Dietro lo specchio di Darik (/viewuser.php?uid=262)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5° Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6° Capitolo ***
Capitolo 1 *** 1° Capitolo ***
DIETRO LO SPECCHIO
1° CAPITOLO
Un sole che spaccava le pietre stava sovrastando il Mahora, che in quei
giorni faceva impressione per quanto fosse silenzioso.
In realtà non era cessata ogni attività, persone in giro se ne vedevano
ancora, ma rispetto alla solita agitazione che permeava l’immensa città dello
studio, sembrava che quest’ultima fosse quasi un deserto.
Persino il preside, visto il caldo, si era sentito autorizzato a ricorrere
alla magia pur essendo nella scuola.
Quindi stava nel suo studio, dietro la scrivania, con ben sei ventagli
sospesi in aria e intorno a lui, che si muovevano da soli nel tentativo di
rinfrescarlo.
Qualcuno bussò alla sua porta e l’anziano uomo disse di entrare, senza
chiedere chi fosse.
Tanto in quel periodo al Mahora restavano in genere solo le persone che
conoscevano il segreto particolare della scuola.
Ed, infatti, entrò Takamichi, con l’immancabile sigaretta.
“Preside, spero di non disturbarla”.
“Assolutamente, lei non disturba mai, caro professore”.
Takamichi gli lanciò un’occhiata leggermente perplessa. “Scusi se mi
permetto, preside, ma non farebbe prima installando l’aria condizionata?”
“Mi piace risparmiare l’elettricità”, rispose l’anziano uomo. Che si diede
anche dei colpetti dietro la schiena. “E poi l’aria condizionata mi procura
certi reumatismi…”.
“Capisco. Comunque, sono qui per parlarle di quella certa faccenda”.
Il volto del preside s’intristì. “Oh, capisco. Che delusione, sembrava che
quella dell’Islanda fosse finalmente la strada giusta”.
“Sembrava. Però non è detta l’ultima parola”.
“Che intende dire?”
“Sono convinto che quella visione legata all’incantesimo di rintracciamento
debba per forza avere una connessione con la sparizione di Negi. E’ vero che non
abbiamo trovato niente, tuttavia io e le ragazze che mi hanno accompagnato non
intendiamo arrenderci. Preside, sono qui per chiederle il permesso di
organizzare una nuova spedizione in Islanda. E…”
Davanti all’improvvisa titubanza del professore, che aveva persino rinunciato
al suo solito sorriso rassicurante, il preside si sporse in avanti incuriosito,
appoggiandosi alla scrivania. “E cos’altro?”
“ ...per chiederle il permesso di far partecipare anche Konoka”.
“Mia nipote? Perché?”
“Poiché è stata lei ad avere quel sogno aggiuntivo, permettendoci così di
localizzare l’Islanda, è possibile che recandosi lì, possa aiutarci in qualche
modo. Mi rendo conto che si tratta di una possibilità alquanto esigua. Ma è
comunque una possibilità da non escludere, data l’imprevedibilità di
quell’incantesimo”.
“Tuttavia”, aggiunse il preside massaggiandosi la barba “proprio la sua
imprevedibilità può comportare dei rischi. In Islanda non avete trovato nulla e
a volte proprio nel nulla si nascondono i pericoli maggiori. Inoltre, non si
deve dimenticare che Konoka non è una guerriera”.
“Capisco i suoi dubbi, preside. Mi creda, non mi sognerai mai di esporre sua
nipote a qualunque rischio se non pensassi che ne valga la pena. E non posso non
pensarlo visto l’affetto che provo per Negi. Per non parlare dei sentimenti
delle sue alunne, Nodoka Miyazaki e Asuna in particolare. Sono state forti al
ritorno qui, però sull’aereo sono scoppiate a piangere”.
“Pure Asuna, eh?” osservò con sorpresa solo apparente il preside, che ben
sapeva quanto fosse in realtà dolce quell’apparente maschiaccio.
“Sì. Anche le altre, nonostante l’autocontrollo, sembravano avere la morte
nel cuore”.
Il preside s’incupì.
“Come, purtroppo, temo l’avranno pure le altre studentesse della III A quando
sapranno che non ci sono novità”.
“Ho capito”, concluse il preside. “Va bene, Takamichi, do il mio consenso e
ne parlerò con Eishun. Sono convinto che, per il bene di Negi, Asuna e delle
compagne di Konoka, accetterà. La mia stessa nipotina sarà entusiasta di dare
una mano. Ma mi raccomando, prudenza e senno”.
Il preside puntò un dito ammonitore verso Takamichi, che ritrovò il suo
sorriso abituale. “Non si preoccupi, signore. Le giuro che sarò pronto anche a
dare la vita pur di difendere Konoka”.
Rassicurato, il preside congedò Takamichi e chiamò Eishun, a Kyoto, per
informarlo.
Anche l’immensa biblioteca del Mahora era in quel momento quasi deserta.
Le uniche presenti, in una delle tante sale da lettura, erano la
professoressa Ayanami e Shinobu Maehara, l’ultima arrivata della III A, in quel
momento impegnata in lezioni di recupero per mettersi in pari con i programmi
scolastici.
“Professoressa…”, bisbigliò la ragazzina.
“Cosa c’è? Alza la voce” disse quasi con tono di rimprovero l’insegnante.
Shinobu si sforzò di ubbidire. “P-perché dobbiamo studiare qui? E’ così
silenzioso… inquietante”.
“Perché c’è un’aria fresca. E il silenzio è fondamentale per concentrarsi”.
“P-però io…”
Ayanami inarcò un sopracciglio. “Alza la voce”.
“Potrei andare a bere qualcosa al distributore?”
“Va bene, ma non metterci molto. Tra dieci minuti devi aver finito il
compito”.
“S-subito!”, esclamò la ragazza alzandosi e facendo un sacco d’inchini mentre
si allontanava, passando per un corridoio dal quale continuava a essere vista
dall’insegnante. Per questo Shinobu si muoveva all’indietro stando sempre girata
verso Ayanami. E per questo, quando si voltò, la ragazza andò a sbattere contro
un muro, cadendo poi per terra.
“Accidenti! Shinobu, stai bene?” esclamò qualcuno correndo da lei per
soccorrerla.
Era Nodoka Miyazaki, seguita subito dopo da Yue Ayase.
“S-sì, scusatemi” disse Shinobu rialzandosi e facendo numerosi inchini.
“Non c’è bisogno che ti scusi. Non è mica una colpa andare a sbattere contro
un muro” la tranquillizzò Yue.
“Sei sicura di non esserti fatta niente?”, domandò con una certa apprensione
Nodoka.
“S-sì”.
“Shinobu!”, la richiamò freddamente la professoressa Ayanami. “Dobbiamo
rispettare la tabella di marcia, sbrigati ad andare al distributore”.
Agitandosi parecchio, Shinobu fece un ultimo inchino e corse via.
Nodoka e Yue raggiunsero il tavolo dell’insegnante.
“Come sta andando Shinobu?” chiese Yue.
“Non male. Ma c’è ancora molto da fare” rispose Ayanami.
“Certo che prima la nostra compagna ha preso una bella botta”.
“Sì. E allora?”
Ayase squadrò leggermente l’insegnante. “Allora niente. Scusi il disturbo”.
“Scusate una domanda”, le richiamò Ayanami quando le due studentesse si erano
già girate per andarsene. “Voi due cosa fate qui in piena estate?”
“Stiamo conducendo delle ricerche”, spiegò Nodoka sforzandosi di nascondere
un certo sdegno.
“Capisco. Fate una buona ricerca allora”, concluse l’insegnante cominciando a
leggere.
Yue e Nodoka si guardarono per poi lasciarla sola.
Nel grande palazzo dei Konoe, a Kyoto, Konoka, con indosso un kimono, andava
avanti e indietro per la sua camera.
“Accidenti, ma quando vengono?”, pensò agitandosi.
Bussarono alla sua porta, e Konoka si fiondò ad aprire.
“Sì?”
Era una delle ragazze addette al suo servizio. “Ehm, lady Konoka, sono
arrivate le sue amiche”.
“Evviva!”, esclamò la ragazza scostando l’altra e correndo verso l’ingresso.
Ad attenderla trovò Setsuna, che stava parlando con…
“Asuna!”
Al grido gioioso di Konoka, seguì il suo saltare addosso alle due amiche, col
risultato che finirono tutte e tre a terra, sotto lo sguardo di dieci ragazze
incaricate di fare gli onori di casa.
“Oh Asuna, quanto ero preoccupata! Temevo vi fosse successo qualcosa!”
“Lady Konoka, la prego, il kimono non è adatto per azioni del genere”, la
implorò Setsuna.
“Anch’io sono contenta di vederti, Konoka”, aggiunse Asuna. “Però penso che
Setsuna abbia ragione. Inoltre, potresti togliere la tua mano dal mio seno?”
“Ops, scusa”.
“E…”, Asuna lanciò una strana occhiata a Setsuna, “penso che dovresti
toglierla anche dal petto della nostra spadaccina, nonostante lei sembri
approvare”.
Quando Konoka vide dove stava la sua mano, sorrise. “Oh, Setsy, non l’ho
fatto apposta ma se vuoi che ti faccia dei massaggi al petto, basta dirmelo. Ho
guardato una video enciclopedia. Anzi, stasera vedrai quanto sono brava a
massaggiare, specie i glutei”.
“NO!”, esclamò Setsuna mettendosi in piedi fulminea e rossa in viso, per poi
inchinarsi fino a toccare il pavimento con la fronte.
“Mi perdoni, lady Konoka. Non so come mi abbia preso. Come ho potuto
desiderare che la sua mano non si togliesse dal mio rozzo petto? La prego mille
volte di perdonarmi!”
Ma l’erede del casato dei Konoe, piegando la testa di lato, con fare
innocente chiese: “Perché ti scusi?”
“Lasciamo perdere e andiamo in camera, è meglio”, concluse Asuna portandole
via in mezzo agli sguardi imbarazzati delle ancelle.
“Quindi non siete riusciti a trovare tracce di Negi”.
Una profonda tristezza apparve sul volto di Konoka.
Setsuna stava col capo chino.
Le tre ragazze si trovavano nella stanza di Konoka, che aveva voluto sapere
nel dettaglio cosa era successo in Islanda.
“Abbiamo setacciato quell’isola da cima a fondo, senza trovare nulla”, spiegò
Asuna. “Però penso che il tuo aiuto possa essere decisivo. Stiamo ancora
brancolando nel buio, ma la presenza di colei che può controllare l’energia
magica potrebbe fare la differenza”.
“Naturalmente. Mio padre mi ha già detto tutto, sono già pronta a partire. I
bagagli sono in un’altra stanza. Per Negi farei questo e altro!”, esclamò con
decisione Konoka.
“Lo stesso vale per me”, aggiunse Setsuna mostrando la sua spada.
Asuna sorrise. “Vi ringrazio. Ma non c’è tutta questa fretta. Possiamo
partire con calma domani. Voi sarete di grande aiuto”. Mise una mano su quella
di Konoka. “Specialmente tu, mia cara amica”.
Le ombre della notte erano scese sul Mahora.
In un laboratorio segreto, la dottoressa Ritsuko Akagi stava conducendo
alcuni esperimenti su un congegno che da diverso tempo aveva ormai calamitato
interamente il suo interesse: la misteriosa torre capace di emanare
quell’altrettanto misteriosa energia che lei aveva battezzato Am, ovvero
anti-magia, e che alcuni mesi fa, era stata sul punto di cancellare l’esistenza
della magia dal mondo intero.
In quel momento la donna lo stavo contemplando, quasi sperasse di scoprire il
segreto di quella tecnologia solo guardandola con intensità.
“Dottoressa”, la chiamò uno dei suoi collaboratori, “ho i risultati del test
T-24”.
Le porse un fascicolo, lei lo lesse e subito s’irritò molto. “Dannazione,
dunque neanche quello schema era esatto”.
“Mi dispiace, ma sembra proprio che questa torre si tenga ben stretta i suoi
segreti”.
“Ma io li scoprirò. Questa tecnologia è un qualcosa di eccezionale. I
materiali sono gli stessi che utilizziamo noi, ma il modo in cui sono
assemblati, è del tutto innovativo. Scoprire come funziona questa torre,
potrebbe far compiere alla scienza umana un balzo di secoli!”
“Capisco…”
Ritsuko abbassò il capo e ridacchiò per qualche attimo. “Sembro quasi una
scienziata pazza, vero? Non si preoccupi, so bene che né io, né tantomeno la
scienza, siamo divinità. Però io ho sempre visto le cose che non capisco come
una sfida, ed io sono abituata a vincerle le sfide”.
L’altro sorrise. “Sono sicuro che ce la farà, dottoressa”. Detto questo,
guardò l’orologio. “Accidenti, è piuttosto tardi. Be, il mio turno è finito e
vado a farmi una dormitina. A lei serve qualcosa?”
“Credo che mi fermerò ancora una mezz’oretta, per analizzare nuovamente il
T-24 e capire cosa non ha funzionato. Prima di andarsene, mi porterebbe un
caffè?”
“Sicuro”, rispose lui lasciando Ritsuko davanti all’oggetto della sfida.
Konoka si girava e rigirava nel futon.
Durante la cena aveva evitato una catastrofe, sventando un tentativo nefasto
di cucina da parte di Asuna, che già si era messa ai fornelli allontanando gli
allibiti cuochi. Ma prontamente Konoka l’aveva intercettata e riportata nella
sala degli ospiti.
Tuttavia né lei, né le sue due amiche avevano assaggiato molto di quel cibo,
perché Konoka aveva sempre insistito per mostrare al padre quanto fosse
diventata brava con i massaggi, usando Setsuna come esempio.
Comunque la spadaccina, più rossa in viso di un sole al tramonto, si era
dimostrata molto abile nella corsa inginocchiata all’indietro, mentre Konoka la
inseguiva piagnucolando e implorandola di farsi massaggiare almeno le cosce o i
polpacci.
Arrivato il momento di dormire, la principessa di Kyoto era riuscita ad
addormentarsi senza problemi, ma poi era sorto una specie di disturbo, e il suo
sonno era diventato molto agitato.
Capita l’antifona, aprì gli occhi e si mise a sedere.
“Uffa, perché mi sento così a disagio? Cosa c’è che non va?”
La stanza era buia, un po’ di luce lunare arrivava solo dalla terrazza. La
giovane si accorse che i letti di Asuna e Setsuna, uno a destra e l’altro a
sinistra del suo, erano vuoti.
“Saranno andate sulla terrazza?”
Konoka si alzò e andò a vedere.
Immersa nel controllo dei suoi fogli, Ritsuko non si accorse della porta che
si apriva, e solo quando udì i passi di qualcuno dietro di lei, si voltò.
“Grazie per il…”
Non era il suo subordinato, ma il professor Takamichi, con in mano una tazza
di caffè.
L’uomo gliela porse. “Questo è per lei, immagino”.
“Sì, ma lei cosa ci fa qui, professore?”
“Attendo che si concluda un’ispezione”.
“Ispezione?”
La scienziata sentì altri passi intorno a lei, ed erano almeno altre nove
persone.
Si guardò intorno: dagli angoli bui del laboratorio erano sbucati Takane
Goodman, Sakura Mei, Mana Tatsumiya, Kaede Nagase, Ku Fei, Asakura Kazumi,
Nodoka Miyazaki, Yue Ayase e Kotaro.
“Ma che sta succedendo qui?”
Sulla terrazza non c’era nessuno, Konoka rimase perplessa.
Poi si accorse che da sotto la porta, chiusa, del bagno filtrava una luce.
“Oh, ma allora siete lì. Cattive, mi avete fatto preoccupare”, esclamò
avvicinandosi al bagno per aprire la porta.
Invece la porta fu sfondata e ne uscirono due figure, che parevano in lotta
tra loro.
Konoka, colta di sorpresa, si buttò a terra e intravide due sagome umanoidi
che, in mezzo al buio della stanza solo leggermente rischiarata dalla luce della
Luna, si scambiavano micidiali colpi di spada, facendo sprizzare scintille.
Il tutto a pochi metri da Konoka.
Uno dei contendenti aveva una spada più grande di quella dell’avversario, che
pareva in difficoltà: più che altro parava e indietreggiava.
Quello con l’arma più grossa menò un fortissimo fendente dal basso verso
l’alto, l’altro lo parò ma per il contraccolpo fu costretto a tenere la spada
sollevata sopra la testa.
Questione di un secondo: il primo spadaccino girò su se stesso e trafisse in
pieno addome, da parte a parte, il nemico, che con un urlo strozzato cadde prima
in ginocchio e poi a terra.
Konoka impietrita, vide qualcosa di scuro espandersi dal corpo dello
sconfitto sul pavimento.
Non aveva il coraggio di avvicinarsi per scoprire chi fosse, ma vide vicino a
sé, nella luce fioca, la sua spada.
Gridò: “SETSUNA!!!” con tutta la voce che aveva.
Il corpo della dottoressa Akagi giaceva in un angolo del laboratorio.
Dopo averla colpita con alcuni dei suoi pugni speciali, Takamichi,
impassibile, non si preoccupò di controllare se fosse ancora viva, così come non
lo aveva fatto con l’assistente della donna.
Il gruppo di nove persone si fermò vicino alla torre.
“E’ intatta”, osservò Takane.
“Sì. Mandate le coordinate e attivate il trasporto”, ordinò Mana.
Asakura si portò una mano sulla fronte e chiuse gli occhi.
Dopo pochi attimi, annunciò: “Servono almeno tre minuti per aprire il
passaggio”.
“Basteranno”, rispose Takamichi. “Miyazaki, Ayase, il vostro giro di
controllo?”
A parlare per entrambe fu Yue. “Tutto a posto, le presenze al Mahora sono
ridotte al minimo. Non ci dovrebbero essere ostacoli”.
“Rimane da controllare solo la missione a Kyoto”.
Stavolta fu Takamichi a portarsi una mano sulla fronte.
“Asuna, mi ricevi?”
“Sì. Confermo la riuscita della missione. Obbiettivo catturato”.
“La spadaccina Shinmei ti ha dato problemi?”
“No, neutralizzarla è stato molto facile, perché esitava troppo ed era
confusa”.
“E il resto degli abitanti?”
“Nessun problema. La speciale polvere narcotica che ho sparso in cucina, ha
fatto effetto rapidamente”.
“Bene. Le condizioni del tuo obbiettivo?”
“Ho dovuto stordirla perché urlava troppo. Comunque può sopportare senza
problemi il processo. Ho già inviato le mie coordinate”.
“Ottimo”.
Chiuso il contatto telepatico, sia loro al Mahora che Asuna a Kyoto, non
dovevano fare altro che attendere l’apertura del passaggio.
Asuna, con in mano la sua grossa spada, contemplava in silenzio Konoka,
svenuta e con una ferita sanguinante sulla fronte, e Setsuna, che giaceva
immobile, immersa nel suo sangue.
Improvvisamente la porta si aprì, senza perdere tempo la ragazza sguainò la
sua spada e partì all’attacco, ma un pugno della persona appena arrivata la
respinse facendola volare indietro di una ventina di metri.
Asuna osservò chi fosse.
“La professoressa Rei Ayanami?”
Al laboratorio, i nove presenti si misero in posizione d’attacco quando
udirono degli strani passi nel corridoio d’accesso.
Erano passi regolari e molto pesanti, troppo per essere quelli di una persona
normale.
Takamichi fece segno a Sakura e Ku di andare a controllare, le due ragazze
lentamente e con cautela si avvicinarono alla porta e si affacciarono quel tanto
che bastava per controllare il corridoio, che risultò vuoto.
Anche i passi erano cessati.
Allora andarono a controllare più da vicino.
Non appena sparirono dalla vista dei loro compagni, ci furono due tonfi, e
due oggetti sfondarono la parete colpendo Kotaro e Takane, che caddero a terra:
erano state le teste di Sakura e Ku a colpirli, lanciate attraverso il muro dopo
essere state staccate di netto dal corpo.
Altri rumori, di ossa spezzate e organi strappati, giunsero dal corridoio,
poi dalla porta entrò nel laboratorio il responsabile: una creatura di colore
nero, alta almeno tre metri, un torace possente, braccia e gambe snelle e
muscolose, la testa di forma allungata, occhi rossi e feroci, una bocca irta di
denti aguzzi da fare invidia ad uno squalo. Infine sulla schiena erano presenti
numerose scaglie ossee simili a spine.
Aveva le mani sporche di sangue, che ancora gocciolava, e ruggì con forza.
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Capitolo 2 *** 2° Capitolo ***
2° Capitolo
Gli assalitori della dottoressa Akagi si guardarono per un attimo.
Poi si disposero intorno alla creatura, che rimase immobile a osservarli,
senza muovere un muscolo. Anzi, sembrava proprio che volesse farsi circondare.
Quando la accerchiarono, con una sola occhiata, Takamichi ordinò l’attacco:
Kotaro e Takane sprigionarono le loro ombre; gli inugami avvolsero il mostro
nero bloccandolo in una morsa, le maschere invece piombarono su di esso,
avvolgendolo come in una cappa.
Mana tirò fuori le sue pistole e sparò a raffica, Kaede fece lo stesso con
una pioggia di shurinken e anche Takamichi, con i suoi pugni a distanza.
I proiettili e i pugni speciali provocarono una grande nuvola di fumo che
coprì tutto.
Cessato il fuoco, rimasero in attesa e mentre il fumo si diradava e per
prudenza si allontanarono.
Non fu sufficiente, perché dal fumo emerse qualcosa, un oggetto nero
estremamente lungo e sottile, che prima si mosse a destra e sinistra per colpire
Takane e Kotaro, scagliandoli via, poi prese in pieno stomaco Mana e la spinse
fino a farla sbattere contro un muro.
Dalla sommità dell’oggetto si formò una mano enorme, nera, che si avvolse
intorno al corpo della ragazza e strinse fino a maciullarla: una cascata di
sangue colò tra quelle grandi dita.
“Mancano due minuti all’apertura del portale!”, esclamò Yue.
“Proteggete la torre a qualunque costo!”, ordinò Takamichi.
Fece per muoversi, ma dal lungo oggetto partirono degli spuntoni che
rapidissimi lo infilzarono, per poi ruotare su se stessi a grande velocità,
riducendolo in mille pezzi.
Diradatosi completamente il fumo, la misteriosa creatura riapparve, mentre
con calma si toglieva di dosso le ombre scagliate dai nemici, come se fossero
state delle coperte.
Toccando il suolo, tali ombre si dissolsero, mentre l’oggetto che aveva
massacrato Mana e Takamichi era il braccio del mostro.
Kaede ritornò all’attacco, suddividendosi in dieci copie, e anche Kotaro e
Takane ne approfittarono, mescolandosi tra le copie in modo che le coprissero.
Il loro nemico, allora, saltò verso l’alto: prima chiuse le braccia sul
petto, e quando le aprì da esso furono sparate delle sfere nere che quando
toccarono il pavimento si trasformarono in venti copie più piccole del mostro.
Tre delle copie, muovendosi ad una velocità tale da scomparire alla vista, si
materializzarono dietro a Kaede e i suoi due compagni, falciandoli con un paio
di pugni e riducendoli a brandelli.
Le restanti si avventarono su Yue, Nodoka e Asakura, intente a proteggere la
torre, e le divorarono.
Rimasto solo, il mostro si guardò intorno, richiamò le sue copie che
trasformandosi in una sorta di fulmini neri rientrarono nel suo petto.
Si accorse che i resti dei nemici sconfitti stavano cominciando a muoversi,
alcuni si rigeneravano, allora l’essere alzò un braccio, un vortice si creò dal
nulla, sollevò quei pezzi di corpi e li fece convergere verso la sua mano,
davanti alla quale si creò un piccolo buco nero che assorbì il tutto.
Proprio allora, in mezzo al laboratorio si aprì un altro vortice, molto più
grosso e di colore azzurro, che si pose in orizzontale vicino alla torre.
Il mostro si avvicinò e lo esaminò: il nuovo vortice, visto da fuori, aveva
una forma a imbuto e si restringeva fino a sparire, ma al suo interno si
estendeva una vera e propria galleria, abbastanza larga perché ci passasse tutta
la torre AM.
Sentì una sorta di scarica elettrica attraversarle il corpo, Konoka
lentamente aprì gli occhi e le parve di percepire per pochi attimi un intenso
odore di bruciato.
Non ricordava cosa fosse successo, ma quando la sua mano toccò quella che
riconobbe essere una spada, gli ultimi eventi tornarono nella sua mente in un
lampo.
“SETSUNA! NO!!”
Si mise a sedere con uno scatto, la fronte le doleva ma non gliene importò.
“Setsuna! Setsy! Dove sei?”, gridò guardando davanti a sé freneticamente, e
capendo di essere nella sua stanza, al palazzo dei Konoe.
“Girati, presto”, le disse una voce impassibile, proprio dietro di lei.
“P-professoressa Ayanami?!”
La donna era inginocchiata affianco a Setsuna, stesa per terra, e teneva una
mano sul suo addome.
“Setsy!!”
“Ho usato una sostanza refrigerante per bloccare l’emorragia, ma ci vuole il
tuo potere curativo”.
Subito Konoka agì, mise le mani sulla sua amica del cuore, ci fu un lampo e
la ferita scomparve.
“Al risveglio si sentirà debole, ma starà comunque bene”, spiegò Ayanami.
Konoka mise la testa di Setsuna sulle sue ginocchia e le accarezzò i capelli.
“Ne sono felice. Ma un momento, professoressa, che succede qui? Che ci fa in
casa mia? E Asuna? Perché ci ha attaccate?”
“Quella non era Asuna. L’ho sistemata, e non ti dico come perché resteresti
disgustata. Non ho tempo per spiegarti, comunque prendi questo”. Le mise in mano
una piccola fiala piena di un liquido blu. “Usalo per far riprendere tuo padre.
Dovete andarvene subito da questo palazzo, scegliete un luogo sconosciuto, così
il nemico ci metterà più tempo per individuarvi. Inoltre dovete informare il
preside del Mahora che tutti quelli tornati dall’Islanda sono in realtà delle
copie. Comunque non credo siano più un problema”.
“Eh?”
Improvvisamente, una sorta di portale si materializzò davanti a loro.
Ayanami si mise in piedi e lo guardò.
“Sono sicura che la mia padrona ha fatto la sua parte. Ora tocca a me”, e
dicendo questo, l’insegnante estrasse qualcosa da una tasca.
Konoka si strinse con forza a Setsuna, che parve ridestarsi. Lady… lady
Konoka, cosa è…”
L’altra le mise un dito sulla bocca. “E’ meglio non fare domande. Andiamo da
mio padre”.
Lentamente si rialzarono, Setsuna si accorse dell’insegnante. “La
professoressa Ayanami?! Un momento… che sta succedendo qui? Asuna dov’è?”
“Setsy, non insistere, fidati di me. Se fai come ti dico, ti farò un bel
regalo”.
“Eh?”
Approfittando della sorpresa e dell’imbarazzo dell’amica, Konoka riuscì a
farla uscire dalla stanza per dirigersi verso quella di Eishun.
“Vedrai che il mio regalo ti piacerà”, continuò Konoka sorridendo, “un bel
massaggio intensivo su tutto il corpo!”
“Che cosa?!”
“Sono sicura che ti serve. Così non perderai più sangue dal naso, come
adesso”.
Da uno dei due grandi portali, uscì la torre, sostenuta da Asakura, Yue,
Nodoka e Sakura, mentre gli altri loro compagni avevano formato un cerchio
protettivo intorno ad esse e all’oggetto.
La torre non avrebbe mai potuto essere trasportata così da persone normali,
ma loro non lo erano.
Il luogo in cui si trovavano, era un’enorme grotta, piena di figure che
indossavano un saio nero con cappuccio.
“Meraviglioso! Meraviglioso!”, applaudì Eva Ushiromiya apparendo sopra una
pedana.
“Manca pochissimo alla realizzazione del mio progetto. Finalmente! Ma dov’è
Asuna con quella Konoe?”
Dal secondo portale venne fuori Asuna con sulle spalle Konoka, priva di
sensi.
“Perfetto! Bravi i miei servi! Quanto ci vorrà per completare il tutto?”
“Due ore al massimo, padrona”, rispose uno degli incappucciati.
“Ottimo! Sbrigatevi a preparare tutto, non vedo l’ora di ascendere!”
Aprendo il suo ventaglio per coprire un ghigno quasi demoniaco, la donna se
ne andò, lasciando i suoi servi che cominciavano i preparativi.
Due degli incappucciati presero in consegna Konoka dalle mani di Asuna,
mentre quest’ultima, e i suoi otto compagni del Mahora, indossarono anche loro
un saio nero e si mescolarono agli altri servitori di Eva.
La torre fu nuovamente sollevata e portata via, dentro un cunicolo scavato
nella roccia.
In mezzo a tutto quel via vai d’incappucciati, Nodoka con calma si avviò
anche lei dentro il cunicolo, seguita qualche minuto dopo da Asuna.
Le due camminavano distanziate, il cunicolo era buio, illuminato solo da due
fila di torce sistemate sulle pareti.
Ogni tanto appariva qualche incappucciato, che si disinteressava di loro.
Quando vide un anfratto abbastanza grosso in una parete, Nodoka ci s’infilò e
Asuna, dopo aver controllato se c’era via libera, vi entrò anch’essa.
“Tutto come programmato?”, domandò Nodoka.
“Sì, Konoka e Sakurazaki sono al sicuro”.
“Per il momento. Non sappiamo di quali mezzi disponga questo nemico, ma
saranno sicuramente imponenti, quindi dobbiamo agire per forza qui”.
“Dobbiamo attaccare adesso?”
Nodoka scosse la testa. “No, abbiamo due ore, sfruttiamole per trovare i
nostri compagni e più informazioni possibili. Dobbiamo… urgh!”
Nodoka si portò una mano al ventre, una smorfia di dolore le attraversò il
viso.
“Tutto bene?”, domandò Asuna mettendole le mani sulle spalle. La sua
espressione era imperturbabile, ma la voce tradiva una punta di preoccupazione.
“Sì… come temevo, senza il collare, alla fine se n’è accorto… quel maledetto.
Comunque muoviamoci, posso farcela”.
Uscirono dall’anfratto e proseguirono lungo il cunicolo.
A un certo punto trovarono tre diramazioni che si aprivano sulla parete
destra.
“Proseguiamo o cambiamo strada?”, chiese Asuna.
“Un momento…”
Nodoka si concentrò intensamente, alzò una mano verso le tre nuove vie,
corrugò la fronte: “La prima a sinistra. In questo luogo, i miei sensi trovano
tutto strano, ma in quella direzione c’è qualcosa di familiare”.
Rapidamente le due s’inoltrarono nel nuovo cunicolo, e camminando per alcuni
minuti al buio, arrivarono in un altro luogo spazioso, ancora una grotta, piena
di quelle che sembravano celle scavate nella roccia.
L’illuminazione proveniva ancora da torce, e c’era pure un altro ingresso,
una scala a chiocciola che saliva fino a scomparire nel muro.
“Cerchiamoli, presto”, ordinò Nodoka.
Cominciarono a controllare dentro le celle.
“Eccoli”, disse infine Asuna indicando con la mano.
L’altra la affiancò, e quando vide, fece un’espressione mista di rabbia e
dispiacere: in quella cella c’erano i loro compagni Asuna, Takamichi, Yue,
Nodoka, Asakura, Kotaro, e gli altri, trasformati in statue di metallo lucente,
come acciaio, bloccati nelle pose di chi cerca di difendersi o prova una
sofferenza atroce. Erano quasi ammassati l’uno sull’altro, simili agli oggetti
abbandonati in una soffitta. Sulla testa di Sakura c’era pure Kamo.
La cella non era chiusa a chiave, le due ragazze entrarono, Asuna accarezzò
il volto dell’altra se stessa, Nodoka contemplò quelle statue. “E’ un
incantesimo del tutto diverso da quelli che conosco. Tutta la magia che permea
questo posto è diversa. Ha colpito persino Kagurazaka, nonostante la sua
immunità. Una cosa che m’inquieta assai”.
“Ora che facciamo? Siamo solo noi contro un nemico dalle potenzialità
sconosciute ma immense. Forse dovremmo chiamare rinforzi”, propose la seconda
Asuna.
“Quanto tempo ci metterebbero? Troppo. E’ vero che abbiamo preso precauzioni,
ma questa magia è così strana che…”, Nodoka si strinse tra le braccia, “…mi
mette i brividi. A me, capisci? Sarebbe solo uno spreco di forze. Inoltre,
dubito che questo posto si trovi sulle cartine stradali. Da sole, potremmo fare
molto di più. Io… arghh!”
Nodoka crollò a terra, il corpo avvolto da piccole scariche energetiche.
Asuna si chinò su di lei per aiutarla, le tolse il cappuccio e si trovò di
fronte il volto di Shinobu.
“L’incantesimo di mimetizzazione è stato danneggiato”, constatò preoccupata.
“E… andrà… sempre… peggio… Maledizione! Se le mie condizioni sono queste…
sarà già tanto se avremo una sola occasione per risolvere tutto!”.
Lentamente, Shinobu si rimise in piedi. “Ora sto meglio. Ma se mi venisse un
altro attacco, sarebbe un guaio. Troviamo un posto sicuro, poi voi continuerete
il giro, per raccogliere più informazioni possibili”.
“E’ sicura?”
“Sì, andiamo ora”.
Lasciate le celle, risalirono lungo la scala a chiocciola, ritrovandosi
davanti ad un muro, Asuna lo contemplò, poi premette un angolo al centro e il
muro iniziò a spostarsi di lato.
Finirono in un salone pieno di scaffali con molti libri, e c’erano anche
alcuni incappucciati, che stavano togliendo la polvere e che si voltarono verso
di loro.
Le due ragazze fecero finta di niente, Asuna toccò un quadretto contenente il
meccanismo di apertura e il muro si richiuse. Fatto questo se ne andarono, e gli
altri incappucciati ripresero le loro attività.
“Per fortuna questi tizi sembrano incapaci di decisioni autonome, se prima
non gli ordini qualcosa”, commentò Shinobu.
Inoltrandosi per alcuni corridoi, Shinobu prese a tremare, Asuna, mostrando
lieve apprensione, controllò le varie porte, ne scelse una, girò la maniglia ma
era chiusa a chiave. Allora con una lieve spallata la aprì, entrò nella stanza
con la sua compagna e poi chiuse la porta.
Erano in una stanza da letto matrimoniale con baldacchino e bagno, Shinobu fu
fatta sdraiare da Asuna, che le rimase affianco.
“Lei sta sempre peggio, padrona”.
“Il dolore va e viene. Vai a cercare informazioni piuttosto”.
“Non mi sembra prudente”.
“Ti ho dato un ordine. Esegui!”
“Allora lei, almeno, ricorra al suo aiuto. Metta da parte l’orgoglio”.
Shinobu squadrò Asuna.
Asuna uscì dalla stanza e si guardò in giro: via libera.
“Ah, finalmente, non ne potevo più”, commentò una voce dietro la porta.
“Zitta!”, ordinò Shinobu.
Nel suo girovagare, Asuna controllò molte stanze, ce n'erano parecchie da
letto, bagni, piccoli salotti, studi.
Ogni stanza era perfettamente arredata e ordinata ma deserta.
Scrutò fuori da una finestra: erano in una villa circondata da un grosso
parco, con giardini e persino un labirinto.
“Dai, Sakutaro, andiamo a giocare!”, esclamò una voce di bambina.
“Uryu, Maria, ti sei appena svegliata. Dovresti mangiare un po’. Uryu, uryu”.
“Dopo, ora voglio giocare”.
Asuna seguì le voci, intercettò anche il rumore dei loro passi, poi sentì una
porta aprirsi e chiudersi, infine silenzio.
La ragazza percorse il corridoio, fino ad arrivare a un punto morto: davanti
a lei c’era solo una porta, tutto intorno nude pareti.
Girò la maniglia, entrò e si ritrovò in un luogo completamente diverso: la
casa non c’era più, davanti a sé, a perdita d’occhio si vedeva solo un immenso
campo fiorito, il cielo era di un magnifico azzurro, il sole emanava un calore
piacevole, l’aria era frizzante; sembrava davvero un piccolo paradiso.
Sorpresa, la ragazza avanzò con cautela, finché non sentì ancora quelle due
voci di bambini.
In lontananza vide una piccola collina, la raggiunse, poi si buttò a terra e
strisciando ne raggiunse la sommità: a qualche decina di metri c’erano due
bambini, un maschio e una femmina, che giocavano allegramente rincorrendosi.
Il piccolo aveva un costume da leoncino.
“Sakutaro, andiamo al gazebo, ti mostrerò un nuovo gioco con le mani. Sei
contento che te lo mostri?”
“Uryu! Sì, Sakutaro è sempre contento delle cose belle fatte da Maria”.
“E allora andiamo! Evviva!”
I due corsero via, Asuna scrutò i loro volti.
Fu a quel punto che la sua espressione imperturbabile ebbe un sussulto.
La porta si aprì, e l’anziana Chiyo entrò nella stanza.
Si guardò attorno e proprio allora un piccolo oggetto le cadde addosso.
“Yeah! Muori, vecchiaccia!”
La donna urlò, cadde a terra, guardò terrorizzata chi l’aveva assalita, e
allora al terrore si sostituì la sorpresa: si trattava di una bambola, con un
dolce sorriso sul volto, ma nella mano aveva una spada lunghissima e molto
spessa.
“Chi… chi sei?”
“Dirò una banalità, ma sono la tua morte!”, rispose la bambola iniziando a
sghignazzare.
Finché non fu colpita in pieno da un cuscino.
“Stupida. Dobbiamo essere discrete”, la rimproverò Shinobu scendendo da sopra
il baldacchino.
“E tu chi sei?”, domandò Chiyo.
“Silenzio, vecchia. Faccio io le domande, quindi sei tu che devi dirmi chi
sei!”
“S-sono la governante di questa villa”.
“Ah bene, sarai preziosa per avere qualche informazione. Arghh!”
Shinobu si accasciò.
“No! Odio apparire debole, specie davanti agli altri”, pensò.
“S-si sente bene?”
Chiyo fece per avvicinarsi, ma la bambola le piazzò la punta della spada
davanti al viso. “Cosa credi di fare?”
“Vorrei aiutarla”.
“Non mi serve il tuo aiuto”, rispose la ragazza rimettendosi in piedi.
“Ma… ma cosa sta succedendo al suo volto?!”
Shinobu andò nel bagno di quella stanza e si specchiò: il suo viso si era
riempito di crepe, come un oggetto che sta per frantumarsi. Alla fine, proprio
questo accadde: la sua pelle cadde a pezzi, compresa quella che stava sotto i
vestiti.
La ragazza, annoiata, schioccò le dita e i frammenti si dissolsero.
Si guardò nuovamente allo specchio: “Sapevo che sarebbe successo, ma non così
presto. In ogni caso, bentornata Evangeline MacDowell”.
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Capitolo 3 *** 3° Capitolo ***
3° Capitolo
Chiyo rimase senza parole quando vide uscire dal bagno una ragazzina con
lunghi e fluenti capelli biondi.
“Ma… chi è lei? E la signorina di prima dov’è finita?”
“Andata”, rispose impassibile Evangeline. “Anzi”, pensò, “è tornata nel
profondo, qui”, e si toccò istintivamente il petto.
Quando si accorse di essere osservata dall’altra, arrossì per un attimo e poi
si adirò: “Ti ho già detto di non fare domande, quelle le faccio io. Se rispondi
alle mie domande, te la caverai. Se fai scena muta, o se provi a fregarmi,
aprirai la strada per l'inferno alla tua padrona!”
Per essere ancora più convincente, evocò una lama di pura energia dalla sua
mano.
Chiyo sussultò, poi rimuginò e disse: “Se ho capito bene, lei è nemica di Eva
Ushiromiya, giusto?”
“Continui, eh?”, sbuffò Evangeline. “Va bene, sì, lo sono”.
“Se le cose stanno così, allora la aiuterò ben volentieri. Io voglio bene a
Eva, l’ho vista crescere, ma ora sta davvero esagerando, e deve essere fermata!”
“Solitamente i falsi traditori si giustificano dicendo tutto il male
possibile del loro capo, questa invece ha un giudizio più sfumato, e mi sembra
sincera. Certo, potrei usare la mia magia per leggere direttamente nella sua
mente. Ma se un altro di quegli attacchi dovesse colpirmi durante la
perlustrazione, le conseguenze per le nostre menti potrebbero essere terribili”,
rifletté la vampira.
“Padrona, ma è sicura che questa vecchia possa aiutarci? Non sarebbe meglio
se la ammazzassi?”
“Zitta, Chachazero. Piuttosto, sgranchisciti le gambe, ora che sono fuori dal
Mahora ho abbastanza energia per farti muovere. E fai la brava. Allora, Chiyo,
comincia a parlare. Dimmi tutto, partendo dall’identità della tua padrona!”
“Non posso conoscere tutti i dettagli, ma so la storia in generale, e vi
avverto, si affonda nel soprannaturale, andando parecchio in profondità!”
“Sono abituata. Forza”.
Chiyo si alzò dal pavimento e si sedette sul letto. “La mia padrona, Eva
Ushiromiya, viene da un’antica e potente famiglia giapponese. Era la seconda di
quattro fratelli e nonostante avesse molteplici talenti, è sempre stata
trascurata da suo padre, Kinzo, un uomo crudele e misogino, che dava i brividi.
La loro madre, invece, morì quando erano tutti e quattro ancora piccoli”.
“Wow, mi piace”, commentò Chachazero, beccandosi per questo un calcio da
Evangeline.
“Dicevo, Eva si è sempre data molto da fare per mostrare al padre quanto
valesse, qualunque altro genitore sarebbe stato fiero dei suoi risultati, ma non
uno come Kinzo, che considerava le sue figlie, Eva e l’ultimogenita, Rosa, come
un semplice mezzo per avere figli che continuassero la dinastia degli Ushiromiya.
Fu per questa situazione che Eva prese una decisione fondamentale, ed io, che
in quel momento la abbracciavo per consolarla dopo l’ennesima crisi di pianto,
non dimenticherò mai quelle parole e soprattutto il suo sguardo. ‘Diventerò una
dea!’, così disse, con uno sguardo glaciale, carico di risentimento e senso di
rivalsa vasti quanto l’oceano. Quegli occhi, oh, se ci penso, sin dall’inizio mi
fecero apparire quell’intenzione di primeggiare in tutto non come un’assurdità,
ma come una minaccia!”
“Desiderio di onnipotenza nato dal dolore: un mix esplosivo”, commentò
accigliandosi Evangeline.
“Una volta terminati gli studi, sempre col massimo dei voti, Eva lasciò la
casa paterna, si fece una famiglia sposando un ricco uomo d’affari, ebbe un
figlio, George, meraviglioso e promettente, lei stessa divenne una donna
d’affari di successo: aveva affetto, soldi, fama. Non le mancava nulla…”
“Ma…”
Chiyo sospirò afflitta. “Ma quando tornava periodicamente alla casa paterna,
Kinzo continuava a mostrare totale disinteresse per lei ed io percepivo quanto
questo le rodesse dentro. La sua ambizione divenne ossessione, e dopo la
tragedia, temo sia diventata follia”.
“Tragedia?”, domandò Evangeline dando un secondo calcio a Chachazero prima
che facesse un altro commento entusiasta.
“Gli Ushiromiya ogni anno si radunavano alla villa di Kinzo per discutere dei
problemi riguardanti l’intera famiglia. Alcuni anni fa c’è stata l’ultima
riunione, da cui nessuno è uscito vivo, tranne Eva. La villa fu distrutta da
un’esplosione, i periti dissero che era stata provocata da una fuga di gas, e i
membri della famiglia Ushiromiya, Kinzo, i suoi figli e nipoti, tranne una, e la
servitù morirono tutti arsi vivi”.
Chiyo tremò e si coprì il volto con le mani. “Io fui con Eva l’unica
sopravvissuta, perché al momento dello scoppio stavamo facendo una passeggiata
nel parco. Fummo pure sospettate, ma non si riuscì mai a dimostrare che
l’esplosione fosse dolosa”, singhiozzò.
“Devo andare a prendere un bicchiere d’acqua”, la interruppe Evangeline.
Si recò nel bagno e tornò con un bicchiere pieno fino all’orlo, bevve un
sorriso, e quando si accorse che l’anziana la stava osservando, le fece un cenno
per chiederle se ne volesse anche lei.
Chiyo annuì e bevve tutto.
“Grazie”.
“Grazie un corno”, rispose Evangeline. “Continua”.
“Dopo la sciagura, Eva mi prese con sé, i primi tempi andarono bene, ma lei,
presa com’era dal desiderio di raggiungere uno stadio divino, si rese conto che
nessun successo umano avrebbe potuto darle quello che voleva. Fu allora che
decise di dedicarsi al soprannaturale, allo studio della magia. Questa passione
insana l’aveva anche Kinzo: tante notti, mentre controllavo che la casa fosse in
ordine, lo avevo sentito nel suo studio pronunciare frasi minacciose in lingue
sconosciute. Tra la servitù girava anche voce che Kinzo avesse un vero e proprio
laboratorio alchemico, o qualcosa di simile, dove conduceva esperimenti
abominevoli.
Io la ritenevo una sciocchezza, sapevo che Kinzo aveva una passione per
l’occulto, ma questo non fa di una persona un mago. Eva invece non era di questo
parere, acquistò l’isola con i resti della villa, la setacciò da cima a fondo e
infine, in una grande grotta cui si accedeva dalla scogliera, lo trovò: il
laboratorio del padre, con tanto di biblioteca traboccante di volumi esoterici.
Io ero con lei quando fece questa scoperta, e fui l’unica ad assisterla
giorno e notte quando s’immergeva nella lettura di quei libri. Non la ritenevo
una cosa buona, ma pensavo che facesse così per distrarsi, per non pensare al
suo lutto.
Il mio fu un grave errore, perché fu consultando quei libri che scoprì
l’esistenza dell’Aevum*”.
Evangeline si abbassò per guardarla negli occhi. “Aevum?”
“Ecco, è un discorso complicato. Io so quello che Eva traduceva da quei
libri, lo faceva ad alta voce, preda dell’euforia. Quest’Aevum è una misteriosa
dimensione magica, posta al di là del tempo e dello spazio, abitata da streghe,
soprattutto, e stregoni che hanno trasceso i limiti dell’umanità, diventando
esseri semi-divini. Ma in confronto alle persone e ai maghi ‘normali’, sono a
tutti gli effetti onnipotenti. Ovvio allora che Eva voglia questo potere”.
Evangeline parve sempre più interessata, e preoccupata. “In passato, durante
i miei studi, avevo sentito di questi luoghi, leggevo che stavano al mondo della
magia come quest’ultimo sta al mondo umano. Tuttavia, erano miti vaghi e senza
nome”.
Chiyo rimase perplessa. “Signorina, vuol dire che lei è una maga?”
“Credevi che fossi una cuoca?”
“In effetti… scusi la domanda stupida”.
“Fa nulla. Riprendi”.
“Allora… anch’io credevo fosse solo un mito, superstizione, fino a quando
Eva, dopo un anno di lavoro ossessivo, riuscì a ricostruire un rituale con cui
convocare una di quelle streghe dell’Aevum.
Io ero anche lì, quel giorno di due anni fa, e il mio scetticismo si tramutò
in orrore quando, al centro di un cerchio disegnato sul pavimento, vidi
apparire, in mezzo ad una nuvola di splendide farfalle d’oro, una bella bambina
bionda che mostrava al massimo dieci anni, indossava un grazioso abito rosa e
mangiava in continuazione delle caramelle colorate.
Sia io che Eva restammo alquanto stupite, non ci aspettavamo certo che una
semi-divinità avesse un aspetto così innocente e innocuo, ma quando ci diede una
piccola dimostrazione del suo potere…”
Chiyo si bloccò, impallidì e prese a tremare.
“Sta tranquilla”, le disse Evangeline mettendole una mano sulla testa, “e
continua”.
L’anziana si calmò. “Ecco, quella bambina diceva di chiamarsi Lambda Delta,
affermò che era disposta ad ascoltare cosa voleva Eva, ma voleva parlarne solo
con lei. Neanche un istante dopo, io fui trasportata chissà come fuori dalla
grotta, e quando anche Eva ne uscì, mi disse che avevamo una missione da
svolgere, che avrebbe impiegato tutte le sue risorse per compierla”.
“Che missione?”
“Eva, da allora, parla poco o niente con me, ma una volta le sfuggì che
doveva riuscire a cancellare la magia dal mondo”.
“Era davvero questo il loro scopo?”, pensò sgomenta Evangeline, che
chiese: “E per quale motivo questa tizia dell’Aevum lo voleva?”
Chiyo alzò le spalle. “Non lo so, ma Lambda Delta, siccome la trovava
simpatica, le diede alcuni consigli e le indicò chi avrebbe potuto fornirle un
grande aiuto. Sua nipote, Maria Ushiromiya, la figlia di Rosa”.
“L’unica nipote sopravvissuta?”
“Sì, non era presente il giorno della tragedia, soffriva d’influenza ed era
rimasta a casa. Secondo Lambda Delta, quella bambina possedeva un incredibile, e
rara, predisposizione naturale alla magia dell’Aevum: poteva usarla senza
bisogno di imparare, doveva solo convincersi che era possibile. Casi simili sono
talmente rari da capitare solo una volta su un miliardo.
Eva aveva da qualche tempo ottenuto l’affidamento della bimba, ma senza
curarsene l’aveva subito sbattuta in un collegio, nonostante insistessi affinché
la affidasse alle mie cure. Dopo quella rivelazione, però, l’ha subito voluta al
suo fianco, e…”, Chiyo ebbe un fremito di sdegno, “…ha cominciato a circuirla,
fingendosi affettuosa per conquistarne la fiducia, una cosa molto facile da
ottenere se la vittima è una bambina bisognosa di affetto. Così è successo,
purtroppo, Maria è molto buona e dolce, ma anche semplice, si fida totalmente
della zia, e per questo quando io cerco, velatamente, di metterla in guardia da
Eva, lei non mi crede e comincia pure a guardarmi storto”.
Evangeline si portò una mano sul mento. “E questa Maria ha davvero dei
poteri?”
“Oh sì! Convincerla a fare magie è stato facile per Eva, la mente dei
bambini, davanti a quello che sembra impossibile, pone meno resistenza rispetto
a quella degli adulti. Maria cominciò a usare i suoi poteri per piccole cose:
animare uccellini che aveva modellato con la creta, far fiorire campi aridi,
trasformare una tempesta in una splendida giornata soleggiata, far volare un
gruppo di alberi e dei pesci, rendendola una loro capacità naturale… poteva fare
tutto, col solo pensiero.
Eva attese e poi la convinse ad aiutarla: questa villa, uguale a quella di
Kinzo, gli incappucciati, li ha tutti creati Maria. E in cambio di quest’aiuto,
la zia le ha promesso di esaudire il suo più grande desiderio: resuscitare sua
madre, Rosa”.
“Mm, e non poteva farlo direttamente Maria?”
“No. L’essere umano è composto dall’unità di corpo e anima, e solo Uno ha la
capacità di ricomporre tale unione dopo che la morte l’ha infranta. La magia
dell’Aevum è semi-onnipotente, può riportare in vita i corpi ma sono esseri
senza anima. Io la vidi, la povera Rosa, dopo che la figlioletta tentò di farla
risorgere: era assolutamente fredda, impassibile, priva di emozioni e di
personalità: un robot di carne e ossa. Una cosa tremenda, fu uno shock per la
povera Maria e la spinse ancora di più a fidarsi di Eva”.
“Ne sai di cose, vecchia. Ma se la magia dell’Aevum non può resuscitare
completamente i morti, allora, anche se riesce a diventare una strega di quel
mondo, neppure Eva potrebbe farlo”.
“Esatto. La promessa è falsa, Eva non tiene minimamente a Maria, si
approfitta della semplicità e dell’affetto della nipote per farle credere che
invece lei può, e per questo vorrei che fosse fermata. D’altronde, visti i
risultati, non credo neppure che voglia resuscitare la sua famiglia: desidera
solo il potere e basta”. Chiyo chinò il capo e quando lo rialzò, apparve molto
motivata. “Cerchi di capire, signorina: da un lato, tengo ancora ad Eva, perché
so che sono state le avversità della vita a spingerla verso il male. Però ormai
è evidente che sta precipitando verso l’abisso, non può e non vuole fermarsi.
Chi per i suoi scopi inganna gli innocenti e non si preoccupa dei danni delle
sue azioni, è imperdonabile!”
“Giusto”, ammise Evangeline. “Ma il problema è come farlo. Finché avrà Maria
dalla sua parte, Eva avrà grosse possibilità di successo. Anche le precauzioni
che ho preso per la torre, stando così le cose, potrebbero essere vanificate in
un attimo. E affrontarla è fuori questione, non ho mai combattuto un avversario
che può annichilirti in un’infinità di modi solo pensando. Certo Maria è anche
una divinità con i piedi d’argilla, perciò dovremo trovare un modo per metterla
contro la zia”.
“Sarà difficile. Eva usa molta cautela con Maria, la piccola non è stupida,
teme il suo potere e ha paura che possa mangiare la foglia. Per questo cerca
sempre di non esagerare quando le chiede ‘favori’: Maria ha comunque il corpo di
una bambina, ancora non pronto a sostenere un utilizzo massiccio di quella
magia”.
“Quindi, se le chiedesse troppe cose che fanno male, la nipotina potrebbe
cominciare ad avere dubbi sulla bontà della zietta”.
In quel momento, nella stanza entrò Asuna: Evangeline rimase sorpresa nel
vederla piuttosto agitata.
“Padrona… “
Stava per dire cosa l’aveva sconvolta, ma prima la osservò meglio.
“Vedo che alla fine ha ripreso il suo aspetto”.
“Già, quel maledetto incantesimo ha colpito ancora. Comunque io ho raccolto
un sacco d’informazioni da questa vecchia. Tu hai scoperto qualcos’altro,
Chachamaru? Disattiva pure il proiettore olografico, Asuna o Ayanami non
importa, ormai si gioca a carte scoperte”.
L’immagine di Asuna scomparve, sostituita da quella della studentessa numero
10 della III A, Chachamaru Karakuri.
La nuova venuta riprese a parlare senza attendere il permesso di Evangeline.
“Padrona, poco fa, l’ho visto! In una specie di prato, e stava insieme con una
bambina”.
“Chi hai visto?”
La vampira ad un tratto spalancò gli occhi. “Vuoi dire… lui?!”
“Sì! Il professor Negi! Avrei voluto chiamarlo, ma ho ritenuto che sarebbe
stata un’azione troppo imprudente. Comunque è qui, mi è sembrato che stesse
bene, indossava un costume da leoncino e giocava con quella sconosciuta”.
“State parlando di Sakutaro?”, domandò Chiyo perplessa.
Evangeline e Chachamaru prima si girarono verso di lei, poi si guardarono a
vicenda.
Mentre Chachazero affilò la sua spada. “Padrona, ora che la vecchia ha
parlato, posso accopparla?”, chiese speranzosa.
*Aevum: è un termine usato nel medioevo per indicare una dimensione simile a
quella divina ma comunque diversa, a metà strada tra quella e il mondo umano.
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Capitolo 4 *** 4° Capitolo ***
4° Capitolo
Eva Ushiromiya sedeva in quella che era l’esatta riproduzione dello studio di
suo padre, Kinzo.
Davanti a lei c’era, appeso alla parete, un grosso dipinto che riproduceva
proprio il padre, con indosso l’abito bianco con mantello nero che fungeva da
uniforme per il patriarca della famiglia.
“Finalmente, finalmente!”, esclamò a gran voce la donna. “Tra poco riuscirò
in un’impresa titanica e diventerò una dea! Come vorrei che potessi vedermi,
padre, e forse mi stai vedendo adesso dall’inferno, vero? Ah, vedi cosa ha fatto
e cosa sta per fare tua figlia! Avanti, lodami, adesso! Lodami! Lodami!
Lodamiiii!”
Strillando, il viso contratto in una smorfia ghignante, Eva prese un
tagliacarte dalla scrivania e cominciò a colpire il quadro, con sempre maggior
forza.
Dentro di lei c’era una vocina che le suggeriva prudenza, le ricordava che
non bisognava festeggiare prima di aver tagliato il traguardo, ma lei non
riusciva a trattenersi: anni di lavoro, la ricerca di un demone minore da
ingannare, per camuffare il suo primo tentativo e rendere il tutto più
interessante, i favori chiesti a Lambda Delta, il dover sopportare quella
mocciosa di Maria e quella vecchia rinsecchita di Chiyo, gli imprevisti e gli
ostacoli posti dall’alto.
Alla fine era riuscita a superare tutto.
Tempo un’ora, e avrebbe abbandonato per sempre la debole umanità.
Davanti a tale prospettiva, era ovvio che la prudenza cedesse il passo
all’esultanza.
Evangeline, Chachamaru e Chiyo, con quest’ultima davanti, superarono la porta
e si ritrovarono nel bellissimo campo fiorito, dove il sole splendeva sempre, la
natura era perfetta e l’aria stessa sembrava fatta di gioia.
Persino la vampira, che dopo aver avuto un altro attacco era tenuta in
braccio dalla sua partner, dovette ammettere, tra sé e sé, che quel posto era
davvero bello.
“Penso che siano al gazebo. Vi ci porto”, disse Chiyo.
“Vecchia, cosa sai dirmi di questo… Sakutaro?”, domandò Evangeline alla loro
guida.
“Nulla. Alcuni mesi fa Eva si presentò con quel misterioso bambino. Maria
sentiva la mancanza di suoi coetanei: poteva usare il suo potere per crearli, ma
non era mai soddisfatta, quei bambini si limitavano a fare meccanicamente tutto
quello che lei voleva. Erano, insomma, privi di personalità”.
“Oh, un problema che ho ben conosciuto e poi risolto”, commentò Evangeline
lanciando una fugace occhiata a Chachamaru.
“Quando lo vidi”, riprese Chiyo, “ebbi dei sospetti, pensai che fosse un
bambino rapito, lo chiesi pure al piccolino, ma lui, tutto tranquillo, rispose
di essere stato adottato da Eva. Ma anche se perplessa, dovetti in ogni caso
accettare, non potevo oppormi a Eva, così come non potevo uscire da questa villa
per verificare. Quella donna mi tiene ancora con sé solo perché faccia da
babysitter a Maria. Se potessi costituire un vero pericolo, si sarebbe già
sbarazzata di me”.
Dopo aver camminato per un po’, udirono delle voci ed ecco apparire
all’orizzonte il gazebo, con Maria e Sakutaro che stavano prendendo il the
seduti intorno ad un tavolo.
Continuarono ad avvicinarsi, poi Chiyo avvertì: “Aspettate qui, non so come
potrebbe reagire Maria davanti a delle sconosciute”.
La donna si allontanò, andò a parlare con i bambini, che guardarono
incuriositi nella loro direzione.
“Chachamaru, avevi ragione. Quello è proprio Negi. Non so cosa gli è
successo, comunque, facciamo così: tu intrattieni Maria, d’altronde i mocciosi
ti sono sempre piaciuti, no? Io invece tenterò un contatto mentale con Negi, per
vedere cosa è accaduto”.
“Padrona, se la sente?”
“Siamo arrivati a questo punto: non sarà qualche doloretto o rischio a
fermarmi”.
“Venite pure”, le chiamò Chiyo.
Chachamaru mise giù la sua padrona e insieme salirono sul gazebo.
“Chiyo mi ha detto che volete diventare amiche mie e di Sakutaro, vero?”,
esordì Maria.
“Oh sì”, cominciò l’androide. “Io sono Chachamaru, lei Evangeline. Sai,
abbiamo affrontato un lungo viaggio per incontrarvi. Volevo mostrarti un sacco
di giochi magnifici con dei gatti. Ma purtroppo gli animaletti li ho persi
durante il viaggio. Non è che potresti…”
“Certo!”, esclamò raggiante Maria e improvvisamente si ritrovarono circondati
da una miriade di gattini, di tutti i colori e tipi.
“Uryu!”, esclamò sorpreso e contento Sakutaro.
“Davvero bello. Ora lascia che ti mostri questi giochi. Se scendiamo dal
gazebo e andiamo in quel piccolo prato laggiù, verranno meglio”.
“Sì! Vieni, Sakutaro”.
Maria prese per mano il suo amico.
“No!”, esclamò Evangeline mettendo una mano su quella di Maria.
Calò il silenzio, Maria fissò prima quella mano, poi Evangeline.
“Perché?”
La vampira sorrise dolcemente. “Perché io e Sakutaro vogliamo prepararti una
bella sorpresa. Ma dobbiamo restare soli, io e lui”.
“Eh? Davvero?”
“Certo, mia cara”, la rassicurò Chiyo.
“Uhm, Sakutaro, a te va bene restare per un po’ con questa signorina?”
“Uryu! Sakutaro vorrebbe stare solo con Maria, ma se serve per farla più
felice, allora non ci sono problemi. Uryu!”
“Grazie!”, esclamò la piccola abbracciando il suo amico.
Poi, insieme a Chachamaru e seguite docilmente dai gatti, lasciò il gazebo.
Chiyo lanciò un’occhiata ad Evangeline, come a dirle ‘sai quello che stai
facendo?’.
L’altra rispose con uno sguardo che significava, suo malgrado, ‘lo spero’.
Evangeline scrutò attentamente il volto di chi aveva di fronte.
Sakutaro piegò la testa di lato. “Uryu. Signorina Evangeline, perché mi
guarda così? Uryu!”
“Perché mi ricordi una persona che conoscevo. Allora, io adesso poggerò la
mia fronte sulla tua. Stai tranquillo e lasciami fare, va bene?”
“Uryu! Va bene. Uryu!”
Evangeline così fece, chiuse gli occhi e un attimo dopo l’ambiente intorno a
lei divenne tutto buio.
Quando riaprì gli occhi, era al centro di un immenso spazio bianco, in cui
fluttuava.
“Ehi, ragazzino!”, gridò al nulla.
“Negi Springfield, sei qui?”
Un rumore si diffuse in quel nulla: era lo squillare di un telefono.
Nuotando nell’aria, e seguendo il rumore, la vampira si mosse verso il punto
da cui proveniva quel suono.
“Accidenti, che noia. Mi piace molto di più quando lo spazio mentale è creato
da me, e sono io a decidere le regole”.
Finalmente vide in lontananza la fonte del rumore: era davvero un telefono,
sospeso nel vuoto.
Lo prese al volo e rispose. “Pronto?”
“Qui parla la segreteria telefonica di Negi Springfield. Al momento non c’è
nessuno”, dichiarò una voce femminile atona.
“Mpf, ragazzino, smettila di scherzare! Il mondo della magia è sull’orlo di
un’apocalisse, se quella Eva Ushiromiya riesce nel suo piano! Inoltre, troppe
persone che conosci stanno soffrendo. Tu puoi essere l’elemento fondamentale!
Torna in te!”
In un lampo, l’ambiente circostante cambiò, venendo sostituito dalla classe
della III A.
Evangeline rimase un po’ smarrita davanti a quel cambiamento.
“Cosa vuoi dirmi, ragazzino?”
In quella classe immaginaria si stava svolgendo una lezione d’inglese, e al
posto di Negi c’era Takamichi.
“Molto bene, ragazze, mi complimento con voi. Se continuate così, ai prossimi
esami avrete di nuovo il primo posto. Faccio in particolare i miei complimenti
ad Asuna, sei davvero migliorata. Brava”.
“SIII!!”, esclamarono in coro le ragazze, mentre Asuna arrossì vistosamente.
Squillò la campanella dell’intervallo, le ragazze cominciarono a mangiare e a
chiacchierare tra di loro, apparendo tutte molto felici e spensierate.
Yue, Nodoka e Paru si erano isolate stando intorno ad un banco.
“Allora, com’è?”, domandò maliziosa la pettegola numero uno dell’istituto.
“E’… è molto carino, gli piace leggere… è intelligente e gentile…”, ammise
Nodoka cercando di nascondersi sotto il banco.
“Andiamo, Nodoka, non essere così timida”, la incoraggiò Yue prendendola
sotto un braccio e facendola rimettere sulla sedia, “dobbiamo semmai
festeggiare. Finalmente quel ragazzo ti si è dichiarato. Non era quello che hai
sempre desiderato?”
“B-be, sì. Yoshi è… è il ragazzo che ho sempre sognato… di incontrare…”
“E dimmi”, insistette Paru, “tu gli hai risposto?”
“S-sì…”
“ E gli hai detto la cosa giusta?”
Nodoka annuì mal celando un sorriso di gioia.
“Evviva!”, esultarono le sue amiche, che poi si rivolsero alle altre:
“Ascoltate, Nodoka e Yoshi si sono dichiarati! Festeggiamo!”
Invano Nodoka cercò di scappare, fu presa per le spalle da Kaede, sollevata e
trasportata fino al centro dell’aula, dove iniziarono a lanciarla verso l’altro
al ritmo di ‘Hip Hip urrà!’
Asuna osservava soddisfatta insieme a Konoka e Setsuna.
“Sono così contenta che Nodoka abbia finalmente trovato il vero amore”.
La spadaccina annuì.
“Sono d’accordo. E spero di trovarlo un giorno anch’io il vero amore”,
continuò Konoka. “Comunque pure io dovrei festeggiare, ora che il preside ha
acconsentito a far trasferire Setsuna nella nostra camera, penso che ogni
giornata sarà una gioia”.
“Spero che la lascerai dormire”, si raccomandò Asuna.
“Certo. E poi, se ogni tanto vorrò dormire nel letto con lei, non credo che
la disturberò. Già m’immagino, durante i temporali sarà una gioia abbracciarsi.
Vero, Setsy? Setsy?”
La spadaccina era scomparsa, e una finestra prima chiusa era ora aperta.
Inoltre una fila di piccole gocce di sangue partiva dal punto in cui si
trovava Setsuna per arrivare fino alla medesima finestra.
Asuna, divertita, scosse la testa. “Quel sangue penso abbia un’origine
nasale. Direi che cominciamo bene”.
Evangeline si guardò intorno.
Sapeva che quelle persone erano solo illusioni, e si comportavano come se lei
non ci fosse.
“Perché mi mostra questo? Cosa significa?”
Poi lentamente capì: “Ma stai scherzando, ragazzino? Mi vuoi forse dire che
la nostra classe starebbe meglio senza di te?! Maledetto moccioso! Non hai la
più pallida idea di quello che gli… che ci hai inflitto! Guarda che cosa è
successo alle tue alunne che ti hanno cercato per mezzo mondo!”
Evangeline prima incrociò e chiuse le braccia sul petto, per poi aprirle di
scatto: la sua figura divenne pura luce, e da essa, come un torrente sospeso in
aria, fuoriuscì una sorta di fiume fatto d’immagini, tutto quello a cui aveva
assistito nei panni di Shinobu.
Una corrente di lacrime, angoscia, scontri: la disperazione e ansia della III
A, Konoka assalita, Setsuna trafitta da una spada, Asuna, Nodoka, Yue,
Takamichi, Kamo, Kotaro, e altri, catturati e trasformati in statue, le persone
al Mahora aggredite nel laboratorio: tutto questo invase ogni angolo di
quell’aula fittizia, e tutto, dalle pareti fino alle persone presenti, iniziò a
sciogliersi, come la cera di una candela accesa. O come lacrime.
“Tutto questo per causa della tua fuga!!!”, urlò Evangeline.
Un altro grido, di dolore, così forte da poter assordare una città, si sparse
ovunque, spazzò via l’ormai disciolto ambiente del Mahora.
Era tornato lo spazio bianco: al centro Evangeline, e davanti a lei, con
braccia e gambe bloccate da catene la cui origine era così lontana da non
potersi vedere, c’era lui, Negi Springfield.
Era inginocchiato e a testa bassa.
La vampira mise una mano sotto il mento di Negi e gli sollevò il capo.
Lo vide piangere.
“Tu sei davvero un bambino. Ma se vuoi che gli altri non soffrano per colpa
tua, smettila di fuggire. Affronta le avversità. Come fece una bambina di dieci
anni quando, tanto tempo fa, si vide strappare per sempre la sua vita normale”.
Negi annuì.
“Vuoi che ti liberi da queste catene allora?”
L’altro annuì nuovamente.
Proprio allora, il volto di Evangeline si contrasse in una smorfia di dolore.
“Sakutaro!”, esclamò Maria.
I giochi che le stava insegnando quella Chachamaru con i gatti erano davvero
belli, ma ora aveva percepito che qualcosa non andava.
Erano entrambe sedute per terra, ma la bambina si alzò di scatto, i gatti
scomparvero, e corse angosciata verso il gazebo.
“Maria!”, la richiamò invano Chachamaru.
La rincorse, ma non poté impedire che arrivasse fino al gazebo, e lì Maria
rimase pietrificata: Evangeline si contorceva per terra, stringendosi il ventre,
Chiyo era china su di lei ma non sapeva cosa fare, mentre Sakutaro giaceva
supino sulla sedia, immobile e privo di sensi.
“Sakutaro!”
Maria si chinò su di lui e lo scosse, senza ottenere risposta.
Guardo furente, e piangendo, Evangeline.
“Tu sei cattiva! Che cosa gli hai fatto?!”
Il cielo cambiò di colpo, diventando buio e tempestoso, la terra prese a
tremare come se ci fosse un violentissimo terremoto e molte spaccature si
formarono nel terreno.
Si alzò un vento sempre più impetuoso, quasi come un tornado.
“Maria, ti prego, fermati”, la implorò Chachamaru raggiungendola e mettendole
una mano sulla spalla.
Non appena lo fece, il corpo della ginoide, a partire dalle braccia, iniziò a
scomporsi in tanti piccoli pezzi, come se fosse una costruzione fatta con i
mattoncini.
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Capitolo 5 *** 5° Capitolo ***
5° Capitolo
Il meccanismo principale della torre AM era stato infine installato al centro
di un’alta colonna in metallo, a sua volta agganciata a potenti generatori
elettrici.
Sulla cima della colonna c’era un’enorme antenna parabolica, mentre sotto il
pezzo AM c’erano due capsule di dimensioni umane.
La grande caverna, che ospitava il tutto, era in molti punti ricoperta da
grossi cavi neri, gli uomini incappucciati andavano e venivano, controllavano e
disponevano congegni in ogni punto.
Su una terrazza scavata dentro una parete rocciosa, arrivò Eva Ushiromiya.
Una malsana euforia la dominava.
“Ci siamo! Ci siamo! Non sto più nella pelle! I preparativi sono ultimati?”,
domandò ai suoi servi.
“Sì, mia signora”, rispose uno di loro.
Eva prese a saltare come una bambina.
“Yeah! Il grande momento è arrivato! Oggi una nuova divinità nascerà in
questo mondo!”
Poi si fermò a riflettere: perché avrebbe dovuto accontentarsi di quel mondo
soltanto?
Una volta adempiuto il suo compito, sarebbe diventata una strega dell’Aevum,
e sotto la guida di Lambda Delta avrebbe creato decine, centinaia, migliaia di
mondi, dove ogni suo capriccio sarebbe diventato realtà!
La stessa Lambda Delta sarebbe stata sicuramente felice di insegnare ogni
cosa a un’allieva così dotata, che da semplice umana aveva saputo seguire tutti
i suoi consigli e regole, ingannando Maria e allo stesso tempo riuscendo a non
ricorrere alla bambina per compiere l’operazione in un colpo solo. Altrimenti
avrebbe rischiato di togliere tutto il divertimento.
Sempre come premio per una simile allieva, non ci sarebbe andata troppo
pesante con i debiti accumulati da Eva per le sue richieste d’aiuto.
Sì, l’ultima dei figli di Kinzo se lo meritava quel potere, e già pregustava
il momento in cui avrebbe ricreato all’infinità la sua famiglia, si sarebbe
fatta servire da loro, li avrebbe massacrati per sfogarsi, avrebbe punito Maria
per tutte le volte che l’aveva costretta a essere affettuosa con lei, avrebbe
disossato Chiyo che osava non essere d’accordo con lei. Invece quel Negi
Springfield poteva pure mandarlo all’inferno: era stato facile per i suoi
incappucciati catturarlo in Giappone, era troppo abbattuto per fare veramente
resistenza, e ora, con la stessa facilità, si sarebbe sbarazzata di lui. E
chissà quante altre avrebbe fatto.
Le possibilità erano davvero infinite, la sua mente neanche riusciva a
calcolarle tutte.
Scoppiò a ridere, una risata sguaiata, cadde a terra in ginocchio tenendosi
la pancia con le mani.
“Quasi quasi muoio… sono troppo contenta!!!”
La cosa andò avanti per diversi minuti e finalmente si ricordò che il passo
finale per il trionfo doveva ancora essere compiuto.
Rimettendosi in piedi, ordinò: “Portate qui quelle mocciose, Konoe e
Kagurazaka, e chiamate anche Maria. Mi serve per far tornare normale la
ragazzina”. Oltre a questo pensò: “E poi, siccome è stata lei a rendere
possibile la creazione di questa macchina, mi sembra giusto farla assistere. Un
ultimo spettacolo”.
La voglia di ridere ritornò, e a fatica si trattenne, mentre alcuni
incappucciati andarono a eseguire l’ordine.
Poco dopo uno di quegli uomini arrivò con Konoka sulle spalle, ancora
svenuta. Altri due trasportavano la statua di metallo che un tempo era stata
Asuna Kagurazaka.
Apparve anche Maria, che corse verso la zia insieme a Sakutaro.
“Zia! Zia!”, la chiamò.
In meno di un attimo, i due bambini, che erano sul fondo della grotta,
scomparvero per poi riapparire di botto proprio affianco a Eva.
La donna rimase un po’ sorpresa. “Ehm, cosa c’è, tesoro?”
Maria la abbracciò. “Zia, ho avuto tanta paura. Prima sono arrivate due
signorine cattive, hanno fatto del male a Sakutaro!”
Eva si abbassò e guardò negli occhi la nipote. “Che cosa?! E chi erano?”
“Dicevano di chiamarsi Evangeline e Chachamaru”.
“Quelle due… non è possibile!”
Abbracciò Maria e intanto rifletté: “Quelle due erano state uccise dal
misterioso mostro nero durante il tentativo di Arxelles. A meno che… ma certo!
L’atto di compensazione non ancora sfruttato! Davvero furba quella strega! Ma
stavolta ha giocato tutte le sue carte”.
Eva si separò da Maria. “Dimmi, cara, che fine hanno fatto quelle signorine
cattive?”
“Le ho fatte sparire”, dichiarò duramente Maria. “Le ho dissolte insieme a
Chiyo. Anche lei era cattiva!”
“Ben fatto, piccola mia. Hai compiuto una grande opera di giustizia! Ora,
completiamo il nostro disegno. Tu non vedi l’ora di riabbracciare la tua mamma,
giusto?”
“Sì!”
“Bene, anch’io desidero rivedere la mia famiglia. Per rendere tutto questo
possibile, devi solo fare un’ultima cosa per me”.
“Ancora dolore? Mi prometto che sarà l’ultima volta?”
“Ultimissima”.
“Allora, se è per i nostri sogni, lo farò”.
Eva accarezzò la nipote sulla testa. “Brava la mia nipotina. Ora, vedi quella
statua di metallo? Falla tornare com’era prima. Inoltre, per favore, falla
dormire, perché possiamo fare quello che dobbiamo. Devi capire, per lei noi
siamo persone cattive e quindi si rifiuterebbe di aiutarci. Ma io non voglio
costringerla con la forza”.
“Va bene”. Lo sguardo di Maria si puntò su Konoka. “E quell’altra ragazza
lì?”
“Oh quella persona… non si sente molto bene. Per questo ha preso dei sedativi
per dormire. Comunque anche dormendo può svolgere il suo compito”.
“Se vuoi, posso farla stare bene”.
“No, piccola mia. Non mi sognerei mai di chiederti sforzi non necessari.
Basta che tu faccia quello che ti ho appena detto”.
Maria si concentrò e in un attimo Asuna tornò normale e priva di sensi,
venendo afferrata da due incappucciati prima di cadere a terra.
“Bene, ora mettetele nelle capsule”, ordinò Eva, e tramite delle scalette in
metallo gli incappucciati collocarono le due ragazze ai loro posti sulla
colonna.
Quando tutto fu a posto, impartì infine l’ordine: “Attivazione!”
L’energia, emettendo un fortissimo ronzio, attraversò i cavi e raggiunse la
colonna, che s’illuminò.
Le capsule con Konoka e Asuna brillarono di una luce accecante.
“Perfetto”, pensò Eva estasiata, “perfetto! Asuna Kagurazaka possiede la
capacità di annullare la magia, ma è comunque magia, un potenziale immenso. Ora
esso viene ampliato al massimo dal potere di Konoka Konoe, e poi è convogliato
nella tecnologia creata da Maria, che lo trasforma in energia naturale e la
utilizza per alimentarsi. Adesso ha abbastanza energia da toccare tutto il
mondo! Lambda Delta sarà soddisfatta, voleva una cosa divertente perché
difficile, e così è stato”.
L’energia raggiunse il pezzo Am, che s’illuminò, seguito subito dopo
dall’antenna: il soffitto della grotta si aprì, mostrando il cielo, dall’antenna
partì un raggio di colore azzurro, che attraversò il cielo, per poi sparire in
una sorta di buco sospeso a mezz’aria.
“SI! In questo momento il raggio viene convogliato verso il mondo normale, e
una volta lì, si espanderà a cerchi concentrici sull’intero globo!”, esultò Eva.
“Zia, scusa, ma questo come ci aiuterà a riavere le nostre famiglie?”,
domandò Maria.
“Non preoccuparti, cara. Lascia fare tutto a me”.
Dopo alcuni minuti il raggio si esaurì, ed Eva, pur fremendo, ordinò ai suoi
di controllare su magic net il flusso di notizie.
Essi tirarono fuori dei portatili e controllarono la rete web del mondo
magico.
Trascorsi altri minuti, uno di loro riferì: “Padrona, ha funzionato. Tutti i
siti e i vari social network si stanno intasando di messaggi che dicono in
sostanza la stessa cosa: ogni tipo di potere magico è scomparso”.
Eva cadde all’indietro, Maria e Sakutaro tentarono di sostenerla, ma era
troppo pesante per loro e finì comunque col sedere per terra.
“Zia! Ti senti bene?”
“Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!”, mormorò con le lacrime agli occhi.
Si rialzò e gridò al cielo: “Lambda Delta, hai visto! Tutto si è compiuto
alfine!”
Dal nulla, preceduta da uno stormo di farfalle d’oro, apparve una bella
bambina dai capelli biondi e con un vestito rosa. La piccola lievitava in aria.
Prima contemplò tutti i presenti, che la guardavano: impassibili gli
incappucciati, sorpresi Sakutaro e Maria, incantata Eva.
Lambda Delta cominciò a mangiare delle caramelle colorate che, una alla
volta, le apparivano improvvisamente in una mano.
“Allora”, esordì, “vedo che alla fine sei riuscita ad adempiere la tua
missione. I miei complimenti”.
“Sì, adesso ti prego, ti scongiuro, il premio, dammelo! Non resisto più!”
“Zia, il premio è quello che vogliamo?”, domandò Maria, venendo ignorata.
“D’accordo. Eva Ushiromiya, con l’autorità concessami dal Senato
dell’Eternità, ti dichiaro mia discepola. Sotto la mia guida imparerai a
utilizzare la magia delle magie, e sarai prescelta per il titolo di Strega
dell’Infinito!”
Gli abiti di Eva cambiarono, anche il suo aspetto: dopo essere stata avvolta
da una nuvola di farfalle dorate, ora appariva come una ragazza di appena
quindici anni, che indossava un abito lungo di colore nero e soprattutto viola,
con una larga gonna. Sulla testa, un berretto ampio e ricamato. Un grande fiocco
rosso e una rosa scuro ornavano rispettivamente la gonna e il copricapo
In una mano della neo-strega era apparso uno scettro.
“E’ magnifico!”
“Ora vieni, ti mostrerò la tua nuova casa”.
Eva iniziò a sollevarsi, sotto lo sguardo di Maria.
“Ma zia… e la promessa?”
L’altra le rivolse uno sguardo sprezzante. “Fottiti, mocciosa. Usa il tuo
potere per spassartela, fino a quando non sarò diventata così potente da
schiacciarti come l’insetto che sei! Ah ah ah!”
Lambda Delta sospirò. “Porta pazienza, Maria. Tua zia ti ha mentito sempre.
Tuttavia, posso ripagarti concedendoti… la vendetta!”
“Eh?!”, esclamò stupefatta Eva: osservò negli occhi la sua nuova tutrice, che
sfoggiò un sorriso sadico e crudele.
“Tonta, tonta, tontaaaaa!”, canticchiò Lambda Delta. “Ritieniti fortuna:
quello che ti farà lei sarà sempre meglio di quello che ti farei io, perché ho
perso per causa tua!”
“Che cosa?!”
“Guarda quella Konoka”.
Una forza invisibile tolse Konoka dalla capsula, la portò davanti ad Eva, la
ragazzina scomparve in una nuvola di fumo e al suo posto rimase un pezzo di
carta bianca.
“Era un famiglio”, spiegò Lambda Delta, che aggiunse: “E questa torre, sembra
quella vera, ma è solo un duplicato!”
“Non è possibile! Aveva funzionato!”
“Doppiamente tonta. Era un’illusione creata da qualcuno molto vicino a te,
per metterti alla prova. Ora, non farmi perdere altro tempo. Addio!”
La strega dell’Aevum fece una linguaccia, schioccò le dita, in meno di un
attimo lei era scomparsa, ed Eva era ritornata alla sua forma umana.
Ritrovandosi sola sulla terrazza, disperata alzò le braccia al cielo. “No,
non puoi abbandonarmi! Ho fatto tutto quello che volevi! Perché mi fai questo?”
La donna si accorse che qualcosa nell’aria stava mutando: si girò verso la
nipote, che stava immobile, le braccia tese lungo i fianchi, i pugni chiusi con
tale forza da diventare bianchi, lo sguardo basso.
“BUGIARDA!!!”
Con gli occhi furiosi e grondanti lacrime, Maria alzò le mani, l’ambiente
circostante cambiò, tramutandosi in un groviglio inestricabile di rovi, pieni di
spine aguzze e denti.
“No, no Maria! Ti spiegherò tutto!”, esclamò Eva mettendo le braccia in
avanti: le mani della donna mutarono in rovi che penetrarono nella sua bocca,
negli occhi, nelle orecchie, scavarono in profondità, solcarono i muscoli
squarciando la pelle e facendo gridare la vittima, un grido strozzato dai rovi.
“Muori! Muori! MUORI!!”
“Fermati!”, gridò Sakutaro abbracciandola.
“Deve pagare!”, esclamò Maria.
“Certo, ma non così. Ti prego, Maria, non puoi scendere al suo livello. Non
vale la pena diventare un’assassina per questa qui. Davvero, fermati”.
Il tempo sembrò cristallizzarsi: “Ma… ma se rinuncio alla vendetta, ora che
non posso più riavere la mamma, cosa mi resta?”
“Maria, tutti noi vorremmo poter tornare indietro per evitare gli eventi
tragici. Ma hai tutta la vita davanti a te. Non essere così ansiosa di buttarla
via, di considerarla indegna. Sei una persona meravigliosa, e saprai trovare
sicuramente tante persone che ti vorranno bene. Come il sottoscritto”.
“Però tu… non sei più tu”.
“Se Sakutaro era tuo amico, lo può essere anche Negi Springfield. Fidati di
me”.
Il bambino si accorse dello sguardo stupito di Eva, che lo stava guardando
dopo essere rimasta immobilizzata in una forma grottesca di donna-rovo.
“Sì!”, le confermò con decisione Negi. “Sono libero dal tuo condizionamento
fatto di droghe e ipnosi. Ma nonostante quello che mi hai fatto, non ti odio e
ti voglio giudicata dalla giustizia. Inoltre, hai già rovinato abbastanza la
vita della povera Maria”.
La bambina guardò intensamente Negi: “Io… io…”
Maria svenne tra le braccia di Negi, istantaneamente tutto tornò come doveva
essere, e si ritrovarono in mezzo alla verde e fredda pianura islandese.
Negi adagiò dolcemente per terra la sua coetanea, Eva era vicino a loro, in
ginocchio: con gli occhi vacui, appariva distrutta, svuotata, inerme.
“Ma dove siamo?”
Negi, sentendo quella voce, si voltò: “Asuna!”
I suoi amici e alunne erano qualche metro dietro di loro: si guardarono
attorno spaesati, ma quando videro Negi, rimasero immobili, Yue e Nodoka si
strofinarono pure gli occhi.
Negi si tolse il cappuccio del costume da Sakutaro.
“NEGI!!!”, gridarono insieme e corsero da lui: Asuna, Nodoka, Yue e Ku lo
abbracciarono con estrema forza, Kamo cominciò a saltellargli intorno, Asakura,
Takamichi, Kotaro, Mana e Kaede sembrarono fare a gara per chi dovesse mettergli
una mano sulla spalla o sulla testa, Takane e Sakura erano pure loro contente ma
anche confuse.
“Mana, mi sembra che sulla guancia hai una lacrima”, costatò Kaede.
“Zitta, ragazza-volpe. E poi, mi sembra che anche tu abbia delle lacrime”,
ribatté la mercenaria.
“No, si tratta di un bruscolo”.
“In entrambi gli occhi e contemporaneamente?”
“Lasciate stare”, disse Asakura commossa, “sapete comunque controllarvi
meglio di Kotaro. Guardate che lacrimoni. Possono quasi competere con quelli di
Nodoka e Asuna”.
“Non… sniff… è vero”, rispose Kotaro girandosi dall’altra parte.
“Complimenti, ragazzino, hai creato tanti guai, ma alla fine ne sei uscito
bene”, commentò Evangeline avvicinandosi insieme a Chachamaru e Chachazero.
“Evangeline?! Chachamaru?!”, esclamarono tutti. “Ma voi… voi eravate…”
“Morte? Idioti, sono o non sono la maga immortale? Dovreste inchinarvi
davanti al mio genio: quando, mesi fa, ho percepito la presenza di Arxelles…
ehi, mi state ascoltando?!”
Passato quello stupore, tutti si erano riconcentrati su Negi, riempiendolo di
baci, pacche amichevoli, abbracci e carezze.
“Lasci stare, padrona. Ogni cosa a suo tempo”, la consolò Chachamaru con un
leggero e dolce sorriso.
“Mpf… bah, preferire quel ragazzino al mio racconto. Boh! Comunque,
sbrighiamoci a tornare, o il dannato incantesimo di quel maledetto Thousand
Master mi farà a pezzi, anche se adesso pare essersi calmato”.
“Va bene”, dichiarò infine Takamichi, “ora che è tutto risolto, chiamiamo il
Mahora e lasciamo quest’isola”.
“Che ne facciamo di lei”, domandò Mana indicando Eva.
“La consegneremo alle autorità del mondo magico. Sapranno loro cosa farne”.
Il gruppo quindi, con Chachamaru che teneva Eva in braccio e Chachazero che
implorava di poterle almeno cavare un occhio, s’incamminò per cercare una strada
asfaltata che li riconducesse alla civiltà.
Mentre camminavano, Evangeline per un attimo pensò che con loro avrebbe
dovuto esserci anche un’anziana governante, ma fu una sensazione subito sparita.
Negi invece, tenuto sotto braccio da Asuna e Nodoka, si ricordò di una
bambina di nome Maria.
Sapeva che aveva avuto un ruolo fondamentale in quanto era successo.
Si guardò intorno, e non c’era nessuno in più o in meno.
Comunque ebbe la sensazione di non doversi preoccupare, perché tutto andava
bene.
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