seguito a ruota dalla sua camicia e poi fu il turno della maglietta.

Le sue mani lasciavano scie di fuoco su ogni millimetro di pelle che sfioravano.

Dopo un po’ sembrò che le dita non fossero abbastanza, perché iniziò a posarle una serie di baci leggeri sul collo, scendendo lungo la gola, il petto e poi sempre più giù, mentre lei si muoveva, assecondando ogni suo tocco, decisa a conservare ogni sensazione nella sua memoria.

 

***

 

Quando si svegliò, fuori era ancora buio, ma una strana luce entrava dalle tendine chiuse male.

Tonks guardò il mago addormentato a fianco a lei.

Percorse con lo sguardo le numerose cicatrici che gli segnavano il petto.

Delicatamente gli scostò una ciocca di capelli dal viso e gli posò un bacio fugace sulle labbra.

Era bellissimo, e così voleva ricordarlo.

 

Scivolò fuori dal letto il più silenziosamente e aggraziatamente, cercando di evitare il minimo rumore, anche se probabilmente nemmeno una mandria di elefanti in fuga l’avrebbe svegliato, ed iniziò a rivestirsi.

 

Infilò i pantaloni e si mise a cercare a tentoni la sua maglietta.

Raccolse il maglione e stava per metterlo, quando la sua attenzione fu catturata da qualcosa fuori dalla finestra.

Rimase ferma di fronte al vetro gelido per alcuni lunghissimi istanti, poi una lacrima le rigò il volto.

Aveva iniziato a nevicare.

 

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Capitolo 2
*** 2. Una decisione importante. ***


MM capitolo 2

Eccomi come promesso per il secondo appuntamento...

Purtroppo la mia connessione è ancora vacante, e sono costretta a connessioni di fortuna ( scuola, Little Fanny…).

Comunque sono perfettamente in orario, figuratevi se mi perdevo l’appuntamento del venerdì!!

 

Bene, adesso… Ricordate quella famosa decisione importante nominata nell’ottavo capitolo che Mark l’aveva aiutata a prendere? Beh, stiamo per scoprire qual era questa famosa decisione...

Alcuni di voi l’avevano azzeccata, ed il resto ci era andato molto

vicino...

 

 

 

I’ll be home for Christmas

(Missing Moments)

 

2. Una decisione importante.

 

 

L’appartamento accanto al suo era rimasto vuoto per anni, senza che nessuno volesse venire ad abitarci, poi, un giorno, il cartello ‘affittasi’ era stato tolto e l’appartamento era nuovamente abitato.

Mark era stato felicissimo di scoprire che la nuova inquilina era una ragazza giovane, l’età media del resto dei condomini era sui sessanta se non di più.

Ci voleva un po’ di vita.

E così era andato subito a presentarsi alla nuova arrivata.

 

Gli era bastato un attimo per capire che quella ragazza doveva aver passato dei brutti momenti, ultimamente.

Era pallida e magra, ed un sorriso triste indugiava sulle sue labbra nel momento in cui gli aveva aperto.

Si era presentato e si era offerto di aiutarla a sistemarsi. Aveva accettato.

 

Lavoravano in silenzio, e se si trovavano a scambiare qualche parola erano più frasi di circostanza. La sera, quando smettevano di lavorare gli offriva sempre una tazza di tè nella piccola cucina, una delle uniche stanze al momento vivibili oltre la camera da letto.

Il più delle volte era lui a parlare.

Le raccontava di lui, del suo lavoro, della gente che abitava quel palazzo.

Non faceva domande, non voleva forzarla.

Sapeva che aveva bisogno di tempo, e che se se la fosse sentita, sarebbe stata lei a raccontargli la sua storia.

 

Al momento conosceva il suo nome, Ninfadora Tonks, e sapeva che preferiva essere chiamata solo Tonks.

 

Sapeva che era una ragazza maldestra, ma che aveva un gran cuore.

 

Sapeva che c’era qualcosa nel suo passato che cercava disperatamente di dimenticare.

 

Mark cercava di rendersi utile. Si offrì di farle compagnia, di raccontarle nuove storie, e di ascoltarla se avesse voluto.

La ragazza gli era grata per tutto quello che stava facendo per lei ed accettò di buon grado la sua amicizia.

 

Per adesso questo bastava. Il resto sarebbe venuto da sé.

 

***

 

Una mattina sentì un gran baccano venire dall’appartamento di lei.

Preoccupato, pensando che potesse esserle successo qualcosa, prese senza esitare la chiave di riserva che lei gli aveva dato per le emergenze ed entrò.

 

C’era un gran disordine in soggiorno, doveva essere inciampata in uno degli scatoloni rovesciandone il contenuto per tutta la stanza.

La vide agitare per aria un’asticella di legno e mormorare alcune parole.

Con immenso stupore vide alcuni oggetti sollevarsi da terra e tornare dentro gli scatoloni.

La chiave che teneva in mano cadde rumorosamente per terra.

La ragazza si voltò e si accorse con orrore della sua presenza.

 

Quel giorno Mark scoprì che Ninfadora Tonks era una strega.

 

Certo le sarebbe bastato un attimo per eseguire un buon incantesimo di memoria e fargli dimenticare quello che aveva visto.

Ma non lo fece.

Invece lo fece sedere sul divano ed iniziò a raccontare.

Aveva deciso di fidarsi di lui.

 

La ascoltò allibito, mentre parlava di un mondo magico di cui lui non aveva mai percepito l’esistenza.

Gli parlò della magia, della guerra in corso, di come una delle loro guide avesse perso la vita, tradito da una persona di cui si fidava completamente.

E quando Mark chiese come mai lei si fosse allontanata da tutto questo, abbandonando la lotta proprio quando, a quanto gli aveva detto, c’era bisogno anche del più piccolo aiuto, lei alla fine lo fece.

Gli raccontò la sua storia.

 

L’aveva lasciata parlare, ascoltandola in silenzio, senza interromperla, e alla fine l’aveva consolata quando calde lacrime le avevano solcato il viso.

 

Non poteva cancellare il suo dolore, ma poteva starle vicino.

 

***

 

Alcune settimane dopo rientrando l’aveva trovata seduta in cucina, in singhiozzi, una boccetta contenente un liquido arancione sulla tavola di fronte a lei.

Aveva capito subito che non era una delle solite crisi, c’era qualcosa di più questa volta.

Le si era seduto vicino e aveva aspettato che si calmasse prima di chiederle che cosa era successo.

Le aveva scostato le mani dagli occhi arrossati e l’aveva guardata in faccia.

“Qualsiasi cosa sia, puoi contare sul mio aiuto. Allora, che succede?”

“Sono incinta.”

 

Non ebbe bisogno di chiederle come e quando, sapeva benissimo quando era successo, gliel’aveva raccontato lei stessa quel pomeriggio di quasi un mese prima. E sapeva anche  di chi era, in quanto era l’uomo che tormentava i ricordi e i sogni della ragazza di fronte a lui.

La abbracciò e lasciò che si sfogasse. Le accarezzava delicatamente la schiena cercando di tranquillizzarla.

“Shhh... andrà tutto bene, vedrai... andrà tutto bene...

“Non posso farcela... non posso...” singhiozzava, la voce rotta dal pianto.

“Sì che ce la puoi fare. Sei una ragazza forte... sei solo stanca... vedrai che dopo una bella dormita ti sembrerà tutto più semplice...

 

Aveva aspettato che si addormentasse, tenendole la mano. E mentre lei chiudeva gli occhi e cadeva in un sonno agitato, si convinse che, in un modo o nell’altro, tutto si sarebbe sistemato.

 

***

 

Ma le sue convinzioni erano destinate a vacillare entro breve.

Solo alcuni giorni dopo Tonks si era presentata da lui più pallida del solito ed un’espressione tristemente risoluta in viso ed aveva annunciato:

“Ho deciso di abortire.”

 

E niente di quello che lui aveva detto era riuscito a farle cambiare idea.

 

***

 

“Lo so che sei irremovibile,” le disse un giorno. “Ma ti prego, vieni con me oggi, e ti prometto che se questa sera sarai ancora convinta, non insisterò più.

“Mark...”

“Ti prego, solo un paio d’ore, e te l’ho detto, non tornerò più su questo argomento. Andiamo... che male può farti?”

“D’accordo.” Rispose esitante.

“Grazie!”

 

“Dove mi stai portando, Mark?”

“Ora lo vedi,” rispose lui, un lieve sorriso sulle labbra.

Camminarono in silenzio per un’altra decina di minuti, poi il ragazzo si fermò all’improvviso di fronte ad un grande edificio giallo.

“Ecco, siamo arrivati!”

“Ma è un ospedale babbano!”

“Esatto.”

“Si può sapere che diavolo ci andiamo a fare in un posto del genere?”

“Fidati.”

La ragazza annuì secca e lo seguì all’interno del palazzo.

 

Per cinque minuti circa salirono scale e percorsero lunghi corridoi asettici, fino ad arrivare davanti ad una porta blu.

A fianco c’era un cartello che diceva:dott.sa Darrel’.

Prima che Tonks avesse il tempo di chiedere il motivo della loro presenza in quel luogo, il ragazzo aveva bussato alla porta.

“Avanti,” li invitò una voce femminile da dentro.

Aprì la porta e trascino la ragazza con sé.

Una ragazza sulla trentina sedeva dietro una scrivania. Portava un camice bianco ed aveva lunghi capelli castani.

Quando li vide entrare fece un gran sorriso.

“Ciao Lizzy,” la salutò Mark. “Ti presento Tonks. Tonks, lei è la mia amica Lizzy.”

Le due ragazze si strinsero le mani.

“Ciao Tonks.”

“Allora, sei pronta?”

“A fare cosa?” chiese lei dubbiosa.

“Ehm... per Tonks è la prima volta, quindi dovrai spiegarle un po’ quello che deve fare.

Lizzy sorrise.

“Non c’è problema. Vieni, stenditi sul lettino.”

La ragazza non si mosse, e guardò terrorizzata Mark.

‘Fidati’. Sillabò semplicemente lui, e lei si arrese.

 

Si stese sul lettino.

“Bene, adesso basterà che tu sollevi un attimo la maglietta... ecco, così.”

Mark osservava la scena da una parte.

La dottoressa stese una strana sostanza sul ventre di Tonks, poi cominciò ad armeggiare con uno strano aggeggio.

Schiacciò alcuni pulsanti e si accese uno schermo ( il padre di Tonks era babbano, quindi non si spaventò eccessivamente, avendo già visto una televisione ).

Sussultò quando le appoggiò sulla pancia lo strano arnese che aveva preso prima.

“Tranquilla, non ti farà niente,” la rassicurò Lizzy iniziando a muoverlo delicatamente a destra e a sinistra. “Ferma così... ecco!” disse fermandosi di colpo.

Si voltò e fissò lo schermo con un sorriso.

Tonks lo fissò a sua volta, ma non vide cosa ci fosse di tanto entusiasmante in quell’immagine in bianco e nero, che era tra l’altro del tutto indefinita.

“Ecco cosa?” chiese spazientita.

“Guarda,” le disse, indicando un puntino che pulsava sullo schermo.

“Cos’è?”

“Il cuore.”

Mark si avvicinò alla macchina.

“E se non sbaglio questa è la testa, giusto?”

“Esatto. E questi i piedini.”

Tonks iniziava a capire.

“Mi state dicendo... che quello è il mio bambino?”

Lizzy annuì, senza smettere di sorridere.

La ragazza fissò lo schermo, poi Mark, poi di nuovo lo schermo, e di nuovo Mark, ed alla fine si concentrò ancora una volta su quel piccolo puntino lampeggiante.

Allungò una mano e sfiorò con le dita l’immagine.

Sembrava così piccolo, così indifeso... posò la mano, sopra il cuoricino che pulsava nello schermo, quasi desiderando di sentirlo battere sotto le sue dita.

Pensò che quella creaturina che stava vedendo, ora stava crescendo dentro di lei, aveva dato origine ad un nuovo essere umano, ad una nuova vita.

Si sentì invadere da un calore immenso e da una gioia illimitata.

Lacrime le rigavano il viso mentre lei non riusciva a distogliere lo sguardo dallo schermo, commossa.

Poi ricordò quello che stava pensando di fare prima che Mark la trascinasse lì.

Altre lacrime raggiunsero le prime.

 

Lo cercò con lo sguardo.

“Oh, mio Dio... come ho potuto pensare di... non posso farlo!”

Lui in risposta le si avvicinò e le asciugò le lacrime con le mani, un’espressione sollevata dipinta in volto.

“Non sai quanto speravo di sentirtelo dire.

“Mark... grazie.”

“Non c’è di che.”

 

Dovremo fare un monumento alla tecnologia babbana, pensò Mark, con un sorriso.

Certo non era riuscito a risolvere tutti i problemi della sua migliore amica, ma di sicuro era servito ad evitare che commettesse il più grande sbaglio della sua vita.

Era già qualcosa.

 

 

 

 

 

E con questo vi saluto...

Spero di riuscire a pubblicare lunedì, ho in programma una piccola oneshot, altrimenti ci si vede venerdì prossimo col terzo capitolo!!

 

NONNA MINERVA

 

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Capitolo 3
*** 3. Come la chiamo? ***


I’ll be home for Christmas

Trovare il nome per i propri figli non è cosa semplice per i futuri genitori… trovare il nome per la figlia di Ninfadora Tonks è un’impresa impossibile!

Sappiamo che alla fine l’ha trovato, ma non credete che sia stato così semplice!

 

 

 

I’ll be home for Christmas

(Missing Moments)

 

3. Come la chiamo?

 

 

Tonks era seduta sul divano del soggiorno e sfogliava distrattamente le pagine di quel libro che negli ultimi giorni aveva imparato praticamente a memoria a forza di rileggerlo.

 

Mark la raggiunse porgendole una tazza fumante e sedendosi sulla poltrona di fronte a lei, osservandola con aria divertita.

“Cosa c’è?” sbottò la ragazza.

“Niente...”

“Guarda che non c’è niente da ridere, quella del nome è una cosa importante! Ed il fatto che io abbia scoperto che sarà una femmina non cambia niente!”

“Tonks... scegliere il nome per un bambino che deve nascere è una cosa che tormenta tutti i futuri genitori, ed è giusto che sia così... ma non ti sembra di esagerare un po’? In fondo mancano ancora mesi, hai tutto il temp...

“Esagerare?” lo interruppe lei. “Hai la minima idea di quanto sia importante per me che questa bambina,” ed accennò alla sua pancia, “Abbia un nome decente? Ma non capisci? Dopo il nome che mia madre ha dato a me, non voglio che a lei capiti la stessa cosa!”

 

Il ragazzo si astenne dal commentare che lui nel suo nome non ci vedeva niente di male, era stravagante, questo sì, ma in fondo era carino.

Ma aveva avuto modo di vedere Tonks arrabbiata in un paio di occasioni e di certo aveva visto quanto bastava per sapere che non era il caso di replicare.

 

“D’accordo,” disse, “Passa qua quel libro. Vediamo di trovare qualcosa di adeguato.”

La ragazza sorrise e gli tese il libro.

“Grazie di essere così paziente con me... non me lo meriterei. È che sono così spaventata... ho paura di non esserne capace, di non essere una brava mamma...

“E’ normale che tu sia spaventata, e sono sicuro sarai una madre fantastica.

“Grazie...” mormorò Tonks riconoscente. “Spero assomigli a suo padre,” disse accarezzando dolcemente la pancia che iniziava a mostrarsi. “E che abbia il suo carattere.”

“Com’era lui?” chiese istintivamente Mark, pentendosene subito dopo. In genere Remus era argomento proibito, almeno in presenza di lei.

 

La ragazza tacque e lui pensò non avrebbe risposto.

Invece dopo qualche istante di silenzio iniziò a parlare, lo sguardo perso fuori dalla finestra, gli occhi leggermente lucidi.

“Era l’uomo più dolce e gentile del mondo. Gli altri venivano sempre prima di lui. non l’ho mai visto dire qualcosa di scortese a qualcuno, nemmeno se era la persona che più odiava al mondo. Si preoccupava delle persone che gli stavano intorno. Pensava che essendo quello che era, nessuno avrebbe mai potuto preoccuparsi per lui, provare qualcosa per lui che non fosse disprezzo e disgusto. Gli era quasi impossibile credere che io potessi essermi innamorata di uno della sua specie... era convinto fosse solo una cosa passeggera e che se mi avesse aperto il suo cuore, dopo un po’ io mi sarei stancata e l’avrei lasciato...

Una lacrima le rigò il volto.

“Era così testardo... come me, del resto. Fragile... timido... sensibile... premuroso... semplicemente adorabile.

Altre lacrime raggiunsero le prime.

 

Mark la guardava impotente.

Non sapeva mai come fare per aiutarla a superare quei momenti di tristezza che ogni tanto la colpivano.

Ed in più questa volta si sentiva anche tremendamente in colpa, visto che era stato lui a sollevare l’argomento.

Stupido, stupido, stupido! Perché non pensi prima di parlare, eh?

 

“Allora, perché non diamo un’occhiata a questi nomi?”disse, cercando di farle dimenticare quei tristi ricordi che lui aveva contribuito ad evocare.

Aprì una pagina a caso.

“Che ne dici di Melissa? Mi sembra carino... No? Ok, un altro...” mormorò voltando pagina dopo aver visto la sua espressione. Non trovò niente che catturasse la sua attenzione sulla pagina seguente, quindi ne aprì un’altra a caso.

Annah? Alyssa? Alice?”

Tonks scosse la testa a tutti e tre.

“D’accordo... che ne dici allora di Isabel?”

“E’ carino, ma...”

“Ho capito. Jane?”

“No.”

Lilian?”

“Nemmeno.”

 

Mark iniziava ad intuire che non sarebbe stata un’impresa facile.

“Viola? Zoe? ...”

Ma ogni volta la ragazza scuoteva la testa.

 

Dopo mezzora Mark era sul punto di arrendersi.

 “Eppure deve esserci qualcosa che va bene, qui dentro...

Aprì sulle pagine dei nomi che iniziavano perS’.

“Vediamo... Sara... Selene... Sylvie...” mormorò, iniziando a scorrere i nomi col dito.  “Sonja... Stacy... Susan...”

Tonks alzò la testa di scatto.

“Cos’è che hai detto?”

“Quale? Sonja? Susan?” chiese il ragazzo speranzoso.

“No, prima...”

Sylvie? Selene? Sar...” disse, ripercorrendo con lo sguardo i nomi appena letti.

“Selene!” esclamò la ragazza.

 

Mark lesse la didascalia accanto al nome che l’amica aveva quasi urlato.

SELENE: Deriva dall'omonima parola greca che designava la Luna. Significa "ente divino" oppure "luminosa"…” Alzò lo sguardo dalla pagina e lanciò alla ragazza uno sguardo soddisfatto. “Beh, direi che è pertinente... Che ne dici?”

“E’... perfetto.” Mormorò Tonks.

 

Mark la guardò mentre chiudeva gli occhi ed appoggiava la testa sullo schienale del divano, un sorriso beato che le increspava le labbra.

Sapeva perché fra tutti alla fine aveva scelto proprio quel nome. La bambina che portava in grembo era l’ultimo legame con il suo passato e soprattutto con l’uomo che aveva amato – e continuava ad amare – con tutta l’anima. Lei sarebbe stata il suo rifugio, un appiglio a cui aggrapparsi nei momenti difficili. E quel nome, anche se evocava tristi ricordi, avrebbe portato con sé anche il ricordo di tutto quello che amava e in qualche modo avrebbe fatto sì che lui fosse sempre con loro.

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Capitolo 4
*** 4. Rosa. ***


I’ll be home for Christmas

 

 

Signore e Signori... il numero 4!!

Sto riflettendo se aggiungere un altro capitolo prima di passare al presente e al futuro, ma non ho ancora deciso...

Credo lo scoprirete la settimana prossima

Intanto eccovi un capitolo tutto teneroso con l’arrivo della nostra piccolo Sely.

 

 

I’ll be home for Christmas

(Missing Moments)

 

4. Rosa

 

 

Com’era diventata ultimamente abitudine, anche quella mattina di settembre Mark aprì la porta d’ingresso dell’appartamento di fianco al suo, scivolando dentro silenziosamente.

Gli ultimi mesi della sua gravidanza, Tonks li aveva trascorsi a fare la spola fra il letto ed il divano, con occasionali soste al bagno ed in cucina.

Il dottore le aveva categoricamente vietato di affaticarsi e lei all’inizio aveva protestato con tutte le sue forze, ma poi alla fine, per il bene di sua figlia, si era data una calmata.

 

Tutti i giorni, prima di andare al lavoro e la sera quando tornava, Mark passava di lì per vedere come stava, le portava il giornale e a volte la colazione, le raccontava quello che succedeva fuori e della sua vita sentimentale, ridevano insieme parlando di sua madre cui lui era molto legato e a volte restava tutta la sera per farle compagnia.

 

Fuori pioveva e un leggero venticello agitava le fronde degli alberi nel vialetto di fronte al loro condominio.

 

“Tonksy?” la chiamò, stupito di non trovarla in cucina a trafficare con la colazione.

Di solito a quell’ora era già in piedi da un pezzo ed era in giro per la casa ad imprecare perché aveva rovesciato il latte oppure perché aveva scoperto che una delle sue magliette preferite non le entrava più.

“Tonksy, dove sei? Ti ho portato la colazioneee...” disse, trovando vuoto anche il soggiorno.

 

All’improvviso, sentì un gemito provenire dalla porta socchiusa della camera da letto della ragazza.

Percorse in un lampo il corridoio e la raggiunse.

Tonks era seduta sul bordo del letto, entrambe le mani sul pancione ed il volto contratto in una smorfia di dolore.

Mark si accovacciò di fronte a lei posandole le mani sulle ginocchia per confortarla ed allo stesso tempo mantenere l’equilibrio.

“Che succede?”

“Cre... credo sia ora.” Ansimò lei, chiudendo gli occhi ad una contrazione che la fece quasi piegare in due.

Mark si sentì invadere da un’ondata di panico.

“Ma... di già? Non è presto ancora?” chiese allarmato.

“Sì...” boccheggiò, “Ma credo che lei non lo sappia!” aggiunse, accarezzandosi la pancia nella speranza di alleviare il dolore.

“Non ti preoccupare,” mormorò Mark alzandosi, con un tono di voce calmo che faceva a botte con l’agitazione che sentiva dentro, “Cerca di stare tranquilla, vado a telefonare all’ospedal...”

“No!” urlò la ragazza, afferrandolo per un polso, “Non mi va di partorire in un ospedale Babbano, e poi potrebbero accorgersi che sono una strega... Voglio andare al San Mungo.

“Ma io non so come...”

“Prendimi la bacchetta.”

Il ragazzo incrociò lo sguardo deciso dell’amica ed annuì.

“Dove la tieni?”

“Là dentro. Secondo cassetto.”

Aprì il cassetto che gli era stato indicato e prese in mano la bacchetta, tenendola con una delicatezza estrema, intimorito, come se avesse paura che potesse rompersi.

Gliela tese ed osservò mentre lei con un fluido gesto del polso ne fece scaturire qualche scintilla bianca e poco dopo quattro uomini in divisa verde acido si Materializzarono nella stanza, facendolo quasi morire di spavento.

 

Mentre i primi tre aiutavano Tonks a prepararsi per la Smaterializzazione congiunta, il quarto consegnò a Mark un foglietto con l’indirizzo dell’ospedale e le indicazioni per arrivare al reparto.

Si avvicinò a Tonks, poco prima che la portassero via.

“Stai tranquilla, mi raccomando...” le sussurrò sorridendole. “Andrà tutto bene. Ci vediamo là.”

Sempre che io riesca trovare il posto, pensò poi fra sé, mentre con un sonoro pop gli altri scomparivano.

 

                                                                             ***     

 

In tutti quei mesi di amicizia con Tonks aveva imparato un sacco di cose sul mondo dei maghi, ma questa era la prima volta che veniva effettivamente a contatto con loro, con la loro realtà. O perlomeno, era la prima volta che succedeva e lui ne era consapevole.

 

Avanzò incerto nell’atrio del grande ospedale.

C’era un sacco di gente quella mattina, persone che correvano e si agitavano da tutte le parti.

Non ci voleva un genio per capire che la situazione non era normale nemmeno per un ospedale magico. Poi ricordò che Tonks gli aveva parlato di una guerra in corso ed immaginò che in periodi del genere cose così fossero all’ordine del giorno in quel posto.

 

Fermò un medico che attraversava l’atrio a grandi passi, forse a Tonks avrebbe fatto piacere ricevere notizie fresche sull’andamento del conflitto.

“Mi scusi,” chiese. “Può dirmi cos’è successo?”

Il mago si voltò ad ascoltare le parole di Mark.

“C’è stata una grande battaglia, molti dei nostri sono stati feriti,” mormorò, poi però sorrise, “Ma il Signore Oscuro è stato finalmente sconfitto!”

Mark sorrise a sua volta mentre lo guardava allontanarsi.

Non gli era stato raccontato molto della guerra, ma ne sapeva abbastanza per capire che quella che gli era appena stata data era un’ottima notizia.

 

Ora però doveva trovare Tonks.

Di chiedere all’accettazione neanche parlarne, c’era una coda chilometrica, avrebbe dovuto aspettare ore.

Visto che comunque doveva salire, si avvicinò a quelli che credette essere gli ascensori, avrebbe chiesto a qualcuno lì.

 

Si avvicinò ad una donna grassottella e dai capelli rossi che sembrava aspettare anche lei di salire.

“Mi scusi,” chiese cortesemente. “Devo raggiungere questo reparto,” disse tendendole il foglietto con le indicazioni, “Ma è la prima volta che vengo qui e non so esattamente dove...”

“Non ti preoccupare, è facile arrivarci,” rispose allegra la donna. “Vieni con me,” aggiunse poi, una volta che l’ascensore fu arrivato e le porte si furono aperte.

Mark la seguì nell’ascensore, guardandosi intorno curioso.

“Maternità eh? Di quanti mesi è tua moglie?”

“Oh, lei non... non è mia moglie, è solo un’amica.” Balbettò il ragazzo imbarazzato. “Sarà una questione di minuti, ormai...”

“Scusa l’indiscrezione, falle gli auguri da parte mia.

Mark si sentì in colpa per la sua mancanza di tatto.

“Non mancherò. Spero che lei non sia qui per niente di serio.

Il volto della donna si illuminò di colpo.

“Oh, no... cioè, sono qui per mio figlio, ma hanno detto che sta bene, è solo una precauzione... era a fianco di Harry Potter quando ha sconfitto il Signore Oscuro, sai?”

“Davvero?”

“Sì, sono così orgogliosa...”

Le porte dell’ascensore si aprirono.

 

“Io sono arrivata, ancora due piani e sarai arrivato anche tu.

“Non so come ringraziarla per il suo aiuto, non credo avrei mai trovato il reparto da solo.

“Oh, ma di nulla, caro,” lo salutò la donna, uscendo, “Arrivederci, e auguri!”

“Grazie, anche a lei!” fece in tempo a rispondere Mark prima che le porte si chiudessero di nuovo.

 

***

 

La bambina iniziò a piangere e Tonks seppe che era andato tutto bene.

“E’ una bimba bellissima,” disse la dottoressa che la teneva in braccio. “Ehi,piccolina... guarda, c’è qualcuno che non vede l’ora di conoscerti.”

Posò con delicatezza il fagottino rosa fra le braccia inesperte di Tonks e si allontanò dal lettino lasciando loro un po’ di privacy.

 

Guardò la figlia con adorazione e tenerezza infinite e gli occhi iniziarono a lacrimarle.

Ciao cucciola...” mormorò accarezzandole la manina e la piccola strinse le piccole dita attorno a quello di lei.

La ragazza sorrise e rimase a contemplarla rapita finché l’infermiera non venne a prenderla perché il dottore potesse visitarla.

La donna fece per prendere la bambina dalle braccia di Tonks, ma si bloccò a metà del movimento.

“Che succede?” chiese la ragazza, allarmata.

L’infermiera non rispose, poi si rilassò e sorrise, prendendo la bambina.

“No, niente... mi era sembrato che... non importa, mi devo essere sbagliata...”

Si avviò verso la porta, ma si fermò dopo alcuni passi.

“Signorina Tonks,” disse piano. “C’è nessuno che vuole che avvisiamo?”

Tonks scosse la testa con un sorriso triste.

“No, nessuno.”

 

***

 

Il cielo si stava schiarendo ed un raggio di sole fece capolino da dietro le nuvole.

Lo sguardo perso fuori dalla finestra, il cuore gli si riempì inspiegabilmente di gioia. Si accigliò, perplesso, incapace di identificare l’origine di quella improvvisa felicità.

Era qualcosa di diverso da quello che aveva provato nel sapere che Voldemort era stato sconfitto, qualcosa di diverso dal sollievo di sapere che nessuno dei loro era ferito troppo gravemente... era qualcosa che sembrava essere lì, appena fuori dalla sua portata, ma non irraggiungibile.

“Remus?” chiese Arthur esitante, mettendogli una mano sulla spalla. “Va tutto bene?”

“Cosa? Sì... sì. Tutto bene.”

Gli sorrise.

“Vieni, ci lasciano entrare da Harry.”

Annuì, e dopo un ultimo sguardo al tiepido sole autunnale, seguì l’amico.

 

***

 

“Posso?”

La testa di Mark fece capolino nella stanza. Ci aveva messo un po’, ma alla fine era riuscito a farsi dire dove poteva trovare l’amica.

Ce l’hai fatta finalmente!”

“Ehi, è la prima volta che entro in un ospedale per maghi!” disse sedendosi accanto a lei. “E’ andato tutto bene? La bambina? Com’è?”

“E’ bellissima... ma lo vedrai tu stesso, credo che me la portino qui fra poco.”

 

Mark le raccontò le notizie apprese mentre la raggiungeva e lei gli spiegò quelle parti che a lui erano poco chiare. Rimasero a parlare dei cambiamenti che sarebbero avvenuti nel mondo magico ora che la guerra era finita, fino a quando un’infermiera non entrò con la bambina e la diede a Tonks.

La ragazza tese le braccia e fece attenzione a non farla cadere.

Quando la piccola fu al sicuro in braccio alla sua mamma, Tonks alzò lo sguardo.

“Mark, ti presento la piccola Sely.”

Lui sorrise e accarezzò delicatamente la testa della piccolina.

“Ciao Selene... benvenuta.”

L’espressione di Tonks si fece triste.

“Vorrei tanto che Remus fosse qui a vederla... mormorò.

Mark tacque per un po’, assorto nei suoi pensieri.

Sei proprio sicura che non glielo vuoi dire?”

“Sì... è meglio che lui non lo sappia. Almeno per ora.”

La bimba si agitò fra le braccia di Tonks e spalancò gli occhietti, rivelando due iridi azzurrissime.

“Mi dispiace, ma credo che abbia preso tutto dalla sua mamma,” rise Mark.

Anche Tonks rise e si chinò per posare un bacio sulla fronte della figlia.

“Non importa, è comunque bellissima...”

“Sì, lo è.” Confermò lui. “Ora vi lascio sole, sono certo che lei sta morendo di fame e che tu crolli dal sonno.

“In effetti...”

“Torno domani,” disse alzandosi, ma subito si bloccò, fissandola con la stessa espressione dell’infermiera in sala parto.

“Cosa c’è?” chiese, preoccupata. Era la seconda volta che la guardavano così, quel giorno.

“E’ che... Tonks, è normale che i tuoi capelli siano rosa?”

La ragazza lo guardò, sbalordita.

“Stai dicendo sul serio? Sono davvero... rosa?”

“Ehm...sì, rosa... rosa.”

Lei iniziò a ridere e a piangere nello stesso tempo. Rideva, e calde lacrime le rigavano il viso.

“Sono di nuovo io...” mormorò.

“Allora è normale!”

“Beh, per gli altri maghi non lo è,  spiegò Tonks, asciugandosi le lacrime col dorso della mano. “Ma per me sì, è assolutamente normale.”

 

 

 

 

 

 

 

Come avrete notato ho ripreso le traduzioniSto leggicchiando “The Werewolf Who Stole Christmas” e non ricordavo fosse così bello!! Credo proprio lunedì arriverà il secondo capitolo ( ok, la prima parte del secondo ) di quella, e lascerò “On Paper” da una parte per un altro po’.

 

Buon weekend!!

 

NONNA MINERVA

 

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Capitolo 5
*** 5. Ci sono cose per cui vale la pena combattere. ***


5. Ci sono cose per cui..

 

 

 

E con questo capitolo chiudiamo col passato ed iniziamo a dare una sbirciatina al presente ed al futuro...

Va collocato fra il nono ed il decimo capitolo della storia.

 

 

I’ll be home for Christmas

(Missing Moments)

 

5. Ci sono cose per cui vale la pena combattere.

 

 

“Remus! Già te ne vai?”

“Sì, si è fatto tardi, torno a casa...”

“C’è qualcosa che non va? Mi sembravi assente stasera.”

“No, non ti preoccupare è tutto a posto. Sono solo un po’ stanco.”

“D’accordo allora. Ti aspetto la settimana prossima.”

“Ci sarò.”

 

Remus si avviò lentamente lungo la via, lasciando pesanti impronte sulla neve fresca.

A dire la verità c’era qualcosa, anzi qualcuno, che lo turbava, qualcuno che non era riuscito a togliersi dalla testa per tutta la sera...

 

Sapeva che non doveva pensarci, ma gli ultimi giorni lo avevano indotto a sperare che non fosse tutto perduto.

Tuttavia il timore di poterla, anzi poterle, mettere in pericolo  era troppo grande.

Eppure...

Scosse la testa, cercando di allontanare questi pensieri ed iniziò a vagare senza meta.

 

***

 

Senza volerlo si ritrovò davanti ad un piccolo cancello in ferro battuto.

Chissà perché proprio lì, con tutti i posti...

Allungò una mano sulla maniglia ed entrò.

 

Depose con delicatezza i fiori che aveva fatto comparire con un colpo di bacchetta sul marmo lucido illuminato dal riverbero della neve, e con la manica del cappotto pulì le foto impolverate sulle lapidi.

Erano anni che quel posto non vedeva un visitatore.

Anni che lui stesso non veniva.

 

L’ultima volta era stata con Sirius, poco dopo essersi ritrovati.

Non ci tornava volentieri, ogni volta che visitava le tombe di Lily e James si sentiva invadere da un’immensa tristezza e profonda malinconia.

Remus vi era stato più volte in tutti gli anni in cui Sirius era stato ad Azkaban, chiedendosi tra le lacrime quale motivo lo avesse spinto a tradire i suoi migliori amici.

Una volta rivelata la verità, Sirius lo aveva pregato di accompagnarlo lì, dove erano stati sepolti, per lasciar scorrere le lacrime davanti a quelle pietre, segno innegabile del fatto che se ne fossero andati per sempre, e per poter, una volta pianto tutte le lacrime, chiedere loro perdono.

 

Ripensò a quella sua ultima visita.

 

Aveva provato un senso di smarrimento alla vista di Sirius che piangeva, di fronte alle due fredde lapidi di marmo.

Non lo aveva mai visto piangere.

Di solito era lui a consolare gli altri.

Era lui che diceva a James di farsi coraggio ogni volta che Lily lo respingeva, invitandolo a persistere.

Era lui che consolava Remus ogni volta che si sentiva solo e depresso, al pensiero della luna piena che si avvicinava.

Era lui che tirava su di morale Peter, minimizzando i suoi fallimenti.

Lui c’era sempre, e i suoi amici erano per lui più importanti di qualsiasi altra cosa.

Lui era quello sempre allegro, solare, sfacciato e burlone.

E adesso vederlo così, lo faceva sentire impotente.

Eppure, quando lo vide abbassarsi e liberare un boccino dorato lasciandolo svolazzare attorno alla tomba e lo senti mormorare “Perdonami James.. perdonami Lily..”, si sentì un po’ meno solo.

Non era l’unico cui la perdita aveva devastato il cuore, c’era qualcuno che capiva e condivideva il suo dolore.

 

Guardò di nuovo le foto sulle lapidi, Lily e James lo salutavano sorridendo.

Chiuse gli occhi.

Lily e James…

Così diversi eppure così innamorati.

La loro storia non era nata sotto i migliori auspici, Voldemort aveva già iniziato a  seminare terrore e diventava ogni giorno più forte.

Ma loro non gli avevano permesso di fermarli.

Avrebbe potuto distruggere loro, ma non il loro amore… no, quello sarebbe vissuto per sempre.

E per amore avevano perso la vita.

Per qualcosa che amavano più di loro stessi.

 

E poi c’era Sirius.

Il compagno di tante avventure notturne, amico fidato e combinaguai inarrestabile.

Azkaban non era stata capace di smorzare la sua voglia di vivere e Grimmauld Place non erano che quattro mura, che lo facevano sì soffrire più della prigione da cui era fuggito, ma sempre quattro mura. Niente più.

Un semplice, trascurabile ostacolo che non gli aveva impedito di correre in aiuto delle persone che amava quando aveva creduto fossero in pericolo.

E le aveva protette.

A costo della vita.

Povero Sirius, così leale, così disponibile e senza la possibilità di dimostrare il suo buon cuore, ritenuto dai più uno spietato assassino.

Remus si sentiva ancora in colpa quando pensava a come avesse potuto anche solo lontanamente che avesse fatto una cosa del genere ai suoi migliori amici.

Si chiese se si fosse mai scusato abbastanza.

 

Lasciò cadere un fiore anche sulla sua tomba.

A dire la verità era solo una lapide, nessun corpo giaceva sotto il marmo.

Finita la guerra, il Ministero aveva riconosciuto ufficialmente i suoi errori e aveva riabilitato Sirius.

Non che servisse a molto, ma era giusto così.

Aveva fatto aggiungere la sua lapide accanto a quella di Lily e James, in modo che, ovunque fosse, si potesse sentire vicino ai suoi amici, almeno con lo spirito.

 

Anche Peter non c’era più.

Era morto nella battaglia finale, quella in cui Voldemort era stato finalmente sconfitto, mettendosi davanti a Harry e prendendo in pieno petto una maledizione al posto suo.

“Ci sono cose per cui vale la pena combattere... e morire. Solo vorrei averlo capito prima... mi dispiace tanto, Remus, perdonami, se puoi...

Queste erano state le sue ultime parole prima di chiudere per sempre gli occhi.

Alla fine anche lui si era ribellato ed aveva trovato il coraggio di scegliere la cosa giusta a quella più facile.

 

Le immagini dei suoi amici gli passarono davanti agli occhi

Se n’erano andati per sempre e tutti e quattro erano morti in nome di qualcosa in cui credevano.

Ci sono cose per cui vale la pena combattere...

Subito le immagini dei suoi amici divennero sfuocate ed al loro posto apparvero quelle di una donna dai capelli rosa acceso e di una bambina con due grandi occhi azzurri.

No,si disse, sarebbe troppo pericoloso…

Ci sono cose per cui vale la pena combattere...

Non riusciva a togliersi dalla mente quella frase, che stava scacciando sempre più prepotentemente le sue esili proteste.

E se cambiasse idea? Se mi spezzasse il cuore?

Ci sono cose per cui vale la pena combattere... cose per cui vale la pena rischiare...

Sei pronto a correre il rischio? Sei pronto a combattere per ciò che ami?

Lo sono.

 

Si mise a correre.

 

 

 

 

Sorry, un po’ triste, ma sappiamo che poi va a finire bene...

Il prossimo sarà più allegro, promesso.

Buon weekend!

 

NONNA MINERVA

 

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Capitolo 6
*** 6. Sleeping arrangments. ***


Chiedo umilmente scusa per il ritardo, ma è almeno una settimana che tentavo di scrivere questo capitolo

Chiedo umilmente scusa per il ritardo, ma è almeno una settimana che tentavo di scrivere questo capitolo... cioè, l’idea c’era, ma non mi soddisfacevano le parole e la loro disposizione.

Dopo duro lavoro credo di essere uscita dignitosamente da questo mio blocco dello scrittore, ma questo lo deciderete voi...

 

Sono tornata ai titoli in inglese, ma solo per questo capitolo, in italiano non suonava bene, e non avevo la minima intenzione di cambiarlo, così mi piace troppo!!

 

Buona lettura e buon weekend!

                                            

I’ll be home for Christmas

(Missing Moments)

 

Per festeggiare insieme a coloro che l’esame l’hanno superato,

e per consolare chi è stato ( ingiustamente ) bocciato…

 

6. Sleeping arrangments.

 

Tonks chiuse la porta d’ingresso dietro di sé, appoggiandovisi ed alzò lo sguardo cercando quello di Remus, che le sorrise.

“Non l’ha presa poi così male, vero?” gli domandò.

 

Avevano deciso di aspettare a dire in giro che Remus era il padre di Selene, almeno per dare a lui il tempo di abituarsi all’idea, ma visto il tempismo della piccola quella mattina, si erano visti costretti a rivelarlo almeno ai genitori di lei.

Ted, che era stato precedentemente già in parte informato, aveva fatto immediatamente i debiti collegamenti,sfoggiando un enorme sorriso per tutto il tempo.

Andromeda aveva avuto bisogno di qualche spiegazione in più, per non parlare delle numerose rassicurazioni che Remus aveva dovuto farle sulle sue intenzioni per il futuro nei confronti di Tonks e di sua figlia.

Una volta superato lo shock di scoprire che non era affatto quel ‘disgraziato approfittatore e degenerato mascalzone’ che si era aspettata, Andromeda aveva ripreso a respirare regolarmente dandosi una calmata ed accettando l’invito a pranzo della figlia.

 

Avevano trascorso insieme gran parte della giornata, e Andromeda aveva avuto un atteggiamento più che cordiale nei confronti di Remus.

Tonks aveva raccontato loro del loro riavvicinamento e della loro intenzione di recuperare poco a poco il loro vecchio rapporto e scoprire tutte le novità che la vita aveva loro da offrire.

A pomeriggio inoltrato i Tonks decisero che era arrivato il momento di andarsene e lasciarli un po’ da soli.

E così, dopo aver fatto promettere a Remus ed alla ragazza di andare a trovarli prestissimo, se ne erano finalmente andati.

 

Remus guardò la figlia seduta sul tappeto che cercava costruire una torre con una serie di cubi colorati e poi di nuovo Tonks.

“No,” le rispose, avvicinandosi a lei, “Direi proprio di no.”

La prese fra le braccia e la strinse forte a sé, senza riuscire a credere di poter finalmente essere libero di fare quello che aveva costantemente desiderato negli ultimi quindici giorni, negli ultimi tre anni.

Passandole un braccio attorno alla vita, la condusse verso il divano e si sedettero ad osservare la figlia mentre giocava, partecipando di quando in quando ai suoi giochi.

 

***

 

Più tardi Remus si offrì di preparare la cena e, messa Selene sul seggiolone, iniziò a disporre ordinatamente gli ingredienti per il risotto sopra il bancone, e mise da una parte le cose per preparare le pappe di Sely.

Aprì tutte le ante della cucina alla ricerca del barattolo del sale, che sembrava essersi dileguato nel nulla.

 

“Dora!” urlò rivolto alla ragazza nell’altra stanza. “Dove hai messo il sale?”

Non ricevendo risposta, sbirciò in salotto e vide che Tonks non era lì. Assicuratosi che la bambina non fosse in grado di saltar fuori dal seggiolone, andò a vedere che fine aveva fatto la ragazza.

 

Tonks era in camera e stava cambiando le lenzuola al letto matrimoniale.

“Ah, sei qui...” mormorò, fermandosi sulla porta ed appoggiandosi allo stipite. “Si può sapere cosa stai facendo?”

La ragazza alzò lo sguardo.

“Cambio le lenzuola.” Rispose semplicemente. “Ieri sera non mi è venuto in mente di farlo, e ho pensato che, visto che adesso dormi qui...

Remus arrossì leggermente, chiedendosi come un gesto tanto semplice potesse sembrargli così intimo e privato.

Cosa c’è?” domandò lei, notando l’espressione sul volto di Remus.

“Niente, è solo che...” mormorò, cercando di spiegarsi, “Sei sicura di non volere che io dorma sul divano? Voglio dire, volevamo fare un passo alla volta e...

Fu il turno di Tonks di arrossire.

“Oh,” sussurrò. “Tu hai pensato che... ma io non intendevo quello. Sono d’accordo con te quando dici di fare le cose con calma. Voglio solo addormentarmi sapendo che la mattina dopo ti troverò ancora lì al mio fianco. Ti prego non te ne andare.”

Remus l’abbracciò, dandosi dello stupido per aver anche solo pensato che lei volesse mettergli fretta ed indurlo a fare qualcosa per cui non si sentiva ancora pronto.

“Non vado da nessuna parte, tesoro.” Le disse, baciandole i capelli.

 

***

 

Dopo cena rimasero un po’ in cucina a chiacchierare, ma presto Remus, vedendo che Tonks faticava a restare sveglia, la spedì a dormire, offrendosi volontario per mettere a letto Selene e promettendole di raggiungerla non appena la piccola si fosse addormentata.

 

Certo, non era neanche lontanamente bravo quanto Tonks nel raccontare la storia di Cappuccetto Rosso col finale alterato, ma tutto sommato se la cavò discretamente, e la bimba chiuse gli occhi poco prima della fine.

Le posò un bacio sulla fronte e le rimboccò delicatamente le coperte, mettendole vicino il suo lupetto di peluche, in modo che lo potesse trovare se si fosse svegliata.

Spense la luce ed uscì, lasciando la porta della stanza socchiusa.

 

Quando entrò nell’altra camera da letto, non riuscì a trattenere un sorriso.

Tonks era profondamente addormentata in mezzo al lettone, braccia e gambe spalancate, un piede che spuntava da sotto la pesante trapunta rossa.

Si tolse le scarpe, disponendole ordinatamente ai piedi del letto, e si sfilò il maglione, restando solo con i pantaloni e la camicia.

Un giorno o l’altro avrebbe dovuto fare un salto a casa a recuperare almeno un pigiama, non poteva dormire sempre così.

Si sedette sul bordo del letto preoccupandosi del problema più urgente, procurarsi uno spazio per poter dormire.

Avrebbe potuto semplicemente prendere uno dei cuscini ed andarsene sul divano, ma Tonks ci sarebbe rimasta molto male se quando si fosse svegliata non l’avesse trovato lì.

Così iniziò a sollevarle il braccio e glielo appoggiò sulla pancia.

Attese un attimo per vedere se il movimento l’avesse svegliata.

Niente.

Ripeté il movimento con la gamba, spostandola dalla sua parte del letto.

Attese ancora.

Niente di nuovo.

Sollevò il lenzuolo con un sorriso, osservando l’angolino di letto che si era guadagnato e pregustandosi un buon sonno ristorator...

“Ouch!” gridò, portandosi le mani al naso, dove qualcosa l’aveva colpito.

Quando riaprì gli occhi, vide che il braccio di Tonks era tornato dov’era prima.

Con molta delicatezza lo spostò di nuovo.

Questa volta aspettò un po’ di più, prima di ritenersi sicuro di infilarsi sotto le coperte.

 

Tirò la coperta fin sotto il mento e chiuse gli occhi, respirando il buon profumo delle  lenzuola pulite.

Il sonno stava scendendo lentamente su di lui, quando all’improvviso sentì qualcosa di caldo accarezzargli la gamba.

Spalancò gli occhi di nuovo sveglio e vigile, riconoscendo subito dopo la mano di Tonks che risaliva lentamente lungo la sua coscia, in una leggera ed estenuante carezza.

“Dora, non avevamo detto di...” disse, mettendosi di fianco, alzando lo sguardo, quasi aspettandosi di trovare quello malizioso della ragazza.

Ma i suoi occhi erano chiusi.

Stava dormendo, e probabilmente sognando. E a giudicare dal suo tocco il suo sogno era decisamente piacevole.

Le allontanò la mano prima di essere tentato di mandare all’aria tutte le loro precedenti risoluzioni, e lei non protestò.

 

Tornò a stendersi, dandole la schiena stavolta, giusto per precauzione. Sbadigliò vistosamente e riaggiustò le coperte, chiudendo di nuovo gli occhi ed assaporando il dolce torpore che precede il sonno ed la meravigliosa sensazione di starsene a letto al calduccio... calduccio?

Rabbrividì all’improvviso e riaprì di malavoglia gli occhi.

E ti credo che aveva freddo!

Tonks rigirandosi gli aveva tolto tutta la sua parte di coperta, finendo all’estremità opposta del letto, in un groviglio di lenzuola e trapunta, lasciando lui del tutto scoperto.

Gli ci vollero venti minuti buoni per tirarla fuori di lì senza svegliarla e recuperare un pezzettino di coperta.

 

Le ore trascorsero lentamente, e nell’arco della notte, durante la quale lui non riuscì a chiudere occhio per più di dieci minuti consecutivi, fece in compenso un sacco di interessanti esperienze.

Scoprì che russava, e piuttosto rumorosamente anche, per non parlare del momento in cui l’aveva spaventato a morte quando all’improvviso aveva urlato: “Non mi chiamare Ninfadora, mamma!”

Ripeté persino l’esperienza delle mani e delle gambe ‘volanti’, che puntualmente gli arrivavano in faccia o in altri punti più delicati su cui sorvoleremo.

 

Intorno all’alba, crollò, riuscì finalmente ad addormentarsi, una gamba che ciondolava oltre il bordo del letto e la coperta da qualche parte in fondo ai piedi.

Aveva poca importanza ormai l’essere coperti o meno, o quanto spazio aveva a disposizione, tutto quello che importava era dormire.

Decise che non si sarebbe alzato dal letto prima delle undici, anzi mezzogiorno, meglio l’una, del resto non aveva chiuso occhio...

DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!!

 

No. No no e ancora no. Non la sveglia!

Tonks allungò pigramente un braccio verso il comodino e la mise a tacere e poi si voltò verso di lui che si era rifugiato sotto il cuscino.

“Buon giorno...” biascicò lei, nel bel mezzo di un enorme sbadiglio, accarezzandogli il braccio.

Remus riemerse da sotto il cuscino.

“Ciao...” disse assonnato. Perché doveva essere così adorabile appena sveglia? Come si faceva ad essere arrabbiati con lei quando ti guardava così?

“Va tutto bene?” gli domandò. “Hai una faccia...”

“Tutto bene, non ti preoccupare. Non ho dormito molto, ma è perché non sono abituato al materasso. Mentì, incapace di dirle la verità. “Col tempo mi ci abituerò vedrai.”

 

La ragazza spalancò improvvisamente gli occhi ed il volto le si contrasse in una smorfia.

“Oh, no... le gocce!” gemette.

“Quali gocce?” domandò Remus, confuso.

“Vedi,” mormorò Tonks imbarazzata, “Di solito prima di dormire prendo delle gocce, altrimenti tendo ad avere un sonno piuttosto agitato, ma credo che questo tu l’abbia già scoperto da solo. Mi dispiace.” Mormorò abbassando lo sguardo.

 

E mentre gli saltava addosso e lo riempiva di baci dispiaciuta per averlo tenuto sveglio tutta la notte, Remus pensò che se questo era il modo con cui intendeva farsi perdonare tutte le volte che sarebbe successa una cosa del genere, era prontissimo a rifarlo.

 

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Capitolo 7
*** 7. Contrattempi. ***


I’ll be home for Christmas

 

 

Bene, come avevo detto già ieri nel blog, piccolo cambiamento di programma per questa settimana, con questo capitolo oggi e la traduzione venerdì.

 

Oggi facciamo un bel salto avanti con la storia, è passato qualche mese dal giorno della loro riconciliazione e Remus vorrebbe chiedere a Tonks qualcosa di molto particolare... ma le cose non vanno esattamente come previsto.

 

 

I’ll be home for Christmas

(Missing Moments)

 

Non prendetevela, questa settimana il capitolo lo dedico a me, con un

esame giovedì, e senza la più pallida idea di come farò a passarlo.

 

7. Contrattempi.

 

 

“Lo sai che mi sono innamorato di te praticamente subito. Abbiamo passato dei momenti difficili, e non nego che la colpa sia stata principalmente mia, ma li abbiamo superati ed ora siamo felici. La mia vita è cambiata completamente dal giorno in cui ci siamo incontrati. Ho scoperto di essere ancora capace di amare, di sperare, ed è tutto merito tuo. Ti amo Dora, più di quanto credevo possibile, mi sei entrata nel sangue ed io non riesco più ad immaginare un solo istante della mia vita senza di te, senza di voi.

Si piegò sul ginocchio aprendo una scatolina di velluto nero di fronte a lui.

“Ninfadora Tonks, mi vuoi sposare?”

Alzò lo sguardo carico di aspettativa verso la persona di fronte a lui.

“Che ne dici?”

Ci fu un attimo di silenzio, ma la risposta non tardò ad arrivare.

“...pappe papà!”

 

Remus sospirò e si rialzò in piedi, prendendo in braccio la figlia.

“Hai ragione tesoro. Se tua madre torna e scopre che non hai ancora mangiato, non so cosa mi farà! Andiamo!”

Infilò la scatolina in una delle tasche della giacca che avrebbe dovuto indossare quella sera,ordinatamente appesa allo schienale della sedia.

Chiuse la porta della camera e si spostò in cucina per preparare il pranzo.

 

***

 

“Dora! Sei pronta? Sbrigati o faremo tardi!”

La ragazza irruppe in soggiorno tentando di infilarsi il maglione.

Purtroppo sulla sua strada giaceva uno dei giocattoli di Selene, sfuggito all’attenzione di Remus.

Ma lui era lì, pronto a rimediare alla sua imperdonabile disattenzione, prendendola al volo e rimettendola in piedi senza batter ciglio.

Del resto in quella casa era una cosa assolutamente normale. Lei cadeva, lui la afferrava prima che toccasse terra. Lei rompeva qualcosa, lui subito la aggiustava con un colpo di bacchetta. Era praticamente matematico.

“Grazie,” mormorò, sistemandosi la maglia. “Oh, ciao Mark! Sei già qui. Sely ha già mangiato, ed ha dormito tutto il pomeriggio, vedi se ti riesce di farla addormentare, altrimenti non ti preoccupare. Grazie per esserti offerto di badare a lei, questa sera.

“Non dire sciocchezze. Lo sai che lo faccio volentieri. Ora filate, se non volete far tardi.”

“Sì, andiamo subito.” Disse Remus. “Vado a prendere la giacca. E Selene.”

 

Tornò in camera.

“Ah, sei qui tu!” disse alla figlia, che giocava ai piedi del letto con il suo lupetto di peluche.

“Forza, andiamo che lo zio Mark è già arrivato.

Infilò la giacca, prese in braccio Selene, un ultimo sguardo allo specchio ed uscì.

 

***

 

Tutto procedeva come previsto, la cena era stata perfetta, nessun intoppo a rovinare la serata.

Doveva solo aspettare il momento giusto.

 

“Remus... Remus!”

“Cos...? Dimmi, Dora.”

“Hai ascoltato una sola parola di quello che ti sto dicendo?”

“Si... cioè, no. Scusami. Stavi dicendo?”

“Sicuro di stare bene?”

“Sì, sì... tutto a posto. Ti prego continua.”

Dicevo che mia madre... Remus, cosa fai?”

Remus era talmente nervoso da non riuscire a stare seduto, così era scattato in piedi ed aveva fatto il giro del tavolo.

Se lo devo fare, tanto vale farlo adesso…

Si inginocchiò ai piedi della ragazza.

“Dora, lo sai che ti amo tantissimo...”

“Sì, certo, anche io ti amo, tesoro, ma... sicuro di sentirti bene?”

Remus stava iniziando a sudare.

Cavoli, cos’è che dovevo dire adesso? E dire che mi ero preparato un discorso!

“Ecco... quello che volevo dire è...”

Che non ricordo una sola parola del mio discorso! Oh, al diavolo! L’anello, subito!

Infilò una mano nella tasca, per prendere la scatolina di velluto, ma la tasca era vuota.

Cavoli! Dev’essere nella sinistra...

“Dora... Mi...”

Cercò nella tasca sinistra, ma era nella stessa condizione della destra.

Oh, cavoli! Sono sicuro di averlo infilato in tasca! Dove diavolo sarà finito?

“Sì, Remus?”

“Mi...”

Non c’è! Allora l’ho davvero perso! Non è possibile.. e ora che faccio?

Panico.

“Mi aiuti a cercare la forchetta? Dev’essermi caduta...”

Tonks lo fissò per un istante, assumendo un’espressione decisamente preoccupata.

“Remus... la tua forchetta è sul tavolo...

Lui si alzò e fissò inebetito la sua forchetta, riposta ordinatamente in bella vista accanto al piatto.

Che idiota! Con tutte le scuse che potevi trovare...

“Ehm... sì. Hai ragione. Eppure mi era sembrato di averla sentita cadere.”

Si sedette di nuovo al suo posto, cercando di evitare gli sguardi ansiosi che la sua ragazza non faceva che lanciargli.

 

***

 

Quando sentì la serratura della porta d’ingresso scattare, Selene abbandonò all’istante i suoi giochi e corse incontro ai suoi genitori.

Remus le accarezzò i capelli e le posò un bacio distratto sulla fronte, poi si diresse all’istante verso la camera da letto.

Tonks lo seguì con lo sguardo, ma fu distratta da Mark, che si era alzato dal divano.

“Allora? Passato una bella serata?”

“Non saprei… Remus si comportava in modo strano...

“In che senso strano?”

“Non lo so... c’era qualcosa di... diverso. Magari me lo sono solo immaginata. Va’ a dormire. Grazie per aver badato a Sely.”

“E’ stato un piacere. Buona notte.”

“Buona notte.”

 

Chiuse la porta d’ingresso e rimase un attimo lì in piedi, persa nei propri pensieri.

Fu riportata alla realtà da sua figlia che le tirava i pantaloni per richiamare la sua attenzione.

Cosa c’è, tesoro?”

La bambina guardò la madre per qualche secondo, poi quando realizzò d’aver raggiunto il suo scopo le tese l’oggetto che teneva fra le manine.

“Api mamma! Api!”

La ragazza la fissò disorientata.

Cosa vuoi che faccia? Che la apra?”

“Ti, mamma, api!”

Tonks sollevò il coperchio della scatolina e trattenne bruscamente il respiro e si mise una mano davanti alla bocca.

“Dove l’hai presa, Selene?”

“Papi!” esclamò la piccola.

“Te l’ha data il papà?” chiese dubbiosa.

Selene scosse la testolina.

“No... pesa io. Tu posi papi, vero?”

La ragazza sorrise.

Che malandrina che sei.”

 

***

 

Remus stava mettendo a soqquadro la stanza alla ricerca di quella dannata scatolina quando Tonks apparve sulla porta della camera.

La sua ricerca non aveva dato risultati.

Dell’anello non c’era traccia. Aveva guardato in tutti i posti in cui poteva averlo appoggiato o poteva essergli caduto.

Niente.

Sembrava essersi volatilizzato nel nulla.

Alzò lo sguardo e si accorse che Tonks lo stava osservando dalla porta.

 

Lei gli sorrise.

Non seppe come, ma in un secondo aveva attraversato la stanza e gli era saltata in braccio, tenendolo stretto a sé.

“Dora... cos..?”

Si si si si si si... mille volte si...” gli sussurrò lei all’orecchio.

“Di cosa stai parlando?” chiese Remus disorientato.

La ragazza allentò leggermente la presa, tenendosi aggrappata a lui con un braccio, mentre con la mano libera prendeva dalla tasca la scatolina di velluto nero, la stessa che Remus aveva cercato come un matto per tutta la stanza.

Per qualche istante fu troppo scioccato per pronunciare alcunché.

“Do... dove l’hai trovata?” boccheggiò. “Credevo di averla persa!”

“Non l’avevi persa... l’aveva presa Selene...”

Remus scoppiò a ridere.

Che malandrina.”

“Esattamente quello che le ho detto io.” Commentò Tonks, unendosi alle sue risate.

Dov’è adesso, la monella?”

“Dorme.”

“Mmmh... quindi abbiamo all’incirca...” Guardò l’orologio. “Sette ore di libertà?”

“Direi di sì.” Rispose la ragazza con un sorriso malizioso.

“Bene.” Sussurrò Remus, rispecchiando il sorriso di lei. “Ma prima...”

 

Fece sedere la ragazza sul letto e le si inginocchiò davanti.

Prese la scatolina dalle mani di Tonks e la aprì, rivelando un bellissimo anello con una piccola pietra sopra.

Lei aveva le lacrime agli occhi ancora prima che Remus iniziasse a parlare.

Lui le sorrise e prese l’anello.

“Ninfadora Tonks, mi vuoi sposare?”

La ragazza si asciugò velocemente le lacrime col dorso della mano.

“Mi pareva di averti già risposto,” mormorò, “Comunque sì.”

Lo guardò mentre le infilava l’anello al dito.

“Ti amo, Dora. Potevo essermi preparato il più elaborato dei discorsi, ma non sarei mai riuscito ad esprimere a parole quanto sei importante per me. Siete la cosa più bella che mi sia mai capitata. Non so cosa ho fatto per meritare tanta felicità, ma qualsiasi cosa sia stato, sono felice che sia capitato a me.”

“Non hai bisogno delle parole. Lo capisco dal modo in cui mi guardi, e dalla scintilla che c’è nei tuoi occhi quando giochi con Selene. E tu sei la cosa più bella che sia capitata a me, anche se continui a chiamarmi Ninfadora. Rise, dandogli un colpetto giocoso sul braccio. “Ti amo anch’io, Remus.” Aggiunse, posando le labbra su quelle di lui.

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Capitolo 8
*** 8. Qualcosa di blu. ***


I’ll be home for Christmas

E con questo siamo al penultimo capitolo...

E’ probabile che l’ultimo non arrivi proprio venerdì prossimo. Visto che l’ultimo capitolo mi servirà come collegamento con il seguito, è probabile che mi prenda qualche giorno in più per lavorarci sopra ( e va bene, lo ammetto, lo devo ancora iniziare...), e per essere sicura che sia, come dire, adeguato.

 

Nel frattempo però continuerò a portare avanti le traduzioni...

 

Buon fine settimana.

 

I’ll be home for Christmas

(Missing Moments)

 

 

8. Qualcosa di blu.

 

Distesa supina sul suo letto di ragazza, le braccia piegate dietro la testa, fissava il soffitto, incapace di chiudere occhio.

Era strano, tornare in quella casa, dormire nella sua vecchia stanza, con i suoi genitori a portata d’orecchio, fra lei e loro solo una semplice parete.

 

Anche se da mesi ormai lei e Remus vivevano insieme e dividevano lo stesso letto, entrambi erano d’accordo sul fatto di rispettare la tradizione e dormire separati la notte prima del loro matrimonio.

Un brivido di eccitazione la fece fremere tutta al pensiero di quello che la aspettava il giorno seguente.

Dopo la loro riconciliazione, Remus era sempre rimasto con loro, deciso a recuperare tutto il tempo perso in quei tre anni in cui erano rimasti separati.

All’inizio erano impacciati, cauti, tante erano le cose da riparare e da imparare ed entrambi avevano paura di fare qualche passo falso.

Un po’ alla volta avevano superato l’imbarazzo e le cose avevano iniziato ad andare veramente bene, e tutti e tre avevano trovato finalmente un po’ di serenità e felicità.

Fino a quella primavera, quando Remus le aveva chiesto di sposarla.

Non se lo aspettava così presto, ma del resto quel gesto per loro diventava una semplice formalità, già vivevano e dormivano insieme.

Ormai erano una coppia a tutti gli effetti, ma da domani l’avrebbero dichiarato davanti a tutti, sarebbe stato ufficiale, definitivo.

Per fare le cose come si deve, si erano divisi, a Remus era rimasto a disposizione il loro appartamento, mentre Ninfadora e Selene sarebbero andate dai Tonks.

Ecco quindi cosa ci faceva a casa dei suoi genitori in quella caldissima notte estiva, ancora sveglia alle due e mezza del mattino.

 

Guardò il suo vestito da sposa, appeso ordinatamente ad un’anta dell’armadio.

Era agosto, e aveva scelto un abito semplice, senza maniche, con le spalline sottili ed il corpetto non eccessivamente elaborato.

Sua madre ci aveva poi messo sopra ogni tipo di incantesimo antimacchia conosciuto, prima che lei ne combinasse una delle sue, rovinandolo.

Aveva anche prestato particolare attenzione alla gonna, corredandola di un ulteriore incantesimo, per evitare che inciampasse nelle balze dell’abito mentre camminava verso l’altare.

 

Era terrorizzata dall’idea che qualcosa potesse andare storto e, anche se da giorni tutte le persone che le erano accanto, soprattutto Remus, cercavano di tranquillizzarla, lei non riusciva a scacciare l’incalzante e ricorrente sensazione di essersi dimenticata qualcosa.

Ripercorse mentalmente per qualcosa come la milionesima volta nelle ultime ventiquattrore l’elenco di cose da fare, dalle persone che avevano invitato, alla cerimonia, dal cibo alle decorazioni, i fiori, gli abiti, gli anelli...

Tutto era sistemato, ogni cosa era al suo posto, eppure...

 

Era assolutamente normale, pensò girandosi su un fianco e coprendosi un po’ di più col lenzuolo, essere nervosi la notte prima di un evento importante, sarebbe stato strano se fosse stato il contrario!

Chiuse gli occhi, nella speranza di farsi almeno un paio d’ore di sonno.

 

Passarono sì e no dieci minuti, quando all’improvviso spalancò gli occhi e si mise a sedere di scatto, un’espressione allarmata in viso.

“Oh, no!” gemette. “Cavolocavolocavolocavolo! Lo sapevo che mi ero dimenticata qualcosa, lo sapevo!”

 

Scalciando il lenzuolo lontano accese la luce ed iniziò ad aprire freneticamente un cassetto dopo l’altro, cercando di rimediare in qualche modo a quella terribile dimenticanza.

 

***

 

L’aria fresca della notte entrava dalla finestra aperta.

Remus si mise seduto sul letto ed infilò le ciabatte, andando in cucina a prendere un bicchiere d’acqua.

La casa gli sembrava silenziosa e vuota.

 

Prima, quando era andato a dormire aveva allungato la mano nel letto cercando il corpo di Dora, restando per un attimo perplesso quando non l’aveva trovata, prima di ricordare che quella notte non c’era e perché.

 

Non riusciva a dormire.

Era nervoso, inquieto.

Quella del giorno dopo sarebbe stata solo una formalità, eppure temeva che Tonks gli avesse trasmesso un po’ della sua preoccupazione, ed ora si trovava a chiedersi se avessero davvero fatto tutto.

 

Il vestito che avrebbe dovuto indossare era appoggiato sulla sedia, insieme alla camicia e le scarpe ben allineate ai piedi del letto.

Sulla scrivania la lista delle cose da fare che avevano controllato e ricontrollato decine di volte, ed accanto la scatolina di velluto rosso che conteneva gli anelli.

Si disse di darsi una calmata, ed appoggiò il bicchiere sul comodino, aprendo il libro che stava leggendo, sperando che gli conciliasse il sonno.

 

Dopo meno di una decina di righe, alzò lo sguardo dal libro e si batté una mano sulla fronte.

Forse qualcosa che avevano dimenticato c’era davvero.

Fissò pensieroso il soffitto per alcuni minuti, fino a quando un’espressione trionfante non gli si dipinse in volto.

Si alzò dal letto ed aprì il primo cassetto della scrivania, estraendone un pezzo di pergamena e una penna.

 

***

Quando Andromeda si affacciò alla porta della vecchia stanza di Tonks per scoprire la fonte del rumore che l’aveva svegliata, trovò la figlia che saltellava su un piede solo, tenendosi l’altro fra le mani, il volto contratto in una smorfia di dolore.

 

Cosa ci fai ancora sveglia?” le chiese, facendola sedere sul letto e sedendosi accanto a lei. “Dovresti dormire, domani sarà una giornata lunga.

La ragazza però si rialzò subito iniziando a camminare avanti e indietro.

“Io lo sapevo! Lo dicevo che mi ero dimenticata qualcosa, e adesso è troppo tardi, non riesco a trovare niente che vada bene!”

“Che vada bene con cosa, Ninfadora?” chiese la madre perplessa

“Qualcosa di blu!” sbottò la ragazza esasperata, abbassando la voce quando Selene si mosse nel suo lettino in un angolo della stanza. “La tradizione vuole che io porti qualcosa di blu, ed io non ho niente!”

Andromeda sorrise, credendo che fosse successo chissà cosa.

“Tutto qui? È solo una sciocca tradizione.” disse.

“Tutto qui?” si alterò la ragazza. “Mamma, tanto valeva che io me restassi a casa con Remus e venissi direttamente con lui domani mattina, allora! Abbiamo deciso di rispettare le tradizioni, e non possiamo fare le cose a metà!”

“Va bene, va bene,” si arrese la donna, realizzando che non si sarebbe potuto tornare a letto fino a che il problema non fosse stato risolto.

 

Si massaggiò la fronte, cercando di pensare a qualcosa di adatto.

La prima cosa che le venne in mente furono i capelli.

Sarebbe stato alquanto inusuale presentarsi davanti al sacerdote con una complicata acconciatura blu elettrico, ma tanto Ninfadora aveva già programmato di presentarsi in rosa, quindi il passaggio da rosa a blu non faceva poi tanta differenza.

Che ne dici di cambiare i capelli?” suggerì, indicando i riccioli rosa acceso della figlia, risultato di diversi tentativi fatti la sera prima per trovare la giusta tonalità.

“Non se ne parla neanche!” si impuntò la ragazza. Il rosa era il colore preferito di Remus e non lo avrebbe cambiato per nessuna ragione al mondo.

Andromeda annuì.

“Biancheria intima?” tentò.

Tonks scosse la testa.

“Il vestito è troppo leggero, si vedrebbe tutto.

“E naturalmente, con i capelli rosa, qualsiasi tipo di accessorio blu stonerebbe terribilmente.”

Tonks le lanciò uno sguardo molto esplicito, che diceva chiaramente: visto? Te l’avevo detto io che era una tragedia.

 

Andromeda sospirò, rendendosi conto che forse aveva sottovalutato il problema.

 

***

 

Remus guardò il gufetto bruno allontanarsi nella notte e poi, con un largo sorriso sulle labbra, tornò a letto, addormentandosi poco dopo.

 

***

 

L’alba venne senza che avessero trovato un’adeguata soluzione al problema, o perlomeno una soluzione che soddisfacesse Tonks.

La ragazza crollò addormentata sul divano in salotto, sconfitta, rassegnandosi al fatto che i suoi capelli sarebbero stati blu, e non rosa.

Quando si era trovata a dover scegliere, alla fine si era piagata davanti alla tradizione.

Avrebbe sfoggiato le tonalità che Remus amava tanto in un’altra occasione.

 

Fu svegliata dal campanello di casa che suonava insistentemente e da Sely che le si era seduta sulla pancia chiedendole di giocare.

Suo padre andò ad aprire e poco dopo la chiamò, urlando che erano arrivati i fiori.

Il fioraio doveva aver portato il suo bouquet e i fiori per la sua acconciatura.

“Un momento, aspetti! Non era così che doveva essere, il mazzo!” replicò Ted.

Sentì il fioraio scusarsi dicendo che lui aveva solo fatto quello che gli era stato richiesto.

Tonks fece scendere Selene e barcollò assonnata fino alla porta per andare a vedere cosa stesse succedendo.

 

Quando vide qual era il problema che aveva infastidito il padre, un sorriso le increspò le labbra.

In mezzo alle rose bianche che, come da programma, dovevano costituire il suo bouquet, era annidata una piccola rosellina blu.

Prese il mazzo e ringraziò il fioraio, chiudendo la porta mentre Ted la guardava perplesso.

Non sapeva chi avesse avuto l’idea, ma di certo aveva avuto un tempismo perfetto.

Quando lesse il bigliettino che era attaccato allo stelo di una delle rose, sorrise ancora di più.

 

 Forse avevi soltanto dimenticato di includerlo nella tua magica lista, ma vista la tua ossessione di non ricordare qualcosa, non avendolo visto scritto là, ho pensato che te lo fossi effettivamente scordato.

Se la mia è soltanto paranoia, toglila, se invece l’avevi davvero dimenticato, sono felice che mi sia venuto in mente in tempo.

Come vuole la tradizione: qualcosa di blu.

 

Ti amo. Remus

 

 

Non sapeva come, ma sembrava che Remus sapesse sempre di cosa lei avesse bisogno e quando. Arricciò una ciocca di capelli rosa attorno al dito.

Non avrebbe potuto trovare un uomo più perfetto nemmeno se avesse cercato per tutta la vita.

 

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