series: there was this old book who says

di Slits
(/viewuser.php?uid=67046)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #01. and this smell makes me feel home ***
Capitolo 2: *** #02. and this warmth can't save me ***
Capitolo 3: *** #03. and blood fears nothing ***
Capitolo 4: *** #04. how to become a villain ***
Capitolo 5: *** #05. and then the end ***



Capitolo 1
*** #01. and this smell makes me feel home ***


#01. and this smell makes me feel home



i.
Ritornò nella sua stanza dopo aver chiuso la porta dello studio di suo padre alle sue spalle. Appena si mise a sedere sul letto accaddero due cose: qualcuno aprì il rubinetto del bagno e riempì una secchia d’acqua e Sanji vomitò una colazione che neanche ricordava di aver fatto. I passi di suo padre andavano e venivano dal bagno accompagnati dal rumore di stracci strizzati.
Fu quando il ragazzo andò a sciacquarsi la faccia e vide i rubinetti ed il fondo del lavandino sporchi di un rosso slavato (sangue stinto) che capì che lo studio di suo padre e la mente dell’uomo erano un posto pericoloso.

ii.
Per essere un ufficiale governativo, Yokomine Makoto non faceva poi una grande impressione. Con il suo completo scuro, i suoi grandi occhiali e le sue scarpe lucide ricordava un agente delle tasse piuttosto che un uomo in grado di tenere a bada un intero esercito spartano senza neanche guardarli realmente in faccia.
Sanji lo vide entrare a passo svelto nello studio di suo padre e chiudersi la porta alle spalle. La bambina che lo aveva accompagnato spostò il peso da una gamba all’altra ed allargò una narice, come se stesse fiutando l’aria. Il ragazzo guardò in silenzio i suoi capelli rosso acceso (arancio probabilmente se quello fosse stato un manga e non un incubo).
- Questo posto ha un odore che non mi piace. – disse la bambina dopo qualche istante.
- Lo so, non piace neanche a me. -
In bagno gli stracci galleggiavano nell’ammollo della vasca.

iii.
- Durante l’addestramento uno dei nuovi cadetti mi ha palpato il culo, riesci a crederci? Un momento prima ero sdraiata a terra e stavo puntando il mirino in direzione del bersaglio e quello dopo splat!, la mano di quel mollusco è atterrata sul mio fondoschiena.  – Sanji grugnì qualcosa in risposta, un falso interesse mentre, nonostante sembrasse preoccuparsi più della sigaretta che stava fumando che di tutto il resto, la sua attenzione era focalizzata sulla donna al suo fianco.
- Nami-chan, anche se ti risulta difficile crederlo sei una donna. Una bella donna. Attirare l’attenzione del sesso forte è più che normale, soprattutto se lavori per l’esercito. Hai idea del profit che l’industria del porno è riuscita a ricavare sfruttando il binomio “armi e donne”? -
- Sono un soldato. Sono stata addestrata a sopravvivere e per farlo devo necessariamente aggrapparmi al cadavere della felicità di qualcun altro. Decisamente un po’ troppo per sperare di riuscire ancora a risvegliare l’interesse del sesso forte. -
- Il mio non l’hai mai perso, Nami-chan. -
Nami ordinò un’altra birra.

iv.
Continuava a correre, cercando disperatamente una via di fuga. Alle sue spalle, le scarpe da ginnastica di Nami colpivano con forza il terreno ad ogni nuova falcata. Si voltò. Una dozzina di quegli uomini avanzava da ogni direzione e li spingeva verso la periferia della città. Corse come mai aveva corso in vita sua, i polmoni come brace, il respiro ansante di Nami alle sue spalle. Le grida degli uomini sempre più lontane.
Aveva quasi raggiunto il centro abitato quando le voci sparirono e con loro anche lo scalpiccio delle scarpe sfondate ai lati della ragazza. Si fermò di botto e si voltò.
Le luci sfolgoranti del centro illuminavano la strada deserta dietro di lui.

v.
Nami si accese una sigaretta, nonostante ne sopportasse a malapena l’odore, quando Sanji morì. La accese per coprire il tanfo pungente del sangue e quello più sottile della polvere da sparo. Si mise a sedere sulla penisola cucina e guardò il biondo mentre tremava e tremava sul pavimento, saltando sulle mattonelle come un pesce. Dolore, forse gli ultimi spasmi. Non ne aveva idea. Non era un medico ed in ogni caso la cosa non la interessava poi più di tanto.
- Questo posto ha un odore che non mi piace. – commentò, spegnendo la sigaretta nel lavandino.
Sanji aveva smesso di muoversi da un pezzo oramai.

vi.
Robin rimase in silenzio per qualche istante quando la porta dell’appartamento si aprì ed una donna dalla folta capigliatura rossa le chiese cosa volesse. Una consegna a domicilio, due pizze ai quattro formaggi ed una birra, ma probabilmente aveva sbagliato indirizzo. Si scusava per il disturbo.
La donna la guardò scettica prima di richiudere la porta e lasciarla sola nel pianerottolo del vecchio edificio.
Robin fissò a lungo la porta, il campanello che ancora portava il nome di un proprietario che probabilmente mai più le avrebbe aperto. E forse soltanto in quel momento la realtà le cadde addosso come una pietra tombale.
La donna si lasciò scivolare lungo la parete, il cartone della pizza a domicilio ancora fra le mani.
Pianse fino a quando il cercapersone non la informò che qualcuno dall’altra parte della città stava ancora aspettando la sua ordinazione.



---
U
na raccolta per Jailer, perchè sono passati quasi due anni ed è dalla prima SaNa che la sento sopravvalutarmi con i suoi commenti. Perchè in fondo qui dentro devo qualcosa a tutti.

Questa è una storia che mi ha fatta parecchio penare con l'impostazione della linea temporale (se qualcuno resisterà agli istinti suicidi, nei prossimi capitoli avrete modo di vedere). Primo esperimento. Speriamo bene.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** #02. and this warmth can't save me ***


#02. and this warmth can't save me



ichi.
Sanji imparò quasi subito che Yokomine Makoto era un uomo che amava poco i convenevoli. Varcata la soglia dell’appartamento, cominciava con l’elenco delle solite domande di rito. Suo padre faceva del proprio meglio per rispondere, ma Yokomine erano un uomo che parlava così come usava la pistola: pochi colpi, precisi e diretti al bersaglio. Finito di parlare si faceva condurre nello studio dell’uomo e lì i due (il governativo e lo scienziato pazzo) restavano a parlare per ore ed ore delle ricerche dello studioso.
Nami, la figlia di Yokomine, attendeva in silenzio il ritorno del padre all’entrata dell’appartamento, ferma ed impassibile come un pezzo di granito.
- Non entri? – le chiese un giorno Sanji.
- Non sopporto l’odore di questo posto. -
Fu da allora che il biondo prese l’abitudine di cucinare poche ore prima dell’arrivo del funzionario, convinto che l’odore del sangue non fosse poi così fuori posto in una casa dove l’unico cuoco aveva l’abitudine di cucinare pasti composti esclusivamente di un menù di carne.
Nami mangiò la sua porzione continuando ad aspettare fuori.

ni.
- Sai cosa? – disse Nami raggiungendolo in veranda, prendendo la sigaretta che Sanji si era appena messo fra le labbra e gettandola a terra ancora prima che l’altro avesse avuto modo di accenderla - Non mi piace la tua decisione. A non piacermi è l’intera situazione, a dir la verità. -
- Nami-chan, anche se non sarà di cancro di qualcosa dovrò pur morire. – in strada, parecchi piani più sotto, un gatto stava rovistando in cima ad un cassonetto. Il biondo lo chiamò con un fischio e l’altro alzò la testa, una lisca in bocca. L'uomo non poté fare a meno di sorridere. Sembrava quasi la scena di un cartone animato.
- Parlo del voler continuare le ricerche di tuo padre. -
- Ora che il vecchio è crepato qualcuno dovrà pur farlo. Il Governo ha bisogno della sua dose di scienziati pazzi in fin dei conti. Ed io non è che abbia tutte queste grandi alternative davanti a me. -
- Finirai per farti ammazzare. -
- Di qualcosa dovrò pur morire. – canticchiò l’altro, precedendola dentro casa ed accendendosi una sigaretta.

san.
C’era questo vecchio libro che diceva quanto bello fosse sacrificarsi per qualcuno che si ama. Una frase dell’introduzione che aveva permesso a Sanji di risparmiare 4.000 yen e qualche centesimo di pessima tiratura ed orribile traduzione. Baggianate. Perché la morte è definitiva, una voragine nera che ti prende e ti trascina via. Lontano. Almeno abbastanza da non poter più far ritorno. E la lontananza di certo non ti facilita il compito nel momento in cui ti prefiggi di proteggere chi ami.
Il farsi uccidere dalla persona che si ama è un invece un altro paio di maniche. Perché eliminato il nemico, scacciato l’intralcio (“te” una vocina fastidiosa nella testa gli ricorda) non vi è più nulla che possa mettere seriamente in pericolo la sua vita. Il senso di colpa forse.
Ma che senso di colpa potrebbe sentire una persona che ormai ha perfino dimenticato di dover provare dei sentimenti?

yon.
La notte in cui Nami venne presa dai funzionari guidati da Yokomine la prima cosa che Sanji fece una volta tornato a casa fu di bruciare qualsiasi effetto personale che dimostrasse il suo legame con la donna. Frugò nei cassetti del suo stesso appartamento come un ladro, sparpagliando lettere e vecchie foto sul pavimento. Col fuoco di quello stesso mucchio lasciò che anche l’edificio venisse consumato, pezzo dopo pezzo. Diretto a Nord, dal sedile della propria auto ebbe appena il tempo di vedere le prime fiamme farsi strada dalle finestre ed arrivare in giardino.
Anche se a distanza di due, dieci o vent’anni sarebbe stata la stessa Nami a ritrovarlo. La cosa non lo preoccupava. Tutto ciò che interessava Sanji adesso era che, assieme al nemico da uccidere, la donna non avesse modo di ritrovare anche il vecchio amico di infanzia.
E capire di avere di fronte la stessa persona (criminale ed amico, come in fin dei conti aveva sempre definito il biondo).

go.
- Ti dispiace se mi siedo? – Robin alzò lo sguardo dal marciapiede e fissò l’uomo in silenzio. Anche se avesse voluto rispondergli il freddo avrebbe probabilmente trasformato metà delle sue parole in uno squittio incomprensibile. Si strinse nel vecchio parka e tornò a poggiare la testa fra le ginocchia.
Di lì a poche ore sarebbe morta di ipotermia, ma per lo meno non sarebbe morta da sola. Era una gran conquista.
- E’ un vero peccato vedere una bella donna come te con delle occhiaie del genere. – aveva la lingua sciolta, le parole fluide di chi ha ancora abbastanza forze da riuscire a parlare e non dover lottare per evitare di chiudere gli occhi. Fumava lentamente, una sigaretta in cinque minuti.
- Prova a riposare un po’, oggi ho voglia di farmi l’intero pacchetto. – disse l’uomo, accendendosi un’altra paglia. Robin chiuse gli occhi e fece un calcolo incredibilmente veloce per una persona nelle sue condizioni.
- Grazie. -
Altre tre sigarette, quattro nel migliore dei casi, ed il freddo avrebbe avuto la meglio sull’ennesima senzatetto della città.
Sanji si accese la terza sigaretta.

roku.
Con il corpo del biondo ancora caldo ai propri piedi ed una birra in mano, Nami tentò di mettere ordine fra le idee. Sebbene i funzionari le avessero descritto lo scienziato come uno sprovveduto (un buonista con le mani sporche di sangue, stando alle parole di Yokomine), la donna sapeva che un uomo senza un briciolo di organizzazione non sarebbe arrivato così lontano, a stuzzicare le sfere più nascoste del Governo.
I progetti che era stata mandata a cercare dovevano essere ben nascosti, probabilmente nella camera da letto dell’uomo. Nami fissò a lungo la porta spalancata della stanza, i piedi di un letto che entravano appena nel campo visivo, e la richiuse lentamente.
Una volta sbarazzatasi del corpo, avrebbe incominciato a cercare dal salotto.



---
P
er chiunque se lo stesse chiedendo: il libro ovviamente è Twilight.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** #03. and blood fears nothing ***


#03. and blood fears nothing



one.
Quando compì sedici anni Sanji provò ad immaginare come sarebbe stato il suo primo appuntamento. Probabilmente alle giostre. In una giornata di neve, con un vento freddo a spazzare le strade con impazienza. Lei si sarebbe dimenticata i guanti a casa e Sanji, con un paio di parole imbarazzate, le avrebbe chiesto di scaldarsi le mani nella tasca del suo cappotto. Poi vi avrebbe fatto scivolare anche le sue ed insieme avrebbero continuato a camminare così per le stradine di periferia. Mano nella mano. Passo dopo passo. Sanji era sempre stato un tipo romantico in fondo.
Tuttavia, quando compì diciassette anni non si innamorò di una ragazza carina (con cui poter andare alle giostre), ma di una donna in grado di uccidere – in grado di fare qualsiasi cosa. E la amò come mai avrebbe pensato di poter amare qualcuno un giorno.
La vita è meravigliosa.

two.
Il posto felice di Nami era un angolino della sua mente pieno di stelle filanti e strani coniglietti rosa. Bellmere riuscì a convincerla della sua esistenza la seconda sera in cui Yokomine tornò a casa con le mani sporche di sangue e gli abiti che odoravano di zolfo. Raggiungerlo era facile, bastava chiudere gli occhi ed ignorare tutto il resto.
Era quasi mezzogiorno ed una Nami più grande di sei anni chiese a Sanji di portarla nel suo posto felice dal momento che lei, con le unghie incrostate di sangue e gli schiocchi degli spari che ancora continuavano ad esploderle in testa come fuochi d’artificio, non riusciva più a ritrovarlo.
Sanji non capì mai veramente di cosa Nami stesse parlando. Ma la strinse a sé e le raccontò di mari vastissimi e spiagge bianche come l’oro ed ancora gabbiani e grida spensierate e libertà.
Era il suo posto felice e non quello della bambina ma, dal momento che nella sua immaginazione era sempre Nami ad essere al suo fianco in questi luoghi, forse andava bene così.

three.
La prima volta che si baciarono erano ancora studenti. Erano soli in un grande parcheggio alla periferia della città, il cofano della macchina che Sanji aveva rubato a suo padre a far loro da futon e le lattine di birra che Nami aveva preso in prestito dal bar dove lavorava (non è un vero furto se le ricompri prima che qualcuno se ne accorga, aveva spiegato una volta aperta la prima) a rotolare lungo l’asfalto. Con il respiro che ricordava il rantolo di una lepre spaventata ed il cuore che sembrava stare per sfondargli il petto, Sanji  fu per un attimo costretto a scivolare di qualche spanna in avanti lungo il cofano, terrorizzato all’idea che Nami potesse sentirlo e ridere di lui.
- E’ stata una cosa stupida. – bisbigliò poi nel buio. Ai suoi piedi la targa della macchina di suo padre di tanto in tanto incontrava il suo tallone.
- Forse è l’età. – Nami rispose con una scrollata di spalle. - …o forse no. Non tutti fanno le cose che facciamo noi. Non trovi che abbiamo modi di divertirci sempre un po’ estremi? -
- Rubare la macchina di mio padre e guidare senza patente e licenza è decisamente un gesto estremo. -
Nami si girò di fianco per sdraiarsi dal suo lato, il viso a pochi centimetri dal ragazzo. Rimasero in silenzio per un momento, fissandosi l’un  l’altra, fino a quando Nami non si sporse in avanti e poggiò le sue labbra su quelle del biondo.
- Facciamo finta che questo non sia mai successo. – disse e Sanji annuì.
Sotto il letto ancora conserva la prima lattina che Nami aprì quella notte.

four.
- Ti ricordi di Frenkenstein? -
Nami alzò lo sguardo dalla propria ordinazione ed inarcò un sopraciglio, colta alla sprovvista.
- Frenkenstein? -
- Ricordi? Per guardare quel film arrivammo perfino a scappare di casa una notte! E tu eri terrorizzata! Continuavi a dire: - ‘e se mio padre divenisse così? E se uccidere non dovesse più bastargli?’ ed io invece di consolarti non facevo che ripetere: - ‘e se a mio padre uccidere ed essere uno scienziato pazzo non bastasse più? Se oltre al mostro volesse creare anche un altro folle? Ha soltanto me, non ha altri corpi a cui appozzare.’
Era strano ma a quei tempi parlavamo soltanto di stronzate di questo genere. -
Nami alzò anche l’altro sopraciglio e poggiò le bacchette sul tovagliolo.
- …scusa, ma non ho idea di cosa tu stia parlando. -
Il biondo per un attimo ingoiò verità e silenzio.
- L’altro folle. Lo sta plasmando. –
- Eh? -
Sanji distese gli angoli della bocca in un sorriso e mise una mano sulla spalla della ragazza.
- Non preoccuparti, Nami-chan. Invecchiando è normale che non riesca a ricordarti più tante cose. – Nami gli diede dell’idiota e lo colpì sul braccio.
Un  quarto d’ora dopo una cameriera portò in cucina il piatto ancora intonso del biondo.

five.
Fu Nami la prima ad accorgersi degli uomini che li seguivano. Tre gruppi composti ciascuno da cinque persone, troppo numerosi e troppo ravvicinati per passare inosservati nella periferia della cittadina. Per un attimo sentì quasi un moto di disappunto al pensiero che suo padre avesse deciso di mandare dei semplici pivellini per prendere le loro teste.
- Quanti mesi fa ti sei rotto la gamba? -
Il biondo si fermò e le lanciò uno sguardo interrogativo.
- Quanti mesi fa, Sanji? -
- Sette. -
- Pensi di riuscire a correre? – il biondo annuì. Nami trasse un sospiro di sollievo.
- Bene. Perché adesso dovrai farlo fino a quando i polmoni non ti arriveranno in gola. -
- Cosa? -
Nami diede un’ultima occhiata alle sue spalle e poggiò una mano sulla spalla del biondo. Tre uomini si allontanarono ai lati ed altri tre scartarono verso il centro della periferia.
- Adesso! Corri! -
Fuggirono insieme fino a quando le luci del centro cittadino non cominciarono a dilatare l’oscurità della notte. Soltanto allora Nami si fermò e tornò sui propri passi, la vecchia pistola che teneva in borsa ora stretta in mano.
Forse l’avrebbero presa, forse ce l’avrebbe fatta. Forse li avrebbe uccisi tutti. Non importava.
Nami chiuse gli occhi e per l’ultima provò a ripensare al proprio posto felice. Ora tutto ciò che vedeva era soltanto una distesa d’acqua cristallina.
Forse sarebbe morta. Non importava.
Sanji lo ripeteva spesso, in fin dei conti: di qualcosa si doveva pur morire.

six.
Cinque anni e tre mesi dopo il rapimento di Nami qualcuno suonò al campanello di casa sua.
Sanji andò ad aprire in silenzio ed in silenzio fissò per qualche istante la donna di fronte a lui, ferma ed impassibile come quando a otto anni era solita aspettare il ritorno di suo padre sulla soglia di casa.
- Na… - si fermò e deglutì. Una. Due volte. -...non aspettavo visite a quest’ora. Cosa posso fare per lei? -
- Sanji Takamuri-kun? -
Il nodo che gli stringeva la gola per un attimo gli mozzò il respiro e Sanji si limitò ad annuire con un cenno del capo.
Nami sparò.

seven.
A distanza di tre giorni dall'omicidio Nami ancora non era riuscita a sbarazzarsi del corpo. Il freddo inverno di Okinawa aveva trasformato il giardino dell'appartamento in una distesa bianca e lì, scavando a mani nude fra la neve, Nami aveva scelto di trasformare quel luogo nel loculo perfetto.
Lo scienziato le doveva ancora delle risposte, in fondo. E Nami non era intenzionata a lasciarlo andare fino a quando non le avrebbe ottenute.
- Non hai opposto resistenza. Non mi hai chiesto di risparmiarti. Che diavolo c'è di sbagliato in te? -
Le dita di Sanji erano gelide. Nami le prese fra le sue e provò a scaldarle come potè.
La porta della camera dello scienziato era ancora chiusa.



---
P
erchè anche se non ci credi, i tuoi commenti sono una delle cose che apprezzo di più. Sai che questo capitolo è venuto alla luce grazie al papiro che hai scritto e che mi ha dato un po' di fiducia, vero?

Sai che dovrei denunciarti per aver scritto una cosa del genere, vero?

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** #04. how to become a villain ***


#04. how to become a villain



uno.
Il giorno del suo settimo compleanno Yokomine non la portò al parco, non le comprò un gelato né tantomeno le chiese cosa volesse regalato. Del giorno del suo settimo compleanno Nami ricorda l’odore pungente del disinfettante, l’alone della sua mano formarsi e scomparire sull’alluminio dei ripiani e un alluce nudo che usciva dal di sotto di un telo, il cartellino di riconoscimento che pendeva lungo la pianta del piede. TDTVTXC. L’ultimo cadavere della fila, quello di fronte a lei, era così che si chiamava: TDTVTXC.
- Non ci sono belle parole per descrivere quello che facciamo. Loro smettono di rigare dritto e noi di rimettiamo in linea dopo averli uccisi. -
Nami cercò la mano di Yokomine e la strinse. L’uomo la lasciò fare.
- Il Governo ha bisogno di gente come noi. E’ la nostra vocazione. -
Vocazione. Vo-ca-zio-ne.
Ogni notte Nami ancora sillaba quella parola nella propria testa come uno scioglilingua.
Il giorno in cui la sentì per la prima volta, quello del suo settimo compleanno, fu probabilmente il giorno più brutto della sua vita.

due.
Quando a sedici anni uccise per la prima volta (era stato un errore, la cattiva impugnatura, i tremori e poi il grilletto. Non voleva, Dio se non lo voleva) Yokomine  ordinò ai suoi uomini di portare via il corpo e le diede una poderosa pacca sulla spalla.
Sanji la strinse a sé e blaterò per un intero pomeriggio di arcipelaghi lontani e foreste vergini. Quando Nami si fu calmata la sua faccia era rossa di pianto e c’era una macchia scura all’altezza della spalla sulla maglia di Sanji, ma tutto ciò che il biondo fece fu darle un bacio sulla guancia e chiederle cosa volesse per cena.

tre.
Fu Nami la prima a cedere quando i funerali dello scienziato pazzo ebbero luogo. Chi dell’ambiente avrebbe scommesso (pochi yen e molte parole) sul suo erede, ma perfino la persona più vicina all’uomo non aveva la più pallida idea di come doversi comportare. Nami pianse perché spaventata, perché per la prima volta in tutta la sua vita si sentiva impotente; che motivo aveva di continuare a lottare (tentare di seminare la propria vocazione) quando non vi era modo di fermare il corso degli eventi? Ovviamente, diede la colpa a sé stessa come se fosse a causa sua che adesso Sanji avrebbe dovuto continuare a far zampillare sangue lì dove suo padre aveva interrotto i propri studi.
Il biondo le mise un braccio attorno alla vita e la tenne stretta a sé per il resto del funerale.
Nella sua testa continuava a cantare una canzoncina stonata.

quattro.
Una domenica pomeriggio Sanji le chiese se le andasse di andare alle giostre. Nami alzò la testa dalla confezione di noodles precotti che stava mangiando e gli lanciò un’occhiata scettica.
Passarono il resto della giornata a giocare al tiro al bersaglio.
Nami gli vinse una renna di peluche. (O forse era un alce?)

cinque.
Ciò che Yokomine Makoto aveva sempre amato degli esperimenti sulla deprivazione sensoriale era che non sempre avessero come unico fine la semplice tortura. Immerse nell’oscurità, atterrite da uno stato d’ansia spesso e solido come un muro, alcune persone avevano modo di guarire.
Risvegliatasi in una cella con grosse lastre di ferro alle pareti (sbarre forse? Il buio non le permetteva di capire) e con la voce di Yokomine a ripeterle come la sua vita si fosse svolta fino a quel momento e cosa le avesse procurato un crollo emotivo senza pari (per cui apparentemente aveva finito col sovrapporre il mondo reale con i dati della sua stessa missione), Nami comprese il motivo per cui le azioni di suo padre l’avessero sempre portata a detestare quella tipologia di esperimento.
- Hai confuso ciò che sei con i dati su quel ragazzo, hai sovrapposto la tua missione di soldato con un mondo di fantasia creato dalla stessa tua testa. Ti rimetteremo in sesto, Nami, non devi preoccuparti. Capita anche ai migliori. -
Il fine del lavoro di Yokomine non era curare le persone, ma di torturarle fino a quando queste non avessero deciso di tornare a rigare dritto nelle schiere ordinate dal Governo.
- …non entrerai nella mia testa. Non giocherai al burattinaio con ciò che sono. -
- La confusione è uno stato momentaneo, è più che normale nel tuo caso. Devi fidarti di noi. -
Nami sputò in direzione del luogo di provenienza della voce.
- Sul mio cadavere. –
L’uomo se ne andò così come era venuto. Sarebbe tornato (sarebbe stato il solo a farlo).
E lasciata sola nell’oscurità Nami intuì per la prima volta che non contava quanto l’addestramento avesse reso inossidabile il suo corpo.
La sua mente avrebbe continuato ad avere la stessa malleabilità di un pugnetto di plastilina.

sei.
- Il parco è a meno di trecento metri da qui. C’è anche una stazione andando un po’ più avanti. -
Appena sveglia Robin sentì i passi dell’uomo allontanarsi dalla finestra. Si tirò su a sedere scivolando fra le lenzuola pulite ed inamidate. Le palpebre erano diventate due lastre di piombo.
Non si era mai sentita così stanca in vita sua.
- Perché? – chiese. La sua voce era rauca ed era più che sicura di aver omesso almeno metà delle parole che avrebbero potuto dare alla frase un senso compiuto. Tutto ciò in cui sperava era che l’uomo avesse almeno un quarto in perspicacia della faccia tosta dimostrata fino a quel momento.
- Non è mia abitudine tenere persone in casa contro la loro volontà. Tenevo soltanto a precisare che puoi andartene quando e come preferisci. -
- Invece raccogliere sconosciuti per strada è una cosa che fai di norma? -
Sanji le lanciò un cambio d’abiti (un paio di pantaloncini da donna ed un top arancione, ma Robin preferì non fare domande) e lasciò un vassoio con qualche piatto ed un bicchiere d’acqua sul comò.
- Non mi è mai capitato di avere qualcosa da offrire loro, quindi direi che anche questa è una novità per me. -
Per un attimo si fissarono in silenzio. Alla fine il biondo distolse lo sguardo e si accese una sigaretta.
- Qual è la tua proposta? – chiese la senzatetto.
Lesse nei suoi occhi una preoccupazione che lo stava consumando poco a poco, senza fretta. Dopo quanto era successo quel pomeriggio, la donna era sicura che a guidare le azioni del biondo non era la compassione o qualsiasi altro buono sentimento. Soltanto la rassegnazione (ed il non volersi arrendere a questa) avrebbe potuto dargli una forza del genere.
- Ti troverò un lavoro come si deve ed un posto per lo meno decente dove vivere. A me non dovrai niente, né adesso né in futuro, ma mi farebbe piacere se un giorno potessi occuparti di una ragazza che verrà a stare al mio posto in questo appartamento. – l’uomo si fermò vicino alla finestra e si schiarì la gola.
Robin, che fino a quel momento non aveva distolto lo sguardo dalla parete sul fondo della camera, sollevò gli occhi.
- …mi farebbe piacere se potessi aiutarla a non perdere la ragione. -
La senzatetto annuì con un certo fastidio.
- Se è una persona di tua conoscenza perché affidarla ad un’emerita sconosciuta? Perché non occupartene di persona? -
L’uomo si fece così serio che la donna si pentì all’istante di aver aperto bocca.
- Perché vi sono ottime probabilità che per quel momento io sarò morto da un pezzo. -

sette.
Seduta sulla penisola cucina, Nami guardò il corpo dello scienziato scivolare lentamente lungo la parete.
- Ci vogliono dieci minuti per morire di una ferita allo stomaco. Mi dia quei documenti, signor Takamuri-kun, ed io vedrò di utilizzare il tempo che le rimane per tentare di salvarla. -
- Ci sono cose che neanche tu sei in grado di fare, Nami-chan. -
L’uomo si portò una mano alla bocca dello stomaco e tentò di annusare l’aria. Forse era un bene che l’odore del sangue non gli fosse mai parso fuori luogo in quel posto.
- Mi dispiace di non essere riuscito a salvarti…-
Nami prese una lattina di birra dal frigo.

otto.
Quando Nami entrò nella camera da letto dello scienziato, il posto aveva quell’odore di chiuso e viziato che la donna aveva imparato ad associare all’abitudine (di qualcuno? La propria? Non ne aveva la più pallida idea) di lasciare i panni sporchi in giro per troppo tempo o stare lontano di casa per un mese o poco più. Era un odore che sembrava quasi stordire per quanto pungente. Un ricordo fastidioso che sapeva di qualcosa di già vissuto. Nami cominciò a cercare i documenti senza neanche prendersi la briga di aprire la finestra.
La prima cosa che le capitò fra le mani (ben nascosta sotto il letto fra una vecchia scatola di scarpe ed uno stereo malandato) fu una lattina di birra vuota ed accartocciata per metà.

 “- Non è un vero furto se le ricompri prima che qualcuno se ne accorga. –“

“- Questo posto ha un odore che non mi piace. –“
“- L’altro folle. Lo sta plasmando. –“
“- Il Governo ha bisogno della sua dose di scienziati pazzi in fin dei conti. -”

Quando la stanza aveva incominciato a girare? Quando respirare era diventato così difficile?
“- Facciamo finta che questo non sia mai successo. –“
“- Di qualcosa dovrò pur morire. –“
“- Ti rimetteremo in sesto, Nami, non devi preoccuparti. –“
“- Sanji Takamuri-kun? –“

“- Il mio interesse non l’hai mai perso, Nami-chan. -“


I documenti erano sulla scrivania della camera.
Nami urlò.



---
C
on il cameo di Chopper.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** #05. and then the end ***


#05. and then the end



1.
Nami poggiò i gomiti sulle ginocchia e si rigirò la pistola fra le mani. Era ancora calda.
- Non hai nient’altro da dire? -
Sanji chiuse gli occhi per un istante ed annuì.
- Le giostre non erano poi questo granché. -

2.
Robin aveva perso tante volte in vita sua contro tanti nemici.
Quando aveva otto anni aveva dovuto chinare il capo alla malattia che le stava portando via la madre.
A nove arrendersi ad un Sistema che mai le avrebbe prestato gli aiuti necessari. Poco prima di compierne dieci alla morte.
E dagli undici in poi alle regole non scritte della strada ed a quelle impresse nella fame (ma anche nel sangue e nei bastoni) da chi la popolava.
Si era sempre trattato di forze inconsistenti e, con il passare del tempo, Robin aveva imparato suo malgrado che quelle intraprese contro i mulini al vento alla fine erano battaglie inutili. Era riuscita ad accettarlo, nonostante tutto.
Seduta sul sedile anteriore della macchina di Sanji, la senzatetto raddrizzò lo specchietto retrovisore e da lì seguì con lo sguardo le ombre della periferia allungarsi fino al giardino, oltre e dentro l’edificio che negli ultimi cinque anni era stato il suo riparo contro il vento che agitava i mulini. Il corpo dell’uomo era ancora sepolto fra le neve.
Robin strinse il volante con così tanta forza da far sbiancare le nocche.
A fare questo (spostare un corpo, ucciderlo e poi seppellirlo) questa volta non era stato un nemico invisibile, ma una persona fatta di carne e di ossa; una persona per cui l’uomo aveva programmato passo dopo passo gli ultimi cinque anni della sua vita (e Dio soltanto sapeva quanti ancora prima).
Questa volta il nemico era tangibile e difficile da affrontare così spesso e solido come un muro.
Robin inserì la chiave nel cruscotto e fece del proprio meglio per ignorare il nodo che le stava serrando la gola.
- Non posso. …ci ho provato, credimi, ci ho provato con tutte le mie forze, ma non posso. -
Lo scoppio del motore che si accendeva coprì l’urlo dell’assassino.

3.
C’era questo vecchio libro che diceva quanto bello fosse sacrificarsi per qualcuno che si ama. L’improvvisa morte dello scienziato pazzo, la scelta del suo erede di non consegnare al Governo la conclusione delle ricerche del padre, Nami che era stata mandata ad ucciderlo, Sanji che aveva fatto del proprio meglio per aiutarla ad organizzare il delitto perfetto e Nami che alla fine aveva ucciso sia lui che Yokomine – ogni cosa per la prima volta trovò il suo giusto posto, incastrandosi perfettamente nella storia come in un puzzle.

Perdere qualcosa a cui si tiene è un passo necessario per riuscire a tenere stretto a sé ciò che realmente è importante.

- E quando non hai più niente di importante per cui lottare allora forse è il momento di sacrificare te stesso. – Nami sussurrò nel buio puntandosi la pistola alla tempia.



---
E'
finita.
Finita nel peggiore dei modi, sbrodolata nell'angst, perchè a noi in fondo è così che piace. O forse no. Non ne ho la più pallida idea.

Mi dispiace soltanto di averti trascinata in quest'idea malsana.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1136403