Amando il vento

di Astry_1971
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1: La prima missione ***
Capitolo 2: *** Cap 2: Ospite involontaria ***
Capitolo 3: *** Cap 3: Un segreto prezioso ***
Capitolo 4: *** Cap 4: Ultime notizie ***
Capitolo 5: *** Cap 5: Visita al cimitero ***
Capitolo 6: *** Cap 6: Servo fedele ***
Capitolo 7: *** Cap 7: Fiore mortale ***
Capitolo 8: *** Cap 8: All'ombra della vecchia quercia ***
Capitolo 9: *** Cap 9: Il volto dell'inferno ***
Capitolo 10: *** Cap 10: Tradimento e amicizia ***
Capitolo 11: *** Cap 11: Convalescenza ***
Capitolo 12: *** Cap 12: Baciato dal vento ***
Capitolo 13: *** Cap 13: Tra le spire del serpente ***
Capitolo 14: *** Cap 14: Per la sua anima ***
Capitolo 15: *** Cap 15: Albus Silente ***
Capitolo 16: *** Cap 16: Pegno d'amore ***
Capitolo 17: *** Cap 17: Goldrick's Hollow ***
Capitolo 18: *** Cap 18: L'ultima notte ***



Capitolo 1
*** Cap 1: La prima missione ***


La storia è dedicata alla mia Beta Niky che mi ha spinta a scriverla e che non finirò mai di ringraziare per i suoi consigli e la sua pazienza. Ma è stata scritta anche pensando a Ida che mi ha fatto tanto sognare con le sue storie d'amore, costringendomi a consumare quantità industriali di nutella.
Nata prima dell'uscita dei Doni della Morte, non tiene conto degli avvenimenti narrati in quel libro.


Amando il vento



Un racconto di: Astry
Beta - reader: Niky (alias Nykyo) e Ida.
Genere: Drammatico, romantico.
Personaggi:Seveus Piton, Lucius Malfoy, Voldemort, Silente, personaggio originale (Iris).
Rating: PG 13.
Pairing: Severus/Iris.
Avvertimenti: Nessuno.
Riassunto: : “Solo in quel momento Severus, si rese conto che il responsabile di quell’orrore era ancora in quella stanza. Sollevò lo sguardo e la vide: una giovane donna era rannicchiata in un angolo e fissava il Mangiamorte tremando e mugolando qualcosa di incomprensibile.”
Questa storia si svolge durante gli anni che precedono la morte dei Potter e la caduta di Voldemort.
Severus Piton è un giovane Mangiamorte alle prese con i suoi rimorsi e un amore impossibile. Sarà un Piton insolito, un Piton ragazzo, che commette errori, che ha paura e che farà quelle scelte sbagliate che lo renderanno, in futuro, l'uomo tormentato e solo che tutti conosciamo.

CAP. 1: La prima missione

“AVADA KEDAVRA!”
Quella formula era sgorgata dalle sue labbra con una tale energia che il giovane Mangiamorte rimase pietrificato a fissare il risultato della sua magia con la bacchetta ancora puntata, le dita strette intorno a quel sottile bastoncino di legno.
Il Babbano era a terra, era morto, lui sapeva che era morto, non aveva bisogno di chinarsi per accertarsene.
Sentì la sensibilità abbandonare le sue dita, mentre la bacchetta stava per scivolargli dalle mani, non riusciva a muoversi. Intorno a lui ora c’era solo il silenzio, ma nella sua testa rintronavano ancora le grida disperate di quelle persone che tentavano inutilmente di fuggire verso gli alberi di fronte alla casa, gente che non aveva mai saputo dell’esistenza di un mondo magico.
Aveva riconosciuto il terrore nei loro occhi, il terrore di chi è consapevole della propria fine.
Poi l’esortazione del suo compagno, mentre correva su per le scale di quella casa Babbana.
“Severus, uccidilo, che aspetti?” aveva gridato voltandosi di scatto verso di lui.
Avevano attaccato quella famiglia, di notte; era successo tutto in pochi minuti.
Il suo compagno aveva ucciso le due donne, forse madre e figlia, mentre lui era rimasto a guardare.
Pur nella disperazione all’anziano Babbano non era certo sfuggita questa sua debolezza, si era lanciato verso il mago, cercando un inutile via di scampo, cercando quella pietà che lui non poteva dargli.
Severus aveva fissato quell’uomo provando un senso di orrore e di repulsione: Gregorius si era divertito parecchio con lui.
Il ragazzo guardava quella sgraziata figura barcollante e coperta di sangue, mentre, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata in un grido muto, si gettava su di lui aggrappandosi alla sua tunica come all’ultima speranza.
Il mago non capiva cosa stesse provando in quel momento, sentiva la nausea togliergli il respiro, avrebbe solo voluto fuggire lontano da quell’orrore, eppure era pietrificato come se il corpo non fosse il suo.
No, lui non era lì, non poteva essere vero: quello era solo un incubo.
“Vattene, va via, non mi toccare,” disse, la voce strozzata e tremante.
Singhiozzava come un bambino terrorizzato cercando di divincolarsi dall’abbraccio disperato dell’uomo.
“Lasciami, lasciami!” aveva cominciato ad urlare, mentre cercava di spingerlo lontano imbrattandosi sempre di più col suo sangue.
Voleva solo farlo smettere, non sopportava più quella vista, invece l’uomo sembrava impazzito, continuava ad annaspare afferrandosi con le unghie al suo petto, Severus si sentiva soffocare da tutto quel sangue, poteva sentirne l’odore misto a quello del sudore e della paura.
“Basta, ti prego lasciami, non voglio, no!” Il ragazzo aveva chiuso gli occhi, puntando la sua bacchetta, sentiva rimbombare nella sua testa la voce di Voldemort, l’esortazione del suo compagno e le grida assordanti di quell’uomo, doveva fermarlo, voleva che smettesse di gridare, avrebbe fatto qualsiasi cosa perché tacesse, gli sembrava di impazzire.
Improvvisamente un pensiero aveva spazzato via ogni altra emozione: “Gli ordini”.
Sì, doveva eseguire quei maledetti ordini, doveva solo obbedire e tutto sarebbe finito, si sarebbe svegliato da quel brutto sogno.
Quel pensiero, il desiderio che tutto finisse lo aveva reso folle, in quel momento Severus Piton aveva cessato di esistere, cancellato dal terrore, era diventato quello che Voldemort voleva: solo un mezzo, un’arma nelle sue mani.
Il Signore Oscuro aveva dato i suoi ordini. Sapeva quello che faceva, quando gli aveva chiesto di partecipare a quella missione, sapeva che spingendolo ad agire lo avrebbe incatenato ancora di più a sé.
Severus aveva giurato di servire la sua causa, si era guadagnato l’onore del marchio, ora non poteva più tirarsi indietro.
“Devo farlo, è la volontà del mio Signore,” aveva mormorato, stringendo con sempre più forza la piccola asticella di legno, fino quasi a spezzarla fra le dita.
L’uomo era ancora aggrappato alla sua tunica quando la maledizione, pronunciata a distanza così ravvicinata, gli aveva stappato l’ultimo alito di vita, rischiando di uccidere anche chi l’aveva scagliata, ma il mago non se n’era preoccupato: aveva agito come un automa senza pensare alle conseguenze.
Aveva urlato quell’Avada Kedavra con la forza della disperazione. Aveva gridato quelle parole con quanto fiato aveva in corpo, temendo che, altrimenti, non sarebbero uscite dalla sua bocca.
Aveva ucciso il vecchio Babbano cancellando insieme a quella vita anche il proprio futuro.
Nell’istante in cui quelle parole maledette erano sgorgate come fuoco dalla sua gola aveva compreso di aver varcato quel confine dal quale non sarebbe più potuto tornare indietro, aveva immolato la sua giovinezza alla causa di un mostro.
Quel corpo scomposto ai suoi piedi ora era tutto ciò che restava dei suoi sogni di ragazzo, della sua innocenza, della speranza di diventare un grande mago.
Severus lo fissò come chi guarda in uno specchio la propria immagine deformata, quello era lui, quelli erano i suoi sogni, solo un corpo senza vita, orribilmente sfigurato, come la sua anima.


* * *



Improvvisamente un grido terribile, inumano, spezzò quel silenzio di morte.
Il mago bruno sollevò la testa di scatto: c’era ancora qualcuno in casa.
Severus si avvicinò all’ingresso, si sentiva morire ad ogni passo, cos’altro aveva fatto quell’animale del suo compagno? Non era ancora finita?
“No ti prego, non un'altra volta” Severus si portò una mano al petto; il cuore batteva così forte da fargli male.
Le grida non sembravano arrestarsi, ma tra quei versi inarticolati gli sembrò di sentire il suo nome, un uomo lo stava chiamando, quell’uomo era Gregorius
Il mago accelerò maggiormente il passò finché non prese a correre su per le scale, ansimava, non sapeva se gioire o temere, qualcuno era riuscito a fermare il suo assassino e ora era quest’ultimo a gridare e chiedere aiuto.
Continuò a correre verso quelle grida, finché non si trovò di fronte ad una porta, la spinse con tale forza da farla sbattere contro la parete.
Rimase senza fiato, gli occhi spalancati, un misto di terrore, disgusto e insana gioia lo assalirono: il Mangiamorte giaceva a terra, il suo viso era deformato da una smorfia di dolore, gli occhi spalancati e vitrei.
Dalla sua bocca, innaturalmente aperta, vomitò il suo ultimo respiro insieme ad un rauco “che tu sia maledetta”.
Solo in quel momento Severus, si rese conto che il responsabile di quell’orrore era ancora in quella stanza. Sollevò lo sguardo e la vide: una giovane donna era rannicchiata in un angolo della stanza e fissava il Mangiamorte tremando e mugolando qualcosa di incomprensibile.
I suoi lunghi capelli neri ricadevano scompigliati davanti al viso e in parte si attaccavano alle guance bagnate dalle lacrime. Indossava solo una leggera camicia da notte bianca che rendeva ancora più irreale l’intera figura, era come vedere un fantasma.
Severus fece qualche passo verso di lei, ma si bloccò immediatamente, quando la ragazza si tirò ancora più indietro appoggiandosi alla parete; il suo volto era di un pallore spaventoso, fissò il mago con gli occhi terrorizzati e arrossati dal pianto
Severus cercò di rassicurarla:
“Non ti succederà niente,” disse, provando di nuovo ad avvicinarsi, ma lei come un animale in trappola si allontanò carponi rifugiandosi nell’angolo della stanza più lontano. Ogni volta che provava a fare un passo verso di lei, la ragazza sgusciava via.
Improvvisamente si rese conto di indossare ancora la terribile maschera dei Mangiamorte, se la strappò dal viso dandosi dello stupido: quella ragazza era spaventata a morte ed era lui la causa del suo terrore.
Lui era un Mangiamorte come l’uomo che ora era riverso sul pavimento con gli occhi spalancati, era stato mandato lì per ucciderla.
“Sta calma, non ti farò alcun male” proseguì tentando di dare alla sua voce un tono rassicurante. No, non le avrebbe fatto del male, ora che il suo compagno era morto, non aveva nessuna intenzione di eseguire quell’ordine.
Avrebbe trovato un modo per nasconderla; nessuno l’avrebbe saputo. Poteva farlo, ci sarebbe riuscito.
“Sta’ tranquilla, io non sono…” Stava per dire: non sono uno di loro. In effetti non riusciva a concepire di aver potuto prendere parte ad un simile massacro, ma lui era un Mangiamorte, esattamente come il suo compagno morto.
Si morse il labbro: aveva appena ucciso un uomo, come aveva potuto arrivare a tanto? Che razza di mostro era diventato?
“Non devi avere paura di me, voglio aiutarti,” disse, poi, abbassando gli occhi.
“L’uomo là fuori era tuo padre?”
La ragazza continuava a tacere e tremare fissando il mago con gli occhi pieni di lacrime.
“Perdonami!” seguitò con un filo di voce, parlando più a se stesso che alla ragazza, come se avesse bisogno di pronunciare quelle parole, ma non fosse pronto a farlo davanti a qualcuno.
Era convinto che la causa di Voldemort fosse giusta, si era unito all’uomo che ammirava, a quello che considerava un maestro, ma ora non era più sicuro di aver fatto la scelta giusta, non poteva essere quella la via.
Non aveva mai ucciso nessuno prima di quella sera. Era stato facile in fondo: solo due parole. Allora perché si sentiva morire dentro? Si sentiva come se avesse ucciso una parte di se stesso insieme a quel Babbano?
Guardò la ragazza, non c’era tempo, doveva convincerla a muoversi e nasconderla in un posto sicuro: gli altri Mangiamorte non erano lontani, avrebbero scoperto molto presto ciò che era successo in quella casa.
“Per favore, permettimi di aiutarti,” disse provando di nuovo a porgerle la mano, ma lei sembrava proprio non volerne sapere.
Si avvicinò ulteriormente e questa volta con fare più deciso allungò la mano verso di lei, ma ciò che ottenne fu un solo urlo assordante, si sforzò di ignorarla tentando di afferrare il suo braccio, quando lei prese a tirargli addosso tutto quello che aveva a portata di mano.
“NO!” gridò con quanta voce aveva “non toccarmi, sta’ lontano ti prego, no, no, non voglio, morirai anche tu, non volevo, è orribile”
Il mago si fermò immediatamente, la fissò sbigottito, mentre cercava di dare un senso a quelle parole: lei si stava preoccupando di non ucciderlo, non aveva paura per sé, ma per lui.
“Che significa?” si lasciò sfuggire dalle labbra, forse con troppa impazienza, si pentì di aver usato quel tono e tornò a ripetere con tutta la dolcezza che riuscì a trovare
“E’ di me che ti preoccupi? E’ questo che vuoi dire? Non ti toccherò se non vuoi, ma dobbiamo allontanarci da qui, per ora puoi solo nasconderti, penserò io ai tuoi genitori, non lì lascerò là fuori” disse indicando, con un cenno del capo, i corpi nel giardino.
Quelle parole sembrarono scuoterla: la giovane si alzò avvicinandosi al cadavere del Mangiamorte, lo guardò con un’espressione che il mago non seppe decifrare, non era odio e non era paura, poi sollevò gli occhi fissando le iridi nere del mago.
“Lui era mio padre,” mormorò.
Un lampo di terrore attraversò gli occhi del giovane Mangiamorte. Quella ragazza non doveva avere più di vent’anni, forse meno, probabilmente erano coetanei, aveva appena ucciso un Mangiamorte, uno dei più abili servitori di Voldemort, l’aveva ucciso in un modo del tutto inspiegabile e ora gli stava dicendo che quel Mangiamorte era suo padre.
Il mago non riusciva a capacitarsene, rimase immobile a fissare i suoi occhi, ma vi lesse solo un grande dolore, come era possibile?
Infine decise che era ora di agire, cercò di assumere un’aria risoluta.
“Mettiti addosso qualcosa e poi raggiungimi in giardino, gli altri Mangiamorte arriveranno presto, se vuoi salvarti dovrai fidarti di me,” disse deciso.
Lei non rispose, ma si avviò verso l’armadio e afferrò in fretta una semplice tunica nera. Si voltò verso il mago cercando la sua approvazione; per fuggire di notte i colori scuri erano certamente i più indicati, Severus fu d'accordo, si voltò e scese in fretta le scale.
Quando fu di nuovo nel giardino si guardò attorno, i tre corpi giacevano lì in terra, le due donne erano vicine l’una abbracciata all’altra in un estremo tentativo di proteggersi. Più vicino a lui c’era il vecchio Babbano, lo guardò per un attimo, come a voler fissare quell’immagine nella sua memoria; non conosceva quell’uomo, ma il suo viso sarebbe rimasto impresso nella sua mente per il resto della sua vita. Sentiva di dovergli restituire almeno in parte quello che gli aveva tolto, non poteva restituirgli la vita, ma poteva preservarne la memoria: non l’avrebbe dimenticato.
Il mago agitò la bacchetta e i tre corpi sparirono nel nulla, non rimase neppure il loro sangue sull’erba: non voleva che i seguaci di Voldemort potessero fare scempio dei loro corpi per puro divertimenti, voleva lasciargli almeno la loro dignità.
“Dove sono? Dove li hai portati?” Severus trasalì, la giovane era apparsa improvvisamente alle sue spalle ed ora lo fissava con rabbia.
“Ho, solo reso invisibili i loro corpi per ventiquattro ore, perché non li trovino, ma sono ancora qui, domani i loro vicini Babbani li rinverranno e daranno loro una sepoltura. Non possiamo fare altro per loro, mi dispiace.”
L’espressione della ragazza cambiò improvvisamente e la rabbia lasciò il posto allo stupore prima, poi alla preoccupazione
“Come spiegherai tutto questo al tuo padrone,” pronunciò la parola “padrone” con profondo disprezzo.
Un brivido percorse il mago bruno, non aveva idea di come sarebbe uscito da quella situazione: un Mangiamorte morto e la famiglia che dovevano sterminare, sparita nel nulla.
Sapeva che Voldemort non si sarebbe accontentato di una banale scusa, avrebbe fatto di tutto per scoprire la verità, con i suoi mezzi, ma ormai doveva andare fino in fondo, a qualunque costo.
Sollevò lo sguardo lentamente, abbozzando qualcosa che doveva assomigliare ad un sorriso
“Non preoccuparti, so quello che faccio,” poi, porgendole la mano. “Ora fa’ presto, dammi la mano, ci smaterializzerò in un posto sicuro.”
Lei scosse il capo facendo un passo indietro.
“Tu non capisci, non hai capito quello che è successo a mio padre? Tu non puoi toccarmi, nessun Mangiamorte può farlo,” accennò col capo ad una piccola porta che doveva essere l’ingresso di un ripostiglio. “Dovremo usare le scope.”
Severus annuì rimandando eventuali chiarimenti ad un altro momento.
La giovane donna corse nello sgabuzzino e ne uscì dopo pochi secondi portando con sé due vecchie scope. Ne diede una al mago che vi salì immediatamente e restò a guardarla, mentre si chinava a strappare un ciuffo d’erba riponendolo amorevolmente in una tasca.
“Andiamo, guidami,” disse, montando a sua volta sulla scopa.



Continua…






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Capitolo 2
*** Cap 2: Ospite involontaria ***


Ciao, Akiremirror, bentrovata. Questo capitolo soddisferà la tua curiosità, saprai chi è la ragazza e che ci faceva in quella casa babbana, ma ora per Severus cominciano i guai.

Buona lettura!


CAP. 2: Ospite involontaria

Atterrarono in un vicolo buio. Severus si avviò velocemente verso un portone facendo cenno a lei di seguirlo. Appena entrambi ebbero varcato la soglia, il mago si assicurò di non essere stato seguito e chiuse la porta bloccandola con la magia.
I due giovani si guardarono in silenzio, cosa avrebbero fatto ora?
Severus scrollò il capo e, senza dire una parola, si voltò cominciando ad accendere una ad una le candele sparse un po’ per tutta la stanza; avrebbe potuto illuminare completamente quel luogo con un solo colpo di bacchetta, ma aveva bisogno di tempo per pensare e accendere candele era meglio che continuare a guardare negli occhi la sua involontaria ospite.
In che razza di guaio si era cacciato? Lui era un Mangiamorte, un servo fedele del Signore Oscuro. Il più grande mago di tutti i tempi gli aveva affidato un compito e lui non solo non aveva eseguito gli ordini, ma si era portato a casa la persona che avrebbe dovuto uccidere: doveva essere impazzito.
Si voltò di nuovo verso la ragazza che continuava a fissarlo immobile
“Come ti chiami?” disse, per rompere il silenzio e perché essere fissato in quel modo da una sconosciuta lo metteva a disagio.
“Iris, mi chiamo Iris Windblow”.
“Iris!” ripetè meccanicamente, continuando a fissare i suoi occhi spaventati.
In realtà era stupito che la ragazza lo avesse seguito volontariamente; era incoscienza la sua?
Sapeva che non le avrebbe fatto del male, lui lo sapeva, ma per quella ragazza lui era solo un Mangiamorte, come era possibile che si fidasse così ciecamente da averlo seguito fino a casa sua?
Improvvisamente desiderò sapere: voleva capire quello che era successo quella notte.
Sentì la rabbia crescere in lui, una rabbia insensata dettata unicamente dalla paura.
Era arrabbiato con lei? Ma di cosa la incolpava? Di essere sopravvissuta? No, non poteva prendersela con lei, in realtà ce l’aveva con se stesso, con la sua incapacità: non sapeva cosa fare e questo lo faceva star male.
“Perché tuo padre ti voleva morta?” disse brusco.
La giovane si morse il labbro e chiuse gli occhi, restò così, immobile, per un tempo che al giovane sembrò infinito. Tuttavia, Severus preferì non aggiungere altro e attese che la giovane maga decidesse spontaneamente di rispondere: aveva l’impressione che sarebbe scoppiata in lacrime da un momento all’altro e l’ultima cosa che voleva era vederla piangere.
Dopo quello che era successo, infatti, fu grato per l’atteggiamento freddo e controllato che la ragazza aveva tenuto dal momento che avevano lasciato la sua casa, ma quanto sarebbe durato?
Improvvisamente Iris aprì gli occhi e si avvicinò alla finestra e, voltando le spalle al mago, prese a fissare il vicolo deserto.
“Non credo che volesse uccidermi,” disse con un filo di voce. “Questa, forse, era la volontà del suo padrone, ma non sua. Lui aveva i suoi piani. E’ per questo che è salito da solo in camera mia, voleva rapirmi, non uccidermi. Mi voleva con sé”.
Si voltò di nuovo verso il suo interlocutore come se aspettasse la sua prossima domanda e, infatti, questa non tardò ad arrivare:
“Lui…lui ti amava?” lo stupore rese il tono della sua voce quasi infantile.
Lei sorrise, osservando il Mangiamorte che aveva di fronte, dopotutto era solo un ragazzo, forse era più spaventato di lei, poi l’odio e la rabbia presero il sopravvento.
“Sì, lui mi amava,” disse. “Come può amare un mostro. Ha distrutto la nostra vita: mia madre si è uccisa per colpa sua. Io lo odiavo per questo, ma non volevo ucciderlo, non volevo.” scoppiò in lacrime.
Severus aveva atteso quelle lacrime, sapeva che sarebbero arrivate. Erano state la tensione e la paura a frenarle, ma ora era giusto così: doveva sfogarsi.
Cosa avrebbe dato per poter fare altrettanto, ma lui ora doveva essere più forte, Materializzò un bicchiere d’acqua su un piccolo tavolino traballante vicino al divano e le fece cenno di servirsi, lasciando che quel pianto liberatorio si calmasse prima di proseguire.
Iris si lasciò cadere sul divano, afferrò il bicchiere con entrambe le mani portandoselo alle labbra, ma non bevve, fissò l’acqua come se vedesse attraverso uno specchio, come se rivedesse la scena terribile di cui era stata testimone tra i riflessi di quel liquido trasparente.
Infine si asciugò le lacrime e sollevò lo sguardo, Severus era immobile, le sue mille domande a torturargli la mente: doveva sapere.
Gli occhi della ragazza lo invitarono a proseguire, anche lei sentiva il bisogno di parlare con qualcuno di ciò che era successo, e il giovane sembrava ansioso di ascoltare.
“E quelle persone? Le due donne e il vecchio Babbano?” domandò il mago, cercando di dare alla sua voce il tono più gentile che riuscisse a trovare.
“Innocenti, che si sono trovati sulla sua strada. Mi hanno accolto in casa dopo la morte di mia madre. Loro non sapevano che era una strega. Non avrei mai dovuto accettare la loro ospitalità. deve essere stato mio padre ad attirare l’attenzione di Voldemort su di loro”.
Nel sentire quel nome il giovane Mangiamorte sussultò, ma non disse nulla.
“Erano una famiglia tranquilla e felice finchè… ” abbassò gli occhi, portandosi una mano in tasca ad afferrare il ciuffo d’erba che vi aveva gelosamente riposto e prese a stringerlo con forza.
“E noi? Perché hai detto che nessun Mangiamorte può toccarti?” i suoi occhi neri scintillarono impazienti.
Iris non rispose subito. Sembrava che non riuscisse a distogliere lo sguardo da ciò che stringeva nel palmo, poi si alzò di scatto e, con un gesto deciso della mano, sollevò la manica sinistra della tunica dell’altro.
Il mago automaticamente afferrò la stoffa tentando di trattenerla, ma fu inutile: quella si arrotolò da sola lasciando scoperto l’avambraccio.
Il Marchio Nero spiccava nitidamente.
Entrambi fissarono quel macabro disegno, sembrava una cicatrice dovuta ad un’ustione. Era molto scuro e pulsava come se fosse vivo.
Iris si avvicinò lentamente e un’espressione di disgusto si dipinse sul suo viso.
“E’ il Marchio,” disse senza distogliere lo sguardo da quel segno. “Chiunque lo porta, se mi tocca muore”.
Strinse gli occhi come a voler scacciare l’immagine di suo padre che si contorceva nel pavimento. “Tu hai visto, in che modo orrendo io uccido,” fece una lunga pausa, poi riprese:
“E’ stata mia madre a fare quest’incantesimo, prima di morire. L’ha fatto per proteggermi da lui, da mio padre.
Il mago contemplò in silenzio il suo braccio, poi, con rabbia, abbassò di nuovo la manica della tunica.
Perché si sentiva a disagio? Perché lo sguardo di quella ragazza che si posava su quel simbolo era quasi doloroso?
Si era sentito onorato quando Voldemort l’aveva impresso sul suo braccio, era il modo di ricompensarlo per il lavoro che aveva svolto per lui come pozionista. Il suo Signore era contento di lui. Severus si era sentito finalmente apprezzato per le sue doti di mago.
Eppure gli occhi della giovane maga bruciavano più della terribile magia che l’aveva inciso profondamente nella sua carne.
Quanto odio doveva aver provato sua madre, quanta rabbia verso suo marito, verso l’uomo che l’aveva lasciata per unirsi alla causa dell’Oscuro? E, nello stesso tempo, quale grande amore poteva aver scatenato una tale vendetta contro tutti quelli che, come lui, avevano scelto di diventare schiavi di quel marchio?
Un sospiro sfuggì dalle sue labbra.
“Puoi restare qui stanotte, domani… ” la voce del mago tremò: sarebbe dovuto andare da Voldemort quella notte. L’idea di trovarsi davanti al suo signore senza una valida spiegazione non lo rendeva molto propenso a fare progetti per il giorno dopo.
Fece una smorfia osservando la ragazza, per quel che importava poteva anche restare lì quanto voleva, certo i suoi vicini di Spinner’s End non avrebbero avuto nulla da obbiettare sulla nuova abitante di quella casa, se lui non fosse tornato. Probabilmente tutto il quartiere ci avrebbe guadagnato nello scambio.
Si diede dello sciocco, ma c’era qualcosa in Iris che lo turbava piacevolmente: non avrebbe permesso a nessuno di girovagare per casa sua in sua assenza, specialmente un’estranea, ma sentiva che lei avrebbe rispettato quelle mura.
“Domani?” intervenne Iris a distoglierlo dai suoi pensieri.
“Domani dovrai trovarti una sistemazione: non puoi certo tornare a casa tua. C’è una casa libera in fondo a questa strada, potrai stare lì quanto vorrai,” poi, indicando un scala di legno:
“Al piano di sopra c’è una camera”.
Senza aggiungere altro si voltò dando le spalle alla maga, indossò nuovamente la maschera deciso a smaterializzarsi.
“Aspetta,” la voce di Iris lo bloccò. “Il tuo nome, non mi hai detto il tuo nome.”
“Severus!” disse senza guardarla e sparì.



Continua…


Sperando che questo capitolo vi sia piaciuto (Chi tace acconsente ;-P ma se parlate, anzi se recensite, è meglio) vi do appuntamento alla prossima settimana.
Il prossimo capitolo s’intitolerà “un segreto prezioso”. Riuscirà Severus a nascondere a Voldemort ciò che è veramente successo in quella casa babbana?
Ciao a presto!




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Capitolo 3
*** Cap 3: Un segreto prezioso ***


Felice di ritrovarti Akiremirror. Non saprei se la mia Iris si possa definire una tosta, lei è una ragazza normalissima, è giovane e ha le sue paure, ma è fondamentalmente saggia e, quando servirà (ahimè servirà), saprà anche essere coraggiosa. Capisce Severus e non lo giudica e questo per lui sarà molto importante.
Sono contenta che ti piaccia il mio giovane Severus, in effetti non è stato facile immaginare un Piton ragazzo cercando però di mantenerlo canon, spero di esserci riuscita

Buona lettura!


CAP. 3: Un segreto prezioso

Si trovava all’interno del cerchio. Lo sguardo del suo Signore era fisso su di lui.
Come un serpente prima di colpire la sua preda, era immobile, silenzioso, ma il suo silenzio non faceva presagire nulla di buono.
Severus si sforzò di non mostrare la sua paura, si chinò a baciare l’orlo della veste di Voldemort e rimase in ginocchio a capo chino, aspettando quella domanda, aspettando che il Signore Oscuro gli chiedesse la verità su quello che era successo in quella casa babbana, quella verità che lui avrebbe cercato di nascondere.
Non sapeva se ci sarebbe riuscito, Voldemort era un Legilimante eccezionale e lui era solo un ragazzino che aveva usato l’Occlumanzia unicamente per proteggere i suoi piccoli segreti di adolescente da qualche mago mediocre.
Cercò di regolare il respiro, il suo affanno rivelava chiaramente la sua colpa, poi la domanda arrivò e così la sua menzogna.
“Non so cosa sia successo a Gregorius. Gli Auror sono intervenuti ed io sono fuggito, sono stato un codardo, invoco il vostro perdono, mio Signore.”
Voldemort si alzò lentamente dal suo trono e prese a camminare intorno al suo servo inginocchiato, quando si trovò di nuovo di fronte a lui, allungò il braccio e con le dita lunghe e bianchissime, fece cenno al mago di sollevare la testa e lui cosi fece.
Improvvisamente, l’uomo più anziano colpì l’aria col dorso della mano e, come se fosse stata toccata da quello che assomigliava ad uno schiaffo, la maschera d’argento sul volto di Piton fu scaraventata in terra a qualche metro di distanza.
Il giovane Mangiamorte guardò negli occhi il suo padrone, ora avrebbe saputo se la sua capacità di chiudere la mente sarebbe stata sufficiente, non avrebbe avuto un’altra possibilità.
Si concentrò dimenticando ogni altro pensiero, ogni altra emozione.
La scena di quella notte apparve nella sua mente, ma non come era avvenuta realmente, bensì come lui voleva mostrarla a Voldemort. Vide gli Auror attaccare, vide se stesso fuggire e vide i cadaveri di quelle persone sparire nel nulla per mano di un mago sconosciuto.
Quello vide Voldemort, quando fissando le iridi nere del giovane Mangiamorte, penetrò nella sua mente come una lama infuocata.
Con violenza e ingordigia frugò nei suoi pensieri come un ladro che mette a soqquadro ciò che il padrone di casa aveva riposto con cura. Senza rispetto, senza preoccuparsi di distruggere ogni cosa pur di trovare il suo bottino.
Il ragazzo inginocchiato prese a tremare, non aveva mai provato nulla di simile, non riusciva a muovere un muscolo: era come incatenato a quelle orribili pupille. Non poteva distogliere lo sguardo, ne chiudere gli occhi; li sentì bruciare come se si trovasse troppo vicino al fuoco, un fuoco che stava consumando tutta la sua energia.
Era sempre più difficile mantenere la concentrazione, non ce la faceva più, i ricordi di quella notte stavano riemergendo.
Un lamento soffocato sfuggì dalle sue labbra. Doveva resistere, non poteva sottrarsi e non poteva chiudere la mente, Voldemort se ne sarebbe accorto.
Doveva confonderlo, doveva riuscirci a tutti i costi, lui non doveva sapere, non doveva vedere Iris.
Ormai quella presenza nella sua testa stava diventando insopportabile, dolorosa. Sapeva che non avrebbe resistito ancora per molto.
In un ultimo sforzo cercò di richiamare alla memoria avvenimenti estranei a quelli di quella notte, qualsiasi cosa potesse distrarre l’attenzione del Signore Oscuro.
D’improvviso tutto divenne buio.
Severus si ritrovò bocconi sul freddo pavimento di pietra, perdeva sangue dal naso, evidentemente si era ferito cadendo.
Sentì i Mangiamorte, uno alla volta lasciare la stanza. Quando anche Voldemort si fu smaterializzato, il ragazzo si sollevò faticosamente in ginocchio e si pulì il viso dal sangue con la manica della tunica.
Un’espressione d’incredulità era dipinta sul volto pallido: c’era riuscito, aveva ingannato il Signore Oscuro, lui, un mago diciannovenne era riuscito a bloccare il più grande Legilimante vivente.
Era talmente stupito di essere ancora vivo che per un po’ rimase in quella posizione fissando il punto in cui Voldemort era sparito.
Cosa avrebbe fatto adesso? Era così sicuro che Voldemort l’avrebbe ucciso quella notte che non aveva pensato al dopo.
La sua involontaria ospite lo aspettava a casa, doveva trovare il modo di nasconderla, se qualcuno l’avesse vista in casa sua, non sarebbe bastata l’Occlumanzia a salvarlo.
Si alzò e, barcollando, fece qualche passo verso il muro appoggiandosi alla parete. Raccolse la sua maschera e ansimando pronunciò la formula di smaterializzazione: le fredde mura del covo dei Mangiamorte sparirono per lasciare il posto alle pareti tappezzate di libri della sua casa.
Immediatamente gettò in terra la maschera e si piegò in avanti, mentre un capogiro e una forte sensazione di nausea lo assalivano, cadde in ginocchio e rimase immobile cercando di contrastare il senso di vertigini.
L’intrusione di Voldemort nella sua mente l’aveva lasciato con un fortissimo mal di testa e l’impressione di aver perso qualcosa di prezioso: i suoi sogni, le sue fantasie, i suoi ricordi erano stati profanati, calpestati solo per ottenere un’informazione.
Severus li aveva fatti riemergere dal profondo del suo cuore, come uno scudo.
Piccole cose: ricordi di sua madre e della sua fanciullezza, ricordi tristi e ricordi felici.
Li aveva dovuti usare, per distrarre l’attenzione di Voldemort da quello che era successo realmente quella notte. Il suo Signore aveva così ottenuto solo una visione distorta dell’attacco, confusa in miriadi di quelle che lui considerava sciocchezze: i baci di sua madre, i litigi fra i suoi genitori, le umiliazioni subite a scuola.
Stava per abbandonarsi ad un pianto liberatorio, quando vide Iris addormentata su una poltrona.
Perché non era salita in camera? Lo aveva aspettato? Severus si rimise faticosamente in piedi aggrappandosi ad una sedia.
Si avvicinò alla ragazza addormentata, osservandola per la prima volta quella notte.
Era una figura molto esile di un pallore quasi spettrale, tanto da far sembrare il suo un colorito olivastro. I capelli lunghissimi e scuri erano scompigliati come quando l’aveva lasciata qualche ora prima, le labbra piccole, ma ben disegnate, erano leggermente socchiuse.
Gli occhi del giovane Mangiamorte, percorsero tutta la sua figura: la maga aveva la testa piegata su un lato e un braccio pendeva abbandonato dalla poltrona. Sorrise, immaginando quando si sarebbe svegliata con un gran bel torcicollo.
Si chinò verso di lei, stava quasi per afferrarla, quando si ricordò della maledizione.
Si bloccò, estrasse la bacchetta e, con un impercettibile movimento del polso, la sollevò delicatamente da quello scomodo giaciglio e si avviò su per le scale, tenendo il braccio teso davanti a sé, mentre la maga galleggiava a pochi centimetri dalla sua bacchetta.
Iris si mosse appena mugolando qualcosa che fece sorridere Severus, ma non si svegliò. Neppure quando il mago, dopo averla adagiata sul letto, trasfigurò i suoi vestiti in qualcosa di più comodo: alla ruvida tunica nera si sostituì una leggera camicia da notte verde chiaro, semplice, ma graziosa.
Il mago la osservò per qualche istante poi, la sua iniziale espressione soddisfatta, si cambiò in una smorfia di disgusto: decisamente quel colore non era adatto a lei.
Abbinata alla sua carnagione pallida, quella tonalità di verde le dava un aspetto malaticcio.
Si sentì improvvisamente impacciato, non aveva idea di cosa potesse piacere ad una ragazza.
Certo questo avrebbe dovuto essere l’ultimo dei suoi problemi in un momento simile, eppure desiderava farle piacere in qualche modo.
Contemplò la sua carnagione bianchissima: quel viso sembrava di porcellana, anzi, le sue guance, leggermente rosate, ricordavano i petali di un fiore.
Le labbra del giovane si spalancarono, ma certo, un fiore, l’iris. Era questo il suo colore: il rosa delicato dei fiori che piacevano tanto a sua madre.
Ne aveva avuti sempre tanti in giardino e, quando fiorivano, questo assumeva una sfumatura di colori che andavano dal bianco, al rosa fino al violetto, facendo assomigliare quello squallido cortile ad un lembo di arcobaleno.
Mosse la bacchetta fendendo l’aria come a voler cancellare un’immagine da una lavagna, e il verdino divenne un color rosa tenue con le sfumature dell’iride.
Sorrise: un colore sicuramente poco Serpeverde, ma doveva ammettere che le stava davvero bene.
Dopo aver dato un ultimo sguardo compiaciuto alla sua ospite, Severus uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle, scese le scale, deciso a prepararsi qualcosa che lo facesse star meglio.
Entrò in una piccola stanza alle cui pareti erano fissati dei rozzi scaffali di legno pieni di polvere e di contenitori di vetro di forme e dimensioni diverse. Ne prese alcuni con sicurezza, senza neppure fermarsi a leggere l’etichetta, e si diresse verso un calderone arrugginito, già pronto in un angolo.
L’aveva posizionato sotto una finestra, in modo tale da non riempire di fumo e odori poco gradevoli la sua modesta dimora babbana. Infatti, per prima cosa, scostò appena le ante in modo da lasciar entrare un po’ d’aria fresca. Avrebbe potuto ovviare all’inconveniente dei cattivi odori con la magia, ma preferiva questo modo più naturale.
Acceso il fuoco, cominciò a versare il contenuto delle piccole ampolle nel calderone.
Era una pozione molto semplice, gli ingredienti erano praticamente già pronti da mescolare, niente da sminuzzare o pestare nel mortaio. Solo pochi minuti alla giusta temperatura e la pozione sarebbe stata pronta.
Severus guardò quell’intruglio con una smorfia: una pozione per il mal di testa, niente che quel rimedio che i Babbani chiamavano “Aspirina” non potesse risolvere.
Ricordò che suo padre usava spesso quelle piccole pastiglie miracolose, tuttavia non ne aveva in casa, non erano cose che si potessero trovare a Nocturn Alley e, nel suo quartiere babbano, non c’era la farmacia.
Appena il suo miscuglio fu pronto, lo versò direttamente in un bicchiere, si poteva bere anche caldo, perciò non attese e lo ingoiò in pochi sorsi.
Il sapore non era dei migliori, ma non lo sentì: il liquido era talmente bollente che per poco non si ustionò il palato.
Ripulì tutto con un colpo di bacchetta e si avviò verso la poltrona dove poco prima aveva trovato la sua ospite addormentata. Decise di seguire il suo esempio.
La pozione avrebbe fatto effetto nel giro di mezzora, nell’attesa si accomodò poggiando la testa sullo schienale e chiuse gli occhi.


Continua…


Dato che questa ff ha finora la bellezza di dieci lettori, e solo una ha detto la sua, mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensano gli altri nove ;-)
Anche le critiche sono ben accette, su, su, fatevi coraggio.
Il prossimo capitolo s’intitolerà “Ultime notizie”. Lucius Malfoy farà il suo ingresso nella vicenda.
Ciao a presto!




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Capitolo 4
*** Cap 4: Ultime notizie ***


Ciao Akiremirror, credo che andando avanti avrai sempre più voglia di abbracciarlo il mio povero Severus, sono stata davvero cattiva con lui.
Sono daccordo con te: Voldemort è davvero un personaggio complesso, non è solo cattivo,devo ammettere che, dopo le critiche di Ida al mio Voldemort di “Traditore” (che prima o poi mi deciderò a riscrivere) sono stata molto più attenta nel descrivere questo personaggio.
Grazie Piccola Vero, Severus è anche il mio personaggio preferito

Buona lettura!


CAP. 4: Ultime notizie

Un forte rumore di vetri infranti lo svegliò quando era ormai quasi mezzogiorno, il sole filtrava attraverso le fessure delle imposte.
Ancora stordito assaporò per un istante quel leggero tepore, poi la consapevolezza di ciò che lo aveva svegliato lo fece trasalire. Balzò giù dalla poltrona e, afferrando la bacchetta, si precipitò su per le scale e spalancò la porta della camera, Iris era inginocchiata per terra e contemplava i frammenti di quello che era stato il vaso preferito di sua madre, che luccicavano sul pavimento di legno.
“Mi dispiace, non l’ho fatto apposta,” mugolò. “Io, io credo di aver avuto un incubo, il vaso era là sul comodino, io non so, credo di averlo urtato, mi dispiace.”
Severus la guardò incredulo, sembrava fin troppo dispiaciuta per un banale oggetto di vetro
“Era solo un vaso,” disse fissandola imbambolato. “Solo un vaso”.
Iris tirò su col naso, sembrava una bambina.
“Sta calma, è comprensibile, dopo quello che è successo, che tu abbia avuto un incubo e poi i vasi si aggiustano.” puntò la bacchetta: “Reparo!” disse, poi rimase ad osservare con aria malinconica i piccoli frammenti avvicinarsi fra loro e ricomporsi in un vaso finemente decorato.
Sospirò: se solo avesse potuto rimediare a tutto con quel semplice incantesimo.
Iris si alzò e guardò stupita la sua nuova camicia da notte: non si era ancora accorta di non indossare più la sua tunica nera.
“Sei stato tu?” disse afferrando un lembo di stoffa e tendendola verso il mago.
“Beh, ho pensato che saresti stata più comoda, non volevo essere invadente.”
“E’ carina!” sorrise.
“Già, ora puoi rivestirti,” disse secco. “Come ti ho già detto, c’è una casa disabitata in questo quartiere. I vicini non faranno domande, potrai stare lì finché vorrai.”
Fece per andarsene, ma si voltò di nuovo
“Ah, mi sono procurato una chiave, questo è un quartiere Babbano, non è il caso che ti vedano aprire la porta con la magia, te la lasciò qui,” la posò sulla mensola e uscì seguito dallo sguardo di Iris.
Quando fu pronta, la giovane maga lo raggiunse.
Severus era di nuovo sulla sua poltrona e contemplava i mattoni anneriti nel caminetto spento; la fuliggine che ricopriva quelle pareti faceva sembrare quell’apertura più profonda di quanto non fosse in realtà.
Ricordò che da bambino lo trovava davvero pauroso, un antro buio dal quale sarebbe uscito un giorno un essere altrettanto oscuro e pericoloso.
Improvvisamente il suo volto s’indurì: quel mostro indefinito che lo spaventava tanto da piccolo, ora appariva nitido e orrendo nella sua mente, indossava una maschera d’argento.
I passi dietro di lui lo fecero voltare di scatto, Iris era lì in piedi, aveva di nuovo la sua semplice tunica nera e, in mano, stringeva la chiave della sua nuova casa.
Severus la guardò per un attimo poi riprese a fissare il camino.
“Non c’è bisogno che ti accompagni, la casa è in fondo alla strada, la troverai facilmente,” disse con voce fredda.
Iris fece qualche passo verso di lui e, abbassando lo sguardo, sussurrò:
“Grazie!”
Severus si afferrò ai braccioli della poltrona e si alzò di scatto guardando la ragazza con ira.
“Di cosa mi stai ringraziando,” ringhiò. “Di aver contribuito ad un massacro? Di non aver avuto il coraggio di uccidere anche te?”
Poi si avvicinò.
“Sono io che dovrei ringraziarti per avermi avvertito della maledizione… ” disse e allungò improvvisamente la mano fin quasi a sfiorare il viso di lei.
Iris indietreggiò di scatto fissandolo incredula, ma lui, per tutta risposta, piego le labbra in un sorriso triste
“… però, non sono sicuro che tu mi abbia fatto un favore, quindi non lo farò”. Si voltò dando le spalle alla ragazza.
“Ora vattene!”
Iris restò a guardare il mago per qualche istante, avrebbe voluto rispondergli, ma cosa poteva dire? Severus aveva ragione: era piombato nella sua vita insieme a quel mostro di suo padre, aveva sterminato un’intera famiglia.
Sì, lui aveva ragione, avrebbe dovuto odiarlo, non ringraziarlo.
Eppure, sentiva che quel ragazzo era solo un’altra vittima, come lei.
Probabilmente per lui sarebbe stato molto peggio. Lei doveva solo nascondersi, non aveva nessun valore per Voldemort, presto non l’avrebbero più cercata. Severus, invece, era un Mangiamorte, un servo, e lo sarebbe stato per sempre.
Iris sapeva bene cosa significasse portare quel marchio: Voldemort aveva molti seguaci, molti erano amici di suo padre, quindi li conosceva bene.
Aveva visto alcuni diventare spietati assassini, altri invece non avevano resistito, dopo aver visto i loro ideali naufragare nel sangue, avevano voltato le spalle al Signore Oscuro pagando con la vita il loro tradimento.
Abbassò lo sguardo, preferì fare come lui le aveva chiesto, si avviò verso la porta in silenzio e uscì.


* * *



Severus era rimasto sulla sua poltrona per tutta la mattina, cominciava ad avere fame.
Si alzò di malavoglia avviandosi verso la cucina, quando qualcuno bussò alla sua porta.
Non era uno qualunque, quei colpi erano provocati da un oggetto di metallo, il giovane riconobbe immediatamente il manico in argento del bastone di Lucius Malfoy.
Questo gli strappò una smorfia: Lucius aveva cominciato a portare il bastone da passeggio, appena lasciata la scuola. Aveva sempre cercato di distinguersi in qualche modo, e quel piccolo oggetto alla moda serviva a ricordare a tutti, compreso Severus, la superiorità della sua casata.
Il mago non si avvicinò alla porta, ma la aprì con un gesto della mano.
Non si era sbagliato, Lucius era là fuori.
Il suo aspetto era impeccabile come sempre: i capelli erano raccolti in un codino e indossava un elegante mantello nero chiuso da preziosi alamari, dal quale spuntavano i polsini e il colletto di pizzo di una candida camicia.
Prima di varcare la soglia, esaminò la stanza con malcelata repulsione, ma il suo, ormai, era divenuto un gesto quasi inconsapevole, lo faceva tutte le volte che lo andava a trovare.
Severus osservò le sue labbra assumere una piega disgustata, mentre gli occhi scrutavano pigramente ogni singola suppellettile.
Infine, Malfoy entrò, avvicinandosi all’altro che lo fissava con un’espressione interrogativa. Senza distogliere lo sguardo dal padrone di casa, infilò la mano nella tasca interna del mantello, tirò fuori un giornale arrotolato e lo gettò sul tavolo.
Gli occhi del mago bruno indugiarono su un titolo della prima pagina di quello che doveva essere un giornale Babbano. Una scritta molto grande recitava: Intera famiglia trucidata, forse per rapina.
Poi, un po’ più in basso: Iniziata la caccia agli ignoti ladri”.
“Tre persone, Severus,” la voce di Malfoy era calma, quasi musicale. “Quel giornale parla di tre persone, ma noi sappiamo che ce n’erano quattro in quella casa: tre Babbani e una strega.”
Severus osservò gli occhi incredibilmente azzurri del suo amico: non tradivano nessuna emozione, come del resto la sua voce. Non era un rimprovero il suo, questo lo sapeva, eppure in quelle parole c’era qualcosa di più e di peggio di una semplice osservazione, qualcosa che gli gelò il sangue.
Era come un animale che, scoperto il punto debole della sua preda, si prepara a farla cadere in trappola.
“Cosa stai cercando di dirmi, Lucius?” domandò brusco.
“Mi chiedevo solo se… ”
Il mago bruno si avvicinò fissando lo sguardo nel ghiaccio dei suoi occhi.
“Ho già riferito tutto quello che è successo stanotte al Signore Oscuro, ora non vedo la necessità di dover riprendere il discorso con te”. Dopo lo scatto iniziale, anche la voce di Severus era tornata calma e controllata.
“La mia non era un’accusa, Severus, era solo un’avvertimento, come tuo amico. Come ho saputo io, anche lui sarà venuto a conoscenza della notizia. Il Signore oscuro non è certo della tua fedeltà e, il fatto che tu sia fuggito, non depone a tuo favore”.
Severus continuava a fissarlo, irritato.
“I vigliacchi hanno la spiacevole abitudine di tradire,” continuò “Questa era la tua prima missione e, guarda caso, fallisce in circostanze misteriose. Non vorrei proprio essere nei tuoi panni”.
“Lucius, te lo dirò una volta sola e non lo ripeterò più: quando siamo arrivati, in quella casa c’erano solo tre persone, io non ho visto Streghe, Elfi o creature magiche di nessun genere, solo Babbani. Abbiamo fatto quello che lui ha ordinato. Non avevo nessuna ragione di rimanere a farmi ammazzare dagli Auror, non sarebbe stato affatto coraggio, Lucius, ma stupidità.”
“Forse!” mormorò distrattamente l’altro, poi il suo sguardo prese a vagare qua e là per la stanza, mostrando un eccessivo interesse per i banali soprammobili. Si avvicinò alla libreria e afferrò un piccolo libricino con la punta delle dita, quasi a non volersi sporcare con quell’oggetto di chiara origine Babbana.
“Tuttavia…” si fermò di nuovo e prese a sfogliare il piccolo volumetto, come se cercasse in quelle pagine le parole per proseguire.
“Tuttavia?” gli fece eco l’altro, con impazienza.
“Beh, come dire? Il Signore Oscuro cercherà ugualmente di metterti alla prova.” si voltò improvvisamente verso il suo interlocutore.
“Non ti piacerà, Severus.”
Il cuore del mago bruno sussultò, cosa mai voleva dire metterlo alla prova? Non gli era bastato penetrare nella sua mente come un fiume in piena, calpestando la sua dignità. Cos’altro avrebbe preteso? E, soprattutto, cosa mai avrebbe potuto convincerlo definitivamente della sua fedeltà?
Cercò di mantenere ferma la sua voce, anche se il suo cuore sembrava impazzito.
“Il Signore Oscuro, non ha motivo di dubitare di me, io non sono un vigliacco e glielo proverò.”
Malfoy lo fissò per un po’ senza parlare, poi, con indifferenza, come se il mago bruno gli avesse appena dato un informazione sul clima, gli voltò le spalle
“Bene! Arrivederci, Severus.”
Piton lo seguì con lo sguardo, mentre si avviava lentamente ed elegantemente verso l’uscita, per poi Smaterializzarsi appena fuori dalla porta, senza minimamente preoccuparsi di essere visto da eventuali Babbani nelle vicinanze.


* * *



Severus rimase per un po’ a fissare il punto nel quale era sparito, poi abbassò lo sguardo sul giornale che Malfoy aveva lasciato sul tavolo. In prima pagina spiccava la foto dell’uomo che aveva ucciso quella notte.
La foto era fissa, non era una foto magica, tuttavia quella piccola immagine in bianco e nero mostrava chiaramente un uomo felice: sorrideva.
Il giovane strinse i pugni, era furioso e disgustato, come aveva potuto ucciderlo?
Quel vecchio Babbano non chiedeva altro che poter vivere sereno con la sua famiglia, non aveva alcuna colpa. Come aveva potuto assassinare un uomo indifeso? Con che diritto era piombato nella sua casa, nella sua vita, distruggendola?
Gli ordini, certo, quei maledetti ordini. Quella parola era risuonata nella sua testa come un tuono fino a fargli perdere la ragione, alimentando la sua paura e la sua rabbia finché questa non era schizzata fuori dalle sue labbra come veleno, uccidendo quel poveretto.
Aveva solo obbedito, ma per lui quegli ordini non avevano alcun significato.
Cosa era diventato? Si era comportato come un fantoccio, una marionetta nelle mani di un altro uomo, un mago potente sì, ma sempre un uomo.
La sua sete di sapere valeva davvero questo prezzo?
Si sentì uno stupido: aveva acquistato conoscenza, ma aveva perso se stesso.
Per un anno era restato chiuso in quella cantina a Notturn Alley a distillare veleni. Era stato facile far finta di non vedere, di non sapere, ma a cosa serve un veleno se non ad uccidere?
Era stato così cieco, volutamente cieco, era così affascinante ammirare gli ingredienti mentre si trasformavano, per effetto del calore, in ciò che lui desiderava.
Era più di una magia, era una nuova sfida con se stesso. Trovare nuove soluzioni, nuove combinazioni, era scienza ed era arte insieme.
Era sempre stato bravo in Pozioni: voleva essere il migliore.
Da quando era ancora studente, non si era mai limitato al sapere scolastico, conosceva così bene la materia, che erbe e radici non avevano segreti per lui. Le sue mani si muovevano con una tale disinvoltura, mentre sminuzzava e mescolava gli ingredienti, che sembravano seguire il ritmo di una musica. Avrebbe saputo riconoscere la qualità di una Pozione solo saggiandone la consistenza con il mestolo.
L’unica cosa che desiderava era essere apprezzato come mago e come Pozionista e, lavorando per Voldemort, finalmente aveva realizzato il suo sogno: un altro uomo aveva riconosciuto le sue capacità, quell’uomo era il più grande mago vivente.
Un mago eccezionale, temuto e rispettato, condivideva la sua passione per i libri e la sua sete di sapere. Anche il sapere oscuro, quello che tanti temevano, per lui era solo sapere, nulla di più che semplice conoscenza della quale non era mai sazio.
Quello era ciò che voleva, lo aveva desiderato così tanto che non aveva pensato alle conseguenze; ora quelle conseguenze lo fissavano dalla pagina di un giornale Babbano.
Quegli occhi lo accusavano, e non erano i soli.
Quella notte aveva usato per la prima volta la Maledizione Senza Perdono, aveva ucciso, ma quella non era la sua prima vittima, no, non lo era.
Strinse i pugni: ogni suo preparato era costato delle vite, era inutile, ormai, far finta di non sapere.
Quanti ne aveva uccisi prima di quel vecchio Babbano? Quanti morti aveva sulla coscienza?
Il mago afferrò con rabbia il giornale e fissò ancora quegli occhi.
Dietro quello sguardo si nascondevano decine di altri sguardi: occhi che non avevano potuto vedere il volto dell’uomo che li aveva strappati alla luce.
Non avevano visto il loro assassino, mentre gridava una maledizione mortale, ma ugualmente lo accusavano e chiedevano giustizia, fissandolo da quella pagina di giornale.
Il mago si portò una mano sui capelli e si lasciò cadere in ginocchio.
“Quanti?” gridò. “Quanti sono?”


* * *



Severus era rimasto immobile, con quei fogli arrotolati in mano, così a lungo che le ginocchia avevano cominciato a fargli male, si spostò di lato, mettendosi seduto sul pavimento e distendendo le gambe intorpidite. Stava tremando.
Continuò a fissare quel volto sul giornale, mentre lacrime silenziose presero a scivolare sulle guance pallide, non aveva voglia di alzarsi, non aveva voglia di fare assolutamente nulla.
Anche respirare gli sembrava inutile; se la respirazione fosse stato un atto volontario, probabilmente, avrebbe comandato al suo petto di cessare quel ritmico e fastidioso movimento.
Il suo corpo, tuttavia, continuava a svolgere le sue funzioni, continuava ostinatamente a vivere, e presto anche quella nuova posizione divenne insopportabilmente scomoda, il giovane dovette cedere al dolore, e, faticosamente, si rimise in piedi, le dita sempre strette intorno a quelle pagine giallastre e gli occhi persi a contemplare quella testimonianza della sua follia.
Sotto la foto del Babbano, un lungo articolo, riempiva almeno tre colonne.
Il mago s’impose di distogliere lo sguardo dall’immagine del vecchio, ne era, infatti, come ipnotizzato, e prese a leggere quello che era scritto in caratteri minuscoli più in basso.
Improvvisamente, le sue labbra si spalancarono: il nome di Iris appariva nell’articolo.
I Babbani erano a conoscenza della sua esistenza, questo complicava ancora di più le cose.
Il volto del mago divenne improvvisamente cupo e concentrato: i Babbani la stavano cercando, doveva avvertirla, immediatamente. Non poteva permettersi di piangere e macerarsi nel rimorso, ora doveva pensare a lei.
Richiuse il giornale e si Smaterializzò.
Riapparve poco lontano, in un salottino arredato in modo piuttosto eccentrico: una vecchia credenza azzurra con la vernice scrostata faceva bella mostra di sé al centro della parete, con tutto il suo contenuto di tazzine multicolori e oggettini vari, per lo più inutili soprammobili pieni di polvere.
Tutto era avvolto nella penombra, infatti l’unica fonte di luce, una piccola finestra, era completamente oscurata da un’orrenda tenda rossa con fiori gialli.
Il rumore della materializzazione attirò l’attenzione della maga che si trovava nella stanza accanto. Dalla porta socchiusa, fece capolino una testa avvolta in un asciugamano di spugna.
Iris guardò il mago bruno con un’espressione di curiosità mista a timore. Sentiva di potersi fidare di quel giovane, ma la sua intrusione improvvisa nel suo rifugio non prometteva nulla di buono.
“Severus, cosa… ”
Il giovane porse alla maga il giornale Babbano, accennando con lo sguardo all’articolo in prima pagina.
“Ti cercano,” disse. “I Babbani ti credono complice degli assassini”.
Iris scorse velocemente l’articolo: il ragazzo aveva ragione, i Babbani erano convinti che la strage di quella notte, fosse il risultato di un tentativo di rapina.
Il fatto che il suo corpo non fosse stato trovato in quel giardino con gli altri, faceva di lei la prima sospettata o per lo meno una probabile complice: la misteriosa ospite che, approfittando della buona fede di quella gente, aveva aiutato i ladri ad introdursi in quella casa, per poi fuggire con loro.
“Ma certo,” sospirò la giovane. “Avrei dovuto immaginarlo”.
“Questo è un quartiere Babbano, qui sei abbastanza al sicuro dagli uomini del Signore Oscuro, loro non ti cercheranno a due passi da casa mia, ma io non posso fare niente contro la polizia Babbana, faresti meglio a non uscire di casa per un po’.”
“Non posso restarmene rinchiusa,” scattò. “Qui dice che domani ci saranno i funerali, ed io voglio esserci.”
“Sarebbe una sciocchezza, cosa racconterai a quella gente, che sei un strega? Che tuo padre ha ucciso un’intera famiglia, perché un mago oscuro glielo aveva ordinato?”
Le labbra del mago si curvarono in una smorfia
“Oh sì, probabilmente ti risparmieranno la prigione, solo per chiuderti in un manicomio,” disse sarcastico gettando sull’altra un occhiata provocatoria.
Le dita di Iris strinsero con forza il giornale, la schiettezza del giovane la irritava, soprattutto perché sapeva che aveva ragione, ma non si sarebbe arresa.
“Troverò un modo, quei Babbani erano la cosa che più si avvicinava ad una famiglia per me, io sarò là domani.”
Era pazza, non c’era altra spiegazione, Severus la fissò stupito, non poteva credere che la ragazzina tremante che aveva visto quella notte potesse nascondere tanta determinazione.
“D’accordo,” sospirò. “Ci andrai, ma nessuno dovrà vederti. Ti ho portato qui per nasconderti, non lascerò che tu vada in giro a svelare a tutti che sei ancora viva, non ho nessuna intenzione di farmi ammazzare per colpa tua. Posso aiutarti: ti preparerò una pozione che ti renderà invisibile per ventiquattro ore. Sarà meglio per te se non farai stupidaggini domani”.
Iris sorrise: quell’atteggiamento da duro proprio non si addiceva al ragazzo.
Anche se lo aveva visto con indosso quella maledetta maschera d’argento, sapeva che non c’era un briciolo di malvagità in lui, lo sentiva.
Gli voltò le spalle togliendosi l’asciugamano dai capelli; ma come era finito fra i Mangiamorte? Come può un ragazzo apparentemente tranquillo, persino timido, decidere di diventare uno spietato assassino?
“Prenderò la tua pozione, saresti capace di legarmi alla sedia per non farmi uscire,” disse sottilmente divertita.
Severus non rispose, anche se era evidente che la maga si stava prendendo gioco di lui, non si sentì offeso. Forse era meglio così, il loro incontro non era avvenuto nelle migliori circostanze e, il fatto che Iris cercasse di sdrammatizzare, lo faceva sentire meglio. Sorrise a sua volta.
“Tornerò fra qualche ora con la pozione.” si Smaterializzò.
Iris si voltò nuovamente fissando il luogo in cui era sparito. Quel ragazzo era davvero un mistero per lei. Cosa aveva detto? Stava andando a preparare una pozione dell’invisibilità?
La maga strinse nervosamente l’asciugamano che teneva in mano, appallottolandolo, cominciò a passeggiare avanti e indietro misurando a grandi passi quella piccola stanza.
Una pozione dell’invisibilità non era una cosa semplice da preparare, ricordava di averne sentito parlare da sua madre. Certo quel ragazzo doveva aver frequentato Hogwarts, una delle migliori scuole di stregoneria, ma, nonostante tutto, quello che si era proposto di fare aveva dell’incredibile e lui ne parlava come se si fosse trattato di preparare un the.
Forse in quel mago c’era molto di più di quello che appariva, e se si fosse sbagliata su di lui? Se fosse stato veramente pericoloso? Scosse il capo, no, un bravo mago non è necessariamente malvagio. Probabilmente erano state proprio le sue capacità ad attirare l’attenzione di Voldemort su di lui. Certo, doveva essere andata proprio così. Gettò l’asciugamano sul divano e si infilò in bagno.
Severus tornò esattamente due ore dopo, con una boccetta di vetro in mano, non attese di darle la pozione personalmente, ma la posò sul tavolino del salotto, facendo abbastanza rumore perché Iris notasse la sua presenza e si Smaterializzò immediatamente.
Iris si avvicinò lentamente alla piccola ampolla. Il liquido all’interno aveva un colore rosso acceso, sembrava quasi brillare di luce propria, non aveva mai visto una pozione come quella, rimase a fissarla incantata, rapita da quel colore incredibile, poi allungò una mano e l’afferrò con delicatezza.
“Grazie!” mormorò.


Continua…


Anche questo capitolo è finito, spero che vi sia piaciuto, commentate mi raccomando ;-).
Appuntamento alla prossima settimana, il capitolo s’intitolerà “visita al cimitero”,
Severus ed Iris avranno modo di conoscersi un po’ meglio
Ciao, a presto!




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Capitolo 5
*** Cap 5: Visita al cimitero ***


Akiremirror, hai detto bene, questo è un periodo bruttissimo per il povero Severus, il periodo nel quale farà gli errori che poi rimpiangerà per tutta la vita. Io non credo in un Severus cattivo, ma credo che, almeno all’inizio, non abbia saputo tirarsi fuori dal guaio nel quale si era cacciato ed è affondato sempre di più. Perciò, non credo di rivelare troppo, se ti dico che intercedere sarebbe inutile: questa storia non è a lieto fine.

Buona lettura!


CAP. 5: Visita al cimitero

Era quasi mezzogiorno, ma, sotto quel cielo nuvoloso, il paesaggio aveva assunto un unico colore grigio azzurro. Grigio era il marmo di quelle lapidi, grigia era l’erba e il mucchio di terra smossa vicino alle nuove fosse.
Severus si avvicinò ad una piccola cappella, un mazzo di rose bianche galleggiava a mezz’aria dietro una colonna.
“Ti avevo detto di non farti vedere!” sibilò rivolto al piccolo bouquet che sussultò.
Le labbra sottili del mago si curvarono appena per poi ricomporsi in una espressione corrucciata, piuttosto forzata. Fissò il punto in cui, sapeva, doveva esserci Iris e incrociò le braccia assumendo un’aria di rimprovero
“Mi dispiace, sì hai ragione, ma… sì, sì scusa!” borbottarono i fiori, mentre si adagiavano delicatamente a terra seguiti dallo sguardo di lui.
La pozione funzionava alla perfezione: quello strano balletto di rose volanti era decisamente buffo.
Severus si guardò intorno, se qualche Babbano l’avesse visto avrebbe certamente pensato ad un fantasma.
Improvvisamente il suo sguardo si fece cupo: poco più in là, un gruppo di gente circondava tre bare. Una piccola folla composta e silenziosa stava dando l’ultimo saluto a quella sfortunata famiglia.
Si voltò di nuovo verso il punto in cui si trovava la maga, anche se non poteva vedere il suo viso, sapeva che Iris stava piangendo.
Non disse niente, tornò a fissare quelle persone: si abbracciavano o si tenevano per mano, confortandosi a vicenda.
Forse anche Iris avrebbe voluto stringersi a qualcuno, avrebbe desiderato il calore di un abbraccio o, forse, ne aveva bisogno lui.
Avrebbe voluto toccarla in quel momento, farla sentire protetta.
Nemmeno quello gli era concesso.
Le aveva fatto del male e ora non poteva neppure cercare di alleviare il suo dolore.
In fondo era come se continuasse a portare la sua fredda maschera d’argento in sua presenza.
Non gli era permesso un gesto d’affetto, anche se probabilmente non ne sarebbe stato capace: lui era il male, e Iris qualcosa di puro e irraggiungibile, qualcosa che non era degno neppure di sfiorare. Quella maledizione aveva più di un significato, non era solo una protezione per Iris, ma un monito per lui, un modo per ricordargli continuamente cosa aveva comportato la sua scelta.
Lui ormai era la sua maschera, il gelido metallo che non può conoscere il calore di una carezza.
Le persone intervenute al funerale si stavano allontanando, una alla volta lasciavano cadere sulle bare il fiore che avevano tenuto stretto in mano durante il rito.
Il mago si chinò a raccogliere le rose di Iris.
“Se vuoi posso portarle io al tuo posto,” disse sottovoce.
Ci fu un attimo di silenzio, Severus fissò il vuoto davanti a se con aria interrogativa. Forse Iris aveva annuito, ma lui non poteva vederla, quindi attese finché non udì quello che sembrava appena un fruscio.
“Grazie!”
Era come immaginava: Iris stava piangendo. In silenzio, protetta dall’invisibilità, era libera di farlo.
Severus si avviò lentamente verso le tre bare con il suo mazzo di rose in mano.
Nonostante indossasse dei comunissimi abiti babbani, pantaloni e maglione nero, si sentì improvvisamente addosso gli occhi di tutti. Fissò lo sguardo davanti a se e continuò a camminare. Era ingiusto dover nascondere la verità, era ingiusto che Iris dovesse restare nascosta, mentre lui, l’assassino, poteva camminare libero tra quelle persone.
Aveva l’impressione che l’intera sua figura gridasse la sua colpa. Più si avvicinava e più si sentiva indegno di proseguire.
Si bloccò, il respiro si era fatto affannoso.
“No! Non ce la faccio, non posso!” mormorò tra i denti.
Avrebbe voluto fuggire lontano da lì.
Davanti ai suoi occhi apparve l’immagine del vecchio Babbano, lo vide gettarsi nuovamente su di lui, nel suo ultimo disperato tentativo di salvarsi.
“No!” istintivamente fece un balzo indietro e, immediatamente, i suoi occhi corsero a cercare i volti delle persone intorno a lui, temendo di aver attirato la loro attenzione col suo gesto inconsulto.
Molti babbani, infatti, stavano osservando con curiosità quello strano giovane, un parente, forse un amico di famiglia. Li sentiva mormorare, mentre gli rivolgevano sguardi comprensivi e compassionevoli.
Severus strinse con forza il mazzo di rose fino a ferirsi il palmo della mano con le spine, e si obbligò ad avvicinarsi alle tre bare.
Se solo quelle persone avessero saputo la verità, se solo avessero saputo che l’assassino che tutti cercavano ora era lì, di fronte a loro.
Avrebbe voluto gridare a tutti: sono io, sono io che li ho uccisi, guardatemi, è colpa mia.
Improvvisamente udì la voce di Iris alle sue spalle.
“Andiamo a casa Severus.”
Era appena un sussurro, ma gli sembrò la cosa più dolce che avesse mai sentito. La mano del mago si rilassò immediatamente, mentre un rivolo scarlatto scivolò a macchiare i candidi petali.
“Sì andiamo a casa,” ripetè quasi meccanicamente, lasciando cadere i fiori sulla bara del vecchio Babbano.
Voleva solo andar via da quel posto, sapeva di non poter comunque fuggire da suoi incubi, tuttavia, in quel cimitero questi sembravano aver preso il sopravvento, erano così solidi e reali che desiderò avere le mura della propria casa intorno.
Iris lo aveva capito e si era avvicinata silenziosamente al mago.
La sua reazione di fronte a quelle bare era stata più eloquente di tante parole: ora sapeva che Severus non era malvagio, che il suo rimorso era sincero. Provò compassione per lui, sapeva benissimo cosa provava in quel momento.
Quella orrenda notte aveva cambiato le loro vite. Voldemort era il colpevole, lui aveva fatto di loro degli assassini, ma entrambi avrebbero pagato per il loro gesto. Quel sangue avrebbe chiesto il suo tributo.
Una tremenda colpa li legava. Insieme, forse, un giorno avrebbero potuto vincere o esserne definitivamente sopraffatti… insieme.
Si smaterializzò.
Qualche minuto dopo, il mago si diresse curvo verso una grossa statua. Celato dietro quel marmo sparì anche lui.

* * *



Iris l’aveva preceduto e si affannava intorno ad un fornello elettrico.
Come immaginava, Severus l’aveva raggiunta nel suo provvisorio rifugio in fondo alla strada.
Sorrise, ma, essendo ancora sotto l’effetto della pozione, gli occhi di Severus poterono vedere solo un insolito movimento di pentole.
Iris senza parlare afferrò un grembiule e se lo cinse alla vita, ora alle pentole volanti si accompagnava anche il balletto di quel pezzo di stoffa che si agitava avanti e indietro per la cucina, ma, almeno, il mago non avrebbe rischiato di scontrarsi con lei inavvertitamente.
Ma cosa stava facendo? Severus si avvicinò e, con un espressione curiosa, annusò il contenuto di quelle pentole: non stava cucinando, quella era decisamente una pozione.
Iris scoppiò in una risata cristallina, evidentemente, pensò Piton, la sua faccia doveva avere un che di buffo.
“Non temere,” disse la giovane strega. “Non cercherò di avvelenarti. Non sono una brava pozionista, ma questa è una ricetta di mia nonna e non servono neanche ingredienti particolari, solo cose che si trovano in una normale cucina babbana.
Gli occhi di Piton scorsero i piccoli contenitori allineati sul banco, varie erbe, per lo più spezie e poi, cos’era quello? Aglio? Ma certo, il rimedio della nonna non era altro che un semplice calmante, era poco più di una camomilla, però era quello di cui entrambi avevano bisogno in quel momento.
Si avvicinò ulteriormente alla maga o, piuttosto si avvicinò al mestolo che sbattucchiava in modo tutt’altro che elegante immerso in quel liquido dall’aspetto poco invitante.
“Lascia, continuo io,” disse dolcemente, avvicinando una mano al mestolo senza però toccarlo, nel timore di sfiorare involontariamente le dita di lei.
Iris si allontanò dai fornelli lasciando che Piton prendesse in mano la situazione.
Lo osservò stupita: il giovane prese a mescolare lentamente il liquido con movimenti precisi e regolari.
C’era così tanto amore in quel semplice gesto: era come se Piton considerasse quella brodaglia, al pari del nettare più prezioso.
Improvvisamente, la domanda che le torturava l’anima dal momento in cui l’aveva conosciuto, le sfuggì dalle labbra:
“Perché sei diventato uno di loro?”
La mano di Severus tremò appena, poi riprese il suo movimento, ma la sua espressione si fece cupa. Aspettava quella domanda, fu grato di non poter vedere il volto della sua interlocutrice in quel momento. Così era meno penoso.
“Perché la falena si getta tra le fiamme?” mormorò con voce atona, contemplando il liquido che gorgogliava rumorosamente.
Si voltò. L’effetto della pozione, ormai, stava finendo, il viso triste e stanco di Iris si faceva sempre più nitido.
Lei lo stava fissando con un’ espressione, che il mago non riuscì a decifrare. Sembrava persa nei suoi pensieri come se tentasse di dare un senso a qualcosa per lei incomprensibile.
Severus sospirò: non c’era di che meravigliarsi, come avrebbe potuto capire la sua scelta, qualcosa che neppure lui riusciva a spiegarsi?
Ma lei continuò:
“Cosa si prova in sua presenza?” sussurrò.
A quel punto, il mago, lasciò cadere il mestolo e si avvicinò ad una poltrona crollando pesantemente a sedere, sospirò ancora e più profondamente, ma ormai aveva deciso: avrebbe risposto a tutte le sue domande, forse perché quelle stesse domande le aveva già poste a se stesso. Lui per primo aveva bisogno di darsi una risposta.
Sollevò lo sguardo cercando gli occhi di lei.
“E’ come… ” si morse il labbro: era così difficile trovare le parole adatte. “E’ strano, sì è una sensazione strana: ti senti onorato di essere alla sua presenza e nello stesso tempo ti senti una nullità. Lui non è solo un grande mago, lui è la magia, è tutto quello che ho sempre cercato, la sua aura magica è così potente che è come se l’aria prendesse a vibrare intorno a lui.
Sei lì, ai suoi piedi, inginocchiato a baciare l’orlo delle sue vesti, sperando che ti venga concesso di brillare della sua luce riflessa e non ti accorgi, mentre il tuo sguardo è rapito da quella luce, che stai sprofondando in un mare di sangue.”
Si voltò verso il fornello.
“Credo che la ricetta di tua nonna sia pronta, ne prenderei volentieri un po’.”
Iris si voltò di scatto e si precipitò verso il fornello, appena in tempo per togliere la pozione dalla piastra, prima che questa schizzasse fuori dalla pentola.
Gli occhi del mago seguirono ogni suo movimento, mentre si affrettava a versare il liquido in un paio di tazze spaiate. Poi il suo sguardo prese a vagare nella stanza fino alla vecchia credenza azzurra e alle cianfrusaglie ammucchiate al suo interno, non c’era una tazzina uguale all’altra.
Le sue labbra sottili si curvarono appena in un sorriso nostalgico, ricordando l’anziana donna Babbana che abitava quella casa: una vecchietta un po’ matta.
Era morta da pochi mesi alla ragguardevole età, per una Babbana, di novantacinque anni.
Ricordò le sue raccomandazioni ad un bambino eccessivamente magro che non di rado veniva pescato a scavare buche nel suo piccolo orto in cerca di chissà quali misteriosi tesori: Devi mangiare, ragazzino, se non ti decidi a mettere un po’ di carne intorno a quelle ossa, finiranno per scambiarti per una scopa.
“Severus?” Il mago sussultò: Iris si era accomodata sulla poltrona di fronte a lui e gli porgeva un po’ impacciata quella bevanda poco invitante.
“Ecco, bevi”.
Piton afferrò la tazza con entrambe le mani, ma, improvvisamente il suo cuore si fermò: per un attimo le loro dita furono sul punto di sfiorarsi.
I due giovani rimasero immobili, le loro mani su quel piccolo oggetto di coccio reso caldo dalla pozione al suo interno, un istante infinito, nel quale si persero l’uno negli occhi dell’altra. Poi, con uno scatto, Iris ritirò la sua mano riportando il mago bruscamente alla realtà.
“Scusa!” bofonchiò il giovane, sprofondando il viso nella sua bevanda.
La ingoiò in pochi sorsi, senza battere ciglio, poi sollevò lo sguardo aspettando che lei facesse altrettanto. Iris lo imitò, ma a differenza di Severus la sua faccia si contorse in un’espressione disgustata: quella roba aveva un sapore decisamente orrendo. Si sforzò di inghiottire quel miscuglio senza distogliere lo sguardo dal suo ospite che sembrava trovare i suoi sforzi piuttosto divertenti.
Normalmente il giovane mago avrebbe gridato allo scandalo: una pozione preparata, su un fornello elettrico, in una comunissima pentola di alluminio, una pentola babbana. Qualcosa che avrebbe fatto inorridire anche un pozionista mediocre.
Eppure, quell’intruglio rivoltante, gli era sembrata la pozione migliore che avesse mai contribuito a creare: una pozione che non avrebbe causato dolore o morte. Qualcosa che gli ricordava i miscugli che preparava da bambino: pozioni semplici, fatte per gioco con l’aiuto di sua madre. Niente di più che innocui liquidi multicolori. Soprattutto, ricordò le sue piccole mani che, stringendo il mestolo con tutta la forza, continuavano a mescolare senza mai stancarsi, sfidando anche il vapore rovente. Mani bianchissime e ossute, mani innocenti.
Iris continuava a fissarlo, i suoi occhi erano diventati lucidi, mentre faceva forza su se stessa per non sputare la sua bevanda sulla faccia del mago.
Improvvisamente abbassò la tazza.
“Tu lo ammiri?”
Il giovane Mangiamorte chiuse gli occhi, cosa poteva dire? Era ovvio, certo lo ammirava, lo considerava il più grande mago vivente, anche ora, nonostante tutto, era affascinato dalla sua potenza, tuttavia, niente poteva giustificare le sue azioni, quale nobile scopo ci può essere in un omicidio? Preservare la razza dei maghi? Ma cosa significava? Lui era per metà Babbano, eppure Voldemort non aveva rifiutato i suoi servigi.
Strinse nervosamente le dita intorno alla tazza rigirandola tra le mani.
“Io ammiro la magia, io ammiro la conoscenza, lui è tutto questo, ma è anche un uomo, ora so che non è infallibile, lui ci porterà alla rovina e io… ”
“Tu, obbedirai, lo so, ma non devi permettergli di distruggerti, Voldemort cadrà, lui dovrà pagare per quello che ha fatto… ”
“Lui non cadrà mai!” la interruppe brusc. “Tu non hai visto, tu non sai. I suoi seguaci sono ogni giorno più numerosi, ed io non posso farci niente, niente!”
“Un uomo solo non può fermarlo, Severus, ma tu potresti ritrovarti nuovamente a puntare la tua bacchetta, contro un innocente, cosa farai allora?”
“Non lo so.”scosse il capo.
“Io sì: lo salverai, come hai fatto con me, ma ti prego non gettar via la tua vita inutilmente, non metterti contro di lui apertamente, sarebbe inutile, moriresti per niente.”
“Perché mi dici queste cose?”
“Perché so quello che provi, perché so cosa significa uccidere e perché… ” strinse la tazza come in un abbraccio, portandosela al petto. “… non sempre, seguire il cuore è la scelta più giusta. “Pronunciò quest’ultima frase con un filo di voce.”
Severus socchiuse le labbra: cosa voleva dire, non seguire il cuore? Aveva seguito il cuore quando l’aveva portata via dalla sua casa, quando l’aveva nascosta e poi aveva mentito al suo Signore per lei.
“Maledizione, Iris, ma cosa vuoi che faccia? Forse hai ragione, forse il Signore Oscuro verrà sconfitto, ma a me non resterà più un cuore, per quel giorno, o un’anima, ammesso che io ce l’abbia ancora.”
Iris, guardò con meraviglia, le pupille nerissime del giovane mago, sembrarono ad un tratto incendiarsi.
Oh, sì il cuore c’era ancora, poteva vederlo, rischiarato da quelle fiamme. Un cuore che lottava per liberarsi da quella profonda notte, nella quale, il mago aveva deciso di nasconderlo.
Si augurò con tutta se stessa che quel fuoco non dovesse mai spegnersi, ma Severus aveva ragione: perdere la sua vita non era la cosa peggiore che gli sarebbe potuta accadere.
Abbassò lo sguardo e non rispose, in realtà non poteva rispondere, voleva che vivesse, era egoismo il suo? Sapeva che se Piton si fosse rifiutato di obbedire a Voldemort, sarebbe stato ucciso, ne poteva tradirlo e sperare di fuggire: molti avevano tentato e avevano pagato con la vita. Conosceva appena quel giovane, ma gli doveva la sua vita, si sentiva legata a lui, in un modo che non riusciva a spiegare.
Sollevò la tazza e riprese a sorseggiare la sua pozione, ormai fredda.
Quando ebbe terminato di bere, Severus si alzò dalla sua poltrona e si chinò verso di lei.
“Lascia, metto a posto io.” sussurrò, abbozzando, un sorriso.
Stava per afferrare la tazza, quando, improvvisamente, il suo braccio si contorse come colto da un crampo
“No! Ti prego no!” il volto del mago era deformato da una smorfia di dolore, mentre con l’altra mano stringeva spasmodicamente il punto in cui il suo Signore aveva impresso il segno della sua schiavitù.
Iris era scattata in piedi, lo sguardo terrorizzato. Si portò le mani nei capelli: era il Marchio, lo sapeva, quell’orribile Marchio. Voldemort lo stava chiamando.
Si sentiva impotente. Fissò il mago con la bocca spalancata, ma non riuscì a pronunciare una sola parola.
“Devo andare.” disse infine lui con voce roca.
La luce che aveva illuminato il suo sguardo qualche istante prima, era sparita per lasciare il posto alla più fredda e oscura disperazione.
Fece qualche passo indietro e si smaterializzò.



Continua…


Appuntamento alla prossima settimana, il capitolo s’intitolerà “Servo fedele”.
Akiremirror se sei intenzionata a coccolare Severus, il prossimo capitolo te ne darà l’occasione, povero ciccio.

Ciao, a presto!




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Capitolo 6
*** Cap 6: Servo fedele ***


Akiremirror, hai toccato il tasto dolente: tutti sappiamo che Piton è stato Mangiamorte e poi si è pentito, ma un conto è dirlo e un conto è cercare di immaginare cosa ha potuto fare in quegli anni, due lunghi anni nei quali è stato al servizio di Voldemort.
Mi sono sempre chiesta se sia stato un Mangiamorte convinto fino al momento della svolta e cioè quando è passato dalla parte di Silente.
Sinceramente non riesco ad accettare un Piton Mangiamorte felice di esserlo. Eppure ci ha messo ben due anni per decidere di tradire Voldemort. Se, come ho immaginato io, ha capito di aver sbagliato già al primo omicidio, perché è rimasto?
Questa storia è in pratica il mio modo di giustificare quei due anni. L’ho scritta perché avevo bisogno di capire fino in fondo le ragioni che l’hanno spinto a rimanere, dovevo capirlo per poi poterlo in qualche modo perdonare.
Non è stato per niente facile farlo sbagliare di proposito, di solito si tende a far prendere ai propri eroi le decisioni giuste e non il contrario. Ma il fatto è che lui ha sbagliato e questo io non posso cambiarlo.
Spero che alla fine anche tu riesca a perdonare questo Severus, che, ahimè, non ha ancora finito di dannarsi l’anima, lo farà per paura, umanissima paura, per istinto di sopravvivenza che a vent’anni è più che comprensibile, per ingenuità e poi anche per amore. Finché il peso dei suoi errori sarà così insopportabile che Azkaban o la morte per mano di Voldemort gli sembreranno solo una liberazione.
Grazie ladypiton , puoi stare tranquilla: gli aggiornamenti saranno abbastanza regolari dato che la storia è scritta completamente. Settimanalmente inserirò i nuovi capitoli, anche se non sarà sempre nello stesso giorno. Ma tu sei la stessa ladypiton del forun Magie Sinister?

Buona lettura!


CAP. 6: Servo fedele

Lucius Malfoy sedeva su quei gradini già da due ore, non si era mosso, non aveva battuto ciglio neppure quando, dalla segreta sul fondo delle scale, s’udirono delle grida raccapriccianti.
Il mago biondo sollevò appena la testa e poi riprese a giocherellare con il suo bastone. Le sue labbra si piegarono in un sorriso compiaciuto e infantile, mentre con le dita affusolate accarezzava la testa di serpente scolpita sul manico, seguendo con l’indice le linee sinuose del prezioso decoro.
Fissò le gemme incastonate negli occhi di quella piccola scultura.
“Credo che non dovremo attendere ancora a lungo,” disse, rivolto all’oggetto inanimato, come se quello potesse ascoltarlo.
In effetti il mago si sentiva più a suo agio di fronte a quel simbolo d’argento che davanti ai suoi simili. Aveva bisogno di sentirsi superiore, soprattutto voleva conquistare la stima del Signore Oscuro: il giorno in cui lui avrebbe imposto le sue regole al mondo magico, Lucius Malfoy sarebbe stato al suo fianco. Era la sua più grande ambizione.
Qualcun’altro, però, aveva attirato le attenzioni di Voldemort: un mago eccezionale per la sua età, un mago che il Signore Oscuro aveva intenzione di plasmare a suo piacimento.
“Severus!” Lucius scattò in piedi: la piccola porticina di legno in fondo alle scale si era aperta.
Severus Piton era appoggiato allo stipite, bianco come un cencio, lo sguardo fisso nel vuoto.
Malfoy scese i pochi scalini che lo separavano dall' amico, andandogli incontro. Un’espressione curiosa era dipinta sul suo viso.
Fissò il mago bruno che, intanto, si era piegato in avanti colto da un conato di vomito.
Incrociò le braccia e attese: preferì non fare domande e aspettare che l’altro decidesse spontaneamente di raccontargli ciò che era appena accaduto, anche se sapeva benissimo cosa si nascondeva dietro quella piccola porta.
I suoi occhi percorsero l’esile figura del giovane Mangiamorte: aveva solo pochi anni meno di lui, ma la corporatura eccessivamente magra lo faceva apparire molto più giovane della sua età e la sua espressione lo rendeva più simile ad un bambino terrorizzato, che al servitore del più grande mago vivente.
Abbassò lo sguardo: gocce di sangue continuavano a cadere sul pavimento, formando una chiazza rosso scura sulle pietre grezze rese lucide e scivolose dall’umidità.
Il mago biondo arricciò le labbra in una smorfia di disgusto: in effetti c’era sangue un po’ dappertutto, la tunica del giovane Mangiamorte doveva esserne impregnata. Fortunatamente il colore nero riusciva a nascondere bene quello che sarebbe stato certamente un orrido spettacolo. Non si poteva dire lo stesso delle mani, Severus le teneva protese in avanti come se cercasse di allontanare il più possibile quell’orrore da lui.
In una stringeva, con eccessiva forza, tanto da sbiancare le nocche, un pugnale d’argento, imbrattato anch’esso fino all’elsa.
Il mago bruno sollevò lentamente lo sguardo verso l’uomo che aveva di fronte, ma i suoi occhi erano spenti, sembravano non vederlo realmente.
“Lui mi ha chiesto di dimostrargli la mia fedeltà…” disse con voce atona, rispondendo, quasi meccanicamente, alla domanda che l’altro non gli aveva ancora rivolto, se non nei suoi pensieri.
“ … ed io l’ho fatto.”
Lucius sollevò un sopracciglio scrutando l’amico con aria perplessa.
“Capisco,” disse con una smorfia. “E tu dimostri il tuo entusiasmo per la causa, vomitando?”
Un lampo infuocato attraversò lo sguardo di Severus, le sue iridi nere saettarono in quelle grige dell’altro, con tutto il loro carico di rabbia, rimorso e disgusto, ma ciò non bastò a sciogliere il gelo negli occhi del mago biondo.
Questi se ne stava tranquillo come se di fronte a lui non ci fosse un uomo completamente coperto di sangue che aveva appena commesso chissà quale atrocità, ma, semplicemente, un mago sudicio e in disordine che, al massimo, offendeva il suo senso dell’eleganza.
Le labbra di Piton si mossero come per parlare, ma le parole gli rimasero in gola.
Cosa avrebbe potuto dire? Avrebbe potuto solo gridargli contro tutta la sua rabbia, ma a che sarebbe servito?
Erano così diversi, lui e Malfoy, come aveva potuto sperare nella sua comprensione o nel suo aiuto?
Lucius parlava di entusiasmo quando, invece, lui avrebbe voluto solo che il sangue di cui erano intrise le sue mani fosse il proprio.
Era già la seconda volta che si macchiava del sangue di un altro uomo, come poteva Lucius restare indifferente? Come poteva, il suo amico, non capire ciò che stava provando in quel momento?
Forse davvero il suo cuore era freddo come i suoi occhi.
Severus si guardò le mani: tremavano.
Avevano tremato anche quando, poco prima, sotto gli occhi del suo Padrone, le aveva strette con forza attorno all’elsa del pugnale, costringendosi a finire la vittima ormai inerte, fiaccata dalle troppe torture.
Malfoy gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla
“Era un Babbano?” seguitò cercando, questa volta, di addolcire la sua voce, come se volesse farsi perdonare la sua precedente mancanza di tatto.
“Era un uomo, Lucius,” scattò Piton, scansando con ira la sua mano. “Un uomo, come te e me.”
“Severus, non credo che tu abbia afferrato pienamente il motivo per cui noi siamo qui.” lo rimproverò. “Ciò che facciamo è necessario: bisogna saper combattere per le proprie idee”. Appoggiò entrambe le mani al bastone protendendosi verso il suo interlocutore.
“Tu condividi quelle idee, non è vero, Severus?”
“Combattere? Questo non è combattere, Lucius,” guardò disgustato il pugnale che stringeva ancora in mano e lo gettò con stizza contro il muro. “Io sono un mago, non un macellaio. Sai bene che posso servire il Signore Oscuro in modo diverso. Per certe mansioni ci sono animali come Grayback, che certo non rifiuterebbero un tale onore. Ho reso sempre degli ottimi servigi alla causa come pozionista, sappiamo entrambi che questa è solo un’inutile punizione.”
“Una punizione, esatto, perciò faresti bene a mostrare un po’ più di entusiasmo a meno che tu non voglia passare il resto della vita a sgozzare Babbani.”
Il mago bruno si gettò improvvisamente contro l’altro e, afferrandolo per il colletto, lo spinse con forza contro la parete.
“Ci sei tu dietro questa storia, Lucius? Stai alimentando i suoi sospetti su di me? Bada a te!” soffiò a pochi centimetri dal suo viso.
“Siamo amici, Severus, sono stato io a portarti da lui, l’hai dimenticato?” le sue labbra si piegarono in un riso preoccupato, mentre tentava di divincolarsi.
Piton lo fissò ansimando, si era lasciato trasportare dall’ira e questo non doveva succedere: era entrato a far parte di un gioco pericoloso, e inimicarsi Malfoy non era una cosa saggia.
Avrebbe trovato da solo una via d’uscita, doveva trovarla a tutti i costi, ma non poteva fidarsi di Lucius, anche se era il suo migliore amico, forse il suo unico amico.
Malfoy era troppo ambizioso, avrebbe calpestato la loro amicizia senza pensarci due volte, se questo fosse servito a metterlo in luce di fronte al Signore Oscuro.
Severus lasciò improvvisamente il colletto e sollevò la mano col palmo insanguinato rivolto verso l’altro.
“Esattamente! Tu mi hai portato qui,” confermò, cupo.
Lucius abbassò lo sguardo fissando con una smorfia disgustata la macchia rossa che ora spiccava sul colletto della sua immacolata camicia di seta.
“E’ sangue Lucius, solo sangue!” lo schernì il mago più giovane allontanandosi.


* * *



Gli occhi di Severus si spalancarono: si era appena Materializzato a Spinner’s End, ma non era a casa sua.
La vecchia credenza azzurra, quella piccola finestra con quella tenda assurda, era finito nella casa in fondo al vicolo, la casa dove ora si trovava Iris.
Come era possibile? Cosa lo aveva portato lì?
Improvvisamente la porta di fronte a lui si spalancò, Iris era sulla soglia impietrita, lo sguardo terrorizzato, lo stesso che aveva la notte in cui l’aveva conosciuta.
Erano passate due settimane dal giorno del funerale, quando l’aveva lasciata improvvisamente, per rispondere alla chiamata di Voldemort.
Severus era in condizioni pietose: pallidissimo, sudato, scarmigliato e ancora coperto di sangue.
Si morse il labbro: come aveva potuto essere così stupido? Come aveva potuto presentarsi da lei in quelle condizioni?
La magia gli era sfuggita di mano, non voleva piombarle in casa in quello stato, non avrebbe mai voluto turbarla, dopo tutto quello che aveva dovuto passare a causa sua.
Ora avrebbe solo voluto fuggire, avrebbe voluto che lei non avesse visto, per la seconda volta, le sue mani macchiate di sangue innocente.
Tuttavia rimase immobile con le braccia abbandonate lungo i fianchi, mentre gli occhi si velavano di lacrime.
Iris fece un passo in avanti, ma dovette appoggiarsi al muro per non cadere. Si portò una mano sulla bocca colta da un senso di nausea, non riusciva a distogliere lo sguardo dall’orrore che aveva di fronte, era come rapita da quella visione atroce e nello stesso tempo avrebbe voluto correre via più lontano possibile da quel sangue.
Severus di contro abbassò i suoi occhi come se temesse, guardandola, di insozzare anche lei della sua tremenda colpa.
Ora cominciava a capire, il suo istinto lo aveva portato a Materializzarsi inconsapevolmente di fronte alla persona della quale aveva più bisogno, l’unica persona che conosceva la sua vera natura, l’unica, oltre ai suoi compagni Mangiamorte, a sapere cosa lui era in realtà: un assassino.
Non l’avrebbe mai fatto volontariamente, ma il suo desiderio di vederla era così forte che l’incantesimo della Materializzazione lo aveva portato dove realmente lui voleva andare.
Aveva bisogno di chiedere perdono per ciò che aveva appena fatto, non cercava un’assoluzione, non lo faceva per se stesso, non si sarebbe sentito meglio dopo averlo fatto.
Eppure non poteva farne a meno, lei era legata alla sua prima vittima, alla prima che aveva ucciso consapevolmente, era come se Iris rappresentasse tutti quelli che a causa sua avevano perso una persona cara. Era lo specchio nel quale vedeva riflesso ogni suo delitto, una pagina bianca, incorrotta, nella quale era scritto col sangue il nome di ciascuna delle sue vittime.
Lei gli aveva fatto capire quanto si sbagliava, gli aveva mostrato la verità. Il potere stesso della maledizione che gli impediva di toccarla faceva di quella ragazza, un monito vivente e nello stesso tempo una via di fuga, una punizione e una liberazione.
Se solo lei non l’avesse perdonato, se solo avesse posato la sua mano su di lui, impedendogli di fare altro male.
Un giorno le avrebbe chiesto di farlo, un giorno ne avrebbe avuto il coraggio, ma non ora.
La sua giovane età aveva fatto di lui un vigliacco confondendolo con parole di speranza.
Si detestava per questo. Avrebbe dovuto gridare a Voldemort tutta la sua rabbia, avrebbe dovuto rifiutarsi di obbedire a quell’ordine, invece non l’aveva fatto e, per la stessa ragione, ora non avrebbe implorato lei di abbracciarlo mettendo fine al suo strazio.
Una ragione inconsistente come i sogni: la speranza.
La stessa che aveva visto negli occhi delle sue vittime fino all’ultimo, quella che ancora brillava nei suoi giovani occhi neri e che lo aveva spinto da lei.
Le sue labbra si mossero appena e la sua supplica scivolò come un sospiro.
“Perdonami!”
Involontaria, quanto inutile e tardiva, quella parola sfuggita dalle sue labbra sorprese il mago che si ritrasse immediatamente. A cosa poteva servire? Era solo una parola, nessuno avrebbe mai potuto o dovuto perdonarlo per quello che aveva fatto, tanto meno Iris.
Scosse il capo dandosi dello stupido e si apprestò a Smaterializzarsi: non poteva sopportare oltre di essere visto in quello stato.
“Aspetta!” Iris era scattata verso di lui. “Aspetta, non andartene”.
Il mago si bloccò e, sempre senza guardarla, bisbigliò prima qualcosa di incomprensibile, come se tentasse, senza successo, di mettere insieme un discorso sensato, poi…
“Mi… mi dispiace, sì perdonami, non volevo, non dovevo venire qui, io non so, non capisco, ma non dovevo, mi dispiace averti spaventata…”
“Spaventata? Severus, cosa stai dicendo? Spaventata? Dio mio, ma cos’hai fatto? No, tu non ti stavi scusando per essermi piombato in casa in questo modo, non è vero? Di cosa mi stai chiedendo di perdonarti? Dio di cosa… di chi è quel sangue, Severus? Chi hai ucciso?”
Il giovane, allora, sollevò lo sguardo, lentamente, stringendo gli occhi come chi teme di bruciarli fissando il sole.
“L’ho fatto ancora, come quella notte, ho ucciso un uomo, no, ho fatto di peggio che ucciderlo”.
Si porto le mani a coprire il volto.
“Sono un mostro,” mormorò con la voce incrinata.
Iris si avvicinò, le sue gambe tremavano ancora, ma cercò di farsi forza, ora sembrava più lui ad aver bisogno di aiuto.
“Lui avrebbe ucciso te?” mormorò.
Severus la guardò meravigliato, era una domanda la sua? Cosa voleva dire?
“Ti ho chiesto se Voldemort avrebbe ucciso te!” continuò alzando il tono di voce, poi lasciò scorrere il suo sguardo sull’intera figura del mago fino a fermarsi alle sue mani, sulle quali il sangue raggrumato aveva formato delle chiazze scure e irregolari.
Dato che il giovane continuava a fissarla smarrito, proseguì:
“Puoi anche non dire niente, io so la risposta: sì, lui ti avrebbe ucciso. Tu non puoi scegliere, non più. Una volta che hai scelto di diventare suo schiavo, non puoi tornare indietro.”
“Invece sì, potevo scegliere di non uccidere,” scattò l’altro.
“Certo! Ogni uomo è libero di suicidarsi, ma nessuno potrebbe biasimarlo se non lo fa.”
“Dovresti odiarmi, perché, perché non mi odi? Sarebbe tutto molto più facile.”
“Io odio ciò che sei, odio quello in cui quel mostro assassino ti ha trasformato, odio quella maschera… ” il suo sguardo si posò sull’oggetto metallico che spuntava da sotto il mantello del giovane.
“ … e il marchio che porti sul braccio. Li odio con tutto il cuore: mi hanno portato via la mia famiglia, e hanno fatto di me un’assassina”.
Si voltò dandogli le spalle, non avrebbe sopportato un secondo di più la vista di quel sangue.
Il ricordo della notte nella quale, il giovane Mangiamorte, era piombato in camera sua, sporco del sangue del vecchio Babbano, era ancora vivido nella sua mente, ancora troppo doloroso. Quell’immagine ne portava alla memoria un’altra, ancora più dolorosa e terribile, un viso deformato dal dolore, il viso di suo padre e quelle sue ultime parole, quell’anatema sputato insieme al suo ultimo respiro: “Che tu sia maledetta”.
Strinse i pugni con inaudita forza, fino a ferirsi i palmi delle mani con le unghie.
“Ora, ti prego, cambiati quella tunica, il bagno sai dov’è.”
Un lampo attraversò le iridi nerissime del giovane Mangiamorte.
“E’ per questo, allora.” la consapevolezza si fece strada nella sua mente: lei si sentiva in colpa, per aver ucciso suo padre, si considerava come lui.
“No, non è possibile,” mormorò più a se stesso, scotendo la testa, come poteva paragonarsi a lui? Lei non aveva nessuna colpa, non aveva causato volontariamente la morte di nessuno.
“Iris, come puoi pensare una cosa simile, noi non siamo uguali, io ho ucciso volontariamente, tu non hai fatto niente di male, la morte di tuo padre è stato un incidente, non potevi evitarla.”
La maga non rispose, continuava a voltargli le spalle, Severus immaginò che stesse piangendo, rimase per molto tempo a fissarla in silenzio, poi si sfilò il mantello e si avviò verso il bagno. Avrebbe potuto tornarsene a casa sua in fondo alla strada, ma non voleva restare solo quella sera.


Continua…


Appuntamento alla prossima settimana, il capitolo s’intitolerà “Fiore mortale”.
Ehm, ehm, il titolo già dice molto, non vi anticiperò altro. ;-P
Mi raccomando recensiteeeeee!!!

Ciao, a presto!




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Capitolo 7
*** Cap 7: Fiore mortale ***


Ciao Akiremirror,sempre fedelissima e pronta a sostenere il povero Piton e a soffrire con lui. Non mi stupisce affatto che il sesto libro ti abbia spinta ad amare ancora di più Severus. Se abbiamo ragione noi e lui è stato costretto da Silente a compiere quel terribile gesto, credo proprio che debba aver provato un dolore immenso. Penso che nessuno possa chiedergli di più per espiare le sue colpe. Lui merita di essere perdonato. Purtroppo credo che sarà Severus stesso a non volersi perdonare. Anche se dovesse essere riabilitato i suoi fantasmi non lo abbandoneranno mai. Per questo temo proprio che, buono o cattivo, alla fine ci lascerà le penne.

Buona lettura!


CAP. 7: Fiore mortale

Iris attese di sentire scorrere l’acqua, poi si avviò verso una delle camere e prese a rovistare nella cassettiera.
Per lo più era piena di abiti femminili adatti ad una donna anziana, ma tra i vari scialli e camicette, trovò un abito grigio da uomo, di una taglia piuttosto grande. Lo osservò con occhio critico: doveva essere appartenuto al marito della ex padrona di casa. Lo posò sul letto e afferrò la bacchetta pronunciando l’incantesimo di trasfigurazione: all’abito babbano si sostituirono un paio di pantaloni e una camicia di seta nera con i lacci.
Ammirò soddisfatta la sua creazione.
“Questo per ringraziarti della camicia da notte,” disse, mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso malizioso.
Raccolse tutto e lo posò su uno sgabello fuori dal bagno.
Dopo circa venti minuti, il mago fece capolino dalla porta del soggiorno, con i suoi nuovi abiti addosso.
Teneva gli occhi bassi. Si sentiva, infatti, piuttosto a disagio vestito in quel modo: le camice di seta era abituato a vederle indossare al suo amico Lucius e, in quel momento, l’ultima cosa che desiderava era assomigliare a lui.
Tuttavia, l’espressione piacevolmente sorpresa di Iris al suo ingresso, lo rassicurò.
La maga lo fissava sorridendo: decisamente non poteva dirsi un bel ragazzo questo Severus, ma il suo corpo magro, la carnagione chiarissima che contrastava col nero dei capelli bagnati sparsi in piccole ciocche gocciolanti sulle spalle, tutto era messo piacevolmente in risalto da quella camicia slacciata sul davanti.
Poi i suoi occhi si posarono sul viso del mago e le sue labbra si piegarono ulteriormente, certo che aveva proprio un gran naso, pensò.
Improvvisamente, si rese conto che il suo sguardo aveva indugiato per troppo tempo sul corpo del ragazzo, si voltò di scatto e prese ad esaminare con cura il vaso di fiori sul tavolo.
“Scusa, non volevo fissare,” borbottò timida.
Le pupille nerissime di Severus seguirono gli occhi di lei fino a posarsi sui fiori: erano Iris, Iris rosa
“Sono molto belli,” mormorò, cercando di uscire da quella situazione imbarazzante, lei annuì, ma continuava a tenere gli occhi puntati sul vaso come se si aspettasse di vederlo spiccare il volo da un momento all’altro.
“Iris!” Seveus si avvicinò, mettendosi nella traiettoria del suo sguardo, si piegò fino ad incontrare di nuovo gli occhi di lei.
“Grazie, per la… ehm, per i vestiti”.
“Di niente,” sorrise, poi, come destandosi da uno stato di trance, si mosse velocemente verso la poltrona facendo cenno al mago di sedersi. “Beh, accomodati, ti preparo qualcosa…”
“No!” Severus trasalì: l’immagine di una pentola piena di Pozione all’aglio era apparsa improvvisamente nella sua mente. “No, ti prego siediti, voglio solo parlare.”
“Non farlo!” disse Iris, con un tremito nella voce.
“Come? Cosa non devo fare?”
“Non cercare di spiegarmi quello che è successo oggi, ti prego. Lo leggo già nei tuoi occhi ed è abbastanza penoso.”
In realtà si sentiva in colpa per aver desiderato che il mago tornasse vivo, per aver desiderato che qualunque cosa Voldemort gli avesse chiesto di fare, lui non si fosse ribellato
“No, non ti racconterò quello che ho fatto. Vorrei poterlo dimenticare, il solo pensarci mi fa impazzire. Voglio parlare di cose sciocche, voglio parlare di fiori,” accennò al vaso sul tavolo. “voglio parlare della tua pozione all’aglio, voglio…” si prese la testa fra le mani, gli occhi spalancati e fissi nel vuoto.
“…Voglio far finta che non sia successo, per qualche istante, solo per qualche istante.”
Iris fece qualche passo verso di lui, inginocchiandosi davanti al mago.
Per un attimo fu tentata di prendere le mani del giovane fra le sue, era chiaro che, nonostante le parole di Piton, le immagini di quello che diceva di voler dimenticare erano, invece, ben vivide dinanzi ai suoi occhi. Era come se quella scena orrenda continuasse a ripetersi all’infinito di fronte a lui.
“Severus guardami, ti prego!”
Piton sollevò la testa, non riusciva neppure a piangere, tutto quel sangue, non riusciva a vedere niente altro, il viso di Iris era, solo una piccola luce in un’oceano tinto di morte. Si sentiva soffocare da quel sangue, non ne aveva mai visto così tanto, ne sentiva l’odore, persino il sapore, se lo sentiva ancora addosso come se fosse penetrato nella pelle e scorresse nelle sue stesse vene come un veleno.
Iris sospirò: quanto avrebbe voluto poter cancellare il suo dolore con un colpo di bacchetta.
Fino a che punto Voldemort si sarebbe spinto? Il giovane sembrava aver raggiunto il limite.
Gli occhi scuri della strega si immersero nelle iridi di Severus, sempre più fredde, sempre più buie. Il fuoco, quella fiamma che vi aveva visto solo due settimane prima, si stava lentamente spegnendo.
Si sentiva impotente, tuttavia, persa in quelle tenebre di disperazione, capì che non lo avrebbe lasciato solo: per quanto terribile fosse il peso delle sue colpe, l’avrebbe aiutato a sopportarlo.
Improvvisamente si sentì invadere dalla rabbia: Voldemort, lui avrebbe pagato per tutto il male che stava facendo.
Strinse gli occhi con forza soffocando la voglia di urlare.
“Severus!” sussurrò, la voce rotta in un singulto, mentre una lacrima scivolava lenta sulle sue guance pallide. Forse lui non avrebbe mai pianto, ma poteva farlo lei per entrambi.
“Resta qui stanotte, domani farà meno male.” mormorò, mentre si accoccolava sul tappeto ai suoi piedi.
Il giovane mago non rispose, guardò il viso pallido di Iris. Un ovale perfetto, ma gli occhi erano profondamente cerchiati, si vedeva che non riposava da diversi giorni, come lui, del resto. Come avrebbe potuto dormire, come avrebbe potuto posare tranquillamente la testa su un cuscino, chiedendosi quali atrocità avrebbe dovuto commettere il mattino dopo?
Chiuse gli occhi e rimase immobile con la testa appoggiata allo schienale della poltrona, fingendo di dormire.
Attese che lei scivolasse lentamente nel sonno e poi si alzò in silenzio.
La ragazza era rannicchiata sul tappeto liso, sicuramente non era una posizione comoda, tuttavia sembrava finalmente tranquilla.
Ora ne era certo, Iris era stata in ansia per lui in quelle due settimane.
Era la prima volta che qualcuno aspettava con preoccupazione il suo ritorno: era una bella sensazione.
La fissò con un’espressione di incredulità: quella donna non solo non lo odiava, ma si era preoccupata per lui.
Sorrise. La giovane sembrava stesse sognando, muoveva appena le palpebre.
“Spero che sia un bel sogno.” sussurrò.
Fece per allontanarsi, ma si accorse di non voler distogliere lo sguardo da lei, sarebbe rimasto a guardarla per giorni, dolce balsamo per i suoi occhi feriti da tanto orrore.
Indossava un vestito bianco. Non come la semplice camicia da notte di quando l’aveva conosciuta, questo era un bel vestito lungo, fatto di vari strati di veli trasparenti sovrapposti, la stoffa morbidissima fasciava il suo corpo e si allargava come una soffice nuvola intorno a lei. La testa era poggiata sul braccio, mentre i capelli neri e lunghissimi ricadevano sparsi sul tappeto.
Si chinò su di lei, allungando la mano fin quasi a sfiorare il suo viso.
“Basterebbe così poco…” sussurrò scotendo la testa. “…così poco!”
Strinse il pugno e, con uno scatto di rabbia, si alzò voltandole le spalle.
Di fronte a lui però, il tavolo con quel bellissimo bouquet di iris, il fiore che portava il suo nome, non fece che accrescere il suo folle desiderio di toccarla.
Cosa gli stava succedendo?
Si stropicciò gli occhi coi palmi delle mani; conosceva quella ragazza da appena due settimane, ma in quel momento avrebbe rinunciato alla sua vita solo per una sua carezza.
Si avvicinò al tavolo e sfilò uno dei fiori dal mazzetto, portandoselo alle labbra, lo baciò sfiorandolo appena, lentamente, poi continuò con sempre più passione.
Si voltò di nuovo verso la ragazza addormentata, sì, ormai era inutile negarlo, era attratto da lei, la desiderava, voleva baciarla, voleva tenere il suo viso tra le mani come ora stava tenendo quel fiore delicato.
Affondò il volto in quei soffici petali, inebriandosi del loro profumo.
Le iridi ardenti posate su corpo di lei, ne percorsero ogni centimetro, seguendo le volute della stoffa del suo abito bianco, insinuandosi fra le sue pieghe, fin dove si facevano più fitte, sognando di introdursi con dolcezza fin nella sua intimità dove solo l’ombra poteva accedere.
Mosse il viso lasciandosi accarezzare le guance dal tocco vellutato di quella rosea corolla, vagheggiando il dolce tepore di quel corpo languidamente sdraiato.
“Iris!” mormorò, le sue labbra tremavano e la voce era appena un soffio, anche se avrebbe voluto gridare quel nome.
Com’era bello pronunciarlo: “Iris, Iris!”
Piegò la testa all’indietro e chiuse gli occhi, le lacrime cominciarono scorrere sulle sue guance.
Lenti, due rivoli sottili, scivolarono lungo il collo fino a bagnare il colletto della camicia.
No, non aveva il diritto di innamorarsi di lei, non dopo quello che le aveva fatto e poi c’era la maledizione, le labbra del mago si piegarono in un sorriso amaro: se mai lei avesse provato qualcosa per lui, se anche il suo cuore non l’avesse odiato, sarebbe stato il suo corpo a decidere per lei.
Per un Mangiamorte sfiorare quella pelle delicata era come toccare il fuoco, quello dell’inferno che lui stesso si era scelto.
Le sue labbra si spalancarono, ma non ne uscì alcun suono, poi tornò a fissare Iris, ancora più lontana ed irraggiungibile vista attraverso quel velo di lacrime.
“No... no…non posso!” le dita sottili si strinsero attorno al piccolo fiore, soffocando e lacerando i suoi petali, insieme al suo sogno impossibile.
La maga si mosse appena, una ciocca di capelli scivolò a coprirle il viso.
Severus provò una fitta dolorosa al cuore che gli fece per un attimo trattenere il fiato, poi, con rabbia, si asciugò gli occhi con la manica della camicia.
“Iris, come puoi accettare quello che sono? Come puoi non odiarmi?” scosse il capo, fissando il rosa intenso del fiore che stringeva tra le dita, lei era proprio così, pura, delicata, ma per lui quel bellissimo fiore era mortale.
Era inutile e stupido sognare quelle carezze che non avrebbe mai potuto avere.
Posò l’iris sul tavolo, aveva bisogno d’aria, si avvicinò all’ingresso e uscì in fretta, chiudendo la porta dietro di sè e facendo attenzione a fare meno rumore possibile.


Continua…


Anche questo breve capitoletto è finito, ringrazio tutti quelli che continuano a seguire questa ff e vi do appuntamento alla prossima settimana.
Il capitolo s’intitolerà “Scampagnata”, ma, sì, concediamo un po’ di sano divertimento anche a Severus, prima che gli eventi… precipitino.
Mi raccomando recensiteeeeee!!!

Ciao, a presto!




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Capitolo 8
*** Cap 8: All'ombra della vecchia quercia ***


Ciao Akiremirror, ben trovata, speriamo che il sito non faccia altri capricci questa settimana. Dunque, dunque, tu dici di essere fetente con Severus, ma forse lo dici perché non hai idea di quanto posso essere cattiva io se mi ci metto. Ebbene lo ammetto in questa ff lo sono stata (o dovrei dire lo sarò) parecchio. Sarà interessante, a questo punto, vedere chi di noi due meriterà il titolo di sadica per eccellenza. Vuoi sapere se l’amore di Severus sarà ricambiato? Ehm, ehm, il problema non è se Severus sarà ricambiato o no, dato che i sentimenti di Iris si cominceranno a comprendere già da questo capitolo, e credo che sarà abbastanza chiaro che anche lei si sta innamorando. Il problema è: vista la situazione, Severus dichiarerà il suo amore? Ti posso dire questo: immagina quei due come le facce di un'unica medaglia. Severus (stranamente) in questa storia è la parte passionale, la disperazione, il desiderio, mentre Iris è la ragione, ma anche la forza della speranza, quello di cui Severus avrà bisogno per superare ciò che l’aspetta.


Ho deciso di cambiare il titolo a questo capitolo, infatti “Scampagnata” non rendeva bene l’idea di quello che sarà un luogo e un particolare paesaggio che, per i nostri protagonisti, diverrà di grande importanza man mano che si andrà avanti nella storia. “La vecchia quercia” sarà un simbolo di felicità e insieme di disperazione, soprattutto per Severus.

Buona lettura!


CAP. 8: All’ombra della vecchia quercia

Il sole era già alto, Iris si portò una mano sul viso stropicciandosi gli occhi, le dolevano le ossa: dormire su un tappeto non era molto salutare.
Si tirò su poggiandosi sui gomiti, valutando se fosse più doloroso il torcicollo o le costole ammaccate, quando si accorse che il suo ospite era sparito.
Cercò di rimettersi in piedi più in fretta possibile, ma incespicò nel vestito che si era attorcigliato alle sue gambe e finì nuovamente distesa, sommando agli altri piccoli acciacchi, anche un bernoccolo in fronte.
“Accidenti! Ma… ma dov’è finito? Ahi!” borbottò, cercando di districarsi dalla stoffa. “Come… ahi! Come ho potuto essere così stupida?”
Finalmente in piedi corse verso la porta spalancandola, ma del mago nemmeno l’ombra.
Sospirò: non avrebbe dovuto addormentarsi e lasciarlo solo con i suoi pensieri, ma era stanca, non aveva chiuso occhio da quando lui l’aveva lasciata all’improvviso per rispondere alla chiamata di Voldemort. Averlo rivisto sano e salvo, nonostante tutto, l’aveva tranquillizzata, era proprio crollata su quel tappeto.
Richiuse il portoncino, sconsolata, fece appena qualche passo e lo vide: il fiore che aveva lasciato Piton, malridotto e appassito, sul tavolo accanto al vaso. Si sentì, se possibile, ancora peggio: per quanto tempo era rimasto lì a guardarla dormire?
“Iris, sei proprio una stupida.” scosse la testa, poi il suo sguardo si posò sullo specchio accanto all’ingresso, si avvicinò portandosi una mano sulla fronte, certo che aveva preso proprio una bella botta, presto sarebbe apparso un brutto livido.
Quella mattina era cominciata decisamente male, chissà dove si trovava Severus, forse era tornato a casa sua. Era appena in fondo alla strada, ma lui le aveva raccomandato di non uscire.
Si sentiva in trappola in quella casa, le mancavano le sue cose, le mancavano persino i suoi vestiti.
Improvvisamente si ricordò che Severus aveva lasciato i suoi nel bagno, ancora sporchi. Corse a prenderli.
Appena vide quel mucchio di stoffa incrostato di sangue sul pavimento, però, fu di nuovo colta dalla nausea, deglutì, doveva far sparire quel sangue. Afferrò la bacchetta e fece levitare tutto dentro alla vasca che si riempì immediatamente di schiuma fino all’orlo.
Intanto che l’acqua schiumava e gorgogliava ripulendo gli abiti del Mangiamorte fino dalla più piccola macchia, Iris prese a rovistare nell’armadietto del bagno in cerca di qualche rimedio babbano per il grosso bozzo che le stava spuntando in fronte.
Non trovò niente che potesse servire.
Piuttosto contrariata, si diresse a passo di marcia verso la cucina, si fermò improvvisamente come se avesse sbattuto contro un vetro.
Fissò la stufa: quel fornello era davvero una tentazione.
Si portò un dito sulle labbra e prese a mordicchiarselo pensierosa: forse poteva provare a prepararsi qualcosa mettendo insieme quel poco che avrebbe trovato in casa.
C’era anche un piccolo orto, magari, tra carciofi e insalata, poteva essere spuntato anche qualcosa di più interessante. Non aveva intenzione di farsi vedere da quel ragazzo con un bozzo sulla testa. Se solo avesse avuto gli ingredienti giusti quel livido sarebbe sparito in un attimo.
Mise a soqquadro tutta la casa e anche il giardino, facendo attenzione a non farsi vedere dai vicini. Alla fine, sopra il tavolo della cucina, trovò allineati barattolini di varie forme, radici e anche qualche insetto morto dall’aspetto poco invitante.
Non era mai stata brava in Pozioni, odiava la meticolosità dei Pozionisti, lei aveva sempre amato improvvisare. Del resto non aveva frequentato una vera scuola di magia, della sua istruzione si era sempre occupata sua madre.
Probabilmente temeva che a Hogwarts avrebbe cominciato a frequentare compagnie che l’avrebbero trascinata sulla stessa strada di suo padre.
Prese a sminuzzare e pestare gli ingredienti, mentre, sul fornello elettrico, la pentola già cominciava a bollire.
Trovava la cosa divertente, il lavoro occupò gran parte della mattinata, fu interrotto solo per controllare che gli abiti di Severus fossero puliti e pronti per essere asciugati.
Sembrava che la Pozione fosse riuscita, mancava solo l’ultimo ingrediente, ma bisognava abbassare la temperatura al momento giusto, prima che il liquido schizzasse fuori.
Iris era pronta con la mano sulla manopola, ma, quando venne il momento di diminuire il calore, quel pomello difettoso non ne volle sapere di fare il suo dovere. Cercò disperatamente di smuoverlo con entrambe le mani, ma, invece di raffreddarsi, la piastra di metallo divenne sempre più rovente.
“Ma come si spegne questa diavoleria babbana?” strillò, cercando di afferrare la pentola per allontanarla dal calore, ma il liquido all’interno si stava gonfiando paurosamente.
Gli occhi della maga si spalancarono: stavolta l’aveva fatta grossa.
Afferrò la bacchetta e si gettò sotto il tavolo, mentre il suo incantesimo colpiva la pentola.
L’intenzione era di farla cadere lontano dal fornello, ma questa si rovesciò proprio sopra la piastra incandescente.
L’esplosione fu avvertita in tutto il quartiere.
Qualche istante dopo, Iris sollevò il viso annerito dal fumo, sbatté le palpebre: la polvere e il vapore denso si stavano diradando e di fronte a lei o, piuttosto, sopra di lei, Severus Piton, con le braccia incrociate sul petto, la guardava con un’espressione furiosa.
“E’ questa la tua idea di passare inosservata?” la sua voce era mortalmente bassa, Iris rabbrividì
“Scusa!” si morse il labbro assumendo un’espressione colpevole che strappò al mago qualcosa che somigliava molto lontanamente ad un sorriso, ma durò solo un istante, tanto che Iris si domandò se l’avesse visto davvero.
“Credo che tu non ti renda conto del pericolo che stai correndo, questo non è un gioco!”
Quest’ultima frase, fu come uno schiaffo per la maga, che si alzò scrollandosi di dosso la polvere stizzita.
“So benissimo cosa può fare un Mangiamorte, dimentichi che c’ero anch’io quella notte quando… ” si bloccò
“Quando ho ucciso quell’uomo?” concluse gelido.
“Mi dispiace, scusami, ma sto impazzendo qui dentro, avevo bisogno di prepararmi qualcosa per… ” indicò il livido sulla fronte storcendo le labbra. “… beh, ho avuto un piccolo incidente domestico.”
Severus osservò la fronte della maga, con un sospiro di rassegnazione. Afferrò la bacchetta e iniziò a disegnare piccoli cerchi intorno a quel segno violaceo, mormorando l’incantesimo. Immediatamente il dolore sparì insieme al gonfiore.
Iris si portò la mano sulla fronte, stupita.
“Questa dovrai proprio insegnarmela, questi Babbani non hanno niente di utile, per certe cose.”
“I Babbani di solito ci mettono sopra del ghiaccio.” sbuffò
“Beh, comunque, dovrai farmi uscire o i Mangiamorte non avranno bisogno di uccidermi, perché morirò di fame, non c’è più niente nella dispensa, in queste due settimane ho mangiato tutto quello che era rimasto in quelle ridicole scatolette, molto poco per la verità.”
“Sì, scusa, hai ragione, ma sono stato un po’ impegnato, come saprai.” disse con un tono canzonatorio. “Comunque non dovrai preoccuparti per il futuro: mi occuperò di riempire la tua dispensa regolarmente e ti porterò tutto il necessario.”
Iris lo guardò scoraggiata, possibile che non riusciva a fargli capire che aveva bisogno di prendere un po’ d’aria? Non era solo il cibo, le mancava la libertà.
Decise che forse era meglio cambiare discorso.
“Perché sei sparito stanotte?” domandò, fissando gli occhi nerissimi del mago, che distolse immediatamente lo sguardo, senza rispondere.
“Va bene, se preferisci non dirmelo… ” sospirò e, voltandogli le spalle, prese a risollevare le sedie che l’esplosione aveva scaraventato per terra.
“Avevo bisogno di pensare.” disse poi l’altro, tutto d’un fiato
Iris si fermò, reggeva con entrambe le mani una sedia capovolta, si voltò e riprese a fissarlo senza parlare.
“Non avrei dovuto andar via così, lo so, ma dovevo restare solo.” mormorò.
“Beh, probabilmente ne avevi bisogno,” disse lei, quasi riflettendo ad alta voce, poi proseguì. “Hai lasciato qui i tuoi vestiti, sono puliti, li puoi riprendere.”
Severus la guardò sorpreso: gli aveva lavato i vestiti? Quei vestiti?
“Grazie!” farfugliò un po’ imbarazzato. “Anch’io ho fatto qualcosa per te stanotte, beh, in effetti avevo immaginato che avessi bisogno di uscire e… ”
Gli occhi di Iris si spalancarono.
“Davvero, potrò uscire, mi hai preparato la tua pozione dell’invisibilità?” se avesse potuto, in quel momento gli sarebbe saltata al collo per l’eccitazione. “Ti adoro!” urlò.
“No, niente pozioni, stavolta.”
Tirò fuori dalla tasca un vecchio calzino e lo sollevò con due dita davanti agli occhi sgranati di lei.
“Una Passaporta? Hai fatto una Passaporta? Per dove?”
“Un posto tranquillo, lì nessuno ti vedrà e potrai goderti un po’ di sole.”
Iris si accigliò.
“Potrò godermi? Tu non verrai?”
Severus abbassò lo sguardo, in effetti moriva dalla voglia di andarci, voleva stare con lei ed era proprio questo a preoccuparlo.
Non l’avrebbe mai creduto possibile, ma quando le stava vicino, la tentazione di toccarla era irresistibile, come era potuto accadere? Si era davvero innamorato di quella ragazza? Si era innamorato dell’unica donna che non avrebbe mai potuto neppure sfiorare? Arricciò le labbra, doveva proprio essere impazzito.
Improvvisamente scosse la testa e prese a ridere sommessamente, sotto lo sguardo stupito di Iris: no, innamorarsi di lei non era affatto una cosa saggia, forse sarebbe stato meglio per tutti e due se lui fosse rimasto il più lontano possibile da quella ragazza.
Era entrato a far parte di un ingranaggio pericoloso che avrebbe potuto costargli la vita e mettere in pericolo anche Iris, doveva restare lucido. Eppure, non poté fare a meno di pensare che, tutto sommato, morire per il bacio di una donna era certamente preferibile alla morte che gli avrebbe riservato Voldemort se avesse scoperto il suo inganno.
“Severus, allora, verrai?” la voce di Iris interruppe il flusso dei suoi pensieri, il mago sollevò lo sguardo, mentre un sorriso colmo di dolcezza illuminava il suo volto magro.
“Sì, verrò anch’io.”
Tese la mano porgendo un lembo del calzino alla maga che lo afferrò, entrambi si ritrovarono all’aperto.
Al posto del freddo pavimento di quella casa babbana, ora c’era una soffice distesa verde e, sopra le loro teste, la folta chioma di una gigantesca quercia secolare.
Iris si guardò attorno sbalordita, prese a camminare avanti e indietro con il naso in su, guardando ammirata ogni singolo ramo di quell’albero maestoso
“E’ bellissimo.” Mormorò con la voce soffocata dall’emozione, ma si accorse che gli occhi di Severus erano rapiti da un’altra veduta, si voltò, ciò che vide la lasciò senza fiato: si trovavano su una collina, più in basso c’era un bellissimo lago e al di là del lago un castello.
“E’ Hogwarts, non è vero? Quello è Hogwarts?”
“Sì, quella è stata la mia scuola e la mia casa per tanti anni, venivo spesso qui da bambino: le cose sembrano migliori da quassù.”
Iris si domandò cosa volesse dire quell’ultima frase, ma preferì non approfondire.
Severus sollevò una mano indicando una fila di alberi che sembravano delimitare un perimetro.
“Siamo appena fuori dai suoi confini, i Mangiamorte non attaccano mai vicino alla scuola: molti hanno figli a Hogwarts, non c’è posto più sicuro al mondo.”
Iris annuì semplicemente, poi riprese a guardarsi intorno; si sentiva il rumore di un ruscello e lei aveva ancora il viso sporco di fuliggine.
Si diresse, seguita dallo sguardo di lui, verso il punto dal quale sembrava provenire quel rumore, infatti lo trovò: nascosto da una fitta vegetazione, un piccolo rigagnolo d’acqua scorreva pigro insinuandosi come un serpente tra le rocce coperte di muschio.
Si bagnò una mano passandosela sul viso. L’acqua era piacevolmente fresca, ne prese ancora, questa volta con entrambe le mani, e si bagnò anche i capelli, poi si tolse le scarpe e si sedette sul bordo mettendo i piedi nell’acqua.
Severus restò indietro, fissandola da lontano, senza parlare.
Improvvisamente, Iris si voltò verso di lui, gli occhi velati di tristezza.
“Andavamo spesso in un posto come questo io e Katy, lei adorava il profumo dell’erba bagnata.”
“Katy?”
“La ragazza che viveva con me, la figlia dei Babbani che mi ospitavano. Era come una sorella per me.”
“Katy” ripeté meccanicamente l’altro, in qualche modo conoscere il nome delle vittime rendeva la loro morte ancor più dolorosa e reale, si avvicinò e si inginocchiò sull’erba dietro di lei.
“Mi dispiace, non ho fatto niente per salvarla, non ho potuto, ma giuro che proteggerò te, Iris, lo farò a costo della vita.”
Iris lo guardò accennando un sorriso malinconico.
“Ti prego, veniamo qui anche domani.” mormorò.
“Verremo qui tutti i giorni, se lo vorrai”.


* * *



Il giorno dopo, Severus si Materializzò a casa di Iris, pronto a mantenere la sua promessa, e così fece anche le settimane e i mesi successivi. La Passaporta ormai non era più necessaria, entrambi conoscevano il posto: era divenuto il loro rifugio.
In quel prato i due giovani passavano molto tempo a chiacchierare sdraiati all’ombra della grande quercia. Iris sembrava trovarsi nel suo ambiente ideale.
Severus sarebbe rimasto giorni interi a guardarla, mentre correva scalza sull'erba, oppure, con gli occhi chiusi, assaporava il profumo della natura e si lasciava accarezzare il viso dalla fresca brezza.
Si sentiva felice con lei; preso dall'entusiasmo del gioco, era arrivato a rotolarsi nel prato come un bambino, mentre le risate cristalline di Iris gli riempivano piacevolmente le orecchie, facendogli persino dimenticare la maledizione.
Più di una volta si era ritrovato vicino, troppo vicino al suo viso, accaldato e così dannatamente seducente, ogni volta lo sguardo terrorizzato di lei lo riportava crudelmente alla realtà.
Non poterla toccare stava diventando un tormento, tuttavia non era un prezzo troppo alto da pagare per quelle poche ore di serenità che la maga gli regalava.
Non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
Quelle erano ore spensierate, nelle quali Severus riusciva a non pensare a Voldemort, ai suoi errori, ai suoi rimorsi, almeno fino a quando il Marchio non ricominciava a bruciare ricordandogli spietatamente quella sua maledetta scelta, dalla quale, sapeva, era difficile se non impossibile tornare indietro.
A volte doveva lasciarla improvvisamente per rispondere alla chiamata del suo padrone. Altre volte era Iris ad attenderlo invano, in piedi, dietro la porta di casa. Lo aspettava, ma Severus non era mai in ritardo, se tardava, lei sapeva che quel giorno non si sarebbe materializzato alla sua porta, non avrebbe trascorso ore piacevoli sotto il sole, riempiendosi gli occhi di quella meravigliosa natura.
Quel giorno, i suoi occhi sarebbero stati costretti a vedere un ben più macabro spettacolo e lei poteva solo aspettare in ansia, sperando di rivederlo vivo.
Non gli avrebbe chiesto di non andare, di non rispondere a quella maledetta chiamata, anche se farlo gli lacerava l’anima, lo sentiva, ogni volta che tornava da lei.
Non poteva chiedergli di smettere: lo avrebbe perso.
Eppure, Severus non era solo carne e sangue, vederlo tornare sano e salvo dopo ogni missione non era sufficiente, doveva mantenere in vita quella parte di lui che si stava spegnendo lentamente, doveva mantenere in vita la sua anima.
Era sempre pronta ad ascoltarlo e Severus aveva scoperto che confidarsi con qualcuno era la cosa di cui aveva più bisogno.
Iris non aveva mai giustificato le sue scelte, ma, in qualche modo, lo aveva capito, aveva capito come era potuto arrivare ad ingannare se stesso pur di raggiungere il suo sogno impossibile. Era diventato così cieco di fronte all’orrore da scegliere di trasformarsi addirittura in un suo strumento e cos’altro era un Mangiamorte se non uno strumento del male?
Sì, era stato cieco, cieco e stupido, aveva dovuto fissare la sua vittima negli occhi per riconoscere di essere diventato un assassino.
Tutto il mondo magico sapeva chi erano i Mangiamorte, eppure lui non aveva voluto vedere, aveva indossato la sua maschera con orgoglio, cercava la gloria, si era fatto marchiare, era divenuto un servo.
Iris aveva capito e l’aveva perdonato, ma aveva fatto di più, continuava a perdonarlo, ogni volta che tornava da lei con le mani sporche di nuovo sangue innocente. Lei era sempre lì, accanto a lui, a sussurrargli parole di speranza, mentre il mago immergeva le mani nel piccolo ruscello desiderando che l’acqua portasse via il suo dolore insieme a quel sangue.
Per questo lui l’amava: per come lei aveva saputo accettarlo.
Tuttavia non le avrebbe confessato il suo amore impossibile, aveva paura di perderla, di rovinare quel sogno, non poteva chiedere di più, non poteva chiederle di amarlo a sua volta, che speranza poteva avere quell’amore?
Era come innamorarsi del vento: un respiro era l’unica cosa di lei che poteva toccare.
Lei era questo per lui: Iris era il vento e il vento si può amare, ma non chiedergli di essere ricambiati.


Continua…


Bene, spero che questo capitolo vi abbia fatto sorridere un po’. Godetevi il panorama e gli uccelletti per questa settimana, perché col prossimo capitolo arriva la mazzata (Akiremirror preparati a rivedere il significato della parola sadismo, stavolta l’ho fatta grossa). Il titolo del prossimo capitolo sarà “Il volto dell’inferno”, auguri ;-).

Ciao, a presto!




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Capitolo 9
*** Cap 9: Il volto dell'inferno ***


Cara Akiremirror,mi spiace che gli uccelletti non ti abbiano rasserenata abbastanza, perché ti aspetta un capitolo molto brutto, e un po’ di aria fresca poteva disporti meglio alla lettura. Spero che tu sia pronta ugualmente. Sì, quello di Iris è vero amore, come quello di Severus, il fatto che non possa toccarla, nulla toglie alla forza del sentimento che li lega, e non uso il termine “legare” a caso. Ma non posso dire troppo, comunque la tua domanda sulla quercia è interessante, hai paura a chiedere e io ti dico che fai bene ad averne. Ti posso solo dire che lì accadrà qualcosa (di bello? Forse) e che Severus ci tornerà.

Buona lettura!


CAP. 9: Il volto dell’inferno

Il cuore batteva all’impazzata, fin quasi a fargli male: stava correndo, fuggiva come un bambino, incurante dei passanti che lo fissavano stupiti.
Un malcapitato, che aveva incrociato involontariamente la sua strada, si era ritrovato in terra imprecando.
“Ehi, ma sei pazzo? Guarda dove vai.”
Severus non lo aveva degnato di uno sguardo: gli importava solo mettere più distanza possibile fra lui e quel vecchio.
Come aveva potuto essere così stupido?
Era finito lì per caso. Era una sera fredda e umida ed aveva deciso di concedersi qualcosa da bere alla locanda Testa di Porco.
Ne aveva proprio bisogno, non era stata una settimana facile: Voldemort continuava a sospettare di lui, forse lo riteneva un debole.
Lo aveva preso di mira: dopo il fallimento della sua prima missione, sembrava quasi che avesse deciso di prendersi cura personalmente del suo apprendistato come Mangiamorte o, più semplicemente, si stava divertendo in attesa di vederlo crollare. Probabilmente non aveva mai creduto alle sue menzogne e sapeva benissimo cosa significasse per lui uccidere.
Sembrava che volesse scoprire fino a che punto avrebbe potuto spingerlo: vederlo uccidere a sangue freddo non gli bastava più, troppo rapido, no, il supplizio doveva durare a lungo e non solo per le vittime.
Ci si può abituare ad uccidere? Forse un giorno non avrebbe sentito più niente, quando avrebbe ucciso anche l’ultimo brandello della sua anima, allora non avrebbe sentito più niente, probabilmente era quello che cercava di ottenere il suo padrone.
Se ne stava lì, assorto nei suoi pensieri, coi gomiti poggiati sul tavolo traballante di quel locale di quart’ordine, sperando, forse, di affogare i suoi incubi nel grosso bicchiere che stringeva con entrambe le mani, quando Albus Silente aveva fatto il suo ingresso nella locanda.
Cosa ci faceva il Preside di Hogwarts in un posto simile?
La tentazione di sapere era stata irresistibile: senza pensarci troppo l’aveva seguito su per le scale, approfittando della confusione che in quel bar regnava sovrana.
Aveva trattenuto quasi il respiro, mentre cercava di captare ogni piccolo rumore proveniente dalla stanza dove il mago si era rinchiuso a parlare con qualcuno.
Silente non era un mago qualunque, il solo sapere che lui si trovava dietro quella porta, probabilmente ignaro della sua presenza, rendeva la cosa estremamente elettrizzante per un ragazzo dotato di una curiosità fuori dal comune.
Stavano parlando di scuola, le sue labbra si erano piegate in un sorriso carico di nostalgia: gli mancava Hogwarts.
Nonostante tutto, in confronto ai suoi giorni da Mangiamorte, quegli anni dedicati allo studio, sembravano quasi un ricordo felice.
Improvvisamente, qualcosa gli aveva fatto gelare il sangue, una voce aspra e rauca che non aveva niente di umano, aveva cominciato a pronunciare frasi senza senso.
“Ecco giungere, il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore…”
Era convinto che ci fosse solo una donna a parlare col preside, chi altro c’era in quella stanza?
Si era avvicinato ulteriormente posando l’orecchio sulla superficie tarlata di quella vecchia porta di legno, ma, improvvisamente qualcosa o, meglio, qualcuno lo aveva afferrato con poco garbo per i capelli e lo aveva sbattuto con forza contro la porta, spalancandola.
“Ehi, lasciami, lasciami!” aveva urlato, dibattendosi. “stavo solo cercando il bagno. E' proibito?”
Nello stesso istante in cui aveva farfugliato quella frase, si era già reso conto di quanto potesse essere ingenua come scusa.
Due occhi incredibilmente azzurri l’avevano fissato da dietro un tavolino. Di fronte a lui una figura di spalle, ammantata di scialli, continuava a parlare con quella strana voce, come se non si fosse accorta della sua intrusione.
“… nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato all’estinguersi del settimo mese…”
Non aveva avuto il tempo di vedere e sentire di più perché, quella stessa mano, che ancora lo teneva per i capelli, lo aveva sollevato di peso scaraventandolo verso le scale.
Aveva pensato solo a correre e si era ritrovato in strada, ringraziando di non essersi rotto l’osso del collo precipitandosi giù da quei gradini sconnessi.
Corse fino a perdere il fiato, senza neppure guardare dove stava andando. Voleva solo allontanarsi da lì il più in fretta possibile.
Ansimando, si appoggiò al muro di una vecchia casa, era fradicio di sudore, nonostante la giornata molto fredda.
Scosse il capo: come gli era saltato in mente di origliare?
“Stupido, stupido, stupido!”
Era davvero furioso con se stesso. Si sfogò prendendo a calci sassi e qualunque cosa avesse la sventura di trovarsi sulla sua strada, prima di Smaterializzarsi.
Giunto a Spinner’s End s’incamminò pensieroso su quella stretta via babbana.
Sentiva ancora addosso gli occhi del preside, quegli occhi color cielo che aveva imparato a rispettare dal primo giorno in cui aveva varcato la soglia di Hogwarts. Occhi che non avevano mai avuto bisogno di parole per insegnare, per ammonire e per lodare, per esprimere collera oppure benevolenza, ma ora? Cosa significava quello sguardo?
Aveva visto altre volte quell’espressione sul volto dell’anziano mago, non era rabbia, neppure paura e, sicuramente, non era uno sguardo di rimprovero: sembrava più addolorato che arrabbiato.
Severus era sempre stato bravo a comprendere i pensieri della gente solo guardandola negli occhi. Era una dote innata e, ultimamente, stava affinando questa sua capacità dedicandosi allo studio della legilimanzia, eppure non capiva: perché il preside non l’aveva fermato?
Era certo che quella donna, stesse parlando del suo padrone. Sicuramente, un uomo come Silente non avrebbe mai trascurato qualsiasi cosa, anche la più insignificante, che potesse riguardare l’Oscuro Signore, non con una guerra di mezzo.
Forse non era una cosa importante: la persona che aveva pronunciato quelle parole, in effetti, era un po’ stravagante. Forse era semplicemente una pazza e il preside non credeva alle sue parole anche se riguardavano la caduta del suo padrone. Probabilmente considerava questo evento impossibile esattamente come lui.
Si bloccò stringendo i pugni.
“E’ così, lui non cadrà mai!” mormorò fra i denti.
Continuava a ripeterselo da giorni, anche se Iris era convinta del contrario.
Aveva paura, una paura folle di sperare, di illudersi di poter vivere una vita serena con lei.
“Lui non cadrà mai, mi senti, vecchio pazzo? Non cadrà mai!” gridò. “Ma tu questo lo sai, non è vero?”
Certo, doveva essere questa l’unica ragione per cui stava percorrendo la via di casa e non era, invece, finito pietrificato o peggio.
Silente non era uno stupido ed era un mago potente, l’aveva lasciato andare, non c’era altra spiegazione.
Era certo che il vecchio preside sapesse della sua appartenenza alle fila dei Mangiamorte; se quella informazione fosse stata di vitale importanza non avrebbe mai permesso che un servo del Signore Oscuro fosse libero di riferire al suo padrone ciò che aveva appena sentito.
In parte fu sollevato dalle sue considerazioni, era meglio così.
Magari avrebbe potuto usare quell’informazione a suo vantaggio: convincere l’Oscuro che poteva essergli più utile come spia che come boia. Forse avrebbe rinunciato a tormentarlo con le sue prove di fedeltà.
Ma sì, per una volta, era stato fortunato, aveva finalmente qualcosa in mano. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di smettere di uccidere, sarebbe arrivato a rifiutarsi apertamente di farlo.
Nonostante Iris l’avesse quasi supplicato di non ascoltare il suo cuore, sapeva che, prima o poi, si sarebbe fatto uccidere pur di non vedere ancora una sola goccia di sangue innocente sulle sue mani.
Questa era la sua occasione, forse l’ultima: non l’avrebbe sprecata.
Sentì un improvviso calore invadergli il petto, il calore della speranza.
Era piacevole, non lo provava da tanto tempo.
Era già di fronte alla porta di casa, quando decise di proseguire fino alla fine di quel vicolo.
Il piccolo portoncino di un rosso acceso sembrò accoglierlo col suo colore festoso che, in realtà, non aveva mai amato, ma, in quel momento, trovò davvero bellissimo.
Bussò come un normale visitatore babbano e attese, con un po’ di impazienza, di vedere il volto di Iris dietro quella porta.
Tuttavia, mentre attendeva che la maga potesse raggiungere l’ingresso, ed aprire la porta senza l’uso della magia, come lui le aveva raccomandato, un dolore tristemente familiare, cancellò in un attimo l’espressione insolitamente serena del giovane: Voldemort lo stava chiamando.
Fissò per un attimo il portoncino ancora chiuso.
No, era meglio non farsi vedere: Iris si sarebbe di nuovo preoccupata per lui. La cosa migliore era lasciare che credesse ad uno scherzo di qualche ragazzino maleducato. Si Smaterializzò.


* * *



Severus trascinava i piedi, mentre si avvicinava alla sala dove i Mangiamorte si riunivano.
Era già in ritardo, ma non gli importava: non avrebbe mai voluto varcare quella soglia.
Da fuori si sentivano urla e risate: sicuramente il suo padrone aveva concesso un nuovo trastullo ai suoi servi, oppure, il trastullo sarebbe stato ancora lui.
Questo pensiero gli provocò un brivido lungo la schiena, chi doveva uccidere questa volta? Un Babbano? Un Mago? Forse un ragazzino o una donna?
Trattenne il fiato davanti a quel grosso portale scolpito, nel quale numerosi serpenti s’intrecciavano formando una strana e fitta trama che lo rendeva bello e allo stesso tempo inquietante.
Improvvisamente, la superficie bronzea si mosse con un rumore assordante che lo fece trasalire. Gli occhi del Mago fissarono i serpenti che fronteggiandosi dalle due ante si allontanavano stridendo.
L’ingresso alla sala ora era completamente spalancato. Severus era stato colto di sorpresa, non aveva ancora indossato la sua maschera: la stringeva con la mano destra, mentre con l’altra era appoggiato allo stipite.
Non era ancora pronto ad entrare, forse non lo sarebbe mai stato. Aveva cercato di ritardare il più possibile quel momento, ma ora doveva attraversare quella porta anche se avrebbe voluto solo fuggire.
I suoi occhi individuarono immediatamente quella scena tristemente familiare: i suoi compagni erano riuniti in un cerchio. Erano talmente vicini l’uno all’altro che era impossibile vedere al centro di quell’anello di tuniche nere, ma, il giovane, immaginava quale terribile visione si celasse dietro quel muro di uomini.
Quando il cerchio si aprì come un sipario, però, Severus non riuscì a credere a quello che i suoi occhi stavano vedendo: se l’inferno avesse avuto un volto diverso per ognuno, ora lui stava guardando il suo.
Sentì la nausea salirgli in gola soffocandolo: una donna era rannicchiata per terra, i capelli lunghi e neri sparsi sulle pietre macchiate del suo stesso sangue.
Si mosse, appoggiandosi su i gomiti, sollevò piano la testa volgendosi verso di lui.
Severus pregò, scongiurò il cielo di poter morire in quello stesso istante, prima di vedere quel volto, prima di veder confermata la sua paura.
Due gemme scure lo fissarono: Iris, la sua Iris lo stava guardando.
No! Tutto, ma non quello, le sue dita presero a stringere la maschera d’argento fino a fermare la circolazione del sangue.
Ma come avevano fatto a trovarla? In che cosa aveva sbagliato?
Il mago era come pietrificato, non riusciva a pensare, a ragionare con lucidità.
Fortunatamente questo suo atteggiamento fu scambiato per semplice freddezza, il suo volto, appariva rigido e impassibile.
Si guardò lentamente attorno, Voldemort era seduto come sempre sul suo trono e osservava la scena con un’espressione quasi annoiata.
Improvvisamente capì: il Signore Oscuro non sapeva nulla di Iris. Per lui, quella donna in terra era solo l’ennesimo divertimento per i suoi servi, solo un’altra vittima, un numero, e l’ennesima prova per lui. Questa volta il suo padrone gli avrebbe chiesto di esibire la sua fedeltà di fronte ad un pubblico.
Di nuovo, un conato di vomito salì a bruciargli la gola: la sua Iris si trovava lì, aspettando che lui la uccidesse, solo per un caso, un maledettissimo caso.
Non capiva, non riusciva a crederci, il suo sguardo si posò su ognuna di quelle orride maschere che lo fissavano, i suoi compagni erano tutti presenti: dovevano aver saputo della maledizione, nessuno doveva averla toccata.
Ci volle molto poco al giovane Mangiamorte per realizzare che non c’era modo di uscire da quella situazione, non aveva modo di salvarla, era finita.
Ciò che aveva fatto era stato del tutto inutile. Aveva ucciso e aveva continuato a farlo, aveva disperatamente ed ingenuamente cercato di convincere il suo padrone della sua fedeltà, solo aggrappandosi alla folle speranza di poter vedere la fine di quell’incubo, ma non avrebbe immaginato che sarebbe stata quella la fine, sì, perché quella sarebbe stata la fine per entrambi: non poteva salvarla, ma poteva morire con lei.
Guardò gli occhi spaventati di Iris, non gridava, probabilmente non aveva più la forza di farlo, sembrava addirittura non riconoscerlo. Cosa le avevano fatto quei mostri?
Fece un passo verso di lei. Gli altri Mangiamorte continuavano a fissarlo, cercò di ignorarli.
Voldemort aveva predisposto tutto: il palcoscenico, il pubblico e gli attori, come sempre, ma, questa volta, sarebbe stato diverso, lui non avrebbe fatto di quella morte uno spettacolo per quelle bestie.
Il fatto che il Signore Oscuro non sapesse chi fosse quella ragazza, almeno, gli dava il vantaggio di poter agire liberamente, ammesso che cercare di ucciderla in fretta si potesse considerare come agire liberamente.
Non aveva scelta: se solo avessero immaginato la verità, probabilmente lui sarebbe già stato immobilizzato e costretto a guardarla morire sotto chissà quali torture. Voldemort sapeva bene come ripagare i traditori.
Si maledì per non aver indossato la maschera al suo ingresso, mentre era costretto a fingere per l’ultima volta. Mai come in quel momento avrebbe avuto bisogno di nascondere il suo viso permettendo al dolore di deformarne i muscoli, come la natura bonaria concede a tutti gli esseri.
A lui non era permesso neppure quello.
Rese di pietra i suoi lineamenti e ciechi i suoi occhi, perché non tradissero la minima emozione, voltò le spalle alla donna e al cerchio dei Mangiamorte e si avvicinò al trono, dove l’Oscuro Signore attendeva di essere omaggiato.
S’inginocchiò afferrando l’orlo della tunica del suo Signore. Non lo sollevò, come era solito fare, ma si chinò fino al pavimento per baciarlo, quasi a voler punire se stesso per il suo fallimento, con questa umiliazione: aveva sbagliato e ora avrebbe pagato il suo errore.
Un silenzio irreale lo avvolgeva o, forse, era lui a non sentire più le risate crudeli dei suoi compagni, era come se non esistessero più, nella voragine tenebrosa in cui era precipitato ora esistevano solo lui ed Iris.
Si avvicinò lentamente al gruppo di Mangiamorte che si spostarono formando due ali nere al suo passaggio: il loro divertimento stava per cominciare.
Strinse il pugno intorno alla bacchetta.
Sapeva quello che doveva fare: l’avrebbe abbracciata, avrebbe stretto finalmente il suo fiore tra le braccia, e l’Avada Kedavra li avrebbe uniti per sempre.
Iris sembrava così stordita e sfinita da non comprendere quello che stava accadendo attorno a lei.
Forse era meglio così, pensò il Mago, ora poteva solo ucciderla, e non poteva neppure chiederle perdono.
Si chinò su di lei, il viso era irrigidito in una smorfia di disgusto, ma i suoi occhi non poterono fare a meno di infiammarsi incrociando quelli di lei: l’amava e non glielo aveva mai detto.
Perché doveva finire così? Se solo avesse potuto parlarle, gridare davanti a tutti che l’amava più della sua stessa vita.
Dovette stringere i denti fino a farsi male per impedirsi di pronunciare il suo nome per l’ultima volta.
Iris, il nome più bello che avesse mai sentito.
Lasciò scivolare la maschera a terra, le mani tremavano, ma non cercò di nasconderlo: Voldemort era dietro di lui e non poteva vederle. Per gli altri lui era solo un giovane Mangiamorte alle prime armi, era normale che fosse emozionato, perché, togliere la vita ad un essere umano, per loro era una cosa emozionante.
Cercò di contrastare la nausea, poi il suo viso si contrasse come colto da una fitta: finalmente un grido straziante squarciò il silenzio, trapassando la sua testa come una lama, ma era un grido che nessuno poteva sentire, era quello del suo cuore, un grido di dolore e di odio per quel mostro che aveva chiamato maestro, e per se stesso, per ciò che era diventato, ed era anche una disperata richiesta di perdono per quello che stava per fare, e per quello che aveva fatto a tanti innocenti, l’inutile e tardiva preghiera di un assassino, una supplica che non sarebbe mai uscita dalla sua bocca serrata e che Iris non avrebbe mai ascoltato.
Stava per stendere il braccio verso di lei, ma si bloccò, la mano tesa, come paralizzata.
Severus sapeva che, nel momento in cui avrebbe toccato la maga, gli sarebbe rimasto appena il tempo di pronunciare l’Avada Kedavra, prima che la maledizione di Iris lo uccidesse: voleva guardarla ancora un istante, un ultimo istante.
Brontolii d’impazienza si alzarono dal cerchio: i Mangiamorte reclamavano il loro sangue.
Bestie, ecco cos’erano e lui era diventato uno di loro, li aveva considerati amici.
Avrebbe voluto sputargli in faccia tutto il suo disprezzo, ma ora solo Iris era importante, più importante della sua rabbia e del suo orgoglio.
Improvvisamente, Lucius Malfoy si chinò verso la maga, ridendo.
“Allora, quanto vuoi farci aspettare ancora, Severus?” mormorò con la sua solita voce strascicata.
Gli occhi di Piton saettarono in quelli di ghiaccio del suo amico, ma l’odio si trasformò immediatamente in incredulità, Lucius aveva appena steso la mano afferrando la ragazza per i capelli.
Severus scattò indietro: Lucius la poteva toccare, non era possibile, quella non era Iris, non poteva essere lei.
Il Mago biondo non notò il lampo negli occhi dell’altro e seguitò a schernirlo:
“Pare che spetti a te l’onore di finirla, non ci deluderai, spero?” disse pulendosi le dita con una smorfia di disgusto.
Piton si sentì improvvisamente soffocare, emozioni diverse lo assalirono.
Non aveva neanche sentito le parole di Malfoy, dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non lasciar trasparire ciò che provava in quel momento, in pochi istanti la disperazione e la rabbia si erano trasformati in sollievo e persino in una egoistica gioia. Lui stesso ne fu disgustato. Una donna stava per morire, il fatto che non fosse la sua Iris non gli dava il diritto di gioire, ma non poteva farne a meno: Iris era salva.
Si voltò lentamente verso Voldemort, il mago cominciava ad essere spazientito dall’attesa, ma sembrava non aver capito quello che era successo: se qualcuno gli aveva preparato quella trappola, non doveva essere stato lui.
Il suo Signore lo guardava con aria curiosa, si era sporto dal suo trono, appoggiandosi ad uno dei braccioli e si teneva il mento fra le lunghe dita. Attendeva silenzioso che il suo servo portasse a termine il suo compito.
Severus guardò di nuovo la ragazza, sembrava davvero la sua Iris, qualcuno doveva aver usato la Pozione Polisucco.
Poi decise: non era Iris, ma non poteva fare ugualmente quello che tutti si aspettavano da lui, non l’avrebbe torturata fino alla morte per la gioia di quei cani, non perché somigliava alla ragazza che amava, ma perché non l’avrebbe più fatto, mai più.
Fece col capo un cenno deciso a Lucius, perché si allontanasse dalla giovane, si chinò su di lei e la sollevò da terra. Circondandola con un braccio la strinse contro il suo petto per trattenerla in piedi. La poveretta era a malapena cosciente, poggiò la fronte sulla spalla del mago.
Tutto avvenne in pochi istanti, il giovane Mangiamorte, portò la mano che stringeva la bacchetta dietro la schiena della ragazza, e avvicinò le sue labbra all’orecchio di lei, sussurrando, la voce simile ad una carezza, poche, terribili parole:
“Perdonami, Avada Kedavra!”


* * *



Il corpo esanime della donna scivolò lentamente a terra sostenuto dalle braccia di Piton.
Gli occhi del mago corsero ad incontrare quelli di Malfoy. L’amico fissava senza fiato un punto alle sue spalle.
Severus capì che Voldemort era in piedi dietro di lui, le sue intenzioni si potevano leggere facilmente nello sguardo terrorizzato di Lucius.
Senza voltarsi, il Mago bruno, strinse gli occhi, preparandosi a ciò che sarebbe arrivato solo dopo pochi istanti: un’ondata infuocata colpì la sua schiena, scaraventandolo a terra.
Non aveva neanche sentito il suo padrone pronunciare la maledizione, ma sapeva che quella era la Cruciatus.
Voldemort non l’aveva mai usata contro di lui, capì quanto era stato fortunato fino a quel momento.
Prese a contorcersi al suolo, cercando disperatamente di allontanare quel dolore, gli sembrava di aver preso fuoco.
Malfoy fissò, pietrificato dal terrore, il suo migliore amico che, scosso come da convulsioni, continuava a sbattere la testa contro le pietre del pavimento, il suo corpo pareva muoversi indipendentemente dalla sua volontà.
Aveva assistito altre volte al supplizio della Cruciatus, aveva sempre riso di fronte alle grida delle povere vittime. Più volte lui stesso l’aveva usata, aveva goduto di quel dolore, un dolore che non aveva mai provato sulla propria pelle.
Ora però era diverso, era il suo amico a dimenarsi sotto quella tremenda tortura, ebbe paura.
Severus non gridava, solo un gemito acuto e prolungato sgorgò dalla sua gola, quando, improvvisamente, Voldemort sollevo la bacchetta interrompendo quel tormento.
Il Mago si ritrovò supino e fradicio di sudore. Mosse appena le labbra, il sapore ferroso del sangue gli riempiva la bocca, si era morso la lingua.
Sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco la figura vestita di nero sopra di lui, non ci riuscì, ma sapeva che il suo Signore era lì che lo guardava, forse gli avrebbe chiesto una spiegazione e lui avrebbe cercato di inventare l’ennesima menzogna, per salvarsi la vita.
Stavolta non l’avrebbe fatto per se stesso: doveva sopravvivere per correre dalla sua Iris. Chiunque fosse stato a preparare la trappola della Pozione Polisucco, sapeva che era stato lui a nasconderla, Iris era in pericolo, doveva avvertirla.
Cercò di voltarsi su un fianco, tremava.
Faticosamente si mise in ginocchio e attese che Voldemort parlasse per primo.
“Mi hai deluso, Severus.” la voce di Voldemort era un sussurro, si chinò fissando gli occhi sofferenti dell’altro.
“Spiegati!” soffiò.
“Mio Signore… oggi… ero venuto a portarvi gravi notizie.” si pulì con la manica il sangue che continuava a colargli dalla bocca.
“Dovevo parlarvi, dovevo parlarvi da solo.” lanciò ai Mangiamorte di fronte a lui uno sguardo carico di disprezzo.
“Tu mi hai disubbidito.” tuonò Voldemort, puntando di nuovo la bacchetta contro di lui.
Severus fece appello a tutta la forza che gli era rimasta e drizzò orgoglioso la schiena fissando negli occhi il suo padrone.
“Io sono sempre stato un vostro fedele servitore, e voi mi avete appena dato un dolore. Il mio più grande dolore è sapere che non vi fidate di me. Voi mi umiliate chiedendomi di esibirmi con queste dimostrazioni di fronte ai miei compagni. Se ho sbagliato in qualche cosa, se non vi ho servito bene punitemi, ma non fate della fedeltà di un servo uno spettacolo da circo.”
Le labbra di Voldemort si piegarono in un ghigno soddisfatto, si voltò verso i suoi adepti che ad un suo cenno si Smaterializzarono immediatamente, dopodichè s’incamminò lentamente e solennemente verso il suo trono e si rimise a sedere.
“Siamo soli, parla.”
Severus raccontò quello che aveva sentito alla locanda, augurandosi che il suo padrone trovasse le parole di una pazza sufficientemente interessanti da lasciarlo in vita.
Quando finì di parlare, attese in silenzio e col capo chino.
Voldemort sembrò per un attimo riflettere sulle sue parole, poi artigliò rabbiosamente i braccioli scolpiti del suo trono.
“Il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore? Il solo?” Si alzò di scatto e si avvicinò al Mago in ginocchio, lo afferrò per il mento, sollevandogli la testa. Come lame roventi i suoi occhi penetrarono le tenebrose iridi del suo giovane servo.
“Nessuno può sconfiggermi, nessuno!” sibilò, poi, ergendosi in tutta la sua altezza: “Lord Voldemort non cadrà mai.” si voltò facendo ondeggiare il mantello e tornò a sedersi sul trono.
Severus lo fissava, quasi trattenendo il respiro. Immobile, attendeva di sapere se avrebbe rivisto la sua Iris. Voldemort, lo scrutava con un’espressione che il giovane Mangiamorte non sapeva decifrare. Forse le sue parole lo avevano solo ulteriormente irritato, forse aveva sbagliato. Perché non parlava, maledizione, perché continuava a fissarlo in quel modo?
Severus avrebbe voluto urlare in quel momento: se stava solo aspettando di ucciderlo perché non la faceva finita?
Improvvisamente, Voldemort parlò di nuovo, la sua voce era un sussurro, ma il giovane se la sentì scorrere addosso come una lama affilata.
“Chiunque oserà mettersi contro di me dovrà morire.” Per un attimo il mago dai capelli corvini ebbe l’impressione che un'ombra terribile oscurasse il volto di Voldemort, poi questo tornò a rivolgersi a lui con atteggiamento solenne.
“Hai fatto bene il tuo lavoro ed io so ricompensare chi mi serve bene.”
Fece una pausa poi, sporgendosi in avanti, sibilò:
“Così come so ricompensare chi mi tradisce.”
Il mago inginocchiato rabbrividì.
“Va a casa Severus Piton, non ti chiederò altre dimostrazioni.” concluse infine con noncuranza.
Severus inchinò appena il capo e si Smaterializzò.


Continua…


Siete arrivati fin qui tutti interi? Bene, vi annuncio che i guai di Severus non sono finiti. Riuscirà a salvare la sua Iris? Lo saprete al prossimo capitolo che si intitola “Tradimento e amicizia”

Ciao, a presto!




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Capitolo 10
*** Cap 10: Tradimento e amicizia ***


Cara Akiremirror, scusa per averti fatto stare un po’ in ansia nel capitolo precedente ;-) . Intanto sono contenta che il mio Voldemort ti piaccia, anche se in questa storia resterà poco più di una comparsa. Mmmmmm! Mi chiedi se Silente lo ha lasciato andare per qualche motivo? Ovviamente, quando ho scritto questa storia, avevo i tuoi stessi dubbi e, forse, teorie. In “Amando il vento” cerco, appunto, di dare una mia risposta alle domande che entrambe, penso, ci siamo poste. Se avrai un po’ di pazienza, Silente stesso ti dirà perché ha agito in quel modo, infatti, Severus più avanti gli farà la stessa domanda.
Uuuuuuh!Tinker, finalmente una voce nuova, sono contenta che la mia storia ti piaccia, comunque non ti preoccupare: se non sono regolarissima negli aggiornamenti è solo colpa dei miei troppi impegni, ma giorno più, giorno meno, ti assicuro che avrai un capitolo nuovo ogni settimana.

Buona lettura!


CAP. 10: Tradimento e amicizia

Il sole era appena tramontato, Severus si Materializzò direttamente a casa di Iris.
Non trovandola all’ingresso, si precipitò al secondo piano e iniziò a spalancare tutte le porte, urlando:
“Iris, Iris dove sei?”
Arrivato alla porta della camera da letto, non ebbe il tempo di aprirla: la maga era già sulla soglia e lo fissava con gli occhi spalancati.
“Severus, cosa è successo? Chi ti ha ridotto così?” disse con la voce strozzata, accennando al sangue sul viso del giovane.
“Non c’è tempo di spiegare, sanno che ti ho nascosta. Prendi tutto quello che puoi, dobbiamo andar via di qui.”
Iris afferrò il mantello, che era piegato sul letto, e la bacchetta, e si precipitò con Piton giù per le scale.
Il giovane corse verso la porta d’ingresso, Iris era subito dietro di lui, ma appena l’aprì non ebbe il tempo di reagire che una voce famigliare gridò:
“Expelliarmus!”
Severus si ritrovò senza la sua bacchetta e con quella di Lucius Malfoy puntata al petto.
“Non farlo se non vuoi che lo ammazzi.” urlò il mago biondo ad Iris che aveva ancora la sua bacchetta e la puntava tremando contro di lui.
Le labbra di Malfoy si piegarono in un sorriso cattivo, mentre torceva la punta della sua arma contro le costole di Piton.
“Posala, da brava, non farti pregare.” disse suadente e sollevò il braccio fino a puntare il sottile legno alla gola dell’altro, ribadendo con lo sguardo la sua minaccia.
Gli occhi di Iris corsero a cercare quelli del suo amico, aspettando un suo cenno.
Non sapeva cosa fare, sembrava che Severus volesse vederla usare la bacchetta, ma non poteva farlo, non poteva lasciare che Malfoy lo uccidesse.
“Gettala, stupida ragazzina!” ringhiò Lucius.
Iris allora gettò rabbiosamente la piccola asticella bianca ai piedi di Malfoy che scoppiò in una risata, si allontanò da Piton tenendolo sempre sotto tiro e raccolse prima la bacchetta di Iris e poi quella di Severus che era caduta poco distante.
“Bene, dunque avevo ragione, tu hai mentito, hai mentito al Signore Oscuro.” disse, mentre un’espressione di trionfo si disegnava sul viso aguzzo.
“Era opera tua? La Pozione Polisucco, sei stato tu?”
“Già! Ho fatto una visita in casa di quei Babbani, non è stato difficile trovare lì i suoi capelli.”
Avvicinò una mano alla giovane come per afferrare i suoi lunghi capelli neri, ma Iris si scansò con uno scatto. Lucius arricciò le labbra, indirizzandole un’occhiata lasciva. Poi si rivolse di nuovo a Severus.
“Anche se non capisco come hai fatto ad accorgerti che non era lei.”
Severus non gli rispose, sapeva che, se non ci fosse stato altro modo, la Maledizione che quella ragazza portava nel suo corpo sarebbe stata l’ultima difesa.
Lucius non sapeva che non avrebbe potuto toccare la vera Iris, non immaginava neppure che alla maga sarebbe bastato sfiorarlo per ucciderlo. Si sentiva così sicuro di sé ora che li aveva privati delle loro bacchette.
Gli occhi neri di Piton lampeggiarono incontrando quelli spaventati di lei, Iris era pronta, ma lui sapeva cosa avrebbe significato per lei uccidere ancora e in quel modo orrendo.
Forse la maledizione era l’unica soluzione, ma non poteva lasciare che accadesse, non poteva lasciar morire quello che aveva considerato il suo miglior amico, e permettere che fosse la donna che amava a macchiarsi le mani del suo sangue.
No! Severus scosse appena il capo, non era così che doveva andare.
Si morse il labbro, il suo cuore sembrava impazzito: Malfoy era pericolosamente vicino ad Iris, continuava a ridere, rideva, mentre si gettava ignaro tra le braccia della morte.
“Beh, Severus, visto che non vuoi dirmi cos’ha di speciale questa donna, vedrò di scoprirlo da solo.”
Severus strinse i pugni, non voleva, non doveva cedere all’ira. Lucius non doveva morire, non per mano di Iris.
“Allora, come ti ha riconosciuta?” sussurrò percorrendo con lo sguardo avido il corpo della maga.
“Evidentemente sa di te qualcosa che gli altri non sanno.”
Con una mano si tolse il mantello gettandolo a terra, mentre con l’altra teneva sempre puntata la bacchetta.
“Voglio saperlo anch’io quello che sai fare, illuminami.”
Malfoy allungò la mano libera verso la ragazza. Stava per afferrarla.
Iris si voltò verso il mago bruno. Per un attimo i due giovani furono come incatenati in un unico sguardo pieno di comprensione, poi, come obbedendo ad un ordine telepatico, Iris si tirò indietro e contemporaneamente Piton agitò il braccio scaraventando un basso tavolino di legno addosso a Malfoy.
Lucius finì contro la finestra e si aggrappò alla tenda tirando giù con sé il pesante drappo colorato. La bacchetta gli era sfuggita di mano e giaceva in terra ad un metro da lui.
“Scappa!” gridò Piton rivolto alla ragazza, mentre correva verso la bacchetta di Lucius.
I due maghi pronunciarono quasi contemporaneamente l’incantesimo di richiamo, ma Malfoy fu più rapido e la bacchetta schizzò nella sua mano.
“Crucio!” Severus cadde in ginocchio, tra le urla terrorizzate di Iris. Il suo viso era una maschera di dolore, quanto quello di Malfoy era odio puro.
“Tu non hai tradito solo l’Oscuro Signore.” gridò il mago biondo. “Tu hai tradito me, hai tradito la nostra amicizia per questa donna.”
“Lascialo!” Iris si frappose fra i due maghi, Lucius sollevò la bacchetta liberando dalla maledizione l'altro che si accasciò sul pavimento come una bambola di pezza.
“Pagherai Severus, ma non prima che io mi sia divertito con la tua sgualdrina.” disse rivolgendogli uno sguardo carico di disprezzo, poi guardò la donna e le sue labbra sottili si piegarono in un ghigno crudele.
Si avvicinò alla maga costringendola contro la parete, Iris singhiozzava parole che al mago biondo sembravano senza senso:
“No, no, ti prego non voglio farlo, non posso, no!” si portò le mani a coprirsi il volto.
Eppure doveva farlo, non c'era altro modo, Lucius li avrebbe uccisi entrambi. Ora solo lei poteva salvare Severus, non doveva sottrarsi, doveva lasciare che il mago la toccasse.
Era disperata, sapeva che i due giovani erano amici, Piton le aveva raccontato molte cose di lui, ma la vita di Severus era più importante, doveva uccidere quel verme.
Tremava, Lucius aveva appoggiato una mano al muro e con la bacchetta la costrinse ad abbassare le mani scoprendo il viso rigato di lacrime.
Era così vicino che poteva sentire il calore del suo respiro, strinse i pugni e lo fissò negli occhi, Lucius stava per baciarla, stava per morire; avrebbe ucciso di nuovo e questa volta volontariamente.
L'immagine di suo padre che urlava contorcendosi nel pavimento con il volto deformato dal dolore si sovrappose al viso eccitato e bramoso del bel mago biondo, si sentì morire, ma avrebbe fatto di tutto per salvare l’uomo che amava, anche contro la sua volontà.
Chiuse gli occhi trattenendo il respiro: era pronta a ricevere quel bacio, ed era pronta a donare la morte.
Né lei né Lucius, però, si erano accorti che, dietro di loro, Piton si era faticosamente rimesso in piedi. Facendo appello a tutta la forza che gli era rimasta, il mago si gettò sul suo avversario, entrambi finirono a terra aggrappati l’uno all’altro.
Ci volle solo un istante perché Severus si rendesse conto di non essere riuscito a disarmare Malfoy: la bacchetta di Lucius premeva contro il suo sterno.
Il mago fissò lo sguardo gelido dell’amico.
“Fallo!” sibilò.
Vide le labbra dell’altro muoversi appena, poi un lampo accecante lo investì e fu sbalzato contro la credenza.
“Nooooo!” Iris si portò le mani nei capelli.
Severus era a terra in mezzo ad una quantità di schegge di vetro. Una chiazza scura si allargava sul pavimento dietro la sua schiena.
La strega corse verso di lui e si buttò in ginocchio piangendo, incurante dei vetri sparsi sul pavimento che le ferirono le gambe,
“Perché non me l’hai permesso? Perché, perché?” Avrebbe voluto abbracciarlo, avrebbe voluto stringerlo a sé, continuò ad aggrapparsi ai suoi stessi capelli con tutta la forza che aveva, per impedire alle proprie mani di correre al viso del mago.
Piton aprì faticosamente gli occhi, ansimò, soffocando un gemito di dolore, poi, fissando gli occhi lucidi di lacrime di Iris:
“Mi...mi di...spiace, non... ho mantenuto la... la mia promessa, non... ti ho protetta.” sussurrò debolmente, poi un accesso di tosse scosse il corpo magro, il mago voltò la testa di lato e un fiotto di sangue fuoriuscì dalla bocca.
“No, no ti prego, no, è colpa mia, Severus, Severus!”
Le labbra del mago si piegarono in un sorriso.
“Ti amo!” mormorò, poi perse conoscenza.
“Anch'io ti amo.” sussurrò Iris, allungando una mano tremante verso di lui, quasi a sfiorargli la fronte, poi si alzò voltandosi di scatto.
Lucius si era rimesso in piedi e puntava la bacchetta contro il mago a terra, il volto contorto dall'ira.
“Scansati!” ringhiò.
“No! Dovrai uccidermi, ma dovrai farlo con la bacchetta.” la voce era soffocata dalla rabbia.
“Certo che lo farò, ora non ci sarà il tuo amichetto a salvarti.” ghignò.
“Lui non ha salvato me, maledetto bastardo, Severus ha salvato te.” gridò. “Puoi uccidermi, ma ucciderai l'uomo che ti ha appena salvato la vita?”
“Che significa?”
“Se non mi avesse fermata, ora saresti morto, nessun Mangiamorte può toccarmi è restare vivo.”
“A che gioco stai giocando?”
“Volevi sapere come Severus ha capito che quella donna non ero io?”
Il mago abbassò appena la bacchetta fissandola sconcertato.
“Dimmi: l'ha toccata? Lui o qualcun'altro l'ha toccata?”
Le labbra di Lucius si spalancarono: improvvisamente gli era tornata in mente la reazione di Piton quando l'aveva visto afferrare la donna. Era vero, era tutto vero, ma perchè ora la maga stava gettando al vento la sua unica arma?
“Perchè me lo stai dicendo?”
“Per lui,” accennò col capo al mago svenuto. “Severus ti considera un amico, e perchè io non voglio uccidere. Ora siamo nelle tue mani, finisci quello che hai cominciato.” gridò, allargando le braccia.
Per qualche istante Malfoy rimase come impietrito con la bacchetta stretta fra le dita tremanti, abbassò lo sguardo sull'uomo a terra. Avrebbe davvero ucciso il suo amico, l'unico amico?
Abbassò la bacchetta e si chinò su Piton: respirava appena.
L'afferrò per le spalle voltandolo su un fianco: grosse schegge di vetro si erano conficcate nella sua schiena. Vi fece scorrere la bacchetta recitando l'incantesimo. Tutti i frammenti sparirono, ma la perdita di sangue continuava copiosa.
Ripose la bacchetta e lo prese tra le braccia sollevandolo da terra.
“Dov'è il letto?” chiese deciso.
“Di sopra, vieni”.
Il mago la seguì per le scale. Arrivato in camera, sistemò Piton sul letto, disteso sul ventre, gli sfilò la casacca e la camicia, e prese a controllare le ferite sulla schiena, senza dire una parola.
Erano brutti tagli, qualcuno molto profondo.
Il mago si rabbuiò, passò la bacchetta un paio di volte sopra le ferite ripulendole dal sangue. Poi fece apparire delle bende che si strinsero magicamente attorno al torace di Piton.
Iris era dietro di lui, la gola seccata dall'ansia, tratteneva il respiro come se l'impercettibile movimento del suo petto potesse in qualche modo peggiorare le cose.
Severus non si muoveva, Iris poté udire solo un flebile lamento che la fece rabbrividire.
Improvvisamente Malfoy si voltò verso di lei, si era infilato una mano in tasca e ne aveva tirato fuori un piccolissima boccetta piena di un liquido scuro.
“Versane poche gocce in un bicchiere d'acqua e poi portamelo.” disse porgendole l'ampollina.
Iris si avvicinò, ma non prese la Pozione dalle mani di Lucius, la bottiglia era talmente piccola che temeva di sfiorare le dita del mago. Attese che l'altro la posasse sul pavimento, l'afferrò e, di corsa, scese le scale ed entrò in cucina.
Tornò dopo qualche istante con il bicchiere, tuttavia sembrava indecisa sul da farsi, non sapeva se poteva fidarsi di quell'uomo.
Lucius le lanciò un occhiata acida.
“Pensi che voglia avvelenarlo? Se avessi voluto ucciderlo non mi sarei scomodato a portarlo in braccio fin quassù, non credi?
Iris annuì, in effetti il mago aveva ragione, ma era così sconvolta che non riusciva a ragionare con lucidità, posò il bicchiere per terra e fece qualche passo indietro. Malfoy lo raccolse, si appoggiò con un ginocchio sul letto e sollevò Severus in modo che potesse bere.
“Questa Pozione, l'ha preparata lui, aiuta a rimarginare le ferite: quando si è in guerra è sempre meglio essere previdenti.” spiegò, mentre aiutava l'altro a mandare giù fin l'ultima goccia di quel liquido.
Quando ebbe finito, posò il bicchiere sul comodino e si lasciò cadere sulla poltrona accanto al letto, tenendosi la testa fra le mani. Iris non disse nulla, prese anche lei una sedia e si sistemò all'altro capo del letto.
Attesero entrambi in silenzio tutta la notte.



Continua…


Pronti a vegliare il povero Sevvy? Sarà una luuuuunga notte fino al prossimo aggiornamento

Ciao, ciao e, se vorrete sprecare due paroline di commento, sappiate che non mi dispiacerebbe affatto!

Ops! Dimenticavo: il prossimo capitolo s'intitola "convalescenza", ma questo era prevedibile.




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Capitolo 11
*** Cap 11: Convalescenza ***


Cara Akiremirror, ma sei parente della Cooman? Hai detto una frase sibillina, ma non ti dico qual’ è. Hai ragione, comunque, Severus non ha sentito Iris dirgli “ti amo”, ma dopo quello che ha fatto per lui, non ne dubita affatto. Come hai giustamente sottolineato quello di Iris era un gesto di vero amore che Severus ha compreso benissimo, ora lui sa di essere ricambiato e visto che era convinto che sarebbero morti entrambi è riuscito finalmente a dichiarare il suo amore, cosa che non avrebbe mai fatto in altre circostanze (insomma gli ci voleva la batosta per sputare il rospo, diciamo che gli ho dato una spintarella). Ora l’inguacchio è fatto, non può rimangiarsi quello che ha detto e un po’ di febbre farà il resto. In questo capitolo lui sarà semplicemente un uomo innamorato, non deve più nascondere ad Iris quello che prova, infatti non lo farà. Riguardo a Lucius, lui si trova incastrato fra la fedeltà a Voldemort e l’amicizia per Severus, in un certo senso, quasi quasi mi fa pena anche lui.
Ciao Tinker,non volevo affatto spaventarti, per luuuunga notte intendevo solo che sarebbe stata una nottata di sette giorni tra un aggiornamento e l’altro. Riguardo all’incantesimo, quello è legato al marchio di Severus e al potere di Voldemort, quindi trai tu le dovute conclusioni, cosa potrebbe spezzarlo?

Buona lettura!


CAP. 11: Convalescenza

Iris sollevò lo sguardo: il mago biondo sembrava pietrificato, le labbra serrate e gli occhi, simili a cristalli di ghiaccio, erano fissi sull'uomo disteso di fronte a lui.
Per un istante la giovane strega ebbe l'impressione che avesse persino smesso di respirare: sotto la pesante tunica di velluto nero, il suo petto pareva immobile almeno quanto quello del suo amato Severus.
Già, il suo amato Severus, la maga strinse i pugni, cosa avrebbe fatto se quell'uomo, l'uomo del quale si era follemente innamorata, non si fosse più svegliato?
Scosse il capo, no, non voleva neanche pensarci.
Fissò ancora il volto rigido di Malfoy: dietro quella gelida maschera, le parve di scorgere un'ombra di preoccupazione, rabbrividì.
Nonostante la Pozione, Severus non era ancora fuori pericolo, le ferite erano profonde e aveva perso molto sangue.
Probabilmente avrebbero dovuto portarlo a San Mungo, ma, in quel caso, Malfoy avrebbe dovuto fornire troppe spiegazioni sull'accaduto.
La giovane strega ora poteva solo attendere e sperare. Oltretutto sentiva che il mago era infastidito, persino dalla sua silenziosa presenza: non l'aveva degnata di uno sguardo.
Poteva percepire il suo odio, era come se tutto il suo corpo lo gridasse.
Lui e Severus dovevano essere davvero molto legati e lei si era intromessa nella loro amicizia.
Ma c'era di più: Malfoy sembrava odiare anche se stesso, proprio a causa di quell'amicizia.
Si sentiva un debole per aver messo uno stupido sentimento al di sopra del suo dovere di Mangiamorte, per non averli uccisi entrambi.
Quell'uomo si odiava per quello che stava facendo, ma lei non poteva non essergli grata di essersi preso cura di Severus.
Un profondo sospiro sfuggì dalle sue labbra: senza l'aiuto di Malfoy probabilmente avrebbe potuto solo restare a guardare l'uomo che amava, mentre moriva dissanguato sul pavimento.
Si sentiva così inutile: lui le aveva appena detto di amarla e lei non aveva neppure potuto aiutarlo a bere una stupida pozione, aveva dovuto lasciarlo fare all'uomo che aveva appena cercato di ucciderli.
Ormai da parecchie ore se ne stava praticamente inchiodata su quella sedia, fissava tremante la mano di Severus, le dita sottili posate sul candido lenzuolo. Erano di un pallore spaventoso, probabilmente erano anche gelate.
Cosa avrebbe dato per poterle stringere tra le sue e infondergli un po' di calore!
Per un attimo desiderò che lo facesse Lucius al suo posto, sentì la sua mente gridare: “Non vedi che ha freddo?”
Quella preghiera, tuttavia, non raggiunse mai l'altro, le sue labbra restarono serrate.
La maga fece forza su se stessa per rimanere in silenzio, avrebbe voluto abbracciarlo o, almeno, fargli sentire in qualche modo che lei era lì, che era viva e non lo aveva abbandonato, ma non si mosse.
Temeva di rompere quel delicato equilibrio che si era creato, in fondo, Lucius non l'aveva uccisa, ma non le aveva neppure restituito la bacchetta.
Erano completamente nelle sue mani, e il mago biondo sembrava piuttosto combattuto, non si fidava, non si fidava affatto. Non avrebbe rischiato di irritare ulteriormente quell'uomo, non per dar voce alla sua paura. Ora doveva essere forte e aspettare, ma era così difficile non scoppiare a piangere come una bambina.
Sentiva le lacrime premere prepotentemente per uscire, mentre aveva l'impressione che Lucius potesse addirittura udire i battiti furiosi del suo cuore.
Improvvisamente si alzò: doveva fare qualcosa, stava impazzendo.
I freddi occhi di Malfoy si mossero appena verso di lei.
“Vado a preparare qualcosa di caldo se sei d’accordo.” annunciò la ragazza con un filo di voce, l'altro non rispose, ma tornò stancamente a posare lo sguardo su Severus. Iris interpretò questo suo gesto come un sì, e si allontanò.


* * *



Gli sembrava di sentire delle voci: qualcuno lo stava chiamando. Il mago dai capelli corvini cercò di capire chi fosse, ma vedeva solo il buio.
“Severus, Severus, svegliati!”
Provò a voltare lentamente la testa verso quel suono, gli sembrava che fosse diventata incredibilmente pesante e bollente come se fosse avvolta in una coperta calda e umida.
Cercò ancora di trovare il proprietario di quella voce, una voce familiare, anche se completamente attutita da quella maledetta coltre che lo avvolgeva. Continuava a non vedere niente, ci volle un po’ perché il mago si rendesse conto di avere gli occhi chiusi.
Un leggero mugolio uscì dalle sue labbra, mentre si sforzava di compiere quel banalissimo gesto di sollevare le palpebre; sarebbe stato più facile ordinare ad un tavolo di sollevarsi, aveva quasi l’impressione che i suoi occhi non gli appartenessero.
Alla fine una piccola lama di luce lo avvertì che i suoi sforzi stavano avendo successo. Lentamente al buio si sostituì, prima una nebbia chiara, e poi un volto, bianchissimo incorniciato da lunghi capelli biondi.
Severus sbatté le palpebre, cercando di capire cosa ci faceva apparentemente sdraiato su un letto, mentre un uomo lo fissava, con un sorriso sghembo dipinto sul volto.
Improvvisamente i ricordi tornarono prepotentemente a riempire il suo cervello, Malfoy, le lacrime di Iris, il dolore alla schiena e poi più nulla.
Lucius, lui era lì per ucciderli, Iris, dov’era? L’aveva uccisa? Se Lucius era lì significava che era riuscito ad ucciderla.
“Iris!” la sua voce uscì rauca e soffocata, nonostante lo sforzo le labbra si socchiusero appena. Senza che lui se ne rendesse conto, il suo corpo era scattato a sedere, a frenarlo, prima ancora della dolorosa fitta di avvertimento che il brusco movimento gli aveva procurato, furono le mani dell’altro posate sul suo petto, che lo spinsero gentilmente, ma energicamente verso il letto. Man mano che il giovane si rendeva conto di ciò che poteva essere successo, sentiva l’ansia impadronirsi di lui e soffocarlo.
Prese a dibattersi trattenuto dalle mani di Malfoy.
“Iris, dov'è? Cosa le hai fatto?” ringhiò.
“Smettila!” gridò l’altro. “Severus, fermati, riaprirai le ferite. Iris è qui, guarda, è viva, è qui con te.”
Lucius sollevò lo sguardo indicando la porta, Iris stava entrando con una tazza fumante in mano.
Appena si accorse che Severus era sveglio, lasciò cadere la tazza e si precipitò accanto al suo letto.
“Severus, sì, sono qui, guardami, sono qui!”
Il giovane la fissò, incredulo, poi i suoi occhi neri, ancora lucidi di febbre corsero a cercare le iridi chiarissime del mago biondo. Stava sognando? Quello era forse un altro macabro gioco di Malfoy?
Sollevò faticosamente una mano verso il viso della donna, che si scansò bruscamente, come sempre, ma questa volta Severus ne fu felice: era lei, questa volta era la vera Iris, sorrise.
“Sei veramente tu? Iris, sei viva?” poi tornò a fissare il mago alto, al lato opposto del letto, era seduto con la schiena diritta, il mento forzatamente sollevato e osservava la scena con un'espressione infastidita.
“Cosa... Lucius, che significa?”
Malfoy si alzò di scatto e, voltando le spalle all'amico, si avviò verso la porta, arrivato alla soglia si fermò voltando il capo quel tanto per poter lanciare a Severus uno sguardo obliquo. “Pagherò il mio debito, Severus, non dirò a nessuno della donna, ma il mio dovere finisce qui. Se dovessi metterti contro l'Oscuro Signore, non esiterò ad ucciderti, io ti ho portato da lui, non lascerò che il tuo comportamento sconsiderato trascini nel fango anche me.”
Poi tirò fuori le bacchette dei due ragazzi dalla tasca e le lanciò sul letto.
“Ora puoi fare anche da sola.” disse rivolto ad Iris e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Severus ed Iris lo seguirono con lo sguardo, poi la maga incrociò le braccia sbuffando.
“Credi che dovremmo fidarci?”
Piton piegò appena gli angoli delle labbra in qualcosa che somigliava ad un sorriso un po’ incerto “Ha dato la sua parola, manterrà la promessa.” mormorò.
Iris si avvicinò al letto e raccolse le due bacchette, posò quella di Piton sul comodino e puntò la sua sui cocci della tazza che ancora giacevano sparsi nel pavimento.
“Reparo!” borbottò, poi, voltandosi verso l’altro: “Sai, questo non mi fa sentire meglio, visto che ha promesso di ucciderti.”
“Sì, è vero.” disse l'altro, trattenendosi a fatica dal ridere.
Tossì, i suoi muscoli non ne volevano sapere di fare qualsiasi movimento, tanto meno di subire gli scossoni di una bella e sana risata.
Si rilassò sul cuscino, le labbra leggermente socchiuse, mentre i capelli neri, ancora umidi di sudore, si allargavano come tentacoli scuri spargendosi sulla federa di lino.
Voltò la testa lentamente verso Iris.
“Posso diventare il tuo custode segreto se vuoi, neanche Lucius potrà mai ritrovare questa casa.”
“Ma sei tu, quello che vuole uccidere, non è di me che mi preoccupo.”
“Beh, se mai dovessi tradire apertamente l'Oscuro Signore, Malfoy diventerebbe la mia ultima preoccupazione”.
“Per questo non lo farai, promettimi che non lo farai.” lo supplicò Iris.
Severus non rispose: davanti ai suoi occhi, apparve improvvisamente l'immagine della donna che aveva appena ucciso, la donna che credeva essere la sua Iris.
Si rese conto che un giorno o l'altro si sarebbe trovato a dover disubbidire ancora: Voldemort avrebbe nuovamente potuto chiedere troppo, quel giorno, forse, il suo Signore non sarebbe stato disposto a credere ancora alle sue favole.
Guardò il viso preoccupato della strega, cosa avrebbe potuto dirle? La verità? Che era stanco di obbedire? Che quando si trovava davanti al suo Signore avrebbe solo voluto gridargli che non voleva più essere il suo boia? Che non avrebbe più ucciso per un suo ordine?
Oppure, che non lo avrebbe mai tradito?
“Non lo farò, promesso.” mentì.
Iris era sempre piena di speranze e di sogni, lui non aveva più sogni, ormai, quello che gli restava era solo un incubo infinito dal quale non voleva più illudersi di poter uscire.
Probabilmente le cose sarebbero andate sempre peggio: anche se Voldemort sembrava essersi convinto della sua lealtà, questo non gli avrebbe evitato di uccidere ancora.
Una nuova missione, un nuovo veleno, cosa avrebbe chiesto la prossima volta?
“Non ti chiederò altre dimostrazioni” Le parole del suo Signore risuonavano nella sua testa, le sue labbra si piegarono involontariamente in un smorfia: ora non doveva più dimostrare la sua fedeltà, ora lui era un vero Mangiamorte, uno che non uccide per mostrarsi leale, uccide perché vuole farlo, per quello che Malfoy chiamava “entusiasmo per la causa”.
Sentì improvvisamente la nausea bruciargli la gola, voltò la testa di lato e chiuse gli occhi fingendo di addormentarsi, era davvero esausto, non gli fu difficile far credere ad Iris di aver bisogno di riposare.
Appena la maga lasciò la stanza chiudendo la porta dietro di sé, Severus aprì di nuovo gli occhi, un sospiro sfuggì dalle sue labbra, si sentiva in trappola come un ragno che finisce per legarsi nella sua stessa tela, non poteva andare avanti così, si svegliava ogni mattina cercando di inventare una nuova scusa per giustificare i suoi fallimenti o per evitare di macchiarsi ancora le mani di sangue, spesso solo per poter uccidere più in fretta.
Aveva imparato a mentire davanti al suo Signore, qualcosa che nessun altro mago era riuscito a fare, ma quanto sarebbe durata? Il suo amore per Iris, la paura di perderla, erano il suo punto debole.
La sera precedente c'era mancato davvero poco, aveva rischiato di farsi scoprire, aveva rischiato di rivelare a Voldemort l'esistenza della maga. Se non si fosse accorto in tempo della trappola di Lucius, si sarebbe suicidato, lasciando la vera Iris indifesa.
Non poté fare a meno di pensare che, forse, era lui stesso il maggior pericolo per lei.
Se Voldemort fosse riuscito a leggere nella sua mente?
Il suo amore stava diventando sempre più forte, sempre più difficile da nascondere. Se le fosse successo qualcosa per colpa sua non avrebbe mai potuto perdonarsi.


* * *



Iris, intanto era in cucina: stava preparando qualcosa di caldo per sé e per Severus.
Cominciava ad abituarsi a quella stufa babbana e armeggiava disinvolta tra i fornelli regolando il calore con la bacchetta. Un paio di tazze galleggiavano a mezz’aria accanto a lei, pronte per essere riempite.
Si voltò per prendere il mestolo sul tavolino e lo vide: Severus era sulla soglia, pallido e tremante. Si appoggiava con una mano allo stipite della porta con l'altra stringeva i lembi del mantello a coprire la fasciatura.
“Severus, cosa ci fai in piedi?” scattò la maga, che, scansando le tazze galleggianti con un gesto brusco del polso, si affrettò verso di lui.
“Devi tornare a letto, ti sto preparando qualcosa di caldo, oggi devi restare a riposo.”
Piton la fissò, scuotendo la testa.
“Mi dispiace, ti ho messo in pericolo.”
“Cosa?”
“E' stata colpa mia, Lucius non ti avrebbe mai trovata se non avesse sospettato di me, io sono un pericolo per te.”
“Severus, ma cosa stai dicendo? Hai la febbre, vai a letto.”
“No, Iris, tu non capisci, ho temuto di perderti ieri,” strinse il pugno con rabbia. “Non voglio più provare una cosa del genere, mai più.”
“Smettila, anch'io ho avuto paura ieri, ma non puoi fuggire dal mondo per evitare di soffrire. Hai detto di amarmi, allora fallo per me, devi aver fiducia, prima o poi le cose si sistemeranno.”
“No, non si sistemeranno, tu non vuoi capire, sono stanco di aspettare qualcosa che non avverrà mai, Iris, lui non cadrà, lui non sarà mai sconfitto. Io non voglio tornare là, non voglio più, non dopo quello che è successo ieri.” si staccò dalla parete.
“Non posso starti lontano, voglio toccarti, voglio baciarti, se morirò dopo non mi importa, niente ha importanza se non posso averti. Ieri io ti avrei ucciso, ero convinto che quella donna fossi tu, l'avrei fatto davvero, in quel momento ho desiderato solo una cosa…” fece per avvicinarsi.
“NO!” gridò Iris. “Non te lo permetterò, ti prego allontanati. Ho paura, tremo ogni volta che ti avvicini al solo pensiero che tu possa sfiorarmi inavvertitamente. Morirei se ti succedesse qualcosa.”
Indietreggiò di qualche passo, ma lui fu di nuovo sopra di lei, sollevò una mano sfiorandole il viso, era così vicina che lei poté sentire il calore delle sue dita sulla guancia.
Chiuse gli occhi: quanto desiderava che lo facesse, desiderava il tocco di quelle dita più dell’aria che respirava.
Per un attimo si abbandonò a questo sogno impossibile, un istante infinito nel quale quella mano così vicina le aveva fatto dimenticare la sua maledizione, ma fu solo un istante, poi la maga arretrò di scatto e fissò l’uomo che aveva di fronte con rabbia.
“Severus, sai che non è possibile, perché vuoi torturare entrambi in questo modo? Se mi ami, non avvicinarti. Perché ti rifiuti di sperare? Come puoi essere sicuro che lui vincerà?”
Il mago bruno abbassò lo sguardo.
“Lo so! Checché ne dicano, veggenti strampalate o presunti profeti. Lui non cadrà.”
Scoppiò in una risata isterica, allargando le braccia in un gesto di rassegnazione e lasciando scivolare a terra il mantello.
“Un mago non ancora nato, Iris, sono queste le nostre speranze? Il mago potente che dovrebbe sconfiggere il Signore Oscuro, non è neanche nato.”
Iris continuava a guardarlo con un misto di terrore e stupore negli occhi.
“Quante possibilità abbiamo di sopravvivere? Un neonato...” Si portò le mani nei capelli continuando a ridere, una risata dolorosa, mentre rivoli salati di lacrime presero a scivolare sulle sue guance. “... quando sarà in grado di combattere? Quando, Iris? Fra vent'anni? Cosa resterà del nostro mondo, fra vent'anni? Cosa resterà di me, di noi, fra vent'anni? Vuoi che continui ad uccidere, sperando che un giorno tutto venga cancellato e noi potremo vivere insieme? E' questa la tua speranza?”
“Ora basta!” Iris, improvvisamente, puntò la bacchetta verso Piton. “E’ la febbre che ti fa parlare così. Torna a letto, Severus, non ti permetterò di fare stupidaggini, a costo di schiantarti.”
Il giovane la fissò incredulo, poi, con un profondo sospiro, lasciò cadere le braccia sui fianchi e indietreggiò appoggiandosi con la spalla alla parete.
Restò in silenzio con gli occhi chiusi per diversi secondi, poi mormorò a denti stretti.
“Scusa, hai ragione, dev’essere la febbre, domani andrà meglio, sì, domani tutto andrà a posto.” e si trascinò faticosamente su per le scale, seguito dallo sguardo di Iris, che ancora tremava all’idea che Piton potesse compiere un gesto inconsulto.


* * *



Le settimane che seguirono, Iris si occupò di lui con tanta premura e dedizione da scatenare spesso le proteste del giovane mago.
Ogni mattina, Piton, era svegliato dal delicato profumo di dolci e the bollente che galleggiavano a fianco al suo letto. Iris attendeva che finisse la colazione e poi cominciava ad armeggiare con la bacchetta per sciogliere e cambiare la fasciatura.
“Smettila di viziarmi, posso fare da solo.” brontolava puntualmente, ogni volta che lei si avvicinava col suo fare da crocerossina e un’espressione divertita dipinta sul volto.
Severus immaginava che quella situazione dovesse piacerle parecchio, sì, si divertiva a torturarlo.
Quel giorno la scena si ripeté.
“Andiamo, non protestare, lo so che ti piace essere accudito.” il sorriso della maga si allargava sempre di più. Piton la guardò torvo, a quanto pareva era diventato il suo passatempo preferito.
“Iris, Iris, ti prego posso, io…io ce la faccio da solo, smettila, così mi fai il solletico.” boccheggiò tentando di afferrare la coperta che si era sollevata da sola, mentre i pantaloni di un pigiama pulito gli svolazzavano intorno cercando di centrare i suoi piedi.
“Sei un brontolone, ma perché non riesci a goderti un po’ di riposo?” continuava a ridere, una risata cristallina, Piton pensò che non poteva esistere al mondo una musica più piacevole.
Per un attimo fissò quel volto sereno e luminoso, quanto doveva essere differente dal suo.
Nelle sue iridi nerissime si poteva leggere l’ammirazione e lo stupore di chi aveva dimenticato cosa fosse la serenità, lui era tenebra, la notte che anela alla luce del sole, senza mai poterla raggiungere.
Distolse lo sguardo.
“Cosa c’è?” Iris si era accorta che qualcosa aveva turbato il giovane mago: aveva smesso improvvisamente di borbottare e si era incupito.
“Nulla, non preoccuparti.” cercò di rassicurarla, ma continuò a fissare il vuoto di fronte a sé.
“Severus, guardami, io non sono sul lampadario.” disse, e sollevò gli occhi seguendo la traiettoria dello sguardo di lui.
Piton chiuse gli occhi e un profondo sospiro uscì dalle sue labbra.
“Non è successo niente, ti prego lascia che io finisca di vestirmi… da solo.” sottolineò particolarmente le ultime parole.
“Sono guarito, ti assicuro che sto bene.” continuò, notando l’espressione contrariata di Iris.
“D’accordo!” mormorò lei, mentre, volgendogli le spalle, si avviava stizzita verso la porta della stanza. “Iris!” la voce del mago la bloccò proprio mentre si accingeva ad afferrare la maniglia.
“Ora sto bene, davvero. Se vuoi possiamo uscire, ti va di fare una visita alla vecchia quercia?”
La strega si voltò sorridendo, non disse niente, ma la sua espressione fu più che eloquente, Severus annuì.
Dopo pochi minuti, il mago la raggiunse al piano di sotto, vestito e pronto per la gita in collina.
“Andiamo?” disse, incrociando le braccia, con fare impaziente.
Iris lo guardò stupita, poi infilò velocemente alcuni sandwitch in una borsa e si avvicinò all’altro fissando il suo naso prominente dal basso della sua statura.
“Ma certo, sono pronta a seguire questo grande nasone anche in capo al mondo.” lo canzonò.
Severus si limitò a un debole grugnito, poi entrambi si Smaterializzarono.


Continua…


Pronti per un'altra scampagnata? Non vi dirò di più sul capitolo che vi aspetta, già il titolo “Baciato dal vento” dice molto, provate voi ad indovinare cosa succederà?

Ciao, ciao!




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Capitolo 12
*** Cap 12: Baciato dal vento ***


Cara Akiremirror Ummm! Se mi dai della sadica adesso, mi chiedo cosa mi dirai più avanti. Purtroppo l’incantesimo è a doppio senso, non scatta solo per difesa, se Iris dovesse toccare, anche solo sfiorare, Severus, lui morirebbe subito. E riguardo al marchio, il fatto che Severus passi dalla parte del bene non influisce sul suo potere. E’ la presenza di Voldemort che lo fa funzionare, infatti quando, nel quarto libro, Voldemort sta riacquistando il suo potere, il marchio sul braccio di Piton e di Karkaroff diventa più evidente. Cosa ne deduci? Cosa potrebbe indebolire abbastanza il marchio da spezzare la maledizione?
Ciao Ellinor, bentrovata. Un bacio etereo dici? Sì, direi che non ci sei andata lontano

Buona lettura!


CAP. 12: Baciato dal vento

Il cielo era limpido, era una giornata magnifica, nonostante soffiasse un forte vento. L'erba alta si piegava disegnando strane figure sui fianchi della collina, mentre Hogwarts si stagliava maestoso come sempre all'orizzonte.
Iris corse fino ai margini del colle, dove questo si gettava quasi a strapiombo sprofondando nel lago nero.
Senza distogliere lo sguardo dal magnifico paesaggio, si afferrò con una mano i capelli strappandoli all'irruenza del vento.
Sorrise, il lago era davvero magico quando il respiro della natura ne increspava le acque scure, rendendolo simile ad una distesa di piccole schegge d'argento.
Si sedette sull'erba, imitata da Severus, e cominciò a sistemare su una piccola tovaglia il loro pranzo, cercando di fissare i lembi della stoffa con dei pesi, in modo che il vento non la sollevasse. Severus la osservava, mentre cercava di districarsi dai capelli che continuavano a svolazzare davanti ai suoi occhi intralciandola nel suo minuzioso lavoro.
Alla fine Iris sbuffò spazientita e, puntandosi la bacchetta alla testa, pronunciò un incantesimo. Immediatamente i capelli nerissimi si sistemarono in una serie di piccole trecce tenute ferme sulla nuca da un fermaglio d'argento.
“No, non così, ti prego, lasciali sciolti.” intervenne il mago.
“Ma, Severus, non riesco a combinare niente con i capelli negli occhi.” protestò.
Severus scosse semplicemente il capo, mentre le sue labbra si piegavano dolcemente, afferrò la bacchetta e la puntò verso la maga.
Prese a muovere la piccola asticella magica disegnando nell'aria lo stesso intricato gioco dei capelli della sua Iris e questi iniziarono lentamente a seguire i movimenti della sua mano, le ciocche scivolarono l'una sull'altra fino a sciogliersi completamente divenendo nuovamente preda di quel vento impetuoso.
“Così va meglio,” sussurrò. “Finisco di sistemare io qui.”
La giornata trascorse velocemente. Dopo aver mangiato, entrambi si sdraiarono sull'erba. Parlarono per ore, finché Iris si accorse che il suo Severus cominciava a partecipare sempre meno ai suoi discorsi, rispondeva appena, mormorando un sì o un no ogni tanto, finché addirittura non si limitò a qualche piccolo cenno del capo.
La maga si sollevò mettendosi seduta, guardò il volto magro del giovane: Severus si era improvvisamente incupito, gli occhi persi in qualche oscuro pensiero.
Non si era neppure accorto che lei aveva smesso di parlare e lo fissava spaventata.
“Ti senti bene?” mormorò con un filo di voce.
“Sì, non preoccuparti.” Si voltò lentamente su un fianco, il viso si contrasse impercettibilmente: la schiena gli doleva ancora, ma cercò di non darlo a vedere.
Il suo sguardo si posò sulla mano di lei, una mano piccola e bianchissima, sprofondata quasi completamente tra i fili d'erba. Allungò il braccio e, senza parlare, prese a giocare con l'erba che si insinuava fra quelle esili dita.
Iris non si mosse, fissò con apprensione la mano del mago che si muoveva così pericolosamente vicina alla sua. Trattenne il respiro, quando, con l'indice, il giovane iniziò a seguire il contorno delle sue dita come se volesse disegnarne la sagoma sul terreno umido.
“Severus, ti prego smettila.” mormorò con la voce tremante.
Il mago sorrise, ma continuò il suo gioco.
“Severus basta così!” Iris si alzò di scatto. “Vieni, camminiamo un po'.” disse allontanandosi da lui, senza accorgersi che, al suo gesto, la mano del giovane si era chiusa sull'erba strappandola con rabbia dal terreno.
Il mago si alzò e la raggiunse, il volto irrigidito, sembrava aver perso la capacità di provare una qualunque emozione. Senza parlare adattò semplicemente il suo passo a quello di lei, e continuò a camminare al suo fianco.
Iris fissò lo sguardo davanti a sé, non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi in quel momento, lui sembrava voler fare altrettanto.
Camminarono per diversi minuti, verso un sole ormai morente, fra loro solo un doloroso silenzio.
Poi, improvvisamente, Iris si accorse che il mago non era più al suo fianco, si voltò e sentì il suo cuore perdere un battito: Severus era rimasto indietro, era immobile e la fissava incantato.
Sembrava sul punto di esplodere. Certamente avrebbe fatto qualche sciocchezza. Lo vide stringere gli occhi come se il solo guardarla gli procurasse dolore.
Ogni volta che sentiva i suoi profondi occhi neri posarsi su di lei, sapeva che il cuore del giovane gridava di desiderio: non poterla neppure sfiorare stava diventando una tortura insopportabile.
Sempre più spesso lo vedeva chiudere gli occhi in sua presenza, come se, rifugiarsi nel buio, potesse affievolire la sua bramosia.
Iris si avvicinò lentamente, scrutò in silenzio quel viso pallido e spigoloso, indurito nel vano tentativo di difendersi dall’amore, vide le lacrime sgorgare faticosamente dalle palpebre serrate e segnare le sue guance.
Non ce la faceva a vederlo così, sapeva ciò che stava provando in quel momento: lei lo desiderava con altrettanta forza.
“Severus!”
Il mago sussultò: non l’aveva sentita avvicinarsi.
Aprì gli occhi e la fissò. Il suo sguardo era vuoto.
Per un istante Iris vide un’ombra di follia velare quegli occhi ed ebbe l’impressione che lui stesse per afferrarla: un gesto disperato.
L’immagine dell’uomo che amava che si contorceva sul pavimento come suo padre, apparve nella sua mente e la maga indietreggiò terrorizzata, ma Severus non si era mosso, sembrava quasi assente.
Improvvisamente parlò, con una voce fredda che la fece rabbrividire.
“Voglio amarti ora.”
Lei scosse il capo sbigottita, si sentì gelare il sangue.
Prese a tremare vistosamente. “Severus, mi fai paura, ti prego, tu non sai quello che dici, non ricordi quello che è successo a mio padre?”
Ma lui sembrava non ascoltare.
“Voglio fare l’amore con te, io ti amo.” disse semplicemente. “Ti amo più della mia vita stessa, ti prego, voglio donartela, se devo morire per averti non m’importa.”
“No, no, non è così che deve andare, la causa di tutto questo dolore è Voldemort, lui cadrà e solo allora noi saremo liberi, Severus, amore mio, ti prego, non voglio che ti lasci andare, devi lottare. Combatteremo insieme per questo amore, noi vinceremo, Severus, e saremo liberi di amarci per il resto della vita. Io voglio questo, Voldemort non ce lo toglierà.”
Si avvicinò al mago, prima con un po’ di timore, sperando che lui non compisse un gesto folle.
Quando vide il volto del suo Severus rilassarsi, sorrise e si avvicinò ancora sollevandosi sulla punta dei piedi fino quasi a sfiorare le labbra del mago con le sue.
“Però…” sussurrò fissando lo sguardo carico di desiderio del suo uomo. “… posso darti qualcosa che addolcirà l’attesa.”
Lui dischiuse le labbra come per parlare, ma lei lo bloccò avvicinando la mano alla sua bocca.
“Chiudi gli occhi,” disse. “Ora ascolta il vento.”
Il mago fece come lei gli aveva chiesto.
Improvvisamente una melodia struggente e dolcissima lo invase, la voce di Iris sembrava galleggiare nella leggera brezza che come dita delicate accarezzava il suo viso.

Intorno all’idol mio*
Spirate pur spirate
Aure soavi e grate


Severus sentì il leggero tocco del vento farsi sempre più audace, una piacevole sensazione di calore lo avvolse come un abbraccio.

E nelle guance elette
Baciatelo per me
Cortesi aurette


Per un istante ebbe l’impressione che il vento fosse diventato corporeo, si lasciò carezzare da quelle dita impalpabili provando un brivido di piacere.
Sentì le labbra di Iris sfiorare le sue, sentì il calore del suo respiro sulla sua bocca; era qualcosa di incredibile e stupendo.
Il giovane mago si portò le mani sul viso cercando quello di lei, ma non vi trovò che l’aria.
“Iris!” la sua voce era rotta dall’emozione.
“Tieni gli occhi chiusi.” sussurrò la maga e poi riprese il canto.

Al mio ben che riposa
Sull’ali della quiete,
grati sogni assistete
e il mio racchiuso ardore
svelategli per me


“E’ bellissima” mormorò Severus senza aprire gli occhi. “Che cos’è?”
“E’ un’antica aria babbana.” rivelò maliziosa.
Severus ebbe l’impressione che il suo corpo non avesse peso, era lì, in piedi, con addosso la sua pesante tunica nera, eppure l’unica cosa che sentiva era il tocco delle mani di lei.
A quale incredibile magia stava assistendo? Avrebbe voluto abbracciarla, sentiva la sua presenza, sentiva il suo corpo, ma non era solido, non riusciva ad afferrarlo, eppure era una sensazione così forte, sembrava reale, era reale.
Non era solo il vento, era una donna, era la sua Iris. Poteva sentire perfino i battiti del suo cuore, il pulsare del sangue nelle sue vene, il ritmo lento del suo respiro, i suoi baci.
Iris, lo guardò, l’espressione stupita di Severus le strappò un sorriso.
“Non cercare di capire, Severus, abbandonati.” sussurrò.
Completamente inebriato il giovane mago allargò le braccia e si offrì al vento, credette di diventare egli stesso aria, la stessa che ora accarezzava la sua Iris, si insinuava tra i suoi capelli e sfiorava la sua bocca, percorrendo poi ogni centimetro della sua pelle, scivolando delicatamente sul suo corpo caldo, fino a diventare parte di lei.
Le labbra socchiuse tremavano leggermente e lacrime di gioia presero scivolare lentamente sul volto pallido del mago, mentre assaporava quella sensazione meravigliosa.
“Ti amo!” disse con un filo di voce, come se temesse di rompere quell’incanto.
Era felice, forse per la prima volta nella sua vita.
Sentiva di non meritare un simile dono, ma non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo, aveva bisogno di quell’amore, ne aveva bisogno come l’aria che respirava.
Il mago ascoltò i battiti del suo cuore: era una piacevole musica, una musica gioiosa che parlava di sogni e di felicità.
Non aveva mai ascoltato quelle pulsazioni, aveva sempre cercato di soffocarle e zittirle: per lui erano state unicamente indice di paura e disperazione.
Aveva reso muto il suo cuore, così come aveva imbavagliato la sua coscienza, perché non gridasse con la voce delle sue vittime.
Ora quel silenzio si era definitivamente spezzato, ma, con suo grande stupore, non ci furono solo grida e disperazione, ma anche speranza, come se, di fronte all’amore, anche i suoi fantasmi potessero finalmente trovare pace.
Grazie ad Iris quel petto, che lui aveva reso freddo e silenzioso, aveva ripreso a cantare e a vivere.
Il mago sapeva che per quell’amore avrebbe pagato un alto prezzo: un cuore vivo è anche un cuore capace di sanguinare. Tuttavia, ora ne era certo, era quello che voleva.
Il destino aveva saputo davvero prendersi gioco di lui: il giorno in cui aveva conosciuto la sua Iris, era stato il giorno più brutto della sua giovane vita.
Aveva imparato ad uccidere, aveva imbrattato la sua anima col sangue di un innocente. Eppure, quello stesso giorno, grazie a lei aveva cominciato a scoprire il valore della vita, di quella che aveva stroncato e anche della sua, una vita che aveva gettato via per assecondare i sogni di gloria di un pazzo assassino.
Altro sangue avrebbe sporcato le sue mani dopo quel giorno, molto altro.
L’amore di Iris l’avrebbe sempre sostenuto, nello stesso tempo, però, avrebbe alimentato i suoi rimorsi.
Lei aveva pian piano risvegliato il suo cuore, un cuore che non sapeva darsi pace.
Una tortura, la sua, alla quale però non voleva rinunciare.
Avrebbe potuto nuovamente mettere a tacere quel cuore, e i suoi sentimenti, ma, insieme al dolore, avrebbe cancellato anche l’amore di Iris, e questo non poteva, non voleva farlo.
Il mago aprì gli occhi, Iris era di fronte a lui, anche lei con le braccia aperte e la testa all’indietro, completamente abbandonata all’abbraccio del vento. I capelli disegnavano intricati merletti intrecciandosi in una leggiadra danza.
Severus fissò quella figura che si stagliava contro il sole morente, colorandosi di fuoco, si sentì bruciare da quel fuoco, si sentì vivo.
Ora più che mai era deciso a combattere per riavere ciò che Voldemort gli aveva portato via.
Avrebbe lottato, per avere quell’amore, avrebbe affrontato Voldemort, avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per fermare quell’assassino e l’amore sarebbe stato la sua forza.
Si portò la mano al petto e prese a stringere la ruvida stoffa della tunica tra le dita, quel battito frenetico ed eccitato era quasi doloroso.
Sorrise: mai dolore era stato così piacevole.
Provò a regolare il respiro, senza distogliere lo sguardo dalla sua Iris: era bellissima immersa in quella luce. Una fiamma che ardeva solo per lui, specchiandosi nei suoi limpidi occhi neri e riscaldando il suo cuore.
“Grazie!” mormorò, mentre le lacrime continuavano a scivolare sulle sue guance.
Il mago non tentò nemmeno di fermarle: aveva bisogno di quelle lacrime. Come un fiume in piena stavano trascinando con sé il dolore, lavando e lenendo le ferite della sua anima.


Continua…




*L'aria antica “intorno all'idol mio” è tratta dall'opera “Orontea” di Marco Antonio Cesti

Appuntamento alla prossima settimana, il capitolo s’intitolerà: “Tra le spire del serpente”, della serie, l’ho fatto godere un po’, ma ora basta, altrimenti il mio Severus ci si abitua e lui deve restare sfigato.

Ciao, ciao!




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Capitolo 13
*** Cap 13: Tra le spire del serpente ***


Cara Akiremirror, che dire? Fai bene a preoccuparti, ummmmm, le tue ipotesi sono mooolto interessanti. Sinceramente non so se risponderti o no, non vorrei rivelare troppo, ma d’altra parte non vorrei “illudere” la mia più assidua commentatrice. Vuoi sapere se alla fine della storia si toccheranno? Ok, la risposta è sì, anzi, mi voglio rovinare, e ti dirò che alla fine (beh, non proprio alla fine) potranno addirittura (rullo di tamburi) baciarsi. E posso dirti anche che non sarà alla caduta definitiva di Voldemort, anche perché questa ff finirà molto prima di allora, anzi abbiamo superato di gran lunga la metà, ci stiamo avvicinando pericolosamente alla conclusione. Ma ti consiglio di rileggere quello che ho scritto nell’introduzione alla storia e forse capirai cosa ti aspetta (credo che l’appellativo di sadica non sarà più sufficiente). A proposito, dopo aver letto la tua ff sono doppiamente curiosa di sapere cosa penserai della mia interpretazione degli avvenimenti che hai mostrato nei ricordi di Piton, perché ci arriveremo presto.

Buona lettura!


CAP. 13: Tra le spire del serpente

Il mago strinse gli occhi, infastidito dal fumo, quel sotterraneo ne era saturo e un odore sgradevole si spandeva dal calderone al centro della stanza.
Lucius Malfoy era in piedi sulla soglia e si guardava intorno; tutto era immerso nella più tetra oscurità, l'unica fonte di luce era la fiamma sotto la Pozione.
“Chiudi quella porta!” ringhiò una voce che sembrò uscire dal nulla.
Il mago biondo fece qualche passo avanti e lo vide: Severus Piton era intento a versare del liquido scuro in quella malga maleodorante.
Sollevò appena gli occhi dal calderone.
“La luce altera la Pozione,” disse secco. “Cosa vuoi?”
Malfoy si avvicinò ulteriormente, senza dire una parola, osservò il liquido di un color rosso acceso che gorgogliava come lava fusa in quel grosso pentolone di peltro, arricciò le labbra in una smorfia di disgusto, poi, con fare altezzoso, afferrò un fazzoletto di pizzo e se lo portò a coprirsi il naso.
“Sono due giorni che te ne stai chiuso in questo posto fetido, ho immaginato di doverti mettere al corrente delle ultime novità.” disse, mentre un sorriso sghembo si disegnava sul suo viso.
Severus lo fissò infastidito.
“Lucius, come puoi vedere sono molto occupato, se hai da dirmi qualcosa, fallo e poi vattene.”
“Sei decisamente di cattivo umore, oggi. Io ero venuto per fare un po' di conversazione, pensavo che ti facesse piacere.”
Il mago bruno gli lanciò un'occhiata infuocata.
“Va, bene, d’accordo, vedo che non hai voglia di socializzare.” disse agitando una mano davanti a sé come a voler tranquillizzare l'altro. “In effetti ero venuto per sapere se avevi visto i Potter ultimamente.”
Quel cognome destò l'attenzione di Severus, che si bloccò col mestolo a mezz'aria e, pur continuando a tenere gli occhi sulla Pozione, improvvisamente sembrò rapito da tutt'altra visione, le sue iridi nerissime parevano fissare qualcosa al di là del metallo rovente, qualcosa di lontano.
“Perché avrei dovuto incontrare i Potter?” disse pensieroso.
“Magari per felicitarti con la tua amichetta dai capelli rossi.”
Severus sollevò di scatto la testa.
“Non so di cosa stai parlando, Lucius,” soffiò fissando l'altro, gli occhi ridotti a due fessure. “Sai bene che Lily non è amica mia.”
poi, tornando a mescolare il denso liquido scarlatto:
“Ora, se non ti dispiace, ho del lavoro da fare.”
Le labbra del mago biondo si allargarono in un sorriso cattivo, quando la consapevolezza si fece strada nella sua mente.
“Allora, davvero non lo sai.”
“Cosa dovrei sapere?”
Malfoy non rispose immediatamente, ma, per qualche istante lo osservò in silenzio, quasi assaporando, secondo dopo secondo, l'accrescersi del desiderio di sapere che stava provocando nell'amico.
“A quanto pare James Potter è diventato padre.” ghignò.
Severus fece un gesto di stizza.
“Questa sarebbe una notizia importante?” afferrò una piccola ampolla e prese a versarne il contenuto, nel calderone, una goccia alla volta, contando sottovoce.
“No, c'è di più, sembra che questa nascita, abbia destato particolarmente l'interesse del Signore Oscuro.”
“Da quando, il Signore Oscuro si interessa...”
Non finì la domanda, le parole gli morirono in gola, mentre il braccio che stava versando il liquido dell'ampolla tremò vistosamente e una grossa quantità di quella sostanza oleosa si riversò nel calderone.
“AAAAAH!”
Spruzzi di liquido bollente erano finiti sulla sua mano, il mago lasciò cadere l'ampolla e si avvolse le dita con un lembo della tunica, imprecando. Poi tornò a guardare Malfoy che sembrava divertito dalla situazione: continuava a fissarlo sorridendo da dietro il fazzoletto che teneva ancora premuto sul viso.
“Quando è nato, quando?” chiese, forse con troppa impazienza, della quale si pentì immediatamente e cercò di ritrovare, per quanto possibile, il suo solito atteggiamento distaccato.
Malfoy, fece una smorfia .
“Ieri, per quel che so.”
“All'estinguersi del settimo mese.” mormorò fra sé il mago bruno, poi si rivolse nuovamente all'amico cercando di mantenere un tono di voce pacato, anche se il timore di ciò che avrebbe sentito gli stava facendo scoppiare il cuore nel petto.
“Lily non sarà l’unica strega ad aver avuto un bambino, perché proprio suo figlio?”
“In realtà non c'è stata una grande attività delle cicogne in questo periodo.” rise. “Comunque sarà il figlio dei Potter a godere dei favori del nostro Signore, sul perché,” sollevò le spalle. “Non so risponderti.”
Si avvicinò all'altro chinandosi ad osservare la mano che il mago stringeva avvolta nella stoffa, l'afferrò per il polso sollevandola per poterla vedere meglio in quella fioca luce: sul dorso, la Pozione aveva provocato una brutta ustione.
“Dovresti concentrarti di più sul tuo lavoro, Severus, o rischierai di farti male sul serio.” lo schernì.
Il mago bruno ritirò la mano con uno scatto e la nascose nuovamente tra le pieghe della tunica, regalando all'altro una delle sue peggiori occhiate.
Senza farci troppo caso, Lucius continuò.
“Cosa stavo dicendo? Ah, sì, il piccolo Potter. E' da diverso tempo che Lui ci ha chiesto di tenerlo informato sulle nuove nascite, credo che sia per qualcosa che gli hai riferito tu, dovresti saperlo meglio di me. Comunque, sembra che il moccioso della mezzosangue sia quello che maggiormente risponde a certi criteri. Tu sai di che si tratta, Severus?”
“No!” disse secco.
Malfoy lo fissò scettico, ma l'altro continuò, con un tono di falsa cortesia.
“Bene, ora che mi hai aggiornato riguardo all'incremento demografico del mondo magico, Lucius, ti sarei grato se mi lasciassi proseguire con il mio lavoro, come vedi,” il suo sguardo indicò la Pozione che aveva assunto un disgustoso color verde marcio.
“L'incidente di poco fa ha vanificato il lavoro di due giorni, avrò parecchio da fare per rimediare e consegnare in tempo la Pozione al Signore Oscuro.”
Gli voltò le spalle e prese svuotare il calderone.
Il mago biondo decise che era inutile proseguire, non era affatto interessante conversare con la nuca di Piton. Si voltò facendo ondeggiare l'elegante mantello e infilò la porticina stretta che immetteva in quel luogo lugubre e maleodorante chiudendosela alle spalle con un tonfo.
Severus si voltò verso la porta, restò ad ascoltare per qualche secondo i passi dell'altro che si allontanavano.
Quando fu certo di essere rimasto solo, si voltò nuovamente verso la Pozione, il volto deformato da una furia cieca. Afferrò con entrambe le mani la pesante caldaia rovente e la scaraventò a terra insieme a ciò che restava della Pozione che prese a sfrigolare sparsa sul pavimento.
“No, no, no!” mormorò. “Ti prego, ti prego, questo no!” strinse i pugni, gli occhi spalancati e fissi sul calderone capovolto e sulla melma verdastra che continuava a fumare emanando un fetore disgustoso.
“Non è colpa mia, non posso essere stato io.”
Il vapore gli stava irritando gli occhi, ma Severus non li chiuse: avrebbe voluto piangere come un bambino, aveva bisogno di lacrime, di stupide ed inutili lacrime.
Lasciò che il fumo strappasse ai suoi occhi quello che lui non gli avrebbe mai concesso.
Se solo quelle piccole gocce salate avessero potuto lavare quell'ennesima macchia sulla sua coscienza.
Un errore, solo un errore, aveva sottovalutato la situazione, aveva messo in pericolo un bambino innocente e l’unica persona che gli avesse mai dimostrato un po’ di gentilezza: Lily Evans.
Non credeva affatto alle parole di quella donna, neppure Silente sembrava aver creduto a quell’assurda profezia, ma, il fatto che il Signore Oscuro la ritenesse vera, era sufficiente per condannare a morte un’intera famiglia.
Quante possibilità c’erano che un bambino nascesse proprio il giorno previsto da quella pazza? Quante le probabilità che un qualsiasi mago con certe caratteristiche, nascesse proprio quel maledetto trentuno Luglio? Era assurdo morire per una coincidenza.
“Io non volevo, io non sapevo, come potevo immaginare...” scosse il capo e si Smaterializzò.


* * *



Quando riapparve poco dopo, si trovava all'aperto circondato da alberi secolari che si innalzavano fino a svanire nella nebbia. L'intrico dei rami era così fitto da formare un unico soffitto scuro, simile alla volta di una cattedrale gotica.
Prese a correre, incurante dei rovi che gli strappavano i capelli. Teneva le mani protese in avanti cercando, per quanto possibile, di riparare il viso dai rami più bassi.
Non sapeva dove stava correndo, non gli importava.
In realtà avrebbe voluto solo fuggire da se stesso, avrebbe desiderato perdersi in quella foresta, dimenticare quello che aveva appena saputo, dimenticare di aver consegnato nelle mani del Signore Oscuro la vita di tre persone.
Se solo la foresta l'avesse inghiottito, cancellando con lui anche i suoi errori.
Improvvisamente il suo piede urtò contro qualcosa e il giovane si ritrovò con la faccia a terra: aveva inciampato su una radice scoperta.
Si mise seduto con la schiena appoggiata ad un gigantesco albero.
C’erano parecchie radici che fuoriuscivano dalla terra, s’intrecciavano formando una trama complicata.
Severus si fermò ad osservarle, sembravano grossi serpenti che si sollevavano maestosi per poi rituffarsi nella terra umida e scura. Si facevano più fitti e robusti, nella zona che era più vicina al fusto e, allontanandosi, si dipanavano simili ad orrendi tentacoli, scivolando l'uno sull'altro, fino ad incontrare un altro albero e altre radici alle quali avrebbero conteso il terreno.
Il giovane si sollevò la manica della tunica, lo stesso intricato disegno era impresso nella sua pelle, un serpente fuoriusciva dalla bocca di un teschio e poi si avvolgeva intorno allo stesso come in un macabro abbraccio.
Il Marchio Nero, simbolo della sua schiavitù, sembrava prendersi gioco di lui.
Quell'orrendo serpente non era più solo un segno sulla sua carne, pareva aver preso vita in quelle radici, ma quel paesaggio evocava molto di più.
Il mago si portò le gambe al petto ritirandosi in un piccolo spazio fra quei mostri di legno.
Le radici formavano come un anello intorno a lui, ed erano insieme una protezione e una gabbia, quella nella quale si era rinchiuso con le sue stesse mani, circa un anno prima.
Il ricordo di quando, inginocchiato al centro del cerchio, aveva ricevuto il suo Marchio era ancora vivido nella sua mente.
Quel dannato giorno, orgoglio, paura, dolore erano divenuti tutt’uno.
Lui, giovane Mangiamorte, se ne stava rigido sulle ginocchia, con la sua maschera lucida sul viso a nascondere il più piccolo segno di esitazione. Un manto nero e un volto d’argento a cancellare per sempre il ragazzo che era in lui.
Voldemort non l’aveva neppure guardato negli occhi, era in piedi di fronte al suo servo, uno dei tanti. Aveva sollevato le braccia con fare solenne e una nebbia verde si era sollevata dal pavimento, mischiandosi al fumo delle torce.
Ricordò di aver avuto paura quando serpenti di vapore avevano cominciato a sgorgare da quella nuvola verde. Si muovevano sinuosi nell’aria intorno a lui, lo avevano circondato come in un vortice, poi una forza sconosciuta lo aveva costretto a protendere il braccio.
Gli occhi rossi di uno di quei rettili orrendi lo avevano fissato per un istante.
Impalpabile e nello stesso tempo terribilmente reale, il serpente si era sollevato fronteggiando il giovane inginocchiato.
Aveva iniziato ad ondeggiare, come un cobra prima di aggredire la sua preda, Severus aveva stretto gli occhi: quell’essere emanava una luce verde accecante, mentre il suo corpo assumeva la consistenza del metallo fuso, rendendo l’aria rovente ed irrespirabile.
Poi, come un vero serpente, aveva spalancato la bocca e, gettatosi su di lui, aveva affondato i suoi denti simili a sottili lingue di fuoco nella carne bianchissima del giovane Mangiamorte.
Probabilmente in quel momento aveva gridato, ricordava solo un grande dolore.
Il serpente era sparito immediatamente insieme alla nebbia; forse non c’era mai stato, forse quella era solo una manifestazione del male, una delle sue tante facce, l’aspetto visibile, spettacolare, di qualcosa di più subdolo, che ora era dentro di lui e che lo avrebbe consumato rendendolo schiavo dei suoi stessi errori.
Alla fine era rimasto solo. Sdraiato e fradicio di sudore, si afferrava il braccio sinistro ansimando.
Voldemort era sparito, i Mangiamorte non c’erano più, nessun serpente, niente.
Ciò che gli restava era solo la sensazione di aver perso qualcosa di prezioso, mentre l’oscurità si impossessava della sua anima.
Il Marchio era diventato completamente visibile solo dopo alcuni minuti, sembrava essere uscito dall’interno del suo corpo, come la manifestazione di un morbo, che aveva infettato il suo sangue.
“Che devo fare?” mormorò fissando il legno ricurvo, così simile a quel serpente di fuoco, che aveva spazzato via la sua innocenza. “Cos'altro vuoi da me, maledetto mostro. Devo ucciderli con le mie mani, forse così sarai soddisfatto? Ma in fondo è come se l'avessi fatto, non è così? Io non ti obbedirò più, puoi uccidermi, non m'importa, non m'importa più, non voglio ciò che mi hai dato.” afferrò una pietra appuntita e si colpì il braccio.
“Riprenditelo, Severus Piton non sarà più uno schiavo.” gridò.


Continua…




Ops, mi spiace lasciarvi così, ma a questo punto il seguito potete anche immaginarlo, o forse no?Il capitolo della prossima settimana s’intitolerà “per la sua anima”. Vi auguro una buona Pasqua e se volete farmi un regalino pasquale lasciando un piccolo commento…

Ciao, ciao!




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Capitolo 14
*** Cap 14: Per la sua anima ***


Cara Akiremirror sì, si baceranno, ma non sono sicura che la cosa ti piacerà, eheheh! Ricorda che sono perfida. Decisamente ora Severus ha toccato il fondo, beh, forse il fondo ancora no, ma ci manca poco. Immaginavi giusto: ci stiamo avviando proprio verso le “parti inevitabili” della storia, e quelle, ahimè, sono colpa della Rowling, perciò, da ora in poi, ogni accusa di sadismo da parte tua la girerò a lei.

Buona lettura!


CAP. 14: Per la sua anima

“AAAAH!” Iris si afferrò il braccio sinistro, piegandosi in avanti per il dolore. “Severus! No, Severus, cosa stai facendo?”
Si Smaterializzò immediatamente.
Riapparve di fronte ad un gigantesco albero nodoso. Ai suoi piedi, tra le robuste radici, Severus Piton rannicchiato con gli occhi chiusi e il viso sofferente, continuava a colpire il suo avambraccio con una pietra scheggiata.
“Severus, Severus cosa è successo? Cosa fai? Fermati!”
Il mago dai lunghi capelli neri alzò lo sguardo stupito, la mano sollevata stringeva con forza il piccolo sasso.
“Iris, che ci fai qui? Va via, questo non è posto per te.”
Iris fece per avvicinarsi, ma il mago gettò la pietra e, tendendo la mano con il palmo rivolto verso la maga, continuò gelido:
“Fermati! Stammi lontana!”
“Ma Severus, cosa vuoi fare, sei impazzito?”
“Faccio quello che avrei dovuto fare un anno fa: cancello questo maledetto Marchio.”
Si portò la mano alla cintura afferrando un elegante pugnale dalla lama finemente decorata. Gli occhi sembravano bruciare delle stesse fiamme dell’inferno.
“Lo cancellerò anche se per farlo dovessi tagliarmi il braccio.” affermò risoluto, la voce però era soffocata dalla rabbia.
“No! No, ti prego, sei impazzito, non puoi, non capisci che non servirebbe a niente?”
Iris si portò le mani ai capelli, e si avvicinò ancora.
Avrebbe voluto afferrarlo, togliergli di mano quell’arma, ma non sapeva cosa fare, non poteva toccarlo, non poteva trattenerlo in nessun modo, fu colta dal panico.
“Severus, Severus, non farlo, ti prego no, no!” gemette scuotendo il capo e gesticolando.
Doveva fermarlo a tutti i costi.
“Ti prego ascoltami, ci deve essere una soluzione, qualsiasi cosa sia successa, non puoi arrenderti, ti prego, ti scongiuro Severus, ascoltami.”
“No Iris, tu non capisci, non sai quello che ho fatto, non lo sai.” sollevò la mano che stringeva il pugnale, poi, improvvisamente…
“Stupeficium!” un raggio rosso lo scaraventò contro il tronco dell’albero, ebbe appena il tempo di vedere la bacchetta di Iris puntata su di lui prima di accasciarsi privo di sensi.
La maga era immobile con gli occhi spalancati, lo fissava stringendo con entrambe le mani la piccola bacchetta bianca.
L’aveva Schiantato, aveva Schiantato l’uomo che amava, ma doveva fermarlo, non c'era altro modo.
Continuò a fissarlo senza parlare, le braccia sempre davanti a sé, come se non potesse più muoverle.
Prese a tremare in modo incontrollato, mentre cercava di allargare le dita, irrigidite attorno alla bacchetta.
Finalmente ci riuscì: l’asticella sottile scivolò dalle sue mani pallide e cadde morbidamente nel folto strato di muschio.
“Mi dispiace!” singhiozzò. “Severus mi dispiace!” il suo sguardo scese sulla bacchetta, mentre piccole gemme lucenti si impigliavano nelle lunghe ciglia.
Immediatamente si pulì gli occhi con la manica. Un gesto brusco, carico di rabbia, non doveva piangere come una ragazzina, non voleva mostrarsi debole, ora Severus aveva bisogno di una persona forte al suo fianco, non della bambina spaventata che aveva incontrato in quella casa babbana.
Tornò a fissare il giovane, doveva rianimarlo, ma non subito: aveva bisogno di pensare, di decidere quello che doveva fare.
Si portò le dita alla bocca, mordendosi le unghie, un gesto infantile, istintivo, mentre cercava di immaginare cosa poteva essere successo per ridurlo in quello stato.
Cosa lo aveva costretto a fare Voldemort?
Avrebbe voluto sapere la verità prima di svegliarlo, come poteva aiutarlo altrimenti? Se Severus avesse insistito nel suo atteggiamento, come avrebbe potuto cercare di fermarlo?
Si lasciò cadere seduta su una di quelle radici sporgenti, sospirando.
Gli occhi si posarono sul volto del mago svenuto: anche in quello stato d’incoscienza, sembrava sconvolto dal dolore.
Iris si portò la mano sulla bocca soffocando un gemito, doveva essere successo qualcosa di terribile per farlo reagire in quel modo.
Si sentiva impotente, se solo avesse potuto abbracciarlo.
Probabilmente non sarebbe servito a niente, ma forse avrebbe potuto almeno consolarlo, farlo sentire amato. Sicuramente si sarebbe sentito meglio e anche lei.
Si strinse nella stoffa sottile della tunica.
Faceva freddo lì nella foresta, ma non era la sola ragione per cui le sue gambe non volevano stare ferme. Stava tremando, tremava di paura, sentiva che questa volta l’avrebbe perso.
Qualunque cosa Voldemort gli avesse chiesto di fare, Severus era ormai arrivato al limite. Nello stato in cui era, probabilmente, non avrebbe esitato un solo istante prima di tradire apertamente il suo Signore.
Il verso lugubre di un animale la fece rabbrividire, si guardò intorno.
Il sole era ancora alto, ma tra quegli alberi sembrava non essere mai penetrato. Era buio e freddo e una strana nebbia avvolgeva tutto come l’alito di un gigantesco drago. Ebbe l'impressione che gli alberi, la terra e persino le rocce fossero un'unica creatura vivente, poteva sentirla respirare.
Doveva essere la foresta proibita, Severus gliene aveva parlato.
Trattenne il respiro, cercando di captare ogni minimo rumore, sapeva che strane creature popolavano quel bosco incantato, e molte erano estremamente pericolose.
Si alzò lentamente, il cuore batteva così forte che poteva sentirlo rimbombare nelle orecchie, raccolse la bacchetta e si avvicinò al mago.
Severus giaceva sdraiato su un fianco, il braccio sinistro disteso con il palmo della mano aperto rivolto verso l’alto.
La manica della tunica era strappata e lasciava intravedere l’orrendo Marchio: era ancora là, nitido ed inquietante, nonostante la carne fosse lacerata e livida in quel punto.
Il sangue continuava a scorrere dalla ferita dividendosi in sottilissimi rivoli scuri che scivolavano seguendo la forma della muscolatura fino a raccogliersi in un piccolo avvallamento sotto il gomito.
Iris puntò la bacchetta contro il Marchio, ingoiò e si morse il labbro, non riusciva ad abituarsi a quella vista, chiuse gli occhi voltando appena la testa di lato, no, non riusciva a guardarlo, coperto del sangue di Severus era ancora più penoso.
Recitò una breve formula e il sangue si seccò all’istante, poi passò la bacchetta un paio di volte sulla ferita ripulendola dalle croste. La carne era ancora arrossata e lacerata, ma non sanguinava più.
Prese un respiro profondo e puntò la bacchetta al petto del mago.
“Innerva!”
Il giovane mago bruno gemette, poi aprì gli occhi e sollevò lo sguardo cercando di mettere a fuoco la donna che si era inginocchiata al suo fianco.
“I...ris, pe...perché?” mormorò, cercando di mettersi seduto.
“Mi dispiace, non potevo lasciartelo fare.”
Piton si appoggiò stancamente con la schiena al tronco, fissò la maga, e un sospiro sfuggì dalle sue labbra.
“Forse hai ragione, è inutile: cancellare il marchio non cancellerà le mie colpe, ma tu come hai fatto a trovarmi?”
“E’ a causa dell'incantesimo del vento.” Iris abbassò lo sguardo. “Perdonami, avrei dovuto dirtelo, noi... io mi sono legata a te, posso sentire se ti succede qualcosa, non volevo che ti preoccupassi.”
“Vuoi dire che hai sentito quello che stavo facendo?”
“Non solo, sono anche in grado di trovarti, posso Materializzarmi ovunque tu sia. Ti prego non volermene, è solo un effetto dell’incantesimo, però sono contenta che abbia funzionato.”
“Io no!” disse gelido. “Avrei preferito non essere trovato, tanto meno da te.”
“Severus ti prego...”
“No!” la interruppe. “Tu non sai quello che ho fatto, se lo sapessi…” strinse gli occhi come se il solo pensiero di ciò che era successo gli provocasse dolore.
“Severus, qualsiasi cosa tu abbia fatto, qualunque cosa sia accaduta, so che non è colpa tua.”
Piton scoppiò in una risata forzata.
“Non sai quanto ti sbagli, la colpa e solo mia: lui li ucciderà e la colpa è mia, solo mia.”
Si aggrappò all'albero e si rimise in piedi.
“Ho condannato a morte un'intera famiglia, gente che conosco, Iris. Lo so che è terribile, ma quando vedrò i loro volti nei miei incubi, loro mi chiameranno per nome. Non sarà il fantasma di uno sconosciuto a puntare il dito su di me e accusarmi, ma sarà Lily Evans che, stringendo fra le braccia il suo bambino, griderà il mio nome maledicendolo. Lily, capisci? Vedrò Lily e vedrò James Potter,” strinse i pugni. “Lui mi salvò la vita...”
Rise, e singhiozzò insieme.
“… e guarda, guarda come l'ho ripagato.”
Iris si alzò e, voltandogli le spalle, si allontanò di qualche passo.
“So cosa vuoi dire.”
Il giovane si bloccò e la fissò ammutolito.
“Uccidere un conoscente, un amico, un padre, sì è più doloroso, è vero, è qualcosa che ti perseguita ogni volta che chiudi gli occhi. Ogni volta che ti senti felice, quei volti sono lì a ricordarti che non meriti quella felicità.” si voltò di nuovo verso Severus. “Mio padre è lì, ogni volta che siamo insieme, ogni volta che sogno un futuro per noi due, lui è lì. Il volto deformato in quella smorfia orrenda di dolore e di odio, ed è la sua voce che sento, la voce di mio padre che mi maledice.”
“Iris, io... mi dispiace.”
“Non dispiacerti, tu puoi ancora salvarli, forse non è troppo tardi.”
Severus abbassò lo sguardo.
“Io non posso fare niente per loro, non posso niente contro l’Oscuro Signore.”
“Puoi fare molto, invece, puoi avvertirli.”
Severus la guardò stupito, sembrava così determinata, era incredibile come parlare con lei, riusciva sempre ad infondergli sicurezza.
“Sai cosa significa?”
Iris fissò i suoi profondi occhi neri e sorrise.
“Sì, lo so, dovrai confessare di essere un Mangiamorte, dovrai consegnarti a loro.”
Severus si avvicinò, i loro occhi incatenati in un unico intenso sguardo pieno di comprensione e di meraviglia, come quel giorno sulla collina.
“Non mi rivedrai più.” la voce del mago s’incrinò, come se si fosse bloccata in gola. “Sono un assassino, Azkaban è il minimo che mi aspetta.”
“Se non ti lasciassi andare, non me lo perdoneresti.” disse decisa. “So che sei rimasto solo per me, ma io non posso più chiedertelo, il sangue sulle tue mani, imbratta anche le mie, io sono colpevole quanto te. Sono stata egoista, non volevo perderti, volevo solo che restassi vivo per tornare da me, ma tu non vuoi questo, non è della tua vita che stiamo parlando, ma della tua anima. No, non ti chiederò di rinunciare alla tua anima per me, anche se sto male al pensiero di non rivederti, sto male da morire Severus, io ti amo.” scoppiò in lacrime.
Severus non riusciva a parlare, in un certo senso si sentì come se gli avessero tolto un gran peso, Iris aveva ragione, era rimasto solo per lei, forse doveva a lei il fatto di essere ancora vivo: avrebbe tradito Voldemort molto tempo prima, forse l’avrebbe fatto in modo stupido e avventato, ma l’avrebbe fatto.
Ora gli si presentava la possibilità di non fare una morte inutile, forse poteva rovinare i piani del suo Signore, avrebbe avvertito le sue vittime, aveva ancora la possibilità di farlo, questa volta non ci sarebbe stato spargimento di sangue.
“Andiamo via di qui, ora so quello che devo fare.” sorrise. “Andremo a Hogwarts.”
“Hogwarts?”
“Sì, non voglio che le mie informazioni vadano sprecate con qualche sciocco burocrate del Ministero. Silente saprà cosa fare per salvare i Potter, non mi fido di nessun altro. Quando loro saranno al sicuro mi consegnerò agli Auror.”
Si Smaterializzarono.


Continua…




Il prossimo capitolo ha un titolo abbastanza prevedibile: “Albus Silente”, non poteva essere altrimenti. Ora, Akiremirror, avrai quelle risposte che cercavi, Silente stesso ti risponderà o, almeno, risponderà a Severus, beh, a modo suo, ovviamente, sappiamo quanto il vecchietto sia geniale, ma incredibilmente stravagante.

Ciao, ciao!




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Capitolo 15
*** Cap 15: Albus Silente ***


Eh, sì, Akiremirror il tuo, anzi il nostro adoratissimo Severus soffre molto, ma in questa storia, l’amore di Iris lo sostiene. Non credo che la Rowling sia stata altrettanto magnanima con lui. Stai tremando per l’incontro con Silente? Dai, tranquilla, sarà meno traumatico di quello che pensi. Mi piacerebbe sapere, invece, cosa ti è venuto in mente, riguardo al loro bacio. Pensi di portarti sfortuna dicendolo? In realtà tutto è ormai già successo, visto che questa storia è finita e già pubblicata in un altro sito, nulla di quello che dirai potrà cambiare gli eventi. Ovviamente non ti dirò se avrai indovinato, dato che non voglio rovinarti la sorpresa, ma saprò se dovrò fare spazio sullo scaffale per il premio di miglior sadica, ihihihi!

Buona lettura!


CAP. 15: Albus Silente

I due giovani sollevarono lo sguardo, le mura del castello di Hogwarts erano impressionanti, e il grande portone con la sua decorazione in rilievo incombeva sui visitatori grandioso e severo al tempo stesso.
Il mago bruno fece un passo avanti superando Iris che continuava a guardarsi intorno stupita e un po’ spaesata.
Minerva McGranitt era lì ad accoglierli sulla sommità della scalinata, così come Severus l'aveva vista, quando, impaurito, ma ancora pieno di sogni, aveva varcato quella soglia per la prima volta.
Severus abbassò istintivamente gli occhi e Iris lo imitò. Il mago si stupì di quanto, nonostante fossero passati molti anni, provasse ancora soggezione di fronte a quella donna. La Professoressa di Trasfigurazione sapeva come incutere rispetto.
Ogni anno attendeva, sulla scala dell’ingresso, tutti i nuovi studenti, e, ogni anno, appena la strega faceva la sua apparizione, il chiacchericcio dei bambini si placava immediatamente. Tutti indistintamente, futuri Serpeverde o coraggiosi Grifondoro, di fronte alla Professoressa, non erano diversi dai bambini babbani, piccoli e spauriti al loro primo giorno di scuola.
Minerva li osservò per un istante da sopra i piccoli occhiali: Severus non era cambiato molto dai tempi in cui frequentava Hogwarts. I capelli ricadevano sulle spalle, era pallido e magro come allora, no forse era più magro e sciupato: profonde occhiaie cerchiavano i suoi occhi scuri come la notte.
Anche lo sguardo era cambiato, le iridi nerissime del giovane Serpeverde non erano mai state così prive di luce. Indubbiamente quei pochi anni fuori da Hogwarts dovevano essere stati abbastanza difficili.
Scrutò la ragazza, gli occhi ridotti a due fessure. No, lei non l'aveva mai vista, non avrebbe mai dimenticato la faccia di una sua allieva.
Scosse il capo e il suo sguardo tornò a posarsi sul mago al suo fianco.
“Severus Piton, sei stato visto varcare i cancelli, sono stata immediatamente avvertita.” disse con voce pacata. “Sai che gli ex allievi sono sempre benvenuti, vuoi presentarmi questa signorina?” chiese, molto educatamente, accennando alla ragazza.
Il giovane però parve non aver neppure sentito le sue parole, si trovava là per uno scopo preciso, non per fare conversazione. Con tutta l’impazienza dettata dalla sua giovane età, si precipitò su per la scala.
“Devo vedere Silente.” disse brusco quando si trovò faccia a faccia con la strega.
“Temo che il Preside non possa riceverti oggi.” rispose l’anziana maga, piuttosto contrariata dall’atteggiamento del ragazzo.
“Professoressa, la prego, non sono qui per una riunione di ex studenti. Devo parlare con il Preside, è urgente.” cercò di fare appello a tutto il suo autocontrollo per moderare il suo tono di voce e non dimenticare le basilari regole dell’educazione, ma i suoi occhi rivelavano chiaramente il suo impellente desiderio.
“Beh, ma certo, sì,” si affrettò. “Se è così urgente, credo che Albus, sì, credo che possa dedicarti un po’ di tempo. E’ nel suo studio.”
Non riuscì neppure a finire la frase che Piton aveva già superato le prime due rampe di scale. Si bloccò di colpo, voltandosi indietro, Iris e la McGranitt, lo fissavano dal basso, con aria interrogativa, sembravano indecise sul da farsi.
La maga più anziana, si voltò verso l’altra esaminandola con cipiglio professionale: aveva avuto a che fare con così tanti ragazzi, ma Piton era stato sempre un mistero per lei, e ora piombava lì con una ragazza, sbraitando di voler parlare con il Preside. Era intenzionata ad andare a fondo della questione, decise che forse era meglio provvedere da sola alle presentazioni, fece per rivolgere la parola alla giovane strega, quando, dalla cima delle scale, Severus urlò in un modo per lui davvero inusuale.
“Iris le spiegherà, professoressa, ora devo vedere Silente.” e sparì dietro un angolo del corridoio.
“Iris?” mormorò pensierosa Minerva, poi fece cenno all’altra di seguirla nel suo studio ed Iris lo fece.
Dopo aver dato un ultimo sguardo malinconico al corridoio dove il suo Severus era appena sparito, s’incamminò a testa bassa e senza dire una parola. Presto avrebbe dovuto spiegare molte cose: preferì ritardare il più possibile quel momento.
Nel frattempo, mentre correva verso lo studio del Preside, Severus si ricordò di non conoscere la parola d’ordine che apriva l'ingresso di quella stanza. Si stava già dando dello stupido, quando, Albus Silente gli si parò davanti con un sorriso gentile stampato sul viso.
Il giovane mago si accigliò, odiava quello sguardo nel Preside: Silente riusciva sempre ad avere quello che voleva con un sorriso.
Aveva persino ottenuto il suo silenzio sul segreto di Remus Lupin con quel maledetto sorriso, ma ora si sarebbe levato quella stupida espressione da Grifondoro dalla faccia: non si può sorridere ad un assassino.
“Severus, sapevo che saresti venuto, prima o poi.” disse amabile.
Lo sapeva? Silente lo stava aspettando? Forse fin da quel loro infelice incontro alla Testa di Porco. Severus aveva sempre sospettato che il Preside sapesse della sua appartenenza alle fila dei Mangiamorte, ora ne aveva la certezza.
Una rabbia furibonda s’impossessò di lui, il preside sapeva, lui sapeva e non l’aveva fermato.
“Lei mi stava aspettando?” ruggì.
Silente continuò a sorridere, scrutandolo da sopra gli occhiali a mezzaluna.
“Sì, Severus, sapevo che saresti venuto. Non sapevo quando, ovviamente, ma non mi sono sbagliato su di te.”
Quelle ultime parole spazzarono via tutto l’autocontrollo del giovane mago.
“Lei... lei pretende di sapere tutto, perché non ha fatto niente? Oh sì lei era qui ad aspettarmi, avrebbe aspettato in eterno? Sapeva che sarei venuto, sa anche cosa sono?” gridò.
Silente, non rispose subito, fece un cenno a Severus perché lo seguisse nel suo studio, sottintendendo che sarebbe stato un posto migliore della scala per una simile conversazione.
Entrambi entrarono nella grande stanza circolare, Silente si diresse lento verso la scrivania e sì accomodò poggiando i gomiti sul tavolo e incrociando le mani.
Prese un lungo respiro e con voce calma proseguì:
“Cosa sei, Severus?”
Il mago bruno si sentiva sempre più infuriato, era chiaro che Silente sapeva la verità su di lui, ma evidentemente, voleva godersi la sua completa confessione.
Strinse i pugni: poco importava, in fondo si trovava lì per quello, se Silente voleva guardarlo mentre si umiliava, non aveva motivo per non accontentarlo.
Lui non aveva più un onore da difendere: presto sarebbe finito ad Azkaban, sarebbe stato solo un numero, un assassino fra assassini, l’intero mondo magico lo avrebbe additato chiamandolo con quell’appellativo che ora temeva di pronunciare di fronte al Preside.
Si avvicinò e sollevò lentamente la manica della tunica, mostrando l’avambraccio sul quale oltre alle ferite che si era appena inferto, spiccava, più nitido che mai, il Marchio Nero.
“Sono un Mangiamorte, un assassino, ecco cosa sono.” soffiò.
Il vecchio mago abbassò lo sguardo, mostrando, forse per la prima volta, un attimo di turbamento. Ma, immediatamente, il sorriso tornò ad illuminare quel viso segnato dagli anni.
“Non l’aveva mai visto, vero? Il suo Marchio, non l’aveva mai visto?” chiese il ragazzo, stupito di quella reazione.
Silente ignorò del tutto quell’ultima frase, si alzò poggiando le mani sul ripiano del tavolo.
“Hai avuto un incidente, Severus?” disse bonario accennando alle lacerazioni intorno al Marchio.
“Hai bisogno dell’infermeria?”
“Un incidente?” mormorò il giovane. “Sì, un incidente.” continuò parlando quasi con se stesso, mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso amaro. Quanto avrebbe voluto poter definire la sua scelta un “incidente”.
Si abbassò nuovamente la manica, chinando la testa con un profondo sospiro.
“Può prendersi gioco di me se vuole, ma io sono qui per un'altra ragione.”
Silente sollevò appena un sopracciglio.
“Ci sono persone in pericolo: sono i Potter, io…” si morse un labbro, come poteva spiegare al Preside di aver fatto una cosa tanto stupida? “… io ho riferito, al Signore Oscuro quello che ho sentito alla locanda.”
“Sì, Severus?” lo incitò l’altro.
“Non ho preso sul serio le parole di quella pazza, ma Lui è convinto che abbia detto la verità. Ucciderà il figlio dei Potter.”
“Già! Evidentemente, Voldemort…” nel sentire quel nome, il giovane mago rabbrividì, Silente fece finta di non notarlo. “… ha interpretato esattamente come me quella profezia.” pronunciò quelle parole ostentando una calma che irritò ulteriormente l'altro.
“Ma si rende conto di quello che mi sta dicendo? Lei sapeva quello che sono, sapeva cosa c'era in gioco e mi ha permesso di andare a riferire tutto a lui? Se solo mi fossi rotto l'osso del collo cadendo da quelle maledette scale! Merlino, non posso credere che non mi abbia fermato. Perché, perché non mi ha ucciso quel giorno?” senza neppure rendersene conto, Piton aveva preso a gesticolare nervosamente e a camminare avanti e indietro nello studio.
Si fermò improvvisamente, fissando il vecchio mago. Il suo sguardo era carico di disprezzo.
“Lei dev'essere impazzito.” mormorò con un filo di voce. “Sta giocando con la vita delle persone, lei, lei lo ha fatto deliberatamente.” gridò.
“E’ questo che pensi Severus?”
Il mago bruno annuì.
“Chi può dire che il tuo intervento non fosse stabilito dal destino? E’ cosa labile il futuro, è legato ad una miriade di eventi e coincidenze, ed è sempre rischioso cercare di cambiarlo. E’ possibile che tu abbia modificato il futuro, ma se invece non fosse così? Forse sarebbe cambiato se ti avessi fermato.”
Severus era immobile, guardò incerto il vecchio mago, cercando di dare un senso a quelle parole.
Era tutto così assurdo, la profezia, il figlio di James Potter, la cui sola colpa era quella di essere nato nel giorno sbagliato, che improvvisamente si era trasformato nella peggiore ossessione del Signore Oscuro.
Il più grande mago vivente aveva dichiarato guerra ad un neonato, a causa sua.
“Se si sbaglia, il sangue di quelle persone ricadrà su entrambi.” mormorò fissando i suoi occhi colore del cielo.
Silente sospirò, e si avvicinò alla porta.
“Tutti possono commettere errori, anche Voldemort. Provvederò a far avvertire i Potter, tu, intanto, puoi aspettare qui, ho visto che eri con un’amica, immagino che tu voglia vederla, prima…”
Aprì la porta di legno del suo studio, Minerva ed Iris erano lì fuori.
“... ah, ecco.” si schiarì la voce. “Puoi entrare cara, Severus ti sta aspettando.” disse rivolto alla maga più giovane, poi guardò la McGranitt e i suoi occhi scintillarono di una strana luce.
“Minerva, noi abbiamo qualcosa di cui occuparci.” indicò la strada all'anziana donna con un cenno del braccio, poi, rivolto ad Iris e a Severus che era rimasto a fissarlo imbambolato:
“Bene, vi lascio soli, io devo parlare con una persona che è venuta a trovarmi proprio oggi.” ridacchiò. “coincidenze, ragazzo, il futuro è fatto di coincidenze.”
Severus non disse niente, guardò Iris con aria interrogativa, chissà cosa si erano dette lei e la McGranitt, certamente sia alla professoressa che al vecchio preside non era sfuggito il particolare rapporto che li legava. In fondo, era stato un gesto gentile, permettergli di dirle addio prima di consegnarlo alla giustizia.
Appena la porta si richiuse alle spalle di Silente, gli occhi di Severus corsero ad immergersi nelle iridi scure della sua Iris.
Avrebbe voluto imprimersi nella memoria ogni più piccolo particolare di quel viso.
Tremò al pensiero di poter perdere anche quel ricordo se l'avessero condannato al bacio.
Se non fosse stato per Iris, sarebbe stato lui stesso a chiedere, a supplicare di essere liberato dai suoi ricordi, l'oblio non sarebbe stata una condanna, ma una liberazione, tuttavia non voleva dimenticare anche lei, l'unica cosa bella della sua giovane vita.
“Severus!” la voce della ragazza lo distolse dai suoi pensieri, il mago sorrise, il sorriso più dolce che Iris avesse mai visto.
“Ti amo, non dimenticarlo mai.” sussurrò avvicinando il suo viso a quello di lei fin quasi a sfiorarla.
Chiuse gli occhi, respirando il suo profumo. Gli sembrava già di impazzire all’idea di non rivederla.
“Iris, Iris!” continuò a ripetere il suo nome ossessivamente, come se fosse un modo per legarla più a sé.
Si avvicinò ancora. Le sue mani presero a sfiorare il corpo di lei, sempre più vicine, Iris teneva gli occhi chiusi, non si sarebbe sottratta questa volta, tremava, ma non voleva rovinare quel momento, quell’ultimo istante insieme.
La mano del mago sfiorò le sue labbra, fin quasi a toccarle. Iris trattenne il respiro.
Severus la guardò, rigida e tremante. Dalle palpebre strette all’inverosimile, due sottili fili di lacrime scivolarono scintillando sulle guance.
Era bella, una bellezza infantile, con il viso bagnato e teso nello sforzo di resistere a se stessa.
Se l’avesse fatto davvero? Se l’avesse toccata?
Sarebbe bastato così poco. Un bacio, e tutto sarebbe finito in pochi istanti.
Si avvicinò, sostituendo le labbra alle dita.
“Ti amo.” sussurrò ad un soffio dalla sua bocca, socchiuse le palpebre, ma, improvvisamente, l’immagine degli occhi spaventati di Iris, quello sguardo che aveva la sera che l’aveva conosciuta, comparve nella sua mente.
No, non poteva chiederle questo, non poteva far ricadere la propria morte su di lei. Sarebbe stato egoista da parte sua. Si scostò di scatto.
Nello stesso istante s'udirono grida nel corridoio.
“Non puoi fidarti, Albus. Dormirò tranquillo solo quando tutta quella feccia sarà dietro le spesse mura di Azkaban.”
La porta dello studio di Silente si spalancò, il preside fece il suo ingresso.
Immediatamente, Iris fece un passo indietro allontanandosi da Severus, ma Silente aveva già registrato la scena. Le sue labbra si piegarono in un impercettibile sorriso.
Insieme al preside, si erano precipitati nella stanza la professoressa McGranitt e un mago piuttosto stravagante che, scansando bruscamente Silente, marciò versò i due ragazzi con la bacchetta in pugno.
Si bloccò a pochi centimetri da Piton e, puntando la bacchetta al collo dell'altro, accennò a piccolo manico di legno che spuntava dalla tasca del ragazzo. Gli occhi di Severus seguirono la traiettoria del suo sguardo fino alla propria bacchetta, fece una smorfia: aveva dimenticato di consegnarla. Indubbiamente, quell'uomo lo riteneva pericoloso, un Mangiamorte armato all'interno di Hogwarts. Sfilò lentamente dalla tasca la bacchetta e la consegnò a quello che doveva essere un Auror.
Era davvero una strana combinazione che ci fosse un Auror al castello proprio quel giorno, era certamente a questo che alludeva Silente, parlando di coincidenze.
Iris, che era rimasta a guardare la scena allibita, fece qualche passo avanti e lanciò all'uomo un'occhiata infuocata, per tutta risposta l'Auror tolse fulmineo la bacchetta dalla gola di Piton per puntarla su di lei.
“Alastor!” tuonò Silente, gli occhi di Piton si spalancarono, quello era Alastor Moody.
Era tristemente famoso fra i Mangiamorte: molti dei suoi compagni erano finiti ad Azkaban grazie a lui.
Il mago ignorò il richiamo del Preside e, afferrando il braccio di Iris, le sollevò la manica della tunica.
“Quel verme, si è circondato di ragazzini, vediamo se anche la sua amichetta è entrata a far parte della famiglia”.
“Alastor, rilassati, la signorina è mia ospite.” lo richiamò il preside, ma non fece in tempo a finire la frase che l'Auror si trovò contro il muro con il braccio di Piton premuto sulla sua trachea.
“Lasciala in pace, lei non c'entra.” ruggì il mago bruno.
“Severus, Alastor, per favore, siamo qui per discutere civilmente, calmatevi vi prego.”
Piton allentò la presa, e Moody ne approfittò per spingerlo lontano da sé.
“Toglimi quelle luride mani di dosso, maledetto Mangiamorte.” poi a grandi passi si avvicinò al Preside puntando l’indice sul ragazzo dietro di lui.
“Quello è un assassino, non mi convincerai mai a fidarmi di lui.”
Severus non capiva cose volessero dire certi discorsi, guardò Silente con aria interrogativa, mentre Minerva McGranitt, si avvicinò ad Iris prendendola sotto braccio.
“Andiamo cara, lasciamo che parlino da soli, noi ci prenderemo un the se ti va.” e la trascinò gentilmente, ma energicamente verso la porta.
Iris guardò Piton, implorando con gli occhi una spiegazione, ma il giovane sembrava più stupito di lei, la fissò in silenzio, mentre si allontanava quasi trascinata dall’anziana maga poi, quando la porta si chiuse alle loro spalle, si rivolse al Preside.
“Che significa?”
Silente si accomodò alla scrivania.
“Vedi Severus, io e Alastor…” il suo sguardo inquadrò l’Auror che, a sua volta, si era seduto su una poltrona e tamburellava con le dita sui braccioli di pelle e che, nel sentirsi chiamato in causa, sbuffò rumorosamente. “… concordiamo sul fatto che, trovandoti in una posizione, diciamo… particolare, potresti essere molto utile.”
Severus, capì immediatamente cosa intendeva il Preside con quelle parole, ma non riusciva a credere alle sue orecchie. Preferì lasciargli finire il suo assurdo discorso prima di gridargli in faccia che era solo un vecchio pazzo.
“Utile?” mormorò.
“Sì, Severus, utile, anzi, oserei dire, indispensabile. Finora non abbiamo mai potuto scoprire in tempo i piani di Voldemort e molte persone innocenti sono morte. Tu sei la nostra possibilità di avere una persona di nostra fiducia all'interno della cerchia dei suoi seguaci.”
Gli occhi di Severus si spalancarono: Albus Silente gli stava davvero chiedendo di diventare una spia?
“Non sta dicendo sul serio, non può pensare di chiedermi una cosa simile.”
“Vedo che hai capito.” gli occhi azzurri del preside s'illuminarono, mentre sul suo viso tornava a disegnarsi il solito maledetto sorriso.
“Vuole che torni da lui? È questo che sta dicendo? Ma è assurdo.”
“Che ti avevo detto, Albus?” ghignò l’Auror. “Era un’idea strampalata. Lasciamelo consegnare alle cure dei Dissennatori, l’unica utilità che può avere questo bastardo è fare compagnia ai topi in una bella cella.”
Severus gli lanciò un’occhiata velenosa, poi si rivolse nuovamente a Silente.
“Non tornerò mai da quel pazzo, non m’importa dei Dissennatori,” accennò a Moody che continuava a guardarlo con un’espressione scettica. “Non m’importa di passare il resto della mia vita ad Azkaban, non lo ha ancora capito? Io non tornerò da lui.”
“Severus, ti prego ragiona, sei giovane, hai una vita davanti, hai una bella ragazza che ti aspetta.” fece una pausa accennando con gli occhi alla porta. “Vuoi davvero finire i tuoi giorni ad Azkaban? Ti sto offrendo la possibilità di riabilitarti. Tu hai commesso un errore, Severus, ma puoi rimediare. Lo so, non ti sto chiedendo una cosa facile, non credere che non sappia che rischierai la vita ogni giorno, finché Voldemort non sarà sconfitto. Rischierai, ma così avrai una speranza, Severus, ad Azkaban la speranza non esiste, quella prigione è un inferno.”
Piton, abbassò lo sguardo e, lentamente si portò la mano alla cintura. Ne estrasse il bellissimo pugnale d’argento.
Alastor Moody nel vederlo, saltò immediatamente giù dalla poltrona, pronto a difendersi, ma Severus si avvicinò alla scrivania e con forza sbatté l’arma sul prezioso ripiano in legno tenendovi la mano premuta sopra.
“Lei non sa quello che dice, lei non sa cos'è l'inferno,” sibilò. “Non sa cosa si prova ad affondare uno di questi nel petto di un uomo, sentire il suo sangue schizzarti in faccia. Cosa ne sa di come ci si sente ad aver paura di addormentarsi perché, quando chiudi gli occhi, le tue vittime sono lì a puntare il dito su di te, maledicendoti? E lei crede davvero che io tema di perdere la vita?”
Scoppiò in una risata amara.
“Severus...” Il vecchio preside aggirò la scrivania e si avvicinò a Piton. “Severus, per favore ascoltami.”
“No!” gridò il mago più giovane facendo uno scatto indietro. “Mi uccida piuttosto, ma non mi chieda di tornare da lui, mi chiederà di uccidere ancora, no, non voglio.”
“Che ti avevo detto Albus? Era una pessima idea.” Intervenne Moody. “Questa volta devo dar ragione al ragazzo.”
“Alastor, dovrai ammettere anche tu che Severus potrebbe essere la nostra sola speranza di sconfiggerlo. I suoi seguaci aumentano ogni giorno e noi cosa facciamo? Arriviamo sempre troppo tardi, ultimamente ci limitiamo a seppellire le vittime.”
Poi, rivolto a Severus, continuò:
“Ne sono consapevole, Severus: ucciderai ancora. Posso solo dirti che m'impegnerò fin d'ora per trovare una soluzione, una scusa che ti tenga più lontano possibile da lui, ma ora tutto dipende da te.”
Piton non rispose. Sembrava soppesare le parole del vecchio mago.
“Non durerà un giorno.” borbottò, invece, l'Auror scrutando il ragazzo magro di fronte a sé. “Anche se dovesse essere sincero, se Voldemort dovesse scoprirlo gli caverà più informazioni di quante possa darne lui a noi, prima di ucciderlo, ovviamente.”
“Non lo farà.” s’intromise Severus, senza nascondere un certo orgoglio.
“A no?” sogghignò Moody.
“No!” disse ostentando sicurezza. “Posso resistere alle sue intrusioni nella mia mente, l’ho già fatto.”
“Un punto a suo favore, Alastor!” Silente incrociò le braccia, soddisfatto.
Poi, rivolto a Piton:
“Puoi pensarci un po’ prima di decidere, ma so che farai la scelta giusta.” lo scrutò da sopra i piccoli occhiali. “Lo farai anche per quella bella ragazza la fuori.” sorrise.
Severus abbassò lo sguardo: avrebbe fatto di tutto per non lasciarla, per trascorrere anche solo un altro giorno con lei.
Forse avrebbe dovuto accettare, forse davvero c’era una speranza per lui, per loro.
Se fosse riuscito, in qualche modo, a facilitare il compito a quegli uomini, se fosse riuscito ad aiutarli a sconfiggere Voldemort, avrebbe davvero potuto riabilitarsi? Sarebbe riuscito a ricominciare una nuova vita con Iris?
Si guardò le mani bianchissime, le avrebbe viste di nuovo macchiarsi di sangue, rabbrividì.
Quanto avrebbe potuto resistere ancora? Quanto prima di impazzire?
Forse doveva essere grato al Preside, probabilmente il vecchio aveva ragione: una piccola speranza era meglio di niente, a lui non restava altro a cui aggrapparsi.
Già, aggrapparsi, era per questo che era andato da lui: inconsciamente aveva teso la sua mano verso quell’uomo nell’assurda speranza che lui potesse tirarlo fuori dal baratro in cui era precipitato.
Si era illuso? Forse si era aggrappato alla mano che ora lo stava spingendo ancora più a fondo. Eppure qualcosa gli diceva che doveva fidarsi di lui, perché quella stessa mano non l’avrebbe lasciato cadere. Sarebbe tornato nell’inferno di Voldemort, ma Albus Silente e la sua Iris, insieme, sarebbero rimasti al suo fianco per sostenerlo. Come un filo sottilissimo, l’avrebbero tenuto legato alla luce.
Silente, aveva intuito i suoi pensieri. Si avvicinò poggiandogli una mano sulla spalla.
Normalmente Piton si sarebbe sottratto a quel gesto d’affetto non richiesto, eppure non si mosse.
Il mago più anziano si rese conto che stava tremando, le sue dita ossute strinsero con maggior vigore e il giovane mago chiuse gli occhi, come un bambino che cerca di superare la paura del buio ricreando le tenebre nella sua mente per esorcizzarle.
Aveva deciso, sì, avrebbe accettato la proposta di Silente.
Sapeva che, una volta fuori, sarebbe stato solo, anzi, molto peggio, sarebbe stato in compagnia della propria coscienza, una compagna scomoda per chi come lui sarebbe stato costretto a fare cose terribili.
Per quanto tempo sarebbe riuscito a metterla a tacere? La sottile barriera delle palpebre lo aveva sempre protetto da se stesso, quando cercava di resistere all’amore, ma lo avrebbe protetto anche dall’orrore?
Strinse con forza gli occhi, fin quasi a farsi male, era quello che lo attendeva una volta tornato da Voldemort: solo le tenebre, per chissà quanto tempo ancora.
Non il buio rassicurante creato dallo schermo di quelle sottili membrane, l'ultimo rifugio, un luogo in cui avrebbe nascosto l'ultimo brandello della sua anima, ma la vera oscurità: quella del male. Quella che avrebbe cercato di inghiottire quell’anima, il giorno in cui Voldemort gli avrebbe chiesto di uccidere di nuovo.
Quel giorno avrebbe chiuso gli occhi, come stava facendo ora, non avrebbe guardato il sangue macchiare le sue mani e non avrebbe guardato le lacrime della propria coscienza.
Avrebbe immaginato di essere a Hogwarts, la mano di Silente sulla spalla e Iris al suo fianco.
Solo così poteva farcela, doveva farcela per Iris, solo per lei.
Avrebbe tenuto gli occhi chiusi, ma non avrebbe visto solo il buio. Avrebbe visto quel filo sottile, avrebbe visto l'amore di lei e la fiducia dell'anziano mago.
A quel filo si sarebbe aggrappato. Ogni volta che si fosse sentito perso, amore e fiducia l’avrebbero protetto.
Aprì lentamente gli occhi, le iridi nerissime scintillarono incrociando lo sguardo paterno del vecchio di fronte a lui, il Preside annuì, sembrava aver già letto nella sua mente, quella parola che, solo un istante dopo, sentì scivolare come un soffiò fuori dalle sue labbra.
“Accetto!”


Continua…




Il prossimo capitolo s’intitola “pegno d’amore”. Sarà un capitolo abbastanza tranquillo con un Severus piuttosto impacciato, alle prese con un… indovinate un po’?

Ciao, ciao!




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Capitolo 16
*** Cap 16: Pegno d'amore ***






CAP. 16: Pegno d’amore

Le stradine di Diagon Alley erano particolarmente affollate quel giorno.
Severus si stupì di quanto potessero essere ricolme di oggetti quelle piccole vetrine. C'erano articoli magici di vario genere, dai calderoni ai libri, fino all’abbigliamento del perfetto mago, completo di mantello, scarpe e scopa col manico coordinato. A volte erano persino ammucchiati l’uno sull’altro e coperti di polvere, tuttavia non meno invitanti.
Il giovane si guardò un po’ intorno, tutta quella caleidoscopica esposizione non lo lasciava di certo indifferente: più volte si era sorpreso a fissare alcuni calderoni così lucidi da abbagliare e a sorridere di fronte ad un cappello davvero stravagante nel quale un grosso uccello impagliato faceva bella mostra di sé sulla sommità, quale strega si sarebbe mai messa in testa un simile orrore?
Ma lui non era lì per una passeggiata: aveva una meta ben precisa.
Accelerò il passo e, voltando l’angolo, si ritrovò di fronte alla vetrina di un orafo.
I piccoli monili esposti sapevano di antico e misterioso, alcuni erano chiaramente magici.
Il giovane si avvicinò alla vetrina e fissò incantato una piccola teca; al suo interno, un grosso anello spiccava in mezzo ad altri piccoli oggetti. La pietra, incastonata nel metallo, sembrava cambiare forma e colore seguendo i suoi pensieri.
Ecco, ora stava diventando rosa, un rosa coi riflessi dell’iride. Immediatamente dalle sue labbra sfuggì come un soffio il nome di Iris.
I suoi occhi si spalancarono osservando, attraverso il vetro appannato dal suo respiro, quella piccola meraviglia.
Sì, quello era proprio il suo colore, il colore preferito della sua Iris, ed era anche quello a cui stava pensando.
Sorrise, era un anello davvero straordinario, ma non era quello che cercava.
Si staccò dal vetro ed entrò nel negozio. Lì il gioielliere lo sommerse di attenzioni, mostrandogli decine di anelli, dai più preziosi a quelli più stravaganti.
Fece praticamente un balzo indietro quando uno di quelli tirò fuori otto piccole zampette d'oro e iniziò a saltellare sul palmo della sua mano, come un ragno.
“No, no! Non ci siamo!” sbottò scrollandosi dalle mani l'esserino inquietante.
Possibile che non fosse in grado di trovare qualcosa di adatto alle sue esigenze? Non era mai andato a comprare gioielli: non aveva mai avuto ragioni per farlo. Eppure non poteva essere così difficile.
Abbassò lo sguardo seguendo l'indicazione dell'uomo dietro il banco, il suo indice puntava un grosso anello con incastonata una particolarissima pietra, Severus non provò neanche ad identificarla, certamente era stata creata artificialmente con la magia: non poteva esistere in natura una gemma simile.
La sua testa fece un impercettibile cenno di diniego e il gioielliere gli mostrò un altro anello e poi ancora un altro, ma nessuno di quegli oggetti sembrava soddisfarlo.
Si guardò attorno un po' incerto: non sapeva esattamente quello che cercava, voleva qualcosa di speciale per la sua Iris, qualcosa degno di lei.
Cominciò a pensare che una gemma, per quanto preziosa, non sarebbe mai stata all'altezza, senza contare che non poteva neppure permettersela.
Fece una smorfia, fissando torvo il gioielliere, che spazientito dalla sua indecisione, con un gesto di stizza, ritirò la sua merce e gli voltò le spalle.
Severus arricciò le labbra in qualcosa che, per un attimo, somigliò terribilmente ad un ringhio, prima di tramutarsi in un sorriso di circostanza: non aveva voglia di discutere con chicchessia, non quella mattina, nonostante tutto, quel giorno si sentiva felice.
Dopo il suo incontro con Silente aveva cominciato il suo compito di spia.
Non avrebbe mai dimenticato la faccia di Iris, quando le aveva detto che sarebbe tornato a casa con lei, nessuna prigione, niente Dissennatori.
Certo lui sapeva che ciò che lo aspettava poteva essere anche peggiore di una condanna ad Azkaban, ma l'espressione stupita sul viso della maga era qualcosa che si sarebbe portato dentro per sempre.
Sapeva quanta gioia stava provando in quel momento, ma nello stesso tempo sapeva quanto si sentisse in colpa per essere stata il motivo della sua decisione.
L'aveva guardata con gli occhi traboccanti d'amore mentre, molto maldestramente, cercava di non mostrarsi troppo felice.
No, decisamente la sua Iris non era capace di fingere.
“Saresti una pessima occlumante.” le aveva sussurrato.
“Lo so, ma neanche tu puoi ingannarmi.” gli aveva risposto. “So che lo fai per me, so che non torneresti là per nessun'altra ragione al mondo.”
Poi, abbassando gli occhi come una bambina timida:
“Severus io ti amo, voglio passare ogni istante della mia vita con te, ma ti prego solo: non odiarmi. Quando ti troverai davanti a lui e sarai costretto ad ubbidire, a fare quelle cose orribili, non odiarmi.”
“Odiarti?” la voce gli si era bloccata in gola, mentre lo sguardo stupito si perdeva negli occhi di lei. Odiarla? Avrebbe dato la vita per lei, non l'avrebbe mai odiata, come poteva solo pensare una cosa simile?
“Iris, amore non devi neanche pensarlo, sono io quello che deve essere perdonato, sono io che ti supplico di non odiarmi, io, Iris, perché è per me che lo faccio, tu non hai nessuna colpa, sono io”.
Aveva stretto i pugni per impedirsi di prendere le piccole mani di Iris tra le sue, desiderava abbracciarla, dimostrarle il suo amore anche con il suo corpo, ma gli restavano solo le parole, così insufficienti a rivelare ciò che provava in quel momento.
“Io non potrei vivere senza di te, sei come l'aria che respiro, sei la forza che mi tiene in vita. Io non esisto senza di te, non sono mai stato veramente vivo prima di incontrarti, Iris, io sono nato quel giorno”.
Aveva scosso il capo, mentre le sue labbra si erano piegate leggermente in un sorriso.
“Quel vecchio pazzo lo sapeva benissimo, per questo ci ha lasciati soli. Mi ha messo davanti agli occhi l'unica verità: lui sapeva che non avrei mai rinunciato a te.
Io ho accettato per il mio egoismo, ti amo perché sono un egoista. Avrei dovuto allontanarmi da te, già quella notte, quando ho capito quello che provavo. Sarei morto senza di te, ma tu non l'avresti mai saputo. Non l'ho fatto, non ci sono riuscito, sono stato un debole.”
La sua voce era divenuta più acuta, mentre le lacrime premevano per uscire.
“Iris, ma non capisci che è colpa mia, io ti ho condannata ad un amore disperato.” era riuscito a dire con voce strozzata, allargando le braccia.
“No, no, non dirlo,” Iris aveva accostato il palmo della mano alla sua bocca per zittirlo.
“Non un amore disperato, Severus. Difficile, ma non disperato. Lui presto sarà solo un ricordo, anche questo Marchio sarà solo un ricordo.” gli aveva sussurrato con un sorriso sollevandosi sulla punta dei piedi e avvicinando le labbra alle sue, mentre con la mano sfiorava il braccio di lui percorrendo meccanicamente con l'indice il punto in cui Voldemort aveva inciso quell'orrendo disegno, sempre attenta, però, a non avvicinarsi troppo.
“Noi saremo insieme, è questo che conta.” poi, fissando lo sguardo negli occhi dell'altro. “E' questo che voglio. Silente ha ragione: non dobbiamo perdere la speranza. Verranno momenti difficili, ma li affronteremo, lo faremo insieme, io non ti abbandonerò mai.”

E i momenti difficili erano arrivati. Molte volte era stato sul punto di cedere.
Non alla tortura fisica, no, a quella poteva resistere, era diventato così abile in occlumanzia, che riusciva a mentire anche sotto la Cruciatus.
Voldemort non avrebbe mai capito che i suoi fallimenti, le missioni andate male, veleni che perdevano in poco tempo la loro efficacia, non erano dovuti alla sua incapacità, ma ai suoi continui sabotaggi.
Tuttavia, quel sangue che continuava a scorrere sulle sue mani, lo stava logorando.
La sua Iris, era rimasta sempre al suo fianco, era sempre presente, quando, al ritorno dalle sue missioni, s'inginocchiava ai margini del piccolo corso d'acqua sulla collina e, con le labbra serrate e gli occhi fissi nel vuoto, ripeteva il suo rito immergendo le mani sporche nell'acqua gelida.
Le teneva lì finché il freddo non intorpidiva le sue dita, finché non le sentiva più parte di sé.
Le sue mani erano, ormai, solo uno strumento di morte, voleva guardarle almeno per pochi istanti immaginando che appartenessero ad un altro uomo, un mostro, un assassino, l'uomo che odiava.
Pochi istanti, prima che il sangue caldo riportasse la sensibilità a quelle dita sottili, le sue dita, quelle che ogni giorno stringevano l'elsa del suo pugnale recidendo vite innocenti.
Restava così per ore, in silenzio, Iris inginocchiata al suo fianco.
Neppure lei muoveva un muscolo, nonostante quella posizione fosse molto scomoda e dolorosa. Ormai conosceva bene questo suo gesto, era sempre uguale, disperato e liberatorio al tempo stesso.
Aveva imparato a non fargli domande, sapeva che parlare lo avrebbe fatto sentire peggio, però sapeva che aveva bisogno della sua presenza, per questo non lo lasciava mai solo in quei momenti, non parlava, non poteva abbracciarlo. Forse Severus non la vedeva neppure, il suo sguardo era perso nell'orrore, ma lei era lì e lui sapeva che era lì.
Poi, finalmente, la speranza: Silente aveva mantenuto la sua promessa, aveva trovato il modo di tenerlo lontano dal suo padrone.
Severus non aveva creduto ai suoi occhi, quando un bellissimo gufo gli aveva recapitato la lettera con la quale il preside lo informava della sua assunzione come insegnante a Hogwarts.
L'idea del vecchio mago era quella di far credere a Voldemort che avrebbe avuto bisogno di una spia all'interno della scuola.
Il giovane Mangiamorte era stato perfino lodato dal suo Signore per essere riuscito a conquistarsi la stima di Albus Silente, al punto di ottenere un simile incarico.
Era felice come non lo era mai stato. Per la prima volta aveva visto una via d'uscita, aveva ricominciato a sperare e a sognare una vita serena con Iris, ora poteva farlo.
Sapeva che l'amore non poteva cancellare i suoi delitti, ma in parte riusciva a lenire quel bruciante rimorso.
Non avrebbe mai ripagato abbastanza il vecchio preside per la serenità che gli aveva donato. Erano mesi che non partecipava alle riunioni dei Mangiamorte. La scuola era cominciata e Voldemort sembrava non voler rischiare di perdere la sua preziosa spia, coinvolgendolo nelle attività dei suoi compagni.
Quell'ultima settimana poi le cose sembravano andare particolarmente bene: era riuscito a sventare in tempo l'ennesimo tentativo di Voldemort di trovare i Potter, e Silente, seguendo il suo consiglio, li aveva nascosti in un posto sicuro proteggendoli con l’Incanto Fidelius.
Ora neanche lui avrebbe potuto più essere un pericolo per loro, anche se non avrebbe comunque mai rivelato a Voldemort il loro nascondiglio.
Forse per la prima volta nella sua vita aveva fatto la scelta giusta, Lily Evans era al sicuro assieme al suo bambino, e lui sarebbe riuscito ad onorare il suo debito con Potter.
Aveva fatto un errore terribile, ma almeno questa volta era riuscito a rimediare e di questo doveva ringraziare Iris che non aveva mai perso la fiducia in lui.


* * *



Diede un ultimo sguardo agli oggetti che brillavano sparsi sul velluto rosso di quel bancone e li trovò improvvisamente spenti e opachi.
No, non c'era niente di paragonabile alla luce che Iris gli aveva donato, nessuna di quelle gemme era preziosa abbastanza, nessuna era degna di lei.
Decise di uscire dal negozio, si sentiva decisamente fuori posto tra quei ninnoli luccicanti, e si materializzò direttamente nella sua casa di Spinner's End.
Giunto nella piccola casa salì velocemente le scale: le camere si trovavano al piano superiore.
Spalancò la porta della sua e rimase per qualche secondo sulla soglia fissando il grosso baule che spuntava appena da sotto il materasso.
Si avvicinò e, inginocchiatosi di fronte al letto, afferrò la pesante cassa di legno per una maniglia e la trascinò fuori dal suo nascondiglio.
L'aprì con fare un po' incerto. Immediatamente strinse gli occhi e una smorfia di disgusto apparve sul suo viso: adagiata su un mantello nero, brillava sinistra la sua Maschera d'argento.
Lo fissava con le sue orbite vuote, sembrava prendersi gioco di lui.
Il mago trattenne il respiro e per qualche istante rimase a contemplare quel volto come se si trovasse di fronte una reliquia, poi il suo sguardo scivolò via dalla Maschera per posarsi su un piccolo portagioie che era rotolato in un angolo, insinuandosi tra le pieghe di quel lugubre drappo.
Gli occhi scuri del giovane sembrarono accendersi improvvisamente; allungò una mano sfiorandolo appena, come se si sentisse indegno di afferrarlo, poi le sue dita si chiusero sulla piccola scatolina e, con la tenerezza di chi stringe un pulcino, la tirò fuori dal baule.
Tenendo il portagioie con tutte e due le mani, si alzò da terra e si avvicinò al grande specchio sulla parete.
Tremava come un bambino, mentre guardava attraverso lo specchio le sue mani che facevano scattare il meccanismo di apertura del minuscolo scrigno.
Abbassò gli occhi e fissò il suo tesoro: un semplicissimo cerchio d'oro, nessuna gemma, nessun potere magico, solo semplice metallo forgiato da orafi Babbani, eppure, nel rivedere quell'oggetto, gli mancò il respiro.
Lo mise sul palmo della mano e un sorriso nostalgico si disegnò sul suo volto magro: l'anello di sua madre, l'anello della persona che, prima di conoscere Iris, era stata la più importante della sua vita.
Osservò il semplice decoro floreale che correva tutto intorno al piccolo cerchio. Ricordava bene quel particolare fregio, lo aveva sempre stupito e incantato quando lo guardava con i suoi occhi innocenti di bambino, lo stesso bambino che aveva paura del mostro nel camino e che non avrebbe mai immaginato di vedere il sangue di un altro uomo macchiare sue mani.
Sollevò la testa posando lo sguardo carico di rabbia sul baule aperto: il ghigno gelido della Maschera seguitava a fissarlo, pareva ridere di lui, dei suoi pensieri e dei suoi ricordi.
Tuttavia non era un caso che quel piccolo portagioie si trovasse proprio lì.
Le teneva volutamente entrambe in quella cassa, la fede nuziale di Eileen Prince e la Maschera d'argento dei Mangiamorte.
Due oggetti così diversi: l'uno simbolo d'amore, l'amore che gli aveva dato la vita, aveva unito suo padre e sua madre, un Babbano e una strega, trionfando su quegli assurdi pregiudizi che tanto stavano insanguinando il suo mondo.
L'altro, solo un simbolo di odio, a rammentargli che lui quella vita l'aveva gettata via, insieme a quella di tanti innocenti.
La calda luce dell'oro e il freddo argento di quel volto orrendo, eterni rivali come la vita e la morte.
Strinse con forza il piccolo gioiello, fissando quel volto lucido, le labbra forzatamente chiuse, quasi a trattenere quelle parole che la sua mente stava già gridando: “questo amore è più forte di te, non potrai portarmelo via”
Si lasciò cadere seduto sul letto stringendo al petto quel cerchio dorato come in un abbraccio e si abbandonò ai ricordi.
Eileen era una piccola donna gracile e non particolarmente bella, eppure aveva un carattere forte: ferma nelle sue decisioni, a differenza di lui, non aveva ceduto ai folli ideali di chi voleva preservare la razza magica, lei aveva scelto l'amore.
Sposare Tobias Piton, un Babbano, era stata una scelta coraggiosa che le aveva messo contro la sua famiglia.
Ammirava sua madre per questo, avrebbe voluto dirglielo, ma era morta quando lui era ancora troppo piccolo, quando non era in grado di capire cosa significasse sacrificare tutto per donarsi completamente ad un’altra persona.
Solo ora poteva comprendere fino in fondo l'insegnamento di quella donna coraggiosa.
Solo ora aveva capito cosa volesse dire amare qualcuno più della propria vita.
Purtroppo l'amore che i suoi genitori provavano l'uno per l'altra non era riuscito a colmare completamente la voragine che separava i loro due mondi.
Se solo suo padre fosse stato meno orgoglioso e prevenuto nei confronti di Eileen, probabilmente la sua sarebbe stata una famiglia felice.
Tobias amava follemente la sua sposa, ma, nello stesso tempo, temeva i suoi poteri, la sua paura della magia lo aveva reso un violento.
La sua nascita, poi, aveva ulteriormente peggiorato le cose: un figlio dotato di poteri magici era qualcosa che Tobias non riusciva proprio ad accettare.
Improvvisamente chiuse gli occhi, aveva l'impressione di sentire le loro risate in quella stanza.
In realtà, raramente li aveva visti divertirsi insieme, ma era facile, ora che entrambi erano morti, ricordare solo i momenti felici, cancellando pietosamente i tremendi litigi che scoppiavano regolarmente fra i suoi genitori.
Sorrise, immaginando il momento in cui, quell'anello sarebbe stato donato per la seconda volta.
Giurò a se stesso che Iris non sarebbe stata un’altra Eileen Prince, lui avrebbe fatto di tutto per renderla felice.
Sapeva che non avrebbe mai potuto cancellare ciò che era diventato, ma, un giorno, finalmente, Voldemort sarebbe stato sconfitto e la maledizione si sarebbe spezzata, quel giorno sarebbe stato libero di amarla.
Avrebbe lavato le macchie di sangue dalle sue mani, anche se non avrebbe mai potuto cancellarle dalla sua anima. L'avrebbe fatto per lei, per poter finalmente sfiorare il suo viso, senza sporcarlo delle sue colpe.
Lei non poteva, non doveva essere toccata dall'orrore.
Sarebbe stato felice solo per lei, per lei avrebbe rinchiuso il dolore nella parte più nascosta del suo cuore, perché non potesse mai trovarlo.
Arricciò le labbra, assumendo un’espressione dubbiosa, mentre cercava di immaginare le parole che avrebbero accompagnato il suo dono.
Le avrebbe detto che l'amava? Le avrebbe chiesto di condividere il resto della vita con lui?
Si sentì improvvisamente sciocco e impacciato: forse non era il momento per un simile dono. Forse avrebbe davvero dovuto attendere la caduta di Voldemort.
E se quel momento non fosse mai arrivato?
Un brivido percorse la sua schiena: credere in un futuro felice era così difficile.
Certo, più volte, aveva immaginato di avere una famiglia, dei figli. Sognare lo aiutava ad andare avanti, ma, forse, non avrebbe dovuto illudere anche Iris con una promessa di matrimonio che probabilmente non si sarebbe mai realizzata.
Sospirò, l'amore l'aveva reso cieco ed egoista, ecco la verità.
La desiderava contro ogni logica, forse era pazzia la sua, ma cos'altro gli restava?
Si alzò di scatto e prese a camminare nervosamente per la stanza, quella sera le avrebbe dato l'anello, le avrebbe chiesto di diventare la sua sposa, sì, ormai aveva deciso, forse all'indomani sarebbe morto, ma quella sera voleva il suo sogno, non vi avrebbe rinunciato.
Per una sera non sarebbe stato Piton il Mangiamorte, né Severus la spia. Sarebbe stato solo un uomo innamorato, solo quello.
Magari solo per una sera.
Afferrò la bacchetta e la puntò contro il baule che si richiuse rumorosamente scivolando di nuovo sotto il letto.
Si avviò a grandi passi verso la porta e sempre stringendo l'anello si precipitò giù per le scale. Giunto al piano terra si guardò intorno e i suoi occhi si spalancarono, non aveva mai notato prima la trascuratezza della sua casa, pareti tappezzate di libri, un tappeto tarlato e vecchi mobili sparsi per la stanza senza nessun criterio.
Mosse la bacchetta spalancando le finestre. Sì, così era decisamente meglio: un po' di luce era quello che ci voleva.
Si morse il labbro, ora doveva rendere accogliente quella casa.
Cominciò a spostare tavoli e sedie trascinandoli per la stanza, mentre sul suo viso si disegnava un’espressione soddisfatta. Abbassò di nuovo lo sguardo fissando l'anello che teneva ancora sul palmo della mano, il gioiello sfavillò alla luce del sole che ora aveva invaso la stanza e si specchiò nelle iridi nerissime del mago, sembrava condividere la sua felicità, Severus sorrise sottilmente divertito.
Improvvisamente, però la sua espressione si mutò in una smorfia di dolore.
“Noooo!” gridò.
La sua mano si contorse come colta da un crampo lasciando scivolare a terra il suo tesoro.
L'anello di Eileen rotolò per qualche metro e finì la sua corsa contro il piede del tavolo.
Il giovane fece qualche passo tentando di afferrarlo, ma fu colto da un'altra fitta, strinse gli occhi piegandosi in avanti.
Il Marchio bruciava come non mai, non era la solita chiamata, era qualcosa di peggio.
Cadde in ginocchio stringendo spasmodicamente il braccio sinistro.
Qualcosa di terribile doveva essere accaduto: gli sembrava di sentire i pensieri di Voldemort nella sua testa, la sua gioia insana lo invase.
Sentì la risata di trionfo del suo Signore rimbombare nelle sue orecchie e una nausea terribile gli tolse il respiro.
Si trascinò faticosamente contro la parete e appoggiò la schiena al muro, ansimando.
“No, no, ti prego no!” gemette scotendo il capo. Poi, afferrando la stoffa con rabbia, si strappò via la manica con così tanta violenza da lasciare sulla pelle i segni delle unghie.
Fissò il Marchio, gli occhi sbarrati dal terrore: il serpente inciso nella sua carne sembrava aver preso vita. Non lo aveva mai visto così, neppure il giorno maledetto in cui l'aveva ricevuto.
Voldemort lo stava chiamando, doveva andare da lui, ma qualcosa gli diceva che quel giorno sarebbe accaduto qualcosa di irreparabile.
Era come pietrificato, non voleva rispondere a quella chiamata, avrebbe fatto di tutto per non scoprire il motivo della gioia del suo Signore, di tutto.
I minuti passavano e il mago era in terra, immobile, si stringeva il braccio con la mano destra cercando di regolare il respiro. Sapeva che stava solo ritardando l'inevitabile.
Non era solo la sua vita in gioco, se così fosse stato non avrebbe esitato a lasciare che il dolore lo uccidesse lì nel pavimento della sua casa, ma aveva fatto una promessa, aveva un dovere da compiere, per Iris e per ripagare tutto il sangue che aveva versato.
Doveva andare, non aveva scelta, ma voleva illudersi ancora per un istante di poter scegliere di non rispondere, di poter decidere di vivere o morire, di poter essere libero.
Poi un’altra fitta, il mago strinse i denti soffocando un grido acuto, non c'era più tempo, il suo padrone non avrebbe atteso ancora.
Il suo sguardo si posò sul piccolo cerchio dorato che giaceva in terra di fronte a lui.
“Iris, perdonami!” mormorò e i suoi occhi si velarono di lacrime, mentre la mano si apriva per accogliere la Maschera che, rispondendo al richiamo della sua mente, era schizzata fuori dal baule.
Senza neppure alzarsi da terra, il mago indossò il suo volto d'argento e sparì.


Continua…




Il prossimo capitolo s’intitola “Goldrick's Hollow”. Beh, lo potete immaginare da soli cosa succederà

Ciao, ciao!




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Capitolo 17
*** Cap 17: Goldrick's Hollow ***


Cara Akiremirror se ti sono sembrata malefica nel capitolo precedente, mi chiedo cosa mi dirai ora che ci stiamo avviando verso il gran finale, presto saprò se avrò vinto la gara di sadismo, eheheheh!Sono contenta che il confronto con Silente ti sia piaciuto, in effetti, secondo me, lui doveva dare l’impressione di essere padrone della situazione, un condottiero come credo che sia Albus, deve restare calmo, anche se è cosciente di poter commettere errori. Beh, per convincere Severus a fare la spia, dovevo dargli una motivazione molto forte. Chissà quale sarà la versione della Rowling? Speriamo bene. Ora comincia a tremare, perché, da adesso in poi, non ho avuto pietà per nessuno.

Buona lettura!


CAP. 17: Goldrick’s Hollow

La via babbana era deserta, da quella piccola altura si poteva vedere bene tutto il quartiere, ma la casa dei Potter sembrava essere stata inghiottita in mezzo a decine di altre case.
L’Incanto Fidelius non permetteva a nessuno di individuarla, ogni volta che il mago cercava di fissare lo sguardo sul cortile che doveva ospitare il piccolo edificio a due piani, era come se l’intero quartiere cambiasse forma e lui si ritrovava a guardare dalla parte opposta.
Severus era giunto lì con un gruppo di Mangiamorte, Voldemort aveva ordinato loro di restare ad aspettare che tutto fosse finito: quella notte avrebbero assistito al suo trionfo.
Il loro Signore avrebbe agito da solo: lui era l’unico in grado di trovare la casa, l’unico ad aver avuto l’informazione dal Custode Segreto.
Il mago se ne stava lì, in piedi, nascosto dall’oscurità, un’ombra fra le ombre. Solo la Maschera d’argento, riflettendo la luce fioca e giallognola di un lampione, emergeva da quelle tenebre come un orrendo spettro.
“Sirius, maledetto traditore.” mormorò il giovane mago fra i denti, mentre fissava il vuoto davanti a sé, sperando che qualche miracolo lo aiutasse ad individuare quella casa.
In pochi istanti i suoi sogni e le sue speranze erano state spazzate via.
Quando Voldemort aveva annunciato ai suoi seguaci di aver finalmente trovato i Potter, non riusciva a credere alle sue orecchie.
Sapeva che il custode segreto, l'unico che avrebbe potuto svelare l'indirizzo al suo Signore, era l'uomo che James Potter considerava il suo migliore amico.
Odiava Sirius Black, ma non avrebbe mai messo in dubbio la sua lealtà verso James e Lily.
Non riusciva a capacitarsene, non era possibile, come avevano potuto commettere un simile errore? Silente aveva messo quella famiglia nelle mani di Black e lui li aveva consegnati a Voldemort.
Il sapore ferroso del sangue gli riempì improvvisamente la bocca: senza neppure accorgersene aveva affondato i denti nel labbro inferiore.
Si voltò appena per potersi pulire il sangue con la manica della tunica, senza che il suo compagno lo notasse.
Fingersi in trepidante attesa per la vittoria del Signore Oscuro lo nauseava. Non riusciva a pensare: l’ansia aveva completamente annebbiato la sua mente.
Cosa poteva fare? Anche se fosse riuscito a liberarsi dei suoi scomodi compagni, come avrebbe potuto trovare i Potter e soprattutto come avrebbe potuto fermare Voldemort?
Fece una smorfia, il Mangiamorte al suo fianco continuava a ridere e a magnificare il suo padrone, si sforzò di annuire pur non avendo prestato attenzione ad una sola parola pronunciata da quell’uomo.
Improvvisamente vide dei lampi, luci colorate sembrarono comparire dal nulla, erano lampi di incantesimi.
Era cominciata. Voldemort li aveva trovati.
Ora in quella casa si stava consumando una battaglia o, piuttosto, un massacro, i Potter non avevano alcuna speranza di sopravvivere.
Severus continuava a non vedere la casa, ma qualcosa in quegli incantesimi stava aprendo una breccia nella protezione creata dall’Incanto Fidelius.
Ora, forse, sarebbe riuscito ad individuarli. Non sarebbe rimasto lì fermo senza intervenire.
Sapeva di non aver alcuna possibilità contro Voldemort, ma quello che stava accadendo era colpa sua, era stata la sua stupidità a condannare a morte un’intera famiglia, non sarebbe rimasto a guardarli morire. Era arrivato il momento di gettare la maschera.
Afferrò la sua bacchetta, stringendola con forza: non poteva salvarli, ma poteva morire con loro affrontando Voldemort a viso aperto.
Si voltò di scatto, pronunciando l’incantesimo e, prima ancora di capire cosa stesse succedendo, due dei Mangiamorte che erano di guardia con lui caddero a terra morti.
Un terzo fece in tempo a reagire: dalla sua bacchetta esplose un raggio che sfiorò i capelli di Severus.
Il mago si gettò a terra cercando di colpire a sua volta, ma il suo avversario fu più rapido: il giovane mago si ritrovò disarmato, la sua bacchetta ora giaceva nell’erba a qualche metro da lui, troppo lontana.
Stese la mano, le sue labbra stavano per pronunciare l’incantesimo di richiamo, quando il suo compagno, puntò di nuovo la sua arma.
“Non provarci.” ringhiò.
Severus abbassò la mano, sapeva che era finita, aveva fatto il suo tentativo e aveva fallito, una parte di lui l’aveva sperato, aveva sperato di non sopravvivere, non avrebbe sopportato altro sangue innocente sulle sue mani, il rimorso per quello che si stava versando in quel momento in casa dei Potter sarebbe stato troppo doloroso da sopportare.
Era meglio morire piuttosto che vivere tormentato dal senso di colpa, il peso di quelle morti l’avrebbe schiacciato.
Il Mangiamorte si avvicinò, con la bacchetta puntata, fissando il mago a terra.
Severus guardò il suo volto coperto dalla Maschera d’argento, la stessa che nascondeva anche il suo viso.
Quanta gente aveva visto la morte nascosta dietro quel freddo metallo che, con la sua orrenda forma, preannunciava al malcapitato il suo triste destino.
Ora quella Maschera era venuta per lui.
“Schifoso traditore, i Potter non saranno i soli a morire questa notte.” sputò le sue parole con odio. Severus chiuse gli occhi trattenendo il respiro: era pronto?
Probabilmente no, aveva paura: nessuno può essere pronto a morire a vent’anni.
Il mago sospirò e strinse i pugni: nessuno dovrebbe avere tante colpe a vent’anni.
“NOOOOOO!” improvvisamente una voce di donna li fece voltare entrambi.
Severus rabbrividì, Iris era appena spuntata da dietro un albero, pallida e col volto rigato dalle lacrime.
L’aveva seguito, chissà da quanto tempo era nascosta tra quegli alberi.

La maga lo aveva aspettato inutilmente per ore quella sera, poi aveva deciso di cercarlo a casa sua. Immediatamente aveva capito che doveva essere accaduto qualcosa di grave.
Il giovane sembrava essersene andato in gran fretta lasciando le finestre aperte.
Era entrata in casa, tavoli e sedie erano in mezzo alla stanza, come se il mago fosse stato interrotto nel mezzo di un trasloco.
Si era guardata intorno, no, Severus non sarebbe mai uscito lasciando la casa in quel modo e, soprattutto, senza neppure degnarsi di chiudere le finestre.
Aveva provato a chiamarlo, anche se era certa che non avrebbe avuto risposta: il suo Severus non era lì.
Infine, abbassando lo sguardo, lo aveva visto: il piccolo anello di Eileen Prince brillava sul pavimento.
Si era precipitata a raccoglierlo, non era stato difficile per lei capire cosa significasse quel gioiello, ma il fatto di trovarlo in terra non era un buon segno.
Era sempre più preoccupata, ormai era chiaro che doveva essere successo qualcosa.
Era corsa al piano superiore, non sapeva se augurarsi di trovarlo, magari ferito e impossibilitato a rispondere, o sperare che fosse lontano, purché sano e salvo.
Forse non era solo, forse avrebbe trovato dei Mangiamorte al piano di sopra.
Non aveva importanza, l'unica cosa importante era trovare Severus.
Dimenticando la prudenza, l'aveva cercato stanza per stanza, spalancando le porte una ad una, mentre l'ansia cresceva ad ogni passo.
Aveva gridato il suo nome, ma inutilmente: Severus non era in quella casa.
Poi l'aveva sentita: una sensazione improvvisa.
Aveva sentito la rabbia stringerle lo stomaco, una rabbia che non riusciva a spiegare. Non era lei, lei non era arrabbiata, semmai spaventata. Quelle erano emozioni di un'altra persona, era Severus.
Si era bloccata e, ansimando, si era portata una mano al petto, mentre ascoltava ciò che sembrava provenire dal suo cuore, ma, nello stesso tempo, le era completamente estraneo.
Stava sentendo quello che provava Severus in quel momento.
Aveva preso a stringere e a tormentare la stoffa del suo abito, cadendo in ginocchio, gli occhi sbarrati e il sudore freddo ad imperlarle il viso che impallidiva a vista d'occhio.
Le labbra si erano spalancate cercando avidamente quell'aria che d'improvviso le era sembrata insufficiente a riempire i polmoni.
Si era sentita soffocare quando, alla rabbia, si erano sommate ansia e infine disperazione, le aveva sentite così forti che aveva cominciato a tremare scoppiando piangere.
Poi un nome era esploso nella sua testa, un nome sconosciuto.
La maga non era riuscita a trattenere un grido disperato, aveva gridato quel nome con tutta la voce che aveva, odiando inspiegabilmente quell'uomo, come non aveva mai odiato nessuno.
“Sirius Black!”
Erano gli effetti dell'incantesimo del vento, lo sapeva, gli stessi effetti che l'avevano condotta dal suo Severus nella foresta proibita, circa un anno prima.
Tuttavia, quella prima volta aveva sentito chiaramente il dolore al braccio, aveva sentito i colpi e il bruciore delle ferite che il mago si stava procurando. Quella sera, al contrario, non aveva sentito dolore, ma l'ansia, la rabbia e una terribile sensazione di impotenza erano chiari segni che Severus doveva essere in pericolo, più di altre volte, quando, pur avendo dovuto subire le conseguenze dell'ira del suo padrone, non aveva mai ceduto alla paura.
Era stata proprio quella paura a convincerla che stava certamente succedendo qualcosa di terribile.
Alle emozioni di Severus si erano aggiunte le sue, altrettanto forti, altrettanto devastanti, il terrore di perderlo l'aveva resa folle: doveva raggiungerlo, doveva vederlo, lei poteva trovarlo.
Il legame che si era formato con l'incantesimo era ancora attivo, poteva funzionare, doveva funzionare.
Doveva solo concentrarsi e, quelle forti emozioni, l'avrebbero trascinata da lui.
E così aveva fatto, si era lasciata risucchiare in quel baratro di disperazione, e si era ritrovata su quell'altura.


* * *



Nessuno si era accorto di lei fino a quel momento.
Gli occhi del mago incrociarono le scure pupille della ragazza, si senti morire, no, lei non c’entrava, queste erano le sue colpe, il suo destino.
Anche l’uomo che teneva Severus sotto tiro ebbe un attimo di esitazione, poi le sue labbra si piegarono in un ghigno cattivo sotto la Maschera.
“Avete deciso di morire tutti stanotte?” disse scoppiando in una risata, che però si mutò immediatamente in un grido disperato, come se fosse in preda alle fiamme.
Iris si era gettata su di lui e ora lo stringeva come in un abbraccio.
“Corri!” gridò rivolta a Severus. “Va’ a salvarli!”
Sì, doveva salvare i Potter, doveva correre da loro, eppure, per qualche istante che sembrò interminabile, il mago restò a fissare la sua Iris, mentre stringeva nel suo terribile abbraccio il suo avversario.
Ricordò quanto era sconvolta quando aveva ucciso involontariamente suo padre.
Lui sapeva bene che uccidere anche per difendersi può causare indelebili cicatrici nell’anima, quanto dolore si prova a togliere la vita ad un’altra persona.
Iris lo aveva fatto per lui, aveva fatto la cosa che temeva di più: dare la morte in quel modo orrendo.
Il Mangiamorte gridava in un modo straziante, ma lui sapeva che il fuoco che lo faceva urlare stava consumando anche la sua Iris nello stesso rogo.
Per lui, solo per lui stava uccidendo volontariamente la sua innocenza.
La vide svanire dalla sua vista, mentre costringeva il suo corpo a lasciare quel luogo. I Potter doveva andare da loro, non poteva più aspettare.
“Iris!” la voce del mago si perse nel vento, mentre lui, trascinato dalla forza della disperazione, si Materializzava di fronte a quelle luci che aveva visto da lontano.
Il cuore in gola per quello che si era lasciato alle spalle e negli occhi il terrore per ciò che lo attendeva.


* * *



La casa dei Potter doveva essere lì vicino. Continuava a vedere i lampi degli incantesimi, evidentemente James e Lily stavano disperatamente cercando di difendersi.
Quanto sarebbe durata? Quanto tempo gli restava? Era lì, a due passi da loro, ma non riusciva a vedere l’entrata.
Si portò entrambe le mani sui capelli, stava sudando, credette per un momento che il cuore stesse per esplodergli nel petto.
Cosa poteva fare? Sapeva che, a pochi passi da lui, si stava consumando una tragedia, cominciò a guardarsi intorno, loro erano così vicini, doveva esserci un modo, un maledettissimo modo per trovarli.
Cominciò a percorrere quella strada avanti e indietro, sempre più velocemente, nessuna porta, niente che potesse indicargli la casa, iniziò a piangere come un bambino.
Chiuse gli occhi e prese a muovere le braccia in modo folle colpendo l’aria.
Sapeva che non c’era modo di eludere l’Incanto Fidelius, il suo gesto era solo dettato dalla disperazione.
“James, James!” urlò con tutto il fiato che aveva. “Lily, fatemi entrare.”
Cadde in ginocchio non sperava certo che qualcuno gli aprisse la porta, ma sentirsi così impotente lo stava facendo impazzire.
“Maledizione!” urlò. “Sirius, mi senti? Me la pagherai.” prese a singhiozzare. “Li hai venduti, hai venduto i tuoi amici a Voldemort”.
Improvvisamente udì un grido, poi un boato sordo e la facciata di una casa in mattoncini rossi apparve dal nulla: la potenza degli incantesimi che si era scatenata all’interno aveva squarciato la barriera creata dall’Incanto Fidelius.
Immediatamente, il mago afferrò la bacchetta e la puntò contro la porta, le sue labbra non pronunciarono alcun incantesimo, ma fu come se la rabbia, il terrore e la disperazione che erano imprigionate nel suo cuore fossero improvvisamente sgorgate attraverso la piccola asticella di legno.
Una bolla di luce esplose davanti a lui, spazzando via il piccolo portoncino bianco e anche parte del muro della facciata.
Severus si precipitò all’interno.
I segni del combattimento appena avvenuto erano evidenti, il mobilio era in pezzi e i muri anneriti. Il pesante tavolo in noce del soggiorno era rovesciato.
Davanti ai suoi occhi terrorizzati, apparve l’immagine che non avrebbe mai voluto vedere, quella che spazzò via in un solo colpo la sua ultima fragile speranza: una mano spuntava da sotto il tavolo.
James Potter era lì, in terra, stringeva ancora tra le dita la sua bacchetta, ultima inutile difesa.
“Lily!” il mago distolse immediatamente lo sguardo e si lanciò su per le scale, al piano di sopra c’era Lily, erano le sue grida che aveva sentito.
Avrebbe voluto morire pur di non vedere con i suoi occhi il risultato della sua sconsideratezza, cosa avrebbe trovato al piano di sopra?
Sapeva di essere arrivato tardi, ormai ne era certo, erano morti, Voldemort li aveva uccisi tutti, ed era solo colpa sua.
Improvvisamente si sentì mancare il pavimento da sotto i piedi. Si aggrappò alla ringhiera della scala per non cadere.
Un boato che sembrava provenire da sottoterra lo fece rabbrividire. Quelle che parevano scosse di terremoto presero a scuotere la casa.
Gli occhi del mago bruno si spalancarono: grosse crepe si stavano formando nei muri, si arrampicavano rapidamente salendo dal pavimento e allargandosi fino al soffitto.
La casa si stava sgretolano, calcinacci iniziarono a staccarsi dalle pareti.
Con fatica, Severus riuscì a salire l’ultima rampa di scale praticamente inginocchio, mentre tutta la casa oscillava paurosamente.
Giunto alla porta della camera da letto la trovò aperta, i suoi occhi individuarono immediatamente la figura di spalle vestita di nero: Voldemort era ancora in quella stanza.
D’istinto il giovane mago afferrò la bacchetta e piombò all’interno come una furia, pronto ad affrontare il suo padrone, guidato, ormai, solo dal desiderio di vendetta.
Tuttavia, una volta attraversata la soglia, si trovò improvvisamente immerso in un’atmosfera irreale, non sentiva più le scosse, né alcun rumore. Ebbe l’impressione che il tempo si fosse fermato.
Voldemort sembrava non essersi accorto della sua presenza, era sospeso a mezz’aria e dalla sua bacchetta l’inconfondibile raggio verde dell’Avada Kedavra era come congelato.
All’altra estremità del raggio, un bambino, il figlio di James e Lily.
Severus fissava quella scena pietrificato, tutto sembrava svolgersi con estrema lentezza, qualcosa, anzi qualcuno si era messo nella traiettoria del raggio.
“Lily!” gridò il mago sbigottito, ma quella non era Lily, la vera Lily giaceva in terra poco distante.
Era morta come suo marito.
Forse stava vedendo il suo fantasma? Qualunque cosa fosse stava assorbendo la Maledizione come una barriera e diventava sempre più luminosa.
Voldemort sembrava intrappolato, come se quella luce e il calore che emanava, avesse la capacità di consumare i suoi poteri e non solo quelli: anche il suo corpo si stava prosciugando come fango al sole.
Le dita scheletriche del mago erano strette intorno alla sua bacchetta, ma somigliavano sempre più a rami secchi e anneriti.
Solo un leggero tremore scuoteva quel corpo a testimoniare che la vita non lo aveva ancora abbandonato.
Poi, all’improvviso, lo sentì gridare, un grido inumano e assordante, al quale si sommò il boato della terra che si stava aprendo sotto i suoi piedi.
Il tempo sembrava aver ripreso a scorrere normalmente e anche le mura di quella stanza, che fino a quel momento non erano state investite dal terremoto, presero a frantumarsi.
Severus si gettò sul bambino, lo afferrò Smaterializzandosi appena in tempo, prima che l’intero soffitto rovinasse su di loro.
Restò per un momento immobile appena fuori dalla casa dei Potter, ansimante e coperto di polvere, con quella piccola creatura, che non smetteva di piangere, in braccio. Poi si voltò a guardare quello che restava della casa, era terribile, pensare che Lily e James erano lì dentro.
Per un attimo aveva avuto l’impressione che il fantasma di lei gli sorridesse. Il mago scosse la testa, prese la sua bacchetta e, puntandola verso il cielo, evocò il suo Patronus: doveva avvertire Silente di quello che era successo.
Avvolse il piccolo Harry nel suo mantello e si Smaterializzò.


Continua…




Ahimè, siamo giunti alla fine di questa storia: il prossimo capitolo sarà l’ultimo, infatti si intitolerà “l’ultima notte”.Sarà meglio se non vi anticipo altro, solo fate una bella scorta di fazzoletti. Ah, Akiremirror, finalmente avrai il bacio che aspettavi ;-).

Ciao, ciao!




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Capitolo 18
*** Cap 18: L'ultima notte ***


Cara Akiremirror se il capitolo precedente è stato una sofferenza, devo dire che ne sono contenta. Non fraintendere, intendo dire che ho cercato di rendere quella notte davvero terribile per Severus, perché credo che non ci sia niente di peggio che sentirsi impotente. Non riuscire a salvare i Potter, sapendo di essere stato lui la causa di quello che stava avvenendo davanti ai suoi occhi, brrrr! E poi Iris, lei non poteva certo restare a guardare. Pensi che quello che è successo produrrà un pessimo effetto su di lei? Qualcosa tipo: lei lo odierà per quello che è stata costretta a fare per lui? Ummmm! Se è questo che immagini sei fuori strada, ma capirai tutto immediatamente. Dopo questo capitolo sapremo se ho meritato la coppa dei sadici. Tu solo sai cosa hai scritto nella tua ff, mi riserverò di giudicare quando anche tu sarai arrivata alla fine, io ormai ho scoperto le mie carte, ma non barare, cambiando il finale, eheheheh!


Buona lettura!


CAP. 18: L’ultima notte

Era di nuovo sulla piccola altura, e trascinava i suoi passi lentamente sull’erba, quando lo vide: il cadavere del Mangiamorte era lì disteso, nei suoi occhi la stessa espressione di terrore e di dolore che aveva visto sul padre di Iris quando l’aveva incontrata per la prima volta.
Istintivamente sollevò un lembo del mantello a coprire la creatura innocente che stringeva tra le braccia, come a volerlo proteggere da quella vista, pur essendo Harry troppo piccolo per comprendere l’orrore di cui era involontario testimone.
Fissò l’uomo, quell’immagine orrenda col volto ancora coperto dalla Maschera d’argento, e improvvisamente gli si gelò il sangue.
Qualcosa brillava alla fioca luce del lampione, qualcosa che Severus riconobbe immediatamente: il pugnale dei Mangiamorte.
Afferrò la bacchetta per fare più luce, la puntò verso l’uomo a terra, le mani tremanti e il cuore impazzito.
Non si sbagliava: l’uomo si era difeso, c’era del sangue sulla lama.
“No!” la sua Iris, quel sangue era il suo, ne era certo, doveva trovarla subito.
Prese a guardarsi intorno puntando follemente la bacchetta in tutte le direzioni, incurante del fatto che quella luce magica avrebbe potuto attirare qualche Babbano, ora solo una cosa gli importava: doveva trovare la sua Iris, sperando che non fosse troppo tardi.
“Iris, Iris, dove sei? Iris rispondimi, ti prego rispondimi.”
Poi la luce bianca della bacchetta la individuò, Severus si sentì morire, la ragazza era stesa sull’erba vicino ad un albero, sul suo ventre si allargava una chiazza scura e il mago seppe che la sua più grande paura si era concretizzata.
“Iris, Iris, no! Dio ti prego no!”
Improvvisamente ebbe l’impressione che la forza l’avesse abbandonato, incespicando nei suoi stessi piedi raggiunse barcollando la donna che amava e crollò in ginocchio accanto a lei.
Le labbra aperte in grido muto e il piccolo Harry stretto tra le braccia, forse con troppa forza, tanto che il piccolo cominciò a piangere, cercando di divincolarsi da quella stretta.
Era stato tutto inutile, non aveva potuto salvare i Potter e ora avrebbe perso anche lei, non poteva più fare niente per salvarla, nessuna magia, nessuna pozione avrebbe potuto strapparla alla morte, era passato troppo tempo e Iris aveva già perso troppo sangue.
La strega aprì stancamente gli occhi, fissando quel fagottino che continuava ad urlare disperato, probabilmente senza capire quanto avesse ragione di farlo.
Cercò gli occhi neri del mago, sperando che non confermasse le sue paure, ma Severus annuì.
“Sono arrivato tardi, si è salvato solo lui.” nella sua voce un’infinita tristezza e poi la rabbia e la disperazione.
“Maledizione, Iris, avresti dovuto uccidermi quel giorno, insieme a tuo padre.” si portò una mano a coprirsi gli occhi scotendo la testa.
“Guarda cosa ho fatto della vita che mi hai donato, le mie mani sono imbrattate del sangue di così tanti innocenti. Voldemort è stato sconfitto, ma a quale prezzo? Quest’orfano è tutto ciò che resta della mia vita, è il simbolo del mio fallimento, sarà il simbolo vivente di ciò che sono diventato: un dispensatore di morte, ecco cosa sono. Tutto ciò che tocco è destinato a perire. Iris, Iris, perdonami.”
La maga non disse nulla, allargò le braccia per accogliere quella piccola vita, quel bambino che avrebbe potuto essere il loro figlio, voleva stringerlo fra le braccia e immaginare per qualche istante quella vita felice che la Maledizione che avrebbe dovuto proteggerla le aveva invece negato.
Severus si piegò porgendole delicatamente il piccolo.
Improvvisamente un’espressione di terrore si dipinse sul volto di Iris: le dita del mago stavano sfiorando le sue.
Il suo sguardo corse immediatamente a cercare gli occhi di lui, ma non vi trovò né sorpresa, né paura, vi trovò solo determinazione.
Le labbra della maga si spalancarono: l’aveva fatto deliberatamente, voleva morire con lei.
“No!” urlò con voce strozzata guardando, paralizzata dall’orrore, il suo uomo.
Si aspettava di vederlo stramazzare da un momento all’altro, ma i secondi passarono e il suo Severus era sempre inginocchiato al suo fianco, immobile, incapace di parlare.
La fissava, sconvolto e furente al tempo stesso. La consapevolezza di quello che poteva essere accaduto, sembrava averlo precipitato nel più orrendo dei suoi incubi: nemmeno la morte gli era concessa, nemmeno quello.
Sollevò lentamente la manica della tunica, il marchio c’era ancora, ma sembrava appena un’ombra sulla sua pelle, il suo potere malefico si era dissolto assieme a quello del suo padrone.
“La maledizione è spezzata.” mormorò Iris, con voce tremante, in un misto di gioia e disperazione, mentre guardava la delusione sul volto del suo amato Severus.
Gli sorrise.
“Baciami!” disse, mentre la sua voce si faceva sempre più flebile.
Il mago si chinò dolcemente sulle sue labbra, sfiorandole appena, lentamente e delicatamente. “Ti amo!”sussurrò sulla sua bocca.
Avrebbe voluto donarle la sua vita con quel bacio. Sollevò la mano e prese a carezzarle i capelli dolcemente, con lentezza.
Avrebbe voluto che il tempo si fermasse, quel bacio l’aveva sognato e desiderato da tanto tempo. Aveva lottato per averlo, aveva venduto la sua anima, per quel breve istante, troppo breve.
No, non poteva finire così, non doveva finire così.
“Iris, non lasciarmi, ti prego.” disse, mentre calde lacrime presero a scendere sulle sue guance.
Si sollevò appena dalle labbra di lei, per baciarle la fronte, Iris chiuse gli occhi e il mago baciò le sue palpebre, si sentiva morire ad ogni bacio, aveva desiderato per quasi due anni di sfiorare quella pelle delicata ed ora la maledizione si era spezzata solo per lasciare il posto ad una condanna ben peggiore, toccare il suo corpo e sentire la vita abbandonarlo lentamente e crudelmente. La sentiva fremere per i suoi baci e nello stesso tempo irrigidirsi per gli spasimi di dolore.
“Iris, Iris, ti prego, avevi promesso, avevi detto che saremo stati felici.” prese a singhiozzare e, stringendola sempre più a se, affondò il viso tra i suoi capelli.
“Dio, no, no, non puoi farmi questo, Iris, non lasciarmi, ti prego, non lasciarmi.”
Poi la sentì tremare.
“Se…verus!” mormorò, la sua voce era ridotta ad un soffio.
Il mago si sollevò sulle braccia, Iris gli sorrideva, lo sguardo era fisso su di lui, ma non c’era più vita nei suoi occhi.
Guardò la sua figura languidamente sdraiata con il piccolo Harry tra le braccia, era così che sognava di vederla un giorno: distesa sull’erba, con il loro figlio in braccio, quel giorno felice che non sarebbe mai più arrivato.
“NOOOOOOOOO!” il mago gridò verso il cielo tutta la sua rabbia e il suo dolore. Le sue urla e il pianto del piccolo orfano squarciarono il silenzio, per poi placarsi nuovamente.
Ammirò ancora quegli occhi fissati per sempre in un’ultima offerta d’amore, si chinò e, sfiorandoli appena con la mano, li chiuse e ne baciò delicatamente le palpebre.
“Tu hai salvato la mia vita, Iris, tu mi hai fermato quel giorno, io ero il tuo assassino e tu mi hai risparmiato. Questo corpo, continuerà a vivere, a respirare come tu hai voluto, ma Severus Piton muore questa notte.
Io ho trasformato in una tomba il nostro talamo nuziale. Se è così che deve essere, se è solo così che potremo restare insieme, allora io seppellirò con te il mio cuore. Io te lo dono, mia dolcissima Iris, tua sarà la mia anima, tua sarà la luce di questi occhi, solo tua, per sempre.” Severus si sdraiò accanto a lei e al piccolo Harry circondandoli col suo abbraccio, chiuse gli occhi, mentre nella sua mente risuonava la voce della sua Iris o, forse, era solo il vento.

Al mio ben che riposa
Sull’ali della quiete,
grati sogni assistete
e il mio racchiuso ardore
svelategli per me


L’alba li trovò così, abbracciati nell’erba. Il piccolo Harry addormentato fra le loro braccia.


* * *



Severus si sollevò volgendo lo sguardo alle macerie di casa Potter, il suo messaggio doveva essere ormai arrivato a destinazione, Silente sarebbe arrivato da un momento all’altro o avrebbe mandato qualcuno.
Ai primi raggi del sole la casa ridotta ad un mucchio di detriti era uno spettacolo terribile. Di quel luogo che fino a qualche ora prima era un posto felice, non restava che un mucchio di pietre e travi fumanti.
L’insolito crollo avrebbe attirato presto parecchi curiosi Babbani. Gli abitanti di Godric's Hollow, infatti, non avevano potuto sentire il fragore della battaglia perché la casa era schermata, ma il chiarore dell’alba stava scoprendo agli occhi del mondo quell’orrido spettacolo, come le luci di un macabro palcoscenico mostrano allo spettatore l’epilogo di una tragedia.
Ora non c’era più pericolo per il piccolo: con la confusione che si sarebbe venuta a creare, i Mangiamorte non avrebbero osato avvicinarsi.
Severus si voltò nuovamente verso Iris, si chinò a baciarla poi afferrò il bambino che continuava a dormire al suo fianco. Non riusciva a distogliere lo sguardo da lei, non ce la faceva a lasciarla neppure per un attimo, ma doveva occuparsi del piccolo, doveva assicurarsi che arrivasse sano e salvo da Silente, lui avrebbe saputo cosa fare.
Si impose di chiudere gli occhi, come aveva fatto tante volte per resistere alla tentazione di toccarla. Ancora una volta dovette rifugiarsi nel buio per proteggersi dal suo cuore, ancora una volta le lacrime presero a scorrere sulle sue guance a ricordargli quanto miseramente stava perdendo la sua battaglia.
Si voltò di scatto, stringendo il mantello intorno al bambino, e si Smaterializzò direttamente all’interno della casa o, almeno, fra pochi muri rimasti ancora in piedi.
Si guardò attorno cercando di individuare un posto sicuro dove poter lasciare il piccolo Harry, in modo che sembrasse miracolosamente scampato al crollo.
Vide la sua piccola culla, era quasi intatta nonostante fosse ricoperta di detriti. Il mago la raggiunse passando sotto alcune travi messe di traverso e, dopo essersi assicurato con un incantesimo che quello che restava del soffitto non rovinasse sopra la culla, vi adagiò il piccolo.
Harry, intanto, aveva afferrato con entrambe le manine i lunghi capelli del mago che era chinato su di lui e non voleva saperne di mollare la presa.
Severus lo guardò, le sue labbra si piegarono appena in un sorriso. Prese la sua bacchetta dalla tasca e, puntandola verso l’alto, pronunciò sottovoce un incantesimo isolando il luogo dove si trovava il piccolo lettino, nessuno che non fosse un mago avrebbe potuto sentire i pianti del bambino o qualsiasi altro rumore che provenisse da sotto quelle macerie.
“Ora devi piangere.” disse. “Piangi piccolo Potter, qualcuno verrà a cercarti e ti porterà via da questo posto, via da questo orrore”.
Afferrò quelle piccole mani e le strappò via dai suoi capelli. Harry non fu affatto contento, prese a piangere disperatamente e a scalciare.
“Sì! Così, chiedi aiuto, piccolo.” si voltò e fece per andarsene, ma si bloccò: quelle urla erano davvero penose, probabilmente perché facevano eco a quelle del suo cuore.
Tornò indietro e si sporse verso il bambino.
“Altri si prenderanno cura di te, io non posso. Un giorno saprai quello che ho fatto, quel giorno mi odierai quanto io ora odio me stesso.” lo baciò sulla fronte e si Smaterializzò.
Di nuovo a fianco della sua Iris si chinò e la prese tra le braccia, era leggerissima.
La sua mente tornò immediatamente a quando l’aveva sollevata usando la magia, il giorno che l’aveva conosciuta. Ora sembrava così lontano.
Quel giorno si era ribellato a Voldemort per la prima volta, quel giorno aveva capito che il mago più potente del mondo era fallibile, ma quello era anche il giorno in cui aveva imparato ad uccidere e quello in cui aveva assaggiato il sapore amaro del rimorso.
Diede un ultimo sguardo alla casa: una sagoma imponente si stava avvicinando velocemente. Piton riconobbe Hagrid, il mezzo gigante, evidentemente Silente aveva ricevuto il messaggio. Attese finché fu certo che le grida del bambino avessero attirato la sua attenzione, poi si voltò incamminandosi verso gli alberi con il corpo ormai freddo di Iris tra le braccia.
Quel giorno il mondo magico avrebbe cominciato la sua nuova vita, avrebbe gioito per la distruzione di Voldemort, avrebbe anche pianto per la morte dei Potter, certamente i loro amici lo avrebbero fatto, loro avevano tanti amici.
Mai alba fu così meravigliosa e terribile allo stesso tempo, ma a Severus non importava del resto del mondo, il suo era finito, si era sgretolato insieme ai suoi sogni, alla sua giovinezza.
Ora aveva solo rimorsi, colpe da scontare e un immenso vuoto nel cuore.
Gli era rimasto solo il buio. Non avrebbe più avuto bisogno di chiudere gli occhi per proteggere il suo cuore: le tenebre l’avrebbero circondato giorno e notte, le stesse tenebre che ora avvolgevano la sua Iris.
Continuò a camminare lentamente, senza meta, inoltrandosi tra gli alberi, incurante del fatto che qualche Babbano avrebbe potuto vederlo.


* * *



Una sagoma avvolta in un mantello nero apparve di fronte alla vecchia quercia, aveva un’andatura incerta e si aiutava con un bastone, si fermò di fronte ad una pietra bianca.
Non c’era nessuna iscrizione, ma vi era incisa l’immagine di un fiore, un Iris.
Tirava un forte vento, era autunno inoltrato e le foglie secche, che ricoprivano il terreno come un manto rossiccio, venivano sollevate in aria e sbattute violentemente contro l’uomo come schegge insanguinate.
La figura se ne stava curva stringendo a sé i lembi del mantello nel tentativo di ripararsi da quella manifestazione della natura che una volta, molti anni prima, aveva trovato così piacevole.
Una folata più violenta gli tolse il cappuccio liberando i capelli bianchissimi, lunghi fino alle spalle che, sferzati da quel vento, si sollevavano disegnando degli strani arabeschi d’argento e ricadevano sulle spalle solo per scagliarsi nuovamente verso l’alto, come se le ciocche fossero vive.
L’uomo si appoggiò al bastone e, con fatica, si mise in ginocchio.
Era stata dura arrivare fin lassù, si era praticamente trascinato su quel sentiero impervio. Tuttavia una Materializzazione era impensabile nelle sue condizioni: non usciva da quella maledetta stanza al San Mungo ormai da mesi, non aveva più ragioni per farlo.
La guerra era finita da anni, lui era stato riabilitato e aveva preso il posto di Minerva McGranitt come preside della scuola di magia di Hogwarts.
Era andato avanti, aveva svolto il suo lavoro con impegno e professionalità, ma senza entusiasmo.
Aveva solo atteso, aveva aspettato che il suo corpo decidesse finalmente di soccombere all'inesorabile logorio del tempo. Infatti, pur provato da anni di torture e tensione continua, la sua fibra robusta lo aveva portato a sopravvivere a molti suoi coetanei, nonostante fosse un Mezzosangue.
Poi, finalmente, la malattia, lenta, ma inesorabile.
L'aveva accolta come una benedizione. Forse le troppe Cruciatus avevano lasciato il segno, dopotutto.
Aveva sempre immaginato per se una morte diversa, ma, evidentemente, il destino aveva altri piani. Di una cosa però era certo: non l'avrebbe attesa disteso in quel letto d’ospedale.
L'aveva già aspettata per troppo tempo: ora le sarebbe corso incontro.
Era riuscito ad eludere la sorveglianza dei medici, niente di più semplice per un ex Mangiamorte, e aveva raggiunto la collinetta di fronte alla scuola, il suo rifugio dei momenti felici.
Respirava a fatica: i suoi polmoni malandati non volevano saperne di svolgere bene il loro compito, e, averli sollecitati con quella salita, non gli aveva certo giovato.
Ma, nonostante ogni respiro gli causasse dolore, si sforzò di assaporare fino in fondo quella dolcissima fragranza di erba bagnata. Gli sembrava che quell'aria fosse in qualche modo impregnata del profumo della sua Iris.
Lacrime silenziose cominciarono a scivolare sul viso pallido e segnato dagli anni e dal dolore, ma i suoi occhi profondi e ancora nerissimi brillavano di una strana luce, una luce che non li illuminava ormai da troppo tempo, come se si fossero svegliati da un lungo sonno, come se vedessero per la prima volta.
Si arrotolò la manica della tunica, scoprendo lentamente l’avambraccio sinistro, candido e liscio: il Marchio se n’era andato.
L’ultimo segno della sua schiavitù era sparita con il suo padrone, ormai da diversi anni.
Era libero, ed ora, anche l’ultimo ostacolo che lo separava dalla donna che amava stava per sgretolarsi. L’ultima barriera stava crollando, insieme a quella poca forza che ancora permetteva al suo cuore di battere, irrorando della sua linfa quel corpo stanco.
Ancora per poco, lo sentiva, ma abbastanza da permettergli di assaporare quegli ultimi istanti, abbandonandosi ai ricordi.
Gustava ogni briciola di quel tempo che scorreva inesorabile, come chi osserva compiaciuto, la sabbia in una clessidra, sognando beato il momento in cui l’ultimo granello, precipitando sugli altri, avrebbe decretato la fine di una lunga attesa.
Presto, molto presto, avrebbe finalmente ritrovato la sua Iris.
Sollevò la mano candida sulla quale il tempo aveva inciso i suoi profondi intagli come un attento artigiano avrebbe decorato un prezioso oggetto d’avorio; tra le dita sottili, un piccolo oggetto scintillò ai raggi del debole sole autunnale.
L’uomo lo depose sulla pietra: era una fede nuziale, quel piccolo cerchio d’oro che attendeva di essere donato da sessant’anni.
Il vecchio mago sfiorò con la mano tremante il freddo marmo, quasi accarezzandolo.
“Mia dolce Iris, ho atteso così tanto tempo, troppo tempo, ma non ho mai dimenticato la mia promessa, ora sono qui per onorarla.
La vita che tu mi hai donato è stata lunga e triste, ed io l’ho vissuta interamente come espiazione per le mie colpe, ma ora finalmente mi è concesso di raggiungerti.
Ora, di fronte a questo vento che ci ha uniti molti anni fa, saremo di nuovo insieme.”
Si distese sulla tomba.
“Ti amo.” sussurrò chiudendo gli occhi.
In breve tempo, un manto di foglie ricoprì ogni cosa, come un leggero, fresco lenzuolo, a proteggere il pudore di due sposi nella loro prima notte.


FINE






Eccoci finalmente arrivati alla fine di questa storia, ringrazio tutti quelli che hanno avuto la forza di arrivare fino in fondo, i miei dodici lettori silenziosi, ma fedeli e un particolare ringraziamento a te Akiremirror, senza i tuoi commenti non avrei mai saputo se era il caso di continuare la pubblicazione di questa ff o lasciar perdere, ma tu mi hai sempre rincuorata, spero che non mi odierai troppo per questo finale, non dire che non avevo cercato di prepararti in tutti i modi. Purtroppo Piton è single, così lo ha voluto mamma Rowling e io non avrei mai sopportato di vederlo lasciare da una donna (già c’è la faccenda di Lily, che sto cercando ancora di digerire)

Un bacione e arrivederci a presto!




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