Dietro lo specchio

di Darik
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5° Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6° Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1° Capitolo ***


DIETRO LO SPECCHIO

1° CAPITOLO

Un sole che spaccava le pietre stava sovrastando il Mahora, che in quei giorni faceva impressione per quanto fosse silenzioso.

In realtà non era cessata ogni attività, persone in giro se ne vedevano ancora, ma rispetto alla solita agitazione che permeava l’immensa città dello studio, sembrava che quest’ultima fosse quasi un deserto.

Persino il preside, visto il caldo, si era sentito autorizzato a ricorrere alla magia pur essendo nella scuola.

Quindi stava nel suo studio, dietro la scrivania, con ben sei ventagli sospesi in aria e intorno a lui, che si muovevano da soli nel tentativo di rinfrescarlo.

Qualcuno bussò alla sua porta e l’anziano uomo disse di entrare, senza chiedere chi fosse.

Tanto in quel periodo al Mahora restavano in genere solo le persone che conoscevano il segreto particolare della scuola.

Ed, infatti, entrò Takamichi, con l’immancabile sigaretta.

“Preside, spero di non disturbarla”.

“Assolutamente, lei non disturba mai, caro professore”.

Takamichi gli lanciò un’occhiata leggermente perplessa. “Scusi se mi permetto, preside, ma non farebbe prima installando l’aria condizionata?”

“Mi piace risparmiare l’elettricità”, rispose l’anziano uomo. Che si diede anche dei colpetti dietro la schiena. “E poi l’aria condizionata mi procura certi reumatismi…”.

“Capisco. Comunque, sono qui per parlarle di quella certa faccenda”.

Il volto del preside s’intristì. “Oh, capisco. Che delusione, sembrava che quella dell’Islanda fosse finalmente la strada giusta”.

“Sembrava. Però non è detta l’ultima parola”.

“Che intende dire?”

“Sono convinto che quella visione legata all’incantesimo di rintracciamento debba per forza avere una connessione con la sparizione di Negi. E’ vero che non abbiamo trovato niente, tuttavia io e le ragazze che mi hanno accompagnato non intendiamo arrenderci. Preside, sono qui per chiederle il permesso di organizzare una nuova spedizione in Islanda. E…”

Davanti all’improvvisa titubanza del professore, che aveva persino rinunciato al suo solito sorriso rassicurante, il preside si sporse in avanti incuriosito, appoggiandosi alla scrivania. “E cos’altro?”

“ ...per chiederle il permesso di far partecipare anche Konoka”.

“Mia nipote? Perché?”

“Poiché è stata lei ad avere quel sogno aggiuntivo, permettendoci così di localizzare l’Islanda, è possibile che recandosi lì, possa aiutarci in qualche modo. Mi rendo conto che si tratta di una possibilità alquanto esigua. Ma è comunque una possibilità da non escludere, data l’imprevedibilità di quell’incantesimo”.

“Tuttavia”, aggiunse il preside massaggiandosi la barba “proprio la sua imprevedibilità può comportare dei rischi. In Islanda non avete trovato nulla e a volte proprio nel nulla si nascondono i pericoli maggiori. Inoltre, non si deve dimenticare che Konoka non è una guerriera”.

“Capisco i suoi dubbi, preside. Mi creda, non mi sognerai mai di esporre sua nipote a qualunque rischio se non pensassi che ne valga la pena. E non posso non pensarlo visto l’affetto che provo per Negi. Per non parlare dei sentimenti delle sue alunne, Nodoka Miyazaki e Asuna in particolare. Sono state forti al ritorno qui, però sull’aereo sono scoppiate a piangere”.

“Pure Asuna, eh?” osservò con sorpresa solo apparente il preside, che ben sapeva quanto fosse in realtà dolce quell’apparente maschiaccio.

“Sì. Anche le altre, nonostante l’autocontrollo, sembravano avere la morte nel cuore”.

Il preside s’incupì.

“Come, purtroppo, temo l’avranno pure le altre studentesse della III A quando sapranno che non ci sono novità”.

“Ho capito”, concluse il preside. “Va bene, Takamichi, do il mio consenso e ne parlerò con Eishun. Sono convinto che, per il bene di Negi, Asuna e delle compagne di Konoka, accetterà. La mia stessa nipotina sarà entusiasta di dare una mano. Ma mi raccomando, prudenza e senno”.

Il preside puntò un dito ammonitore verso Takamichi, che ritrovò il suo sorriso abituale. “Non si preoccupi, signore. Le giuro che sarò pronto anche a dare la vita pur di difendere Konoka”.

Rassicurato, il preside congedò Takamichi e chiamò Eishun, a Kyoto, per informarlo.


Anche l’immensa biblioteca del Mahora era in quel momento quasi deserta.

Le uniche presenti, in una delle tante sale da lettura, erano la professoressa Ayanami e Shinobu Maehara, l’ultima arrivata della III A, in quel momento impegnata in lezioni di recupero per mettersi in pari con i programmi scolastici.

“Professoressa…”, bisbigliò la ragazzina.

“Cosa c’è? Alza la voce” disse quasi con tono di rimprovero l’insegnante.

Shinobu si sforzò di ubbidire. “P-perché dobbiamo studiare qui? E’ così silenzioso… inquietante”.

“Perché c’è un’aria fresca. E il silenzio è fondamentale per concentrarsi”.

“P-però io…”

Ayanami inarcò un sopracciglio. “Alza la voce”.

“Potrei andare a bere qualcosa al distributore?”

“Va bene, ma non metterci molto. Tra dieci minuti devi aver finito il compito”.

“S-subito!”, esclamò la ragazza alzandosi e facendo un sacco d’inchini mentre si allontanava, passando per un corridoio dal quale continuava a essere vista dall’insegnante. Per questo Shinobu si muoveva all’indietro stando sempre girata verso Ayanami. E per questo, quando si voltò, la ragazza andò a sbattere contro un muro, cadendo poi per terra.

“Accidenti! Shinobu, stai bene?” esclamò qualcuno correndo da lei per soccorrerla.

Era Nodoka Miyazaki, seguita subito dopo da Yue Ayase.

“S-sì, scusatemi” disse Shinobu rialzandosi e facendo numerosi inchini.

“Non c’è bisogno che ti scusi. Non è mica una colpa andare a sbattere contro un muro” la tranquillizzò Yue.

“Sei sicura di non esserti fatta niente?”, domandò con una certa apprensione Nodoka.

“S-sì”.

“Shinobu!”, la richiamò freddamente la professoressa Ayanami. “Dobbiamo rispettare la tabella di marcia, sbrigati ad andare al distributore”.

Agitandosi parecchio, Shinobu fece un ultimo inchino e corse via.

Nodoka e Yue raggiunsero il tavolo dell’insegnante.

“Come sta andando Shinobu?” chiese Yue.

“Non male. Ma c’è ancora molto da fare” rispose Ayanami.

“Certo che prima la nostra compagna ha preso una bella botta”.

“Sì. E allora?”

Ayase squadrò leggermente l’insegnante. “Allora niente. Scusi il disturbo”.

“Scusate una domanda”, le richiamò Ayanami quando le due studentesse si erano già girate per andarsene. “Voi due cosa fate qui in piena estate?”

“Stiamo conducendo delle ricerche”, spiegò Nodoka sforzandosi di nascondere un certo sdegno.

“Capisco. Fate una buona ricerca allora”, concluse l’insegnante cominciando a leggere.

Yue e Nodoka si guardarono per poi lasciarla sola.


Nel grande palazzo dei Konoe, a Kyoto, Konoka, con indosso un kimono, andava avanti e indietro per la sua camera.

“Accidenti, ma quando vengono?”, pensò agitandosi.

Bussarono alla sua porta, e Konoka si fiondò ad aprire.

“Sì?”

Era una delle ragazze addette al suo servizio. “Ehm, lady Konoka, sono arrivate le sue amiche”.

“Evviva!”, esclamò la ragazza scostando l’altra e correndo verso l’ingresso.

Ad attenderla trovò Setsuna, che stava parlando con…

“Asuna!”

Al grido gioioso di Konoka, seguì il suo saltare addosso alle due amiche, col risultato che finirono tutte e tre a terra, sotto lo sguardo di dieci ragazze incaricate di fare gli onori di casa.

“Oh Asuna, quanto ero preoccupata! Temevo vi fosse successo qualcosa!”

“Lady Konoka, la prego, il kimono non è adatto per azioni del genere”, la implorò Setsuna.

“Anch’io sono contenta di vederti, Konoka”, aggiunse Asuna. “Però penso che Setsuna abbia ragione. Inoltre, potresti togliere la tua mano dal mio seno?”

“Ops, scusa”.

“E…”, Asuna lanciò una strana occhiata a Setsuna, “penso che dovresti toglierla anche dal petto della nostra spadaccina, nonostante lei sembri approvare”.

Quando Konoka vide dove stava la sua mano, sorrise. “Oh, Setsy, non l’ho fatto apposta ma se vuoi che ti faccia dei massaggi al petto, basta dirmelo. Ho guardato una video enciclopedia. Anzi, stasera vedrai quanto sono brava a massaggiare, specie i glutei”.

“NO!”, esclamò Setsuna mettendosi in piedi fulminea e rossa in viso, per poi inchinarsi fino a toccare il pavimento con la fronte.

“Mi perdoni, lady Konoka. Non so come mi abbia preso. Come ho potuto desiderare che la sua mano non si togliesse dal mio rozzo petto? La prego mille volte di perdonarmi!”

Ma l’erede del casato dei Konoe, piegando la testa di lato, con fare innocente chiese: “Perché ti scusi?”

“Lasciamo perdere e andiamo in camera, è meglio”, concluse Asuna portandole via in mezzo agli sguardi imbarazzati delle ancelle.


“Quindi non siete riusciti a trovare tracce di Negi”.

Una profonda tristezza apparve sul volto di Konoka.

Setsuna stava col capo chino.

Le tre ragazze si trovavano nella stanza di Konoka, che aveva voluto sapere nel dettaglio cosa era successo in Islanda.

“Abbiamo setacciato quell’isola da cima a fondo, senza trovare nulla”, spiegò Asuna. “Però penso che il tuo aiuto possa essere decisivo. Stiamo ancora brancolando nel buio, ma la presenza di colei che può controllare l’energia magica potrebbe fare la differenza”.

“Naturalmente. Mio padre mi ha già detto tutto, sono già pronta a partire. I bagagli sono in un’altra stanza. Per Negi farei questo e altro!”, esclamò con decisione Konoka.

“Lo stesso vale per me”, aggiunse Setsuna mostrando la sua spada.

Asuna sorrise. “Vi ringrazio. Ma non c’è tutta questa fretta. Possiamo partire con calma domani. Voi sarete di grande aiuto”. Mise una mano su quella di Konoka. “Specialmente tu, mia cara amica”.


Le ombre della notte erano scese sul Mahora.

In un laboratorio segreto, la dottoressa Ritsuko Akagi stava conducendo alcuni esperimenti su un congegno che da diverso tempo aveva ormai calamitato interamente il suo interesse: la misteriosa torre capace di emanare quell’altrettanto misteriosa energia che lei aveva battezzato Am, ovvero anti-magia, e che alcuni mesi fa, era stata sul punto di cancellare l’esistenza della magia dal mondo intero.

In quel momento la donna lo stavo contemplando, quasi sperasse di scoprire il segreto di quella tecnologia solo guardandola con intensità.

“Dottoressa”, la chiamò uno dei suoi collaboratori, “ho i risultati del test T-24”.

Le porse un fascicolo, lei lo lesse e subito s’irritò molto. “Dannazione, dunque neanche quello schema era esatto”.

“Mi dispiace, ma sembra proprio che questa torre si tenga ben stretta i suoi segreti”.

“Ma io li scoprirò. Questa tecnologia è un qualcosa di eccezionale. I materiali sono gli stessi che utilizziamo noi, ma il modo in cui sono assemblati, è del tutto innovativo. Scoprire come funziona questa torre, potrebbe far compiere alla scienza umana un balzo di secoli!”

“Capisco…”

Ritsuko abbassò il capo e ridacchiò per qualche attimo. “Sembro quasi una scienziata pazza, vero? Non si preoccupi, so bene che né io, né tantomeno la scienza, siamo divinità. Però io ho sempre visto le cose che non capisco come una sfida, ed io sono abituata a vincerle le sfide”.

L’altro sorrise. “Sono sicuro che ce la farà, dottoressa”. Detto questo, guardò l’orologio. “Accidenti, è piuttosto tardi. Be, il mio turno è finito e vado a farmi una dormitina. A lei serve qualcosa?”

“Credo che mi fermerò ancora una mezz’oretta, per analizzare nuovamente il T-24 e capire cosa non ha funzionato. Prima di andarsene, mi porterebbe un caffè?”

“Sicuro”, rispose lui lasciando Ritsuko davanti all’oggetto della sfida.


Konoka si girava e rigirava nel futon.

Durante la cena aveva evitato una catastrofe, sventando un tentativo nefasto di cucina da parte di Asuna, che già si era messa ai fornelli allontanando gli allibiti cuochi. Ma prontamente Konoka l’aveva intercettata e riportata nella sala degli ospiti.

Tuttavia né lei, né le sue due amiche avevano assaggiato molto di quel cibo, perché Konoka aveva sempre insistito per mostrare al padre quanto fosse diventata brava con i massaggi, usando Setsuna come esempio.

Comunque la spadaccina, più rossa in viso di un sole al tramonto, si era dimostrata molto abile nella corsa inginocchiata all’indietro, mentre Konoka la inseguiva piagnucolando e implorandola di farsi massaggiare almeno le cosce o i polpacci.

Arrivato il momento di dormire, la principessa di Kyoto era riuscita ad addormentarsi senza problemi, ma poi era sorto una specie di disturbo, e il suo sonno era diventato molto agitato.

Capita l’antifona, aprì gli occhi e si mise a sedere.

“Uffa, perché mi sento così a disagio? Cosa c’è che non va?”

La stanza era buia, un po’ di luce lunare arrivava solo dalla terrazza. La giovane si accorse che i letti di Asuna e Setsuna, uno a destra e l’altro a sinistra del suo, erano vuoti.

“Saranno andate sulla terrazza?”

Konoka si alzò e andò a vedere.


Immersa nel controllo dei suoi fogli, Ritsuko non si accorse della porta che si apriva, e solo quando udì i passi di qualcuno dietro di lei, si voltò.

“Grazie per il…”

Non era il suo subordinato, ma il professor Takamichi, con in mano una tazza di caffè.

L’uomo gliela porse. “Questo è per lei, immagino”.

“Sì, ma lei cosa ci fa qui, professore?”

“Attendo che si concluda un’ispezione”.

“Ispezione?”

La scienziata sentì altri passi intorno a lei, ed erano almeno altre nove persone.

Si guardò intorno: dagli angoli bui del laboratorio erano sbucati Takane Goodman, Sakura Mei, Mana Tatsumiya, Kaede Nagase, Ku Fei, Asakura Kazumi, Nodoka Miyazaki, Yue Ayase e Kotaro.

“Ma che sta succedendo qui?”


Sulla terrazza non c’era nessuno, Konoka rimase perplessa.

Poi si accorse che da sotto la porta, chiusa, del bagno filtrava una luce.

“Oh, ma allora siete lì. Cattive, mi avete fatto preoccupare”, esclamò avvicinandosi al bagno per aprire la porta.

Invece la porta fu sfondata e ne uscirono due figure, che parevano in lotta tra loro.

Konoka, colta di sorpresa, si buttò a terra e intravide due sagome umanoidi che, in mezzo al buio della stanza solo leggermente rischiarata dalla luce della Luna, si scambiavano micidiali colpi di spada, facendo sprizzare scintille.

Il tutto a pochi metri da Konoka.

Uno dei contendenti aveva una spada più grande di quella dell’avversario, che pareva in difficoltà: più che altro parava e indietreggiava.

Quello con l’arma più grossa menò un fortissimo fendente dal basso verso l’alto, l’altro lo parò ma per il contraccolpo fu costretto a tenere la spada sollevata sopra la testa.

Questione di un secondo: il primo spadaccino girò su se stesso e trafisse in pieno addome, da parte a parte, il nemico, che con un urlo strozzato cadde prima in ginocchio e poi a terra.

Konoka impietrita, vide qualcosa di scuro espandersi dal corpo dello sconfitto sul pavimento.

Non aveva il coraggio di avvicinarsi per scoprire chi fosse, ma vide vicino a sé, nella luce fioca, la sua spada.

Gridò: “SETSUNA!!!” con tutta la voce che aveva.


Il corpo della dottoressa Akagi giaceva in un angolo del laboratorio.

Dopo averla colpita con alcuni dei suoi pugni speciali, Takamichi, impassibile, non si preoccupò di controllare se fosse ancora viva, così come non lo aveva fatto con l’assistente della donna.

Il gruppo di nove persone si fermò vicino alla torre.

“E’ intatta”, osservò Takane.

“Sì. Mandate le coordinate e attivate il trasporto”, ordinò Mana.

Asakura si portò una mano sulla fronte e chiuse gli occhi.

Dopo pochi attimi, annunciò: “Servono almeno tre minuti per aprire il passaggio”.

“Basteranno”, rispose Takamichi. “Miyazaki, Ayase, il vostro giro di controllo?”

A parlare per entrambe fu Yue. “Tutto a posto, le presenze al Mahora sono ridotte al minimo. Non ci dovrebbero essere ostacoli”.

“Rimane da controllare solo la missione a Kyoto”.

Stavolta fu Takamichi a portarsi una mano sulla fronte.


“Asuna, mi ricevi?”

“Sì. Confermo la riuscita della missione. Obbiettivo catturato”.

“La spadaccina Shinmei ti ha dato problemi?”

“No, neutralizzarla è stato molto facile, perché esitava troppo ed era confusa”.

“E il resto degli abitanti?”

“Nessun problema. La speciale polvere narcotica che ho sparso in cucina, ha fatto effetto rapidamente”.

“Bene. Le condizioni del tuo obbiettivo?”

“Ho dovuto stordirla perché urlava troppo. Comunque può sopportare senza problemi il processo. Ho già inviato le mie coordinate”.

“Ottimo”.

Chiuso il contatto telepatico, sia loro al Mahora che Asuna a Kyoto, non dovevano fare altro che attendere l’apertura del passaggio.


Asuna, con in mano la sua grossa spada, contemplava in silenzio Konoka, svenuta e con una ferita sanguinante sulla fronte, e Setsuna, che giaceva immobile, immersa nel suo sangue.

Improvvisamente la porta si aprì, senza perdere tempo la ragazza sguainò la sua spada e partì all’attacco, ma un pugno della persona appena arrivata la respinse facendola volare indietro di una ventina di metri.

Asuna osservò chi fosse.

“La professoressa Rei Ayanami?”


Al laboratorio, i nove presenti si misero in posizione d’attacco quando udirono degli strani passi nel corridoio d’accesso.

Erano passi regolari e molto pesanti, troppo per essere quelli di una persona normale.

Takamichi fece segno a Sakura e Ku di andare a controllare, le due ragazze lentamente e con cautela si avvicinarono alla porta e si affacciarono quel tanto che bastava per controllare il corridoio, che risultò vuoto.

Anche i passi erano cessati.

Allora andarono a controllare più da vicino.

Non appena sparirono dalla vista dei loro compagni, ci furono due tonfi, e due oggetti sfondarono la parete colpendo Kotaro e Takane, che caddero a terra: erano state le teste di Sakura e Ku a colpirli, lanciate attraverso il muro dopo essere state staccate di netto dal corpo.

Altri rumori, di ossa spezzate e organi strappati, giunsero dal corridoio, poi dalla porta entrò nel laboratorio il responsabile: una creatura di colore nero, alta almeno tre metri, un torace possente, braccia e gambe snelle e muscolose, la testa di forma allungata, occhi rossi e feroci, una bocca irta di denti aguzzi da fare invidia ad uno squalo. Infine sulla schiena erano presenti numerose scaglie ossee simili a spine.

Aveva le mani sporche di sangue, che ancora gocciolava, e ruggì con forza.

 

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Capitolo 2
*** 2° Capitolo ***


2° Capitolo

Gli assalitori della dottoressa Akagi si guardarono per un attimo.

Poi si disposero intorno alla creatura, che rimase immobile a osservarli, senza muovere un muscolo. Anzi, sembrava proprio che volesse farsi circondare.

Quando la accerchiarono, con una sola occhiata, Takamichi ordinò l’attacco: Kotaro e Takane sprigionarono le loro ombre; gli inugami avvolsero il mostro nero bloccandolo in una morsa, le maschere invece piombarono su di esso, avvolgendolo come in una cappa.

Mana tirò fuori le sue pistole e sparò a raffica, Kaede fece lo stesso con una pioggia di shurinken e anche Takamichi, con i suoi pugni a distanza.

I proiettili e i pugni speciali provocarono una grande nuvola di fumo che coprì tutto.

Cessato il fuoco, rimasero in attesa e mentre il fumo si diradava e per prudenza si allontanarono.

Non fu sufficiente, perché dal fumo emerse qualcosa, un oggetto nero estremamente lungo e sottile, che prima si mosse a destra e sinistra per colpire Takane e Kotaro, scagliandoli via, poi prese in pieno stomaco Mana e la spinse fino a farla sbattere contro un muro.

Dalla sommità dell’oggetto si formò una mano enorme, nera, che si avvolse intorno al corpo della ragazza e strinse fino a maciullarla: una cascata di sangue colò tra quelle grandi dita.

“Mancano due minuti all’apertura del portale!”, esclamò Yue.

“Proteggete la torre a qualunque costo!”, ordinò Takamichi.

Fece per muoversi, ma dal lungo oggetto partirono degli spuntoni che rapidissimi lo infilzarono, per poi ruotare su se stessi a grande velocità, riducendolo in mille pezzi.

Diradatosi completamente il fumo, la misteriosa creatura riapparve, mentre con calma si toglieva di dosso le ombre scagliate dai nemici, come se fossero state delle coperte.

Toccando il suolo, tali ombre si dissolsero, mentre l’oggetto che aveva massacrato Mana e Takamichi era il braccio del mostro.

Kaede ritornò all’attacco, suddividendosi in dieci copie, e anche Kotaro e Takane ne approfittarono, mescolandosi tra le copie in modo che le coprissero.

Il loro nemico, allora, saltò verso l’alto: prima chiuse le braccia sul petto, e quando le aprì da esso furono sparate delle sfere nere che quando toccarono il pavimento si trasformarono in venti copie più piccole del mostro.

Tre delle copie, muovendosi ad una velocità tale da scomparire alla vista, si materializzarono dietro a Kaede e i suoi due compagni, falciandoli con un paio di pugni e riducendoli a brandelli.

Le restanti si avventarono su Yue, Nodoka e Asakura, intente a proteggere la torre, e le divorarono.

Rimasto solo, il mostro si guardò intorno, richiamò le sue copie che trasformandosi in una sorta di fulmini neri rientrarono nel suo petto.

Si accorse che i resti dei nemici sconfitti stavano cominciando a muoversi, alcuni si rigeneravano, allora l’essere alzò un braccio, un vortice si creò dal nulla, sollevò quei pezzi di corpi e li fece convergere verso la sua mano, davanti alla quale si creò un piccolo buco nero che assorbì il tutto.

Proprio allora, in mezzo al laboratorio si aprì un altro vortice, molto più grosso e di colore azzurro, che si pose in orizzontale vicino alla torre.

Il mostro si avvicinò e lo esaminò: il nuovo vortice, visto da fuori, aveva una forma a imbuto e si restringeva fino a sparire, ma al suo interno si estendeva una vera e propria galleria, abbastanza larga perché ci passasse tutta la torre AM.


Sentì una sorta di scarica elettrica attraversarle il corpo, Konoka lentamente aprì gli occhi e le parve di percepire per pochi attimi un intenso odore di bruciato.

Non ricordava cosa fosse successo, ma quando la sua mano toccò quella che riconobbe essere una spada, gli ultimi eventi tornarono nella sua mente in un lampo.

“SETSUNA! NO!!”

Si mise a sedere con uno scatto, la fronte le doleva ma non gliene importò.

“Setsuna! Setsy! Dove sei?”, gridò guardando davanti a sé freneticamente, e capendo di essere nella sua stanza, al palazzo dei Konoe.

“Girati, presto”, le disse una voce impassibile, proprio dietro di lei.

“P-professoressa Ayanami?!”

La donna era inginocchiata affianco a Setsuna, stesa per terra, e teneva una mano sul suo addome.

“Setsy!!”

“Ho usato una sostanza refrigerante per bloccare l’emorragia, ma ci vuole il tuo potere curativo”.

Subito Konoka agì, mise le mani sulla sua amica del cuore, ci fu un lampo e la ferita scomparve.

“Al risveglio si sentirà debole, ma starà comunque bene”, spiegò Ayanami.

Konoka mise la testa di Setsuna sulle sue ginocchia e le accarezzò i capelli. “Ne sono felice. Ma un momento, professoressa, che succede qui? Che ci fa in casa mia? E Asuna? Perché ci ha attaccate?”

“Quella non era Asuna. L’ho sistemata, e non ti dico come perché resteresti disgustata. Non ho tempo per spiegarti, comunque prendi questo”. Le mise in mano una piccola fiala piena di un liquido blu. “Usalo per far riprendere tuo padre. Dovete andarvene subito da questo palazzo, scegliete un luogo sconosciuto, così il nemico ci metterà più tempo per individuarvi. Inoltre dovete informare il preside del Mahora che tutti quelli tornati dall’Islanda sono in realtà delle copie. Comunque non credo siano più un problema”.

“Eh?”

Improvvisamente, una sorta di portale si materializzò davanti a loro.

Ayanami si mise in piedi e lo guardò.

“Sono sicura che la mia padrona ha fatto la sua parte. Ora tocca a me”, e dicendo questo, l’insegnante estrasse qualcosa da una tasca.

Konoka si strinse con forza a Setsuna, che parve ridestarsi. Lady… lady Konoka, cosa è…”

L’altra le mise un dito sulla bocca. “E’ meglio non fare domande. Andiamo da mio padre”.

Lentamente si rialzarono, Setsuna si accorse dell’insegnante. “La professoressa Ayanami?! Un momento… che sta succedendo qui? Asuna dov’è?”

“Setsy, non insistere, fidati di me. Se fai come ti dico, ti farò un bel regalo”.

“Eh?”

Approfittando della sorpresa e dell’imbarazzo dell’amica, Konoka riuscì a farla uscire dalla stanza per dirigersi verso quella di Eishun.

“Vedrai che il mio regalo ti piacerà”, continuò Konoka sorridendo, “un bel massaggio intensivo su tutto il corpo!”

“Che cosa?!”

“Sono sicura che ti serve. Così non perderai più sangue dal naso, come adesso”.


Da uno dei due grandi portali, uscì la torre, sostenuta da Asakura, Yue, Nodoka e Sakura, mentre gli altri loro compagni avevano formato un cerchio protettivo intorno ad esse e all’oggetto.

La torre non avrebbe mai potuto essere trasportata così da persone normali, ma loro non lo erano.

Il luogo in cui si trovavano, era un’enorme grotta, piena di figure che indossavano un saio nero con cappuccio.

“Meraviglioso! Meraviglioso!”, applaudì Eva Ushiromiya apparendo sopra una pedana.

“Manca pochissimo alla realizzazione del mio progetto. Finalmente! Ma dov’è Asuna con quella Konoe?”

Dal secondo portale venne fuori Asuna con sulle spalle Konoka, priva di sensi.

“Perfetto! Bravi i miei servi! Quanto ci vorrà per completare il tutto?”

“Due ore al massimo, padrona”, rispose uno degli incappucciati.

“Ottimo! Sbrigatevi a preparare tutto, non vedo l’ora di ascendere!”

Aprendo il suo ventaglio per coprire un ghigno quasi demoniaco, la donna se ne andò, lasciando i suoi servi che cominciavano i preparativi.

Due degli incappucciati presero in consegna Konoka dalle mani di Asuna, mentre quest’ultima, e i suoi otto compagni del Mahora, indossarono anche loro un saio nero e si mescolarono agli altri servitori di Eva.

La torre fu nuovamente sollevata e portata via, dentro un cunicolo scavato nella roccia.

In mezzo a tutto quel via vai d’incappucciati, Nodoka con calma si avviò anche lei dentro il cunicolo, seguita qualche minuto dopo da Asuna.

Le due camminavano distanziate, il cunicolo era buio, illuminato solo da due fila di torce sistemate sulle pareti.

Ogni tanto appariva qualche incappucciato, che si disinteressava di loro.

Quando vide un anfratto abbastanza grosso in una parete, Nodoka ci s’infilò e Asuna, dopo aver controllato se c’era via libera, vi entrò anch’essa.

“Tutto come programmato?”, domandò Nodoka.

“Sì, Konoka e Sakurazaki sono al sicuro”.

“Per il momento. Non sappiamo di quali mezzi disponga questo nemico, ma saranno sicuramente imponenti, quindi dobbiamo agire per forza qui”.

“Dobbiamo attaccare adesso?”

Nodoka scosse la testa. “No, abbiamo due ore, sfruttiamole per trovare i nostri compagni e più informazioni possibili. Dobbiamo… urgh!”

Nodoka si portò una mano al ventre, una smorfia di dolore le attraversò il viso.

“Tutto bene?”, domandò Asuna mettendole le mani sulle spalle. La sua espressione era imperturbabile, ma la voce tradiva una punta di preoccupazione.

“Sì… come temevo, senza il collare, alla fine se n’è accorto… quel maledetto. Comunque muoviamoci, posso farcela”.

Uscirono dall’anfratto e proseguirono lungo il cunicolo.

A un certo punto trovarono tre diramazioni che si aprivano sulla parete destra.

“Proseguiamo o cambiamo strada?”, chiese Asuna.

“Un momento…”

Nodoka si concentrò intensamente, alzò una mano verso le tre nuove vie, corrugò la fronte: “La prima a sinistra. In questo luogo, i miei sensi trovano tutto strano, ma in quella direzione c’è qualcosa di familiare”.

Rapidamente le due s’inoltrarono nel nuovo cunicolo, e camminando per alcuni minuti al buio, arrivarono in un altro luogo spazioso, ancora una grotta, piena di quelle che sembravano celle scavate nella roccia.

L’illuminazione proveniva ancora da torce, e c’era pure un altro ingresso, una scala a chiocciola che saliva fino a scomparire nel muro.

“Cerchiamoli, presto”, ordinò Nodoka.

Cominciarono a controllare dentro le celle.

“Eccoli”, disse infine Asuna indicando con la mano.

L’altra la affiancò, e quando vide, fece un’espressione mista di rabbia e dispiacere: in quella cella c’erano i loro compagni Asuna, Takamichi, Yue, Nodoka, Asakura, Kotaro, e gli altri, trasformati in statue di metallo lucente, come acciaio, bloccati nelle pose di chi cerca di difendersi o prova una sofferenza atroce. Erano quasi ammassati l’uno sull’altro, simili agli oggetti abbandonati in una soffitta. Sulla testa di Sakura c’era pure Kamo.

La cella non era chiusa a chiave, le due ragazze entrarono, Asuna accarezzò il volto dell’altra se stessa, Nodoka contemplò quelle statue. “E’ un incantesimo del tutto diverso da quelli che conosco. Tutta la magia che permea questo posto è diversa. Ha colpito persino Kagurazaka, nonostante la sua immunità. Una cosa che m’inquieta assai”.

“Ora che facciamo? Siamo solo noi contro un nemico dalle potenzialità sconosciute ma immense. Forse dovremmo chiamare rinforzi”, propose la seconda Asuna.

“Quanto tempo ci metterebbero? Troppo. E’ vero che abbiamo preso precauzioni, ma questa magia è così strana che…”, Nodoka si strinse tra le braccia, “…mi mette i brividi. A me, capisci? Sarebbe solo uno spreco di forze. Inoltre, dubito che questo posto si trovi sulle cartine stradali. Da sole, potremmo fare molto di più. Io… arghh!”

Nodoka crollò a terra, il corpo avvolto da piccole scariche energetiche.

Asuna si chinò su di lei per aiutarla, le tolse il cappuccio e si trovò di fronte il volto di Shinobu.

“L’incantesimo di mimetizzazione è stato danneggiato”, constatò preoccupata.

“E… andrà… sempre… peggio… Maledizione! Se le mie condizioni sono queste… sarà già tanto se avremo una sola occasione per risolvere tutto!”.

Lentamente, Shinobu si rimise in piedi. “Ora sto meglio. Ma se mi venisse un altro attacco, sarebbe un guaio. Troviamo un posto sicuro, poi voi continuerete il giro, per raccogliere più informazioni possibili”.

“E’ sicura?”

“Sì, andiamo ora”.

Lasciate le celle, risalirono lungo la scala a chiocciola, ritrovandosi davanti ad un muro, Asuna lo contemplò, poi premette un angolo al centro e il muro iniziò a spostarsi di lato.

Finirono in un salone pieno di scaffali con molti libri, e c’erano anche alcuni incappucciati, che stavano togliendo la polvere e che si voltarono verso di loro.

Le due ragazze fecero finta di niente, Asuna toccò un quadretto contenente il meccanismo di apertura e il muro si richiuse. Fatto questo se ne andarono, e gli altri incappucciati ripresero le loro attività.

“Per fortuna questi tizi sembrano incapaci di decisioni autonome, se prima non gli ordini qualcosa”, commentò Shinobu.

Inoltrandosi per alcuni corridoi, Shinobu prese a tremare, Asuna, mostrando lieve apprensione, controllò le varie porte, ne scelse una, girò la maniglia ma era chiusa a chiave. Allora con una lieve spallata la aprì, entrò nella stanza con la sua compagna e poi chiuse la porta.

Erano in una stanza da letto matrimoniale con baldacchino e bagno, Shinobu fu fatta sdraiare da Asuna, che le rimase affianco.

“Lei sta sempre peggio, padrona”.

“Il dolore va e viene. Vai a cercare informazioni piuttosto”.

“Non mi sembra prudente”.

“Ti ho dato un ordine. Esegui!”

“Allora lei, almeno, ricorra al suo aiuto. Metta da parte l’orgoglio”.

Shinobu squadrò Asuna.


Asuna uscì dalla stanza e si guardò in giro: via libera.

“Ah, finalmente, non ne potevo più”, commentò una voce dietro la porta.

“Zitta!”, ordinò Shinobu.


Nel suo girovagare, Asuna controllò molte stanze, ce n'erano parecchie da letto, bagni, piccoli salotti, studi.

Ogni stanza era perfettamente arredata e ordinata ma deserta.

Scrutò fuori da una finestra: erano in una villa circondata da un grosso parco, con giardini e persino un labirinto.

“Dai, Sakutaro, andiamo a giocare!”, esclamò una voce di bambina.

“Uryu, Maria, ti sei appena svegliata. Dovresti mangiare un po’. Uryu, uryu”.

“Dopo, ora voglio giocare”.

Asuna seguì le voci, intercettò anche il rumore dei loro passi, poi sentì una porta aprirsi e chiudersi, infine silenzio.

La ragazza percorse il corridoio, fino ad arrivare a un punto morto: davanti a lei c’era solo una porta, tutto intorno nude pareti.

Girò la maniglia, entrò e si ritrovò in un luogo completamente diverso: la casa non c’era più, davanti a sé, a perdita d’occhio si vedeva solo un immenso campo fiorito, il cielo era di un magnifico azzurro, il sole emanava un calore piacevole, l’aria era frizzante; sembrava davvero un piccolo paradiso.

Sorpresa, la ragazza avanzò con cautela, finché non sentì ancora quelle due voci di bambini.

In lontananza vide una piccola collina, la raggiunse, poi si buttò a terra e strisciando ne raggiunse la sommità: a qualche decina di metri c’erano due bambini, un maschio e una femmina, che giocavano allegramente rincorrendosi.

Il piccolo aveva un costume da leoncino.

“Sakutaro, andiamo al gazebo, ti mostrerò un nuovo gioco con le mani. Sei contento che te lo mostri?”

“Uryu! Sì, Sakutaro è sempre contento delle cose belle fatte da Maria”.

“E allora andiamo! Evviva!”

I due corsero via, Asuna scrutò i loro volti.

Fu a quel punto che la sua espressione imperturbabile ebbe un sussulto.


La porta si aprì, e l’anziana Chiyo entrò nella stanza.

Si guardò attorno e proprio allora un piccolo oggetto le cadde addosso.

“Yeah! Muori, vecchiaccia!”

La donna urlò, cadde a terra, guardò terrorizzata chi l’aveva assalita, e allora al terrore si sostituì la sorpresa: si trattava di una bambola, con un dolce sorriso sul volto, ma nella mano aveva una spada lunghissima e molto spessa.

“Chi… chi sei?”

“Dirò una banalità, ma sono la tua morte!”, rispose la bambola iniziando a sghignazzare.

Finché non fu colpita in pieno da un cuscino.

“Stupida. Dobbiamo essere discrete”, la rimproverò Shinobu scendendo da sopra il baldacchino.

“E tu chi sei?”, domandò Chiyo.

“Silenzio, vecchia. Faccio io le domande, quindi sei tu che devi dirmi chi sei!”

“S-sono la governante di questa villa”.

“Ah bene, sarai preziosa per avere qualche informazione. Arghh!”

Shinobu si accasciò.

“No! Odio apparire debole, specie davanti agli altri”, pensò.

“S-si sente bene?”

Chiyo fece per avvicinarsi, ma la bambola le piazzò la punta della spada davanti al viso. “Cosa credi di fare?”

“Vorrei aiutarla”.

“Non mi serve il tuo aiuto”, rispose la ragazza rimettendosi in piedi.

“Ma… ma cosa sta succedendo al suo volto?!”

Shinobu andò nel bagno di quella stanza e si specchiò: il suo viso si era riempito di crepe, come un oggetto che sta per frantumarsi. Alla fine, proprio questo accadde: la sua pelle cadde a pezzi, compresa quella che stava sotto i vestiti.

La ragazza, annoiata, schioccò le dita e i frammenti si dissolsero.

Si guardò nuovamente allo specchio: “Sapevo che sarebbe successo, ma non così presto. In ogni caso, bentornata Evangeline MacDowell”.

 

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Capitolo 3
*** 3° Capitolo ***


3° Capitolo

Chiyo rimase senza parole quando vide uscire dal bagno una ragazzina con lunghi e fluenti capelli biondi.

“Ma… chi è lei? E la signorina di prima dov’è finita?”

“Andata”, rispose impassibile Evangeline. “Anzi”, pensò, “è tornata nel profondo, qui”, e si toccò istintivamente il petto.

Quando si accorse di essere osservata dall’altra, arrossì per un attimo e poi si adirò: “Ti ho già detto di non fare domande, quelle le faccio io. Se rispondi alle mie domande, te la caverai. Se fai scena muta, o se provi a fregarmi, aprirai la strada per l'inferno alla tua padrona!”

Per essere ancora più convincente, evocò una lama di pura energia dalla sua mano.

Chiyo sussultò, poi rimuginò e disse: “Se ho capito bene, lei è nemica di Eva Ushiromiya, giusto?”

“Continui, eh?”, sbuffò Evangeline. “Va bene, sì, lo sono”.

“Se le cose stanno così, allora la aiuterò ben volentieri. Io voglio bene a Eva, l’ho vista crescere, ma ora sta davvero esagerando, e deve essere fermata!”

“Solitamente i falsi traditori si giustificano dicendo tutto il male possibile del loro capo, questa invece ha un giudizio più sfumato, e mi sembra sincera. Certo, potrei usare la mia magia per leggere direttamente nella sua mente. Ma se un altro di quegli attacchi dovesse colpirmi durante la perlustrazione, le conseguenze per le nostre menti potrebbero essere terribili”, rifletté la vampira.

“Padrona, ma è sicura che questa vecchia possa aiutarci? Non sarebbe meglio se la ammazzassi?”

“Zitta, Chachazero. Piuttosto, sgranchisciti le gambe, ora che sono fuori dal Mahora ho abbastanza energia per farti muovere. E fai la brava. Allora, Chiyo, comincia a parlare. Dimmi tutto, partendo dall’identità della tua padrona!”

“Non posso conoscere tutti i dettagli, ma so la storia in generale, e vi avverto, si affonda nel soprannaturale, andando parecchio in profondità!”

“Sono abituata. Forza”.

Chiyo si alzò dal pavimento e si sedette sul letto. “La mia padrona, Eva Ushiromiya, viene da un’antica e potente famiglia giapponese. Era la seconda di quattro fratelli e nonostante avesse molteplici talenti, è sempre stata trascurata da suo padre, Kinzo, un uomo crudele e misogino, che dava i brividi. La loro madre, invece, morì quando erano tutti e quattro ancora piccoli”.

“Wow, mi piace”, commentò Chachazero, beccandosi per questo un calcio da Evangeline.

“Dicevo, Eva si è sempre data molto da fare per mostrare al padre quanto valesse, qualunque altro genitore sarebbe stato fiero dei suoi risultati, ma non uno come Kinzo, che considerava le sue figlie, Eva e l’ultimogenita, Rosa, come un semplice mezzo per avere figli che continuassero la dinastia degli Ushiromiya.

Fu per questa situazione che Eva prese una decisione fondamentale, ed io, che in quel momento la abbracciavo per consolarla dopo l’ennesima crisi di pianto, non dimenticherò mai quelle parole e soprattutto il suo sguardo. ‘Diventerò una dea!’, così disse, con uno sguardo glaciale, carico di risentimento e senso di rivalsa vasti quanto l’oceano. Quegli occhi, oh, se ci penso, sin dall’inizio mi fecero apparire quell’intenzione di primeggiare in tutto non come un’assurdità, ma come una minaccia!”

“Desiderio di onnipotenza nato dal dolore: un mix esplosivo”, commentò accigliandosi Evangeline.

“Una volta terminati gli studi, sempre col massimo dei voti, Eva lasciò la casa paterna, si fece una famiglia sposando un ricco uomo d’affari, ebbe un figlio, George, meraviglioso e promettente, lei stessa divenne una donna d’affari di successo: aveva affetto, soldi, fama. Non le mancava nulla…”

“Ma…”

Chiyo sospirò afflitta. “Ma quando tornava periodicamente alla casa paterna, Kinzo continuava a mostrare totale disinteresse per lei ed io percepivo quanto questo le rodesse dentro. La sua ambizione divenne ossessione, e dopo la tragedia, temo sia diventata follia”.

“Tragedia?”, domandò Evangeline dando un secondo calcio a Chachazero prima che facesse un altro commento entusiasta.

“Gli Ushiromiya ogni anno si radunavano alla villa di Kinzo per discutere dei problemi riguardanti l’intera famiglia. Alcuni anni fa c’è stata l’ultima riunione, da cui nessuno è uscito vivo, tranne Eva. La villa fu distrutta da un’esplosione, i periti dissero che era stata provocata da una fuga di gas, e i membri della famiglia Ushiromiya, Kinzo, i suoi figli e nipoti, tranne una, e la servitù morirono tutti arsi vivi”.

Chiyo tremò e si coprì il volto con le mani. “Io fui con Eva l’unica sopravvissuta, perché al momento dello scoppio stavamo facendo una passeggiata nel parco. Fummo pure sospettate, ma non si riuscì mai a dimostrare che l’esplosione fosse dolosa”, singhiozzò.

“Devo andare a prendere un bicchiere d’acqua”, la interruppe Evangeline.

Si recò nel bagno e tornò con un bicchiere pieno fino all’orlo, bevve un sorriso, e quando si accorse che l’anziana la stava osservando, le fece un cenno per chiederle se ne volesse anche lei.

Chiyo annuì e bevve tutto.

“Grazie”.

“Grazie un corno”, rispose Evangeline. “Continua”.

“Dopo la sciagura, Eva mi prese con sé, i primi tempi andarono bene, ma lei, presa com’era dal desiderio di raggiungere uno stadio divino, si rese conto che nessun successo umano avrebbe potuto darle quello che voleva. Fu allora che decise di dedicarsi al soprannaturale, allo studio della magia. Questa passione insana l’aveva anche Kinzo: tante notti, mentre controllavo che la casa fosse in ordine, lo avevo sentito nel suo studio pronunciare frasi minacciose in lingue sconosciute. Tra la servitù girava anche voce che Kinzo avesse un vero e proprio laboratorio alchemico, o qualcosa di simile, dove conduceva esperimenti abominevoli.

Io la ritenevo una sciocchezza, sapevo che Kinzo aveva una passione per l’occulto, ma questo non fa di una persona un mago. Eva invece non era di questo parere, acquistò l’isola con i resti della villa, la setacciò da cima a fondo e infine, in una grande grotta cui si accedeva dalla scogliera, lo trovò: il laboratorio del padre, con tanto di biblioteca traboccante di volumi esoterici.

Io ero con lei quando fece questa scoperta, e fui l’unica ad assisterla giorno e notte quando s’immergeva nella lettura di quei libri. Non la ritenevo una cosa buona, ma pensavo che facesse così per distrarsi, per non pensare al suo lutto.

Il mio fu un grave errore, perché fu consultando quei libri che scoprì l’esistenza dell’Aevum*”.

Evangeline si abbassò per guardarla negli occhi. “Aevum?”

“Ecco, è un discorso complicato. Io so quello che Eva traduceva da quei libri, lo faceva ad alta voce, preda dell’euforia. Quest’Aevum è una misteriosa dimensione magica, posta al di là del tempo e dello spazio, abitata da streghe, soprattutto, e stregoni che hanno trasceso i limiti dell’umanità, diventando esseri semi-divini. Ma in confronto alle persone e ai maghi ‘normali’, sono a tutti gli effetti onnipotenti. Ovvio allora che Eva voglia questo potere”.

Evangeline parve sempre più interessata, e preoccupata. “In passato, durante i miei studi, avevo sentito di questi luoghi, leggevo che stavano al mondo della magia come quest’ultimo sta al mondo umano. Tuttavia, erano miti vaghi e senza nome”.

Chiyo rimase perplessa. “Signorina, vuol dire che lei è una maga?”

“Credevi che fossi una cuoca?”

“In effetti… scusi la domanda stupida”.

“Fa nulla. Riprendi”.

“Allora… anch’io credevo fosse solo un mito, superstizione, fino a quando Eva, dopo un anno di lavoro ossessivo, riuscì a ricostruire un rituale con cui convocare una di quelle streghe dell’Aevum.

Io ero anche lì, quel giorno di due anni fa, e il mio scetticismo si tramutò in orrore quando, al centro di un cerchio disegnato sul pavimento, vidi apparire, in mezzo ad una nuvola di splendide farfalle d’oro, una bella bambina bionda che mostrava al massimo dieci anni, indossava un grazioso abito rosa e mangiava in continuazione delle caramelle colorate.

Sia io che Eva restammo alquanto stupite, non ci aspettavamo certo che una semi-divinità avesse un aspetto così innocente e innocuo, ma quando ci diede una piccola dimostrazione del suo potere…”

Chiyo si bloccò, impallidì e prese a tremare.

“Sta tranquilla”, le disse Evangeline mettendole una mano sulla testa, “e continua”.

L’anziana si calmò. “Ecco, quella bambina diceva di chiamarsi Lambda Delta, affermò che era disposta ad ascoltare cosa voleva Eva, ma voleva parlarne solo con lei. Neanche un istante dopo, io fui trasportata chissà come fuori dalla grotta, e quando anche Eva ne uscì, mi disse che avevamo una missione da svolgere, che avrebbe impiegato tutte le sue risorse per compierla”.

“Che missione?”

“Eva, da allora, parla poco o niente con me, ma una volta le sfuggì che doveva riuscire a cancellare la magia dal mondo”.

Era davvero questo il loro scopo?”, pensò sgomenta Evangeline, che chiese: “E per quale motivo questa tizia dell’Aevum lo voleva?”

Chiyo alzò le spalle. “Non lo so, ma Lambda Delta, siccome la trovava simpatica, le diede alcuni consigli e le indicò chi avrebbe potuto fornirle un grande aiuto. Sua nipote, Maria Ushiromiya, la figlia di Rosa”.

“L’unica nipote sopravvissuta?”

“Sì, non era presente il giorno della tragedia, soffriva d’influenza ed era rimasta a casa. Secondo Lambda Delta, quella bambina possedeva un incredibile, e rara, predisposizione naturale alla magia dell’Aevum: poteva usarla senza bisogno di imparare, doveva solo convincersi che era possibile. Casi simili sono talmente rari da capitare solo una volta su un miliardo.

Eva aveva da qualche tempo ottenuto l’affidamento della bimba, ma senza curarsene l’aveva subito sbattuta in un collegio, nonostante insistessi affinché la affidasse alle mie cure. Dopo quella rivelazione, però, l’ha subito voluta al suo fianco, e…”, Chiyo ebbe un fremito di sdegno, “…ha cominciato a circuirla, fingendosi affettuosa per conquistarne la fiducia, una cosa molto facile da ottenere se la vittima è una bambina bisognosa di affetto. Così è successo, purtroppo, Maria è molto buona e dolce, ma anche semplice, si fida totalmente della zia, e per questo quando io cerco, velatamente, di metterla in guardia da Eva, lei non mi crede e comincia pure a guardarmi storto”.

Evangeline si portò una mano sul mento. “E questa Maria ha davvero dei poteri?”

“Oh sì! Convincerla a fare magie è stato facile per Eva, la mente dei bambini, davanti a quello che sembra impossibile, pone meno resistenza rispetto a quella degli adulti. Maria cominciò a usare i suoi poteri per piccole cose: animare uccellini che aveva modellato con la creta, far fiorire campi aridi, trasformare una tempesta in una splendida giornata soleggiata, far volare un gruppo di alberi e dei pesci, rendendola una loro capacità naturale… poteva fare tutto, col solo pensiero.

Eva attese e poi la convinse ad aiutarla: questa villa, uguale a quella di Kinzo, gli incappucciati, li ha tutti creati Maria. E in cambio di quest’aiuto, la zia le ha promesso di esaudire il suo più grande desiderio: resuscitare sua madre, Rosa”.

“Mm, e non poteva farlo direttamente Maria?”

“No. L’essere umano è composto dall’unità di corpo e anima, e solo Uno ha la capacità di ricomporre tale unione dopo che la morte l’ha infranta. La magia dell’Aevum è semi-onnipotente, può riportare in vita i corpi ma sono esseri senza anima. Io la vidi, la povera Rosa, dopo che la figlioletta tentò di farla risorgere: era assolutamente fredda, impassibile, priva di emozioni e di personalità: un robot di carne e ossa. Una cosa tremenda, fu uno shock per la povera Maria e la spinse ancora di più a fidarsi di Eva”.

“Ne sai di cose, vecchia. Ma se la magia dell’Aevum non può resuscitare completamente i morti, allora, anche se riesce a diventare una strega di quel mondo, neppure Eva potrebbe farlo”.

“Esatto. La promessa è falsa, Eva non tiene minimamente a Maria, si approfitta della semplicità e dell’affetto della nipote per farle credere che invece lei può, e per questo vorrei che fosse fermata. D’altronde, visti i risultati, non credo neppure che voglia resuscitare la sua famiglia: desidera solo il potere e basta”. Chiyo chinò il capo e quando lo rialzò, apparve molto motivata. “Cerchi di capire, signorina: da un lato, tengo ancora ad Eva, perché so che sono state le avversità della vita a spingerla verso il male. Però ormai è evidente che sta precipitando verso l’abisso, non può e non vuole fermarsi. Chi per i suoi scopi inganna gli innocenti e non si preoccupa dei danni delle sue azioni, è imperdonabile!”

“Giusto”, ammise Evangeline. “Ma il problema è come farlo. Finché avrà Maria dalla sua parte, Eva avrà grosse possibilità di successo. Anche le precauzioni che ho preso per la torre, stando così le cose, potrebbero essere vanificate in un attimo. E affrontarla è fuori questione, non ho mai combattuto un avversario che può annichilirti in un’infinità di modi solo pensando. Certo Maria è anche una divinità con i piedi d’argilla, perciò dovremo trovare un modo per metterla contro la zia”.

“Sarà difficile. Eva usa molta cautela con Maria, la piccola non è stupida, teme il suo potere e ha paura che possa mangiare la foglia. Per questo cerca sempre di non esagerare quando le chiede ‘favori’: Maria ha comunque il corpo di una bambina, ancora non pronto a sostenere un utilizzo massiccio di quella magia”.

“Quindi, se le chiedesse troppe cose che fanno male, la nipotina potrebbe cominciare ad avere dubbi sulla bontà della zietta”.

In quel momento, nella stanza entrò Asuna: Evangeline rimase sorpresa nel vederla piuttosto agitata.

“Padrona… “

Stava per dire cosa l’aveva sconvolta, ma prima la osservò meglio.

“Vedo che alla fine ha ripreso il suo aspetto”.

“Già, quel maledetto incantesimo ha colpito ancora. Comunque io ho raccolto un sacco d’informazioni da questa vecchia. Tu hai scoperto qualcos’altro, Chachamaru? Disattiva pure il proiettore olografico, Asuna o Ayanami non importa, ormai si gioca a carte scoperte”.

L’immagine di Asuna scomparve, sostituita da quella della studentessa numero 10 della III A, Chachamaru Karakuri.

La nuova venuta riprese a parlare senza attendere il permesso di Evangeline. “Padrona, poco fa, l’ho visto! In una specie di prato, e stava insieme con una bambina”.

“Chi hai visto?”

La vampira ad un tratto spalancò gli occhi. “Vuoi dire… lui?!”

“Sì! Il professor Negi! Avrei voluto chiamarlo, ma ho ritenuto che sarebbe stata un’azione troppo imprudente. Comunque è qui, mi è sembrato che stesse bene, indossava un costume da leoncino e giocava con quella sconosciuta”.

“State parlando di Sakutaro?”, domandò Chiyo perplessa.

Evangeline e Chachamaru prima si girarono verso di lei, poi si guardarono a vicenda.

Mentre Chachazero affilò la sua spada. “Padrona, ora che la vecchia ha parlato, posso accopparla?”, chiese speranzosa.

*Aevum: è un termine usato nel medioevo per indicare una dimensione simile a quella divina ma comunque diversa, a metà strada tra quella e il mondo umano.

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Capitolo 4
*** 4° Capitolo ***


4° Capitolo

Eva Ushiromiya sedeva in quella che era l’esatta riproduzione dello studio di suo padre, Kinzo.

Davanti a lei c’era, appeso alla parete, un grosso dipinto che riproduceva proprio il padre, con indosso l’abito bianco con mantello nero che fungeva da uniforme per il patriarca della famiglia.

“Finalmente, finalmente!”, esclamò a gran voce la donna. “Tra poco riuscirò in un’impresa titanica e diventerò una dea! Come vorrei che potessi vedermi, padre, e forse mi stai vedendo adesso dall’inferno, vero? Ah, vedi cosa ha fatto e cosa sta per fare tua figlia! Avanti, lodami, adesso! Lodami! Lodami! Lodamiiii!”

Strillando, il viso contratto in una smorfia ghignante, Eva prese un tagliacarte dalla scrivania e cominciò a colpire il quadro, con sempre maggior forza.

Dentro di lei c’era una vocina che le suggeriva prudenza, le ricordava che non bisognava festeggiare prima di aver tagliato il traguardo, ma lei non riusciva a trattenersi: anni di lavoro, la ricerca di un demone minore da ingannare, per camuffare il suo primo tentativo e rendere il tutto più interessante, i favori chiesti a Lambda Delta, il dover sopportare quella mocciosa di Maria e quella vecchia rinsecchita di Chiyo, gli imprevisti e gli ostacoli posti dall’alto.

Alla fine era riuscita a superare tutto.

Tempo un’ora, e avrebbe abbandonato per sempre la debole umanità.

Davanti a tale prospettiva, era ovvio che la prudenza cedesse il passo all’esultanza.


Evangeline, Chachamaru e Chiyo, con quest’ultima davanti, superarono la porta e si ritrovarono nel bellissimo campo fiorito, dove il sole splendeva sempre, la natura era perfetta e l’aria stessa sembrava fatta di gioia.

Persino la vampira, che dopo aver avuto un altro attacco era tenuta in braccio dalla sua partner, dovette ammettere, tra sé e sé, che quel posto era davvero bello.

“Penso che siano al gazebo. Vi ci porto”, disse Chiyo.

“Vecchia, cosa sai dirmi di questo… Sakutaro?”, domandò Evangeline alla loro guida.

“Nulla. Alcuni mesi fa Eva si presentò con quel misterioso bambino. Maria sentiva la mancanza di suoi coetanei: poteva usare il suo potere per crearli, ma non era mai soddisfatta, quei bambini si limitavano a fare meccanicamente tutto quello che lei voleva. Erano, insomma, privi di personalità”.

“Oh, un problema che ho ben conosciuto e poi risolto”, commentò Evangeline lanciando una fugace occhiata a Chachamaru.

“Quando lo vidi”, riprese Chiyo, “ebbi dei sospetti, pensai che fosse un bambino rapito, lo chiesi pure al piccolino, ma lui, tutto tranquillo, rispose di essere stato adottato da Eva. Ma anche se perplessa, dovetti in ogni caso accettare, non potevo oppormi a Eva, così come non potevo uscire da questa villa per verificare. Quella donna mi tiene ancora con sé solo perché faccia da babysitter a Maria. Se potessi costituire un vero pericolo, si sarebbe già sbarazzata di me”.

Dopo aver camminato per un po’, udirono delle voci ed ecco apparire all’orizzonte il gazebo, con Maria e Sakutaro che stavano prendendo il the seduti intorno ad un tavolo.

Continuarono ad avvicinarsi, poi Chiyo avvertì: “Aspettate qui, non so come potrebbe reagire Maria davanti a delle sconosciute”.

La donna si allontanò, andò a parlare con i bambini, che guardarono incuriositi nella loro direzione.

“Chachamaru, avevi ragione. Quello è proprio Negi. Non so cosa gli è successo, comunque, facciamo così: tu intrattieni Maria, d’altronde i mocciosi ti sono sempre piaciuti, no? Io invece tenterò un contatto mentale con Negi, per vedere cosa è accaduto”.

“Padrona, se la sente?”

“Siamo arrivati a questo punto: non sarà qualche doloretto o rischio a fermarmi”.

“Venite pure”, le chiamò Chiyo.

Chachamaru mise giù la sua padrona e insieme salirono sul gazebo.

“Chiyo mi ha detto che volete diventare amiche mie e di Sakutaro, vero?”, esordì Maria.

“Oh sì”, cominciò l’androide. “Io sono Chachamaru, lei Evangeline. Sai, abbiamo affrontato un lungo viaggio per incontrarvi. Volevo mostrarti un sacco di giochi magnifici con dei gatti. Ma purtroppo gli animaletti li ho persi durante il viaggio. Non è che potresti…”

“Certo!”, esclamò raggiante Maria e improvvisamente si ritrovarono circondati da una miriade di gattini, di tutti i colori e tipi.

“Uryu!”, esclamò sorpreso e contento Sakutaro.

“Davvero bello. Ora lascia che ti mostri questi giochi. Se scendiamo dal gazebo e andiamo in quel piccolo prato laggiù, verranno meglio”.

“Sì! Vieni, Sakutaro”.

Maria prese per mano il suo amico.

“No!”, esclamò Evangeline mettendo una mano su quella di Maria.

Calò il silenzio, Maria fissò prima quella mano, poi Evangeline.

“Perché?”

La vampira sorrise dolcemente. “Perché io e Sakutaro vogliamo prepararti una bella sorpresa. Ma dobbiamo restare soli, io e lui”.

“Eh? Davvero?”

“Certo, mia cara”, la rassicurò Chiyo.

“Uhm, Sakutaro, a te va bene restare per un po’ con questa signorina?”

“Uryu! Sakutaro vorrebbe stare solo con Maria, ma se serve per farla più felice, allora non ci sono problemi. Uryu!”

“Grazie!”, esclamò la piccola abbracciando il suo amico.

Poi, insieme a Chachamaru e seguite docilmente dai gatti, lasciò il gazebo.

Chiyo lanciò un’occhiata ad Evangeline, come a dirle ‘sai quello che stai facendo?’.

L’altra rispose con uno sguardo che significava, suo malgrado, ‘lo spero’.

Evangeline scrutò attentamente il volto di chi aveva di fronte.

Sakutaro piegò la testa di lato. “Uryu. Signorina Evangeline, perché mi guarda così? Uryu!”

“Perché mi ricordi una persona che conoscevo. Allora, io adesso poggerò la mia fronte sulla tua. Stai tranquillo e lasciami fare, va bene?”

“Uryu! Va bene. Uryu!”

Evangeline così fece, chiuse gli occhi e un attimo dopo l’ambiente intorno a lei divenne tutto buio.


Quando riaprì gli occhi, era al centro di un immenso spazio bianco, in cui fluttuava.

“Ehi, ragazzino!”, gridò al nulla.

“Negi Springfield, sei qui?”

Un rumore si diffuse in quel nulla: era lo squillare di un telefono.

Nuotando nell’aria, e seguendo il rumore, la vampira si mosse verso il punto da cui proveniva quel suono.

“Accidenti, che noia. Mi piace molto di più quando lo spazio mentale è creato da me, e sono io a decidere le regole”.

Finalmente vide in lontananza la fonte del rumore: era davvero un telefono, sospeso nel vuoto.

Lo prese al volo e rispose. “Pronto?”

“Qui parla la segreteria telefonica di Negi Springfield. Al momento non c’è nessuno”, dichiarò una voce femminile atona.

“Mpf, ragazzino, smettila di scherzare! Il mondo della magia è sull’orlo di un’apocalisse, se quella Eva Ushiromiya riesce nel suo piano! Inoltre, troppe persone che conosci stanno soffrendo. Tu puoi essere l’elemento fondamentale! Torna in te!”

In un lampo, l’ambiente circostante cambiò, venendo sostituito dalla classe della III A.

Evangeline rimase un po’ smarrita davanti a quel cambiamento.

“Cosa vuoi dirmi, ragazzino?”

In quella classe immaginaria si stava svolgendo una lezione d’inglese, e al posto di Negi c’era Takamichi.


“Molto bene, ragazze, mi complimento con voi. Se continuate così, ai prossimi esami avrete di nuovo il primo posto. Faccio in particolare i miei complimenti ad Asuna, sei davvero migliorata. Brava”.

“SIII!!”, esclamarono in coro le ragazze, mentre Asuna arrossì vistosamente.

Squillò la campanella dell’intervallo, le ragazze cominciarono a mangiare e a chiacchierare tra di loro, apparendo tutte molto felici e spensierate.

Yue, Nodoka e Paru si erano isolate stando intorno ad un banco.

“Allora, com’è?”, domandò maliziosa la pettegola numero uno dell’istituto.

“E’… è molto carino, gli piace leggere… è intelligente e gentile…”, ammise Nodoka cercando di nascondersi sotto il banco.

“Andiamo, Nodoka, non essere così timida”, la incoraggiò Yue prendendola sotto un braccio e facendola rimettere sulla sedia, “dobbiamo semmai festeggiare. Finalmente quel ragazzo ti si è dichiarato. Non era quello che hai sempre desiderato?”

“B-be, sì. Yoshi è… è il ragazzo che ho sempre sognato… di incontrare…”

“E dimmi”, insistette Paru, “tu gli hai risposto?”

“S-sì…”

“ E gli hai detto la cosa giusta?”

Nodoka annuì mal celando un sorriso di gioia.

“Evviva!”, esultarono le sue amiche, che poi si rivolsero alle altre: “Ascoltate, Nodoka e Yoshi si sono dichiarati! Festeggiamo!”

Invano Nodoka cercò di scappare, fu presa per le spalle da Kaede, sollevata e trasportata fino al centro dell’aula, dove iniziarono a lanciarla verso l’altro al ritmo di ‘Hip Hip urrà!’

Asuna osservava soddisfatta insieme a Konoka e Setsuna.

“Sono così contenta che Nodoka abbia finalmente trovato il vero amore”.

La spadaccina annuì.

“Sono d’accordo. E spero di trovarlo un giorno anch’io il vero amore”, continuò Konoka. “Comunque pure io dovrei festeggiare, ora che il preside ha acconsentito a far trasferire Setsuna nella nostra camera, penso che ogni giornata sarà una gioia”.

“Spero che la lascerai dormire”, si raccomandò Asuna.

“Certo. E poi, se ogni tanto vorrò dormire nel letto con lei, non credo che la disturberò. Già m’immagino, durante i temporali sarà una gioia abbracciarsi. Vero, Setsy? Setsy?”

La spadaccina era scomparsa, e una finestra prima chiusa era ora aperta.

Inoltre una fila di piccole gocce di sangue partiva dal punto in cui si trovava Setsuna per arrivare fino alla medesima finestra.

Asuna, divertita, scosse la testa. “Quel sangue penso abbia un’origine nasale. Direi che cominciamo bene”.


Evangeline si guardò intorno.

Sapeva che quelle persone erano solo illusioni, e si comportavano come se lei non ci fosse.

“Perché mi mostra questo? Cosa significa?”

Poi lentamente capì: “Ma stai scherzando, ragazzino? Mi vuoi forse dire che la nostra classe starebbe meglio senza di te?! Maledetto moccioso! Non hai la più pallida idea di quello che gli… che ci hai inflitto! Guarda che cosa è successo alle tue alunne che ti hanno cercato per mezzo mondo!”

Evangeline prima incrociò e chiuse le braccia sul petto, per poi aprirle di scatto: la sua figura divenne pura luce, e da essa, come un torrente sospeso in aria, fuoriuscì una sorta di fiume fatto d’immagini, tutto quello a cui aveva assistito nei panni di Shinobu.

Una corrente di lacrime, angoscia, scontri: la disperazione e ansia della III A, Konoka assalita, Setsuna trafitta da una spada, Asuna, Nodoka, Yue, Takamichi, Kamo, Kotaro, e altri, catturati e trasformati in statue, le persone al Mahora aggredite nel laboratorio: tutto questo invase ogni angolo di quell’aula fittizia, e tutto, dalle pareti fino alle persone presenti, iniziò a sciogliersi, come la cera di una candela accesa. O come lacrime.

“Tutto questo per causa della tua fuga!!!”, urlò Evangeline.

Un altro grido, di dolore, così forte da poter assordare una città, si sparse ovunque, spazzò via l’ormai disciolto ambiente del Mahora.

Era tornato lo spazio bianco: al centro Evangeline, e davanti a lei, con braccia e gambe bloccate da catene la cui origine era così lontana da non potersi vedere, c’era lui, Negi Springfield.

Era inginocchiato e a testa bassa.

La vampira mise una mano sotto il mento di Negi e gli sollevò il capo.

Lo vide piangere.

“Tu sei davvero un bambino. Ma se vuoi che gli altri non soffrano per colpa tua, smettila di fuggire. Affronta le avversità. Come fece una bambina di dieci anni quando, tanto tempo fa, si vide strappare per sempre la sua vita normale”.

Negi annuì.

“Vuoi che ti liberi da queste catene allora?”

L’altro annuì nuovamente.

Proprio allora, il volto di Evangeline si contrasse in una smorfia di dolore.


“Sakutaro!”, esclamò Maria.

I giochi che le stava insegnando quella Chachamaru con i gatti erano davvero belli, ma ora aveva percepito che qualcosa non andava.

Erano entrambe sedute per terra, ma la bambina si alzò di scatto, i gatti scomparvero, e corse angosciata verso il gazebo.

“Maria!”, la richiamò invano Chachamaru.

La rincorse, ma non poté impedire che arrivasse fino al gazebo, e lì Maria rimase pietrificata: Evangeline si contorceva per terra, stringendosi il ventre, Chiyo era china su di lei ma non sapeva cosa fare, mentre Sakutaro giaceva supino sulla sedia, immobile e privo di sensi.

“Sakutaro!”

Maria si chinò su di lui e lo scosse, senza ottenere risposta.

Guardo furente, e piangendo, Evangeline.

“Tu sei cattiva! Che cosa gli hai fatto?!”

Il cielo cambiò di colpo, diventando buio e tempestoso, la terra prese a tremare come se ci fosse un violentissimo terremoto e molte spaccature si formarono nel terreno.

Si alzò un vento sempre più impetuoso, quasi come un tornado.

“Maria, ti prego, fermati”, la implorò Chachamaru raggiungendola e mettendole una mano sulla spalla.

Non appena lo fece, il corpo della ginoide, a partire dalle braccia, iniziò a scomporsi in tanti piccoli pezzi, come se fosse una costruzione fatta con i mattoncini.

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Capitolo 5
*** 5° Capitolo ***


5° Capitolo

Il meccanismo principale della torre AM era stato infine installato al centro di un’alta colonna in metallo, a sua volta agganciata a potenti generatori elettrici.

Sulla cima della colonna c’era un’enorme antenna parabolica, mentre sotto il pezzo AM c’erano due capsule di dimensioni umane.

La grande caverna, che ospitava il tutto, era in molti punti ricoperta da grossi cavi neri, gli uomini incappucciati andavano e venivano, controllavano e disponevano congegni in ogni punto.

Su una terrazza scavata dentro una parete rocciosa, arrivò Eva Ushiromiya.

Una malsana euforia la dominava.

“Ci siamo! Ci siamo! Non sto più nella pelle! I preparativi sono ultimati?”, domandò ai suoi servi.

“Sì, mia signora”, rispose uno di loro.

Eva prese a saltare come una bambina.

“Yeah! Il grande momento è arrivato! Oggi una nuova divinità nascerà in questo mondo!”

Poi si fermò a riflettere: perché avrebbe dovuto accontentarsi di quel mondo soltanto?

Una volta adempiuto il suo compito, sarebbe diventata una strega dell’Aevum, e sotto la guida di Lambda Delta avrebbe creato decine, centinaia, migliaia di mondi, dove ogni suo capriccio sarebbe diventato realtà!

La stessa Lambda Delta sarebbe stata sicuramente felice di insegnare ogni cosa a un’allieva così dotata, che da semplice umana aveva saputo seguire tutti i suoi consigli e regole, ingannando Maria e allo stesso tempo riuscendo a non ricorrere alla bambina per compiere l’operazione in un colpo solo. Altrimenti avrebbe rischiato di togliere tutto il divertimento.

Sempre come premio per una simile allieva, non ci sarebbe andata troppo pesante con i debiti accumulati da Eva per le sue richieste d’aiuto.

Sì, l’ultima dei figli di Kinzo se lo meritava quel potere, e già pregustava il momento in cui avrebbe ricreato all’infinità la sua famiglia, si sarebbe fatta servire da loro, li avrebbe massacrati per sfogarsi, avrebbe punito Maria per tutte le volte che l’aveva costretta a essere affettuosa con lei, avrebbe disossato Chiyo che osava non essere d’accordo con lei. Invece quel Negi Springfield poteva pure mandarlo all’inferno: era stato facile per i suoi incappucciati catturarlo in Giappone, era troppo abbattuto per fare veramente resistenza, e ora, con la stessa facilità, si sarebbe sbarazzata di lui. E chissà quante altre avrebbe fatto.

Le possibilità erano davvero infinite, la sua mente neanche riusciva a calcolarle tutte.

Scoppiò a ridere, una risata sguaiata, cadde a terra in ginocchio tenendosi la pancia con le mani.

“Quasi quasi muoio… sono troppo contenta!!!”

La cosa andò avanti per diversi minuti e finalmente si ricordò che il passo finale per il trionfo doveva ancora essere compiuto.

Rimettendosi in piedi, ordinò: “Portate qui quelle mocciose, Konoe e Kagurazaka, e chiamate anche Maria. Mi serve per far tornare normale la ragazzina”. Oltre a questo pensò: “E poi, siccome è stata lei a rendere possibile la creazione di questa macchina, mi sembra giusto farla assistere. Un ultimo spettacolo”.

La voglia di ridere ritornò, e a fatica si trattenne, mentre alcuni incappucciati andarono a eseguire l’ordine.

Poco dopo uno di quegli uomini arrivò con Konoka sulle spalle, ancora svenuta. Altri due trasportavano la statua di metallo che un tempo era stata Asuna Kagurazaka.

Apparve anche Maria, che corse verso la zia insieme a Sakutaro.

“Zia! Zia!”, la chiamò.

In meno di un attimo, i due bambini, che erano sul fondo della grotta, scomparvero per poi riapparire di botto proprio affianco a Eva.

La donna rimase un po’ sorpresa. “Ehm, cosa c’è, tesoro?”

Maria la abbracciò. “Zia, ho avuto tanta paura. Prima sono arrivate due signorine cattive, hanno fatto del male a Sakutaro!”

Eva si abbassò e guardò negli occhi la nipote. “Che cosa?! E chi erano?”

“Dicevano di chiamarsi Evangeline e Chachamaru”.

“Quelle due… non è possibile!”

Abbracciò Maria e intanto rifletté: “Quelle due erano state uccise dal misterioso mostro nero durante il tentativo di Arxelles. A meno che… ma certo! L’atto di compensazione non ancora sfruttato! Davvero furba quella strega! Ma stavolta ha giocato tutte le sue carte”.

Eva si separò da Maria. “Dimmi, cara, che fine hanno fatto quelle signorine cattive?”

“Le ho fatte sparire”, dichiarò duramente Maria. “Le ho dissolte insieme a Chiyo. Anche lei era cattiva!”

“Ben fatto, piccola mia. Hai compiuto una grande opera di giustizia! Ora, completiamo il nostro disegno. Tu non vedi l’ora di riabbracciare la tua mamma, giusto?”

“Sì!”

“Bene, anch’io desidero rivedere la mia famiglia. Per rendere tutto questo possibile, devi solo fare un’ultima cosa per me”.

“Ancora dolore? Mi prometto che sarà l’ultima volta?”

“Ultimissima”.

“Allora, se è per i nostri sogni, lo farò”.

Eva accarezzò la nipote sulla testa. “Brava la mia nipotina. Ora, vedi quella statua di metallo? Falla tornare com’era prima. Inoltre, per favore, falla dormire, perché possiamo fare quello che dobbiamo. Devi capire, per lei noi siamo persone cattive e quindi si rifiuterebbe di aiutarci. Ma io non voglio costringerla con la forza”.

“Va bene”. Lo sguardo di Maria si puntò su Konoka. “E quell’altra ragazza lì?”

“Oh quella persona… non si sente molto bene. Per questo ha preso dei sedativi per dormire. Comunque anche dormendo può svolgere il suo compito”.

“Se vuoi, posso farla stare bene”.

“No, piccola mia. Non mi sognerei mai di chiederti sforzi non necessari. Basta che tu faccia quello che ti ho appena detto”.

Maria si concentrò e in un attimo Asuna tornò normale e priva di sensi, venendo afferrata da due incappucciati prima di cadere a terra.

“Bene, ora mettetele nelle capsule”, ordinò Eva, e tramite delle scalette in metallo gli incappucciati collocarono le due ragazze ai loro posti sulla colonna.

Quando tutto fu a posto, impartì infine l’ordine: “Attivazione!”

L’energia, emettendo un fortissimo ronzio, attraversò i cavi e raggiunse la colonna, che s’illuminò.

Le capsule con Konoka e Asuna brillarono di una luce accecante.

“Perfetto”, pensò Eva estasiata, “perfetto! Asuna Kagurazaka possiede la capacità di annullare la magia, ma è comunque magia, un potenziale immenso. Ora esso viene ampliato al massimo dal potere di Konoka Konoe, e poi è convogliato nella tecnologia creata da Maria, che lo trasforma in energia naturale e la utilizza per alimentarsi. Adesso ha abbastanza energia da toccare tutto il mondo! Lambda Delta sarà soddisfatta, voleva una cosa divertente perché difficile, e così è stato”.

L’energia raggiunse il pezzo Am, che s’illuminò, seguito subito dopo dall’antenna: il soffitto della grotta si aprì, mostrando il cielo, dall’antenna partì un raggio di colore azzurro, che attraversò il cielo, per poi sparire in una sorta di buco sospeso a mezz’aria.

“SI! In questo momento il raggio viene convogliato verso il mondo normale, e una volta lì, si espanderà a cerchi concentrici sull’intero globo!”, esultò Eva.

“Zia, scusa, ma questo come ci aiuterà a riavere le nostre famiglie?”, domandò Maria.

“Non preoccuparti, cara. Lascia fare tutto a me”.

Dopo alcuni minuti il raggio si esaurì, ed Eva, pur fremendo, ordinò ai suoi di controllare su magic net il flusso di notizie.

Essi tirarono fuori dei portatili e controllarono la rete web del mondo magico.

Trascorsi altri minuti, uno di loro riferì: “Padrona, ha funzionato. Tutti i siti e i vari social network si stanno intasando di messaggi che dicono in sostanza la stessa cosa: ogni tipo di potere magico è scomparso”.

Eva cadde all’indietro, Maria e Sakutaro tentarono di sostenerla, ma era troppo pesante per loro e finì comunque col sedere per terra.

“Zia! Ti senti bene?”

“Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!”, mormorò con le lacrime agli occhi.

Si rialzò e gridò al cielo: “Lambda Delta, hai visto! Tutto si è compiuto alfine!”

Dal nulla, preceduta da uno stormo di farfalle d’oro, apparve una bella bambina dai capelli biondi e con un vestito rosa. La piccola lievitava in aria.

Prima contemplò tutti i presenti, che la guardavano: impassibili gli incappucciati, sorpresi Sakutaro e Maria, incantata Eva.

Lambda Delta cominciò a mangiare delle caramelle colorate che, una alla volta, le apparivano improvvisamente in una mano.

“Allora”, esordì, “vedo che alla fine sei riuscita ad adempiere la tua missione. I miei complimenti”.

“Sì, adesso ti prego, ti scongiuro, il premio, dammelo! Non resisto più!”

“Zia, il premio è quello che vogliamo?”, domandò Maria, venendo ignorata.

“D’accordo. Eva Ushiromiya, con l’autorità concessami dal Senato dell’Eternità, ti dichiaro mia discepola. Sotto la mia guida imparerai a utilizzare la magia delle magie, e sarai prescelta per il titolo di Strega dell’Infinito!”

Gli abiti di Eva cambiarono, anche il suo aspetto: dopo essere stata avvolta da una nuvola di farfalle dorate, ora appariva come una ragazza di appena quindici anni, che indossava un abito lungo di colore nero e soprattutto viola, con una larga gonna. Sulla testa, un berretto ampio e ricamato. Un grande fiocco rosso e una rosa scuro ornavano rispettivamente la gonna e il copricapo

In una mano della neo-strega era apparso uno scettro.

“E’ magnifico!”

“Ora vieni, ti mostrerò la tua nuova casa”.

Eva iniziò a sollevarsi, sotto lo sguardo di Maria.

“Ma zia… e la promessa?”

L’altra le rivolse uno sguardo sprezzante. “Fottiti, mocciosa. Usa il tuo potere per spassartela, fino a quando non sarò diventata così potente da schiacciarti come l’insetto che sei! Ah ah ah!”

Lambda Delta sospirò. “Porta pazienza, Maria. Tua zia ti ha mentito sempre. Tuttavia, posso ripagarti concedendoti… la vendetta!”

“Eh?!”, esclamò stupefatta Eva: osservò negli occhi la sua nuova tutrice, che sfoggiò un sorriso sadico e crudele.

“Tonta, tonta, tontaaaaa!”, canticchiò Lambda Delta. “Ritieniti fortuna: quello che ti farà lei sarà sempre meglio di quello che ti farei io, perché ho perso per causa tua!”

“Che cosa?!”

“Guarda quella Konoka”.

Una forza invisibile tolse Konoka dalla capsula, la portò davanti ad Eva, la ragazzina scomparve in una nuvola di fumo e al suo posto rimase un pezzo di carta bianca.

“Era un famiglio”, spiegò Lambda Delta, che aggiunse: “E questa torre, sembra quella vera, ma è solo un duplicato!”

“Non è possibile! Aveva funzionato!”

“Doppiamente tonta. Era un’illusione creata da qualcuno molto vicino a te, per metterti alla prova. Ora, non farmi perdere altro tempo. Addio!”

La strega dell’Aevum fece una linguaccia, schioccò le dita, in meno di un attimo lei era scomparsa, ed Eva era ritornata alla sua forma umana.

Ritrovandosi sola sulla terrazza, disperata alzò le braccia al cielo. “No, non puoi abbandonarmi! Ho fatto tutto quello che volevi! Perché mi fai questo?”

La donna si accorse che qualcosa nell’aria stava mutando: si girò verso la nipote, che stava immobile, le braccia tese lungo i fianchi, i pugni chiusi con tale forza da diventare bianchi, lo sguardo basso.

“BUGIARDA!!!”

Con gli occhi furiosi e grondanti lacrime, Maria alzò le mani, l’ambiente circostante cambiò, tramutandosi in un groviglio inestricabile di rovi, pieni di spine aguzze e denti.

“No, no Maria! Ti spiegherò tutto!”, esclamò Eva mettendo le braccia in avanti: le mani della donna mutarono in rovi che penetrarono nella sua bocca, negli occhi, nelle orecchie, scavarono in profondità, solcarono i muscoli squarciando la pelle e facendo gridare la vittima, un grido strozzato dai rovi.

“Muori! Muori! MUORI!!”

“Fermati!”, gridò Sakutaro abbracciandola.

“Deve pagare!”, esclamò Maria.

“Certo, ma non così. Ti prego, Maria, non puoi scendere al suo livello. Non vale la pena diventare un’assassina per questa qui. Davvero, fermati”.

Il tempo sembrò cristallizzarsi: “Ma… ma se rinuncio alla vendetta, ora che non posso più riavere la mamma, cosa mi resta?”

“Maria, tutti noi vorremmo poter tornare indietro per evitare gli eventi tragici. Ma hai tutta la vita davanti a te. Non essere così ansiosa di buttarla via, di considerarla indegna. Sei una persona meravigliosa, e saprai trovare sicuramente tante persone che ti vorranno bene. Come il sottoscritto”.

“Però tu… non sei più tu”.

“Se Sakutaro era tuo amico, lo può essere anche Negi Springfield. Fidati di me”.

Il bambino si accorse dello sguardo stupito di Eva, che lo stava guardando dopo essere rimasta immobilizzata in una forma grottesca di donna-rovo.

“Sì!”, le confermò con decisione Negi. “Sono libero dal tuo condizionamento fatto di droghe e ipnosi. Ma nonostante quello che mi hai fatto, non ti odio e ti voglio giudicata dalla giustizia. Inoltre, hai già rovinato abbastanza la vita della povera Maria”.

La bambina guardò intensamente Negi: “Io… io…”

Maria svenne tra le braccia di Negi, istantaneamente tutto tornò come doveva essere, e si ritrovarono in mezzo alla verde e fredda pianura islandese.

Negi adagiò dolcemente per terra la sua coetanea, Eva era vicino a loro, in ginocchio: con gli occhi vacui, appariva distrutta, svuotata, inerme.

“Ma dove siamo?”

Negi, sentendo quella voce, si voltò: “Asuna!”

I suoi amici e alunne erano qualche metro dietro di loro: si guardarono attorno spaesati, ma quando videro Negi, rimasero immobili, Yue e Nodoka si strofinarono pure gli occhi.

Negi si tolse il cappuccio del costume da Sakutaro.

“NEGI!!!”, gridarono insieme e corsero da lui: Asuna, Nodoka, Yue e Ku lo abbracciarono con estrema forza, Kamo cominciò a saltellargli intorno, Asakura, Takamichi, Kotaro, Mana e Kaede sembrarono fare a gara per chi dovesse mettergli una mano sulla spalla o sulla testa, Takane e Sakura erano pure loro contente ma anche confuse.

“Mana, mi sembra che sulla guancia hai una lacrima”, costatò Kaede.

“Zitta, ragazza-volpe. E poi, mi sembra che anche tu abbia delle lacrime”, ribatté la mercenaria.

“No, si tratta di un bruscolo”.

“In entrambi gli occhi e contemporaneamente?”

“Lasciate stare”, disse Asakura commossa, “sapete comunque controllarvi meglio di Kotaro. Guardate che lacrimoni. Possono quasi competere con quelli di Nodoka e Asuna”.

“Non… sniff… è vero”, rispose Kotaro girandosi dall’altra parte.

“Complimenti, ragazzino, hai creato tanti guai, ma alla fine ne sei uscito bene”, commentò Evangeline avvicinandosi insieme a Chachamaru e Chachazero.

“Evangeline?! Chachamaru?!”, esclamarono tutti. “Ma voi… voi eravate…”

“Morte? Idioti, sono o non sono la maga immortale? Dovreste inchinarvi davanti al mio genio: quando, mesi fa, ho percepito la presenza di Arxelles… ehi, mi state ascoltando?!”

Passato quello stupore, tutti si erano riconcentrati su Negi, riempiendolo di baci, pacche amichevoli, abbracci e carezze.

“Lasci stare, padrona. Ogni cosa a suo tempo”, la consolò Chachamaru con un leggero e dolce sorriso.

“Mpf… bah, preferire quel ragazzino al mio racconto. Boh! Comunque, sbrighiamoci a tornare, o il dannato incantesimo di quel maledetto Thousand Master mi farà a pezzi, anche se adesso pare essersi calmato”.

“Va bene”, dichiarò infine Takamichi, “ora che è tutto risolto, chiamiamo il Mahora e lasciamo quest’isola”.

“Che ne facciamo di lei”, domandò Mana indicando Eva.

“La consegneremo alle autorità del mondo magico. Sapranno loro cosa farne”.

Il gruppo quindi, con Chachamaru che teneva Eva in braccio e Chachazero che implorava di poterle almeno cavare un occhio, s’incamminò per cercare una strada asfaltata che li riconducesse alla civiltà.

Mentre camminavano, Evangeline per un attimo pensò che con loro avrebbe dovuto esserci anche un’anziana governante, ma fu una sensazione subito sparita.

Negi invece, tenuto sotto braccio da Asuna e Nodoka, si ricordò di una bambina di nome Maria.

Sapeva che aveva avuto un ruolo fondamentale in quanto era successo.

Si guardò intorno, e non c’era nessuno in più o in meno.

Comunque ebbe la sensazione di non doversi preoccupare, perché tutto andava bene.

 

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Capitolo 6
*** 6° Capitolo ***


6° Capitolo

Il preside del Mahora passeggiava nel suo studio con una certa ansia, andando avanti e indietro.

Lui stava dietro la scrivania, ed Evangeline, comodamente seduta con tanto di gamba sopra il bracciolo della poltrona, lo osservava divertita.

Chachamaru e Takamichi stavano in disparte, vicino alla porta.

“Dunque, Evangeline: ti credevamo morta insieme alla tua partner, e invece eccovi qui, avevo registrato una nuova studentessa e invece eri tu. Sei riuscita a raggiungere l’Islanda quando invece, in teoria, non potresti muoverti dal Mahora. Ed ora mi racconti che hai salvato il mondo magico. Ah, hai pure ritrovato il professor Negi”.

“Esatto, vecchio, hai riassunto bene. Vuoi un bacetto sulla guancia come premio?”, rispose la vampira.

“No, vorrei che mi spiegassi come diavolo è successo tutto questo!”

Evangeline si sfregò le mani. “E vai! Finalmente posso dimostrare quanto sono stata geniale! Allora, mesi fa, percepii la presenza di Arxelles, e conoscendo il suo modo di operare, decisi di creare una mia perfetta copia magica che fingesse di essere sua alleata e al momento opportuno lo ingannasse. Costruii anche una nuova versione, senz’anima, di Chachamaru, per rendere la messinscena più realistica”.

“Accidenti”, commentò Konoemon, “non pensavo tenessi così tanto al Mahora”.

“Non me ne frega nulla di questo posto”, ribatté lei, “ma io conoscevo Arxelles, un megalomane che ha sempre bramato conquistare il mondo. Se qualcuno minaccia questo globo di terra e acqua, non posso non restare coinvolta”.

“Ok. Però avresti potuto avvertire qualcuno”.

“E rinunciare così alla mia gloria? Una simile impresa, per giunta condotta da sola, può solo fare bene alla mia fama”.

“Veramente, padrona”, intervenne Chachamaru, “pensavo che l’avesse fatto perché lei non sapeva chi era stato posseduto da Arxelles, e voleva evitare di uccidere qualcuno, poiché quel nemico altrimenti non poteva abbandonare un corpo se non lo voleva”.

Davanti al volto leggermente arrossito di Konoemon, Evangeline divenne rossa come un pomodoro, e si avventò sulla sua serva. “Ma io ti smonto la bocca, maledetta pettegola!”

Il tossire di Konoemon e Takamichi la fece riconcentrare sul racconto e tornò a sedersi.

“Ehm… allora, dopo aver creato quelle copie, utilizzai un antico incantesimo di mimetizzazione, e creai l’identità di Shinobu Maehara. Quest’ultima non era frutto di una mia recitazione, era a tutti gli effetti una nuova personalità, inconsapevole della sua vera natura, ed io sorvegliavo restando nel suo subconscio. Invece Chachamaru rimase nascosta, e Chachazero con lei. Arxelles venne a cercare il mio aiuto, senza sapere che il mio pensiero aveva subìto”, la vampira girò la testa dall’altra parte, “diciamo, un’evoluzione rispetto al passato e così la falsa Evangeline si alleò con lui.

La mia trappola prevedeva, sotto le sembianze del misterioso mostro nero, di spingere Arxelles a lasciare Haruna Saotome per entrare nella seconda Evangeline”.

“Però”, obbiettò Takamichi, “è stato rischioso. E se nel frattempo qualcuno fosse rimasto ucciso?”

Evangeline liquidò quell’obbiezione con un gesto scocciato della mano. “Nah, Arxelles vive di emozioni negative, rabbia, odio, e le persone gli sono utili come fonte di energia, non come cadaveri. Comunque Chachamaru e Chachazero vegliavano nell’ombra, e anch’io, come Shinobu, ero sempre pronta ad intervenire”.

La vampira iniziò poi a ridere. “Ah, dovevate vederla la faccia di Arxelles, quando è entrato in un corpo che era solo un guscio vuoto e che io ho ucciso senza problemi, imprigionando così il bastardo nella sua collana. In quel momento mi sono sentita orgogliosa come non mai. Sono un genio!”

Chachamaru applaudì, il preside e Takamichi no.

“Bah, voi due non capite nulla! Comunque”, riprese lei, “a quel punto il mio piano avrebbe dovuto concludersi. Però, come voi, anch’io trovai sospetta quella misteriosa torre, e immaginai che la faccenda fosse più grossa di quanto sembrava. Quindi ho continuato la mia recita. Purtroppo non potei seguire quelle mocciose in Islanda. Per ingannare l’incantesimo di Nagi, sono dovuta ricorrere a un collarino magico che mi permetteva di allontanarmi dal Mahora, ma solo di un chilometro e per circa due ore”.

“Per questo”, la interruppe Konoemon, “Negi e Asuna hanno potuto incontrare Shinobu fuori dal Mahora”.

“Esatto. Ma dopo essermi trasformata nel mostro, il collare si era rotto, e l’incantesimo non mi avrebbe mai permesso di andarmene. Però ero sicura che non sarebbe successo nulla d’irreparabile se le lasciavo andare su quell’isola, e così è stato. Immaginando che il nemico misterioso avrebbe tentato di riprendersi la torre AM e di catturare tua nipote, ho preparato una trappola, ho fatto in modo che Chachamaru cambiasse identità, fornita di curriculum e dati anagrafici falsi, e quando quelle copie sono arrivate dall’Islanda, era tutto pronto. Nonostante l’incantesimo, ho sentito di potermi arrischiare a lasciare il Mahora, e sebbene abbia ricevuto molte fitte di dolore, che metterò sul conto di quel dannatissimo Nagi, i fatti mi hanno dato ragione. Inoltratami con Chachamaru e Chachazero nella base del nemico, ho trovato Negi e quella misteriosa bambina, Maria, con il potere di ricostruire la realtà. Quando ho liberato il moccioso dal condizionamento che quella pidocchiosa di Eva Ushiromiya gli aveva inflitto, per poco Maria non ci polverizzava tutti. Ma Chachazero, nascostasi dentro Chachamaru…”

“Dentro?”, domandò perplesso Takamichi.

Chachamaru si slacciò la camicetta e si aprì il ventre, rivelando la presenza di un piccolo vano. “La mia padrona ha preso l’idea da un certo Soundwave, personaggio di un cartone animato”.

“Cartone animato?”

“Chachamaru!”, la richiamò imbarazzata, e irritata, Evangeline, “non rivelare troppo delle mie abitudini. Comunque, Chachazero ha stordito Maria, dando a Negi il tempo di riprendersi, e quando lei è rinvenuta, l’ha calmata spiegandole tutto. Maria ha visto la sua fiducia nella zia incrinarsi, su mio consiglio l’ha sottoposta a un test e la cara zietta l’ha fallito completamente. Quando tutto è tornato normale, Maria era scomparsa. Non so dove sia finita”.

Calò il silenzio.

“Be?”

“Be cosa?”

“Maledetto vecchiaccio! Non avete niente da dire?!”

“Oh sì, che stupido”. Konoemon si picchiettò in testa. “Sei stata molto brava Evangeline, senza di te non so come sarebbe finita”.

“E’ vero”, aggiunse Takamichi, “ti faccio i miei complimenti. Il tuo piano, azzardato in alcuni punti, in generale è stato audace e ben congegnato. Brava. E sei stata brava anche tu, Chachamaru”.

L’androide rispose con un inchino, mentre Evangeline salì con i piedi sulla sedia e scoppiò in una risata orgogliosa.

“Quindi alla fine tutto si è concluso per il meglio”, riprese il preside. “Peccato non sapere che fine abbia fatto quella bambina. Però qualcosa mi suggerisce di non preoccuparmi, mentre sua zia è stata consegnata alle autorità del mondo magico. Ci penseranno loro a punirla”.

“Certo che voler cancellare la magia del mondo perché la riteneva colpevole della perdita della sua famiglia… Non sapremo mai se davvero quell’esplosione è stata provocata da un esperimento di suo padre Kinzo finito male, ma nonostante tutto, non riesco a non provare anche pena per lei”, dichiarò il professore.

“Lo capisco, ma questa non giustifica il voler distruggere un intero mondo, e meno male che la dottoressa Akagi e il suo collaboratore se la sono cavata. Comunque, ora resta solo un’incognita: il professor Negi riuscirà a farsi accettare nuovamente dalle sue allieve? Le ho richiamate tutte a scuola dicendo soltanto che si trattava di una cosa importante, per fare loro una sorpresa. Ma il professore temeva che sarebbero state tutte arrabbiate con lui”.

Un fortissimo urlo si diffuse nell’aria.

Sembrava la voce di tante ragazze.

“Che sarà successo?”, si domandò preoccupato Takamichi.

Il preside chiamò col citofono la professoressa Shizuna, che arrivò dopo un po’, tenendo sotto braccio una tuta.

“Professoressa, cosa è successo? Chi ha gridato?”

“Oh, quell’urlo arrivava dalla III A. Quando hanno visto tornare il professor Negi, gli si sono lanciate tutte addosso. Anzi, Ayase mi ha appena chiamato per dirmi di portare un nuovo abito per il professore. A furia di baci e abbracci l’hanno lasciato in mutande”.

Evangeline sospirò. “Si ricomincia, finalmente. Voglio godermi lo spettacolo. Vieni, Chachamaru”.

Seguendo Shizuna, la vampira lasciò lo studio insieme alla sua partner.

Quando furono fuori, Evangeline distanziò l’insegnante.

“Mi sorprende che tu, brutta pettegola, non gli abbia rivelato quel particolare su Shinobu. Ti diverti sempre a mettermi in imbarazzo”.

“Padrona, quella non è certo una faccenda divertente, ma mi dica: rivedremo ancora Shinobu?”

“Chachamaru, la personalità di quella ragazzina ha avuto il suo tempo nei miei primi dieci anni di vita. Adesso è solo un ricordo, debole, innocuo e dolce. Ora ci sono io. Fine della storia”.

La ragazza robot non rispose e insieme si diressero verso la loro classe.

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Nella immensa sala, il cui soffitto, retto da colonne mastodontiche, era così in alto da risultare invisibile, un dito picchiettava nervosamente sul bordo di una scacchiera.

Lambda Delta osservava infastidita lo scacco matto che le aveva inflitto la bambina dai lunghi capelli scuri, impassibile, che la fissava dall’altro lato del tavolo.

“Uffa, non è giusto! Sei dannatamente fortunata. Stavolta ero sicura che avrei vinto io!”

“Solo perché il tuo pezzo principale era molto sicuro di sé?”, ribatté con voce piatta l’altra bambina. “Non serve a nulla avere un ottimo esecutore dei nostri desideri senza un’adeguata strategia. Non è questione di fortuna”.

“Perché? Io non ce l’avevo una strategia?”

“Le hai detto le regole e hai soddisfatto le sue richieste d’aiuto, quando non voleva sforzare troppo Maria. Ti pare strategia?”

“Ho inserito le pagine che hanno permesso di trovare la collana di Arxelles, ho suggerito l’incantesimo di rintracciamento e fornito a Konoka la seconda ispirazione. E’ strategia!”

“No”.

Lambda Delta s’indignò. “Ma scusa, allora dove sarebbe la tua di strategia? Ti sei limitata agli atti di compensazione, quando hai fatto ricordare a Sakura l’incantesimo di sostituzione, e poi quando hai coperto la morte di Evangeline ai miei sensi e le hai permesso di arrivare in Islanda sotto mentite spoglie, senza che Maria se ne accorgesse. E il tuo pezzo, quella Evangeline, non è stata veramente abile, ma solo molto, troppo fortunata, avendo avuto l’appoggio della nostra collega. In fondo non hai fatto nulla di diverso da me”.

“Ed è qui che ti sbagli. Pensi troppo in piccolo”.

“Eh?”

“Lambda Delta! Bernkastel!”

Nella sala comparve Chiyo, che appariva piuttosto irritata.

“Ciao, vecchietta”, la salutò Lambda.

L’anziana fu avvolta da una nuvola di farfalle d’oro, e fu sostituita da una bella ragazza di almeno venti anni, dai lunghi capelli grigi, che indossava una veste nera con ricami bianchi, e un largo copricapo nero.

Aveva gli occhi socchiusi, e nonostante la sua età apparente, possedeva un’espressione che le conferiva grande maturità.

“Siete state imprudenti. Solo perché siete membri del Senato, non potete prendervi tutte queste libertà”.

“Oh, andiamo Virgilia, in fondo non abbiamo fatto nulla di male. Abbiamo solo giocato”, rispose la strega bionda.

“Ci sono delle regole, e una di queste vieta di giocare con l’esistenza di esseri fondamentali per la storia dei mondi inferiori. Meno male che vi sorvegliavo, ed Evangeline ha voluto ascoltare le mie ispirazioni. Ho evitato danni irreparabili, altrimenti…”

Lambda strabuzzò gli occhi. “Un momento… Frederika, tu hai suggerito questo soggetto estremo per il nostro gioco… e Virgilia è una vigilante… ma allora…”

Frederika piegò le labbra in un fulmineo e strafottente sorriso.

“L’hai fatto apposta! Avevi un aiuto in più, sapevi che Virgilia avrebbe dato informazioni e ulteriori suggerimenti ad Evangeline, in modo che vincesse la fazione del Mahora, e tu contavi proprio su questo!”

“Già, e tutto accadeva sotto il tuo naso. Piegare le regole del gioco ai propri scopi è strategia, ma tu la chiamavi fortuna”, continuò Frederika.

“Non è giusto! Avevo di fronte due avversarie, non una. Altrimenti avrei elaborato una strategia migliore. Non è giusto! Uffa e poi uffa!”

Lambda Delta picchiò più volte i pugni sul tavolo con la scacchiera.

“Smettila, adesso avrai provocato delle catastrofi naturali in qualche mondo”, la richiamò Virgilia. “Ora ascoltate: ho modificato alcuni ricordi, in modo che questa storia si concludesse senza riferimenti all’Aevum e tutti potessero, laggiù, riprendere le loro vite di sempre. Ma siete state davvero incoscienti. Voi e i vostri stupidi giochi, quando rammenterete che, per quanto potenti, non siamo dei?”

“Ci annoiamo”, rispose sbuffando Lambda.

“La partita è finita. Non posso impedirvi di giocare nuovamente, ma sappiate che se provate ancora a farlo con personalità fondamentali, vi denuncerò al Senato. Siete pezzi grossi, ma non intoccabili”, minacciò la donna.

Senza attendere risposta, Virgilia iniziò a dissolversi in uno sciame di farfalle dorate.

“Ora vado da Maria, spero che crescerà meno viziata e più responsabile di voi”, concluse prima che anche la sua testa sparisse.

Rimaste sole, Lambda tirò fuori un sacchetto di caramelle colorate e le mangiò, una alla volta, con la testa girata dall’altra parte.

“Su, non mettere il broncio”, le disse Frederika. “Facciamo così, iniziamo una nuova partita. Stavolta, lascerò scegliere il soggetto a te. Così sarai sicura che non attuerò altre strategie di quel tipo”.

“Prometti?”

“Prometto”.

“Allora ci sto. Conosco già il posto adatto, stavolta Virgilia non potrà dire niente, perché è un piccolo paese della campagna giapponese, senza eventi e persone di particolare rilevanza”.

“Come si chiama questo posto?”

“Hinamizawa. Spero che stavolta la partita sarà molto più lunga della precedente. Dai, scegliamo i nostri campioni”.

I pezzi della scacchiera tornarono da soli al loro posto.

FINE

 

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