The story of B. di _Any (/viewuser.php?uid=118877)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Theme 1. Death Note ***
Capitolo 2: *** Theme 6. Senritsu ***
Capitolo 3: *** Theme 7. Kodoku ***
Capitolo 4: *** Theme 39. Kuroi Light ***
Capitolo 5: *** Theme 4. L's Theme ***
Capitolo 6: *** Theme 72. Misa ***
Capitolo 7: *** Theme 49. L no Nakama ***
Capitolo 8: *** Theme 8. Tomonari ***
Capitolo 9: *** Theme 16. Shinigami Kai ***
Capitolo 10: *** Theme 2. Jiken ***
Capitolo 11: *** Theme 69. Mello's Theme ***
Capitolo 12: *** Theme 37. Air ***
Capitolo 13: *** Theme 58. Tokei no Hari no Oto ***
Capitolo 14: *** Theme 11. L's Theme B ***
Capitolo 15: *** Theme 68. L's ideology ***
Capitolo 16: *** Theme 77. Saiku ***
Capitolo 17: *** Theme 79. Light no Engi ***
Capitolo 18: *** Theme 40. L no Kabe ***
Capitolo 19: *** Theme 46. Yotsuba Koroshi no Kaigi Shitsu ***
Capitolo 20: *** Theme 70. Taiji ***
Capitolo 21: *** Theme 3. Light's Theme ***
Capitolo 22: *** Theme 44. Higuchi ***
Capitolo 23: *** Theme 51. Misa no Theme B ***
Capitolo 24: *** Theme 43. Kinchou Kan ***
Capitolo 25: *** Theme 65. Mello ***
Capitolo 26: *** Theme 64. Near's Theme ***
Capitolo 27: *** Theme 48. Shinigami Kai B ***
Capitolo 28: *** Theme 15. Tokusou ***
Capitolo 29: *** Theme 36. Kyrie for Orchestra ***
Capitolo 30: *** Theme 47. Ikari ***
Capitolo 31: *** Theme 23. Low of Solipsism ***
Capitolo 32: *** Theme 24. Suiri ***
Capitolo 33: *** Theme 1. Death Note (again) ***
Capitolo 1 *** Theme 1. Death Note ***
Questa storia è stata ispirata al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi non mi appartiene.
Grazie
all'ultimo caso
risolto la fama di L è diventata tale da non poter essere
misurata.
Nonostante tutto sia finito il mondo continua a dividersi tra
pro-Kira e anti-Kira. Strano che alcuni umani credano ancora
così
tanto in lui da sperare nella sua rinascita, forse le loro speranze
si sarebbero affievolite se avessi loro annunciato della morte di
colui che ha dato tanta speranza ad un mondo troppo buono e colui che
ha dato tanto terrore ad un mondo troppo malvagio? Chissà...
Ma in
fondo è meglio così. Che continuino a sperare,
altrimenti si
genererebbe il terrore e ci sarebbe un incremento dei crimini
spaventoso.
Cosa
aveva di sbagliato
Kira? Che c'è di male nel lasciar morire dei criminali che
infestano
questo mondo? Molti lo hanno chiesto senza ottenere risposta.
L'errore
principale sta nel
fatto che chiunque sia colpevole di un reato dovrebbe avere diritto
alla propria difesa. Una persona, anche la più pia di questo
mondo,
può cadere in fallo in determinate circostanze e diventare
una
criminale.
Affascinante
la psicologia
di un criminale, vero? A volte gli assassini lo sono solo per via
dell'ambiente in cui vivono, o forse per motivi di sopravvivenza, o
ancora per rabbia, troppo a lungo celata. Soprattutto questi ultimi
sono interessanti, perché cercano non di nascondersi sapendo
di
essere colpevoli, ma di farsi notare. Ciò che fanno non
è un reato
quanto una sfida.
Quando
mi trovavo alla The
Wammy's House giravano strane leggende e tutte quante avevano come
protagonista uno di noi, un assassino per l'appunto. Uno di noi che
gli altri temevano, uno di quelli che nessuno avrebbe mai voluto
incontrare sul proprio cammino. Persino il suo aspetto era
spaventoso. Occhi rosso sangue, capaci di infondere il terrore con un
solo sguardo. Malvagio, malvagio tanto da uccidere anche una
ragazzina.
Devo
ammettere che anche io,
che mi reputo una persona alquanto razionale e non troppo timorosa,
ho creduto a quelle leggende e mi sono permesso di giudicare quella
persona in maniera perfida e meschina. Nessuno conosceva il suo nome,
per noi era solo una lettera: B.
Solo
andando avanti col
tempo, da bambino che ero, mi sono reso conto di quanto avevo
sbagliato.
Il
mio pentimento è
cominciato un giorno come tanti, una domenica per la precisione,
riesco a ricordarlo perché non c'erano le solite lezioni. Mi
alzai
la mattina più presto del solito, tanto da precedere la
sveglia che
ci veniva data dagli adulti.
Nella
stanza non penetrava
molta luce attraverso le tende della finestra. In quel periodo era
sempre così, l'inverno lasciava morire i raggi del sole non
appena
questi sfioravano l'atmosfera terrestre.
Chissà
perché non avevo
alcuna voglia di dormire ancora, quindi scesi dal mio letto e mi
preparai come al solito, con i miei abiti candidi, che profumavano di
pulito.
Per
un attimo mi fermai ad
osservare Mello. Mello era il mio compagno di stanza per quell'anno,
insieme a un bambino di nome Matt. Non so perché, ma Mello
ha sempre
mostrato una certa avversione nei miei confronti, uno spirito di
competitività che non si esauriva e che lo spingeva ad
impegnarsi
sempre di più per superare me, Near.
Anche
lui stava ancora
dormendo scomposto, le coperte si erano aggrovigliate per via dei
suoi continui movimenti nel sonno.
Mi
ripresi dal filo dei miei
pensieri e mi voltai verso la porta: sarebbe stato meglio uscire,
altrimenti avrei rischiato di fare rumore e svegliare tutti e di
certo non avrei voluto incorrere ancora nelle ire di Mello.
Piano
spinsi la porta di
legno di ciliegio e la richiusi con delicatezza dietro di me. Una
strana sensazione mi pervase.
Silenzio.
Solo
silenzio.
Non
avevo mai potuto
osservare la casa così. Sembrava ancora più bella
e affascinante
nella mia mente di bambino. E potevo fare qualsiasi cosa avessi
voluto, senza essere sgridato da nessuno degli adulti.
Ero
sempre stato uno dei più
tranquilli, ma chi, per una volta soltanto, non sente il bisogno di
trasgredire le regole imposte dall'autorità?
Piano
cominciai a muovermi,
sapevo già dove andare.
Più
mi rendevo conto che
nessuno era nei paraggi, più mi muovevo velocemente, quasi
come se
avessi temuto che tutto quella meraviglia sarebbe terminata troppo in
fretta.
Giunsi
alla grande scala di
legno che vedevo ogni giorno. Salendola si giungeva alle classi dove
ogni giorno studiavamo, e salendo ancora un po' c'era una bellissima
biblioteca.
Perché
volevo andare in un
luogo simile allora?
Semplicemente
perché c'era
un corridoio che non potevo visitare, ma quel giorno l'avrei fatto.
Salii
le scale lentamente,
appoggiando i piedi sul tappeto per non fare rumore. Superai le
classi, superai la biblioteca andando ancora più su. Sempre
più in
alto.
La
porta che chiudeva quel
corridoio era sempre bloccata da un piccolo catenaccio dorato. Certo,
un catenaccio così era ridicolo nella The Wammy's House,
dato che lì
eravamo tutti dei geni, il nostro quoziente intellettivo doveva
essere al minimo di 140 punti per poter essere ammessi. Quel
catenaccio serviva solo ad impedire di entrare troppo in fretta e a
dare il tempo a qualcuno di intervenire in caso di violazione della
regola di oltrepassare quella porta.
Lo
feci.
Presi
un piccolo fil di
ferro che avevo ottenuto rompendo uno dei miei giocattoli, poi lo
infilai nella serratura, e dopo qualche movimento studiato riuscii ad
udire un piccolo “clack” e ad aprire il catenaccio.
Solo
allora mi sentii
pervaso da un senso di colpa che non conoscevo, non avevo mai violato
una regola, e anche per questo Mello diceva di non sopportarmi, dato
che lui era un ribelle a tutti gli effetti.
Avrei
dovuto rinunciare?
Avrei
dovuto invertire la
marcia e tornare indietro alla mia stanza e al mio letto cercando di
riprendere sonno in attesa della sveglia?
Ma
ero già lì, non avrei
mai avuto un occasione simile in tutta la mia vita nella casa forse.
Più volte avevo immaginato di entrare e di scoprire
chissà cosa.
Dovevo sapere, in fondo la conoscenza non può fare male, no?
Spinsi
la porta.
Avvertii
un brivido correre
lungo il mio braccio che si appoggiava sulla maniglia dorata e
stavolta il mio tocco non riuscì ad essere delicato come i
precedenti. Quasi mi spaventai avvertendo il rumore, pensando che
qualcuno avrebbe potuto sentirmi.
No,
chi poteva trovarsi lì
a quell'ora?
Finalmente
entrai.
L'ambiente
che mi accolse
non era come lo immaginavo. Era un corridoio come i precedenti, con
l'unica differenza che era evidentemente stato abbandonato da
chissà
quanto. La polvere era ovunque e scoloriva il legno ingrigendolo.
Lo
percorsi fino in fondo.
C'erano
solo porte come le
altre qua e là, ma su queste c'erano dei fogli quadrati
sempre nello
stesso punto in alto. Cos'erano? Mi avvicinai ad una porta qualsiasi
tra le tante, una in fondo, e piano accarezzai il foglio. Anche al
tatto si poteva sentire che aveva molti anni alle spalle e che ormai
era ruvido e fragile. Il foglio era attaccato alla porta forse per
coprire qualcosa? Infilai tre dita sotto di esso e sentii un qualcosa
che doveva essere un'incisione. Mi decisi e lo strappai via
all'improvviso.
L.
Su
quella porta era incisa
una grande L. Non nascondo che rimasi parecchio stupito da una simile
scoperta.
L
era il mio idolo e il mio
sogno era quello di poter, se non incontrarlo, sostituirlo un giorno
come suo erede, insieme a Mello.
Cos'era
quel luogo? Aprii la
porta, ma quello che c'era all'interno non era niente di più
di una
comunissima camera da letto. Entrai e trovai all'interno una
scrivania con ancora dei fogli sopra, e un letto candido vicino alla
finestra. Nel cestino della spazzatura vidi solo carte di dolci,
colorate in tutti i modi possibili.
Nulla
di più.
Uscii
dalla stanza e
cominciai, in preda alla curiosità, a strappare i fogli di
tutte le
porte. Fu così che trovai molte lettere che forse erano
state
importanti nella storia dell'istituto, ma che nessuno di noi
conosceva. Visitai le loro stanze cercando di capire che tipo di
persone fossero osservando tutti i dettagli che avevano lasciato in
passato.
Perché
un corridoio simile
era stato chiuso? Erano solo camere dopotutto.
Fu
quando formulai questo
pensiero mi decisi a strappare l'ultimo foglio. Questo lo rimossi
più
lentamente, con un'improvvisa delicatezza. Piano si scoprì
una
figura tondeggiante, una R? No, una volta rimosso l'intero foglio, si
rivelò essere una B.
Sgranai
gli occhi.
B?
B era il soggetto di
tutte quelle leggende, B era l'assassino dagli occhi rosso sangue,
malvagio tanto da arrivare ad uccidere senza pietà una
ragazzina e
maciullarle gli occhi, che ci faceva la sua stanza lì? Forse
era
arrivato davvero il momento di andare? Forse...
No,
di certo non ero stato
scelto come possibile successore di L per essere un codardo e se mi
fossi fermato proprio adesso, lo sarei stato proprio perché
non lo
avrebbe saputo nessuno, no, troppo facile.
Aprii
anche questa porta, ma
non trovai altro che una stanza normalissima. Un armadio di legno, un
letto, una finestra, una scrivania, come le altre stanze. Tutto qui?
Poteva davvero contenere così poco la stanza che era
appartenuta ad
un assassino?
Ci
passeggiai all'interno
con fare irrequieto e mi sedetti infine sul letto.
Sembrava
così innocente, se
non fosse stato per il dettaglio di quella lettera così
evidente
sulla porta, quasi minacciosa. Alzai lo sguardo e solo allora mi resi
conto che sull'armadio si trovava una scatola. Volevo vederne il
contenuto, ma non potevo raggiungerla, quindi usai il classico
sistema della sedia. Spostai quella vicino alla scrivania fino al
punto che mi interessava e poi ci salii sopra. Alzandomi sulle punte
sfiorai la scatola con le dita e la feci cadere tra le mie braccia.
Mi lasciai cadere sul letto senza curarmi di rimettere la sedia al
suo posto e aprii lo scatolone: all'interno c'erano cianfrusaglie
varie, cose di poca o nulla importanza, ma la cosa che più
attrasse
la mia attenzione fu un quadernetto posto sul fondo del tutto, quasi
come se fosse stato nascosto per non essere notato. Lo presi tra le
mani e ne accarezzai la copertina nera. Solo allora lo voltai e vidi
la scritta che vi campeggiava sopra, bianca, di uno stile molto
raffinato ed elegante: “The story of B”.
Un...
diario? Il diario di
un assassino?
Lo
aprii e cominciai a
sfogliare le pagine osservando ancora quella bella grafia elegante,
che quasi infondeva calma nel lettore, di certo dava l'impressione di
essere stata usata da una persona molto lucida piuttosto che da un
pazzo serial killer.
Stetti un
attimo immobile
per assicurarmi che nessuno fosse nei dintorni, quindi riposai tutto
nella scatola, ma lasciai fuori il quaderno, quindi uscii
nascondendolo sotto i miei vestiti. Richiusi ogni porta e
silenziosamente mi mossi ripercorrendo i corridoi. Il percorso che
avevo attraversato eccitato per la tranquillità, ora lo
attraversavo
per la consapevolezza di aver trasgredito e di aver rubato qualcosa
di prezioso.
___________________________________
Authoress'
words
Buongiorno
caro lettore, che sei arrivato fin qui leggendo la mia storia.
Innanzitutto grazie per aver compiuto questo sforzo. Questo
è il mio primissimo tentativo di fare una storia a capitoli
e infatti finora ho prodotto solo una one-shot. Per di più
questa è la mia prima storia su Death Note. Scritta in un
momento di delirio quasi, ma avevo tanta voglia di farlo da tanto tempo
e non ci sono mai riuscita a causa di vari impedimenti tra cui la
scuola, la musica... Bene, spero di riuscire a portarla avanti senza
troppe pause, ma il tempo è quel che è e non sono
sicura di poter riuscire nell'intento dato che sono anche abbastanza
inconcludente come persona (purtroppo)...
Per
favore, sia che questa storia ti sia piaciuta o meno lascia una
recensione.
Se la
storia ti è piaciuta me lo farai sapere e la
continuerò.
Se non ti
è piaciuta saprò dove devo migliorare.
In tutti i
casi ci guadagneremo, no?
Grazie
mille!
Any
|
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Capitolo 2 *** Theme 6. Senritsu ***
Questa storia è stata ispirata al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi non mi appartiene.
Avevo
infranto le regole.
Ero eccitatissimo e senza nemmeno rendermene conto cominciai a
correre. Io, il primo della The Wammy's House, io che ero amato da
tutti gli insegnanti per essere sempre calmo e al mio posto, senza
aver mai mostrato la seppur minima voglia di infrangere le regole,
l'avevo appena fatto e non mi sentivo minimamente in colpa.
Però non
avrei potuto tornare nella mia stanza con quel quaderno lasciandolo
in balia dei miei due compagni... Sarebbero stati capaci di
distruggerlo in pochi minuti. Volevo leggerlo, ma non potevo farlo
lì. Dove? Mi fermai un attimo e mi guardai intorno. La casa
era
davvero enorme quando non c'era nessuno in giro. Mi voltai e
cominciai a camminare in direzione opposta alla mia stanza. Ripassai
di fronte alla scala, ma non salii. Andando sempre dritto arrivai
fino in fondo alla sala. Lì c'era una porta che conoscevo
già, dato
che spesso ci passavo davanti, ma non mi ci soffermavo e non l'avevo
mai aperta. Piano spinsi la maniglia e la aprii. Come avevo supposto,
dato che nessuno ci aveva mai messo piede, si trattava di uno
sgabuzzino. Cercai la luce con la mano e poi vi entrai.
Finalmente
al sicuro, almeno
per un po'.
Avevo
tra le mani il diario
di B e ciò mi procurava una certa emozione. Il diario di un
assassino.
Lo
accarezzai con le dita
quasi con affetto e poi mi decisi ad aprirlo.
Potei
immediatamente notare
che la scrittura era ordinata in modo quasi maniacale e che non c'era
il minimo segno di cancellatura. Significava che era così
attento da
non aver fatto nemmeno un errore scrivendo? Davvero da pazzo.
Questo
che hai tra le mani è il diario dell'assassino BB di Los
Angeles.
Hai
paura, mio caro lettore?
Non
ho la più pallida idea di chi tu sia, dato che in questo
momento non
sono nella condizione di sapere che fine faranno i miei averi dopo la
mia morte.
Forse
tu credi di trovare il diario di un pazzo, di un malvagio assassino
che ha ucciso persone senza un motivo logico, uno di quelli che prova
piacere nel provocare morte, ma ti sbagli di grosso.
Credo
che per farti capire cosa voglio dire dovrò raccontarti la
mia
storia, senza tralasciare nulla, nessun dettaglio dev'essere celato.
A
partire dal mio nome. Ebbene puoi chiamarmi Beyond Birthday dato che
non ricordo come mi chiamarono i miei genitori.
Te
lo starai chiedendo: “Come puoi non ricordare il tuo
nome?”.
Allora partiamo dall'inizio, tornerò molto indietro, a
quando sono
nato.
Quando
aprii gli occhi per la prima volta guardavo il mondo in maniera
diversa dagli altri. Osservavo deliziato quei simboletti che
danzavano davanti ai miei occhi, sulle teste delle persone.
Credevo
che tutti potessero vederli e mi piaceva osservarli. Erano innocui
simboli con forme diverse per ogni persona.
I
miei genitori erano orgogliosi di me e mi volevano bene, mi davano
tutto l'affetto di cui avevo bisogno, facevano ogni cosa per me e mi
elogiavano decantando la mia intelligenza con i loro amici.
Non
ricordo nulla del mio periodo da neonato se non che ero felice,
semplicemente felice.
Pensai
che la storiella era
fin troppo allegra per un bambino simile, possibile? Ora ero
più
curioso che mai e senza aspettare ancora mi gettai di nuovo su quelle
righe.
Certo,
mi piacerebbe fermarmi qui dicendo che passai una bella vita come
tutti i bambini, ma i miei problemi cominciarono quando dovetti
uscire di casa da solo, senza i miei genitori che erano sempre stati
con me, per andare a scuola. Mi parlavano bene della scuola. Dicevano
che era un posto dove avrei fatto tante amicizie e avrei imparato
tante cose e a me andava bene. A volte mi dicevano che avrei dovuto
fare il sacrificio di svegliarmi sempre presto, ma volevo farlo
ugualmente, perché volevo vedere altre persone, altri
bambini come
quelli che vedevo alla TV.
Il
giorno arrivò.
Mi
svegliarono davvero presto come avevano detto, e mi prepararono
facendo attenzione a ogni minimo dettaglio del mio aspetto, a partire
dal vestiario. Mio padre scherzava dicendo che sarebbe iniziata la
mia tortura e mia madre lo riprendeva dicendo di non spaventarmi, ma
era impossibile provare paura in un clima così leggero ed
ilare.
Uscii
assaporando l'aria fresca del mattino, e presto raggiunsi la scuola.
Inizialmente ero intimorito da tutti quei volti sconosciuti, alcuni
bambini già si conoscevano e si chiamavano per nome. Sotto
esortazione dei miei genitori mi avviai verso un bambino, uno
qualsiasi che aveva il simbolo della mia classe appuntato al petto, e
poi cominciammo a parlare per fare amicizia.
I
bambini sono creature molto semplici, non hanno pregiudizi a meno che
non gli vengano imposti. Però stranamente quel bambino
notò
immediatamente che c'era qualcosa che non andava.
All'improvviso
additò il mio viso e cominciò a urlare:
“Hai gli occhi rossi,
come un cattivo!”. Io non capivo. Mi avevano detto che gli
occhi
possono essere di vari colori e io stesso ne avevo visti tanti nei
disegni, nelle foto... perché i miei erano
“cattivi”?
Suonò
la campana e dovetti entrare. Ora avevo più paura e temevo
che mi
avrebbero giudicato, per cui tenni i miei occhi bassi per nascondere
quel colore.
I
giorni passavano in fretta, imparavo sempre più cose
lasciando di
stucco i miei insegnanti per la mia intelligenza, e presto nessuno
fece più caso ai miei occhi. Nessuno oltre me.
Nel
momento in cui imparai a leggere, scrivere e a contare mi resi conto
che i simboli potevano essere visti solo da me ed erano lettere,
parole, nomi e sotto ancora numeri che diminuivano lentamente, come
un conto alla rovescia.
Feci
una pausa nella
lettura. Sembrava più un romanzo fantasy che un diario,
avrei dovuto
credere a tutte queste cose?
Inizialmente
credevo che quei numeri fossero senza senso, ma capii presto che non
era così. Un giorno mi trovavo in macchina con mia madre per
andare
a trovare una sua amica che abitava in periferia. Ricordo ancora che
vidi un uomo correre. Il suo numero era particolarmente basso, molto
vicino allo 0. Era inseguito, sembrava impazzito dalla paura.
Immediatamente dietro un altro uomo con una pistola in mano. La
puntò, la caricò e sparò. Il bersaglio
fu colpito esattamente
nello stesso istante in cui i suoi numeri si annullarono e nel giro
di un secondo sparirono insieme al suo nome. Ero terrorizzato, quei
numeri erano quanto restava ancora da vivere ad una persona? Avrei
saputo in anticipo tutte le morti che sarebbero avvenute intorno a
me?
Fui
colto da una grande paura, non riuscii a guardare le persone in
faccia per un po', ma decisi di non dire nulla a nessuno sui miei
occhi. Era un segreto pericoloso, e come segreto doveva rimanere
tale.
Imparai
a leggere quei numeri, che erano diversi da quelli usati dagli umani.
Per
quei numeri il tempo scorreva in maniera diversa da quello misurato
da noi, forse i miei occhi appartenevano a una creatura non umana? Me
lo chiedevo e mi chiedevo anche come potevo avere proprio io questa
capacità.
Intanto
il tempo tiranno passava in fretta ed è inutile, caro
lettore, che
io stia qui a raccontarti ogni dettaglio della mia vita scolastica,
delle mie capacità che a volte ero fiero di possedere, che
altre
temevo.
Poteva
essere divertente osservare, quasi spiare, le persone sconosciute,
scoprire nuovi nomi solamente uscendo di casa, ma ancora non mi ero
reso conto di quanto potesse essere orribile un potere simile.
All'improvviso
sussultai. Un
rumore secco mi aveva distratto dalla mia lettura. Probabilmente la
sveglia era arrivata e non mi avevano trovato nella mia stanza.
Anche
se a malincuore,
dovetti richiudere il quadernetto e lasciarlo su uno scaffale della
piccola libreria di metallo che avevo alla mia sinistra, sicuro che
nessuno lo avrebbe preso lì.
Uscii
da quel luogo angusto
e mi vidi correre incontro alcuni compagni, che con il loro vociare
insistente mi chiedevano dove ero stato, o mi dicevano che avevo
fatto preoccupare tutti, compresi gli adulti.
Li
tranquillizzai
rispondendo che mi ero solo svegliato in anticipo, ma non avevo fatto
nulla di rilevante, se non passeggiare un po'.
Con
lo sguardo salutai lo
sgabuzzino e poi tornai nella mia stanza dove trovai un Mello
nervosissimo, che non perse nemmeno questa occasione per insultarmi:
“Ehi! Dove sei finito, nanerottolo albino?”.
Probabilmente ora
era infuriato con me dato che avevo fatto preoccupare tutti
impedendogli di dormire.
Anche
con lui utilizzai la
stessa scusa che avevo usato con gli altri miei compagni, ma non
diede segno di crederci: “Il placido e tenero Near che se ne
va a
spasso? Sì, scusa plausibile per gli altri, ma non per me.
Forse hai
infranto le regole per un volta e ovviamente cerchi di
nasconderlo?”.
Mello
è sempre stato molto
intuitivo, e probabilmente sarebbe stato il primo se non fosse stato
per il suo più grande difetto: l'impulsività.
Non
replicai per non
rischiare di tradirmi con il tono della voce, ma non riuscii a
trattenermi dal fare una domanda: “Mello, Matt... Cosa sapete
di
B?”. Entrambi tentennarono di fronte a una domanda simile. Fu
Matt a rispondermi: “Che domanda strana da parte tua,
comunque non ci
sono belle storie sul suo conto. Dicono che è stato la
pecora nera
della casa, che all'improvviso abbia cominciato ad uccidere persone a
Los Angeles e che fosse tanto malvagio da aver ucciso la sua
fidanzata quando era qui nella casa. Poi è fuggito...
È un mostro
sanguinario, come può aver fatto cose simili?! Se lo avessi
incontrato ne sarei stato alla larga, non ci avrei nemmeno pensato un
secondo di più.”. Mello stette qualche attimo in
silenzio a
riflettere e poi parlò: “Mi hanno raccontato che
è
stato il
peggiore qui e che persino personaggi come Watari ne avevano paura.
Certo che però è strano che uno simile sia
diventato di punto in
bianco un assassino, no? Forse c'è qualcosa dietro e non
voglio fare
come voi sciocchi che credete alla prima cosa che vi raccontano. E poi
non esiste nemmeno una stanza dove è stato. Magari non
è nemmeno
mai esistito in questo luogo...”. Mello si alzò
annoiato e si
diresse nel suo angolo preferito della stanza, dove teneva le sue
cianfrusaglie. Scavò un po' e ne tirò fuori un
grande pezzo di
cioccolato fondente.
La
stanza di B, l'avevo
visitata, ma di certo non potevo dirlo a un soggetto simile: in un
attimo di ira sarebbe stato capace di spifferarlo agli adulti e di
farmi punire anche abbastanza pesantemente.
Eppure
io non avrei mai
fatto lo stesso con lui.
Matt
si era lasciato
innervosire dalle parole del compagno: “Ehi Mello, non siamo
mica
sciocchi. Finché non hai la prova materiale che quello
lì non sia
mai stato qui non puoi accusare chi crede di sì. Poi
è una leggenda
che gira da prima del nostro arrivo nell'istituto, forse da prima che
nascessimo, quindi non può essere negato con tanta
sicurezza.
Sinceramente io ci credo e credo anche che se quell'essere è
stato
arrestato un motivo c'è di sicuro, quindi non mi interessa
chi sia o
cosa abbia fatto: ha ucciso delle persone che nemmeno conosceva, per
me è da rinchiudere!”.
Credevo
anche io alle parole
di Matt, ma stranamente avevo la sensazione di essere dal lato del
torto. Senza rendermene conto avevo cominciato a sviluppare quasi un
affetto nei confronti di quel quaderno e una certa simpatia per il
suo proprietario, forse era solo curiosità di sapere che
cosa gli
era accaduto davvero? In effetti se la storia non fosse stata reale
non ci sarebbe stato motivo di nascondere il quadernetto, ma
perché
non distruggerlo a questo punto? Forse era sfuggito alla
sorveglianza? O forse ritenevano che sarebbe stato irrispettoso
distruggere così l'ultimo resto di un genio come B?
_________________________________
Authoress' words
Ed eccomi qui col mio secondo capitolo. Avverto che
la storia da qui in poi diventerà molto triste, quindi non
vi aspettate troppa allegria.
Inoltre credo di essere scesa qualitativamente dal
primo capitolo, ma aspetto la vostra opinione per saperlo, dato che
sono molto autocritica...
Grazie mille per essere arrivati qui ancora!
Continuerò ad aggiornare ogni domenica, quindi ci rivedremo
tra una settimana!
Bye-bye!
Any
|
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Capitolo 3 *** Theme 7. Kodoku ***
Questa storia è stata ispirata al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi non mi appartiene.
La
mattina del lunedì mi
svegliai al solito orario per arrivare in classe in tempo. Non era da
me essere così distratto, eppure avevo enormi
difficoltà a
concentrarmi quel giorno. Quasi mi feci sgridare dal professore per
via della mia tendenza a guardare fuori dalla finestra.
Finirono
le lezioni e stavo
per andarmene quando la voce irritante dell'insegnante mi
richiamò
all'attenzione dicendo che aveva un avviso per noi. La vocetta
nervosa avvertì che per un po' dovevamo stare lontani da
alcune aree
dell'istituto per via del lavoro di alcuni uomini che avrebbero
svuotato gli sgabuzzini e i depositi pieni di roba inutile e in
eccesso. Gli operai stavano già venendo a svuotare tutti i
luoghi
dove avrebbero operato.
Improvvisamente
mi tornò
alla mente: lo sgabuzzino dove avevo nascosto il diario di B, anche
quello avrebbero svuotato? Se avessi lasciato tutto senza intervenire
sarebbe stato trovato, e nel peggiore dei casi distrutto totalmente,
oppure sarebbe stato restituito a Roger, che non ci avrebbe messo
troppo tempo per capire che qualcuno aveva infranto la regola di non
entrare nel corridoio vicino alla biblioteca. Dovevo impedire che
quel quaderno fosse trovato.
Velocemente
mi congedai dal
professore cercando di sembrare il più naturale possibile e
poi mi
diressi rapidamente nel luogo segnato dalla piantina. Non prestai
attenzione alle voci dei miei compagni che chiedevano dove stessi
andando così di fretta, e alla fine giunsi a destinazione.
Un uomo
stava per aprire la porta. Troppo tardi? No, mi avvicinai in fretta e
gli rivolsi la parola: “Mi scusi, potrei entrare qui dentro?
Mi
hanno nascosto una cosa che mi appartiene.” dissi cercando di
farmi
credere un povero bambino innocente vittima dei bulli, in fin dei
conti quell'uomo non sembrava essere un genio, ma solo un operaio
spaesato.
Con
una sorta di grugnito mi
lasciò entrare ed aspettò pazientemente che io
avessi ripreso con
me il quaderno.
Ringraziai
e mi allontanai
stavolta con più calma e tornai nella mia stanza. Mello e
Matt non
c'erano ancora dato che, essendo di due anni più grandi di
me
dovevano trascorrere più ore in classe. Mi arrampicai sul
mio letto
a castello e mi stesi riaprendo il quadernetto. Non mi interessava di
studiare, lo avrei fatto dopo.
Mi
pentii amaramente di avere quel tipo di potere un giorno di
metà
settembre. Quella mattina mi ero alzato presto come al solito anche
se era sabato e quindi non sarei dovuto andare a scuola. Di buon
umore, scesi al piano terreno della mia casa e arrivato in cucina per
la colazione trovai mia madre.
Quando
si voltò provai il terrore più assoluto.
Il
suo nome, lettere che danzavano davanti ai miei occhi e più
in
basso...
0
0 0 1.
Una
sola cifra, stando ai numeri sarebbe morta di lì a poche ore.
Mio
padre era nel bagno a farsi la barba, lo volli vedere, ma anche per
lui i numeri non cambiavano. Stavano per morire, quel giorno.
Ricorsi
nella cucina con gli occhi lucidi: “Mamma, papà
oggi non andate al
lavoro, vi prego!”. Entrambi erano rimasti stupiti da una
richiesta
simile. Mia madre si scusò, disse che dovevano andare e che
non
avevano scelta, lo stesso disse mio padre.
Li
pregai ancora innumerevoli volte, non potevo dire loro della mia
conoscenza della durata vitale degli altri esseri umani, del mio
potere.
Mio
padre mi chiedeva il perché di una simile richiesta e mi
accarezzava
dicendomi che sarebbero tornati presto. Ma non potevo lasciarli, se
fossero andati non sarebbero tornati mai più.
Effettivamente
perdere i
propri genitori è molto doloroso, ma saperlo in anticipo
dev'esserlo
ancora di più. Mi soffermai a ricordare quelle poche cose
che sapevo
dei miei. Chi erano? Quali erano i loro nomi? Cosa era successo loro?
Sapevo davvero poco, solo qualche immagine sbiadita era conservata
nella mia memoria.
Uscirono.
Non
riuscii più a trattenermi e mi rinchiusi in un angolo della
cucina e
finalmente piansi.
Non
ero stato in grado di fermarli, a cosa serviva essere il migliore
della scuola se non ero nemmeno in grado di salvare la vita ai miei
genitori?
Non
riuscivo più a fare nulla, tale era la mia agonia.
Passeggiavo
nervosamente per le stanze, mi sedevo sul divano, cercavo di
distrarmi nell'attesa del ritorno di mamma e papà.
Non
poteva essere davvero la fine, no, c'era di sicuro un errore, non
poteva accadere proprio quel giorno, proprio a loro, proprio a me.
E
così osservai piano la mia ombra muoversi, il sole
attraversare
l'intero arco celeste, il colore dell'atmosfera passare da un blu
chiaro a un azzurro splendente, e poi ancora a un lieve rosa e infine
a un arancione intenso. Nulla ero riuscito a fare se non cercare di
calmarmi con scarsi risultati.
Venne
l'orario con cui puntualmente tornavano a casa. Aspettai ancora.
Mamma,
papà, perché non tornavate?
Avevo
paura e a tarda sera mi decisi ad accendere la televisione, forse per
riprendere il contatto con il mondo esterno. Invece dei soliti
cartoni per bambini che mi piacevano per rilassarmi e per distrarmi
con i miei amici, misi un canale dove stavano trasmettendo un TG.
Con
gli occhi gonfi dalle lacrime attesi finché non udii le
parole:
“Morti accoltellati due proprietari di un negozio nella
cittadina
di Wells. La polizia riferisce che un ladro abbia cercato di
derubarli, ma i due hanno difeso il loro negozio pagando con la
vita...”
Spensi.
Erano morti. Non volli tornare in camera mia e mi addormentai con la
luce accesa raggomitolato sul divano. Perché un uomo aveva
deciso di
ucciderli? Cosa ne avrebbe ricavato? Perché era diventato un
assassino? Non riuscivo a rispondere a queste domande nei giorni
seguenti.
Oramai
vivevo solo fisiologicamente: smisi di andare a scuola, smisi di
uscire di casa, smisi di affacciarmi alla finestra per vedere se
c'era bel tempo...
Così
trascorsi moltissime giornate vuote, a riflettere, pensare. Qualcosa
stava cambiando in me. Non ero più un bambino spensierato di
quelli
che si gode l'infanzia tra passatempi puerili, amicizie semplici e
innocenti, uno di quelli che non sa nemmeno cosa sta facendo e
perché
lo sta facendo. Cominciai a riflettere, a ragionare su qualsiasi cosa
che mi capitasse di vedere o sentire tramite il mio televisore.
Riflettevo sul perché si vive, sul perché si
muore, sul perché gli
umani sono così egoisti da non pensare alle conseguenze
delle loro
azioni, sul fatto che forse anche io ero egoista dopotutto.
Nessuno
venne a bussare alla mia porta e andai avanti con il cibo che c'era
nel frigorifero. Non volevo assolutamente uscire di casa, oramai non
mi sentivo più di appartenere a quel mondo che mi faceva
quasi
paura.
Volevo
rimanere lì da solo per sempre.
Che
in B fosse bastato
questo desiderio di vendetta per diventare a sua volta un assassino?
Sfogliai il manoscritto. Anche se fosse stato così, il testo
era
ancora molto lungo, avrei potuto continuare per giorni.
Ma
un giorno accadde proprio ciò che non volevo: qualcuno
bussò alla
mia porta. Non sapevo se esserne felice o triste, perché
avevo
ancora paura del mondo, ma avevo fame, il cibo era finito.
Perciò
aprii.
Mi
trovai di fronte a un uomo enorme, vestito di nero che mi chiamava
per nome.
Mi
disse che mi avrebbe aiutato, che mi avrebbe portato in un bel posto,
ma non mi fidavo. Chiusi la porta e scappai nella mia stanza al piano
superiore.
Avrebbe
potuto farmi del male, come potevo fidarmi così scioccamente
del
primo sconosciuto che era arrivato a bussare alla mia porta?
Aspettai
tutta la giornata, sperando che se ne andasse, ma non fu
così.
Quell'uomo era più testardo di me, e aspettò
tutta la notte, e il
giorno successivo. Io lo spiavo dalla finestra, e forse lui sapeva
che lo stavo osservando.
Il
mattino seguente lo vidi sulle scalette dell'ingresso, che dormiva,
ancora fermo. Perché voleva tanto me? Pensai di ascoltarlo e
gli
aprii la porta. Fu la prima volta che vidi un adulto sottomettersi a
me, che avevo a malapena cinque anni.
Lo
svegliai, gli chiesi se stava bene, e dopo i convenevoli gli chiesi
di parlarmi di ciò che voleva da me. A quelle parole si
illuminò e
mi cominciò a parlare del fatto che aveva scoperto che i
miei
risultati scolastici erano eccellenti e che perciò voleva
portarmi
in una scuola, un istituto dove avrei potuto coltivare il mio
talento. Mi disse che si trattava di un orfanotrofio dato che non
avrei potuto continuare a vivere da solo in quelle condizioni. Io gli
dissi che non volevo abbandonare la mia casa, ma lui seppe
convincermi narrandomi ancora di questo luogo e dicendomi che tutti
prima o poi dobbiamo dire addio a qualcuno o qualcosa. Smise di
parlare di ciò che avrei perso e cominciò a
parlarmi di cosa avrei
guadagnato.
Qualcosa
mi si mise in moto dopo tanti giorni: l'immaginazione di bambino.
Improvvisamente potevo vedere questo luogo nella mia testa e potevo
immaginare tutte le cose descritte dall'uomo: altri bambini, amici,
spazi dove poter fare ciò che volevo...
Quel
luogo si chiamava The Wammy's House.
Ancora
una volta la mia
lettura fu interrotta. Stavolta era Mello ad essere entrato nella
stanza, insieme a Matt e a quel loro vociare fastidioso.
Automaticamente nascosi il piccolo manoscritto sotto il mio cuscino
in modo che nessuno dei due potesse vederlo.
Pensai
che nemmeno lì
sarebbe stato al sicuro dato che avrebbero potuto trovarlo anche solo
per caso, e avrebbero potuto farne qualsiasi cosa. Troppo pericoloso.
Però dove avrei potuto trovare un angolino dove leggere in
tranquillità e nascondere la refurtiva?
Mi
decisi a riportarlo nel
luogo in cui l'avevo trovato. Guardai in una tasca e vi trovai di
nuovo la “chiave” che aveva aperto il catenaccio
del corridoio
che solo io avevo visitato.
Avere
a che fare con una
storia simile poteva crearmi non pochi problemi dato che era stata
nascosta con tanta cura, no?
Scesi
dal mio letto sperando
solo che per quel giorno il quaderno non venisse scoperto da nessuno.
Mi bastava solo una notte, poi l'avrei riportato al suo ambiente
senza lasciarmi dietro alcun sospetto. Bastava solo lasciare tutto
come lo avevo trovato, senza far intuire nulla.
E
in effetti qual era il
pericolo? Se anche avessi visitato il corridoio proibito non sarebbe
accaduto nulla, no? Perché allora lo consideravano tanto
pericoloso?
C'era forse dell'altro da nascondere? In effetti in quella casa si
poteva esser certi di tutto tranne che della sincerità degli
altri e
in quel momento sentii come unica persona davvero sincera proprio il
mio scrittore B.
E
in effetti la storia viene
scritta dai vincitori è un concetto che può
essere applicato a ogni
contesto, anche alla The Wammy's House.
C'era
qualcosa che stavano
cercando di nascondere, forse un gravissimo errore del passato, tanto
grave da cercare di celarlo e di fingere che non sia mai esistito?
Tanto da aver causato dei gravi danni alle persone presenti nella
casa, forse B compreso? Forse i malvagi erano in realtà
quelli che
erano considerati i “buoni”?
Sempre
più dubbi
affollavano la mia mente.
___________________________________
Authoress' words
Rieccomi
qui puntuale puntuale con un altro capitolo! Ma bene, vedo che in
questo periodo EFP va alla grande dato che siamo tutti finalmente in
vacanza... Infatti anche io stamattina mi trovavo sul lettino di una
spiaggia anche se non mi è mai piaciuto andare a mare, e
infatti dopo poco ho cominciato ad annoiarmi...
Bene,
come al solito vi chiedo di farmi sapere il vostro parere su questo
capitolo anche perché è da tanto che non scrivo e
non mi dispiacerebbe sapere le vostre opinioni, che sono sempre molto
utili a sapere anche come continuare o anche a capire se ho sbagliato
qualcosa e dove...
Bene,
adesso la smetto di scrivere cose inutili e vi lascio in pace.
A
domenica prossima!
Any
|
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Capitolo 4 *** Theme 39. Kuroi Light ***
Questa storia è stata ispirata al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi non mi appartiene.
Troppo
pericoloso tenere quel quaderno: se qualcuno lo avesse trovato
avrebbe potuto facilmente intuire che ero stato nel corridoio
proibito, luogo che non avrei dovuto esplorare nemmeno nella mia
immaginazione. Se qualcuno lo avesse scoperto di certo sarei andato
incontro a delle punizioni imposte dagli adulti. Tutto ciò
poco
importava comunque, dato che quel giorno sarei tornato proprio in
quel posto.
Un lieve
ronzio mi svegliò, era la sveglia che mi ero preparato:
l'avevo
insonorizzata con dei tamponi di spugna, in modo da non svegliare
né
Mello né Matt, dato che i due avevano sempre avuto il sonno
pesante.
Come
l'altra volta mi alzai e mi preparai cercando di non provocare alcun
rumore, poi mi alzai ed uscii con il quaderno sotto braccio.
Di nuovo
attraversai la casa silenziosa e salii le scale, stavolta senza alcun
timore. Raggiunsi il catenaccio e lo aprii di nuovo, entrai nel
corridoio e senza neanche gettare uno sguardo alle altre stanze mi
rifugiai in quella di B.
Richiusi
piano la porta alle mie spalle e finalmente sospirai. Di nuovo
nessuno aveva visto nulla. Indeciso sul da farsi mi appoggiai sul
letto e infine non riuscii a resistere, perciò decisi di
riprendere
la lettura.
Il
giorno tanto atteso arrivò. Il signore venne a casa mia con
una
grande automobile. Mi disse di salire, che mi avrebbe portato nel
luogo promesso. Sì, andava tutto bene: sarebbe diventata la
mia
nuova casa. Lo pensavo mentre salutavo quella della mia infanzia,
diretto verso un futuro ignoto e proprio per questo più
affascinante.
Il
viaggio durò a lungo, ondeggiavo la mia testa con andamento
musicale
al ritmo della parlata del mio interlocutore.
Quando
arrivammo mi ero addormentato sul sedile. Riaprii gli occhi e fui
colto immediatamente da un senso di meraviglia e di timore allo
stesso tempo. Davanti a me c'era un enorme cancello nero che recava
la scritta in ferro battuto “The Wammy's House”.
Scesi
dall'auto affascinato da tanta imponenza e incredulo non potetti fare
a meno di chiederne conferma: “Quillsh, è
qui?”. L'anziano
signore mi rispose annuendo.
Il
cancello si aprì sotto il tocco dell'uomo ed entrammo.
Improvvisamente mi trovai in un mondo che avevo solo potuto
immaginare: giardini enormi, bambini che giocavano come preferivano,
la casa appariva come un castello, autoritaria ma meravigliosa.
Quella sarebbe diventata la mia casa.
Salii le
scalette di fronte all'ingresso principale sotto lo sguardo degli
altri bambini e una volta dentro mi lasciai condurre da Quillsh senza
sapere precisamente dove mi stesse portando.
Mi
condusse ad una stanza e mi chiese di attendere qualche minuto da
solo. Entrò lasciandomi fuori.
Tutto
ciò che vedevo mi sembrava enorme. Ero stranamente felice,
speravo
con tutto me stesso di poter cominciare una nuova vita senza
più
problemi.
Dopo
poco tornò il vecchietto che mi disse che il direttore
voleva
parlarmi. Entrai un po' timoroso all'idea di fare quella conoscenza.
Trovai un altro uomo anziano seduto dietro una scrivania. Non guardai
il cartellino, ma mi bastò guardarlo negli occhi per
conoscere il
suo nome: Roger Ruvie.
Roger mi
salutò con una voce stanca, che lasciava intuire le fatiche
degli
anni passati, e mi chiese il mio nome.
Il mio
nome?
In un
attimo di paura mi resi conto che non ero in grado di ricordarlo.
Possibile? Il mio nome, l'informazione più semplice da
ricordare per
una persona... l'avevo dimenticato? Forse era semplicemente per il
fatto che in quei giorni nulla avevo fatto se non vivere
passivamente: un'informazione simile non poteva di certo aiutarmi.
“Allora?
Come ti chiami?”, a queste parole ripetute mi voltai verso
Quillsh
visibilmente agitato. Potevo sapere il nome di qualsiasi essere umano
solo guardandolo negli occhi e non conoscevo il mio? Era sempre stato
così fin dalla nascita, anzi da prima della nascita.
Prima
della nascita. Beyond Birthday.
Mi
decisi e dissi di chiamarmi così.
Dalla
reazione dei due uomini credo che il mio nome sia sembrato bizzarro,
ma non aggiunsi nient'altro: quello sarebbe stato.
Roger lo
annotò su un foglio e poi disse a Quillsh qualcosa che non
compresi,
ma l'uomo disse di sì, ed annuì dicendomi di
andare.
Mi
condusse al di fuori della stanza e mi fece percorrere un atrio dove
si trovava una grande scala.
L'uomo
mi spiegava ogni cosa del funzionamento dell'istituto, mi diceva che
a sinistra c'erano le classi a destra la biblioteca...
Mi staccai
per un secondo dalla lettura. Quindi il luogo dove si stava svolgendo
il tutto era proprio lo stesso dove mi trovavo? Certo, una
descrizione tanto dettagliata non poteva che essere stata fatta da
una persona che era stata davvero lì. Nessuno può
entrare nella
casa se non ne fa parte. Persino l'operaio del giorno prima aveva
molte restrizioni. Poteva trovarsi solo vicino all'ingresso e non
poteva entrare in nessuna stanza che appartenesse a noi bambini a
meno che non fosse strettamente necessario.
Mi
indicò la strada. Dovevamo entrare in un corridoio che
mostrava
varie porte. Quillsh mi sospinse in una stanzetta dove regnava il
colore bianco. Però avevo visto che altri bambini non
stavano in un
luogo così isolato, allora chiesi il perché di
una tale
differenziazione all'anziano. Quello mi rispose solo di aspettare un
po', disse che mi avrebbe lasciato un po' da solo per familiarizzare
con l'ambiente.
Allora
attesi.
Dopo
molto tempo che l'uomo se ne era andato, sentii un rumore dietro la
porta.
Lasciai
che la persona che lo produceva entrasse. Mi disse di essere un
medico che mi doveva controllare.
Mi fece
una visita a tutti gli effetti e poi mi fece alcune domande e tra
queste mi chiese cosa avevano i miei occhi.
Ora ero
davvero intimorito.
Risposi
flebilmente che quello era il loro colore, che non avevano nulla di
strano, ma non credette alle mie parole. Mi assecondò per un
po',
poi si allontanò da me dicendo che sarei dovuto rimanere
lì,
nell'area adibita ad ospedale psichiatrico della The Wammy's House.
Ospedale
psichiatrico?! Quel luogo era una stanza d'ospedale? Mi guardai
intorno ed effettivamente notai che quel bianco che dominava sovrano
nella stanza era tipico degli ospedali. Eppure non c'era nient'altro
che potesse far pensare una cosa simile. Forse le prove erano state
eliminate?
Non
capivo. Ero considerato un pazzo? Perché mi avevano messo in
luogo
simile? Decisi di non pensare alla questione per evitare di cedere
alle mie emozioni e di comportarmi davvero come un matto.
Nei
giorni successivi mi fecero frequentare delle lezioni scolastiche,
feci amicizia con altri bambini che non mi giudicavano in base al
colore dei miei occhi. Devo ammettere che molti di loro avevano delle
stranezze ben peggiori della mia, ma alla fine li trovavo
interessanti proprio per questo motivo.
Quel
luogo era quello sognato da ogni bambino in fin dei conti: potevamo
decidere noi se e quando studiare senza invasioni da parte di adulti,
potevamo decidere cosa mangiare. Ad esempio, se qualcuno avesse
voluto, avrebbe potuto nutrirsi solo di cioccolato.
Sorrisi.
Quest'affermazione non poté non farmi venire alla mente
Mello. Più
che una voglia di cioccolato la sua era quasi una dipendenza: non
resisteva un giorno senza mangiare almeno una barretta, ma Mello era
quel che era... Effettivamente è strano che in una casa come
quella
si sia così rigidi su certe regole eppure su altre si lascia
una
certa libertà. Ancor oggi non credo impongano molti limiti
sull'alimentazione dei bambini che si ritrovano lì.
Per il
resto era una normale scuola, dove si studiavano le solite materie,
si facevano i soliti compiti.
Passai
un bell'autunno in quei luoghi, mi sentivo grande e imbattibile, come
vorrebbe essere ogni bimbo. Ero stimato dai miei amici e oramai non
mi preoccupavo più di essere nel reparto adibito a ospedale
psichiatrico, dato che per me le cose non cambiavano troppo, solo
dovevo sottopormi a controlli periodici.
Eppure
un giorno cominciai ad odiare sul serio quel reparto.
I medici
che avevano il dovere di controllare che io stessi bene cominciarono
a fare cose che avevano più l'aria di essere esperimenti,
piuttosto
che veri e propri controlli, dato che si resero conto che io e i miei
occhi nascondevamo qualche anomalia e avevano tutta l'intenzione di
scoprirla. Non mi permettevano di uscire se non per frequentare la
scuola, cercando di scoprire chissà cosa. Proprio per
questo, per me
studiare diventò un sollievo, ero felice di farlo, ma appena
tornato
nella mia stanzetta la tristezza mi assaliva. I medici erano sempre
lì ad aspettarmi, erano molto gentili con me, ma era solo
per
interesse.
Speravo
che sarebbe arrivato un qualcosa, un qualcuno per farli smettere.
Se c'è
una divinità a controllare la vita su tutti noi forse ha
ascoltato
le mie preghiere, ma è una divinità beffarda, si
prende gioco degli
esseri umani. Esaudisce un desiderio, ma crea altre preoccupazioni.
Ti darà
qualcosa, caro lettore, ma ti chiederà molto in cambio.
Già,
perché se la mia situazione ti appare complicata
già da ora, sappi
che siamo appena agli inizi del disastro.
I veri
problemi sono arrivati verso la fine di quell'autunno. Di certo non
potevo immaginare che di lì a pochi momenti ci sarebbe stata
una
vera rivoluzione in quella casa, una rivoluzione che avrebbe
sconvolto il modo di vivere di molti, che avrebbe cambiato tutti.
Ebbene,
a metà dicembre Quillsh uscì dalla casa, dicendo
che doveva andare
a fare una commissione. Io non diedi troppa importanza alla cosa,
dato che non era la prima volta che accadeva.
Passò
la mattinata come tutte le altre, tra scuola e amici. Tornato nella
mia stanza, trascorsi il pomeriggio come tutti gli altri tra studio e
ozio puro.
Improvvisamente
sentii un suono che non avevo mai sentito: le campane.
C'era un
campanile? Mi affacciai alla finestra e vidi la neve cadere candida.
Vidi anche una torre con un grande orologio. Era da lì che
proveniva
il suono.
Rimasi
incantato ad ascoltare ancora quel suono cupo, ma bello al tempo
stesso.
Come
potevo non aver mai sentito un suono così intenso e anche
pauroso?
Quello,
unito alla neve così pura, creava un'atmosfera davvero
difficile da
dimenticare. Tutto sembrava quasi magico di fronte a quella visione.
Sorrisi.
Sentivo
dentro di me che il mio destino sarebbe cambiato di lì a
poco.
Come
ogni bambino lì, sognavo. E mi sembrava di star vivendo una
di
quelle fantasie notturne che facevo in silenzio nel mio letto bianco.
Qualcuno stava arrivando. Non sapevo chi fosse, ma sapevo che volevo
incontrarlo.
Forse
quelle campane erano lì proprio per annunciare il suo
arrivo, che
avrebbe cambiato per sempre il mio modo di agire. Uno scherzo del
destino, forse?
Ora
dimmi, caro lettore: hai mai sentito parlare di L?
________________________________
Authoress' words
Salve! Eccomi qui col quarto capitolo!
Sono molto felice di cominciare a parlare un po' della The Wammy's
House, dato che è una scuola che mi affascina davvero tanto,
è un'ambientazione perfetta per le storie!
Questa è stata una
settimana stranissima per me dato che ho avuto una serie di alti e
bassi incredibile... Insomma, ero allegra, improvvisamente trstissima,
poi piena di energia, poi depressa... Credo di aver dato del filo da
torcere a tutti in questo periodo, mi chiedo come mi sopportino!
Bene, come al solito mi perdo in
chiacchiere inutili quanto noiose... Quindi evito di farvi perdere
altro tempo a leggere questa roba. ^-^
Al prossimo capitolo!
Any
|
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Capitolo 5 *** Theme 4. L's Theme ***
Questa storia è stata ispirata al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi non mi appartiene.
Certo che B
faceva strane domande. Potevo non conoscere L? Chi nel mondo poteva
non aver mai sentito del più grande detective del mondo? Per
di più
aveva lavorato al caso Kira, nessuno poteva non sapere di lui.
Sorrisi.
Proprio in quel momento mi resi conto che anche se avessi voluto non
sarei riuscito a smettere di leggere, oramai quel manoscritto mi
aveva catturato, e nonostante avessi ancora un po' di timore nei
confronti della figura di B non mi sarei riuscito a fermare per la
troppa curiosità.
Stava per
parlare di L? L era il mio idolo, un esempio da imitare e forse avrei
potuto saperne di più sul suo conto proprio da quelle pagine.
Oh sì
che ne hai sentito parlare, caro lettore. Il più grande
detective
del mondo. Nel momento in cui scrivo dovrebbe star lavorando al caso
Kira, e con quell'intervento alla TV che sono riuscito a vedere
quasi di nascosto nel quale lo ha sfidato pubblicamente la sua fama
si è accresciuta ancora di più.
Bene,
quel giorno l'avrei incontrato per la prima volta.
Ero alla
finestra ad osservare quel paesaggio così nostalgico quando
lo vidi.
Al momento non potevo certo immaginare che potesse diventare una
persona così importante. Appariva come un bambino spaurito,
aveva
timore delle campane. Pensai che doveva avere la mia età,
data
l'altezza e il comportamento, infatti nonostante la sua grande
intelligenza proprio in quel momento si comportava come chiunque
altro. Era infagottato da una giacca e una sciarpa più
grandi di lui
e stringeva la mano di Quillsh al suono metallico che riempiva l'aria
a rimbalzi regolari.
Era
curvo, ma per lui era naturale, i capelli corvini spettinati come se
non fossero mai stati toccati da una spazzola.
Ero
decisamente incuriosito da un simile individuo: avevo incontrato
bambini po' strani in quell'istituto, ma mai un tipo così
eccentrico
almeno nell'aspetto.
Quando
Quillsh tornò nell'istituto venne proprio nel corridoio dove
si
trovava la mia stanza, accompagnato da lui.
Anche
lui doveva stare nell'ospedale?
Aprii un
po' timoroso la porta.
Ci
guardammo. Il suo sguardo era circondato da occhiaie profondissime
che lo rendevano penetrante. Mi sentii immediatamente a disagio e
rimasi fermo a senza dire nulla.
Ero
stranamente curioso e volevo sentire la sua voce, perciò
feci solo
un passo verso di loro, ma Quillsh avvertì il rumore e mi
guardò
con uno sguardo autoritario. Che gli era successo? All'inizio era
tanto dolce, adesso mi voleva tenere rinchiuso in una stanza.
Sospirò, allora me ne tornai in camera mia con gli occhi
bassi,
senza riuscire a dire nemmeno una parola.
Passai
il resto di quel giorno steso sul mio letto, a metà tra il
pianto e
la rabbia. Non volevo essere rinchiuso! Volevo stare con gli altri,
volevo vivere!
Ciò che
stavo leggendo era qualcosa di crudele. Rinchiudere un bambino di 5
anni in una stanza non facendolo uscire? Come si può
arrivare a
tanto? Ora capivo perché quel luogo era stato chiuso: era un
ricordo
crudele per chiunque ne conoscesse la vera natura, ma almeno adesso
non esiste più nulla di simile. Altrimenti anche io sarei
stato
rinchiuso, forse.
Il
giorno successivo mi alzai prima del solito per la scuola. Avevo
bisogno di contatto umano, e l'idea di frequentare le lezioni mi
entusiasmava.
Durante
l'intervallo uscii dalla mia classe: volevo cercare quel bambino.
Camminavo a passo spedito e mi affacciavo in tutte le aule
cercandolo.
Lo
trovai solo nell'ultima. Era fermo in un angolo, seduto in una
posizione molto strana per me, ma sembrava essere normalità
per lui.
Mi
sedetti alla sua sinistra e gli chiesi se potevo fargli compagnia.
Non rispose. Non parlava? Era per questo che era nel mio stesso
reparto?
Cominciai
conversare e gli raccontai di come funzionavano le cose nella casa
per molto tempo, ma finii gli argomenti di cui parlare e lui
continuava a fissare il vuoto senza emettere un suono.
Cominciavo
ad innervosirmi, per cui alzai un po' troppo il tono della voce, gli
chiesi se mi stava ascoltando con fin troppa rabbia.
“Sì.”
Avevo sentito la sua voce. Era calma, quasi addormentata. Forse
adesso avrebbe parlato.
“Come
ti chiami?”
“L”.
L? Ma era solo una lettera, come poteva essere questo il suo nome?
“Non
ricordo il mio vero nome, perciò mi chiamo con una semplice
lettera.” Come me! Non ricordava il suo nome come me! Forse
quel
bambino non era poi così strano.
Continuammo
a parlare per un po', mi resi conto che si sentiva un po' a disagio
nel parlare con un estraneo come me, ma almeno adesso potevo dire di
aver sentito quella voce.
Riuscì
a sorprendermi ancora di più quando gli raccontai del
perché mi
trovavo in quel luogo. Non finii nemmeno di dire che cosa era
accaduto che mi interruppe: “L'assassino dei tuoi genitori
sicuramente non è un ladro di strada qualunque, ma si tratta
di un
killer assoldato da qualcuno.”
Senza
parole.
“Come
puoi dirlo?” “Hai detto che c'era un negozio rivale
proprio nei
pressi e che se i tuoi fossero morti sarebbe morta con loro anche
l'attività in assenza di un acquirente o di un erede. Per di
più il
ladro non ha trafugato nulla nemmeno dopo la loro morte.”.
Geniale.
Quel
bambino di nome L aveva appena capito il perché della morte
dei miei
genitori.
Decisi
che una cosa del genere non poteva passare inosservata e in quel
momento non mi interessava più nulla di infrangere le regole.
Lo presi
per mano e lo portai con me nello studio di Roger. Gli chiesi di
chiamare Quillsh immediatamente, non lasciandogli nemmeno il tempo di
sgridarmi perché non mi trovavo nella mia classe.
Appena
arrivò non gli diedi il tempo di capire la situazione che
gli dissi
ciò che pensavo: “Quillsh, questo bambino
è un genio. Rinchiudere
uno come lui nella zona adibita ad ospedale è un
crimine!”. L non
commentava. Se ne stava con lo sguardo chino senza battere ciglio. Mi
stupii del fatto che non reagiva nemmeno per cose che riguardavano
lui, come se non ci fosse differenza tra l'essere considerato un
pazzo e l'essere considerato un genio.
L'anziano
cercò di calmarmi, mi disse che quel bambino non diceva
nulla, ma
ribattei dicendo che a me aveva parlato. Gli feci il resoconto
dell'intera conversazione, sottolineando la parte finale, quella
sull'assassinio dei miei.
L
continuava a non dire nulla e allora in sua difesa dissi ancora:
“E
inoltre io credo che stravaganza sia sinonimo di genialità:
non
potete rinchiuderlo senza prima capire chi avete davanti.”.
“Mi
puoi lasciare da solo con lui?” chiese allora l'uomo. Annuii
e li
lasciai nella stanza.
Se tutto
fosse andato bene quel bambino sarebbe uscito da quel reparto e
avrebbe potuto avere una vita più o meno normale all'interno
della
casa.
Buona
fortuna, L.
Mi fermai
un attimo. Quindi B aveva salvato L? Se non lo avesse mai fatto
probabilmente non mi sarei trovato lì e molte cose sarebbero
diverse
nel mondo intero, sia ora che quando lessi quel quaderno.
Ebbi un
moto di gratitudine verso quel pazzo assassino, che in fin dei conti
era molto più lucido di molte persone ritenute
“normali”.
Passò
qualche giorno e non ebbi più notizie di L. Lo vedevo a
volte
entrare nella sua stanza, ma non gli parlai più.
Una
sera, dopo molto tempo, arrivò Quillsh in persona nella mia
stanza,
mi chiese il perdono. Io non capivo il motivo di un tale
comportamento, ma fu lui stesso a dirmi che si era reso conto di aver
fatto un grave errore a rinchiudere sia me che L. Mi disse che da
quel momento in poi non avrei più subito c0ntrolli ed
esperimenti da
parte dei medici, ma che avrei potuto vivere come tutti gli altri
bambini.
Aggiunse
che lo stesso sarebbe stato per L e che per lui aveva in programma
qualcosa di speciale, ma prima avrebbe dovuto mettere alla prova le
sue capacità.
Gli
chiesi se la nostra stanza sarebbe rimasta quella, mi rispose di
sì
e che da allora in poi sarebbe stata considerata una di quelle camere
normali.
Non
potevo credere alle mie orecchie, sembrava uno di quei sogni che
facevo la notte. Quella sarebbe diventata davvero la mia casa, avrei
potuto vivere come tutti gli altri, partecipare ai giochi il
pomeriggio, magari avrei potuto incontrarli anche fuori, nel
giardino.
Mi si
prospettavano davanti fin troppe possibilità da sfruttare
appieno.
Così
quella sera la trascorsi come le altre, decidendo che il giorno dopo
avrei cambiato completamente il mio modo di vivere.
Non
riuscii a chiudere occhio la notte e al mattino la luce del sole
sembrava augurarmi il buon giorno: non potevo essere stanco.
Uscii
dalla mia stanza, sapendo che non mi stavo dirigendo alla mia classe.
La prima domenica che avrei trascorso non in camera mia.
Aprii la
porta della stanza di L. Stranamente non dormiva, e mostrò
una certa
sorpresa nel vedermi all'improvviso, che trapelò dalla sua
espressione. Comunque lo ringraziai con lo sguardo e con le parole
dopo poco.
Come suo
solito non rispose, ma dalla sua espressione capii perfettamente che
anche lui in quel momento era felice.
Mi
congedai, con la gioia sul volto, sapendo che dopo tanto tempo avevo
di nuovo un amico, anche se un po' stravagante.
Decisi
di uscire fuori, alla luce del sole.
Dopo
tanto tempo che ero stato chiuso in camera, vedere all'improvviso
tutta quella vita mi aveva lasciato fermo, in un attimo di godimento.
La neve candida ricopriva ogni cosa e mi sembrava tutto immobile come
in una fotografia.
Tutto
ciò fu spezzato da una sensazione di freddo pungente e
improvviso
nella schiena.
Sobbalzai
e mi voltai.
Dietro
di me c'era una bambina buffa, tutta infagottata. “Ehm...
Scusa!
Non volevo colpire te con quella palla di neve! Di certo non
è una
bella accoglienza questa...”. Mi invitò a giocare
con lei e con i
suoi amici. Accettati e presto mi trovai nel bel mezzo della
più
grande battaglia a palle di neve mai vista.
Quel
giorno risi, mi divertii e sentii di essere felice. Come ogni bambino
dovrebbe essere.
Quella
situazione di beatitudine durò molto, e non ebbi nemmeno il
tempo di
annoiarmi quando Quillsh chiamò all'attenzione tutti i
bambini
attraverso il suono metallico di un altoparlante. Disse che avrebbe
annunciato grandi novità per tutti, insegnanti compresi.
“Da
ora in poi non dovrete chiamarvi col vostro vero nome, ma con uno
pseudonimo e una lettera. Lo pseudonimo comincerà con la
vostra
iniziale e non sarà scelto da voi stessi.”
Una
lettera?
Come la
L?
__________________________________
Authoress' words
Mi scuso infinitamente per il ritardo!
Davvero, è la prima volta che non riesco a postare in tempo,
mi dispiace! Purtroppo sono partita con il buon proposito di tornare a
casa in tempo, ma ovviamente i miei genitori hanno perso tempo con i
loro amici e alla fine sono arrivata a casa mia alle 00:37 e a
quell'ora ho pensato di non essere abbastanza lucida per il capitolo e
poi tecnicamente era già lunedì...
Comunque come potete vedere mi sono
alzata appositamente alle 07:00 per questo dannatissimo capitolo, non
smetterò ancora di tormentarvi (xD)! Tremate popolo che Blue
è ancora qui!
Any
|
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Capitolo 6 *** Theme 72. Misa ***
Questa storia è stata ispirata al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi non mi appartiene.
La
tradizione delle lettere è iniziata proprio con B ed L...
Certo che
dev'essere stato un cambiamento davvero brusco per loro. È
molto
difficile riuscire a cambiare nome usando uno pseudonimo, ma alla
fine ci si abitua, dipende anche dalle persone: ho conosciuto ragazzi
che non danno la minima importanza al proprio nome, quindi si
abituano ad essere chiamati in ogni maniera, altri che considerano
questo tutto quello che hanno, e anche nel caso di B il nome
rappresenta una delle poche cose che gli è rimasta.
Tutti i
bambini venivano chiamati uno ad uno da Quillsh e ad ognuno veniva
assegnato uno pseudonimo. Quando venne il mio turno ero parecchio
agitato. Entrai nella stanzetta riscaldata da una stufetta e attesi
sulla sedia girevole. Ero stato chiamato proprio per ultimo, la mia
attesa era stata snervante.
Finalmente
l'anziano mi venne incontro tenendo L per mano. Salutai il bambino
silenziosamente e lo vidi ricambiare con un movimento della testa.
“Bene
Beyond, ti devo parlare di qualcos'altro oltre al tuo
pseudonimo.”
cominciò dopo un po' di silenzio. Attesi che proseguisse
senza
rispondere. “Ecco... Tu sarai il successore di L.”.
Successore?
In che senso?
“Come?”
chiesi confuso. “Sì, ecco... Vedi, L è
un genio a tutti gli
effetti, come hai scoperto tu. Sarà necessario un successore
per lui
nel caso gli accada qualcosa, dato che tra qualche anno
intraprenderà
la carriera da detective stesso nella casa.”.
Già?
Aveva solo 6 anni!
“Tu
sei uno dei più adatti dato che dal tuo test sul QI risulta
che
siete molto simili a livello intellettivo. Comunque non sarai il
solo. Tu sarai il secondo e il tuo nome sarà
Backup...” “Chi è
l'altro?” interruppi senza aspettare. “Il suo
pseudonimo è Any,
lettera A. Devi sentirti onorato di poter svolgere un incarico
simile, B.”. Onorato? Beh, al momento ero solo un po' confuso.
Quillsh
mi comunicò anche che da quel momento in poi avrei dovuto
chiamarlo
Watari e poi mi lasciò tornare nella mia stanza.
Con mia
sorpresa, durante la mia assenza era stata incisa una grande B in
carattere gotico sulla porta. Chissà quando era successo,
dato che
ero stato l'intera giornata fuori non potevo saperlo. Mi voltai e
notai anche una grande “L” sulla porta di fronte a
sinistra.
La
situazione di B stava per diventare come quella di Mello. Mi aveva
sempre incuriosito il suo atteggiamento competitivo nei miei
confronti, il suo volersi mostrare forte e migliore sempre, ma alla
fine chissà quanta debolezza nascondeva sotto la pelle.
Usava questo
atteggiamento come una sorta di difesa da un mondo fin troppo crudele
con uno come lui.
Ma B non
sembrava il tipo da instaurare un clima di competitività
così forte
verso A...
Durante
il pomeriggio immaginai come sarebbe stato essere il successore di L
e ancora non riuscivo a capire bene come comportarmi in una
situazione simile.
All'improvviso
avvertii una piccola morsa al mio stomaco. Fame. Sbuffai ed uscii
dalla mia stanza per raggiungere la sala dove si trovava il grande
buffet dal quale potevamo prendere i viveri.
Giunto a
destinazione, tra i bambini scorsi la ragazzina che mi aveva invitato
a giocare a palle di neve per la prima volta. Mi avvicinai a lei e la
salutai cercando di farle ricordare di me. All'inizio non riusciva a
capire chi fossi, ma improvvisamente si illuminò in volto e
mi
riconobbe. Mi salutò con affetto e cominciammo a parlare del
più e
del meno.
La sua
compagnia mi piaceva, era sempre molto allegra, perciò
stetti bene
attento a non guardare mai sopra la sua testa. Non volevo vedere
nulla di lei, nulla. Volevo solo che fosse lei stessa a parlarmi di
sé.
“Ti
hanno già assegnato uno pseudonimo?” mi chiese
improvvisamente,
facendomi perdere il filo dei miei pensieri. Sbattei un attimo le
palpebre cercando di tornare presente con la mente. “Ehm...
sì. Io
sono Backup, alias B.”. A queste mie parole sgranò
gli occhi.
“Davvero? Io sono Any, ovvero A!”.
Lei era
A?
Lei era
Any?
Eravamo
colleghi in un certo senso, così decidemmo di sostenerci a
vicenda
in quell'impresa che appariva ancora indefinita e più grande
di noi.
Le cose
andavano molto bene. Ci vedevamo spesso, anche solo per stare in
compagnia e diventammo amici inseparabili.
Sì, le
volevo bene e la nostra amicizia durò sino ai 12 anni.
Quando
raggiunsi quell'età mi resi conto che il mio affetto nei
suoi
confronti aveva raggiunto un'altra dimensione.
Sentivo
sempre più voglia di stare con lei e spesso mi capitava di
essere un
po' troppo felice di vederla. Era la prima volta che mi capitava una
sensazione simile.
Cominciai
a chiedermi se fosse solo perché era una delle mie prime
amiche,
però non avevo mai provato una cosa simile con gli altri
maschi.
Da un
po' di tempo frequentavo anche L. Watari voleva che io lo facessi, ma
la cosa non mi dispiaceva, anche se presto dovetti abituarmi a delle
sue stranezze che mi lasciavano sempre perplesso, come l'abitudine di
mangiare solo ed esclusivamente dolci.
L era
molto solitario, ma presto imparò ad interagire con me senza
limitarsi a dire solo l'essenziale. A volte anche Any veniva con me a
trovarlo, ma in quei casi L smetteva di esprimersi. Pareva che
riuscisse a parlare solo con le persone con cui aveva confidenza, ma
non per questo era meno attento. Semplicemente aspettava che Any se
ne andasse per riprendere a parlare.
Ricordo
che un giorno, dopo che lei se ne andò, mi disse anche:
“Non è
una semplice amica, vero?”. Io gli chiesi cosa volesse dire
con
questo, dato che anche io avevo questa sensazione, ma se non era
un'amica cosa poteva essere?
“Lei
ti piace.” si spiegò L.
Piacermi?
Nel senso di... fidanzata? Secondo L sì, dato che dopo
questa
affermazione arrossii vistosamente. Se fosse stato vero cosa avrei
dovuto fare? Poteva il ragazzino dai capelli corvini saperne
più di
me? Ovviamente no a livello pratico, ma almeno a livello teorico
aveva studiato le relazioni sociali da alcuni libri di psicologia.
“Credo
che dovresti dirglielo, altrimenti non saprai cosa ne pensa
lei.”
“Troppo facile così! Se alla fine lei non prova
nulla otterrò
solo di allontanarla anche come amica.” risposi un po'
irritato.
Non volevo assolutamente allontanarla. “Allora aspetta, ma
non
credere che così accadrà qualcosa.”.
Forse
aveva ragione, così non avrei ottenuto nulla.
Comunque
attesi per un po', ma tutto rimaneva normale, l'unica differenza era
che adesso L tentava di parlare anche con altri, Any compresa.
Inizialmente
mi andava bene di essere solo un amico e nulla più , ma
più passavo
il tempo con lei e con L, più avevo voglia di esprimere i
miei
sentimenti, ma non trovavo mai il coraggio di farlo. Ricordo anche
che feci vari tentativi. Alcune volte venivo interrotto dall'arrivo
di terzi, altre ero io che non sapevo minimamente cosa dire e
soprattutto come, quindi esclamavo qualcosa di inutile, che non aveva
nulla a che fare con ciò che volevo esprimere davvero e
quindi
rimanevo sempre fermo allo stesso punto.
Tutto
sommato però non avevo altre preoccupazioni e stranamente
quell'unica che avevo mi piaceva.
Studiai
un piano per dichiararmi. Scrissi su un foglio di carta più
e più
volte quello che avrei detto, correggevo, cancellavo, ricominciavo.
Quando fui abbastanza soddisfatto del risultato finale attesi il
giorno in cui di sicuro l'avrei trovata sola: la domenica mattina. Io
e lei eravamo gli unici a essere tanto mattinieri, quindi di sicuro
non ci sarebbe stato nessun altro a interferire.
Arrivò
il giorno e quindi mi avviai alla porta con la grande A incisa in
carattere gotico. Mentre camminavo ero come se avessi perso il
controllo del mio corpo: quasi non mi rendevo conto di dove stavo
andando e la mia mente correva a grande velocità. I pensieri
erano
incontrollati.
Bussai
senza nemmeno rendermene conto e quando aprì mi
saltò il cuore in
gola. Sarebbe andato tutto bene: sapevo cosa dovevo dire.
Il tempo
sembrò essersi rallentato quando mi salutò col
suo solito sorriso,
quando mi invitò ad entrare nella stanza, quando mi chiese
il perché
della mia visita.
“Any,
io sono qui per dirti che...” cominciai. Era il momento.
Vuoto.
Non
ricordavo più cosa avrei dovuto dire. Possibile? Avevo
impiegato
così tanto tempo! Cercai di ricordare, ma lei mi fissava con
sguardo
interrogativo, non riuscivo più a ragionare.
Avvetii
il calore e il sangue che scorreva sempre più veloce nelle
mie vene.
Cominciai a sudare, ero visibilmente nervoso e sentivo lo sguardo di
lei come una freccia pungente.
Avrei
detto qualche sciocchezza come al solito?
Avrei
rinunciato di nuovo e sarei andato via senza aver concluso nulla?
L aveva
detto che così sarebbe stato inutile e che valeva la pena
rischiare.
Aveva detto anche che se lei fosse stata ragionevole non avrebbe
rinunciato a un'amicizia per un motivo simile.
E
dopotutto L era un genio, no?
“Any
io... Tu mi piaci! Vorrei che diventassi la mia fidanzata!”
dissi
tutto d'un fiato.
Quasi
sussultai quando sentii la mia sveglietta suonare.
Dovevo
tornare in camera per evitare di essere scoperto di nuovo. A
malincuore lasciai il quadernetto in un cassetto della scrivania,
quindi uscii.
B stava
davvero descrivendo tutto nei minimi dettagli, la sua non era solo
una giustificazione per via del fatto che veniva considerato un pazzo
assassino da tutti, ma anche uno sfogo.
Da dove
aveva scritto quel diario?
Tornai in
camera mia e risalii le scalette per tornare nel mio letto. Mi
rinfilai sotto le coperte e cercai di riprendere sonno, ma nonostante
l'ambiente così silenzioso e rilassante non ci riuscivo.
Non c'era
dubbio: mi ero addirittura affezionato a B. Sapevo che non avrei
dovuto farlo, ma in fin dei conti è davvero difficile
leggere una
storia e non affezionarsi minimamente al suo protagonista.
Ricordai
che tra le varie porte nella casa ce n'era anche una con una A.
Tornai
lentamente in camera mia con pensieri fugaci nella mente e senza fare
il minimo rumore me ne tornai nel mio letto.
Mi
affacciai e osservai i miei due compagni dormire senza alcuna
preoccupazione. Loro non avrebbero mai saputo la storia di B. Solo io
l'avrei conosciuta.
Mello come
al solito dormiva scomposto, con le coperte aggrovigliate tra di
loro. Era impulsivo, scontroso e tendeva a surriscaldarsi senza un
reale motivo. Competitivo, pronto a fare tutto pur di essere il
numero uno.
Matt invece
era più tranquillo, non solo nel sonno, ma anche nella vita.
Non
amava crearsi problemi, anche se avrebbe fatto di tutto per il suo
migliore amico.
Dal loro
modo di dormire si potevano comprendere tante cose del loro
carattere.
E io? Come
dormivo? Non potevo saperlo, ma probabilmente in maniera molto
composta.
E B?
Immaginai che B inizialmente era tranquillo, ma più gli
eventi
sconvolgevano la sua vita, più diventava irrequieto.
Pensai che
forse era addirittura colpa di Watari se B era diventato quel che
era. Repressi quel pensiero. Non potevo dubitare proprio della
persona che mi aveva accolto nella casa, la persona a cui dovevo di
più.
___________________________________
Authoress' words
Eccomi qui! Aggiorno di sera
perché ho avuto una di quelle sane giornate a non far
niente: so che mi giudicherete una nullafacente, ma non potevo
sopportare di vedere la mia Kinder (mia chitarra elettrica) in un
angolo: in parole povere mi sono messa a suonare invece di preparare il
capitolo... Beh, l'importante è aggiornare in tempo e a
differenza della settimana scorsa ce l'ho fatta (e magari proprio mentre
scrivo adesso si spegnerà il pc senza aver salvato il lavoro
costringendomi a rifare tutto da capo)!
Non ho molto da dire se non che mi
mancava scrivere un po' di sana fan fiction, quindi non vi preoccupate
che rimarrò la solita puntualissima Blue!
Any
|
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Capitolo 7 *** Theme 49. L no Nakama ***
Questa storia è stata ispirata al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi non mi appartiene.
Decisi
che per sarebbe diventata un'abitudine quella di alzarmi ogni giorno
qualche ora prima della sveglia per andare a leggere il diario. In
fin dei conti non avrei potuto fare altrimenti a meno che non volessi
leggere solo una volta alla settimana, così, cercando di
volta in
volta di ricordare la pagina cui ero giunto, sarei riuscito a
leggerlo in maniera abbastanza regolare.
Lo
ammetto, non riesco a ricordare con grande lucidità
ciò che seguì,
tale era la mia confusione.
Tra
le poche cose che ricordo c'è il fatto che lei
arrossì, mi disse
qualcosa e io mi sentii in paradiso.
Aveva
accettato.
Any
aveva accettato di stare con me.
Tirai
quasi un sospiro di sollievo. Mi ero davvero affezionato a B, quasi
come se lo avessi conosciuto di persona.
Nei
giorni successivi cominciai a passare sempre più tempo con
lei:
stavamo spesso da soli senza L, anche se cercavo di ricordarmi anche
di lui ma ero fin troppo preso da quella nuova storia che stavo
vivendo.
E
infatti non mi resi conto che L si rattristava sempre di più
e che
passava fin troppo tempo da solo e potei lo seppi solo tramite voci
degli altri ragazzini che parlavano di quello che oramai era quasi
una leggenda vivente per la sua genialità e che adesso era
solo e
triste. Che aveva? Era forse perché ora stavo di
più con A che con
lui? Ma che pretendeva? Era stato lui a spingermi a dichiararmi, no?
Ne
discussi con Any, ma lei mi consigliò di provare a parlargli
perché
non potevamo essere sicuri che fosse quello il vero motivo del suo
comportamento.
Giusto,
forse c'era dell'altro.
Lo
andai a trovare, da solo. Era seduto nella sua assurda posizione con
un piattino dove aveva riposto una fetta di torta alla panna. Non mi
guardò nemmeno quando entrai, ma mi salutò con la
sua voce spenta.
“L, mi sembra che in questo periodo tu ti stia chiudendo di
nuovo,
sembri sempre più triste...” cominciai. Ero
imbarazzato, non si
poteva mai sapere come avrebbe potuto reagire quel ragazzino tanto
strano.
“Ehm...
ecco, vorrei solo sapere se c'è qualcosa che posso fare per
te.”
feci una pausa aspettandomi una risposta qualsiasi da lui, ma stette
in silenzio. “L? Mi hai sentito?”. Ancora nessuna
risposta. “L!
Piantala di mangiare quella torta e ascoltami! Che diavolo ti
prende?” adesso ero davvero nervoso. L'avrei aggredito se non
avessi avuto il buonsenso di trattenermi.
Il
ragazzino strabuzzò gli occhi e poi mi chiese: “Ne
vuoi anche tu
una fetta? Aiuta la concentrazione...”. Ero perplesso. Da
quando L
era così distaccato? Strano lo era sempre stato, certo, ma
non così
tanto. Era come assente dalla realtà, come se per lui
esistesse solo
quella fetta di torta.
“Non
mi serve la torta. Ti sto chiedendo perché diavolo ti
comporti così!
Se è per il fatto che adesso passo più tempo con
Any che con te...”
“Non si tratta di quello. Anzi, sono contento per
te.”. E allora
perché faceva così? Capivo sempre meno e avevo le
idee sempre più
confuse.
“Allora
perché...” “Oramai la decisione
è stata presa, non posso
nemmeno dire di essere stato io a farlo. Non so bene cosa abbia
programmato Watari per il mio futuro, ma so che da domani non
sarò
più in questo paese.”.
Cosa?
L
stava per partire?
“Cosa?”
chiesi debolmente. “Mi spiace, Beyond. Credo che non potremo
più
incontrarci. Da ora in poi nessuno potrà vedermi.
Sarò nascosto da
un computer, è per la mia sicurezza.”.
Nascosto?
Possibile una cosa simile?
“Però
non è il momento di rattristarsi. Vorrei che tu ignorassi
ciò che
ti ho appena detto, rimandiamo gli addii a domani mattina.”
aggiunse
guardando malinconico fuori dalla finestra.
Era
ovvio che non era contento di lasciare la casa. Forse aveva
addirittura paura del mondo esterno, ma una persona col suo genio non
poteva vivere come tutte le altre. Da quel ragazzino malinconico
sarebbe dovuto nascere il più grande detective di tutti i
tempi, i
suoi sentimenti contavano ben poco rispetto ai suoi doveri.
Finalmente
avevo capito cosa non andava e adesso non potevo biasimarlo.
Cosa
avrei fatto io al posto suo? Di certo mi sarei comportato in maniera
simile, chi sarebbe riuscito a fingere talmente bene di essere felice
da agire come al solito? Non io e nemmeno L.
Gli
tenetti compagnia per tutto il resto della serata e, pur di
sollevargli il morale, accettai di cenare con lui, ma fu la cena
più
strana mai fatta: in pratica era tutto costituito da dolci, nemmeno
un granello di sale.
All'inizio
ero sul punto di tirarmi indietro, dato che non mi sono mai piaciuto
le cose troppo zuccherose, ma non potei fare a meno di notare che i
dolci erano una delle pochissime cose davvero capaci di far sorridere
L.
Se
ne stava lì, dietro quella torta gigantesca con
un'espressione che
solo chi lo conosceva veramente bene poteva interpretare come un
sorriso. E condividere tutte quelle cose non poteva che farlo stare
meglio.
In
fretta si riprese, riuscii a fargli dimenticare del futuro imminente
per farlo concentrare sul presente, così chiacchierammo come
al
solito, passammo una serata come le altre.
Fui
decisamente soddisfatto del risultato.
Quando
si fece più tardi, mi congedai, ma non mi diressi
immediatamente
verso la mia stanza cominciando a camminare verso quella di Any.
La
raggiunsi e bussai alla porta.
Lei
era alquanto sorpresa della mia visita. “Beyond? Che ci fai
qui?
Non dovresti andare a letto?”. Senza dare troppe spiegazioni
le
dissi che le dovevo parlarle.
Una
volta nella stanza mi sedetti sulla sedia vicino alla scrivania e
cominciai: “Ho scoperto cos'ha L. Avevi ragione tu, non
c'entrava
niente il fatto che noi due ci vediamo più spesso da soli
che con
lui.” “E allora che diavolo ha?”
“Credo che potremmo non
rivederlo più.”.
Any
era confusa, così con calma le spiegai la situazione. Lei
protestò:
diceva che era ancora troppo giovane per mettersi seriamente a
lavorare e girovagare.
Una
cosa meravigliosa delle donne è che si lasciano prendere
dalla
situazione, non riescono a far finta di nulla e così anche
Any si
era lasciata infervorare protestando senza preoccuparsi nemmeno di
abbassare la voce.
In
fin dei conti anche lei voleva bene ad L.
Che
strano. L ci era sempre stato presentato come una persona senza
amici, solitaria, e invece pareva proprio che almeno durante
l'infanzia ne avesse avuti ben due. Non solo stavo scoprendo cosa
passava per la testa di B, ma stavo anche capendo molte cose del mio
idolo.
Peccato
che Mello non potesse leggerle.
Il
giorno seguente sia io che Any ci svegliammo molto presto per andare
a salutare, forse per l'ultima volta, quello che era destinato a
diventare il più grande detective di tutti i tempi.
Watari
era con lui. Lo esortava con lo sguardo a non lasciarsi prendere dai
sentimentalismi e ad andare. L si sentiva intimorito sotto la sua
autorità e lo dimostrava tramite le occhiate fugaci che
rivolgeva
ogni tanto all'uomo.
Per
la prima volta in vita mia lo abbracciai.
Addio,
L.
Lo
vidi partire e seguii quell'auto nera con lo sguardo finché
non
sparì dietro la curva in fondo alla strada.
Nei
giorni successivi non cambiò molto della mia vita,
semplicemente mi
sentivo più triste e gli altri miei compagni non capivano
nulla
chiacchierando di quell'asociale che era partito, uno di quelli
insopportabili perché freddo e irraggiungibile, ma che
comunque era
il migliore.
Presto
però il mio piccolo lutto terminò e ricominciai a
comportarmi come
al solito, tenendo con me solo i ricordi più belli, ma sia
la mia
situazione che quella di Any cambiò dopo poco grazie ad una
lettera.
Una
mattina illuminata dal tiepido tepore delle giornate d'estate trovai
sia lei che Roger alla mia porta. L'anziano teneva tra le mani un
foglio di carta, probabilmente speditogli da Watari, e ci disse che
noi due, in quanto successori di L, da quel giorno in poi avremmo
dovuto essere esattamente come lui.
Inizialmente
non capii, ma Any mi spiegò che intendevano dovevamo
assolutamente
essere come lui. Avremmo dovuto raggiungere i suoi stessi risultati,
impegnarci per essere esattamente come lui.
Protestai,
dissi che era assurdo perché se L era stato scelto era
perché era
migliore, ma l'anziano disse che era stato stabilito così e
non ci
poteva fare nulla.
La
sera mi diressi nella stanza dove potevo prendermi da mangiare, ma
fui fermato da una voce nella mia testa. Stavo per prendere una bella
e grande coscia di pollo arrosto, ma quasi come per beffa mi ricordai
di quando L disse che mangiare dolci favoriva la concentrazione. Mi
spostai giusto per dare un'occhiata a un tavolo dove erano serviti
solo ed unicamente dolci.
L
mangiava solo dolci. Ciò significava che anche io avrei
dovuto fare
lo stesso? Ma i dolci non mi piacevano, come avrei potuto fare sempre
uno sforzo simile?
Mi
avvicinai con molta riluttanza a quel tavolo e passai in rassegna
tutte le cose servite. C'era davvero di tutto: torte ai gusti
più
svariati, i pasticcini più ricercati, anche delle cose un
po' più
semplici di quelle che si fanno in casa, poi c'erano anche bevande
dolci, salse dolci e persino della marmellata.
Presi
quest'ultima, dato che non c'era nient'altro che mi piaceva: le cose
troppo zuccherose mi davano solo fastidio.
Così
quel giorno iniziò l'alimentazione più
squilibrata che potessi mai
avere: a base di un solo elemento che mi obbligavano a prendere e
tutto per assomigliare a qualcuno.
Si
dice “genio e sregolatezza” quindi forse la
genialità di L
risiedeva proprio nelle sue stranezze. Dannazione, se quel ragazzo
fosse stato più normale non avrei dovuto fare una cosa
simile e
forse è proprio per via di questo pensiero che cominciai a
provare
una certa avversione verso le sue stranezze, che avrei acquisito pian
piano.
Avrei
dovuto uccidere me stesso per diventare un altro L.
Un
altro L che però sarebbe stato sempre e solo una copia fino
al
giorno della morte del primo.
E
mi scoprii a fare ragionamenti così cruenti persino su un
amico cui
avevo dato l'affetto che nessun altro aveva avuto il coraggio di
offrirgli eccetto Watari.
Mi
spaventai di me e proprio per questo sentii il bisogno di reprimere
questo mio aspetto della personalità: quello vendicativo,
quello
iroso, cercando di nasconderlo in un angolino buio della mia mente,
chiudendolo da qualche parte per non trovarlo mai più.
Però
forse è stata la cosa più sbagliata che abbia mai
fatto, mio caro
lettore, perché in fin dei conti nascondere sé
stessi non può che
portare guai.
Non
si può cercare di annientare ciò che si
è troppo a lungo, e se lo
si fa si può star certi che ben presto questo si
ribellerà e le
conseguenze saranno irrimediabili per tutti, sia chi si
troverà sul
tuo cammino, sia te stesso.
____________________________________
Authoress'
words
Sì,
lo so, tecnicamente è già lunedì, ma
non si sa come sono finita di nuovo in quel paesino di montagna
chiamato Alfedena... Comunque già è tanto che
aggiorno ora piuttosto che domani. u.u
E
così mentre sto qui ad ascoltare With or Without You degli
U2 vi posso solo regalare qualche perla di immaturità e
augurarvi buonanotte!
Any
|
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Capitolo 8 *** Theme 8. Tomonari ***
Questa storia è stata ispirata al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi non mi appartiene.
Cominciai
a prendere abitudini sempre più strane obbligandomi a
riconoscerle
come mie. Cominciai a non spazzolare più i miei capelli
corvini, a
non riuscire più a stare a mio agio stando perfettamente
dritto con
la schiena, cominciai a sedermi sempre di più come lui
scoprendo con
mia sorpresa che quella posa favoriva davvero la concentrazione.
Mangiavo solo marmellata (possibilmente di frutti rossi) e non amavo
troppo stare in compagnia dei miei compagni che mi comprendevano
sempre meno. A tratti mi temevano quasi come se stessi diventando una
sottospecie di mostro.
Non
uscivo più dalla mia stanza se non molto raramente, ma
questo mio
comportamento non preoccupava minimamente gli adulti che, anzi, mi
incoraggiavano a continuare così dicendo che stavo ottenendo
risultati scolastici sempre migliori.
Mi
resi conto che era da un po’ che non vedevo Any. Volevo stare
con
lei, volevo sentire la sua voce e volevo vedere se anche lei era
cambiata.
Uscii
dalla mia stanza e percorsi i corridoi per poi bussare alla sua
porta.
Quando
mi aprì mi guardò per qualche secondo,
probabilmente aveva serie
difficoltà a riconoscermi e al posto suo anche io ne avrei
avute.
In
passato non ero di certo come mi conosci tu, mio caro lettore.
Io
ero normalissimo. Capelli neri non eccessivamente curati, ma non
spettinati, occhi rossi e intensi, ma non circondati da occhiaie.
Any
invece non era cambiata molto. La trovai solo molto dimagrita, gli
occhi chiari stralunati, ma nulla di più.
“Beyond?!
Sei tu…?” mi chiese confusa.
“Sì Any. Sono io.”.
Mi
lasciò entrare, era parecchio sconcertata, ma cercai di
rassicurarla
dicendole che nulla era cambiato.
“Beyond…
che ti hanno fatto?” mi chiese all’improvviso.
“Any, ti ho
detto che non ti devi preoccupare. Sono pur sempre io in fin dei
conti. Non diventerò come L.” era il mio
più fermo proposito. “Ma
non stai facendo nulla per salvare te stesso! Beyond, stai accettando
passivamente di essere come lui e già adesso fisicamente sei
identico. Se non fosse per i tuoi occhi…”
cercò di avvicinarsi,
ma con un gesto spontaneo la respinsi indietro. Senza nemmeno
rendermene conto la feci cadere sul letto. “Beyond, ma che
hai?!”
mi chiese quasi in un urlo.
Che
avevo? Avevo paura che mi guardasse negli occhi.
Mi
scusai spaventato di me stesso. Le dissi che era stato un riflesso e
che mi sarei fatto perdonare, ma che in ogni caso non avrei arrestato
quel processo di trasformazione da B ad L.
Da
normale a geniale.
Da
copia a originale.
Nei
giorni successivi riallacciammo i rapporti e anche se inizialmente
lei era un po’ timorosa, riuscii a farla fidare nuovamente di
me.
Però
adesso c’era qualcosa di diverso che avvertivamo entrambi,
quasi un
disagio che ci impediva di essere spensierati come una volta. Lei si
comportava sempre come se fosse a disagio e non fosse in gradi di
rilassarsi facendo attenzione a ogni parola che sentiva e diceva.
Cominciai
a sentire pesante quella situazione e cominciai ad avvertire L come
un nemico, ma non me ne rendevo ancora conto.
Any,
nonostante tutti i disagi, continuava a volermi vedere nella speranza
che tutto tornasse come un tempo e così ritornammo in
confidenza,
cominciò a ritrovare me sotto quella maschera di L.
Oramai
tutti mi trattavano come se io fossi lui e pretendevano
inconsciamente che io fossi uguale, ero felice che almeno una persona
tra tutte quelle che conoscevo, non mi vedesse come lui e non
pretendesse da me che io fossi esattamente identico.
Any
voleva Beyond. E grazie a lei io non morivo.
Le
giornate passavano tutte uguali. A contatto con gli altri, durante la
giornata scolastica, fingevo involontariamente di essere qualcun
altro, ma alla fine della giornata potevo stare con lei, e
lì vedevo
rinascere Beyond, che oramai viveva solo con in sua presenza.
Il
mio aspetto rimaneva quello di qualcun altro, ma la mia mente
rimaneva la stessa.
E
così sentii nascere un sentimento davvero forte nei
confronti della
ragazza, un misto tra gratitudine e amore.
Mi
chiedevo a volte spaventato se anche per lei fosse così
forte quel
sentimento. Certo, erano preoccupazioni piuttosto futili mi potrai
dire, ma in fin dei conti cosa ci si può aspettare da un
poco più
che dodicenne?
Comunque
quella mia vita alternata tra me ed L si fece più leggera e
riuscii
a sopportarla senza problemi per molto tempo, fino a raggiungere i 15
anni.
Dopo
quei tre anni la mia metamorfosi fu completa. Il giorno del mio
compleanno, dopo un’altra notte insonne che aveva contribuito
ad
accrescere le mie occhiaie, mi guardai allo specchio.
Vidi
L.
Vidi
un L dagli occhi rossi che mi fissava col suo dito in bocca senza
alcuna traccia di Beyond.
Quasi
ebbi paura di quell’L beffardo, che ridacchiava per
ciò che ero
diventato.
Avevo
perso la cosa più importante di tutte: me stesso.
Senza
un sorriso passai quella giornata chiedendomi come avessi potuto
permettere che accadesse una cosa simile. Ero ossessionato da quei
pensieri.
Ero
diventato null’altro che un secondo L, ma la cosa
più triste era
che io non ero altro che una copia, una stupidissima copia che non
avrebbe avuto alcun valore fino alla morte dell’originale.
Cominciò
a germogliare il seme dell’odio che mi era stato piantato
dentro
tre anni prima.
Cominciai
a provare un sentimento che non avrei mai voluto provare nei
confronti di qualcuno che in passato era stato mio amico, ma non
potevo fare a meno di pensare che se la mia vita stava andando allo
sbaraglio la colpa era anche sua. Perché, L, sei sempre
stato così
geniale? Se solo fosse stato una persona dotata di
un’intelligenza
normale come gli altri molte persone sarebbero state meglio! Tutti
quei cambiamenti, quella tensione, non faceva altro che rovinare la
vita ad altre persone, e tutto ciò scaturiva solamente da
lui, da
lui e dalla sua intelligenza.
Mi
fermai un attimo. B stava cominciando a provare vero odio nei
confronti di L, ma sopportava. Effettivamente nella sua visione
distorta tutti i mali potevano essere attribuiti solo al detective e
non si rendeva conto che la rabbia lo stava accecando.
Sì,
riesco a ricordarlo con precisione. Era una serata di luna piena,
tutto taceva se non il vento che scuoteva piano i fili di erba e le
foglie degli alberi. L'atmosfera era molto calma e rilassata, ma io
ero furente. Mi ero reso conto all'improvviso di ciò che ero
diventato e non riuscivo a non provare odio verso tutto. E con chi
potevo sfogarmi se non con Any?
Improvvisamente
mi resi conto di cosa stavamo parlando. “Così
crudele da aver
ucciso una ragazzina.” “Così crudele da
aver ucciso la sua
fidanzata.”, possibile che fosse così furioso da
fare una cosa del
genere? In fin dei conti si era mostrato sempre molto calmo fino a
quel momento.
Andai
da lei a grandi passi ed entrai nella sua stanza. Dovevo parlare,
qualcuno mi doveva ascoltare.
“Non
ce la faccio più.” dissi.
“Come?” lei era confusa. “Tutto
ciò non è normale. Guarda che cosa è
successo sia a me che a te!
Ci hanno distrutto, dobbiamo essere qualcuno che non siamo mai stati!
Devono essere dei pazzi a fare tutto questo!”
“Beyond,
calmati...” “Insomma, io non sono più
io, sono diventato come L,
stesso aspetto, stesso modo di fare... Io non sono Beyond, io sono un
altro L, ma sono solo una copia, non sono altro che una stupida copia
che non avrà mai l'importanza dell'originale
finché questo non
morirà...” parlavo senza più sentire
lei, l'importante era sapere
che qualcuno stesse sentendo e che io potessi dire la mia, la
sovrastavo con la mia voce, le impedivo di rispondermi e la obbligai
ad urlare.
“Beyond!
Ascoltami!” urlò facendomi sentire la sua voce
forte e chiara,
come un lampo nel buio. Mi interruppi all'improvviso.
“Ascoltami...
anche io non ce la faccio veramente più. Capisco cosa vuoi
dire: non
ha senso vivere la propria vita cercando di imitare qualcun altro
sapendo che probabilmente non saremo mai considerati alla sua stessa
altezza.”. Il suo tono di voce si era fatto calmo, era dolce
e
rilassante. “La cosa più grave è che
hanno cancellato noi stessi.
Almeno per quel che riguarda me io non sono più io, Beyond
è morto
lasciando il posto ad L.” dissi quasi in un sussurro.
“Lo so.
Anche io mi sento come te, sono costantemente sotto pressione
perché
devo raggiungerlo.”.
A
quelle parole mi fermai. Any era rimasta spensierata come un tempo,
non si preoccupava di nulla, perché diceva questo adesso?
“In
realtà almeno in presenza di altri ho voluto nasconderlo, ma
anche
io non riesco a dormire la notte perché penso che devo
assolutamente
eguagliare una persona che potrei anche non raggiungere mai e che
devo essere sempre la prima della classifica... La mia vita
è una
gara e non reggo veramente più! Comincio a desiderare la mia
morte,
vorrei solo poter riposare, anche se sarà in una
tomba.” “Cosa?
Ma non hai mai...” “E per di più non
riesco ad essere normale,
sono perennemente nervosa, non riesco a rilassarmi con nessuno,
non... ecco, credo si sia notato che non riesco a trovarmi a mio
agio, vero?” “Ma se davvero non dormi la notte non
dovresti avere
anche tu segni fisici come le occhiaie?” “Semplice
correttore.”
cadde il silenzio per qualche secondo quando lei lo interruppe di
nuovo: “Usciamo?”.
Devo
dire che come richiesta al momento mi parve parecchio strana. In un
momento simile uscire era la cosa più inutile che potessi
fare,
eppure una volta fuori, vedendo quel paesaggio notturno riuscii a
rilassarmi. Sì, non c'era bisogno di scaldarsi troppo.
Notai
che Any aveva uno sguardo triste e perso nel vuoto, stava pensando e
continuai a stare in silenzio per non interromperla, anche se ero un
po' preoccupato dal suo atteggiamento. Passeggiammo per un po' nel
giardino finché non trovai il coraggio di chiederle che
stava
succedendo.
“Sto
per morire.” disse.
All'inizio
non capii, ma quando ripetei quelle parole nella mia testa andai
quasi in panico. “Come sarebbe a dire? Stai
scherzando?” mi
trattenni dal guardare la sua durata vitale. Non volevo saperla.
“Beyond,
perché non mi guardi mai negli occhi?” mi chiese.
Che c'entrava
una domanda simile in quel momento?
“Come?
Io ti guardo, ma...” “Non è vero, eviti
di farlo, perché?”.
Beh,
ero preoccupato dalla piega che stava prendendo il discorso e non
riuscivo a ragionare lucidamente, come avrebbe fatto L, ma in quel
momento mi sentivo più confuso ogni secondo che passava.
Allora
parlai.
Per
la prima volta in vita mia dissi a qualcuno del mio potere, cercando
di non sembrare pazzo. Inizialmente lei era incredula, faceva molta
difficoltà a seguirmi, ma alla fine, dopo averle raccontato
tutto
nei minimi dettagli, mi credette.
Terminato
il mio racconto mi si avvicinò. “Allora adesso
guardami negli
occhi!”. Indietreggiai. Non volevo, non volevo sapere, non
ancora.
“Non voglio...” “Fallo!” mi
spinse, mi tenne il viso fermo
tra le mani per qualche secondo, e io vidi. Non riuscii a trattenermi
dal vedere quella durata vitale.
“La
vedi?”.
Rimasi
in silenzio, di sicuro ero pallido come un cadavere, tremavo.
Che
fine fa tutto il coraggio di un essere umano?
Io
ero forte, io ero coraggioso.
Anche
Any lo era, e dopotutto anche L.
Allora
perché questo coraggio è sparito nel momento in
cui ho saputo che
non c'era più nulla da fare?
___________________
Authoress'
words
Salve!
Oggi sono una fiera nulla facente prima delle vacanze! Non che io stia
qui a casa mia a grattarmi la pancia, ma non sono uscita e non credo lo
farò, però ho impiegato tutto il tempo finora a
fare la beta per una mia amica e, credetemi, non è
così facile come sembra, anche perché i suoi
capitoli sono lunghissimi...
Oramai
dire cose inutili sta diventando un'arte per me, sia nelle recensioni
che qui in questo spazietto, ma immaginate come sarebbe noioso il mondo
senza cose inutili? Bisognerebbe dire solo cose fortemente inerenti al
discorso senza divagare neanche un po' e senza poter
fantasticare inutilmente su
qualcosa!
Bene,
tutto questo per dire che per la gioia di tutti continuerò a
dire stupidaggini e cose inutili! Sì, lo so, vi starete
chiedendo se l'ho scritta davvero io questa storia e in effetti persino
io quando la rileggo a volte non mi riconosco nella mia
infantilità. Che soffra di doppia personalità? A
quanto pare c'è una me intelligente e colta e una me idiota
e infantile...
A domenica
prossima!
Any
|
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Capitolo 9 *** Theme 16. Shinigami Kai ***
Questa storia è stata ispirata al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi non mi appartiene.
“E
allora? Cosa vedi?”.
Ricordo
molto poco di quella sera da quel momento in poi, so solo che
appoggiai delicatamente le mie labbra sulle sue e poi più
nulla.
Buio.
I
miei ricordi ricominciano nel momento in cui fui nella mia stanza,
nel mio letto. Dopo ciò che avevo visto non riuscivo a
prendere
sonno, e come avrei potuto?
Alla
fine mi alzai e uscii di nuovo cercando di non fare il minimo rumore.
Non sapevo perché lo stavo facendo, ma improvvisamente
sentii una
grande freddezza invadere il mio corpo, i miei sentimenti erano
spariti, dentro di me c'era solo curiosità di vedere come
era morta,
non avvertivo nemmeno un po' di dolore, come se i miei sentimenti si
fossero perduti per sempre.
Si
era suicidata. Vidi il suo corpo senza vita nell'erba del giardino
trafitto da un coltello.
Chissà
dove l'aveva preso...
La
sollevai e la trasportai in un luogo più nascosto, dove la
abbandonai, presi il coltello e lo pulii come potevo.
Improvvisamente
mi resi conti di ciò che stava accadendo: fino a quel
momento mi ero
comportato come se tutto non fosse reale, come se fosse stato un
sogno nel quale non avevo possibilità di scegliere cosa fare.
Any
era morta per colpa di L.
Io
ero il successore numero uno, ma dopo ciò che era accaduto
non
volevo più esserlo. Perché solo una copia?
Perché non potevo
essere l'originale? Perché dovevo avere l'ossessione di
assomigliargli? No, non potevo andare avanti in quel modo, vivendo
nell'odio di una persona che avrei dovuto imitare per tutta la mia
vita restante.
Quindi
non l'aveva uccisa lui...? Eppure tutti dicevano il contrario nella
casa! Potevo fidarmi davvero del diario? Mi fermai qualche secondo.
Certo che potevo, in fin dei conti quando era stato scritto per B era
già tutto finito, era stato arrestato. Che motivo aveva di
mentire
così?
Quasi
senza ragionare mi avvicinai al cancello dell'istituto. Mi voltai, lo
guardai per l'ultima volta con uno sguardo quasi affettuoso. In fin
dei conti era stato la mia casa...
Riuscii
a scavalcare quella barriera senza troppe difficoltà e
presto fui
fuori.
Era
strana la sensazione di sapere di essere all'esterno: a volte ero
uscito, ma mai da solo.
Senza
più voltarmi mi incamminai verso il nulla. Non avevo la
più pallida
idea di dove stessi andando, ma sapevo che dovevo allontanarmi e in
fretta.
Non
avevo quasi nulla con me, se non uno zaino con dei quaderni su cui
scrivere, delle penne, dei vestiti di ricambio e un po' di denaro, ma
non sarebbe stato abbastanza per sopravvivere se non avessi trovato
un modo per guadagnarne altro.
Passai
la notte all'aperto, non avendo dei luoghi dove andare e il giorno
dopo ripresi il mio cammino.
Avrei
potuto guadagnare il sostentamento in vari modi, dato che alla The
Wammy's House mi avevano insegnato anche delle discipline inusuali che
avrei potuto sfruttare... No, in fin dei conti chi avrebbe mai
assunto un ragazzino di 15 anni? Almeno, non in Inghilterra.
Decisi
di trovarmi un rifugio. Passeggiavo tranquillamente per le strade di
Winchester come un normalissimo ragazzo che non ha nulla da temere.
Conoscevo
una casa cadente in pezzi, totalmente abbandonata nella periferia e
mi ci sistemai dentro. Era una delle case più malandate che
avessi
mai visto, ma in fin dei conti c'era l'essenziale.
Ricordo
che lì mi sentii a mio agio: potevo tornare a essere me
stesso,
potevo far rinascere Beyond.
Nei
giorni successivi cessai definitivamente di essere L: ricominciai a
sistemarmi i capelli, a vestirmi normalmente... ma non riuscii a
perdere l'abitudine di mangiare marmellata.
All'inizio
vivevo grazie a ciò che avevo portato con me, senza altro.
Sistemai
il mio rifugio meglio che potevo, per renderlo accogliente.
Forse
solo per noia cominciai a leggere i giornali abbandonati al parco,
giusto per sapere cosa accadeva nel mondo e mi ricordo che un giorno
rimasi molto colpito dal titolo in prima pagina: “Uccisa
ragazza
all'interno dell'orfanotrofio The Wammy's House, pare che l'assassino
sia uno studente.”.
Studente?
Any si era suicidata... Improvvisamente ricordai con terrore che quel
coltello che lei aveva usato era stato toccato da me e inoltre
assomigliava molto al mio... L'avevo uccisa io? Poteva essere
possibile una cosa simile? Certo che no, non le avevo fatto nulla!
Lessi
l'articolo: diceva che sia l'oggetto che il cadavere erano stati
analizzato ed erano state trovate le mie impronte. Dannazione!
Perché
l'avevo spostata? Perché avevo toccato quello stupido
coltello? Non
ero stato io! Si era suicidata, perché non gli è
nemmeno passato
per la testa a quel branco di idioti degli agenti?!
No,
non potevo stare ancora a Winchester, dovevo andarmene, ma non avevo
denaro con me, come potevo cavarmela?
Cominciai
ad avere timore di essere riconosciuto, a volte mi camuffavo come
potevo per evitare questo e per essere libero di uscire. Eh, no,
Beyond non era così timoroso: non avrebbe rinunciato a
vivere solo
perché era accusato di un crimine non commesso.
Esploravo
la città entrando in negozi e locali, giusto per vedere le
persone,
mi affascinava vedere il loro comportamento, il loro approcciarsi ad
altri, erano come pedine di un gioco che compivano il loro dovere di
vivere...
Le
mie visite erano molto gradite in un luogo che conobbi poco dopo: un
hotel internazionale. Semplicemente mi adoravano perché
conoscevo
molte lingue straniere e molte culture, soprattutto ero affascinato
da quella Giapponese.
Cominciai
a guadagnare un po' di denaro facendo l'interprete per i clienti e
così potevo anche conoscere altre persone decisamente
interessanti.
Avevo studiato le culture straniere, ma mai potuto osservarle da
vicino. Rimasi incantato dall'eleganza dei Francesi, dal lusso degli
abiti tradizionali Spagnoli, dalla curiosità quasi invadente
dei
Cinesi, dalla cordialità degli Italiani... ma quelli che mi
influenzarono di più furono di sicuro degli Americani.
Un
giorno che mi trovavo lì intravidi in lontananza due uomini
che
parlavano tra di loro molto interessanti almeno nell'aspetto. Uno era
alto e grosso, pieno di tatuaggi sulle braccia e un sigaro in bocca,
l'altro era magro, sembrava quasi tremare dalla paura. Una coppia
molto inusuale.
Mi
avvicinai. Loro non si accorsero di me e io ascoltai i loro discorsi
interessato.
“S-se
facessi così potrei morire, lo sai, vero?”
“Capirai! Non sarà
il massimo della sicurezza come piano ma non possiamo permettere che
quei bastardi ci rubino il monopolio: siamo noi che comandiamo,
è
questo che devono capire!” “Ma... se
morissi...” “Se muori
tu, muore anche il loro capo. Poi, senti, hai giurato come tutti gli
altri che non ti saresti fatto simili problemi legati solo al tuo
egoismo: è meglio usare una vita o perdere l'intera
organizzazione?”.
Cominciavo
a capire: si doveva trattare di mafia. Guardai sulla testa di
entrambi per vedere la durata vitale. Tanto valeva porre fine a
quell'inutile discussione e inoltre non ne potevo davvero
più di
sapere di essere l'unico a conoscenza delle mie capacità:
“Non ti
preoccupare Kal, hai da vivere ancora cinquant'anni.” dissi
all'improvviso. Finalmente mi videro, l'uomo spaurito mi
guardò con
aria interrogativa. “Ci conosciamo? E poi che ne sai tu di
quanto
mi resta da vivere?” chiese con cautela.
“È la prima volta che
ci vediamo, non ci conosciamo. Mi chiamo Beyond Birthday.”.
L'altro
uomo intervenne: “Ehi! È il ragazzino ricercato
per aver ammazzato
la sua compagna all'orfanotrofio o sbaglio?”. Sospirai.
“Tutte
sciocchezze, non l'ho nemmeno toccata: si è trattato solo di
suicidio e...” l'uomo di nome Kal Snyder mi interruppe di
nuovo:
“Non hai ancora risposto all'altra domanda: come fai a sapere
quanto vivrò ancora e come fai a sapere il mio nome se non
ci
conosciamo?”. Sorrisi soddisfatto del fatto di averlo mandato
in
confusione. Mi tolsi il cappello che avevo indossato quella mattina
per coprire i miei occhi e mostrai il loro colore.
“Perché io
posso vedere il nome di tutti gli esseri umani e vedere quanto resta
loro da vivere.”. Kal mostrò di credermi, lo
capivo dal suo
sguardo, ma l'altro scoppiò a ridere: “Credi di
farti credere
utilizzando delle lentine rosse? Se credessimo a tutto ciò
che
dicono i ragazzini non saremmo mai arrivati dove siamo! Dico bene,
Jack?” “Ah... sì...” rispose
l'altro non troppo convinto.
“Come vuoi, Dwhite Godon.”. Dwhite
impallidì. “Come sai il mio
vero nome? Nessuno lo sa!” “L'ho
detto...” mi indicai l'occhio
destro col dito, sorridendo, ma con un sorriso quasi malvagio. Mi
allontanai lasciandoli soli, non mi sarei più intromesso, mi
dissi,
ma già il giorno dopo dovetti infrangere quella promessa,
perché
furono loro stessi a venire da me. Mi dissero che ero una risorsa da
sfruttare e che in fin dei conti a Winchester non avevo nulla a
trattenermi, mi offrirono di partire con loro per Los Angeles.
Accettai,
che altro potevo fare? Era stata la prima e unica
possibilità che
avevo per allontanarmi da quel luogo così pericoloso.
Sì, stavo per
entrare in una organizzazione criminale, ma non importava. In fin dei
conti a cosa mi serviva rimanere lì? A cosa mi serviva quel
senso di
giustizia che pretendevano di insegnarmi per farmi essere come L? Per
colpa sua adesso ero anche considerato un criminale, un assassino, e
come potevo allora deludere le sue aspettative?
Tornai
nella mia “casa” con questi pensieri e cominciai a
raccogliere
quelle poche cose che avevo per il viaggio, ma in effetti cosa avevo?
Quasi nulla. Qualche vestito, qualche quaderno su cui scrivere tra
cui uno nero che conservavo completamente vuoto: era il mio quaderno
preferito e volevo scriverci solo qualcosa di importante. Non avevo
nulla di utile in fin dei conti.
Oramai
non mi aspettavo più nulla, avevo smesso di sperare di avere
una
vita migliore, dato che pareva che più sperassi peggio
andassero le
cose. Ora quel viaggio non mi sembrava più una nuova
possibilità,
ma quasi mi era indifferente: stavo per andare in California, ma in
fin dei conti era un posto come un altro, non aveva alcun significato
per me. Anzi, forse uno sì: era il posto dove fuggire. Forse
stare
lì era solo più pericoloso, ma almeno sarei morto
innocente.
Mi
guardai a uno specchio rotto nel mio rifugio. Non c'era una durata
vitale sotto il mio nome anche se avrei voluto tanto conoscerla, un
po' per curiosità, un po' per consolazione. Strano che
proprio io
non potessi vederla, come se non fossi umano, e in effetti oramai
avevo davvero ben poco in comune con il resto degli uomini. Come
avrei potuto definirmi? Mi sentivo come un demone, capace di
prevedere la morte, capace di conoscere le informazioni più
personali delle persone con uno sguardo. Ma perché io?
Perché
questo potere lo avevo io e nessun altro essere umano nel mondo? Era
stato un semplice caso che io avessi questa capacità
così crudele?
Richiusi
il mio zaino con tutto all'interno facendo ben attenzione a non
lasciare nulla fuori, poi mi stesi su quello che usavo come letto: un
giaciglio formato da pezzi di vecchi mobili dentro a dei sacchi di
tela che avevo trovato abbandonati al mercato vicino ad una
bancarella.
Socchiusi
gli occhi e sospirai: “Se solo potessi vedere la morte del
mondo...”. Ma per vederla avrei avuto bisogno di conoscere
dove si
trova il volto del mondo, giusto? E allora, dov'è il volto
del
mondo? Forse ci siamo sopra, forse l'intero mondo è il suo
volto?
Chiusi
gli occhi e mi lasciai andare al sonno, sentendo pian piano il mio
corpo rilassarsi, sentendo di stare bene. Almeno nel sonno potevo
essere sempre me stesso, o forse recitavo persino nei sogni? Forse
non avrei mai scoperto chi era il vero Beyond, forse avrei finto per
sempre senza rendermene conto, ma oramai non potevo più
tornare
indietro: stavo impazzendo, sentivo che la mia lucidità
cominciava a
vacillare di fronte a tutte quelle sfide e sentivo che continuando
così avrei ceduto.
Prima
di addormentarmi formulai un ultimo pensiero: “No L, non
deluderò
le tue aspettative: se ciò servirà a dimostrarti
che sono al tuo
livello e non solo una copia sappi che sono disposto anche ad
uccidere”.
_____________
Authoress'
words
Buona
domenica! Per la prima volta da quando è iniziata la fan
fiction dovrò dire qualcosa di quasi utile e ciò
mi fa sentire importante: i nomi Dwhite Godon e Kal Snyder non sono
inventati da me, ma sono i veri nomi di Rodd Los e di Jack Neylon.
Ricordate chi sono? Il primo è il capo della mafia di Los
Angeles con la quale si allea Mello e il secondo è quello
che diventerà il proprietario del Death Note dopo lo scambio
con Sayu e per quel che riguarda i problemi di incongruenza temporale
non vi preoccupate, ho fatto i miei calcoli ed è
possibilissimo che si tratti di loro dato che quando B ha 15 anni loro
ne hanno rispettivamente 26 e 21 e quando si entra nella mafia di
solito lo si fa da giovanissimi quindi ci troviamo.
Bene, non
aggiungo altro, alla prossima!
Any
|
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Capitolo 10 *** Theme 2. Jiken ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Quando
mi alzai la mattina del giorno successivo ero pronto per il viaggio.
Uscii di casa e raggiunsi il luogo dell'appuntamento con gli uomini
che mi avrebbero accompagnato in America, a Los Angeles. Nel solito
albergo, erano seduti sempre allo stesso tavolo del bar interno. Li
salutai e senza troppe parole uscimmo di lì per dirigerci
alla loro
auto che ci avrebbe portati all'aeroporto di Heathrow a Londra.
Il
viaggio non fu molto lungo, ma fu pesante a causa della costante
puzza di fumo da sigaro che ristagnava nell'auto. Non seguivo i
discorsi delle persone che mi erano vicine, ma se mi chiedevano
qualcosa mi limitavo a rispondere “sì” o
“no” in base a ciò
che riuscivo a capire dalle loro espressioni sul volto.
Non
avevo mai visto Londra e vederla dal finestrino di un'auto non
è il
massimo, ma il capo, un uomo che si chiamava Dwhite Godon, ma che si
faceva chiamare Rodd Los mi fece scendere dall'auto proprio sotto il
Big Ben: disse che forse non avrei più rivisto l'Inghilterra
e che
siccome il volo sarebbe partito dopo ore ed io ero solo un ragazzo
voleva farmi questo favore, farmi visitare quella città. In
effetti
me lo sono sempre chiesto: come mai i peggiori criminali di questo
mondo si mostrano poi tanto gentili di fronte a certe persone?
È
come se cercassero un perdono, un capro espiatorio per i loro crimini
e infatti molti si rifugiano nella religione, hanno una Bibbia in
casa, la leggono ogni sera, pregano con costanza...
Visitai
Londra, vidi il Big Ben e mi lasciai andare per quel giorno. Quei
criminali furono quasi affettuosi con me, si comportarono da amici
nei miei confronti, cosa che non mi aspettavo minimamente.
Quando
venne l'ora finalmente ripartimmo per l'aeroporto di Heathrow, ma con
due ore di anticipo per via del check-in. La fila sembrava essere
sempre ferma, non scorrere mai e per passare il tempo parlavo con i
miei “amici”. Improvvisamente Rodd mi diede in mano
un foglietto:
“È un passaporto falso, dovrai fingere di essere
mio figlio o qui
non ti faranno imbarcare.”. Senza stupirmi troppo lo aprii,
secondo
quel documento il mio nome sarebbe stato Bevis Bryant e mio padre
sarebbe stato Roddy Bryant. La foto che si trovava su quel documento
me l'aveva fatta scattare qualche giorno prima e mi aveva accennato
che serviva a qualcosa per il viaggio. Guardandola vidi il mio nome
galleggiare su di essa, se solo le persone addette ai controlli
avessero avuto i miei occhi il piano sarebbe saltato... Un tempo il
nome che sarebbe comparso non sarebbe stato “Beyond
Birthday”, ma
quello era solo il nome che mi ero scelto, il nome sulla mia testa
era mutato nell'istante della morte dei miei genitori ed era per
quello che avevo dimenticato quello vero: quel nome era apparso
all'improvviso come un'ammonizione a ricordare che cosa sono e a cosa
sono condannato.
Finalmente
riuscimmo ad imbarcarci sull'aereo e mi potetti sistemare su una
poltroncina morbida come non ne sentivo da tempo. Avvertii dietro di
me una voce potente: “Ehi Beyond! Perché non ci
dici se questo
volo arriverà a destinazione o precipiterà
prima?”. A queste
parole sentii un coro di risate ed esausto mi voltai verso Rodd.
“Anche se dovesse accadere si salveranno tutti i
passeggeri.”
sussurrai. Potevo anche rimanere tranquillo per il momento.
Per
non avere problemi col fuso orario mi obbligai a dormire per buona
parte del viaggio anche se mi risultava difficile. Quando ci
avvicinammo alla destinazione rimasi incantato da come Los Angeles
potesse essere luminosa.
Eh
già, mio caro lettore, all'epoca ero ancora
“umano” potrei dire,
ancora facevo attenzione a queste cose e ancora mi ostinavo a
sentirmi un ragazzo normale, ma ben presto avrei perso del tutto
quell'attaccamento alle cose riguardanti la vita come le luci, i
colori.
Una
volta sceso dall'aereo trovammo ad attenderci un'auto nera dall'aria
molto elegante e costosa. Una volta a bordo cominciammo a percorrere
delle strade che più andavamo avanti, più si
facevano buie e
minacciose, finché non giungemmo al
“covo”, una casa che
sembrava abbandonata da tempo, con le finestre sbarrate e il giardino
totalmente incolto.
Quando
entrammo trovai un interno che sembrava l'esatto opposto
dell'esterno: l'arredamento non era per nulla spartano a giudicare
dai divani costosissimi, il tavolino di legno e cristallo...
“Benvenuto
Beyond! Qui è dove noi lavoriamo, questa è la
nostra casa...”
disse Rodd.
Casa.
Un termine che per me aveva perso quasi totalmente significato: non
mi serviva un rifugio fisso, mi bastava di essere sicuro, anche
cambiando abitazione ogni giorno se necessario, che senso aveva
legarsi a un posto se poi lo si sarebbe dovuto abbandonare? Nessuno!
Perciò non mi interessava nemmeno più se il luogo
fosse accogliente
o meno, l'importante era compiere il mio dovere.
Mi
furono presentate altre persone: Zakk Irius, Gurren Hangfreeze (il
cui vero nome era Ralph Bay), Rushuall Bid (vero nome Al Meem) e
Marvin Hayes (vero nome Haru Harada). Nessuna di quelle persone
sembrava essere molto socievole e tutti mi davano una sensazione di
diffidenza al primo sguardo.
Quella
sera la passai a sistemarmi un angolino dove poter stare con la mia
roba, anche se era talmente poca che non avevo bisogno di troppo
spazio. Presi il quaderno nero e lo sfiorai con la mano. Avevo voglia
di scriverci, ma alla fine pensai che non era il caso di sprecarlo
così dato che non avevo idea di come utilizzarlo e non avevo
certo
voglia di strappare via delle pagine inutili: quel quaderno doveva
essere perfetto, senza nemmeno errori o cancellature: niente di
niente.
La
mattina seguente mi alzai di buon'ora come al solito, ma tutti gli
altri dormivano ancora, così mi preparai qualcosa da
mangiare e
dopo, giusto per ingannare il tempo, diedi un'occhiata
all'arredamento e notai un mobiletto di legno chiuso. Non essendo
chiuso a chiave non ci doveva essere nulla di importante,
così lo
aprii e fui alquanto sorpreso di trovare delle cose che sembravano
libri, ma che erano molto più colorate, con copertine tutte
uguali e
dei numeri. Presi il primo e vidi sul lato frontale della copertina
il disegno di una bambina vestita di rosso, con i capelli dorati e
degli occhi castani decisamente sproporzionati rispetto al resto del
volto. La strana figura si trovava su una scopa volante e vicino
aveva una sottospecie di volpe azzurra, e dietro ancora un altro
bambino con i capelli neri e vestito di nero. Anche lui con occhi
enormi sempre neri e anche lui a cavallo di una scopa. Lo sfondo era
una campagna alberata. C'era anche una scritta su quel disegno, ma
era scritta in caratteri a me sconosciuti, doveva essere qualcosa di
orientale di sicuro, così riposi quello strano
“libro” al suo
posto.
Poco
dopo si svegliarono gli altri e chiesi che cosa fossero quegli
oggetti. Fu Marvin a rispondermi: disse di essere Giapponese e che
quelli erano manga che leggeva nel tempo libero, poi prese il primo e
mi disse che la scritta in alto si leggeva “Akazukin
Chacha” e
poi ancora mi disse che se avessi voluto mi avrebbe insegnato a
leggere quegli strani ideogrammi chiamati “kanji”.
Mi
interessavano molto le culture straniere e la mentalità di
chi ha
vissuto in un luogo diverso, perciò accettai l'idea di
imparare
quella lingua e quelle strane tradizioni a me sconosciute. La mattina
mi alzavo sempre prima di altri e cercavo di leggere quei manga, ma
non essendo molto abile ero costretto a tentare molte volte prima di
trovare la traduzione corretta, ma Marvin era comunque soddisfatto:
diceva che pochi sarebbero stati capaci di imparare così in
fretta
quella lingua.
Sempre
al primo giorno, Rodd mi mise subito all'opera, chiedendomi di vedere
la data di morte di uno dei suoi uomini: questo avrebbe teso una
trappola al capo di un clan rivale e inevitabilmente sarebbe seguito
uno scontro con armi da fuoco, ma si sarebbe salvato: la sua durata
vitale era ancora lunga. Devo dire che quel ruolo non mi piaceva per
niente, avrei avuto costantemente a che fare con la morte di persone
che nemmeno conoscevo. Ogni giorno mi facevano passare sotto agli
occhi decine di foto di persone la cui morte era molto vicina:
dovevano essere sicuri che le loro azioni sarebbero andate a buon
fine e in cambio ottenevo vitto e alloggio.
Uno
di quei giorni mi fu presentato un ragazzino: dall'aspetto doveva
avere circa 11 anni, se non di meno. Dissero che voleva entrare nel
clan e che era molto motivato a farlo, perciò non glielo
avrebbero
impedito, eppure era fin troppo giovane. Rodd mi chiese di vedere la
sua durata vitale, già avevo visto che aveva poco
più di un mese di
tempo, ma quando aprii la bocca per dirlo fui interrotto e portato
nella stanza vicina dall'uomo.
“Non
ti azzardare a dire la verità.”
“Come?” “Quel ragazzino ci
serve, se gli dici che ha poco da vivere non vorrà
più collaborare.
Quanto ha ancora?” “Poco più di un
mese.”. L'uomo si fermò un
attimo a riflettere. “Dagli un motivo per restare con
noi.”
concluse riportandomi nella stanza dove si trovava quell'esserino
così gracile. Era magrissimo, aveva la pelle pallida e i
capelli
biondi sporchi.
Quella
che dovevo dire era una delle peggiori menzogne possibili.
Voltai
la pagina del diario automaticamente, senza quasi rendermene conto,
ma immediatamente notai qualcosa di strano, qualcosa che non andava:
al posto del solito spazio bianco che Beyond aveva lasciato sotto
ogni pagina c'era un'insolita macchia di inchiostro blu. Che a B
fosse caduto dell'inchiostro non era impossibile, certo, a chiunque
può scoppiare una penna, soprattutto dopo aver scritto tante
pagine,
ma ciò che mi aveva stupito non era questo.
La
macchia era di un colore diverso dal solito nero di Beyond, ma
soprattutto era recente.
L'inchiostro
che si trovava su quella pagina di quaderno era lì da circa
un
giorno, non di più, tanto che toccandolo mi trovai le dita
leggermente colorate di blu scuro.
Come
era possibile una cosa simile?
La
risposta poteva essere una sola: qualcuno aveva preso quel
quadernetto poco prima di me e per errore aveva lasciato cadere
dell'inchiostro, quindi qualcuno che stava maneggiando una penna,
magari prendendo appunti sulla storia del nostro predecessore.
Dovevo
assolutamente scoprire di chi si trattasse, ma come farlo? Se avessi
chiesto a qualcuno se fosse mai entrato in quella stanza ovviamente
mi avrebbe risposto di no, in fin dei conti chiunque sarebbe finito
in guai seri se si fosse venuta a sapere una cosa simile e meno
persone ne fossero state a conoscenza meglio sarebbe stato.
Forse
avrei potuto giungere a quella persona tramite domande vaghe su B,
oppure avrei potuto tendere una sottospecie di trappola?
Ma
come?
Forse
l'idea più scontata sarebbe stata quella di appostarsi
attendendo
l'altro lettore, ma sarebbe potuto arrivare anche dopo giorni per
quel che ne sapevo. No, non era una buona idea.
Presi
un fazzoletto che avevo con me e raccolsi un po' dell'inchiostro che
lo sconosciuto aveva lasciato sulla pagina, poi lo richiusi.
Purtroppo
non era raro trovare nella The Wammy's House persone con una penna di
un colore simile, in fin dei conti quello era forse il più
utilizzato per scrivere e per prendere appunti per lo studio.
Mi
decisi a tornare nella mia stanza, quindi riposi il diario di Beyond
Birthday, anche se stavolta ero decisamente in anticipo per la
sveglia.
Una
volta in camera mia con mia grande sorpresa trovai Mello sveglio,
intento a mordicchiare una tavoletta di cioccolato mentre scriveva
qualcosa in un quaderno. Sembrava nervoso come al solito. Piano
spinsi la porta ed entrai, al minimo rumore si voltò.
“Dove
diavolo sei finito?” mi chiese. “Niente di
importante, avevo
dimenticato questo robot in una stanza.” dissi indicando il
piccolo
giocattolo che usavo come chiave. “Ma oramai è
distrutto...”
obiettò Mello voltandosi nuovamente verso la scrivania dove
stava
scrivendo.
“Certo
che sei davvero bravo a mentire, Near.”
____________________
Authoress' words
Oggi partirò e tra tre giorni
sarò in Grecia. Cercherò in tutti i modi di
continuare ad essere puntuale con gli aggiornamenti, ma non garantisco
nulla, purtroppo non è sicuro che avrò la
connessione a Internet...
Comunque proprio per essere puntuale mi sono alzata
alle 6:00 quando tutti quanti dormono ancora solo per pubblicare questo
capitolo.
Forse voglio troppo bene a questa storia?
In fin dei conti ci sono parecchio affezionata...
Any
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Capitolo 11 *** Theme 69. Mello's Theme ***
Theme 69. Mello's Theme
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Inizialmente
ero confuso. Bravo a mentire? Sapeva già che non ero andato
solo a
recuperare un giocattolo?
“Certo,
potresti davvero andare a prendere un giocattolo, ma non ci sarebbe
bisogno di farlo ogni mattina, no?” mi disse con aria di
sfida.
“Beh, non che mi interessi sapere cosa fai, figurarsi, che me
ne
può importare? Ma in questo periodo è meglio che
ti tenga d'occhio
nanerottolo.” disse ancora. Per fortuna non sapeva nulla del
quadernetto, non sapeva nulla di Beyond Birthday e al momento era
tutto ciò che mi interessava, ma improvvisamente in fin dei
conti
aveva parlato di controllarmi. Avrei tanto voluto chiedergli il
perché, ma non volevo peggiorare la situazione e farlo
innervosire
davvero, così continuai a rimanere in silenzio.
“Ti
diverte tanto rimanere sempre in silenzio, eh?” disse poi con
un
tono di superiorità. “Sì, furbo il
nanerottolo, così pensa che
io non possa capire che pensa, che io non possa davvero attaccarlo,
eh?”.
Sì.
Per
me il non parlare era una sorta di difesa verso il mondo esterno, il
non mostrare chiaramente i miei sentimenti era un modo per non essere
attaccato da persone come Mello.
“E
di' qualcosa, cazzo!” urlò all'improvviso.
“La vuoi smettere con
questo tuo modo di fare?! E poi tutti dicono che sei inumano, per
forza!” si stava decisamente scaldando.
L'essere
chiamato “inumano” però non era dovuto
solo a quello. Ero
chiamato inumano da quando incontrai per la prima volta Mello, da
quando quel bambino biondo mi disse con orgoglio di essere il secondo
della classifica, la lettera M. Lui era sicuro di quel che diceva
perché quante probabilità ci potevano essere che
stesse parlando
proprio al primo? Lo 0,(3)% di possibilità, eppure proprio
quella
piccolissima percentuale lo aveva fregato.
Gli
dissi di essere la lettera N, il primo in classifica. In pochi
secondi vidi il suo volto cambiare per l'ira. Nella sua mente aveva
dichiarato al nemico di aver perso la partita.
Da
quel momento cominciò a odiarmi, mi vedeva fin troppo
diverso per
poter essere il numero uno, diceva a tutti che non potevo essere una
persona per la mia eccessiva freddezza.
A
volte mi incontrava e non perdeva occasione per rinfacciarmi
qualcosa, mi diceva che non potevo capire perché il primo
posto lo
avevo già e che il giorno che lo avrei perso sarei stato
anche io
come lui.
Ma
a cosa serviva quel primo posto tanto desiderato da Mello?
A
nulla, se non a farsi odiare.
E
così andammo avanti per anni con una rivalità a
senso unico da
parte del biondo.
Per
me non era così, per me collaborare con Mello non era una
cosa così
impossibile, ma era lui a impedirlo.
All'inizio
di quell'anno ci comunicarono che saremmo stati nella stessa stanza
in tre, Mello era furibondo, il suo volto stravolto, sembrava mi
potesse congelare con uno sguardo, ma alla fine si calmò,
solo
pensando che essendomi vicino avrebbe potuto essere ancora
più
pericoloso per me.
In
effetti in quell'anno la percentuale di “incidenti”
che mi
capitarono (come la sparizione dei miei giochi) aumentò,
date le
continue trovate del mio compagno di stanza per farmi pentire di
essere stato scelto proprio io, proprio il primo in classifica, anche
se non era nemmeno colpa mia.
E
anche quel giorno sembrava volermi uccidere solo con lo sguardo e la
violenza con cui mordeva la sua tavoletta di cioccolato trasmetteva
ancora meglio il messaggio.
“Se
ti stai chiedendo perché ti devo tenere sotto controllo
sappi che
non te lo dirò. Almeno su questo sono il primo.”
concluse
trionfante facendo svegliare Matt per il tono troppo alto della voce.
Dopo
poco tutti andammo a lezione normalmente e ci comunicarono che a
breve ci sarebbe stato un'altra di quelle prove che dovevamo
sostenere per aggiornare nuovamente la classifica.
Che
fosse quello a cui si riferiva Mello?
No,
impossibile. Come avrebbe potuto saperlo prima di tutti gli altri? E
poi non aveva mai tentato di controllarmi nonostante avessimo
già
sostenuto molti di quei test.
La
giornata scolastica passò normalmente, nessuna
novità rilevante.
Continuavo a chiedermi che cosa c'era di così importante da
far
scomodare il mio compagno di stanza.
La
risposta arrivò nel pomeriggio.
Ero
nella nostra stanza, componendo un puzzle totalmente bianco. Mello
continuava a comportarsi da totale indifferente nei miei confronti,
mentre discuteva con Matt di un nuovo videogioco.
Stavo
per appoggiare al suo posto l'ultimo pezzo della composizione bianca
quando la porta della stanza fu aperta. Sollevai lo sguardo e
osservai per qualche secondo Roger. Aveva un'aria stanca, come al
solito, e davvero sembrava non reggere a tutta quella mole di lavoro
che gli aveva lasciato Watari.
“Mello,
Near... dovete venire con me nel mio studio.”.
Io
non capivo il motivo di un richiamo, non poteva essere per via di
qualche problema, la voce del direttore era fin troppo calma.
Certo,
per qualche secondo avevo pensato che avesse scoperto del diario di
B, ma era impossibile dato che non era neanche stato spostato dal
luogo in cui si trovava in origine.
Mi
voltai e vidi Mello sorridere con l'aria di chi sa di essere l'unico
a sapere che cosa ci avrebbero comunicato, probabilmente quello che
avrebbe detto Roger era la risposta alla domanda che mi aveva
tormentato tutto il giorno.
Senza
dire nulla mi alzai e poi seguii gli altri due.
Una
volta all'interno dello studio non potei fare a meno di notare che la
descrizione data da B del posto era perfetta, un luogo freddo, ma
caldo allo stesso tempo, che incute timore da un lato, ma che mette a
proprio agio dall'altro. Non ero mai stato in quel posto prima di
allora, di solito era Roger a venire da me se proprio mi voleva
comunicare qualcosa.
Mi
appoggiai seduto sul pavimento con una gamba tirata verso di me e
l'altra abbandonata di lato.
“Beh?
Come mai ci hai chiamati?” chiese Mello. L'anziano
aspettò qualche
secondo prima di iniziare a parlare.
“Bene...
Vi volevo avvertire di una cosa.” disse porgendo al biondo un
foglio di carta e lui lo afferrò senza esitazione, lo lesse
velocemente e poi lo porse a me.
Era
una lettera, anzi, una e-mail stampata, inviata dal fondatore della
casa. Il contenuto era breve, si rivolgeva a Roger in tono amichevole
avvertendo di una imminente visita di L all'orfanotrofio durante la
quale avrebbe conosciuto di persona i due candidati alla sua
successione.
Non
avevo mai visto L in vita mia, il contatto più stretto che
avevo
avuto con lui era stato attraverso lo schermo di un computer e una
web-cam. Lui vedeva me, ma io non vedevo lui e non potevo nemmeno
udire la sua voce dato che persino quella era stata modificata
elettronicamente.
Fu
in quell'incontro che adocchiò me e Mello, forse
perché eravamo
stati gli unici a non porre domande. In quel momento, quando sentii
il suo modo di ragionare avvertii che era simile a me, disse che il
suo non era un vero senso di giustizia, disse che in realtà
per lui
catturare criminali era solo un hobby, che se si indagasse su di lui
si potrebbe scoprire che persino il più grande detective del
mondo
aveva commesso svariati crimini.
Tutti
i bambini continuavano a fare domande, accalcandosi per stare davanti
a quella telecamera, ma io stavo dietro a tutti con uno dei miei
puzzle da completare e anche Mello se ne stava in disparte, con una
tavoletta di cioccolato in mano, appoggiato al muro con l'aria di chi
non si degnava nemmeno di ascoltare anche se sapevo che in
realtà
stava prestando un'attenzione massima.
Ma
come poteva lui sapere già di quella lettera?
“Grazie
mille, Roger.” disse restituendo il foglio, strappandomelo di
mano.
Dopo poco il ragazzo si avviò verso la porta, ma fu
interrotto dalla
voce del direttore della The Wammy's House: “Aspettate.
Sappiate
che tutto ciò è segreto, non potrete dirlo a
nessuno, sapete, se lo
venissero a sapere tutti si scatenerebbe un putiferio.”.
Il
biondo si bloccò. “A nessuno?”. Quella
domanda sembrava
significare in realtà “Nemmeno a Matt?”,
ma Roger scosse il capo
in segno di dissenso: “Nessuno, nemmeno i tuoi amici,
Mello.”.
“Bene.” concluse allora spingendo la maniglia della
porta, poi mi
guardò: “Non credo che tu abbia altro da fare
lì, muoviti ad
uscire.”. Quasi senza rendermene conto obbedii alzandomi in
piedi e
seguendolo fuori dalla porta.
Nel
corridoio camminavamo in perfetto silenzio, probabilmente Mello
avrebbe parlato di più se la persona accanto a lui non fossi
stato
io, ma con me era sempre così duro, si doveva sempre
mostrare forte
e adulto, nonostante avesse solamente 13 anni e io 11.
“Come
facevi a saperlo?” chiesi.
“Oh,
ma guarda, hai parlato. Beh, diciamo che non sono estraneo a
quell'ambiente e i numerosi richiami sono stati dalla mia parte dato
che ho potuto sbirciare quella lettera prima di te.” disse
trionfante. “In ogni caso se oserai solo tentare di rubarmi
la
scena giuro che non sarò molto clemente, nanerottolo
albino.”.
Annuii
senza nemmeno guardarlo.
Quando
finalmente tornammo nella nostra stanza trovammo Matt steso sul letto
alle prese con il suo Game Boy Advance. L'oggetto emetteva una
musichetta allegra, ma il suo proprietario aveva un'espressione
decisamente annoiata sul volto. Al suono della porta che si apriva,
voltò la testa verso di noi, poi sorrise e si
alzò in fretta per
venirci incontro pieno di curiosità. In effetti capitava
raramente
che Roger ci chiamasse insieme, anzi, era molto raro che Roger
chiamasse me e comunque mai mi aveva portato nel suo studio, mentre
Mello finiva molto spesso lì per via di tutti i suoi scatti
di
aggressività nei miei confronti, ma anche nei confronti di
altri,
persino di Roger stesso a volte.
“Allora?
Che cosa è successo?”.
Mello
mi guardò, non poteva dire della visita del nostro idolo
nemmeno al
suo migliore amico.
L'unica
cosa che poteva fare in quel momento era mentire: “Niente, ci
ha
detto in anteprima i risultati della classifica.”.
“Davvero?”
replicò il rosso con un filo di delusione nella voce,
probabilmente
sperava che fosse successo qualcosa di importante. “E come
sono
andati?”.
Mello
sembrava tentato di classificare sé stesso come primo, ma
probabilmente aveva pensato che sarebbe stato meglio essere
realistico.
Pensiero
triste per lui.
“Come
al solito, questo qui primo, io secondo e tu terzo.”
“E allora
perché vi ha chiamati?” “Beh...
perché stavolta ero solo un
punto sotto l'essere bianco, quindi... beh, la prossima volta lo
supererò davvero, vedrai Matt!” replicò
il biondo con entusiasmo.
Io
nel frattempo mi ero sistemato di nuovo sul pavimento con il mio
puzzle e i miei giochi intorno, ma avevo ascoltato con attenzione lo
scambio di parole tra le due M della The Wammy's House.
Gli
altri credevano sempre che io non ascoltassi, ma in realtà
facevo
sempre molta attenzione a ciò che mi accadeva intorno e
così
intervenivo all'improvviso lasciando gli altri sorpresi.
Improvvisamente
mi venne in mente il diario di B e quella macchia di inchiostro che
era stata lasciata su una delle pagine. Mi ricordai della descrizione
di L da bambino e poi da ragazzino. Come un lampo, come se solo in
quel momento avessi davvero realizzato cosa stava per accadere di
lì
a pochi giorni: stavo per incontrare L, e non quello bambino, ma
quello adulto, proprio quello che sia io che Mello ammiravamo con
tutte le nostre forze.
L
era un tipo strano, aveva risolto decine di casi, ma lavorava solo a
quelli che trovava interessanti.
E
non solo lo avrei visto.
Avrei
finalmente capito chi era veramente.
_________________
Authoress' words
Bene,
bene! Ho trovato un bar col Wi-Fi gratis e quindi posso pubblicare
anche dalla Grecia! Al momento mi trovo a Vassiliki in un piccolo
campeggio che non ha niente, neanche il bar... ma il paese è
davvero carino e il cibo Greco è delizioso, soprattutto i
dolci!
Mi sento piena di voglia di vivere, sarà perché
sta
andando tutto a meraviglia (beh, non proprio, una macchinetta si
è mangiata la carta di credito di mia madre, si è
rotto
l'impianto elettrico del camper...)!
In
effetti credo di aver ripreso l'abitudine a dire cose inutili dato che
probabilmente non vi interessa nulla di quello che sto dicendo... Ok!
Parliamo della storia (se riuscirò a ricordarmi che succede
in
questo capitolo...)!
Allora,
finalmente ho fatto una cosa che volevo fare da molto tempo, ovvero
scrivere qualcosa su Mello. A dire il vero questo non è il
capitolo originale, ma il primo che avevo scritto l'ho
distrutto
perché non funzionava, anche se lì avevo avuto
modo di
parlare ancora di più del nostro cioccolatodipendente.
Rimango
sempre dell'opinione che se Mello odia Near, a Near invece Mello piace
e infatti lo si capisce dal modo che ha di parlare di lui, anche se
prova un certo timore per gli attacchi d'ira del biondino (e in effetti
anche io ne avrei paura).
Credo
di non avere altro da dire ma vorrei averlo perché
dovrò
aspettare qualche ora prima di connettermi e so già che mi
annoierò a morte, però così annoio
voi, quindi la
smetto.
Ah, sì! Martedì
andrò a recuperare la carta di credito di mia madre e sapete
dove? A via Mello!
A domenica 14!
Any
|
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Capitolo 12 *** Theme 37. Air ***
Theme 37. Air
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
L
sarebbe arrivato dopo un mese da quel giorno, ma nessuno lo sapeva
oltre me e Mello, ma proprio il biondo tradiva un po' di eccitazione
per l'evento.
Anche
io ero emozionato, ma decisi comunque di comportarmi come al solito,
perciò come sempre continuavo la lettura del diario di B e
in un
certo senso mi preparavo dato che proprio in quel diario si parlava
anche del mio idolo, anche se in maniera negativa, ma questo
esprimeva il pensiero della persona che più gli era stato
vicino
nella sua infanzia e che avrebbe potuto rispondere a tutte le mie
domande.
Mi
trovavo lì di fronte a lui e davvero non sapevo cosa dire.
Rimanevo
in silenzio, lo fissavo negli occhi spauriti.
Perché
non ci riuscivo? Era solo una piccola bugia, come se non ne avessi
mai dette in vita mia.
Socchiusi
gli occhi come se non avessi voluto vedere che cosa stavo per fare,
come se ne avessi avuto paura.
“Hai
ancora molto da vivere.” mormorai lentamente, strascicano le
parole. Lui sorrise, si rilassò e addirittura mi
ringraziò.
In
fondo perché preoccuparsi? Se c'era una cosa che avevo
imparato
nella mia vita era che qualsiasi cosa facessi non potevo allungare la
durata vitale di un altro essere umano, se c'era un modo non lo
conoscevo e comunque non sarei stato in grado di farlo.
“Come
ti chiami?” chiesi con gentilezza, anche se potevo saperlo in
qualsiasi momento. “Ma... hanno detto che tu lo puoi sapere
guardandomi...” mi rimproverò. “Hai un
potere incredibile! Come
ti invidio! Anche io vorrei essere speciale come te!”. Kevin
Diaz
sorrise con un sorriso infantile, un sorriso ancora immaturo.
La
mia espressione si deformò dalla rabbia: “Io non
mi invidierei
affatto. Sapere in anticipo il giorno che moriranno i tuoi genitori,
il giorno che morirà la tua ragazza... credi sia una bella
sensazione?!”. Solo dopo aver pronunciato queste parole mi
resi
conto di aver urlato. “Scusa. Non volevo alzare la
voce.” mi
affrettai a dire dopo imbarazzato, ma il ragazzino non rispose.
Silenzio.
“Perché
sei qui?”.
Ancora
silenzio.
“Una
questione di famiglia.”.
Non
ci parlammo più per il resto di quella giornata, e anche io
smisi di
provare rimorso per aver appena detto la più grande menzogna
della
mia vita.
Piuttosto
nel giro di pochi giorni mi ero parecchio affezionato a Marvin e lo
stesso valeva per lui, era sempre molto felice di potermi raccontare
del suo paese d'origine.
Alcuni
mafiosi in quel luogo portavano addosso delle collanine, degli
anelli, che tenevano come portafortuna. Dove c'è ignoranza o
poca
razionalità abbonda la superstizione, così
speravano di essere
protetti. Io lì ero l'unico a chiedermi
dell'utilità di quelle
cose, ma in fin dei conti erano interessanti, ognuno era di
provenienza diversa e ognuno aveva caratteristiche curiose,
così
chiesi a Marvin dei portafortuna Giapponesi.
“Oggi
ti interessa la superstizione, Beyond? Beh, i Giapponesi sono molto
superstiziosi, hanno portafortuna per ogni cosa, ad esempio anche gli
origami possono diventarlo: si dice che se fai cento origami a forma
di gru poi potrai esprimere un desiderio. Poi c'è il tanuki,
è un
cane procione che viene usato come portafortuna nelle case... e poi
ci sono anche quelli contro il malocchio.”. Io lo ascoltavo
sempre
con molta attenzione, ricordando ogni dettaglio di ciò che
diceva.
Oramai sapevo leggere molte cose in Giapponese e la cultura mi
affascinava sempre molto, forse perché così
diversa da quella
Occidentale.
“Oggetti
contro il malocchio? Ad esempio?” “Beh... il primo
esempio che mi
viene in mente sono le wara ningyo...” “Wara
ningyo? Cosa sono?”
“Sono bamboline di paglia che si appendono alle pareti con un
filo
e un chiodo, anche io mi divertivo a farle. Magari posso insegnare
anche a te, basta solo che mi procuri il materiale quando andrai a
fare la spesa.”.
Ero
sempre io a occuparmi delle cibarie. Rodd mi dava il denaro
necessario e poi io andavo nel primo supermercato che trovavo per
procurarmi tutto il necessario. Andavo sempre io perché non
ero
conosciuto nella zona, non potevo risultare sospetto e nessuno mi
avrebbe mai fatto del male.
Quel
giorno decisero di farmi accompagnare da Kevin per fare la spesa.
Quel ragazzino era stranamente silenzioso, sembrava quasi che
cercasse di tenere segreta persino la sua esistenza, ma probabilmente
si trattava solo di timidezza, in fin dei conti non avrei mai potuto
trovare una persona più difficile di L. Mi parve strano che
in quel
momento il mio pensiero volasse a lui. L era stato forse il mio unico
vero amico, tutti gli altri probabilmente si erano già
dimenticati
di me e probabilmente proprio in quel momento stavano pensando solo a
cosa fare quel giorno dopo i compiti.
Eppure
anche se L era stato mio amico mi aveva privato di molte cose
importanti ed era per questo che avevo deciso che un giorno gli avrei
fatto vedere chi era il migliore tra noi due, gli avrei fatto vedere
che non avrei mai potuto farmi trattare come una stupida copia senza
valore.
Perdendomi
nei miei pensieri e nelle mie promesse minacciose quasi mi ero
dimenticato della presenza dell'altro ragazzino e che quel silenzio
stava diventando troppo pesante.
“Ehi...
Qualcosa non va? Non hai ancora detto una parola...” mormorai
esitante. “Sto bene. Anche tu non hai detto nulla finora,
no?”
“Beh, allora perché non parliamo un po'? Insomma,
non credi che
sia troppo pesante questo silenzio?”.
Silenzio,
ancora.
“Ti
faranno qualche regalo?” mi chiese all'improvviso.
“Regalo?”.
Kevin si fermò all'improvviso e con un gesto goffo e
infantile mi
indicò un punto in alto. Guardai il suo dito così
sottile e poi ciò
che stava indicando. Era una luce rossa, poi verde, poi blu, poi
gialla. Una luce di Natale. Mi fermai qualche secondo ad osservarla
come immobilizzato, poi sorrisi tristemente. Mi ero praticamente
dimenticato di feste come quella. In effetti il Natale è una
festa
che si festeggia in famiglia, con le persone cui si è
affezionati e
nonostante il freddo pungente non mi era tornato in mente
quell'evento.
“Io
non ho più il mio papà, ma la mamma
sì. Ecco perché sono qui.”
disse il ragazzino coperto quasi totalmente da una logora giacca
grigia. “Non capisco, che c'entra col fatto che sei
qui?”
“C'entra perché il mio papà era nella
mafia ed è stato ucciso da
quelli del clan rivale e allora mamma mi ha detto che dovevo
vendicarlo. Io all'inizio non volevo, poi però ho cambiato
idea.”
“Ma sei troppo giovane! Non puoi immischiarti in queste
faccende!”
“Anche tu sei piccolo.”.
Mi
bloccai.
Ma
per me era diverso, no? Io dovevo fuggire, non potevo rimanere alla
The Wammy's House.
Non
so perché ma all'improvviso sentii un sentimento fastidioso
salirmi,
un sentimento che mi faceva sentire più freddo.
Un
sentimento chiamato nostalgia.
Ma
che avevo da rimpiangere? Io in quel posto non avevo avuto una vita
come la volevo, all'inizio poi fui trattato malissimo, eppure
lì non
sentivo il bisogno di pensare al futuro, potevo anche starmene a
bighellonare tutto il giorno, ovviamente dopo aver fatto i compiti.
Sì,
anche la scuola mi mancava, anche le risate di fronte agli errori dei
professori... Sorrisi, ma stavolta non ero triste, stavolta ero
davvero motivato a compiere quel lieve movimento che spinge in alto
gli angoli della bocca.
Finalmente
arrivammo a destinazione, un piccolo supermercato di periferia in una
zona malfamata e quasi del tutto inabitata, persino le cassiere
all'interno non erano dello stesso livello di quelle che si trovavano
al centro della città.
Prendemmo
tutto ciò che c'era sulla lista che ci era stata data, cibi
di vario
tipo e altre cose di primaria utilità, ma poi il mio occhio
cadde su
un altro reparto che non conteneva cibarie bensì roba per il
bricolage. Mi avvicinai chiedendo a Kevin di aspettarmi e poi presi
un po' di paglia, un filo rosso, un chiodo e li aggiunsi al nostro
carrello. Il ragazzino accanto a me era sorpreso: “A che ti
serve
quella roba?” “Poi vedrai.” gli dissi.
Andammo
a pagare da una scorbutica cassiera dai capelli rossi e corti,
truccata in maniera fin troppo pesante, poi tornammo al covo.
“Ben
tornati! Quanto ci avete messo?” chiese Rodd. Senza
rispondere
aprii una delle buste ed estrassi le cose che avevo preso anche se
fuori dalla lista, così le diedi a Marvin. Lui mi
guardò stupito e
dopo i convenevoli ci sistemammo al tavolo e mi spiegò per
bene come
fare per costruire una di quelle wara ningyo. Venne fuori una
bambolina che assomigliava a una piccola croce di paglia o a una
bambola voodoo, era tenuta insieme dal filo di lana rosso che avevo
preso e sempre un altro pezzo di quel filo le partiva dalla testa per
andare ad arrotolarsi vicino al chiodo in modo che potesse essere
appesa.
In
quel momento mi sentii tanto un bambino fin troppo contento di fronte
ad un giocattolo nuovo.
In
effetti, mio caro lettore, che senso aveva tutta quella
felicità?
Tutta quella serenità? Potevo provare quelle sensazioni
persino
vivendo nella mafia, persino vedendo ogni giorno persone che
sarebbero morte? Oramai avevo sviluppato un'insensibilità
tale da
essere così inumano, un demone della morte, ma un demone
è
malvagio, un demone è felice di fare il male.
No,
non ero un demone, un Dio della morte, ecco cosa ero. Un Dio che non
vorrebbe essere tale, un essere che ha qualcosa di diverso dalla
nascita, da prima della nascita, un Dio che vorrebbe vedere la morte
del mondo.
Ha
senso tutto questo?
No,
non ce l'ha, ma pare che nulla a questo mondo abbia senso, mio caro
lettore. Ha senso il fatto che tu ora stia leggendo questo quaderno?
Ha senso il fatto che tu sia lì, che tu sia nato? Sarebbero
bastati
pochi secondi, pochi fattori per impedire la tua (ma anche la mia)
nascita.
Eppure
tu sei lì e sei proprio tu, non qualcun altro, tu con il tuo
aspetto
e il tuo carattere, ma proprio quelli sarebbero potuti essere diversi
anche per un solo cromosoma differente, sai?
Ma
le persone che sono sulla faccia della Terra cambiano sempre
qualcosa, alcune cose sembra quasi che sia il destino a muoverle,
come l'incontro tra due individui, il trovarsi al momento giusto nel
luogo giusto (o al momento sbagliato nel luogo sbagliato)... Pensare
che tutto ciò che accade sia sempre un caso, riesci a
pensarlo mio
caro lettore? Quante cose cambierebbero se al posto tuo ci fosse
qualcun altro nato dai tuoi stessi genitori?
Avvertii
un leggero brivido. Quel discorso era spaventoso, non che avessi
paura, ma ammetto che non potevo essere del tutto indifferente.
All'epoca
ero fin troppo ingenuo. Certo, desideroso di vendetta, ma ancora fin
troppo ingenuo. Mi interessava ancora troppo della vita degli altri,
ero davvero interessato a quel ragazzino che mi accompagnò a
fare la
spesa, fin troppo.
Mi
interessavano troppo i ricordi e le cose che mi ero lasciato dietro
nonostante tutto quello che avevo passato.
Ma
la trasformazione sarebbe avvenuta, molto presto, avrei cominciato a
vedere le persone come pezzi per comporre il mio puzzle.
Dopotutto,
tutti gli esseri umani alla fine muoiono.
____________
Authoress'
words
Ma
tu guarda! Non trovo una rete Internet disponibile neanche a pagarla
eppure ogni domenica appare magicamente! Che sia volere divino che io
pubblichi? Può darsi! E allora eccomi qui puntualissima.
Sì,
lo so che questo capitolo è un po' fuori contesto e
probabilmente inutile quanto noioso per voi lettori, ma non so
perché mi andava di nominare la parola "Natale"...
Sì, lo
so, adesso penserete che io sia un'imbecille totale.
Comunque
il pericolo della pubblicazione è aggirato: il 17
sarò in
Italia con una chiavetta Internet formidabile e riprenderò a
svolgere la mia attività preferita, scrivere cose inutili
nelle
recensione delle storie che leggo!
Sapete,
è successa una cosa che mi riempie di orgoglio! Ho preso la
chitarra acustica di mio padre e mi sono messa a suonare e cantare la
canzone Zombie dei Cranberries e credo di aver cantato troppo forte
perché appena ho terminato l'esecuzione si sono
alzati un
sacco di applausi! Ho già cominciato la mia carriera pare...
Bene, a
parte questo e il fatto che mi manca da matti Kinder (la mia chitarra
elettrica) credo di non avere altro da aggiungere.
A domenica
prossima!
Any
|
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Capitolo 13 *** Theme 58. Tokei no Hari no Oto ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Dopo
poco, come previsto, morirono le persone che mi erano vicine.
Morì
Kevin, morì Marvin, entrambi in una sparatoria. Alla morte
del
secondo inizialmente mi comportai come gli altri si aspettavano da
me: ero mogio, non mi andava di uscire, ma poco dopo mi resi conto
che questo tipo di atteggiamento non mi era naturale, era come una
recita. Nonostante tutto io stavo bene, per me era normale, non c'era
nulla di nuovo, nulla di doloroso.
Ecco,
è qui che la gente mi ha definito inumano.
Fastidioso,
non trovi mio caro lettore? Eppure non reagivo, non facevo nulla per
dimostrare il contrario.
Anche
io venivo spesso definito così anche se per ben altri
motivi, ma
pareva che a B quella definizione desse più fastidio che a
me. Alla
fine io mi ci ero abituato, non potevo fare molto per evitare di
essere chiamato così, perciò tendevo ad ignorare
in silenzio i
commenti negativi.
Ma
in effetti ignoravo quasi tutto ciò che mi accadeva intorno
osservando silenziosamente e senza intervenire.
Giorno
dopo giorno osservavo nuove persone morire, vedevo immagini con nomi
che mi obbligavano ad osservare, un secondo prima potevo vedere, un
secondo dopo tutte le informazioni sparivano.
Perché?
Grazie
ai miei occhi potevo vedere i nomi degli esseri umani, solo di
quelli. Quando una persona muore cessa di essere un essere umano, non
è più nulla se non un corpo senza vita, fermo,
immobile.
So
che questo va contro ogni morale, da ragazzino mi veniva sempre
ricordato che bisognava avere rispetto per i morti, ma alla fine
preferivo avere una mia idea, non seguivo quasi mai ciò che
mi
veniva detto dagli altri, di solito annuivo per cercare di
rassicurare i miei interlocutori, ma quasi mai prendevo sul serio le
loro parole.
A
qualsiasi essere umano sembrerò un mostro, un essere davvero
spregevole, ma mio caro lettore, non interromperai la lettura per
questo? È proprio adesso che viene il bello.
Passavo
le mie giornate vedendo sempre più persone morire, vedevo
spesso
maltrattare i cadaveri degli avversari del mio clan e forse proprio
per questo ho sviluppato una grande insensibilità alla
morte: sapevo
che tutti gli esseri umani prima o poi sarebbero morti, sapevo che la
stessa sorte sarebbe toccata alle persone cui potevo voler bene,
sapevo che la stessa sorte sarebbe toccata a me.
E
poi in fin dei conti una persona che muore è una persona che
smette
di soffrire.
Non
mi interessava di vivere a lungo, ma solo abbastanza per fare
ciò
che desideravo.
Uno
come me non si poteva di certo permettere di morire in maniera
banale, no?
Ma
l'unico modo per stabilire la mia morte era il suicidio, ma uno
semplice non andava bene, troppo scontato per uno come me e poi non
sarebbe servito a niente.
Il
tempo passava parecchio lentamente, ma comunque non si arrestava e
quando ebbi 18 anni decisi finalmente di abbandonare il clan mafioso.
Se speravo che dopo tutto quel tempo avessero un po' di fiducia nei
miei confronti mi sbagliavo di grosso dato che di solito un clan non
lo si può abbandonare se non rischiando la propria vita.
Decisi
di servirmi di un trucchetto: fingere di morire, in fin dei conti ero
un bravo attore.
Andai
da Rodd pallido in volto, con gli occhi stravolti, sudando freddo.
“Ehi,
Beyond, che diavolo ti prende?!” chiese quello tra il
divertito e
lo spavento.
“S-sto
per morire...” balbettai prima così piano che non
riuscì a
sentirmi e poi lo urlai con aria terrorizzata. “Ti sei visto
allo
specchio?”.
Eh
già. Loro non sapevano che io ero l'unico di cui non
riuscivo a
vedere la durata vitale, quindi poteva andare bene così.
Come
previsto Rodd mi disse di non preoccuparmi, che mi avrebbe protetto
lui utilizzando i suoi uomini e finsi di credere alle sue parole,
così uscii come al solito per recarmi in una di quelle zone
malfamate e comprare il sostentamento. Mi aveva accompagnato uno di
quei tipi che in sostanza non servono a nulla, solo a svolgere
qualche commissione ed ero tranquillo dato che avevo scelto io quella
persona: non importava dopotutto che qualcuno fosse presente, in
fondo quel tipo sarebbe morto quel giorno stesso a giudicare dalla
sua durata vitale.
Mi
tallonava con aria sospettosa mentre io passeggiavo tranquillamente
per la strada. Ogni tanto mi voltavo a guardargli sulla testa, ma
sembrava che la sua vita non si accorciasse mai.
Strano.
Continuavo
a camminare e dopo aver preso ciò che dovevo comprare
cominciai a
tornare al covo.
Perché
non moriva?
Improvvisamente
un pensiero improvviso e chiaro, come un fulmine durante una notte
senza luna.
Non
moriva perché sarebbe stato assassinato e il suo assassino
non aveva
ancora deciso di ucciderlo.
Il
suo assassino ero io.
Esitavo,
in fin dei conti non avevo mai ucciso prima di allora, anche se
ancora avevo la spiacevole sensazione di essere stato io a fare fuori
Any, ma ciò era impossibile, non potevo essere impazzito
fino a quel
punto.
Eppure
pareva che fosse così.
Ma
come potevo ucciderlo? Insomma, avevo un coltello con me, ma lui
aveva una pistola, avrebbe potuto difendersi anche meglio di me.
Improvvisamente
mi rivolse la parola chiedendomi il perché mi doveva
accompagnare.
“Vedi,
io non sono un assassino e non riuscirei a difendermi. Pare che oggi
debba morire, ma servo ancora all'organizzazione, non posso andarmene
già.” “Beh, non che ci voglia molto a
usare una di queste...”
disse prendendo in mano la sua pistola.
Non
ci potevo credere! Quel tipo era davvero talmente stupido da offrirmi
così l'occasione per ucciderlo? Lui non sospettava
minimamente che
potessi fargli qualcosa, e per questo prima di agire stetti qualche
secondo in silenzio per poi sorridere con aria di sfida:
“Davvero?
Io non ne ho mai tenuta una in mano, mi faresti provare?”
“Ma
come, in mezzo alla strada?” chiese lui ridendo, per mia
fortuna
l'aveva preso come un gioco. “Sì, tanto qui non
c'è mai nessuno e
poi è pure notte! Mirerò a quel bidone
lì in fondo, vediamo se
sono capace.” dissi ancora.
Pochi
secondi ancora.
Cinque.
Mi
passò la pistola.
Quattro.
La
puntai contro il bidone.
Tre.
Cambiai
improvvisamente mira.
Due.
Un
colpo partì verso di lui e lo prese in pieno petto.
Uno.
Cadde
a terra con un tonfo e l'espressione di chi non si è reso
conto di
ciò che è accaduto.
Zero.
Spirò.
Questa
poi. Un omicidio compiuto non per volontà di compierlo ma
perché
era destino. In effetti se non lo avesse fatto sarebbe dovuto tornare
al covo senza aver risolto nulla. È proprio vero che in
queste
organizzazioni si entra col sangue e si esce allo stesso modo.
Rimasi
qualche secondo immobile a fissare quel corpo. Non provavo terrore o
angoscia ma semplice curiosità. Ero riuscito ad impedire a
una
persona di compiere tutte le sue azioni future, con un semplice gesto
e qualche secondo di tempo, ero riuscito a cancellare una vita umana.
Sfregiai
quel volto con un coltello, lasciando dei disegni che avevano
l'aspetto di vari oggetti, in modo da renderlo irriconoscibile da
subito, poi, facendo attenzione a non lasciare impronte, lo caricai
nell'auto che avevo comprato due anni prima e cominciai a guidare.
Semplice
il mio piano, vero mio caro lettore?
Mi
sentii liberato di un peso, ma non era finita lì. Portai la
mia auto
dal lato opposto della città per poi darle fuoco, in questo
modo
avrebbero creduto davvero alla mia morte anche senza trovare il mio
cadavere.
Mi
fermai, scesi, cosparsi il veicolo di benzina presa dal serbatoio con
un tubo e poi accesi un piccolo pezzetto di paglia che gettai sul
cofano.
Dopo
pochi secondi tutto divampò e non potei evitare di sorridere
vedendo
come una piccolissima scintilla potesse causare un grande incendio.
Conosci
i tarocchi, mio caro lettore? Chi non li conosce crede che la carta
della morte abbia valenza negativa, ma in realtà
è il contrario e
sai perché?
Perché
ogni fine è anche l'inizio di qualcos'altro. La morte indica
il
cambiamento, positivo o negativo che sia.
Bene,
per me quell'incendio aveva la stessa identica valenza di quella
carta.
Nella
notte la luce era ancora più intensa e io la fissavo come
incantato
mentre un sorriso malvagio si dipingeva sul mio volto.
Dopo
poco mi voltai e abbandonai quel luogo desolato a piedi.
Probabilmente
mi sarei procurato una nuova auto, anche vecchia andava bene,
l'importante era portare a compimento il mio piano.
E
magari elaborare un modo per causare qualche guaio ad L.
Non
avevo deluso le sue aspettative: ero diventato davvero un assassino,
adesso lo sapevo con certezza mentre la faccenda di Any era ancora
avvolta nel mistero.
E
poi L era uno che amava le sfide, potevo non accontentarlo? Si
trattava di me dopotutto, l'unico amico che avesse mai avuto.
Avrei
dovuto informarmi un po' di più sul suo conto per sapere con
certezza come era diventato in tutto quel tempo il mio avversario
prima di andare avanti.
Di
certo non mi ero dimenticato della promessa che avevo fatto.
Purtroppo
già era giunta l'ora di abbandonare nuovamente il
quadernetto, ma
sarei tornato presto.
Adesso
ne avevo la conferma: B era un folle, un pazzo che aveva ucciso solo
perché era stato stabilito che sarebbe andata
così, ma in fin dei
conti aveva tutte le motivazioni per poter impazzire davvero anche se
non quelle per essere un serial-killer.
La
linea che separa la giustizia dal crimine è quasi invisibile
dopotutto.
______________
Authoress' words
Caspita! Non mi ricordavo fosse così il
capitolo! Però mi piace! Bene, basta dire cretinate, sono in
bilico su un'altalena e rischio di buttare giù il pc e me
stessa, quindi vi saluto e non aggiungo altro.
A domenica!
Any
|
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Capitolo 14 *** Theme 11. L's Theme B ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Avendo sempre
più cose da fare in quei giorni non riuscii nemmeno ad
avvicinarmi al diario di
B e intanto l'incontro tanto atteso da me e Mello si avvicinava. In
effetti non
potevo dire di saperne molto più del mio compagno sul conto
di L dato che una
persona dall'infanzia all'età adulta può cambiare
anche radicalmente.
Il giorno tanto
atteso giunse.
La mattina aveva
piovuto e l'erba del giardino si era bagnata odorando più
intensamente.
Sembrava che Mello stesse per esplodere, ma non poteva sfogarsi nemmeno
con
Matt e forse quella era la prima e ultima volta che accadeva una cosa
simile.
Quei due erano davvero molto uniti sotto questo aspetto, ognuno sapeva
quasi
ogni cosa dell'altro e alla fine riuscivano a comunicare quasi in
codice, si
capivano solo tra di loro. Poteva sembrare che fosse solo Mello a
guadagnarci
da quella amicizia, ma non era così.
Io stavo
tranquillamente affacciato alla finestra a fissare lo spazio antistante
il
cancello con sguardo assente. Rimanevo immobile a osservare ogni minimo
dettaglio di ciò che potevo guardare: le gocce di pioggia
che ancora cadevano,
superstiti di una battaglia persa contro il tempo, osservavo i fili
d'erba che
ondeggiavano sotto il vento e il sole pallido che riscaldava a malapena
tutto
ciò che era sotto di lui.
E poi un'auto
nera, di quelle che non tutti potrebbero permettersi, un uomo anziano
che
scendeva per aprire la portiera.
Non potei
osservare ancora per vedere i nostri ospiti che la porta della stanza
si
spalancò e Roger disse a me e Mello di seguirlo sotto gli
occhi preoccupati di
Matt. Probabilmente aveva capito che c'era qualcosa che non andava
nella nostra
scusa.
“Andiamo
nel tuo
studio?” chiese Mello. Roger non rispose, si
limitò a camminare lungo il
corridoio, salire una scala, superare la biblioteca ed estrarre una
chiave
dalla propria tasca per aprire il catenaccio che bloccava una porta che
si
apriva su un corridoio pieno di porte con sopra incise delle lettere.
“Ma qui
è
vietato entrare!” obiettò di nuovo Mello.
“Sì, ma probabilmente si troverà
più
a suo agio, poi ne capirete il motivo. In ogni caso qui non vi
potrà disturbare
nessuno, nemmeno io dato che vi lascerò soli.”
spiegò l'anziano con voce
stanca.
Un piccolo
scatto aprì la porta, poi entrammo nel corridoio. Avevo
risistemato i fogli di
carta come erano in origine perciò Roger non si rese conto
delle mie visite
così frequenti in quel luogo. Mello si guardava intorno
meravigliato da quell'ambiente,
finché non ci fermammo davanti ad una porta ben precisa,
quella dove ci fece
fermare Roger. Allungò una mano e staccò via il
pezzo di carta che si trovava
nella parte alta lasciando vedere chiaramente una L intagliata in
carattere
gotico.
“Benissimo.
Adesso vi lascio. Buona fortuna, cercate di fare bella
impressione.” si
raccomandò poi. Il biondo annuì con decisione, io
continuavo a mantenere la mia
tranquillità apparente e non risposi.
La porta si
aprì
sotto la spinta dell'uomo e noi entrammo. Ci fu qualche secondo di
silenzio e
poi una voce allegra e cordiale attrasse la nostra attenzione.
“Buongiorno!
Eccovi qui, finalmente vi vedo di persona. Ho sentito parlare di
voi.” esclamò
l'anziano che avevo visto poco prima. Aveva i capelli bianchi e dei
baffetti
che gli davano un'aria molto gioviale. Era molto elegante e
ciò trapelava non
solo dal suo abbigliamento, ma anche dai su0i gesti e dai suoi modi di
fare.
Mello diede segno di riconoscimento di fronte a quell'immagine, come se
l'avesse già vista, così anche io cercai di
ricordare.
Improvvisamente
mi venne in mente: era lo stesso uomo raffigurato nella fotografia
sulla
scrivania di Roger, era Quillsh Wammy, il fondatore della The Wammy's
House
nonché Watari, l'uomo che si trovava costantemente al fianco
di L e l'unico a
poterlo contattare.
“Salve
signor
Wammy.” disse Mello con sicurezza. “Oh bene! Sai
già chi sono, eh? Questa non
me l'aspettavo, mi fa molto piacere. Allora anche io devo dire i vostri
nomi.
Mello e Near, vero?” “Sì, io sono
Near.” parlai per la prima volta quel giorno.
“E io sono Mello.” si affrettò ad
aggiungere il mio compagno.
“Bene, le
presentazioni sono fatte, credo che sia il momento di farvi incontrare
L,
giusto?” “Sì, dove si trova?”.
La lettera M come al solito era estremamente
frettolosa e non riusciva a trattenersi dal mettere fretta anche agli
altri.
“Un momento, adesso lo chiamo.” disse Watari
estraendo un telefonino. Premette
un solo tasto ed attese senza neanche posizionare l'apparecchio vicino
all'orecchio.
Possibile che L
fosse talmente prudente da mandare prima quell'uomo per accertarsi
delle nostre
identità? Davvero non sapevo cosa pensare di lui. Sarebbe
stato uno di quei
classici detective seri, di quelli che non si possono nemmeno trattare
con
confidenza? O forse una persona più comune, un uomo nella
media?
La porta si
aprì
nuovamente e semplicemente, una semplicità che stonava con
l'atmosfera che si
era creata, forse avevamo fin troppa aspettativa, tanto da pretendere
un'entrata originale, un'entrata ad effetto.
Ma pochi secondi
dopo rimasi comunque molto stupito.
La persona che
stava entrando tranquillamente e con naturalezza corrispondeva
esattamente alla
descrizione di B, ma la descrizione di B risaliva ad anni prima: era un
ragazzo
ventiquattrenne alto e magrissimo, aveva capelli corvini spettinati,
occhi neri
come l'inchiostro e occhiaie profondissime che gli fornivano uno
sguardo
tagliente. Aveva addosso una maglietta bianca e dei jeans sbiaditi, un
abbigliamento semplice e che lasciava trasparire una quasi totale
noncuranza al
riguardo. Stava leggermente curvo su sé stesso mentre si
mordicchiava l'unghia
del pollice guardando prima me, poi lo sguardo stupito di Mello, poi
Wammy, poi
la stanza e ancora Wammy.
“Grazie di
tutto, Watari. Puoi andare.” disse con una voce profonda e
distaccata, quasi
piatta. Non lasciava trasparire troppo le proprie emozioni.
“Benissimo,
allora vi lascio.” replicò l'altro adulto
dirigendosi verso la porta e
scambiandosi con il più giovane tra i due.
Ci fu qualche
secondo di silenzio e di pura osservazione, noi fissavamo lui e lui
fissava noi
continuando a mordicchiarsi l'unghia.
“Sei tu
L?”
chiese all'improvviso Mello. L'altro lo fissò lievemente
stupito da una domanda
così diretta, per cui rimase qualche secondo in silenzio,
poi si limitò a
rispondere: “Sei tu Mello?”.
“Ah...
Sì.”
rispose la lettera M presa in contropiede. “Davvero? Allora
ho indovinato.
Allora se tu sei Mello tu sei Near.” disse guardando me. La
sua non era una
domanda, era un'affermazione, ma mi sorpresi a rispondergli ugualmente
con un
flebile “sì”. Sembrava vagamente
soddisfatto per aver indovinato, rimase ancora
qualche secondo ad osservarci, poi si voltò di scatto, si
avvicinò alla
scrivania e tagliò una fetta di una torta che non avevo
notato fino a quel momento.
Si rivolse verso di noi e sembrò quasi stupito del fatto che
fossimo ancora lì,
poi come ricordando qualcosa si voltò ancora. “Ne
volete un po'? È alle fragole
e al cioccolato.”. Ovviamente Mello accettò
l'invito, io nell'esitazione
declinai l'offerta. L se ne stava tranquillo come se in quella
situazione lui
non dovesse fare nulla, sembrava essere concentrato di più
sul suo dolce che su
di noi. Afferrava il cucchiaino con sole due dita per mangiare la torta
e notai
che allo stesso modo teneva anche il piattino e tutte le altre cose,
come se
non avesse voluto toccarle. Attese ancora qualche secondo in silenzio e
poi ci
guardò di nuovo. “Lo sapevo... abbiamo problemi a
rompere il ghiaccio. A dire
la verità sono venuto qui per prendere dei documenti e
distruggerli, ma in fin
dei conti non mi sembrava una cattiva idea quella di
incontrarvi.” “Documenti?
Che tipo di documenti?” chiese Mello con la sua solita
impertinenza. Sembrava
che prima di dire una qualsiasi frase L dovesse ragionarci su, quindi
aspettò ancora
e poi rispose. “Foto. Foto che mi raffigurano, non devono
esistere per come è
la situazione in questo momento. Immagino voi sappiate a cosa mi
riferisco.”
“Sì, sicuramente al caso Kira, non è
vero? Ha bisogno di un volto e di un nome
per uccidere.” intervenni io.
“Esattamente.” rispose non dando il tempo a Mello
per intervenire. Il biondo non sopportava l'idea che io dessi una
risposta
prima di lui.
“Ma non
è di
questo che dobbiamo parlare, vi prego di non farmi domande al
riguardo.” “Ok,
però una cosa te la voglio dire.” disse finalmente
Mello. “Cioè?” chiese
l'altro curioso. “Voglio parlare con te, ma senza la presenza
del... di lui.
Potremmo parlare separatamente?” “È
possibile, ma vorrei sapere come mai vuoi
una cosa del genere. Siete compagni, come mai preferisci essere solo
con me? Di
solito un appoggio morale è gradito.”
“Beh... Non siamo in buoni rapporti.”
mormorò il biondo sempre meno sicuro di sé.
“Ma davvero? E per “non siamo in
buoni rapporti” intendi “complesso
d'inferiorità”, vero?”. Mello rimase
qualche
secondo immobile, l'espressione perplessa, aggressiva, controllata.
“Sì.” si
arrese infine. “Ma tu guarda e pensare che quelli che vennero
scelti prima di
voi erano così in buoni rapporti... quasi innamorati
direi.” disse guardando il
vuoto con il dito appoggiato alle labbra. “Sì,
già che ci sono voglio vedere le
loro stanze dopo, sono anni che non metto piede qui, anche se questa
è camera
mia quasi non la ricordavo, ma in effetti per me non esiste quasi
più il
concetto di casa...”. Il mio pensiero non poté non
andare al diario dato che L
aveva detto la stessa identica cosa di B e per di più voleva
anche visitare la
stanza di quest'ultimo.
“Che fine
hanno
fatto i vecchi successori?” chiesi, se avessi mostrato di
sapere già sarei
risultato sospetto.
“Una si
è
suicidata, o forse è stata uccisa, non lo si sa ancora,
l'altro era BB.” “BB?!
Vuoi dire proprio il serial killer che ha ucciso tre persone a Los
Angeles?”
chiese Mello all'improvviso. “Sì, quello.
Ovviamente all'epoca non era così,
anzi, direi che è stato il mio primo amico e che mi ha
aiutato qualche volta.
Mi è dispiaciuto doverlo arrestare...” disse con
un'espressione sinceramente
dispiaciuta. “Mi racconteresti la storia del caso di Los
Angeles quando saremo
soli?” chiese Mello con un entusiasmo di cui L fu sorpreso.
“Si può fare, ma
non ho così tanto tempo a disposizione, soprattutto se ci
separeremo.” “Non
importa, mi accontento! Allora iniziamo subito.”. L
annuì e mi chiese
gentilmente di uscire dalla stanza sedendosi in una posizione
decisamente
insolita, potrei definirla “fetale”.
“Torna tra
un'ora, Near.” “D'accordo, L.”.
Fuori dalla
stanza mi fermai qualche secondo fermo dov'ero. L stava per raccontare
a Mello
una storia che stavo per leggere, non tutta la vita di B ma solo la sua
fine.
Sinceramente non
mi aspettavo che proprio il più grande detective del mondo
fosse ancora così,
ancora tanto infantile per certi aspetti, ma soprattutto ancora
così strano.
Chi avrebbe mai
potuto dire che uno come lui mangiasse tanti dolci, che si sedesse in
quel
modo, afferrasse gli oggetti utilizzando solo due dita, avesse delle
occhiaie
così profonde e un modo di fare così
contraddittorio? Sembrava quasi distratto
in ciò che faceva, ma dimostrava di possedere
un'intelligenza tagliente, non
poteva trattarsi che del vero L.
Per qualche
secondo mi venne la tentazione di infilarmi nella stanza di B, ma
sarebbe stato
da incoscienti, decisamente pericoloso avventurarmi in un luogo simile:
come
avrei potuto spiegarlo se mi avessero trovato proprio lì? E
poi se mi avessero
trovato col diario sarebbe stato ancora più difficile
uscirne fuori.
No, era
decisamente da evitare.
Decisi di
tornarmene in camera, in fin dei conti Matt non mi avrebbe fatto
domande,
l'unico cui avrebbe chiesto qualcosa era il suo migliore amico, sicuro
che
sarebbe stato sincero molto più di me.
Tornai, mi
sistemai nel mio angolino sotto lo sguardo curioso della seconda M che
però,
come previsto, non mi chiese nulla di ciò che ci avevano
detto e di quel che
stava facendo Mello.
In effetti tutto
era silenzioso ma non smetteva di suonare quella fastidiosa musichetta
da
videogioco che si diffondeva dal Game Boy Advance del ragazzo dai
capelli
rossi.
Decisi di
ignorare quella fonte di fastidio e mi accomodai con il mio puzzle
preferito,
adoravo comporlo e scomporlo all'infinito, finché non
imparavo a memoria la
posizione dei tasselli, nonostante fossero quasi tutti bianchi, ma la
parte
migliore di certo non era quella.
La parte
migliore era quella colorata di nero.
La parte
migliore era quella L.
__________________________
Authoress' words
Ehilà
gente! Sto usando a sbafo il computer di una mia amica per pubblicare
perché mi è finito Internet sulla chiavetta. T_T
Lei è anche su EFP e si chiama Black Nana... Sto facendo
pubblicità? Sì lo ammetto... Sto facendo
pubblicità ma è il prezzo da pagare per l'uso del
computer...
Black
Nana's words
Non è
vero! Non ti ho costretta! Io ti ho fatto pubblicità
perché mi andava, perché sei la mia migliore
amica e sei stata la mia beta anche se adesso non puoi per motivi
vacanzieri...
Authoress' words II
Ok, lo ammetto...
Non dico più bugie (ma anche questa è una bugia,
come faccio?)... Comunque, visto? Ce l'ho fatta a mettere L adulto ma
è stata un'impresa, veramente quindi non siate severi se non
sono totalmente IC per favore...
Mello's words
Ehi,
perché non sono presente più di Near in questa
storia?! CI SONO MENO DEL NANEROTTOLO ALBINO DEL C***O!
Authoress' words III
Ma se ho fatto un
capitolo intero... Mah, lasciamo perdere.
A Domenica
prossima...
PS C'è un cross-over tra Death Note e Soul Eater in cui ho messo lo zampino insieme ad altre due ragazze. Se vi va di dare un'occhiata a me fa piacere perché io mi sono occupata della psicologia di Light Yagami ed L e soprattutto di quella di Misa-Misa (sul serio, pare che mi venga particolarmente bene e la cosa mi preoccupa...)!
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Capitolo 15 *** Theme 68. L's ideology ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Passò
molto tempo, o almeno così mi sembrò, prima che
Mello tornasse
nella stanza con aria decisamente soddisfatta e mi dicesse col
sorriso sulle labbra di andare.
Da
quando in qua mi sorrideva?
Mi
sollevai e me ne andai sotto lo sguardo sempre più perplesso
di
Matt, percorsi il corridoio con una certa fretta, in fin dei conti L
aveva detto di non farlo aspettare troppo, no?
Quasi
mi sembrava strano percorrere quella strada sapendo di essere
autorizzato a farlo, forse per questo accelerai ancora di
più il
passo.
Arrivato
nella stanza spinsi la porta con estrema delicatezza ed entrai. L era
seduto in quella posizione decisamente anomala davanti ad una
scacchiera. Feci rumore di proposito strascicando un po' i passi. Si
bloccò un secondo e poi si voltò. Ogni minimo
rumore lo metteva
sull'attenti, faceva caso ad ogni dettaglio.
“Benvenuto
di nuovo.” mi disse voltandosi. Per una delle poche volte in
vita
mia avrei dovuto parlare senza potermi permettere troppi silenzi. Di
solito ero sempre in presenza di una terza persona che parlava anche
per me, ma stavolta dovevo essere io a dire tutto senza poter
aspettare l'aiuto di nessuno.
Alzai
il capo per guardare il mio interlocutore e per dire qualcosa, ma mi
bloccai quando lo vidi tranquillamente osservare un lecca-lecca alla
fragola e poi infilarselo in bocca, poi ne estrasse un altro e me lo
porse. “Lo vuoi anche tu?” mi chiese con
naturalezza. “No,
grazie.” “Niente? Neanche prima hai voluto la fetta
di torta,
come mai? In fin dei conti lo zucchero fa bene al cervello,
sai?”
“Lo so.”. Si fermò un attimo fissando il
vuoto. “Preferisci
una partita a scacchi? Anche quella fa bene al cervello, ti spinge a
ragionare.” disse poi e io accettai.
Mi
sedetti di fronte a lui osservandolo.
“Bianchi
o neri?” mi chiese con gentilezza.
“Neri.” risposi osservandolo
girare la scacchiera. “Mello ha scelto il contrario. A lui
piace
attaccare, vero? A te invece piace difenderti. Avete strategie
diverse e anche la vostra scelta lo dimostra dato che i bianchi
muovono sempre per primi. Chi ha una strategia difensiva preferisce
essere sempre il numero due.”. Rimasi in silenzio. Poteva
davvero
aver capito tutto questo solo da una scelta banale come il colore
degli scacchi? Mosse il primo pedone attaccando immediatamente.
“Anche a te piace essere provocatorio e attaccare a quanto
vedo.”
gli risposi. Mossi il cavallo e gli presi il pedone.
“Sì, ma cerco
di essere equilibrato.” disse poi mangiandomi il cavallo con
un
alfiere. Era una trappola per prendermi un pezzo importante.
“Mi
piace essere molto strategico.” aggiunse poi.
Non
so neanche io come fosse possibile, ma ci stavamo studiando a vicenda
tramite una semplice partita a scacchi. L si muoveva più che
per
attaccare per capire che genere di avversario avesse di fronte
finché
non fece una mossa davvero inaspettata: mandò avanti il re
mettendosi seriamente in pericolo. Senza pensarci due volte spostai
la mia regina. “Scacco.” mormorai.
Aspettò pochi secondi, poi mi
mangiò la regina con la sua. “Scacco
matto.” concluse.
Rimasi
qualche secondo immobile. Controllai, il mio re era appena dietro
alla regina, se l'avessi mosso a destra l'avrebbe mangiato un
alfiere, a sinistra un cavallo. Era davvero scacco matto. Mi aveva
battuto mandando avanti il re.
“Questa
più o meno è la strategia che adotterò
per il caso.” mi disse
poi. “In che senso?” “Nel senso che prima
cercherò di capire
chi ho davanti, solo dopo potrò farmi avanti in prima
persona
lasciandomi vedere, in questo modo attirerò nel mio covo la
persona
che mi interessa.”.
Semplicemente
una trappola per tenere d'occhio l'avversario difendendosi allo
stesso tempo.
“Ah,
Near, volevo anche dirti una cosa.” esordì
improvvisamente
alzandosi. “Cosa?” chiesi. “Vorrei che tu
cercassi di
collaborare con Mello per quanto possibile.”.
Impossibile.
Se avessi lasciato fare a Mello il massimo risultato sarebbe stato di
farmi odiare ancora di più.
“L,
questo non è possibile. Mello adora ,la competizione e
trasformerebbe in una gara persino una collaborazione.”
“Ne sono
consapevole, è come me: non sopporta perdere, ma soprattutto
si
comporta con te come se tu fossi un suo nemico, come se ti
odiasse.”
“Non come se mi odiasse, mi odia.”
“Questo no.” mi
interruppe. “Odia il fatto che tu sia il numero uno e lui il
numero
due, ma non odia te. Questo ancora non lo capisce e si comporta come
se l'intera tua persona rappresentasse una grave minaccia, ma in
realtà è solo la tua posizione in classifica ad
essere un problema
per lui.”.
E
se anche fosse stato così? Comunque si comportava come se io
e lui
non potessimo esistere nello stesso luogo, come avrebbe potuto
reagire a una richiesta di collaborazione?
“Perché
mi chiedi questo?” “Perché?
Perché voi due vi compensate. Tu
sei molto calcolatore, sei molto abile a ragionare a mente fredda, ma
non hai quella capacità di agire prontamente in prima
persona che in
Mello è molto sviluppata, ma allo stesso tempo Mello non
è capace
di ragionare a mente fredda. Davvero non so chi scegliere tra voi due
per la successione e una vostra collaborazione sarebbe l'ideale, ma
tutto questo il diretto interessato non lo deve sapere.”.
Non
mi era mai passato per la testa il pensiero che io e Mello avessimo
potuto collaborare un giorno probabilmente lontano e in effetti era
davvero come L aveva detto: non ero capace di agire così
prontamente
come Mello, ma come avrei mai potuto imporgli una collaborazione? Era
impossibile.
“Bene.
Adesso mi accompagneresti in una stanza qui di fronte? Quella a
sinistra.” mi interruppe.
Voleva
vedere la stanza di B.
“Sì.”
mormorai e lo seguii fuori. Lui aprì la porta della stanza
che mi
aveva indicato ed entrò seguito da me. Quasi mi sentivo
fuori posto
ad essere lì in compagnia di qualcuno. “Me lo
ricordo questo
posto, era la stanza del mio secondo successore, sai? Proprio
l'assassino BB di Los Angeles.”.
L
si guardava intorno con aria stralunata, osservava tutto, persino il
tetto meritava la sua attenzione.
“Anche
lui in realtà non mi odiava.” mormorò.
Lo guardai, aveva un'aria
persa, fissava il vuoto, poi mi guardò. “Odiava
solo di essere una
copia senza valore fino alla morte dell'originale. Credeva che io lo
considerassi così, ma in realtà non l'ho mai
pensato.”. Lo diceva
con un tono freddo, monocorde.
Adesso
capivo come poteva essere tanto sicuro del fatto che Mello in
realtà
non provava un vero odio nei miei confronti, era lo stesso rapporto
che si era creato tra L e B.
L
sapeva che significava essere odiato da qualcuno che in
realtà si
stima.
Roteando
il lecca-lecca con la lingua mi guardò di nuovo.
“Sei mai entrato
qui?”. Ebbi un secondo, un solo secondo, di panico. In
effetti cosa
dovevo rispondere? Se fossi stato sincero avrei potuto mettermi nei
guai, ma sarei stato all'altezza di L nel mentire?
“Non
capisco perché entrare qui sia vietato. È da
codardi nascondere un
proprio errore, la miglior scelta è ricordarlo lasciandolo
vedere,
ecco perché qualcuno dovrebbe entrare qui e
sapere.”. Mi rassicurò
sentire una simile opinione e così commisi la follia.
“L'ho
fatto.”. Il ragazzo si voltò sorpreso.
“Davvero? Da te non me
l'aspettavo.” “Allora perché me lo hai
chiesto?” “Perché
solo uno stupido può avere delle certezze senza informarsi.
Hai
trovato nulla di interessante qui?”.
Oramai
avevo già confessato una volta, tanto valeva confessare la
seconda.
“Sì, ho trovato questo.” mi avvicinai
alla sedia vi salii
allungandomi verso la scatola. La presi e gliela porsi. Scesi dalla
sedia, gliela tolsi di mano e cominciai a rovistare nell'interno.
“Ecco. Questo.” dissi porgendogli il quadernetto.
“Oh, hai già
trovato il diario di Beyond?”.
Rimasi
in silenzio. Come faceva a sapere già del diario? Sembrava
davvero
che L sapesse tutto prima ancora che gli venisse detto, ma
così non
poteva essere altrimenti avrebbe già saputo chiaramente chi
era la
persona che stava cercando nel caso più difficile della
storia,
avrebbe già saputo chi era Kira.
“Come
lo sai?” gli chiesi forse un po' troppo schiettamente.
“Ho voluto
io che questa roba fosse portata qui. Vedi? Tutte le cose che B aveva
inizialmente dovevano essere distrutte o disperse, ma io ho voluto
che fossero tenute nella sua stanza. Certo, non sapevo che poi questa
sarebbe stata chiusa insieme alla mia e a quella di A, ma non mi
potevo aspettare di meglio...”. Sembrava alquanto deluso,
anche se
dal suo tono di voce non traspariva molto.
“Una
persona che leggendo si immedesimasse dovrebbe solo odiarmi, dico
bene? Eppure, come per te, non credo si possa dare davvero la colpa a
me. Io non ho fatto nulla se non percorrere la mia strada.”
disse
poi.
Sì,
era vero. B poteva incolpare L quanto voleva, ma in realtà
si era
costruito la fossa da solo, lui aveva cercato di essere identico e
gli altri lo incoraggiavano a fare così e per una sua idea
sbagliata
di dovergli assomigliare in tutto e per tutto.
“Credo
di sì, non ti si può dare la colpa di
tutto.” gli risposi. Sembrò
quasi sollevato da quelle parole, possibile che si lasciasse
confortare da me che ero a malapena un bambino?
“Tu
non l'hai letto?” chiesi stupendomi per la mia
infantilità. “No.”.
Quel monosillabo ebbe il potere di bloccarmi di nuovo. “Come
mai?
Chiarirebbe molte cose sul caso, no?” chiesi ancora insicuro.
“Sì,
ma preferirei riuscire a chiarire tutto da solo, altrimenti si
perderebbe tutto il divertimento, no? Dato che di sicuro tu lo stai
leggendo, immagino allora tu sappia parecchio di B, di me e di A, il
tuo compagno mi ha chiesto proprio di questo, voleva conoscere una
storia che ti interessasse ma che tu non potessi conoscere, un
sistema per farti ingelosire suppongo.”
“Sì, è tipico di lui,
per questo ti dico che una collaborazione è
impossibile.” “Come
puoi dirlo?”.
Mi
voltai e lo fissai.
Come
potevo dirlo? Beh, di sicuro Mello non si sarebbe lasciato convincere
e anche se fosse stato avrebbe trasformato il tutto in una sfida.
Aprii la bocca per parlare ma fui fermato da uno sguardo tagliente e
dalle sue parole: “Non ci hai mai provato, vero?”.
Rimasi
in silenzio non sapendo davvero che dire per qualche secondo, una
sensazione nuova e sgradevole per me.
“No.”
“Allora come puoi dirlo? Provaci e poi vedrai che
accadrà. Come ti
ho detto solo uno stupido può dare per scontata una cosa
senza
nemmeno sperimentarla e siccome sei il primo nella classifica dubito
seriamente che tu sia stupido.”.
Rimasi
a fissare il pavimento. Mai in vita mia qualcuno mi aveva
contraddetto in maniera tanto semplice e quel qualcuno era la persona
che forse un giorno avrei sostituito.
Lui
continuava a fissarmi, sembrava una gara a non distogliere lo
sguardo, così alla fine annuii e gli risposi:
“Sì, L. Credo che
tu abbia ragione. Allora tenterò, ma non posso assicurarti
molto se
non che non sarà facile.”.
Gli
vidi fare un sorrisino accennato, uno di quelli tanto rari di cui
parlava di B, li definiva meravigliosi per la loro rarità
come fiori
nel deserto.
In
quel momento il volto del grande L era infantile e così era
nel
momento in cui lo salutai.
Solo
in quel momento mi resi conto del fatto che prima ancora di essere il
miglior detective al mondo L era un essere umano e lo stesso valeva
per me. Mello poteva dirmi ciò che voleva ma anche io ero un
essere
umano e avevo tutto il diritto di sentire quelle piccole gemme che si
chiamano sentimenti, piccole gemme che arricchiscono un essere umano
rendendolo diverso dagli altri ed ecco anche perché quella
classifica in quel momento mi sembrò tanto inutile.
Se
siamo persone diverse, con capacità diverse
perché mai dovremmo
essere classificati? Si può essere migliori di altri in un
campo
preciso, ma non essere i migliori in assoluto e questo L lo sapeva.
Se fosse stato davvero così facile il detective mi avrebbe
scelto
come suo successore senza esitare, invece ha guardato anche Mello, ha
visto che avevamo capacità differenti, che da soli era
impossibile
per noi farcela.
Ma
anche che insieme avremmo potuto superarlo.
____________________
Authoress' words
Ehilà!
Allora, non mi uccidete se non ho reso molto bene L
dato che è difficilissimo! Dannata me che ho deciso di
provarci!
Uhm... Sapete che davvero non so che dire? Forse
perché ho mal di testa e non ho voglia di fare niente. Anzi,
ho voglia di suonare la chitarra ma adesso non posso...
...
Ok...
Meglio che vada senza dire niente...
Bye-bye!
Any
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Capitolo 16 *** Theme 77. Saiku ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Fare
un tentativo di collaborazione con Mello era un'impresa che ai miei
occhi sembrava ardua, ma avevo promesso ad L che avrei almeno
tentato, perciò decisi di prendere un po' di tempo, di
cercare di
capire se ci fosse stato qualcosa di me che a al biondo non avrebbe
dato sui nervi. Non sapevo nemmeno bene perché, ma in un
certo senso
mi ricordava BB, in fin dei conti all'epoca la lettera M era ancora
mansueta, non potevo neanche immaginare cosa avrebbe potuto scatenare
in futuro pur di non collaborare con me.
Ovviamente
ripresi la lettura del diario di B dopo tutto quel tempo, oramai ero
in un punto cruciale: il primo omicidio consapevole.
Quando
tornai nella solita stanzetta seminascosta avvertii però una
sensazione diversa da quella solita, era come se potessi avvertire
nell'aria che qualcun altro era stato lì di recente, come se
mi
fossi reso conto solo in quel momento che ciò che leggevo
era vero e
che i personaggi di quella storia, o almeno la maggioranza, avrei
potuto incontrarli come già avevo fatto con due di loro: L e
Watari.
Sapevo tutto questo fin dall'inizio ovviamente, eppure l'aver
incontrato il mio idolo, l'averci conversato, aveva cambiato
qualcosa.
Decisi
di non perdere altro tempo in questi ragionamenti e presi il
quadernetto nero, sfiorandone la copertina, quasi gelosamente.
Era
stato toccato da almeno altre tre persone: BB, L e chi aveva lasciato
la macchia d'inchiostro.
Lo
aprii e ripresi la lettura.
Da
quel giorno cominciai a viaggiare anche a piedi se necessario, senza
nemmeno sapere in che direzione stessi andando. Ogni volta che
decidevo di fermarmi mi costruivo un piccolo rifugio dove mi
sistemavo, ma solo per poche ore per poi ripartire.
Cercavo
di raccogliere quante più informazioni possibili sul mio
nemico come
potevo, ma non mi era molto difficile: oramai la sua fama era esplosa
e molto spesso si parlava di lui sui giornali. Lo chiamavano il
“detective senza volto” dato che usava comunicare
sempre e solo
tramite un computer, con il suo logo sul monitor e la voce distorta
in modo da non poter risalire in nessun modo alla sua
identità.
Ridevo quando vedevo persone che cercavano di immaginarsi il suo
aspetto, credevano fosse un uomo di almeno cinquant'anni, sovrappeso
per via della sua sedentarietà, ma L non era il tipo da
starsene
fermo in un posto, capace solo di dar ordini, no. Se necessario L
scendeva in campo in prima persona, ovviamente senza rivelare la
propria identità e prendendo le dovute precauzioni.
Fino
a quel momento aveva risolto tutti i casi che gli si erano presentati
davanti.
Non
andava per niente bene così.
Doveva
fallire almeno una volta, doveva presentarsi un caso complesso che
nemmeno lui sarebbe stato in grado di risolvere.
Chi
poteva esserne l'artefice se non io?
Però
non potevo agire immediatamente, dovevo prendermi il tempo giusto per
fare qualsiasi cosa e non essere imprudente.
Però
allo stesso tempo mi andava di stuzzicarlo un po', di fargli capire
che ero ancora vivo e pronto a dare il via ai giochi, ma dovevo
trattenermi.
Il
tempo andava avanti senza nuovi eventi, le mie giornate passavano a
volte nel vuoto totale, nella nullafacenza, altre invece conoscevo
persone, mi parlavano e io ascoltavo per la maggioranza del tempo.
Utilizzavo nomi falsi, non potevo assolutamente permettermi di essere
riconosciuto, anche se per caso.
A
volte mi rinchiudevo nel mio angolino e pensavo a come fare per
mettere in difficoltà L.
Qual
è un caso irrisolvibile?
Quello
in cui ci sono molte cose strane, che sembrano indizi ma non lo sono.
Avevo
quasi tutto da pianificare, girovagando da un posto all'altro,
studiavo i casi di assassini dai giornali e dalla cronaca nera.
Non
riuscivo a non pensare sempre di essere circondato da stupidi, prima
o poi tutti si facevano prendere, i loro piani avevano troppe falle,
ma ancor più stupida era la polizia che non riusciva a
venire a capo
di cose così semplici.
L
avrebbe risolto quei casi in due minuti, non un secondo di
più, ma
erano talmente facili che non meritavano nemmeno la sua attenzione.
Mentalmente
prendevo nota di quei piani che sembravano migliori e intanto
pianificavo.
Avrei
ucciso più persone per attirare l'attenzione del mio rivale
e decisi
precisamente di ucciderne quattro, dato che il numero quattro in
Giapponese si pronuncia “shi” che significa anche
“morte”.
Sì,
volevo concentrare l'attenzione sul Giappone, volevo che L prendesse
al suo servizio una persona Giapponese: di sicuro non si sarebbe
presentato di persona.
Avrei
utilizzato tutti i brandelli della mia vita in questo crimine, di
certo non mi sarei limitato ad uccidere semplicemente le mie vittime,
non sarebbe stato abbastanza per attirare l'attenzione.
Non
volevo solamente uccidere e non farmi prendere, al contrario, volevo
che L capisse subito che si trattava di me.
Tornai
a Los Angeles, non so neanche come, ma una volta lì decisi
di non
andarmene più.
In
soli due anni che avevo passato lontano da lì era cambiata,
ma di
fondo rimaneva sempre quella stessa città controllata dalla
mafia,
densa di persone straniere che cercano di realizzare i propri sogni.
Ebbi
quasi un brivido di trepidazione, oramai era giunto il momento che
inconsapevolmente aspettavo fin dall'inizio: gli omicidi. Quello che
avevo davanti sembrava irriconoscibile, non sembrava nemmeno
più il
ragazzino che aveva vissuto tutto quel dolore, sembrava un assassino,
solo un assassino.
Eppure
sentivo una parte di
me che lo
voleva giustificare, come se potessi riuscire a comprendere il motivo
della sua follia. In quella situazione il suo desiderio più
forte
non era nemmeno quello di ricostruirsi una vita normalmente, ma di
usarla come un oggetto, come uno strumento di vendetta.
L
era l'antagonista, il
nemico, ma non riuscivo a smettere di pensare al suo sguardo
così
triste mentre parlava dell'arresto di B.
Un
odio a senso unico, come
quello di Mello nei miei confronti. Possibile che Beyond davvero non
si rendesse conto del fatto che per L era rimasto un amico e
ciò che
gli era successo non era nemmeno colpa sua?
Ecco
perché L voleva che io
e Mello collaborassimo, oltre alle spiegazioni che già aveva
dato,
cioè che tutto sarebbe puramente per fini investigativi,
probabilmente una parte di lui desiderava che la storia non finisse
allo stesso modo.
Dopotutto
a quel che aveva
detto L e che sapevo dai notiziari B era stato arrestato ed era stato
proprio lo stesso il più grande detective del mondo ad
arrestarlo.
Mi
creai un piccolo rifugio anche a Los Angeles, non avrei mai deciso di
tornare da dove ero venuto, anche se forse sarei stato di nuovo
accolto con quella sorta di ospitalità tipica dei criminali.
Falsa
come non mai.
Un
piccolo magazzino abbandonato in periferia era l'ideale. Nessuno ci
sarebbe mai andato dato che oramai era vuoto e tutto ciò che
rimaneva erano dei sacchi di stoffa sul soppalco. Avevo uno specchio
che sistemai vicino a una parete.
Era
da molto che non vedevo il mio riflesso. Quasi mi stupii della mia
immagine, normale. Non avevo più nulla di L, oltre alla
malsana
abitudine di mangiare marmellata.
Di
fronte al mio riflesso non provavo alcuna emozione, come si fa di
fronte a un'immagine che non significa nulla, come l'indifferenza che
si prova di fronte a un passante per strada.
In
quei giorni non feci nulla di particolare, uscivo poco ma mi tenevo
informato su ciò che succedeva tramite giornali che
sfogliavo
svogliatamente e leggevo con distacco.
Era
abbastanza noioso rispetto a ciò che avevo nella testa.
C'erano
solo notizie inutili, cose sulla politica che mi potevano interessare
ben poco, tutti gli affanni degli esseri umani per avere più
denaro.
Quasi mi sentivo disgustato da quella gente senza ambizioni vere. Che
ambizione è accumulare denaro? L'ambizione vera è
quella che ti fa
seguire quello che sei e che vuoi essere, ma quella gente rinnegava
le proprie idee per non perdere il posto.
Disgustoso.
Purtroppo
gli esseri umani
lo hanno sempre fatto, non lo sapevi, B? Potevo concordare con tutto
ciò che avevo letto, anche io provavo un senso di disgusto
di fronte
ai codardi della politica.
Non
che poi mi
interessassero molto le loro gesta “eroiche”.
In
ogni caso leggevo sempre tutti gli articoli da cima a fondo, studiavo
ogni angolino del giornale.
Notai
che c'erano molti articoli scritti dallo stesso giornalista. Il nome
cambiava sempre, ma lo stile era quello, non poteva essere che lui.
Stupido.
Sperava
di non far conoscere il suo nome eppure tra un articolo e un altro
c'erano dei collegamenti fin troppo evidenti come il raccontare le
stesse esperienze vissute più volte.
Con
un computer portatile che avevo cominciai a fare delle ricerche su
questo tipo, non che la cosa mi interessasse più di tanto,
diciamo
che era un semplice passatempo forse.
Mi
infiltrai nel sito della rivista sulla quale scriveva più
spesso
come amministratore e da qui potei vedere la sua e-mail. Sì,
era
sempre la stessa nonostante i nomi sempre diversi con cui si firmava,
avevo indovinato.
Riuscii
a entrare anche nella sua casella di posta, c'erano numerose e-mail
da parte di amministratori di siti Internet, di riviste e quotidiani
che richiedevano di scrivere per loro.
Con
tutti questi ingaggi doveva cavarsela bene economicamente.
Quasi
per caso vidi il suo indirizzo in una delle e-mail inviate:
Hollywood, Insist Street, un luogo dove non si poteva neanche passare
senza avere parecchio denaro.
Da
questo mi fu facile arrivare al suo nome, bastava anche un elenco
telefonico on-line, chiunque ci sarebbe riuscito.
Believe
Bridesmaid. Era questo il suo nome.
I
miei occhi scintillarono.
Oramai
avrei potuto sapere tutto di quella persona se solo avessi voluto e
la cosa mi divertiva non poco.
Adesso,
solo per pura curiosità decisi di procurarmi una foto del
giornalista, così mi infiltrai su un altro sito Internet
utilizzando
il suo account e lo vidi.
Era
un uomo alto, ma non si poteva definire “di
bell'aspetto”. I
capelli neri sulla testa erano radi, gli occhi piccoli e infossati.
Però rimasi a fissare quella foto ugualmente a lungo.
Il
dettaglio che maggiormente mi aveva colpito non era il suo aspetto.
Il
dettaglio che maggiormente mi aveva colpito era la sua durata vitale.
_________________________
Authoress' words
Salve popolo di EFP!
Allora, che dire? Da ora in poi la storia
ripercorrerà gli eventi di Another Note, quindi non ci
sarà molta invenzione da parte mia, ma spero che
continuerete a seguirmi comunque, anche solo per vedere come l'ho resa.
Bene, detto ciò, sapete che mi
è venuta in mente la tramina per una nuova storia dopo
questa? Però non potrei mai osare seguirne due insieme
perché altrimenti fonderei il cervello, già
questa settimana non sono riuscita a scrivere nulla, figuriamoci! Presa
dall'entusiasmo per la nuova storia quasi mi dimenticherei di questa e
rischierei di essere uccisa da alcuni lettori che conosco di persona
(riferimento non involontario a Black Nana e Ga_chan).
Allora vi saluto e vi do appuntamento a domenica
prossima come al solito! Ciao!
Any
|
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Capitolo 17 *** Theme 79. Light no Engi ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Avevo
notato immediatamente che quella durata vitale era troppo breve,
sarebbe morto in una data perfetta.
Avevo
già deciso, era solo questione di tempo.
Mi
sistemai con un quaderno e tracciai uno schema di quadrati, alcuni
neri, altri bianchi. Scrissi le definizioni incastrando perfettamente
le parole tra di loro. Mi rendevo conto della difficoltà di
ciò che
stavo costruendo, ma non potevo permettere che degli incompetenti
come i membri del corpo di polizia decidessero di occuparsi di tutta
la faccenda. Un rigo in particolare lo evidenziai, la soluzione di
quel cruciverba era Insist Street 221.
Improvvisamente
avevo la
sensazione che B andasse quasi di fretta, come se volesse giungere
all'omicidio il prima possibile, ma sorprendentemente continuava a
descrivere le cose nei minimi dettagli.
Nemmeno
uno come lui
riusciva ad essere così freddo di fronte a ciò
che segnato la
svolta definitiva nella sua vita. Se prima si poteva dire solo che
era vittima adesso era anche carnefice.
Il
21 luglio 2002 era una giornata molto afosa, torrida direi. Con tutta
la calma necessaria per non commettere errori andai all'ufficio
postale.
Avevo
letto in un articolo di giornale che quando si è in fila, la
coda
degli altri pare sempre più rapida e notai che era vero,
anche se in
realtà potei vedere che non era davvero così
segnando mentalmente
il volto e il nome della persona che mi era accanto, che naturalmente
giunse allo sportello dopo di me.
Spedii
il cruciverba (ovviamente senza lasciare una sola impronta digitale)
alla polizia di Los Angeles. Secondo le mie previsioni sarebbe
arrivato il giorno dopo e quella era la data ideale: 22 luglio 2002.
A
quel che pareva la data
aveva un significato preciso eppure B non lo spiegava. Forse sarebbe
stato chiarito più avanti. Lo speravo dato che non capivo
nemmeno io
il perché di quel giorno.
Dopo
poco mi recai in una farmacia piuttosto fornita e chiesi del Propofol
portando una falsa ricetta.
Per
chi non lo sapesse, questo farmaco è un anestetico totale e
serve
normalmente per l'intubazione di un paziente. Deve essere molto
potente dato che uno degli ultimi riflessi del corpo umano a sparire
è quello della tosse, e se il paziente tossisse sputerebbe
via il
tubo, però se data in dose troppo abbondante può
arrivare a far
sparire anche lo stimolo del respiro e se non è il medico
stesso a
pompare aria attraverso il tubo, il paziente morirebbe soffocato.
L'unico problema è che questo farmaco ha una durata
piuttosto breve,
viene bruciato dall'organismo in fretta per permettere all'uomo
intubato di continuare l'anestesia solo tramite gas anestetizzante.
Rimasi
decisamente perplesso
dopo aver letto quelle righe. Beyond era al pari di un medico sulla
conoscenza di quel farmaco, mi chiedevo come potesse conoscere tutte
quelle cose. Probabilmente era bastata una ricerca, in fin dei conti
quell'uomo era in grado di infiltrarsi ovunque volesse. Adesso
davvero potevo comprendere perché era stato scelto come
secondo
successore di L: era geniale e questo era innegabile, ma il suo genio
era esploso per un progetto malvagio che comprendeva le vite di
persone innocenti e che era mirato solo allo sconfiggere quello che
considerava il suo rivale.
Noi,
nonostante fossimo i
due candidati per la successione ad L, non potevamo conoscere i
dettagli dei casi da lui risolti e per questo non sapevo nulla
nemmeno del caso dell'assassino BB di Los Angeles.
Stavo
per conoscere le
stesse cose che aveva conosciuto Mello, ma non dal punto di vista del
detective, bensì dal punto di vista dell'assassino. Questa
era
l'unica differenza, ma era una differenza fondamentale.
Mello
aveva visto il bene,
io avevo visto il male.
Ma
potevo davvero
considerarlo male assoluto?
E
allo stesso modo potevo
considerare L il bene assoluto?
Quasi
sicuramente nessuno sarebbe riuscito a decifrare uno schema simile a
quello che avevo inviato, troppo complesso.
Ebbi
conferma del mio pensiero quando il 31 luglio 2002 mi recai a casa di
Believe Bridesmaid con una borsa da palestra piena di roba che mi
sarebbe servita e non trovai alcuna traccia di protezione per l'uomo.
Mi
fermai qualche secondo ad osservare la dimora. Una casa troppo grande
per un uomo che viveva da solo. Entrai nel piccolo giardino che la
delimitava e mi affacciai alla finestra della stanza da letto.
Believe
Bridesmaid stava seduto sul letto con aria assonnata a fissare un
libro, ma non sembrava che lo stesse leggendo davvero.
La
finestra era aperta, per cui non ci volle molto per introdurmi
nell'abitazione. Feci un piccolo rumore di proposito e il giornalista
si voltò a guardarmi.
Sì,
sarebbe morto a breve.
Rimase
perfettamente immobile, forse per la paura di vedere una persona in
casa sua, una persona dagli occhi rossi come il sangue che brillavano
nella semioscurità.
“Chi
sei?” mi chiese con la voce che tremava. Non risposi, ma
aprii la
mia borsa e tirai fuori una piccola siringa contenente il farmaco che
mi ero procurato qualche giorno prima. Senza dargli il tempo di
muoversi iniettai il liquido bianco nella sua vena e attesi che fosse
troppo stordito per potersi muovere.
Vidi
le sue pupille dilatarsi, i suoi movimenti farsi lenti
finché non
chiuse gli occhi come se si fosse semplicemente addormentato.
Lo
fissavo rapidamente ogni tanto mentre studiavo la stanza. Era
semplice, non molto grande. C'erano solo un grande letto al centro e
una libreria, il tutto era piuttosto sobrio. I volumi sugli scaffali
erano disordinati e c'erano parecchi spazi vuoti.
La
cosa mi provocava fastidio.
Quando
il mio obiettivo fu steso sul letto con un respiro fin troppo lento
mi decisi a cercare qualcosa nella casa, così uscii dalla
stanza e
aprii un paio di stanze a caso.
L'oggetto
che scelsi era una sottospecie di laccio che si trovava in bagno,
così lo presi e tornai nella camera da letto della mia
vittima.
Mi
sistemai in modo da non fare troppo sforzo e gli sollevai il capo,
stringendo il laccio intorno al collo.
La
stretta fu unica, non mi ci volle troppa violenza dato che la vittima
non poteva opporre resistenza.
Attesi
finché non vidi il colorito cambiare e l'uomo che non
emetteva più
respiri.
Era
stato facile, ma la parte migliore veniva in quel momento.
Dalla
mia borsa estrassi un coltello, alzai la maglia del cadavere e con
attenzione e lentezza estrema scelsi il punto da incidere. Tracciai
le lettere XVI, LIX, MXDXXIII, CLIX, XIII, VII, DXXCII, DXXIV, MI,
XL, LI, XXXI con una meravigliosa precisione. Il coltello si muoveva
senza difficoltà sulla pelle di quell'uomo e il sangue
macchiava
tutto ciò che c'era.
Quando
finii l'operazione anche io mi ero macchiato. Riabbassai la maglietta
sul torace inciso, poi osservai la stanza.
Tutto
quel sangue era fastidioso, ma non era ancora il momento di pensare a
queste cose.
Mi
avvicinai alla libreria e riempii tutti gli spazi vuoti con dei libri
portati da me, finché non rimase alcuno spazio. Tra i titoli
che
avevo preso c'erano i manga di Akazukin Chacha! tranne i volumi 4 e
9 e un libro intitolato “Carenza di svago”.
Fatto
ciò mi ritenni soddisfatto e mi avvicinai alla parete di
fronte alla
porta. Calcolai l'altezza del pomello con un'occhiata dall'altro lato
della stanza e poi presi dalla mia borsa una wara ningyo che mi ero
fabbricato e un chiodo che conficcai nel muro con colpi decisi e
forti, poi legai la bambolina e ripetei l'operazione con altri tre
esseri di paglia.
Ammirai
il risultato della mia opera, le quattro bambole erano perfettamente
una di fronte all'altra, sistemate in maniera perfetta.
Finalmente
decisi di dare una pulita, così mi misi a neutralizzare ogni
cosa
nell'intera casa. Mi occupai della stanza rimuovendo le macchie di
sangue, poi mi diressi in tutte le altre stanze a pulire ogni oggetto
dalle impronte digitali.
Il
tutto richiese qualche ora, ma non mi interessava. Uno stratagemma
del genere porta a credere che l'assassino conosca di persona la
vittima, ma non era così.
Cercavo
di rendere il tutto complesso per non lasciare che la polizia mi
raggiungesse.
Era
L che doveva arrivare a me.
Pulii
persino le prese della corrente prima di chiudere la finestra senza
toccarla davvero.
Presi
una corda che avevo con me e mi avvicinai alla porta.
Sapevo
già che era una di quelle a pomolo, che per aprire deve
essere
girata. Nei giorni precedenti ero passato davanti a quella casa e mi
ci ero introdotto quando il suo proprietario si trovava fuori,
conoscevo i dettagli come i libri sulla libreria e quella maniglia.
Legai
il filo rosso al pomolo, poi lo feci passare sui chiodi di due delle
wara ningyo, quella di fronte e quella di sinistra. Uscii dalla
stanza facendo passare il filo attraverso la serratura della porta.
Con
dei movimenti studiati lo tirai, con calma. Piano la maniglia
girò e
la porta si chiuse dall'interno.
Questo
era un trucco comune per fingere un suicidio, ma era evidente che un
suicidio non poteva essere stato.
Diedi
uno strattone e recuperai il filo rosso e salutai quella casa
muovendomi con eccessiva calma.
Non
sapevo veramente come
commentare.
Un
omicidio commesso con
tale freddezza non è umano.
B
vedeva le persone solo
come numeri per completare il suo puzzle, era qualcosa di veramente
inquietante. Anche io ero stato accusato di vedere le persone come
numeri eppure credevo, anzi, ero sicuro che mai sarei potuto giungere
a un livello di freddezza tanto elevato.
Non
da uccidere mantenendo
tanta lucidità.
Avevo
visto numerosi
assassini nella mia vita, ma tutti durante o dopo l'omicidio avevano
il volto stravolto, non riuscivano a essere così impassibili
e per
questo commettevano errori.
B
li chiamava stupidi, ma
erano solo normali esseri umani.
Errare
humanum est, no? Lo
dicevano anche i Latini. Ma B non era paragonabile agli esseri umani.
B era un Dio della morte, come si era definito da sé e come
dargli
torto? In fin dei conti il suo omicidio era tutto basato sulla
sicurezza che la vittima sarebbe morta. Non pensava a ciò
che stava
vivendo, ma già al risultato finale.
L'unica
cosa importante era
battere L e non poteva permettersi il lusso di essere debole con un
obiettivo simile.
Rimaneva
solo da vedere se
alla vittima successiva sarebbe arrivato prima un serial killer
spietato, la polizia o il più grande detective del mondo.
_______________
Authoress' words
Hello!
Oggi sono impegnatissima, quasi non trovavo il
tempo di pubblicare... Anche questa settimana è stata densa
di eventi, sapete? Solo per dirne una hanno cercato di rapinarmi...
Mercoledì mi sono attardata tornando a casa mia
perché una mia amica mi aveva pregata in ginocchio di
accompagnarla alla cassa del negozio dove eravamo prima di andarcene,
però quella sera c'era una partita di calcio molto
importante e così non c'era nessuno per strada. Io e
un'altra mia amica siamo state fermate da un tipo che ci ha detto di
avere una pistola e ci ha intimato di dargli soldi e telefonino. La mia
amica subito ha dato tutto, io invece l'ho guardato bene: aveva le
tasche vuote, la maglia aderente e le mani vuote, perciò gli
ho chiesto: "Scusami, e dove l'avresti questa pistola?" e lui mi ha
intimato di dargli i soldi. Glieli ho dati, poi mi ha chiesto il
telefonino. Il mio telefonino è costosissimo ed è
un regalo, non volevo darglielo, così mi son messa a
chiedergli se potevo togliere la SIM dall'interno, con la scheda di
memoria. Quello non mi rispondeva e continuava a ripetere di darmi il
telefono, finché non è arrivata gente e gli ho
detto: "Se non rispondi alle mie domande urlo.", così
è scappato! Mi son sentita al settimo cielo!
Ok, basta coi racconti inutili... Vi saluto, a
domenica prossima!
Any
|
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Capitolo 18 *** Theme 40. L no Kabe ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Come
previsto.
La
polizia probabilmente aveva rinunciato a risolvere il mio cruciverba
e adesso credeva che Believe Bridesmaid fosse stato ucciso da un
rivale nel mondo del giornalismo, un killer occasionale di quelli
impossibili da raggiungere.
Inetti.
Se
solo non avessero abbandonato tutto così e avessero
osservato più
attentamente... E pensare che mi ero dato la premura di lasciar loro
un indizio!
Avevo
già deciso la seconda vittima, una di quelle giornate
uggiose in cui
vagavo per la città. Il giorno in cui avevo spedito il
cruciverba
era a nove giorni di distanza dalla morte di Believe Bridesmaid,
secondo la logica avrei dovuto uccidere dopo altri nove giorni, ma
volevo confondere un po' le idee. Mi serviva un ragazzo giovane che
sarebbe morto il 4 agosto con le iniziali QQ. Sapevo che non sarebbe
stato impossibile trovarlo perché sapendo che sarei stato io
a
ucciderlo di sicuro la sua durata vitale sarebbe stata perfetta per
il mio piano.
Mi
piazzavo davanti a delle scuole e osservavo i ragazzi che uscivano.
Non trovai nulla che mi potesse servire se non il 12 giugno, l'ultimo
giorno di scuola. Tra la folla vidi quella scritta, Quarter Queen,
durata vitale brevissima.
Era
perfetta. A occhio le potevo dare tredici anni, non di più.
La
seguii per scoprire dove abitava. Third Avenue, Downtown, un luogo
povero dove mi introdussi molto facilmente per studiare il campo sul
quale avrei agito.
La
caccia alle vittime era un qualcosa di quasi divertente e ripensando
a come avevo trovato la ragazza decisi di scegliermi la terza
vittima, dovevo sapere chi sarebbe stata prima dell'omicidio in modo
da lasciare un indizio per quegli idioti della polizia.
Stavolta
volevo di nuovo le iniziali BB e non mi interessava minimamente di
che tipo di persona dovessi uccidere. A Los Angeles non era difficile
trovare una persona con i requisiti giusti, la gente era fin troppa.
Non ci pensai neanche troppo, semplicemente aprii un elenco
telefonico e cercai la lettera B.
B.
B
come Backyard.
B
come Bottomslash.
Perfetta.
Backyard
Bottomslash abitava vicino alla stazione di Glass nel Westside.
Inutile dire che mi recai sul posto per poterla vedere. Attesi
finché non uscì di casa. Aveva circa trent'anni,
impiegata di
banca. La sua durata vitale era perfetta, lei era la terza vittima.
Tornai
nella mia “casa” e ripresi le mie
attività come se non avessi
fatto nulla di importante.
Il
4 agosto 2002 mi recai a Downtown, diretto alla casa di Quarter
Queen, la ragazzina che avevo visto al di fuori della scuola media.
Essendo molto giovane non avrei avuto bisogno di escogitare metodi
complessi per introdurmi nell'abitazione, era ingenua dopotutto.
Rimasi
qualche secondo
immobile, quasi non respiravo. Davvero non gli interessava di stare
per uccidere una bambina? Quel modo di fare era orribile eppure non
riuscivo a smettere di leggere. Una parte di me voleva sapere, la
parte più debole si rifiutava di andare avanti, ma
ovviamente tra le
due vinse la prima. In fin dei conti anche fermandomi non potevo
cambiare gli eventi già avvenuti.
Semplicemente
bussai. Sapevo benissimo che era sola dato che la madre della ragazza
era dovuta partire per lavoro e il padre non viveva con loro.
La
porta si aprì lentamente, probabilmente era solo esitazione
nel
trovarsi uno sconosciuto davanti.
“Salve...
Lei chi è?” chiese infantilmente.
“Io?” le chiesi di rimando,
lei annuì solamente. “Io sono del governo. Sono
qui perché so che
lei è stata lasciata a soli tredici anni in casa senza un
adulto e
anche se il viaggio di sua madre sarà breve è
illegale.” risposi
imitando il modo di parlare degli scocciatori che vengono a bussare
alla porta cercando di essere più convincenti possibile.
Essendo
così piccola avrebbe creduto anche ad una storiella del
genere.
“Mi
scusi, ma non può parlarne con me...”
mormorò. “Ma sua madre
non c'è, non possiamo lasciarla da sola. Se non le spiace
vorrei che
mi facesse entrare, mi devo accertare delle sue condizioni di
salute.”.
La
ragazzina annuì e mi lasciò accomodare. Ingenua e
debole com'era,
non riuscì a opporre resistenza neanche quando
sentì l'ago della
siringa che penetrava la sua carne e il suo corpo che piano cedeva.
La appoggiai sul suo letto quando la vidi totalmente incosciente.
Sinceramente
non sapevo come ucciderla. Già che c'ero volevo sperimentare
qualche
modo diverso per porre fine alla vita di un essere umano,
così non
mi passò neanche per la testa l'idea di ucciderla per
strangolamento.
Sembrava
che B vedesse il
tutto come un gioco, solo come un gioco. Stava per uccidere una
persona, una ragazzina, e si permetteva anche di prendersi il lusso
di cercare un mod0 diverso per ucciderla.
Erano
esperimenti quelli che
stava compiendo, non gli interessava nulla di ciò che stava
facendo.
La
casa era piccolissima, un appartamento per studenti universitari dove
chissà come erano finite una madre e una figlia.
Mi
ci volle davvero poco per rendermi conto della struttura e degli
oggetti che si trovavano al suo interno.
Quello
che più attirò la mia attenzione era uno scatolo
di metallo
cilindrico.
Lo
raccolsi, lo soppesai con le mani.
Decisi
di aprirlo per curiosità, all'interno c'erano cose inutili
che per
una ragazzina sono fondamentali, come le foto del cantante preferito,
disegni stupidi probabilmente fatti dalle amiche.
Richiusi
la scatola e mi avvicinai al corpo dormiente. La osservai per qualche
secondo per poi sollevare l'oggetto argenteo e tirarlo con tutta la
mia violenza sulla testa di quella ragazza.
Ripetei
quel gesto più volte, fino a vedere la forma del cranio
cambiata, il
corpo privo di vita e il sangue che macchiava tutto.
Osservai
la cosa ancora, poi girai intorno al letto.
Era
pallidissima, non sembrava vera.
Tornai
nella posizione precedente, mi avvicinai alla testa.
Anche
se normalmente a un cadavere si chiudono, le aprii gli occhi e presi
dalla mia borsa il coltello.
Con
la massima delicatezza infilai l'oggetto affilato tra la palpebra e
l'occhio e poi, facendo leva, spinsi quest'ultimo fuori dall'orbita.
Non
era una bella sensazione vedere una cosa così
appiccicaticcia sul
proprio coltello, ma ripetei l'operazione anche con l'altro occhio.
Decisamente
B era anormale.
Non gli interessava nulla dell'omicidio che aveva appena compiuto, ma
gli interessava solo del fatto che il suo coltello si stesse
sporcando.
Per
un individuo come lui
era naturale comportarsi così, ma per me era un qualcosa di
inconcepibile.
B
non era umano.
Quell'uomo
era andato troppo
oltre il limite, si comportava come se davvero gli interessassero
solo i gesti e non i pensieri, nulla.
Una
freddezza malata aveva
preso possesso di quel corpo.
Avevo
tirato fuori entrambi gli occhi dal cranio della ragazza. Soddisfatto
impugnai nuovamente il mio coltello e con precisione e violenza
cominciai a distruggerli.
Stavo
maciullando gli occhi rendendoli simili a poltiglia bianca. Chiunque
si sarebbe impressionato a una simile visione, ma io ero razionale,
io non sarei mai crollato.
Le
iridi celesti erano scomparse, di loro era rimasta solo un po' di
acquiccia appiccicosa.
Una
volta finita l'opera anche con l'altro occhio girai il cadavere al
contrario, aprii la mia borsa ne estrassi un paio di occhiali. Erano
sottili, quasi invisibili. Glieli feci indossare notando che, da
viva, con quelli addosso sarebbe stata decisamente più
carina.
Ragazze
come quella erano fatte per indossare gli occhiali.
Alzai
le spalle prima di dedicarmi alla parte meno divertente del lavoro.
Di
nuovo misurai l'altezza del pomello della porta con lo sguardo e mi
avvicinai al muro opposto.
Poggiai
un chiodo sul punto che mi interessava e con forza cominciai a
colpirlo con la stessa scatola con la quale avevo ucciso la ragazza
per conficcarlo nella parete.
Quando
fu stabile presi una wara ningyo, legai il filo rosso che la teneva
intorno al chiodo con delicatezza e attenzione.
Mi
avviai alla parete di sinistra ridacchiando. Questo avrebbe fatto
capire a quegli imbecilli della polizia che chi aveva ucciso il
signor Bridesmaid non era un assassino occasionale.
Avrebbero
finalmente capito che si trovavano davanti ad un serial killer.
E
non un semplice serial killer, il migliore che fosse mai esistito
perché il mio gioco era solo con L, le forze dell'ordine
erano solo
una piccolissima pedina, una pedina che serviva solo ad attirare
l'attenzione dell'altro giocatore.
Con
tutte quelle ipotesi palesemente sbagliate mi davano solo fastidio.
Supponevano che ad uccidere Believe Bridesmaid fosse stata una
persona che lo conosceva molto bene o che era sua rivale in campo
lavorativo per via dell'accanimento contro il cadavere.
In
effetti era la prima
ipotesi che poteva venire alla mente vedendo un caso del genere,
eppure fermarsi lì era da stupidi. Persino io avrei pensato
che ci
doveva essere almeno un altro indizio, liquidare il tutto come caso
irrisolvibile decisamente non era professionale, e poi un assassino
occasionale che agisce per rabbia commette sempre errori, tutta
quella precisione doveva essere di sicuro di un omicidio premeditato.
Familiari
o amici della
vittima davvero non avevano detto nulla?
In
ogni caso il secondo omicidio sarebbe dovuto bastare ad attirare
l'attenzione di L, uno come lui non ci avrebbe messo troppo a capire
chi poteva essere l'autore di quei delitti.
Di
nuovo pulii ogni angolo della casa da impronte digitali, ogni punto
doveva essere sterile. Pulii anche il sangue, mi dava fastidio quel
colore rosso che dava alla stanza un aspetto così vivo.
Il
colore naturale di quel luogo, il bianco, era così morto
invece, si
adattava bene con tutto.
Improvvisamente
mi voltai, come se non fosse accaduto nulla uscii da quel luogo come
ero entrato. Quasi come per rassicurare il cadavere gli feci un cenno
della testa e come riprendendo un discorso lasciato in sospeso
aggiunsi: “Allora riferirò che va tutto bene e che
non c'è
bisogno di prendere alcun provvedimento per lei e per sua madre,
signorina.”.
Detto
questo chiusi la porta e con un sorriso ironico e quasi malvagio mi
incamminai per tornare al mio rifugio, per aspettare di vedere che
cosa avrebbero detto e pensato quelli della polizia, per vedere
entrare in azione il più grande detective del mondo.
_______________________
Authoress'
words
Hello!
Caspita...
siamo già al diciottesimo capitolo, ma soprattutto...
Abbiamo raggiunto le 100 recensioni! Quando ho iniziato a pubblicare
mai me lo sarei aspettata!
In questo
periodo sono stata alla larga da Internet per via di una serie di
problemi e di storielle... un brutto periodo insomma, ma adesso credo
che le acque si siano calmate, quindi va tutto bene!
So che
probabilmente tutto ciò non interessa a nessuno,
però mi andava di dirlo. u.u
Parlando
della storia... W la cruenza! Da questo capitolo si può
comprendere perché ho alzato il rating della storia e
perché ho dovuto mettere l'avvertimento "non per stomaci
delicati", una mia amica stava svenendo solo a sentire il racconto di
ciò che ho scritto... E ma son pur sempre omicidi, di certo
non possono esserci roselline e margheritine, no? u.u
Ok, vi
saluto qui, alla prossima!
|
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Capitolo 19 *** Theme 46. Yotsuba Koroshi no Kaigi Shitsu ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Sembrava
davvero assurdo. Quegli idioti della polizia non avevano trovato
neanche il secondo indizio che avevo lasciato per loro, eppure questo
era più evidente e più stupido dell'altro.
L
ancora non si era fatto vivo, ma in fin dei conti sapevo che non
sarebbe intervenuto per salvare Backyard Bottomslash: la durata
vitale della donna era breve, brevissima. Anche se il detective fosse
intervenuto non sarebbe sopravvissuta.
13
agosto 2002.
Era
il momento adatto.
Prendendo
la metropolitana mi recai nel Westside.
Backyard
Bottomslash non era in casa, era ancora al lavoro.
Avevo
con me una copia delle sue chiavi che mi ero procurato un giorno che
se le era dimenticate e ne aveva estratto la copia da sotto allo
zerbino. In molti lo fanno, ma così possono essere sottratte
fin
troppo facilmente.
Com'è
stupida l'umanità.
Mi
sistemai comodamente nella sua stanza da letto ad attenderla. Avevo
già in mente come agire per lasciare il terzo e ultimo
indizio.
Dovevo
solo sperare che L scegliesse un solo collaboratore per il caso, dato
che nell'ultimo luogo le persone con le iniziali giuste erano ben
due.
Sempre
cercando sull'elenco telefonico in una mattinata di brutto tempo
trovai due persone con le iniziali che cercavo che vivevano nello
stesso palazzo.
Perfetto.
Non
c'era modo per capire quale delle due sarebbe stata uccisa e quale
sarebbe stata risparmiata.
E
se fossero morte entrambe?
Questo
nessuno l'avrebbe potuto scoprire, nemmeno il mio rivale in quella
pericolosa partita a scacchi.
Le
due potenziali vittime erano un uomo e una donna, entrambi sulla
quarantina, Blackberry Brown e Blues-harp Babysplit.
Di
nuovo BB? Eppure la
seconda vittima aveva per iniziali QQ e anche i giorni seguivano
questo ordine: nove giorni, quattro giorni, nove giorni. Quindi forse
avrebbe ucciso dopo altri nove giorni dalla terza vittima, ma non ne
comprendevo il motivo.
Forse,
mio caro lettore, avresti pensato che la mia quarta vittima avesse di
nuovo le iniziali QQ?
Credo
che sarebbe più divertente se scoprissi da solo il
perché di questa
mia scelta andando avanti con la lettura, non credi?
Oh,
non ti preoccupare d'altro, lo scoprirai senz'altro se sei riuscito a
comprendere ciò che ho narrato fin qui. Dopotutto ci vuole
un po' di
cervello per leggere questo quaderno.
Non
saprei, credo che sia una lettura un po' pesante, stiamo parlando di
omicidi dopotutto e non sto nascondendo quasi nulla, cerco di essere
il più chiaro possibile.
Fin
troppo chiaro, però
allo stesso tempo si stava divertendo a seminare indizi, per giocare
un pochino anche con il suo lettore.
Lo
divertiva così tanto
giocare con gli altri?
Tutto
era come un gioco,
tutto era come un esperimento.
Tornando
a noi, L si doveva dare una mossa. Se davvero non fosse intervenuto
poteva significare solo che l'avevo sopravvalutato, che era
più
stupido di quel che ricordavo.
No
invece. L si stava solo
prendendo il tempo necessario per captare quanti più indizi
possibili.
Eppure
era strano che ancora
non fosse intervenuto anche se di solito accettava solo casi in cui i
danni superavano le dieci vittime o i milioni di dollari, forse era
anche normale che non si fosse scomodato per sole due vittime e solo
col terzo omicidio avrebbe potuto intuire che si trattava di BB,
Beyond Birthday, dopotutto se nel primo la vittima era BB, nel
secondo era QQ.
Mi
stavo decisamente annoiando: Backyard era in ritardo. L'avrei voluta
rimproverare per questo, ma quando aprì la porta di casa sua
tutto
il mio fastidio sparì.
Con
tranquillità accese la luce, richiuse la porta alle sue
spalle ed
entrò nella stanza. Io ero in un angolino nascosto, per
questo non
mi vide.
Le
afferrai un braccio.
Gridò.
La
sentii cercare di liberarsi, siccome ero dietro di lei non poteva
vedermi. Squittiva frettolosamente: “Chi sei?! Lasciami
andare!
Cosa vuoi? Ti do tutto quello che vuoi, lasciami andare!”.
Rimasi
qualche secondo fermo a osservare quella scena pietosa. Divincolarsi
in quel modo non serviva a nulla, era palese che fossi più
forte di
lei, allora perché agitarsi tanto? Non ci arrivava a pensare
che
quell'atteggiamento mi infastidiva solo di più?
“Lasciami!
La...! Ah!” urlò di dolore quando l'ago della mia
siringa le
penetrò la pelle.
Allentai
la presa, lei corse immediatamente dall'altro capo della stanza.
“Chi
sei?” chiese confusa. “Che vuoi da me?”.
“Io?
Io mi chiamo Beyond Birthday e sarò il tuo
assassino.” le risposi
con voce calma. “Cosa?! Perché? Perché
proprio io?” “Mia
cara, la tua durata vitale è brevissima, anche se non ti
avessi
uccisa io saresti morta comunque.”.
“E
che ne sai tu?!” chiese tremando. Stava cercando con tutte le
sue
forze di non cedere al farmaco. Rimasi molto colpito dal suo modo di
lottare contro il suo stesso corpo.
Semplicemente
troppo legata alla vita. Magari se le avessi chiesto perché
quella
inutile resistenza se ne sarebbe uscita con cose del tipo “Ho
ancora cose da fare, delle persone cui badare, ho un
fidanzato...”.
Tutte
stupidaggini.
“Vedi
i miei occhi? Sono rossi. Sono gli occhi di un dio della morte, posso
vedere il nome e la durata vitale di qualsiasi persona guardi in
volto.” le risposi alzando le spalle. “Per colpa di
questi occhi
ho avuto una vita orribile, perciò regalo la morte.
Perché voi ne
avete tanta paura? Da morti risposate, da vivi vi affaticate e
soffrite.”.
“N...
Non si può sentire il sollievo se prima non si ha faticato,
non si
può sentire la felicità se prima non si ha
sofferto.” mormorò
prima di chiudere i suoi occhi per sempre.
Questa
risposta la danno sempre nei libri o nei film. Tipico. E allora, se
la felicità fosse direttamente proporzionale alla sofferenza
dovevo
essere la persona più felice del mondo, no?
Lo
sarei stata, ma solo dopo aver sconfitto L.
Quella
sarebbe stata la mia felicità.
Quella
di B per L era
un'ossessione, come si può pensare di essere felici facendo
del male
ad altri?
Come
si può pensare di
essere felici sconfiggendo il numero uno per diventarlo di
conseguenza?
Ora
come non mai vedevo la
similitudine tra B e Mello. L aveva ragione, non poteva andare avanti
così e non poteva finire allo stesso modo.
Mi
avvicinai alla donna dormiente e la appoggiai su una sedia. Ero
proprio curioso di vedere se fosse possibile far morire un essere
umano di emorragia interna senza danneggiare gli organi vitali,
così
la colpii ripetutamente al braccio sinistro con tutte le mie forze
facendo attenzione a non lacerare la pelle.
Nonostante
la colorazione violacea che aveva assunto questa non morì,
continuava a respirare tranquillamente.
Beh,
non era niente più che un esperimento, così mi
limitai a osservarla
qualche secondo e a prendere il mio coltello dalla borsa. Con forza
lo piantai nella carne della spalla sinistra. Quel che mi attendeva
era un lavoro piuttosto faticoso: l'amputazione del braccio sinistro.
Mi
ci volle parecchio tempo per rimuoverlo del tutto e quando terminai
lei era morta da un po'.
Ripetei
l'operazione anche con la gamba destra, incidendo calmo con la mia
arma, premendo e andando delicatamente a seconda del punto che
toccavo.
Quando
terminai la posizionai stesa sul pavimento, la pancia rivolta verso
l'alto con braccio e gamba distesi in un punto preciso.
Come
al solito mi avvicinai alla parete sinistra per piantare la prima
wara ningyo.
Dopo
averlo fatto aprii la mia borsa e ne estrassi due piccoli peluche che
posizionai sul pavimento, poi andai vicino alla parete di fronte alla
porta e, dopo aver piantato la bambola nel punto giusto, appoggiai
lì
sotto altri cinque peluche, poi ne appoggiai nove sotto la parete di
destra e dodici sulla parete della porta.
Perfetto,
l'enigma era quasi pronto.
Presi
tra le mie mani la gamba della donna e uscii dalla stanza.
Mentre
ne sgorgava ancora sangue la lasciai cadere nella vasca da bagno,
lasciando che si tingesse di rosso vivo.
Tornai
nella stanza e cominciai a pulire tutto, ma lasciai il sangue della
vittima lì sul pavimento, quell'odore nauseabondo per la
maggioranza
degli esseri umani non mi dava più fastidio.
Dopo
tutta la pulizia, prima di chiudere la porta mi sembrò
giusto
concludere il dialogo: “Ecco, vedi? Ora non soffri
più, non hai
più quella sgradevole sensazione di paura che avevi fino a
qualche
ora fa. Requiescat in pace, Backyard Bottomslash.” dissi
salutandola.
Come
al solito feci passare il filo intorno ai chiodi delle due wara
ningyo attaccate alle pareti, poi chiusi la porta facendo passare il
filo per il buco della serratura e con i miei movimenti studiati non
lo feci mai staccare, l'importante era essere delicati, muoversi
sempre con la stessa costanza, senza dare strattoni improvvisi o
rallentare rapidamente.
Dopo
averlo ripulito avevo sistemato il braccio, ormai esangue, nella mia
borsa.
Aveva
ancora sopra un orologio ancora in funzione.
Un
orologio ancora “vivo”.
In
fin dei conti quando una persona muore anche le cose che le sono
più
vicine continuano a vivere, anche i suoi amici più cari
forse non si
sforzano più di tanto per piangerla. Dopo un po' il ricordo
sparisce, fine del gioco.
Non
si esiste più.
Non
ha senso commemorare, non ha senso andare a trovare una cosa che
aveva un aspetto umano e che adesso giace sotto terra, e se anche un
cadavere potesse ancora udire le voci dei suoi cari, sarebbe davvero
felice di vedere come sono tutti tristi per lui?
Forse
sarebbe semplicemente più felice se vedesse che la vita
continua.
__________________________
Authoress' words
Ce l'ho fatta! Sapete, oggi non è per
niente la giornata ideale per pubblicare dato che domani potrei avere
la prima interrogazione di Greco dell'anno da una professoressa che non
mi conosce e che ha la fama di essere fin troppo esigente... In parole
povere sono terrorizzata, però ho studiato tutto
ciò che ha detto un mio cugino che mi fa anche da insegnante
privato.
E sapete una cosa? Mio cugino somiglia proprio a
Light, nel senso che è molto bello e non ha mai preso un
voto inferiore al 30 e lode anche se sono almeno tre anni che fa
l'università. Però nonostante le sue
capacità ancora non è riuscito a comprendermi
infatti ogni volta che mi vede (come oggi) manifesta dubbi sul mio
sentirmi male se faccio lezione senza dolci, ma oramai ci ha rinunciato
e me lo lascia fare.
Sto dicendo un sacco di cose inutili.
Adesso telefono Black Nana.
A domenica prossima!
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Capitolo 20 *** Theme 70. Taiji ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Quella
mattina mi alzai con
una strana sensazione addosso. Avevo quasi un velo di nostalgia per
il passato, come se avessi avuto qualcosa da rimpiangere.
Era
passato molto tempo da
quando avevo trovato il quaderno di B, oramai più di un anno.
Guardando
fuori dalla
finestra vidi una nebbiolina fitta, che rendeva tutto l'ambiente
intorno a me stranamente evanescente.
Sarebbe
stato davvero
suggestivo usare quell'ambientazione per un qualche film horror.
Inizio perfetto, mattina fredda, ma in fin dei conti normale e poi
l'inaspettato.
Attesi
qualche secondo, ma
non saltò fuori nessuno spettro, quindi tornai a pensare
alle solite
cose, cercando di fare mente locale su cosa avrei fatto quel giorno.
Ogni giornata era simile dopotutto: scuola, compiti e forse sarei
andato a leggere ancora.
Un
forse molto probabile.
Durante
la giornata
scolastica non accadde nulla, solo le solite spiegazioni sulle
ordinarie materie, spiegazioni che, per quanto tu possa essere il
primo della lista, a volte annoiano davvero. Gli insegnanti si erano
abituati all'idea che forse non avrei mai alzato la mano per
intervenire, ma dopo tutto a che serviva? In fin dei conti il
punteggio finale non era determinato da quello.
Dopo
aver finito con le
lezioni e i compiti mi trovavo senza nulla da fare.
Non
potevo andare subito a
leggere il diario, dato che con tutta quella gente in giro qualcuno
avrebbe potuto vedermi dirigere verso il corridoio proibito.
“Ehi
Matt! Andiamo?”
risuonò la voce di Mello nelle mie orecchie.
“Andare? Dove?”
chiese il rosso di rimando. “Come dove? A giocare a calcio!
Tanto
abbiamo il pomeriggio libero... Muoviti!” disse il biondino
afferrando un pallone e dirigendosi fuori dalla stanza. Matt scosse
la testa sorridendo, affrettandosi a raggiungere l'amico.
Rimasi
un attimo fermo, poi
afferrai il mio puzzle preferito per dirigermi da qualche altra
parte.
Mi
serviva un luogo
silenzioso e neutro.
La
stanza bianca al centro
del corridoio era perfetta.
Dopo
essere entrato mi
appoggiai sul pavimento e svuotai la scatola bianca, cominciando a
piazzare le tesserine al loro posto. Era tutto come uno schema,
logico e perfetto. Nulla poteva andare storto, nei puzzle non ci sono
imprevisti.
Avevo
già composto il
centro bianco della composizione, quando improvvisamente mi alzai in
piedi. Non so nemmeno io perché lo feci, ma mi diressi alla
finestra
ad osservare fuori. Nonostante il vetro fosse chiuso, riuscii
comunque a sentire le urla di chi era impegnato in una agguerrita
partita di calcio. Qualcuno gridò: “Ti ho preso,
Mello!”
calciando la palla lontano.
Non
potevo dire di invidiare
i giocatori, la cosa mi lasciava indifferente.
O
forse vuoto?
Tornai
dal mio puzzle, quasi
non ebbi il tempo di prendere un altro tassello che sentii una voce
femminile chiamarmi: “Near, perché ogni tanto non
giochi
all'aperto?”. Non guardai nemmeno quella che avevo
riconosciuto
come Linda, senza neanche pensare risposi: “Sto bene
così.”.
La
mia risposta era stata
apatica, come il puzzle che stavo componendo. Me ne ero già
reso
conto, ma per ricordarmelo una seconda voce si aggiunse sprezzante:
“Lascialo perdere, Linda.”.
Eh
già, non avrebbe
ottenuto nulla da uno come me, meglio lasciarmi perdere.
Stavo
bene così.
Ma
era vero?
Il
problema è che molti
esseri umani dicono l'esatto contrario di quel che pensano, la
chiamano psicologia inversa. Un uomo, che cercava inutilmente di
farmi aprire, diceva a Roger che forse facevo così solo
perché in
realtà volevo degli amici, ma avevo paura. Diceva che le
persone
dicono ciò che non pensano quando hanno paura in qualche
modo di
ammettere il contrario.
Eppure
io stavo davvero
bene.
C'ero
io e basta.
Una
serie di urla mi fece
perdere il filo dei miei pensieri. Probabilmente la squadra di Mello
aveva vinto.
E
come poteva non finire
così col bambino più tosto della The Wammy's
House?
Posizionai
un altra tessera,
un'altra e un'altra ancora.
Avevo
quasi completato il
mio puzzle quando sentii ancora rumore. La cosa cominciava a
infastidirmi.
“Oh,
signor Roger...”.
Che ci faceva Roger lì? “Mello...” disse
la voce tremante
dell'anziano. “Eh?” disse solo la lettera M.
“E
anche tu, Near...
venite nel mio ufficio.”. Automaticamente risposi:
“Arrivo.”,
ma solo dopo pensai a ciò che mi era stato detto.
Perché
dovevo andare di
nuovo nell'ufficio di Roger? Di sicuro non si trattava di L dato che
non l'avrei più rivisto.
Senza
pormi più domande mi
alzai e, portando con me il puzzle ancora incompleto per tre soli
pezzi, mi diressi verso i due. Roger teneva Mello per il braccio,
come se avesse temuto che il biondo scappasse via.
Quando
finalmente fui
nell'ufficio mi sedetti sul pavimento senza preoccuparmene troppo.
Ripresi in mano il mio puzzle e ricominciai a studiarne la struttura.
Mello
era accanto a me, in
piedi e con l'espressione preoccupata.
“Che
c'è, Roger?”
chiese poi.
L'anziano
era seduto con
espressione di dolore, con le mani congiunte contro il mento.
Rimase
in silenzio, ad occhi
chiusi, come per paura di rispondere alla domanda del ragazzo, la
tensione nella stanza cresceva per ogni secondo in cui attendevamo la
risposta.
“L
è morto.” disse poi.
Silenzio.
Avevo
sentito bene?
Mi
bloccai con i pezzi del
puzzle in mano. Come avrei dovuto reagire? Poteva essere vero?
L'espressione
di Mello era
di puro stupore. Era immobile, incapace di dire qualsiasi cosa.
“Morto?! M... ma come?!” urlò poi, senza
riuscire a controllare
il tono di voce. Roger non rispose, io posizionai l'ultimo tassello
del puzzle quasi automaticamente, non riuscivo a pensare. Avevo
appena composto la lettera L. Ma la lettera L non c'era più.
“V...
vuoi dire che è
stato ucciso da Kira?! È così?!”
urlò il biondo alzando sempre
di più la voce e avvicinandosi al gestore della casa.
“È
probabile.” riuscì solo a mormorare questo. Mello
lo afferrò per
la collottola, con violenza, con rabbia: “Cioè L
è stato ucciso
dopo che aveva giurato di mandare Kira sulla forca?!”
“Mello...”.
Improvvisamente
rovesciai il
puzzle, lasciando cadere i tasselli sul pavimento.
“Se
non riesci a vincere
il gioco... se non riesci a completare il puzzle... sei solo un
perdente.” mormorai.
L
aveva fallito, non aveva
completato la sua partita, o meglio, l'aveva completata ma l'aveva
persa. Era la sua strategia ad essere sbagliata? No, doveva essere
accaduto qualcosa che non poteva essere previsto neanche da lui.
Mello
mi fissava sempre più
perplesso. “E allora? L chi ha scelto di noi due?!”
chiese
riprendendosi. Mentre attendeva la risposta ricominciai a posizionare
i tasselli al loro posto, ricomponevo quella lettera.
“Non
aveva ancora deciso e
ora che è morto, non ha più modo di
scegliere.” rispose Roger.
No,
non aveva scelto solo
uno di noi di proposito. Io dovevo collaborare con Mello. Avrei
dovuto intervenire, ma qualcosa mi bloccava. “Mello...
Near...
perché non unite le vostre forze?” mi
anticipò l'anziano. “Sì.
Giusto...” mormorai.
Il
mio compagno mi fissò
con ferocia, quasi mi fece paura. Non avevo mai visto tanto odio sul
suo volto. “Impossibile, Roger. Lo sai bene che io e Near non
andiamo d'accordo. Noi siamo sempre stati rivali. Sempre... Per
quanto m'impegnassi... per quanti sforzi facessi io sono sempre stato
il numero due.” disse finalmente con calma. “E va
bene, Roger.
Sarà Near l'erede di L.” disse poi rompendo il
silenzio.
Non
doveva andare così.
“Diversamente
da me, lui
riuscirà a risolvere il caso con calma e sangue freddo, come
se
completasse uno dei suoi puzzle.” aggiunse mentre posizionavo
di
nuovo l'ultimo tassello.
Dovevo
dire qualcosa.
“Io
mi tiro fuori... e me
ne vado anche da questo istituto.”. Ma qualcos'altro mi
bloccava.
“Mello!”
Continuavo a
fissare i miei tasselli che adesso avevano un ordine.
“Tanto
ho quasi quindici
anni, Roger. Vivrò a modo mio.”. La porta
sbatté violentemente e
io ero ancora lì.
Non
avevo detto nulla.
Quasi
non riuscivo a credere
a ciò che avevo appena sentito. Avevo la sensazione che
nulla fosse
accaduto davvero. Sentivo di non essere vivo, come se tutto intorno a
me fosse stato solo un sogno.
Sentii
un fulmine.
No,
era vero. Il pavimento
era freddo e stringevo ancora tra le mani un tassello del puzzle, uno
dei pochi neri.
Perché
Mello era così
testardo e così orgoglioso? Se ne sarebbe andato
dall'istituto, poi?
Per la sua testardaggine avrebbe dovuto costruirsi una vita da zero,
magari con mezzi illeciti.
Io
invece sarei diventato L.
Era
sempre stato il mio
obiettivo, ma non riuscivo a sentire un minimo di soddisfazione.
L'unica cosa che sentivo era il vuoto più totale.
Il
buio.
Non
riuscivo a immaginare il
mio futuro, forse sarei stato ucciso anch'io, o forse avrei risolto
il caso?
Eppure
non mi sentivo
neanche all'altezza del vero L.
Voler
essere come lui era
troppo generico, cosa dovevo fare precisamente?
Da
dove dovevo cominciare?
Dove
dovevo arrivare?
Erano
solo domande quelle
che vorticavano nella mia testa, ma nemmeno una risposta apparve
nella nebbia che creavano i miei pensieri.
Il
silenzio era pesante, non
riuscivo a muovermi e nemmeno a dire qualcosa.
Roger
sembrava affranto.
Probabilmente
era morto
anche Watari. Oltre ad essere il fondatore dell'istituto, era anche
un caro amico dell'uomo che avevo davanti. Sembrava debole, ma non
faceva nulla per mascherarlo. Tra le rughe appariva tutta la sua
stanchezza, tutta la sua rassegnazione e tutto il suo dolore.
Eppure
rimaneva in silenzio.
Forse se avesse detto qualcosa, se avesse pianto, come probabilmente
voleva fare, il suo dolore sarebbe stato meno forte ai miei occhi.
Quello
era il dolore della
perdita, ma anche quello del trattenimento. E aveva perso anche uno
studente.
Tutti
in quella stanza
avevano perso.
Se
L aveva perso, anche io
avevo perso.
Se
L era un perdente, anche
io ero un perdente.
Se
L aveva perso la partita
a scacchi, io avevo perso l'ultima possibilità di portare a
termine
l'incarico che mi aveva affidato.
_______________
Authoress' words
Salve... scommetto che molti di voi mi vorrebbero
uccidere, vero? Con questo capitolo ho firmato la mia condanna
perché riguarda il momento più critico di tutto
Death Note, perché alcuni addirittura smettono di seguirlo
da questo punto in poi.
Sentite, ditemi quello che volete, ma secondo me
fare così è una stupidaggine perché se
non si continua vuol dire che non si accettano le cose accadute e fare
così per un fumetto è un'esagerazione.
Io adoro questo manga, non si tratta di passione,
ma di semplice razionalità. Ne approfitto per dire la mia:
il seguito di Death Note merita moltissimo.
Comunque sentivo il bisogno di inserire questa
parte per un motivo molto semplice: volevo che Near si pentisse di non
essere riuscito a compiere il suo dovere di chiedere a Mello di
collaborare con lui.
Questa non è solo la storia di B, ma
anche quella di Near.
Si vede che sono tesa per questo capitolo?
|
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Capitolo 21 *** Theme 3. Light's Theme ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Non
sapevo nemmeno io cosa
dovevo fare. Improvvisamente godevo delle attenzioni di tutti gli
adulti per ciò che era successo, si comportavano come se
avessi
dovuto superare un importante esame, come se dovessi partire per una
battaglia impossibile.
Mi
guardavano con
apprensione, quasi con pena e la cosa mi dava molto fastidio. Per una
delle prime volte in vita mia provai un sentimento che poteva
definirsi rabbia.
Come
ci si sente quando si
perde il modello che si ha avuto per anni e anni, come si ci
comporta?
Ci
si sente vuoti, senza
scopi.
Mi
dovevo basare su me
stesso e basta, che altro potevo fare?
L
non aveva lasciato nulla
di sé, nemmeno foto o documenti.
E
durante quell'ennesima
lezione cui partecipavo solo io mi sembrò di vederlo.
Qualcosa
c'era ancora.
C'era
il diario di Beyond.
Quel
pomeriggio mi
allontanai dalla mia stanza, che oramai condividevo solo con un Matt
che mi guardava con aria di comprensione, non aveva nulla da dirmi e
la stessa cosa era per me.
Quasi
correndo me ne andai e
salii le scale ignorando gli sguardi di chi, per via delle mie
attenzioni, mi odiava ancora di più e di chi, invece, si
chiedeva
semplicemente dove mi stessi dirigendo con quella fretta.
Non
sapevo nemmeno io perché
sentivo quel bisogno così forte di leggere il diario.
Entrai
nella stanza, lo
presi, freneticamente cercai il punto cui ero arrivato.
Mi
bloccai.
Perché
quella fretta?
Il
15 agosto, due giorni dopo l'ultimo omicidio, decisi di tornare sul
luogo del primo delitto.
Possibile
che la polizia ancora non avesse capito nulla?
Con
evidente fastidio rientrai nella casa di Believe Bridesmaid, come per
controllare di non aver dimenticato nulla.
Mi
ero preparato per bene, con del trucco e cose simili ero riuscito a
tornare all'aspetto di quando mi trovavo alla The Wammy's House:
avevo l'aspetto di L.
Quel
provvedimento mi era fondamentale, avrebbe potuto entrare qualche
estraneo dopotutto.
La
mia ira nei confronti della polizia era paragonabile a quella di un
bambino.
Sentivo
il bisogno di vedere di persona, di correre avanti.
Bisogno.
Una
parola che quel giorno
compariva anche troppo.
Una
volta arrivato però non sapevo che fare. Mi guardavo intorno
e notai
che il cadavere era stato portato via, come le bambole che avevo
posizionato.
Mi
appoggiai sul letto cercando di recuperare la mia lucidità
quando
avvertii dei passi.
Immediatamente
scattai in piedi e d'impulso mi nascosi sotto al letto.
Una
voce femminile giunse ovattata alle mie orecchie, mormorò
qualcosa
come: “Dubito che le mie considerazioni possano esserti
utili.”.
Pausa.
Probabilmente
era al telefono.
“È
anormale. Non solo perché ha ucciso queste persone.
È come se da
ogni gesto trapelasse l'anormalità dell'assassino... che per
di più
non fa nulla per nasconderla. Per esempio la questione delle impronte
digitali. Sul luogo del delitto, non è rimasta nemmeno
un'impronta
dell'assassino. Sono state ripulite in modo impeccabile.”.
Esattamente.
Ero anormale.
La
donna attese qualche secondo in attesa della risposta per poi
aggiungere: “Sì, ma lui è stato
maniacale. Se non si vogliono
lasciare impronte, basta usare i guanti, oppure pulire solo dove si
è
toccato. Ma questo assassino... ha tolto tutte le impronte da ogni
angolo della casa. Sia nel primo caso, sia nel secondo, sia nel
terzo. All'inizio, pensavo che fosse perché in passato aveva
frequentato spesso la casa delle vittime e non ricordava più
cosa
avesse toccato, ma ha pulito perfino le prese di corrente. È
un
altro discorso. A quel punto, rientra nel campo di ciò che
può
essere definito anormale.”.
Non
poteva essere un membro della polizia. Da quelli il massimo che mi
potevo aspettare era un ragionamento senza né capo
né coda e con
tre o quattro parole.
Lei
doveva essere quella scelta da L.
Finalmente
aveva raccolto la mia sfida.
“Quindi
L, continuando il discorso di prima... se ha usato ovunque attenzioni
così estreme, dubito che dalla scena del crimine si possano
ricavare
nuovi elementi utili. O almeno, ci sono poche speranze. Un assassino
come questo non commette errori.”.
Sì,
non c'era più dubbio.
Ma
già aveva sbagliato.
Probabilmente
avrebbe avuto bisogno di aiuto per giungere alla soluzione...
“Generalmente,
si indaga su un crimine discutendo sugli sbagli del colpevole e
riempendo man mano i pezzi del puzzle, ma questa volta non è
possibile contare sugli errori dell'assassino. Qualcosa di diverso da
un errore?”.
L
aveva indovinato. Non l'avevo sopravvalutato e la cosa mi diede una
grande soddisfazione.
La
donna chiuse la porta e poi si diresse verso i buchi nella parete.
Riuscivo
a vederle solo i piedi e a sentire la sua voce.
“Un
simile accanimento sul cadavere, apparentemente senza senso,
è
comune nei casi in cui l'assassino prova un odio profondo nei
confronti della vittima... non trovo strana l'idea che qualcuno
potesse nutrire rancore per uno scrittore freelance che faceva un po'
di tutto... inoltre, pare che si occupasse di cronaca rosa.”
Ancora
una pista sbagliata. Se non era accanimento per ira, non doveva
essere così difficile giungere alla soluzione.
“È
possibile che l'assassino provasse odio soltanto nei confronti di
Bridesmaid e che gli altri due omicidi servano a mascherarlo. O forse
il bersaglio non era Bridesmaid, ma uno degli altri due... oppure i
bersagli erano due e il terzo è un depistaggio. È
plausibile, no?
Anche l'intensificarsi dei danni potrebbe essere parte del
depistaggio, oppure...”.
Purtroppo
la donna che stavo ascoltando era troppo legata all'investigazione
tradizionale.
Quando
ci si accanisce su un cadavere, avrebbe dovuto sapere che lo si fa di
impulso, non si pianifica.
Forse
stava pensando che stessi mascherando degli omicidi casuali?
“No,
è soltanto una delle possibili ipotesi. Ma se fosse davvero
così,
si spiegherebbero le wara ningyo. Cioè, sarebbero delle
tracce
lasciate deliberatamente sulla scena del crimine, come prova che il
primo, il secondo e il terzo omicidio sono stati commessi da un unico
assassino... e forse lo stesso varrebbe per le stanze chiuse a
chiave.”.
Mi
sentii compiaciuto del fatto che nonostante tutto, quella donna non
riusciva ad arrivare alla soluzione.
L
avrebbe perso.
Ma
così non era divertente.
“È
per questo, L, che riflettere sul legame tra le vittime mi sembra un
controsenso. Anche perché credo che la polizia si stia
già muovendo
a sufficienza in questo senso... Non sarebbe più importante
esaminare le relazioni sociali di ognuno? La terza vittima, Backyard
Bottomslash, era un'impiegata di banca, avrà avuto a che
fare con
diverse aziende e...”.
Possibile
che stesse ancora ronzando su quella pista? Persino la polizia aveva
capito che non era la strada giusta. Era evidente che tutto
ciò che
volevo era attirare l'attenzione su di me.
“Sì.
E quindi? Quindi, L... tu ritieni che ci saranno altri due omicidi
simili?” chiese. Quella era la cosa più evidente,
cominciai a
sospettare che L avesse scelto un'incapace.
“Trenta
percento? Perché? Rimangono ancora due wara ningyo... e se
l'assassino le usa come metafora per indicare le vittime... Oh...
è
vero!”.
Avevano
parlato della possibilità che ci fossero cinque vittime...?
“Significa
che al massimo le vittime saranno quattro? Quindi la prossima
sarà
l'ultima.”.
Esattamente.
“Il
mio... talento? L. Tu sei al corrente del fatto che io sono in
congedo, vero? Immagino tu sappia anche il motivo per cui sono in
congedo. Non hai verificato? No...”.
Congedo?
Era per caso un'agente dipendente? L non avrebbe scelto uno della
polizia, amava spesso servirsi dell'FBI, quindi di sicuro quella
donna ne faceva parte.
“Bene,
L. Iniziamo le indagini per prevenire il quarto omicidio. Cosa dovrei
fare, tanto per cominciare? Un bel po' di cose. Scusa se insisto, L,
ma se rifaccio personalmente il sopralluogo sulla scena del crimine,
immagino significhi che devo cercare oggetti, diversi dalle bambole,
che siano passati inosservati... ma che genere di cose dovrei cercare
precisamente? Un messaggio? Una lettera? Aveva qualcosa a che fare
con gli omicidi?”.
Sorprendentemente
L era già venuto a conoscenza del mio cruciverba.
La
cosa mi fece sorridere di compiacimento.
Le
cose stavano andando esattamente come previsto.
“In
che percentuale? Un cruciverba? Ah... Va bene. Quindi? Ieri...
Cioè
indica Insist Street 221... H0llywood? Qui dove mi trovo io, ora...
Quindi... quindi è proprio... Alla polizia di Los Angeles
sono
arrivate altre lettere del genere? Lettere che indicavano l'indirizzo
del secondo o del terzo delitto... Allora potrebbe essere una
coincidenza... No, se l'indirizzo era corretto e preciso, non
può
essere una coincidenza. Ma rimane un dubbio... perché nove
giorni
prima? Però tra il primo e il secondo omicidio ci sono
quattro
giorni... Non potrebbe essere solo un caso?”.
Di
sicuro non lo era, era la
stessa domanda che mi ponevo da molto tempo.
Quella
interminabile
telefonata aveva confermato tutti gli elementi, quello di Beyond
sembrava davvero un caso irrisolvibile.
“Uhm...
capisco. No... nulla. Va bene.”.
Dopo
questa endemica telefonata udii un piccolo suono sintetico che mi
fece capire che aveva riposto via il cellulare.
La
donna si avvicinò agli scaffali della libreria per
esaminarli.
Dovevo
solo sperare, ma forse non sarebbe stata in grado di raggiungere il
livello previsto per L.
“Forse
non ai livelli del suo assassino... ma anche questo Believe
Bridesmaid dev'essere stato un tipo ossessivo.”
mormorò tra sé e
sé. Probabilmente si riferiva al fatto che avevo riempito la
libreria non lasciando neanche uno spazio tra un volume e l'altro. Si
soffermò a sfogliarne qualcuno, per poi rinunciare e
voltarsi ad
osservare il letto.
“Sotto
il tappeto... dietro la carta da parati... no, no... perché
avrebbe
dovuto nasconderlo, un messaggio? I messaggi servono per comunicarci
qualcosa... Se non comunichiamo nulla, non sono messaggi... Ha
mandato un cruciverba alla polizia... È molto egocentrico...
“Un
problema di difficile soluzione”... ecco cosa vuole
dimostrare...
Sì... ci sta prendendo in giro...”.
Trovai
curiosa l'abitudine di parlare ad alta voce per ragionare meglio.
Così potevo comprendere tutti i suoi pensieri anche senza
guardarla.
Imprudente.
“Il
significato dei messaggi è “siete inferiori a
me”, “non potete
battermi”... Quindi... non sta cercando di agire a suo
vantaggio
senza farsi scoprire, né semplicemente di realizzare i suoi
scopi...
O forse il suo scopo è prendersi gioco del suo avversario?
In tal
caso, chi è il suo avversario? La polizia? Il dipartimento
di Los
Angeles? La società? Gli Stati Uniti? Il mondo? No... per
qualcosa
del genere, quello che fa sarebbe irrilevante... Agisce come se i
suoi avversari fossero individui ben precisi... Comunque, i
messaggi... Messaggi che non sono messaggi... Ce ne dev'essere per
forza qualcuno, in questa stanza... anzi, no.”.
Si
stava avvicinando molto lentamente a ciò che volevo che
notasse.
Troppo
lentamente.
“Qualcosa
che in teoria dovrebbe esserci, ma che adesso non c'è...
qualcosa
che adesso non c'è più... ma che in origine
c'era... le wara
ningyo? No, quelle erano una metafora per indicare le vittime, non un
messaggio, in teoria... Una camera da letto... Sì, giusto!
Manca
qualcuno.”.
Finalmente
l'aveva capito.
L
ci avrebbe messo molto meno, i tagli così precisi che avevo
inciso
sulla pelle della mia vittima non sarebbero passati così
inosservati.
La
donna camminò un po' per poi fermarsi ad osservare qualcosa.
“Guardandole
bene... queste ferite... potrebbero sembrare una specie di alfabeto?
V... C... I? No... M... un'altra V... X...? D... qui ci sono tre I in
fila... L? Questa potrebbe essere una L... uhm... mi sa che
è una
forzatura...”.
Era
così vicina! Perché arrendersi così
facilmente?
Non
era poi così lontana dalla polizia...
“A
dire il vero, vorrei provare a sentire il parere della polizia, cosa
ne pensano quelli che si stanno concretamente occupando delle
indagini... ma è impossibile, senza il mio distintivo. Beh,
a quello
potrebbe pensarci L... Andrò a vedere le altre stanze...
anche se
non credo abbia molto senso. Però, se tutte le impronte
all'interno
della casa sono state cancellate...”.
Stava
per uscire, quando si bloccò. Si voltò verso il
letto e si
avvicinò. Piegò le ginocchia, si sedette e si
accucciò.
La
vidi.
Era
una donna Giapponese, capelli neri e lunghi, occhi taglienti.
Molto
bella.
Tirai
fuori la mia mano.
Lei
fece un salto all'indietro e assunse una posizione strana, come per
difendersi nonostante fosse in panico.
“Cosa...
no, chi sei?” chiese cercando di assumere un tono
intimidatorio.
Io
mi muovevo senza preoccuparmi troppo, la vedevo, tutto era sotto
controllo.
Uscii
del tutto da sotto al letto e mi fermai ad osservarla con calma,
senza rispondere.
“Rispondi!
Chi diavolo sei?!”. Aveva urlato. Che cosa fastidiosa. Fece
il
gesto di afferrare una pistola che non poteva avere dato che era in
congedo. Nonostante sapessi che non poteva farmi del male, finsi di
non aver udito nulla della conversazione precedente, così mi
alzai.
Assunsi
una posizione che non mi apparteneva più da tempo: schiena
curva,
ginocchia piegate, dito sulle labbra.
“Piacere,
mi chiamo Ryuzaki.” le risposi con indifferenza.
_____________________________
Authoress' words
Questo è il capitolo più
lungo e probabilmente noioso che abbia mai scritto.
Non mi andava di saltare delle parti dato che alla
fine non sarebbe nello stile di Beyond, no?
Non mi ammazzate...
|
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Capitolo 22 *** Theme 44. Higuchi ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
“Ryuzaki?”
chiese
Naomi Misora. Una Giapponese pura, a giudicare dal nome che le
fluttuava sui capelli. Le avevo dato un biglietto da visita nero, con
sopra il mio nome falso.
“Rue
Ryuzaki, giusto?” chiese ancora. “Sì.
Sono Rue Ryuzaki.”
risposi con tono di voce indifferente e freddo. Ci eravamo spostati
nel soggiorno della casa e adesso lei non la smetteva di fissarmi
perplessa. Ero appena sbucato da sotto al letto, ma oramai avrebbe
dovuto accettare la cosa senza fare troppe storie, no?
Eravamo
seduti su dei divani l'uno di fronte all'altra studiandoci a vicenda.
“Su
questo biglietto da visita c'è scritto che sei un
detective...”
aggiunse ancora. Non sopportavo tutte quelle domande, ma dovevo
mantenermi freddo, distaccato, come avrebbe fatto lui.
Lui
non se ne sarebbe curato troppo, lui non avrebbe battuto ciglio di
fronte a tante domande.
“Sì.
Esatto.” avrebbe detto. “Significa che sei un
investigatore
privato?”. Ci pensai un secondo su prima di risponderle:
“No, il
termine investigatore privato non è corretto. Avverto nella
parola
“privato” un eccesso di nevrotico egocentrismo...
Ecco, oserei
dire che sono un investigatore non privato. Un investigatore non
egocentrico.” dissi per ricevere l'ennesima occhiata
perplessa.
“Capisco...” si limitò a rispondere
l'agente che avevo di
fronte. Poggiò il biglietto su un tavolino, in modo da
allontanarlo
da sé come qualcosa di ripugnante.
Probabilmente
credeva che io fossi un totale idiota, vero?
Ma
solo una persona profondamente intelligente può fingere bene
di
profondamente stupida.
“Allora,
Ryuzaki... permettimi di chiedertelo di nuovo: cosa stavi facendo
là
sotto?”.
Ancora?
Quella tipa cominciava a essere ripetitiva...
“Quello
che stavi facendo tu. Indagavo. Ho ricevuto un incarico dai genitori
del proprietario di questa casa, Believe Bridesmaid, e sono nel bel
mezzo delle indagini di una serie di omicidi. Come te...
suppongo.”
spiegai ancora una volta. Fingevo di non sapere nulla, quando in
realtà sapevo anche troppo, sia di lei che della persona per
cui
lavorava.
“Sì...
è così. Anch'io sono una detective. Non posso
svelare per chi sto
lavorando, ma mi sono state affidate delle indagini top-secret. Per
trovare l'assassino di Believe Bridemsaid, Quarter Queen e Backyard
Bottomslash...”.
Non
mi diceva di essere un agente dell'FBI? Sarebbe stato divertente
chiederle il distintivo che di sicuro non aveva, ma mi andava bene
anche così. Mi affrettai a rispondere con entusiasmo:
“Davvero?
Allora possiamo collaborare!”.
Naomi
non perse neanche un secondo. “Dunque, Ryuzaki. Sotto il
letto sei
riuscito a trovare qualcosa di utile alla soluzione del caso?
Immagino stessi cercando qualche oggetto lasciato dal
colpevole...”
“No, in realtà non è così.
Siccome mi sembrava di aver sentito
qualcuno entrare in casa, mi sono nascosto per tenere d'occhio la
situazione. Dopo un po' ho capito che non eri una minaccia e
così
sono sgusciato fuori.” “Una minaccia?”
“Sì. Ho pensato che
magari poteva essere l'assassino venuto a riprendere qualcosa che
aveva dimenticato qui. Sarebbe stata un'occasione d'oro, ma purtroppo
le mie speranze si sono rivelate infondate. Però non
è stato del
tutto inutile, visto che ho conosciuto qualcuno come te. Non siamo in
un romanzo o in un fumetto, quindi l'antagonismo tra investigatori
è
inutile. Che ne dici, Misora? Perché non ci scambiamo le
informazioni che abbiamo a disposizione?”.
Detta
così sembrava tanto
una bugia, un investigatore non poteva sperare una cosa del genere e
Naomi doveva averlo capito.
B
stava facendo in modo da
risultare il più pericoloso e innocuo possibile, un concetto
strano,
ma era proprio questo che voleva ottenere.
Come
previsto la donna si affrettò a rispondere: “No.
Ti ringrazio per
la proposta, ma devo rifiutarla. Ho l'obbligo di mantenere il
segreto. Immagino che anche tu ce l'abbia, il segreto
professionale.”
“No, non ce l'ho.” dissi con la massima
ingenuità. “Devi
averlo, se sei un detective.” “Davvero? Allora ce
l'ho. Però,
trovo assai più logico che sia la risoluzione del caso ad
avere la
priorità su tutto il resto... Va bene, Misora. Allora
facciamo così.
Sarò soltanto io a fornire a te le informazioni.”
ed era proprio
quello cui volevo arrivare.
B
era decisamente un tipo
impaziente. Addirittura a voler aiutare l'arma del suo rivale per
farla arrivare prima al punto giusto?
“Come?
No, così non...” “Non c'è
problema. Dopotutto, che sia io o tu
a venire a capo del caso, per me è la stessa cosa. L'unico
desiderio
dei miei clienti è che venga risolto. Se sei dotata di una
mente
superiore alla mia, in questo modo le probabilità di
risolverlo
aumenteranno considerevolmente. Potrai decidere in seguito se
fornirmi o meno le informazioni in tuo possesso. Allora, intanto
questo...” dissi infilando la mano in tasca. Di sicuro stavo
aumentando la sua diffidenza, ma non volevo che si fidasse di me o di
sicuro avrebbe chiesto ad L di cercarmi.
Tirai
fuori dai jeans il cruciverba spedito giorni prima alla polizia di
Los Angeles.
Chissà
se L già aveva avuto modo di vederlo?
“Questo...”
cominciò lei. “Oh, lo conosci
già?” “Ah, no... veramente
non...”.
La
fissavo con sguardo inquisitorio mentre la studiavo. Non mi capitava
da tempo di avere a che fare con una persona così spontanea:
balbettava, non faceva nulla per nascondere il senso di ribrezzo che
probabilmente le provocavo. Eppure se era stata scelta da L mi dovevo
aspettare qualche sorpresa.
“Lascia
che ti spieghi... È il cruciverba che è stato
inviato da un anonimo
il mese scorso, il 22 luglio, al dipartimento di polizia di Los
Angeles. Pare che nessuno sia stato in grado di finirlo, ma la
soluzione porta all'indirizzo di questa casa. Probabilmente
l'assassino l'ha mandato alla polizia e all'intera società
come
avvertimento... anzi no: come sfida.” dissi passandoglielo.
La
osservai leggere le definizioni, la sua espressione cambiava
continuamente. “Capisco, però... Siamo sicuri che
la soluzione
conduca inequivocabilmente a questo indirizzo?” chiese
insicura.
“Sì. Se vuoi puoi tenere quel foglio e provare a
risolverlo,
appena avrai un po' di tempo. Comunque, un assassino che manda un
avvertimento, a meno che non abbia altri scopi ben precisi, di solito
è un tipo con una personalità teatrale... Anche
le wara ningyo
lasciate sulla scena del delitto e le stanze chiuse dall'interno
possono essere considerate elementi tipici di un comportamento
teatrale. In tal caso, ci sono buone probabilità che abbia
lasciato
sulla scena del delitto anche qualcos'altro... un messaggio, o
qualcosa di simile. Non trovi, Misora?” dissi portandola
sulla
strada che desideravo.
Ancora
non aveva fatto nulla, ancora non aveva mostrato le sue doti. Ma non
c'era bisogno di mettersi troppa fretta.
Eppure
era B stesso che
sentiva il bisogno di aiutarla. Forse aveva calcolato il tempo? Forse
doveva farcela entro una data precisa? Avendo quegli occhi e quel
potere poteva aver calcolato che procedendo così lentamente
la sua
vittima sarebbe morta prima che Naomi giungesse al punto che
desiderava.
E
intanto ancora non capivo
perché l'assassino dovrebbe portare la detective che cerca
di
trovarlo alla soluzione del caso.
Sarebbe
un controsenso,
eppure...
“Chiedo
scusa.” dissi saltando giù dal divano e
avvicinandomi al
frigorifero. Era ora di pranzo, così aprii il frigorifero e
presi un
barattolo di marmellata che avevo lasciato lì appena entrato
nella
casa.
“Quella
marmellata è per caso...” “No, questa
è mia. Me la sono portata
e l'ho lasciata al fresco. È ora di pranzo.”
“Pranzo?”. Ancora
mi sembrava assurdo come quella donna non facesse nulla per
mascherare le sue emozioni. Senza pensarci troppo presi un po' della
sostanza zuccherina e la portai alla bocca con le dita.
La
detective mi osservava con un'espressione tra il disgustato e il
perplesso.
Un
modo di fare da maleducato, certo, ma allo stesso tempo perfetto per
la mia parte.
Il
mio obiettivo era aiutarla, ma anche inquietarla.
Forse
avevamo ragione, forse ho davvero una personalità teatrale,
ma una
volta lì tanto valeva divertirsi. Tu non lo faresti, mio
caro
lettore?
No,
probabilmente non lo
farei. In una situazione del genere sarebbe normale che tutte le
persone coinvolte agiscano con estrema serietà e tensione.
Ancora
più teso dovrebbe essere chi viene cercato, ma B era
così
rilassato, così incredibilmente calmo e divertito.
Sembrava
che quella che
stesse vivendo non fosse la sua vita, si comportava esattamente come
si comporta una persona giocando a un videogioco: sa perfettamente
che se le cose andassero male non perderà niente e allora
tanto vale
sperimentare, tanto vale divertirsi.
Tanto
si può sempre
ricominciare da capo.
“Mh?
Qualcosa non va, Misora?” “Stra... strano, come
pasto.”
“Davvero? Io lo trovo normale. Quando si usa la testa, viene
voglia
di dolci. Quando voglio fare un buon lavoro, non c'è nulla
di meglio
della marmellata. Lo zucchero fa bene al cervello.”
“Ah...”.
Dopo
la breve spiegazione, mi portai il barattolo alla bocca e cominciai a
sorseggiare tranquillamente il suo contenuto come una bevanda.
La
spiegazione che avevo appena dato sarebbe stata tipica di L e infatti
fu proprio lui a darmela. Ebbi un breve flash-back, la The Wammy's
House, i dolci, il suo visino malinconico.
Chissà
se fisicamente era davvero come mi ero conciato?
Forse
era cambiato? Ma dicono che le abitudini sono dure a morire e persino
a Watari sembrava un caso perso.
“Scusa
per la pausa.” dissi educatamente dopo aver finito.
“No...
figurati.” “C'è ancora della marmellata
in frigo. Ne vuoi un po'
anche tu?” chiesi ironicamente. “N... no,
grazie.” si affrettò
a rispondere con un sorriso falsissimo.
Andiamo,
ero davvero così inquietante?
Non
credevo di poter incutere così tanto timore... dovrei
prenderlo come
un pregio o un difetto, mio caro lettore?
Riuscire
ad incutere timore fingendo di essere un totale idiota è un
qualcosa
di difficile, non credi?
In
effetti è divertente avere la sensazione di sapere tutto e
vedere
che invece gli altri non sanno niente.
Io
avevo in mano la verità, ma non l'avrei fatta vedere ai miei
rivali.
“Davvero?
Allora andiamo!” esclamai leccandomi le dita ancora sporche.
“Andiamo... dove?”.
Mi
venne spontaneo di chiedermi dove potessi mai andare secondo lei.
“Ovvio.
A continuare il sopralluogo, Misora.”
E
adesso avrei cominciato a divertirmi, mio caro lettore...
_________________________
Authoress' words
Yeeeh! Pubblico di notte! L'ho fatto
perché così anche la luna mi leggerà!
No, in verità è
perché ho studiato fino ad adesso e ora sto seriamente
delirando.
A voi capita mai di delirare e di vedere antichi
Romani e Greci che camminano dentro casa vostra causa interrogazione
imminente post-febbre?
Ecco, quello.
|
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Capitolo 23 *** Theme 51. Misa no Theme B ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Io
volevo che quella
donna mi trovasse sospetto.
Un'affermazione
piuttosto
bizzarra se si considera che proprio lui non doveva farsi scoprire,
eppure...
Ti
stai chiedendo perché, mio caro lettore? La risposta
è semplice:
lei avrebbe potuto mandarmi via, allontanarmi, ma io volevo che lei
non mi staccasse gli occhi di dosso, che riflettesse su ogni mio
gesto.
Capisci,
mio caro lettore?
Naomi
Misora non se ne
sarebbe resa conto, ma B voleva aiutarla per farla arrivare prima
dell'ultimo omicidio.
Sarebbe
bastato completare i
delitti per creare un caso irrisolvibile, eppure B voleva prendersi
gioco di L e della sua rappresentante.
Ancora
una volta tutto era
solo un gioco.
Proprio
per questo motivo, appena arrivato nella stanza, mi misi a carponi
cominciando a gattonare rapidamente con l'aria di chi cerca un
piccolo oggetto caduto per errore.
La
donna rimase impietrita sulla soglia con uno sguardo... terrorizzato?
No, inorridito è la parola giusta.
Con
la massima naturalezza la guardai e con entusiasmo le dissi:
“Che
c'è, Misora? Dai, cerchiamo insieme!”.
Lei
continuava a fissarmi senza rispondere, poi scosse la sua testa con
una rapidità eccessiva. “No? Che
peccato!” dissi allora con una
nota di dispiacere e disappunto nella voce.
“Pe-però, Ryuzaki...
credo che in questa stanza non ci sia più nulla da scoprire.
La
polizia ha già passato tutto al setaccio...”.
La
guardai, non riuscivo a non tenere un'espressione ironica.
“Agli
agenti è sfuggito quel cruciverba. Non sarebbe strano se
anche in
questa stanza gli fosse scappato qualcosa.” dissi con calma e
cautela. “Se la metti così, hai ragione. Ma ci
vorrebbe almeno un
indizio da cui partire: questa stanza è troppo vuota e
troppo grande
per cercare a caso, senza qualcosa su cui basarsi.”.
Brava,
Naomi, adesso dovevi solo capire dove guardare. Quella stanza era
vuota, ma c'era qualcosa, vero?
“Indizio?
Che ne dici, Misora? Da quando sei arrivata qui, non ti è
venuto in
mente niente? Qualcosa che possa essere un indizio.” chiesi
mettendomi seduto con il pollice tra le labbra, in attenta
riflessione.
Naomi
aveva ipotizzato che quelle incise sul cadavere fossero lettere,
eppure ancora non ci era arrivata...
“Un
indizio... Beh... Dunque... Ryuzaki, non si tratta di uno scambio di
informazioni, ma... per ringraziarti, vorrei farti vedere questa
fotografia.”. Allora ci era arrivata? “Una
fotografia?” chiesi
con un tono troppo perplesso, non per la foto in sé, ma
perché
poteva già aver compreso tutto.
In
fondo era stata scelta da L...
“È
una foto della vittima...” disse passandomi la foto del
cadavere di
Believe Bridesmaid. Vedendo quel foglietto di carta lucida e vedendo
quanta importanza gli era stata data mi venne quasi da sorridere.
“Eccellente,
Misora.” le mormorai. “Come?” chiese lei.
Allora non aveva
capito davvero? “I mezzi di informazione non hanno rivelato
che il
corpo era ferito in questo modo, il che significa che questa
fotografia fa parte della documentazione interna della polizia. Il
fatto che tu sia riuscita a procurartela è la prova che non
sei
un'investigatrice qualsiasi.” dissi per giustificare il mio
moto di
ammirazione. “Tu, piuttosto... quel cruciverba... come l'hai
avuto?” chiese cercando di cogliermi alla sprovvista, che
tentativo
sfacciato!
“Quello
è il segreto professionale. Nemmeno io ti
chiederò come hai fatto a
procurarti questa fotografia. Ma in che senso credi che sia un
indizio?”. Dovevo sapere quanto aveva davvero capito del
tutto.
“Ecco...
ho pensato che, forse, l'assassino ha lasciato un messaggio tramite
qualcosa che ora non è più in questa camera, ma
che c'era al
momento dell'omicidio. E l'esempio più lampante di qualcosa
che
doveva per forza esserci ma adesso non c'è...”
“È il
proprietario di questa stanza. Believe Bridesmaid.
Perspicace!”.
Quindi non aveva ancora compreso il significato delle lettere, eppure
non era così difficile.
“Prova
a osservare quella foto da angolazioni diverse: le ferite non
sembrano forse lettere dell'alfabeto? Potrebbe trattarsi di un
qualche tipo di messaggio...”.
Finalmente
si stava avvicinando! Avevo l'occasione per darle un po' di aiuto. Mi
avvicinai e ruotai la testa per vedere meglio.
“Vediamo.
No, non sono lettere.” risposi semplicemente. “No?
In effetti,
temevo che la mia fosse un'interpretazione forzata.” disse
scoraggiandosi. Ma davvero non era in grado di capire da sola?
“No,
no, Misora. Non sto negando tutta la tua teoria, ma solo una parte.
Nel senso che queste non sono lettere. Sono numeri Romani. Uno
è I,
due è II, tre è III, quattro è IV,
cinque è V, sei è VI, sette è
VII, otto è VIII, nove è IX, dieci è
X, cinquanta è L e cento è
C, cinquecento è D, mille è M. Quindi decifrando
queste ferite...
quello che risulta è 16, 59, 1423, 159, 13, 7, 582, 724,
1001, 40,
51, 31... Si tratta pur sempre di una foto, quindi non so se li ho
letti correttamente... ma dovrebbe essere così all'ottanta
percento.” spiegai nel caso lei non sapesse di cosa stessi
parlando. Probabile, dopotutto se ancora non aveva compreso...
“Ottanta
per cento?” “Però, questo non cambia le
cose, purtroppo. Dal
momento che non sappiamo cosa rappresentino queste cifre, leggere in
queste ferite un messaggio dell'assassino è un rischio.
Potrebbe
trattarsi di un depistaggio.” aggiunsi. Non potevo risolverle
tutto
io dopotutto.
“Scusami,
Ryuzaki...” mormorò. “Cosa
c'è?” “Vado un attimo a
sistemarmi il trucco.” disse voltandosi e andandosene dalla
stanza.
Rimasi
qualche secondo fermo, proprio in un momento simile doveva andare
via? Di certo non era davvero per sistemarsi, anche se era una donna
non mi sembrava una di quelle che dà massima importanza a
ciò.
Uscii
anche io dalla stanza seguendola e arrivai fino al bagno. Mi
appoggiai un secondo alla porta e sentii, come previsto stava
parlando con L.
A
quanto pareva erano in contatto telefonico e lei gli passava
informazioni senza ricevere quasi nulla in cambio.
Attesi
per un po', finché la donna non chiuse la conversazione e
aprì la
porta. Trovandomi davanti emise un piccolo verso di stupore.
“Misora,
eri qui? Dopo che sei uscita dalla stanza, ho scoperto qualcosa di
nuovo. Ero impaziente e così sono venuto a chiamarti. Hai
finito?”
“S-sì...”. Ovviamente sospettava che io
avessi sentito la
conversazione, ma tanto non ne avevo bisogno dopotutto.
Povera
ingenua.
“Allora
vieni, di qua!” esclamai con troppo entusiasmo.
Era
da un po' che dicevo cose molto sensate e nulla di bizzarro, dovevo
rimediare.
Dopotutto
dovevo rispettare il personaggio, un L più ingenuo, o forse
no.
In
effetti, mio caro lettore, hai mai notato che gli esseri più
pericolosi non sono quelli scaltri, ma quelli ingenui? Seguono
l'istinto e ti abbassano la guardia finché non arrivano al
loro
scopo, ti portano al loro livello, poi ti battono con l'esperienza,
diceva una frase scritta su qualche muro.
“A
proposito, Misora.” “S-sì?”
“Non ho sentito il rumore dello
sciacquone, prima che tu uscissi dal bagno. Come mai?”
“Non è
cortese fare queste domande a una donna, Ryuzaki.”
“Davvero?
Comunque... se ti sei dimenticata di tirare l'acqua, sei ancora in
tempo. Torna pure indietro. È una questione di igiene, non
c'entra
essere maschi o femmine.”.
Beyond
era incredibile, dire
una cosa del genere serviva davvero al suo scopo, così
ingenuo ma
allo stesso tempo così sospetto.
“Stavo
solo facendo una telefonata. Con il mio cliente. Ci teniamo in
contatto regolarmente, tutto qui. Ma c'erano cose che non volevo
farti sentire.” “Ah, sì? A ogni modo, la
prossima volta faresti
meglio a tirare l'acqua. È una buona copertura.”
dissi facendo un
piccolo ghigno, tanto essendo dietro di me non poteva vedermi.
Dopotutto
era davvero divertente giocare a essere uno stupido intelligente.
“Copertura?”
chiese perplessa.
Esattamente,
Naomi, copertura. Credevi davvero che non capissi nulla? Dopotutto
dovevo essere un detective e tu eri più ingenua, tu ti
comportavi
come se non avessi mai avuto nulla da nascondere.
Non
risposi ed entrai nella stanza. Mi rimisi a carponi e mi avvicinai
alla libreria. “È qui.” dissi
semplicemente.
“Hai
detto... che hai scoperto qualcosa di nuovo, no?”
“Sì. Anzi, più
che qualcosa di nuovo. Oserei dire un elemento decisivo. Su questo
scaffale, ho scoperto un elemento fondamentale.” dissi
cercando non
di darmi importanza, ma di attirare la sua attenzione sulla libreria.
“Vuoi dire che qui c'è una prova utile alla
risoluzione del caso?”
“Guarda qui, per favore.” dissi indicando i manga
di Akazukin
Chacha!.
“Di
che si tratta?” chiese lei. Ma come, non conosceva un manga,
un
elemento tipico della sua terra?
“È
un manga che mi piace molto.” “A te?”
“Sì, a me. Misora, tu
sei di origine Giapponese, giusto?” “Beh... sia mio
padre che mia
madre sono Giapponesi. Ora ho la cittadinanza Americana, ma sono
cresciuta in Giappone fino alle scuole superiori.”
“Allora
conoscerai di sicuro questo manga. È lo storico capolavoro
di Min
Ayahana. Ho seguito tutta la serie quando veniva pubblicata a puntata
su rivista. Il piccolo Shiine era così adorabile! E mi
piaceva anche
il cartone animato. Con amore, coraggio e speranza... holy
up!”
“Ryuzaki, ne hai per molto? Se il discorso è
ancora lungo, allora
io toglierei il disturbo.”.
Sorrisi.
Dopotutto la stavo stuzzicando, avrei voluto che mostrasse
più
personalità, invece si comportava come una qualsiasi altra
donna.
Ma
non poteva esserlo sul serio, vero? Ma non capivo quali fossero le
sue qualità, avrebbe dovuto compiere un qualche ragionamento
straordinario, una riflessione precisa, perfetta.
Eppure
nonostante fosse ingenua era anche divertente giocare con lei.
Ancora
il concetto di
“giocare” riferito a persone... era terrificante.
Ma
anche stancante, era difficile essere l'esatto opposto di me
volutamente. Le persone hanno molti aspetti, possono mostrare
qualità
opposte, eppure quello era un atteggiamento che non avrei mai avuto.
E in fondo nemmeno L.
“Perché
vuoi togliere il disturbo se sto parlando con te?”
“Beh,
veramente... anche a me piaceva molto Akazukin Chacha. E ho visto
anche il cartone animato. E anch'io ricordo la formula “con
amore,
coraggio e speranza... holy up”, ma...” disse
visibilmente
infastidita.
La
mia espressione era dispiaciuta, ma presto risposi: “Davvero?
Beh,
allora parlerò con calma del fascino del cartone animato
alla
prossima occasione. Per il momento guarda qui, per favore.”
dissi
indicando la fila di volumi. Lei acconsentì e si sporse per
guardare. “Non noti qualcosa?” chiesi speranzoso.
“A dire il
vero, no...” disse deludendomi. Chiunque l'avrebbe compreso,
era
così lampante.
“Non
capisco... c'è qualcosa di nascosto da qualche parte, in
questi
undici volumetti?” “No, non
c'è.” “Ah, no? Come sarebbe a
dire, “non c'è”?”.
D'improvviso la sua voce era tagliente,
come se mi avesse voluto uccidere sul posto. Pazientemente ripetei:
“Non c'è, qualcosa che dovrebbe esserci, ma non
c'è, Misora! Sei
stata tu a intuire che, se l'assassino aveva lasciato un messaggio,
lo aveva fatto tramite qualcosa che non c'è. E sei sempre tu
ad aver
capito che quel qualcosa è lo stesso Believe Bridesmaid.
Quindi,
pensavo non ci fosse bisogno di spiegartelo, ma... Guarda qui,
Misora: manca qualcosa. Non ci sono il quarto e il nono volume,
Akazukin Chacha è in tredici volumi. Questi sono undici. Ne
mancano
due.” dissi portandola con me verso la strada della soluzione.
Improvvisamente
ricordai. La
soluzione del tutto doveva dipendere da quei volumi che aveva
inserito sulla libreria, dopotutto ce n'era anche un altro, ma i
numeri... Cosa rappresentano i numeri in un libro?
Numeri
di pubblicazione...
Numeri
di volumi...
Numeri
di pagine?
___________________________
Authoress' words
Devo essere sincera?
Non mi piace come è venuto questo
capitolo.
È stato scritto quando avevo un
grandissimo sonno e non ho avuto il tempo di aggiustarmelo per bene
purtroppo, spero di riuscire a rendere di più la prossima
volta.
Piuttosto sapete che in questo momento sono vestita
da Misa? Direi che è il primo cosplay della mia vita e
domani farò la replica a una festa di Halloween.
Scusatemi il ritardo, per problemi tecnici con
Internet ho pubblicato a mezzanotte e qualche minuto... ma non
è colpa mia stavolta! Perdonatemi per tutto, per la
qualità del capitolo e anche per questo!
Gomennasai!
|
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Capitolo 24 *** Theme 43. Kinchou Kan ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Naomi
sembrava piuttosto perplessa, come se avessi appena detto un qualcosa
di assurdo.
“Sì...
è vero. E quindi, Ryuzaki? Vuoi dire che l'assassino si
è portato
via il quarto e il nono volume? Può darsi, ma forse la serie
era
incompleta fin dall'inizio. Magari la vittima aveva in programma di
comprarli. Non tutti leggono seguendo l'ordine. Infatti, ora che ci
faccio caso, questa serie di “Dickwood” sembra
interrotta a
metà...” “Impossibile.”
affermai con decisione. Sì, non tutti
seguono l'ordine, ma una persona che sistema tutti i libri in modo da
non lasciare neanche una minima fessura di sicuro è una
maniaca
dell'ordine.
Ma
non potevo fare questo discorso, troppo intelligente.
“Nessuno
al mondo leggerebbe mai Akazukin Chacha! saltando due volumi. Sono
sicuro che questo sarebbe sufficiente come prova anche in
tribunale.”.
Continuavo
a rimanere sempre
più perplesso dalle geniali trovate di Beyond. Sarebbe stato
comico,
se non ci fosse stata la consapevolezza dei suoi veri pensieri,
così
freddi e pericolosi.
“Sempre
che la giuria sia composta da persone che conoscono i manga.”
aggiunsi. “Io non la vorrei una giuria così
tendenziosa.”
rispose sarcasticamente lei. “È più
logico credere che
l'assassino abbia portato con sé i due volumi.”
ripetei con aria
convinta. “Se anche fosse, in base a cosa possiamo stabilire
che li
ha portati via l'assassino? La vittima non potrebbe forse averli
prestati a un amico?” chiese lei suscitando il mio fastidio
di
nuovo.
Non
era un genio di certo, però era sospettosa, anche troppo.
“Stiamo
parlando di Akazukin Chacha! Non lo presterei nemmeno ai miei
genitori, gli direi di comprarselo! Non ci resta che pensare che li
abbia portati via l'assassino. Però, per gli stessi motivi,
nessuno
a questo mondo vorrebbe leggere soltanto il quarto e il nono
volume... ci scommetterei la mia marmellata!” esclamai con un
tono
fin troppo entusiasta. “Se stai parlando della marmellata che
stavi
mangiando prima, quella la vendono a cinque dollari...” disse
con
sprezzo.
Non
pensavo potesse essere così superficiale, dopotutto il
valore di un
oggetto non dipende dal suo prezzo, ma dal valore che gli danno gli
esseri umani, esattamente come alcune opere d'arte. Alcuni dipinti
valgono milioni e magari sulla tela c'è solo un puntino
piccolissimo, che secondo gli esperti e i critici è simbolo
di
chissà quale universo... ma dopotutto è un punto.
Questo
modo così razionale
di vedere le cose mi ricordava molto quello di L... e il mio. Di
fronte a un quadro così, anche io avrei pensato che si
trattava solo
di un punto e basta. E poi davvero l'artista pensava a tutte quelle
interpretazioni dipingendo? Magari voleva fare un semplice punto e
siamo noi spettatori a dargli tutti quei significati assurdi.
“Quindi,
Misora, dobbiamo ritenere che l'assassino abbia portato via da questa
stanza quei due volumi, il quarto e il nono, con uno scopo ben
preciso.” dissi incupendo troppo il tono della voce, per
questo
Naomi mi guardò un po' stranita per poi riprendere.
“In pratica,
dal momento che quei due volumi non sono su questo scaffale, anche
tralasciando ogni logica e probabilità e prendendo per buona
la tua
ipotesi... non trovi che ci sia qualcosa di strano, Ryuzaki? Questa
libreria... Ryuzaki, sai per caso quante pagine ci sono in tutto nel
quarto e nel nono volume di Akazukin Chacha?”.
Complimenti,
aveva capito che se Believe Bridesmaid avesse tolto i volumi dalla
libreria sarebbe rimasto dello spazio.
Cominciavo
a perdere le speranze, per come si era comportata avrebbe anche
potuto non arrivarci mai.
Ora
capivo perché aveva
fatto in modo da non lasciare neanche un fessura. Inizialmente potevo
anche pensare che fosse solo perché B era una persona
maniacale su
certe cose, ma in effetti tutto quello che faceva aveva uno scopo ben
preciso alla fine.
“Certo
che lo so! 192 pagine e 184 pagine.” esclamai. Osservai
soddisfatto
la sua espressione sconcertata da tanta precisione per qualche
secondo, poi afferrò con sicurezza il volume intitolato
“Carenza
di svago” aprendolo all'ultima pagina, era esattamente di 376
pagine, ovvero la somma delle pagine dei due volumi mancanti.
“Che
c'è, Misora?” chiesi provocatorio.
“Niente... Pensavo che
l'assassino poteva aver lasciato sugli scaffali un altro libro al
posto dei due volumi sottratti... Magari era proprio quello il suo
messaggio...”.
Centro.
Aveva
capito esattamente, ma a quanto pareva aveva bisogno di un
incoraggiamento.
“Non
è male, come punto di vista. Anzi, direi che è
buono... anche
perché, se non sbaglio, è l'unico
possibile.” dissi allungando un
braccio verso di lei per prendere il libro, ma probabilmente non
aveva capito, dato che si ritrasse frettolosamente.
Lo
presi con due dita e lo sfogliai velocissimamente in modo da finirlo
in cinque minuti, poi assunsi un'espressione perplessa ed esclamai.
“Capito!” “Come? C'è
qualcosa?” “No. Ho capito che non c'è
nulla... Non guardarmi così, non sto scherzando. Questo
è un
normale romanzo di intrattenimento, non ci sono messaggi o metafore
come le wara ningyo. Ovviamente non c'è nemmeno una lettera
o altro
infilato tra le pagine e non ci sono scritte sui bordi.”
dissi
sottolineando l'ultima parola.
“Sui
bordi?”. Sorrisi senza farmi vedere e poi scandii bene:
“Sì, sui
margini c'è solo il numero della pagina.”
Improvvisamente
realizzai,
dovevano essere i numeri delle pagine. Però alcune cifre
erano sopra
le 376 pagine... Forse si doveva togliere 376 e considerare quello
che avanzava?
“Il
numero della pagina? Ryuzaki, se quelli incisi sul petto della
vittima fossero numeri Romani... quali avevi detto che
sarebbero?”.
Aveva
capito tutto, forse non era davvero così imbranata.
“16,
59, 1423, 159, 13, 7, 582, 724, 1001, 40, 51 e 31. Quindi, che vuoi
dire?” chiesi mentre mi fissava di nuovo, probabilmente
perché li
avevo recitati senza guardare la foto, ma ricordandoli a memoria.
“Mi
chiedevo se per caso quei numeri non indicassero le pagine...
Impossibile, eh? Ci sono due cifre sopra il migliaio, quindi non
avrebbe senso per un libro di 376 pagine.”. Ci era quasi,
adesso
toccava a me guidarla un po'.
“Già...
Anzi, no, Misora. In questo caso, basta considerare 376 come il
modulo e trascurarne i multipli.” dissi, ma notando lo
sguardo
perplesso della donna cercai di farglielo capire in altro modo.
“Per
esempio, 476 potrebbe essere interpretato come 376 più 100 e
indicare la pagina 100.” “E quindi?”
“Non lo so. Ma proviamo
a pensarci. Il numero 16 indicherebbe pagina 16, 59, 1423, 159, 13,
7, 582, 724, 1001, 40, 51, 31...”. Tenevo gli occhi
semichiusi per
la concentrazione, anche se sapevo già cosa avrei detto.
“Ho
capito.” “Hai capito che non c'è
nulla?” chiese sarcastica.
“No,
ho capito che c'è qualcosa. Qualcosa di molto preciso,
Misora.”
dissi passandole il libro. “Prova ad aprilo a pagina 16, per
favore.” dissi. Lei sfogliò le pagine rapidamente.
“Qual è la
prima parola di quella pagina?”
“Quadratico.” “La prossima è
pagina 59. Qual è la prima parola?”
“Ukulele.” “Ora vai a
pagina 295, per favore. Il numero era 1423, 376 ci sta tre volte con
il resto di 295. Qual è la prima parola?”
“Tenace.”.
Così
trovammo ancora le parole “rabble”,
“tavolo”, “egg”,
“arbitro”, “equilibrato”,
“thud”, “effetto”,
“elsewhere”, “nome”.
“Sì.”
“Sì... cosa?” “Prova a unire
le iniziali di queste parole.”
“Le iniziali? Dunque... Qutrtea Eteen... Qutrtea Eteen? Che
significa?” “Non trovi che somigli al nome della
seconda
vittima?” “Beh, ora che me lo dici...
Effettivamente, la
pronuncia... anzi, anche l'ortografia è simile. Quarter
Queen...
solo quattro lettere sono diverse.”.
Certo,
il nome era simile,
ma dubitavo che Beyond avesse fatto un qualcosa che somigliasse e
basta, dopotutto stavamo parlando di una persona tanto geniale quanto
fredda.
“Sì.
Però... Quattro lettere su dodici sono troppe. Significa che
un
terzo è diverso. No, questo ragionamento non avrebbe valore
nemmeno
se ci fosse soltanto una lettera diversa. Avrebbe senso come
messaggio solo se fossero tutte identiche. Pensavo di aver scoperto
qualcosa, invece potrebbe trattarsi di una semplice
coincidenza.”
dissi con un tono un po' deluso.
“Ma
come? Una coincidenza del genere...” anche lei era delusa,
era
troppo lampante, però doveva trovare un sistema per fare
coincidere
le lettere mancanti.
Un
sistema per farle
coincidere? E se non fosse la prima lettera quella a dover essere
presa in considerazione?
“Però,
Misora, se non coincidono non coincidono, non possiamo farci niente.
Eppure sembrava che ce l'avessimo quasi fatta...”
“No, Ryuzaki!”
gridò facendomi sobbalzare. “Pensaci bene. Le
quattro lettere
diverse sono tutte in pagine con un numero superiore a 376, vero?
Sono numeri nei quali il 376 è contenuto una o
più volte.
Quindi...”. Afferrò il libro di nuovo e lo
riaprì.
“Se
376 ci sta tre volte e alla quarta rimane il resto... non bisogna
scegliere la prima lettera, bensì la quarta. Non la T ma la
A.
Stessa cosa con “arbitro” e il 582: ci sta una
volta e alla
seconda rimane il resto, quindi non va scelta la A ma la seconda
lettera, la R. Così non è Qutrtea ma
Quarter.”.
Mentalmente
le feci i miei complimenti.
La
polizia non era riuscita a capire, ma neanche lei ci sarebbe riuscita
senza di me, dopotutto non si era neanche accorta del fatto che
l'avevo condotta fino a un certo punto della strada.
Provai
ad eseguire anche io
quel ragionamento.
Con
“equilibrato” andava
la Q e con “thud” andava la U. In quel modo il
risultato era
Quarter Queen.
Per
creare un indovinello
simile B era stato così ingegnoso e così semplice
dopotutto! Non
era impossibile raggiungere la soluzione, ma almeno aveva fatto
penare non poco sia la polizia, sia l'investigatrice scelta da L.
E
non solo!
Si
stava prendendo gioco di
quella donna, era stato proprio Beyond a suggerirle la soluzione, ma
non del tutto. Giocava proprio su questo, la conduceva per poi
abbandonarla, poi la riprendeva per portarla vicina o lontana
dall'obiettivo a piacimento.
“Ce
l'hai fatta, Misora. Un'eccellente deduzione. I miei complimenti, io
non ci sarei mai arrivato.”.
________________________
Authoress' words
Ci scusiamo per il ritardo, abbiamo saltato ben due
settimane di pubblicazione.
Any è morta, anzi è stata
uccisa. L'assassino è stato identificato sotto il nome di
Scuola.
No, ok, a parte gli scherzi non ho mai avuto un
periodo più impegnato di questo ma adesso tutto sta
rallentando, ho ritrovato il modo di vivere senza dover passare
l'intera mia giornata dietro a qualche libro variopinto ad
evidenziatori che non ho. u.u
Non temete!
Farò di tutto pur di non abbandonarvi!
|
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Capitolo 25 *** Theme 65. Mello ***
Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Detestavo
come ricevevo
sguardi apprensivi da ogni adulto che ci fosse. Mi guardavano senza
neanche rendersi conto del fatto che si capiva benissimo che facevo
loro una gran pena.
Ma
perché poi?
Sì,
avevo perso il mio
idolo, il mio modello da imitare, ma dopotutto l'avevo incontrato a
malapena una volta, sarei stato capace anche di andare avanti senza.
O
forse no?
Forse
ero ancora troppo
legato all'idea di avere qualcuno a spalleggiarmi, qualcuno che mi
desse indicazioni su cosa fare?
Roger
non la smetteva di
farmi continua pressione, mi affidava dei casi investigativi per
allenarmi, mi forniva la collaborazione della polizia a volte.
Fino
a quel momento li avevo
risolti tutti, ma continuavano a guardarmi come se non avessi
combinato nulla.
Avevano
poca fiducia in me,
come se non avrei mai potuto sostituire degnamente il mio
predecessore, qualsiasi cosa avessi fatto.
Ma
prima o poi il giorno
della sua morte sarebbe dovuto arrivare, non poteva vivere per
sempre.
Il
problema probabilmente
non era in me, ma nel fatto che nemmeno lui, nemmeno L in persona era
riuscito a prendere Kira.
Kira.
Un
nome che mi provocava un
senso di odio solo a sentirlo.
Vedere
che le persone si
piegavano poco a poco al suo volere era un qualcosa di inconcepibile
per me.
Avrei
potuto comprendere
qualsiasi assassinio, persino quello compiuto per sete di potere,
piuttosto che quello di una persona che si elevava a
divinità, a
guida del mondo.
Naomi
Misora era sulla Third Avenue. Camminava incerta con una cartina tra
le mani, non sapendo bene dove andare per raggiungere la casa di
Quarter Queen.
Osservai
ancora una volta la sua durata vitale.
Entrò
all'interno di un vicolo buio, dove non c'era nessuno oltre me e lei.
Ero
coperto anche nel volto e nelle mani, avevo un manganello imbottito
di sabbia nella mano destra e una spranga di ferro nella sinistra,
con il quale tentai di colpirla.
Nonostante
la mia precisione e la mia intenzione di farle del male, lei
evitò
il colpo chinandosi di scatto, lasciando sorpreso anche me.
Possibile
che avesse sentito solo il movimento dell'aria per capire che ero
dietro di lei?
Si
gettò a terra e premette le mani sull'asfalto per poi
slanciarsi in
verticale per colpirmi al mento.
La
evitai rapidamente.
Mi
esaminò per un solo secondo, prima di balzare davanti a me
con le
gambe piegate una davanti all'altra, la mano destra davanti al suo
viso.
Esitai
per un secondo, poi mi gettai su di lei con la spranga bene in pugno.
Mi
evitò di nuovo, ruotò sul busto e
cercò di colpirmi di nuovo con
un calcio alla tempia, ma mi mancò ancora.
Improvvisamente
mi voltai e me ne corsi via, come se non fosse accaduto nulla. Lei
tentò di seguirmi, ma dopo pochi passi si fermò.
Rimasi
un attimo basito.
Perché
Beyond avrebbe mai
dovuto tentare di uccidere Naomi Misora? Dopotutto non aveva anche
giocato a guidarla fino a quel momento?
E
poi... aveva guardato la
sua durata vitale, ma non era riuscito a ucciderla, quindi non era
ancora finita.
Possibile
che lui sapesse
che non sarebbe riuscito nel suo intento?
Non
mi aveva seguito, ne ero abbastanza sicuro.
Finalmente
uscii da quel vicolo buio, mi guardai un attimo intorno e poi mi
avvicinai a una piccola berlina, la mia automobile.
Me
l'ero procurata durante il mio viaggio dopo aver lasciato la mafia,
con quella era tornato a Los Angeles senza neanche rendermene conto.
Ovviamente
era rubata, per acquistare un'auto chiedono fin troppi documenti per
poterla prendere legalmente.
L'avevo
lasciata in moto, in modo da non perdere troppo tempo.
Dopotutto
ero in ritardo all'appuntamento a casa di Quarter Queen.
Partii
e la portai via, attraversai qualche strada per poi parcheggiarla in
una zona che avevo scelto la sera prima, dopo aver pulito
quell'automobile da ogni possibile impronta digitale, esattamente
come le case delle vittime.
Parcheggiai
e mi tolsi la maschera senza lasciare neanche un singolo indizio
grazie ai miei guanti.
Uscii
circospetto dalla vettura, facendo molta attenzione alle telecamere
di sorveglianza del parcheggio.
Non
dovevo essere visto.
Sapevo
benissimo che Naomi non sarebbe morta, dopotutto avevo osservato per
bene la sua durata vitale, ma volevo farle una sorta di test.
Quella
donna si era dimostrata un po' ingenua, ma dopotutto anche il
cervello le funzionava.
Dovevo
solo capire quanto fegato avesse.
Era
passata al contrattacco senza neanche voltarsi, un qualcosa di
stupefacente che pochissimi riuscirebbero a fare.
Sì,
L aveva fatto una buona scelta dopotutto.
Ma
senza di me non sarebbe mai riuscita a scoprire il messaggio nascosto
nella libreria di Believe Bridesmaid.
Senza
di me non sarebbe arrivata mai a nulla.
Ma
dopotutto aveva i requisiti giusti.
I
requisiti per affrontarmi.
Feci
scrocchiare il collo allontanandomi, dover stare curvo cominciava a
darmi parecchio fastidio, quasi non riuscivo più a stare
dritto
senza sentirmi vagamente a disagio.
Guardai
in alto sorridendo.
Per
ottenere ciò che si vuole a volte bisogna soffrire, in ogni
campo,
vero mio caro lettore?
Ripensai
a come mi sentivo
osservato, a come la cosa mi provocava un fastidio al quale non
reagivo.
Anche
quello dopotutto era
per ottenere ciò che volevo, ovvero la successione ad L e
riuscire a
prendere Kira.
A
meno che non si sia molto
fortunati o privilegiati, le cose che si vogliono non si possono mai
ottenere facilmente, soprattutto se si tratta di desideri ambiziosi
come il mio e quello di Beyond.
Ma
poi l'aver sofferto dà
ancora più valore al risultato finale.
“Ehi,
Misora! Sei in ritardo!” dissi appena sentii la porta
dell'appartamento aprirsi.
Nonostante
tutto quello che era successo era arrivato prima di lei alla casa
della mia seconda vittima. “Per favore, cerca di essere
puntuale.
Il tempo è denaro, quindi vita!”.
Giusto
per rendere ancora di più il personaggio, mi misi a
giocherellare
con gli slip della ragazzina uccisa. Stavo guardando il suo cassetto
della biancheria intima ottenendo per tutta risposta uno sguardo tra
lo schifato e il perplesso da parte dell'investigatrice che era con
me.
“Se
non sbaglio... la vittima viveva con la madre, che ora è
tornata dai
propri genitori, giusto? Chissà che shock, per
lei.” disse poi
Naomi, cercando di non guardarmi.
Certo,
uno shock molto forte, ma di certo non avrebbe dovuto lasciare la
figlia appena tredicenne totalmente sola, con una ragazza che la
veniva a controllare per pochi minuti prima di andare
all'università.
Era
ovvio che sarebbe potuta accadere una cosa simile, era stata lasciata
troppo indifesa.
Fosse
stata almeno più sospettosa...
Detta
così, quella di
Beyond sembrava una punizione alla madre di Quarter Queen, ma per
punire c'era bisogno di arrivare a tanto?
Certamente
la cosa aveva
insegnato qualcosa alla signora, ma era un qualcosa che non le
sarebbe più tornato utile.
“Sì.
Madre e figlia vivevano da sole in questo appartamento ricavato da un
monolocale per studenti universitari. Ovviamente non passavano
inosservate. Stamattina ho provato a chiedere un po' in giro e ho
sentito diverse storie interessanti, anche se quasi tutte erano
già
riportate nella relazione della polizia che mi hai mostrato ieri. Al
momento del delitto, la madre era via per un viaggio. Il corpo
è
stato ritrovato da una studentessa universitaria che abita qui di
fianco ed era passata a dare un'occhiata alla ragazzina... La madre
ha rivisto la figlia direttamente all'obitorio.”.
Naomi
vagava per la stanza controllando i muri nei punti dove c'erano state
le wara ningyo.
“Qualcosa
non ti convince, Misora?” “Sì... Ieri,
noi abbiamo decifrato il
messaggio lasciato dall'assassino sul luogo del crimine,
però... la
questione delle wara ningyo e quella delle porte chiuse dall'interno
rimangono in sospeso.”.
Rimasi
un secondo fermo. Possibile che avesse già capito che le
wara ningyo
e le porte chiuse dall'interno fossero collegate?
Mi
rilassai.
Ma
certo che no, non poteva essere.
“È
vero.” dissi mettendomi a carponi e cominciando a vagare per
la
stanza. “Però, Misora, forse non c'è
bisogno di dare troppa
importanza alle stanze chiuse. Non siamo in un romanzo giallo: ci
sono buone probabilità che abbia usato una copia della
chiave. Non
ne esiste una che non possa essere duplicata.” aggiunsi
cercando di
allontanarla da quella pericolosa strada.
“Sì,
questo è vero, ma... pensi veramente che un assassino come
questo
userebbe un espediente rozzo come il duplicato di una chiave?
Dopotutto, che bisogno c'è di chiudere le stanze? Eppure lo
ha
fatto. Di proposito. Perciò la cosa potrebbe nascondere un
puzzle...” “Un puzzle?” “Non
so, un indovinello... Un
enigma.” “Sì, è vero.
Può darsi.” ammisi.
Se
avessi negato ancora si sarebbe solo insospettita ulteriormente.
Lo dissimulavo alla perfezione, ma dovetti
ammetterlo a me stesso.
Ero
nervoso.
________________________
Authoress' words
Oggi ho mal di testa.
E non è una buona cosa.
Stasera ho un concorso di musica, il primo cui
abbia mai partecipato. Questo concorso è stato diviso tra
ieri e oggi e già ieri ho suonato due canzoni. Una l'ho
anche cantata e l'ho messa su YouTube e adesso ho sonno.
u.u
|
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Capitolo 26 *** Theme 64. Near's Theme ***
Questa storia è
stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Per Beyond quel
tipo di nervosismo era una sensazione nuova.
Non si trattava
di una normale tensione, ma di quella di chi rischia che le cose non
vadano
secondo i propri piani.
Lo stesso
nervosismo che L aveva fatto provare a Kira chissà quante
volte.
A
distogliermi dai miei pensieri giunse la voce di quella donna che
improvvisamente mi pareva quasi ostile. “Ryuzaki, tu che
faresti? Se volessi
chiudere a chiave questa porta dall'esterno, che metodo
escogiteresti?”.
Sorrisi.
Di sicuro non
ci era neanche vicina.
“Userei la
chiave.” “No, se non avessi la chiave,
intendo.” “Userei un duplicato.”
“No, se
non avessi nemmeno un duplicato.” “Non chiuderei a
chiave.”.
Naomi rimase
un attimo basita per poi voltarsi e provare a formulare nuove ipotesi:
“Nei
romanzi gialli, Ryuzaki, le camere chiuse sono famose per i trucchi
come quello
dell'ago e del filo, ma... Insomma, la chiamiamo “camera
chiusa”, ma c'è sempre
di mezzo una porta normale. Non può essere chiusa
ermeticamente. Non è mica la
libreria di Bridesmaid, deve esserci per forza una fessura... Uno
spiraglio
attraverso il quale, per esempio, fare passare un filo con cui
agganciare il
pomello e farlo girare...” “Impossibile. Anche se
ci fosse una fessura, sarebbe
strettissima e l'angolazione farebbe disperdere la forza verso la
porta. Fai un
tentativo: vedrai che buona parte dell'energia sarà
direzionata in verticale.
Anche se cercassi di agganciare il pomello, non faresti altro che
tirare la
porta verso di te.” “Già...
Però una serratura così semplice non lascia
spazio
ad altri trucchi. Nei gialli sono molto più
elaborate.” “Ci sono tanti modi per
creare una camera chiusa. Inoltre, non possiamo escludere che avesse un
duplicato della chiave.”.
Quella
conversazione rischiava di crearmi problemi. La chiusi con freddezza
per poi
portarla verso un'altra strada.
“La
questione, piuttosto, è un'altra, Misora: perché
l'assassino ha creato una
camera chiusa? L'ha fatto di proposito, benché non ce ne
fosse bisogno. A che
scopo ideare un rompicapo?” “L'ho già
detto: per gioco...” “A che scopo?”.
La donna si
fermò.
Stette
qualche secondo a fissare il vuoto, poi prese la foto della vittima che
aveva
nella documentazione fornitale da L.
“Uccidere
una
bambina... Che crudeltà!” esclamò
lasciandomi un attimo perplesso.
Avrebbe
dovuto saperlo che gli assassini sono crudeli e dopotutto non poteva
giudicare
quello un omicidio peggiore di altri solo in base all'età
della vittima.
A qualsiasi
età si può essere crudeli.
“Anche
uccidere un adulto è crudele, Misora. Che si uccida un
bambino o che si uccida
un adulto, non cambia nulla.” dissi con noncuranza e
freddezza.
La freddezza di
Beyond era spaventosa. Come poteva dire che non cambiava nulla? La
differenza
c'è: un bambino non è in grado di difendersi, un
adulto sì.
In parole povere
è troppo facile uccidere una ragazzina come Quarter Queen.
“Ho finito
di
ispezionare la stanza, più o meno. Non ho trovato nessun
oggetto di valore.”
dissi alzandomi e pulendomi i jeans con le mani.
“Ne stavi
cercando uno?” “No. Solo per sicurezza. Se
prendiamo in considerazione l'idea
che il movente sia il denaro, la seconda vittima fa eccezione rispetto
alle
altre due. Quindi mi sono chiesto se per caso nascondesse qualcosa di
prezioso.
Mi sbagliavo. Facciamo una pausa! Misora, che ne dici di un
caffè?”.
L'ipotesi che
avevo fatto era ovviamente fuori luogo. Era ovvio che non poteva essere
il
denaro il movente, altrimenti non avrebbe avuto senso fare in modo di
far
capire che per tutte e tre le vittime ero sempre io l'assassino.
Dopo la
conferma di Naomi, mi avviai nella cucina e afferrai una caffettiera
senza
pensarci neanche troppo.
Dopo aver
preparato la bevanda calda e dopo averci messo un'abbondantissima
quantità di
zucchero, tornai nella stanza della vittima con due tazzine fumanti su
un
vassoio.
La mia
“collega” era seduta al tavolo. La salutai
allegramente, le misi una delle
tazzine davanti, l'altra al lato opposto e mi sedetti in quel modo
così
bizzarro che avevo imitato per anni.
La donna si
portò la tazza alle labbra, poi improvvisamente
sputò tutto con versi
disgustati.
“Qualcosa
non
va, Misora? Non si sputa in giro quello che ci si è messi in
bocca. Non è
elegante. E poi quelle urla esagerate rischiano di nuocere alla tua
immagine.
Hai un così bell'aspetto, cerca di valorizzarlo!”.
In un certo
senso era divertente rimproverarla.
“È...
dolce
da morire... È veleno!” “Non
è veleno. È zucchero.” risposi
semplicemente,
guardando quel composto gelatinoso.
“Mi sembra
di
avere ingoiato fango...” “Guarda che il fango non
è così dolce.” “Fango
dolce...” disse come se avesse avuto un'illuminazione. Io
continuai a bere
rumorosamente, per poi esclamare: “Ah, un caffè ti
fa proprio sentire meglio!
Ora che mi sono rinfrescato le idee posso chiederti una
cosa?”.
Il mio tono
di voce cambiava di continuo, se un secondo prima poteva essere allegro
e
ingenuo, adesso era estremamente gentile.
“Prego.”
disse lei con un tono di voce per niente contento.
“Per
quanto
riguarda l'anello mancante...” “Hai scoperto
qualcosa?” “A quanto pare, il
crimine non è stato compiuto per denaro... ma ieri sera,
dopo che ci siamo
separati, mi sono accorto di una cosa interessante. Un punto in comune
tra le
vittime, che nessuno ha ancora notato.” dissi.
Nonostante
sembrava potesse scoprire qualcosa che non doveva sapere poco prima,
adesso
dovevo aiutarla ancora un po'.
“Di che si
tratta?” “Delle iniziali, Misora. Le iniziali dei
nomi delle vittime hanno una
caratteristica in comune. Believe Bridesmaid, Quarter Queen, Backyard
Bottomslash. BB, QQ, BB. In altre parole, nome e cognome di ogni
vittima
iniziano con la stessa lettera...”.
Mi fermai
notando la sua espressione visibilmente delusa.
“Oh,
qualcosa
non va, Misora?”
In effetti
quello era il dettaglio che più saltava all'occhio. Sarebbe
stato strano se
Naomi non l'avesse ancora notato, ma con molta probabilità
non gli aveva dato
la giusta importanza e questo poteva essere un problema per il piano
dell'assassino.
“Ryuzaki...
hai idea di quante siano, in tutto il mondo, anzi, anche solo in tutta
Los
Angeles, le persone che hanno un nome e un cognome con la stessa
iniziale?
L'alfabeto ha ventisei lettere, dalla A alla Z, quindi, facendo un
semplice
conto, significa che circa una persona su ventisei ha un nome del
genere. Non
si può considerare un punto in comune.”.
Ed ecco dov'era
l'errore.
Ogni punto non era casuale. Beyond aveva fatto una grande attenzione ai
nomi
delle vittime oltre che alla loro data di morte, e inoltre la sequenza
BB, QQ,
BB coincideva con quella delle date 9 giorni, 4 giorni, 9 giorni.
In effetti Naomi
Misora aveva dei colpi di genio ad esempio nel sospettare che le porte
chiuse
fossero collegate alle wara ningyo in qualche modo, ma alla fine non
abbastanza
da andare oltre l'apparenza.
L'arte non era
nel creare indizi.
L'arte era nel
creare qualcosa di casuale, che avesse la funzione di un indizio.
Assunsi
un'aria imbronciata, mentre mi lamentavo per aver creduto di aver fatto
una
grande scoperta.
“A
proposito,
anche tu ti chiami Rue Ryuzaki. RR, no?” mi disse poi.
“Oh. Non ci avevo fatto
caso.” “Sono tutte... sciocchezze.”.
Sciocchezze?
Io non avrei liquidato così facilmente quell'indizio, Naomi.
Le vittime
avevano tutte in comunque questa caratteristica, non poteva essere un
semplice
caso.
E se fosse
stato un caso sarebbe stato troppo assurdo.
E per di
più
ben due tra di loro erano BB.
“Misora,
abbiamo stabilito che la mia deduzione non vale niente. Tu invece hai
fatto
qualche progresso?” le chiesi sperando che almeno avesse
qualcos'altro da dire.
“No,
niente
che si possa definire tale. Da questo punto di vista, non posso certo
permettermi di criticarti... Credo che l'unica cosa da fare sia cercare
un
eventuale messaggio lasciato dall'assassino, come ieri. In tutta
onestà, mi
sento completamente nelle sue mani, il che, come dire, mi irrita, non
mi dà
pace...”.
A quella sua
affermazione a stento trattenni un sorriso di sadica soddisfazione.
“Allora
continuiamo a fargli credere di essere nelle sue mani. Fare il suo
gioco mentre
cerchiamo di cavarne qualche indizio è la cosa migliore.
Misora, se ha lasciato
un messaggio... dove potrebbe essere?” chiesi volendola
provocare.
“Dove non
lo
so, ma il contenuto è prevedibile. Indicherà il
nome della terza vittima...
Backyard Bottomslash. Oppure il suo indirizzo. Il cruciverba annunciava
il
primo omicidio e le pagine del libro il secondo, quindi...”
“Giusto. Sono
d'accordo.” dissi soddisfatto di quel gioco che avevo creato.
“Solo che al
momento non ho idea di dove possa avere nascosto quel messaggio. Se
riuscissimo
a stabilire un criterio, potrebbe essere una chiave per arrestare
l'assassino,
ma...”.
Ma come,
Naomi?
Se la si
vedeva così, era inutile rimanere in quel luogo.
“Quindi se
l'unica cosa che possiamo trovare è un messaggio che indica
la terza vittima,
forse è meglio lasciar perdere qui e andare subito sul luogo
del terzo
omicidio. Dopotutto, il nostro scopo è sì
risolvere il caso, ma anche prevenire
un quarto omicidio.” dissi conn una punta di provocazione.
“Giusto, è vero.”.
Lei aveva
esitato nel rispondere.
Ma come?
Allora non la pensavi così?
Era stato L a
dirti di non farlo?
“Ormai non
possiamo più impedire il terzo omicidio, che è
già avvenuto, ma possiamo
prevenire il quarto. Invece di perdere tempo qui cercando un messaggio
dal
contenuto scontato, mi pare più costruttivo cercare il
messaggio che porta alla
quarta vittima.” le dissi con innocenza, ma in mente mia
sapevo che in realtà
mi stavo solo divertendo come un bimbo si diverte col suo giocattolo.
In effetti, se
davvero si doveva seguire la teoria del prevenire l'omicidio, saltare
direttamente alla casa successiva si sarebbe rivelato un notevole
risparmio di
tempo, anche perché non mancava ancora molto prima
dell'ultimo delitto.
In effetti tutto
quello era solo un preparativo del palco.
Il regista stava
preparando gli attori per l'ultimo atto.
Il gran finale.
________________________________
Authoress' words
Buonasera! Ho deciso
che voglio provare a scrivere capitoli più lunghi, ma
purtroppo con questi tempi strettissimi che ho non ce la faccio! Almeno
per questa settimana è andata, vedremo con la prossima.
Anzi, ho pubblicato
per miracolo oggi! Non ne avevo nemmeno il tempo tecnicamente, ma
passiamo al nostro ospite speciale, ovvero la santa che mi sta
prestando il suo computer! Ecco a voi Black Nana!
Black Nana: Yahoo!
Salve a tutti!
Any_: Eccola qua!
Questa simpaticissima ragazza, mi ha prestato un computer ancora
più simpatico perché si chiama Netty, ed
è un nome stupendo. u.u
Black Nana:
Graaaazie! Anche tu sei carina e coccolosa. Questa ragazza non lo da a
vedere, ma anche lei è carina e coccolosa, ma è
terrorizzante perché in certi momenti è identica
ad L.
Any_: Ehm... Non
sono per niente carina e coccolosa, diciamo che capita il momento, ma
di solito sono anche molto fredda. Almeno nella mia mente, se
leggessero i miei pensieri, la maggioranza delle persone si
spaventerebbero.
Beh,
dopo questo breve intervento vi abbandono e vi saluto con taaaanto
buon'umore e taaaanti muffin alla fragola! :3
|
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Capitolo 27 *** Theme 48. Shinigami Kai B ***
Questa storia è
stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
In
effetti non mi era troppo semplice capire cosa passasse per la testa
di Naomi in quel momento.
Insomma,
aveva detto di ritenere inutile cercare indizi nella casa della
seconda vittima, ma allo stesso tempo lo affermava con grande
insicurezza.
Troppa,
per i miei gusti.
“Ma
non trovi che questo significherebbe stare sulla difensiva? Essere
passivi? Se qui ci fosse un indizio sull'assassino, rischieremmo di
tralasciarlo. Magari non una prova certa, ma una pista... Certo,
prevenire il quarto omicidio è essenziale, ma dedicandoci
esclusivamente a quello perderemmo in iniziativa. Rinunceremmo a
prendere il controllo della situazione.”.
Finalmente
si era decisa.
Il
suo modo di pensare era fin troppo contraddittorio, in fin dei conti
lei stessa aveva proposto di lasciar perdere gli indizi che avremmo
potuto trovare in quel luogo.
Ma
per cose come quelle indagini, in cui non si tratta solo di un
tranquillo sopralluogo, ma di un gioco, di una corsa contro il tempo,
bisogna aver ben chiaro che strategia è meglio utilizzare.
L
non avrebbe avuto dubbi, avrebbe scelto di rimanere. Anche Naomi
l'aveva fatto, ma ci aveva messo un po'.
Effettivamente
sembrava davvero che la donna non sapesse minimamente cosa fare, come
se le sue decisioni fossero state prese a caso. Di certo non era
così, ma la sua mente doveva essere più confusa
di quel che
sembrava per quel che riguardava il caso.
“Non
c'è da preoccuparsi, per quello. Io sono
risoluto!” esclamai con
allegria. “Risoluto?” “Sì,
risoluto e pronto a prendere il
controllo. Io non sono mai passivo. È una delle poche cose
di cui mi
vanto. Non subisco passivamente nemmeno le indicazioni dei
semafori.”
“Quelli faresti meglio a rispettarli.”
“No, mai.” dissi con
orgoglio. Dopo pochi secondi ripresi il discorso: “Impedire
il
quarto omicidio va quasi certamente di pari passo con
l'identificazione e la cattura dell'assassino. Questo è
quello che
desiderano più di ogni altra cosa anche i miei clienti.
Però ho
capito cosa intendi, Misora. Facciamo così: io ho finito di
esaminare questa stanza, quindi la lascio ispezionare a te. Nel
frattempo, vorrei studiare il terzo omicidio. Potresti mostrarmi di
nuovo la documentazione di ieri, per favore?”.
Dopo
pochi secondi mi passò le foto e i dati che aveva a
disposizione.
“Però, come ho detto prima, non c'è
stato alcuno sviluppo. Niente
di nuovo rispetto a ieri.” ci tenne a precisare lei.
“Sì, lo so.
Però ci sono alcune cose che voglio verificare... Certo che
questa
foto è davvero orribile, non trovi?” chiesi
allungandole con
innocenza il pezzo di carta lucida che raffigurava il cadavere senza
una gamba e un braccio di Backyard Bottomslash. “Hanno
trovato la
gamba destra nel bagno, ma il braccio sinistro non è ancora
stato
rintracciato... Se ne deduce che probabilmente l'assassino se
l'è
portato via. Ma a che scopo?” chiesi.
“Di
nuovo questa domanda? E se fosse quel qualcosa che dovrebbe esserci
ma non c'è? Il braccio sinistro della vittima,
intendo.”
“L'assassino aveva bisogno di amputare il braccio sinistro
della
vittima... ma non si è portato via la gamba destra. L'ha
abbandonata
nel bagno. Cosa vorrà dire?”.
Di
certo non l'avrebbero scoperto facendosi domande su una fotografia.
Quegli indizi erano indovinelli ed erano molto complessi. Per poterli
risolvere c'era bisogno di essere presenti sul luogo del delitto di
persona, non si poteva cercare di risolverli senza nemmeno avere
tutti gli elementi necessari, quelli lasciati di proposito da B.
“In
ogni caso, oggi pomeriggio andremo in sopralluogo sulla terza scena
del crimine... Lasciami soltanto qualche ora per esaminare questa
stanza, per favore.”.
Qualche
ora? Sì, stare un po' da sola le sarebbe potuto servire
anche per
contattare L dopotutto.
“Sì,
facciamo così. Ah, a proposito, in quell'armadietto
c'è un album di
foto della vittima: mi raccomando, dacci un'occhiata. Potresti
scoprire qualcosa dei suoi interessi, dei suoi gusti, delle sue
amicizie.” dissi mettendomi in un angolo.
Naomi
uscì dalla stanza quasi immediatamente, entrando nel bagno.
La
osservai.
Non
aveva molto senso uscire dopo aver detto di voler ispezionare la
stanza, no?
Effettivamente
non c'erano molte cose sensate in tutta quella faccenda, almeno per
lei.
Chi
vive in prima persona le cose, trova un proprio senso logico per
tutto, ma dall'esterno spesso non lo si capisce e si pensa che tutto
sia insensato.
Ecco.
Quelli incompresi dalla maggioranza, e non solo da poche persone,
vengono comunemente denominati “pazzi”.
Non
è una bella parola, è una parola di suono
sgradevole, non è vero,
mio caro lettore?
Ma
la pazzia è una cosa relativa, dipende anche dal luogo in
cui ci si
trova. Se esistesse ancora un luogo dove è di norma
praticare il
cannibalismo, sarebbe “pazzo” chi invece
sosterrebbe di non poter
compiere un atto come quello di mangiare un proprio simile.
E
allora chi ci dice che i pazzi siano realmente pazzi?
Che
cos'è la pazzia, mio caro lettore?
Sì.
Beyond aveva ragione.
È
impossibile trovare una persona che agisca totalmente senza sapere il
perché di una determinata azione. Magari dopo se ne
può
dimenticare, ma sul momento lo sa.
Ed
è così che nascono gli assassini, che agiscono di
impulso nella
maggioranza dei casi, per poi pentirsi.
Però
Beyond non era quel genere di pazzo.
Beyond
era perfettamente consapevole di tutto ciò che accadeva e,
come un
esperto burattinaio, tirava con maestria i fili di tutti i personaggi
per far andare avanti lo spettacolo.
Era
veramente incredibile come riuscisse a muovere la realtà
secondo il
suo volere.
Mentre
mi lasciavo andare a queste riflessioni, sfogliavo i rapporti, che
oramai conoscevo talmente bene da poterli recitare a memoria,
svogliatamente.
Improvvisamente
Naomi entrò nella stanza, di corsa, con foga.
“Come
mai sei così agitata?” chiesi sbattendo le
palpebre perplesso.
“La... la foto!” “Eh?”
“Dammi la foto!”.
Ero
davvero perplesso stavolta, quella donna mi colpiva sempre di
più.
Era capace di non arrivare a nulla per giorni, poi andava un attimo
in bagno e tornava come folgorata da un'illuminazione divina.
Appoggiai
sul tavolo la foto della terza scena del crimine, curioso di sapere
che cosa aveva provocato in lei tutta quella agitazione.
“Non
noti niente, Ryuzaki?” “Cosa?”
“Qualcosa di innaturale in
queste tre fotografie.” “Beh, sono tutti
morti.” “La morte
non è innaturale.” “Che
filosofa.” “Non prendermi in giro.
Guarda: i cadaveri sono in posizioni inverse. Believe Bridesmaid
è
supino, Quarter Queen è prona, Backyard Bottomslash
è supina.
Supino, prono, supino.” “Pensi ci sia una logica in
questo? È
come l'intervallo di tempo tra gli omicidi: nove giorni, quattro
giorni, nove giorni... Cioè vuoi dire che il quarto omicidio
avverrà
domani e la vittima verrà uccisa a pancia in
giù?” “No... beh,
può darsi... ma io sto pensando a un'altra
possibilità. Mi spiego:
forse è il fatto stesso che Quarter Queen sia in posizione
prona a
essere innaturale.”.
Solo
in quel momento mi ero reso conto di quest'altra sequenza. Persino la
posizione delle vittime era stata studiata!
Che
anche quella costituisse un indizio?
“Lasciami
riflettere un attimo.” disse Naomi sedendosi accanto a me.
“Misora,
per riflettere ti consiglio questa posizione.” le dissi
mettendo in
mostra il modo di sedersi di L.
“Quella
posizione?” “Sul serio. Aumenta del quaranta
percento la capacità
di ragionamento. Devi assolutamente provare.” “No,
io non... Va
bene.” disse in maniera schiva. Di certo non era molto
entusiasta
di quel nuovo metodo.
Si
arrampicò sulla sedia barcollando e si accomodò
in maniera
piuttosto instabile i primi secondi, trovando poi un equilibrio dopo
poco.
“Quindi,
Misora? Vuoi dire che la posizione prona di Quarter Queen potrebbe
essere un messaggio lasciato dall'assassino? Per indicare il terzo
omicidio?” “No, non un messaggio, bensì
l'anello mancante,
Ryuzaki. Come hai detto prima, sembra la continuazione del discorso
sulle iniziali... Le iniziali delle vittime sono BB, QQ, BB, giusto?
In effetti, il fatto che nome e cognome inizino con la stessa lettera
non è abbastanza per definirlo un anello mancante, ma... la
prima e
la terza vittima hanno le stesse iniziali, BB. Se questo valesse
anche per la seconda vittima, allora potremmo definirlo un anello
mancante, giusto?”.
Finalmente
aveva colto il mio aiuto. Dopotutto non poteva liquidare il tutto
come coincidenza e basta, era troppo evidente.
“È
un'idea interessante. Però, Misora, in realtà la
seconda vittima si
chiama Quarter Queen... quindi le iniziali sono QQ. Pensi che la
seconda vittima possa essere stata uccisa per sbaglio? Che in
realtà
doveva essere uccisa una persona con le iniziali BB ma che per un
errore, un contrattempo o uno scambio di persona sia stata uccisa
QQ?” chiesi cercando di assicurarmi di quanto lei avesse
capito.
“Impossibile. Il messaggio lasciato sulla scena del primo
delitto
indicava chiaramente Quarter Queen. Non può esserci stato
uno
scambio di persona.” “Hai ragione, che
sbadato.” dissi con
noncuranza.
Quell'atteggiamento
era volutamente sospetto, infatti come ricompensa ottenni un'occhiata
inquisitoria che raramente avevo visto sul volto di quella donna.
Immediatamente riprese il discorso.
“Nove
giorni, quattro giorni, nove giorni. BB, QQ, BB. Supino, prono,
supino... Si può notare un'alternanza sistematica, come
avevi
suggerito, e anch'io ho preso in considerazione questa idea, ma...
non trovi che “ossessività” e
“alternanza” siano due termini
incompatibili? Chi soffre di nevrosi ossessive, generalmente, tende
alla costanza...” “Però le cause di
morte non sono molto
costanti: strangolamento, lesioni, accoltellamento.”
“In quel
caso, credo che la costanza stia proprio nella loro incostanza:
possiamo vederci il tentativo di sperimentare ossessivamente diversi
metodi. Però, c'è comunque differenza tra
“alternanza” e
“diversità”. Ecco, è questo
il punto. Mi è venuto in mente
prima, all'improvviso, mentre mi guardavo allo specchio... B e Q
hanno la stessa forma, giusto?”.
Già
era arrivata a capire tutte quelle cose? Ma che brava la nostra
Naomi...
La
dovevo mettere alla prova di continuo, anche quando sapevo che aveva
capito, dovevo fingere di credere il contrario.
Potrebbe
sembrare strano, ma era necessario che B si comportasse in quel modo.
Dopotutto, se si fosse mostrato subito entusiasta delle idee
dell'investigatrice sarebbe risultato fin troppo sospetto. E forse
Naomi si sarebbe resa conto immediatamente che in realtà chi
aveva
davanti era un assassino, un pericolosissimo serial killer dalla
mente tanto geniale da poter mettere all'angolo la donna in pochi
secondi.
“B
e Q? No, io veramente le trovo completamente differenti...”
“Non
intendo le maiuscole, ma le minuscole.” disse tracciando le
due
lettere con l'indice sul tavolino.
“Guarda:
hanno la stessa forma. Però capovolta.”
“E questo sarebbe il
motivo della posizione prona?” “Sì.
Facendo un semplice conto,
circa una persona su seicentosettantasei ha come iniziali BB.
Supponendo che sia questo l'anello mancante, per l'assassino non
dev'essere affatto facile trovare qualcuno con quelle iniziali.
Soprattutto volendo uccidere non una persona sola, ma due, tre o
addirittura quattro. Perciò, si può supporre che
si sia trovato
costretto a sostituirne una con qualcuno dalle iniziali QQ.”
“Sono
d'accordo, tranne per il fatto che sia stato
“costretto”, perché
dubito che sia tanto facile trovare qualcuno che abbia come iniziali
QQ. E se anche fosse, quella sostituzione va vista come parte
dell'enigma rivolto a chi svolge le indagini. Se tutti avessero avuto
le stesse iniziali, sarebbe stato troppo facile individuare l'anello
mancante. Ma stiamo comunque parlando di supposizioni. Le
probabilità
di questa teoria non arrivano al trenta percento. Con il tuo
ragionamento, Misora, sei giunta alla conclusione che quello
è il
motivo per cui l'assassino ha lasciato il cadavere di Quarter Queen a
pancia in giù... In altre parole, la posizione prona
suggerisce
l'idea di “inversione”, e q è b alla
rovescia. Però, Misora, la
tua teoria non regge.”.
Lei
era perplessa.
“Perché?”
chiese delusa.
“Per
via delle lettere minuscole. Le iniziali, di solito, si scrivono in
maiuscolo, no?” “Eppure pensavo di essere sulla
strada giusta.”
disse demoralizzata, nascondendosi tra le gambe.
“In
fondo, è un bene che la tua teoria sia sbagliata. Se fosse
stata
giusta, allora Quarter Queen sarebbe stata uccisa come sostituta. Una
ragione crudele per la morte di una bambina di poco più di
dieci
anni.” mormorai come per cercare di consolarla.
L'avevo
allontanata, ma allo stesso tempo l'avevo avvicinata. Volevo che ci
arrivasse, ma che ci arrivasse da sola.
Lei
stette qualche secondo in silenzio.
Improvvisamente
alzò la testa.
Le
si leggeva l'ira nello sguardo e anche la voce le tremava.
“No,
Ryuzaki. Le minuscole vanno bene... in questo caso. Ecco
perché
l'assassino ha scelto una bambina, come vittima. È una
bambina,
quindi lettere minuscole. E poi la posizione prona: alla
rovescia!”.
_____________________________
Authoress' words
Ho sonno.
Ora vi dico una cosa per cui
dovrei essere picchiata: invece di scrivere sono andata allo
Showcolate, ovvero uan fiera del cioccolato!
E poi mi sono ridotta a
scrivere alle 22:30.
Beh, almeno ce l'ho fatta quasi
in tempo... ^-^"
|
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Capitolo 28 *** Theme 15. Tokusou ***
Questa storia è
stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Naomi
si alzò in piedi di scatto, sembrava furibonda. Senza dire
una
parola si mise a passare al setaccio l'appartamento mentre la fissavo
incuriosito.
Dopo
un bel po' di tempo che andava avanti così, si mise la testa
tra le
mani.
Non
aveva trovato nulla di utile.
Mi
avvicinai a lei con calma.
“Qualcosa
non va, Misora?” “Non c'è nulla che
possa essere un indizio
stavolta.” “Davvero? Però l'ultima volta
era sul cadavere della
vittima...” “Ma stavolta non ci sono tagli o cose
del genere.”
concluse secca.
Non
mi stava dando un minimo di considerazione, ma che volesse o no
dovevo darle un nuovo indizio, era il momento adatto.
“Cosa
c'è di anomalo nella vittima? L'accanimento sugli occhi,
Misora!”
le suggerii.
Lei
si fermò. Probabilmente pensava che fosse una buona pista.
Si
alzò di nuovo e afferrò un album di fotografie
della ragazzina.
Mentre le osservava una ad una sorrisi.
Proprio
così, Naomi.
Quarter
Queen non aveva mai portato occhiali.
“Quarter
Queen non portava occhiali.” disse Naomi inespressiva.
“Non si
direbbe, ma era difficile farci caso... perché di solito non
ci si
preoccupa se gli occhiali su un cadavere appartengano o meno alla
vittima. Proprio un punto cieco, nel vero senso della parola. Forse
è
proprio quello che volevano suggerire gli occhi
maciullati...”
dissi io guardando le foto. “Gli occhiali le stavano
così bene...
Potrebbe essere uno dei motivi per cui la polizia si è
lasciata
ingannare. Quella ragazzina non aveva capito di essere fatta apposta
per portare gli occhiali!” “Ryuzaki, questo tuo
modo di vedere le
cose è inopportuno...” disse Naomi infastidita.
“Stavo
scherzando.” dissi con un tono di voce dispiaciuto.
“Appunto.
Scherzare su queste cose è inopportuno.”
“Allora dicevo sul
serio.” “Anche in questo caso sarebbe
inopportuno.” “Allora
ero serissimo. Guardala bene, non trovi che sia più carina
così?”
“Beh, in effetti...”.
Naomi,
decisamente infastidita, prese la sua documentazione tra le mani.
“Il
terzo omicidio è avvenuto nel Westside, vicino alla fermata
di
Glass... Glasses: occhiali, letteralmente. Ma è impossibile
ricavarne l'indirizzo preciso. La zona corrisponde, ma è
un'indicazione troppo generica.” disse la donna.
Indicazione
generica?
Eh,
no. Io non davo mai
indicazioni
generiche.
“No,
Misora. Non trovi che a quel punto sia come avere l'indirizzo
preciso? Per individuarlo, basta cercare in quella zona qualcuno con
le iniziali BB. L'assassino dava per scontato che, dopo il secondo
omicidio, ci saremmo accorti dell'anello mancante.” le
spiegai.
“Sì, ma... abbiamo dedotto che Q è
l'inverso di B solo perché il
terzo omicidio era già avvenuto. Prima, sarebbe stato
impossibile
capirlo.” obiettò lei.
Le
obiezioni di Naomi erano sempre fastidiose, erano puntigliose e
soprattutto infondate.
“Non
ce n'era comunque bisogno. Anche adesso che siamo al terzo omicidio,
non abbiamo idea se Q sia l'inverso di B o viceversa. Se al quarto
omicidio venisse ucciso un bambino dalle iniziali QQ saremmo da capo.
Magari sono i bambini le vittime principali e l'assassino ha come
obiettivo le iniziali QQ. Ora come ora, dobbiamo ammettere che non
è
chiaro il perché di BB o QQ, ma va bene così.
È sufficiente
trovare qualcuno che abbia una delle due coppie di iniziali.”
“Beh... sì, è vero.”
mormorò Naomi.
Mi
sorpresi a fare quasi un sorrisetto. Beyond aveva una
capacità
persuasiva incredibile.
Esprimeva
concetti complessi velocemente, così Naomi non poteva far
altro che
rimanere confusa, senza sapere cosa dire o fare.
Ottima
strategia per evitare obiezioni fastidiose.
In
verità Beyond dava per scontato che chi stesse indagando
sapesse già
che l'obiettivo era la lettera B, proprio perché il suo
obiettivo
era L e Naomi era solo una pedina insignificante in quella partita.
“È
mezzogiorno.” dissi improvvisamente.
“Come?”
chiese Naomi perplessa.
“È
mezzogiorno. È ora di pranzo.” dissi.
“Ah, giusto. Allora ci
separiamo per il pranzo?” “Perché non
mangiamo insieme?”
“Ah... ehm... non è il caso, grazie
comunque.” rispose lei
imbarazzata.
Come
previsto.
Ci
congedammo, così andai a recuperare il mio barattolo di
marmellata.
Nulla
di cui stupirsi, dopotutto anche Beyond stesso, da ragazzo, non amava
i pranzi a base di dolci...
“Se
solo potessi vedere la morte del mondo...” mormorai appena
sveglio
alle sei del mattino.
Avevo
già detto quella frase.
Chissà
quando...
Mi
alzai e mi guardai pigramente in uno specchio fratturato.
Quel
giorno avrei rivisto ancora Naomi Misora.
“Naomi
Misora. Le mani di L. Gli occhi di L. Lo scudo di L... Ahahahahah! No
così non va... Dovrei fare una risata tipo questa...
Uahahahahah!
Sì, così va meglio, sì.”
dissi al mio riflesso scendendo dal mio
“letto”.
Dopotutto
dovevo sia incutere timore che risultare stravagante e l'unica cosa
che ancora non avevo fatto era proprio una risata come quelle dei
film.
Continuavo
a ripensare a quella donna dell'FBI.
“Mmmh
mmmh mmmh... Uhuhuhuh. No, forse è meglio ihihih?
Potrebbe andare anche ohohohoh, ma temo sia troppo frivolo.
Già.
Comunque, Naomi Misora... non è male. È sprecata
all'FBI.”
riflettei ad alta voce.
Naomi
aveva bisogno del mio aiuto senz'altro, ma di certo era meglio di
quel branco di idioti della polizia e dell'FBI, gente capace solo di
seguire ordini senza sapere nemmeno cosa fare.
Beyond
stava cominciando a mostrare segni di pazzia sempre più
evidenti,
eppure... come potevo non seguire la sua logica ferrea?
Pazzo,
sì, ma solo dall'esterno.
Dentro
forse era solo più geniale di tutto il resto
dell'umanità
“normale”.
Piuttosto
se c'era una cosa che mi aveva lasciato perplesso di Naomi Misora era
stato il suo modo di difendersi dopo il mio attacco.
Sapevo
che non sarebbe morta.
Certo.
Ma
di sicuro quella che aveva usato doveva essere una tecnica specifica.
Non
poteva essere solo istinto di sopravvivenza.
Così
decisi di fare una piccola ricerca per sapere di cosa si trattasse.
Non mi ci volle molto per scoprire il nome di quell'arte: capoeira.
Si
trattava di una danza nata in Brasile in seguito a un divieto di
praticare arti marziali, così con la scusa di praticare una
danza la
gente poteva imparare a difendersi.
Niente
male come scelta, sfruttava l'attacco dell'avversario per
contrattaccare rapidamente.
Probabilmente
nemmeno L era a conoscenza di questa capacità di Naomi.
“L.”
mormorai con amarezza. “Se L è un genio, B
è il
genio.
Se L è strano, B
è lo
strano.” dissi con rabbia nella voce.
Mi
ci vollero pochi secondi per calmarmi.
“Bene,
è ora di dare gli ultimi ritocchi. Gli ultimi ritocchi
perché B
superi L... eheheheh!”.
Un
pugno nello stomaco.
Superare.
Una
parola che improvvisamente mi aveva portato alla mente un ricordo
spiacevole.
E
un senso di colpa.
Un
senso di colpa dai capelli biondi e gli occhi di ghiaccio.
Mello
era fuggito e io non avevo fatto nulla per fermarlo.
E
non avevo fatto ciò che L mi aveva chiesto di fare.
Strinsi
gli occhi.
Il
perdente ero io.
“Mmmh
mmmh mmmh... muahahahah! Muamuamuah! Uououououoh! No, no, queste non
sono risate! Ihihihih!”.
Ero
pronto.
Feci
scrocchiare il collo e mi misi in azione.
Rimasi
immobile.
Anche
io ero pronto.
Uscii
dalla stanza e mi diressi verso la stanza mia e di Matt.
Appena
arrivai a destinazione vidi il rosso con gli occhi spenti, puntati
verso un qualcosa di elettronico e di rumoroso.
La
scatoletta gialla tentava di trasmettere allegria, ma il giocatore
sembrava premere i tasti meccanicamente, senza neanche impegnarcisi
troppo.
Senza
neanche distogliere lo sguardo dallo schermo mi salutò
distrattamente. Lo salutai a mia volta, per poi avvicinarmi al mio
angolo di stanza.
C'era
un silenzio spaventoso tra me e Matt.
Mi
sembrava tutto così strano, tutto così infantile
e allo stesso
tempo maturo...
Era
sempre stato così, ma quei silenzi di solito erano riempiti
da una
terza persona.
“Matt?”
mi sorpresi a chiamarlo. Il ragazzo mi fissò incuriosito.
Abbassai
lo sguardo e non dissi niente.
Che
volevo dire? Nulla, assolutamente nulla.
Matt
mi sorrise.
Richiuse
la scatoletta gialla e poi scese dal letto.
Si
avvicinò all'angolo di stanza di Mello e cominciò
a frugare tra
tutte le sue cose. Non aveva detto una parola eppure sembrava proprio
che stesse cercando qualcosa in particolare.
Ero
stato avventato. Le parole mi erano uscite di bocca da sole e adesso
mi trovavo a non sapere che dire, né che fare.
Dopo
poco si fermò.
Si
alzò in piedi, mi sorrise.
“Ecco!
Prendila! Credo ti tornerà utile.” disse
porgendomi qualcosa tra
le mani. “Se ce l'hai tu significa che ti dovrà
rivedere per
forza, se non vuole morire.”.
Una
foto.
Una
foto di Mello.
______________________________
Authoress' words
Mi sono presa un mese di vacanza!
E molto probabilmente per questo motivo nessuno
leggera più questa storia. ^-^"
Bene...
Ok, lo ammetto... mi sento in colpaaaaaaaa!
ç_ç Non volevo tardare così tanto e
stavolta non ho giustificazioniiiii! ç_ç
*va a rintanarsi in un angolino a deprimersi*
PS Lui si chiama Signor
Angolino. u.u
|
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Capitolo 29 *** Theme 36. Kyrie for Orchestra ***
Questa storia è
stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Strinsi
quel foglietto di carta tra le mani osservandolo.
“Se
ce l'hai tu significa che ti dovrà rivedere per forza, se
non vuole
morire.” precisò Matt. Lo fissai senza dire nulla.
Il ragazzino mi
sorrise, con aria di complicità.
Quel
tipo di espressione l'avevo vista solo quando si era rivolto, in
passato, al ragazzino ritratto nella foto.
Probabilmente
attendeva una risposta che non arrivò, per cui si
voltò e tornò a
dedicarsi alla scatoletta gialla.
Tutto
come se non fosse successo nulla.
No,
una differenza rispetto a prima c'era: stava sorridendo.
Se
non vuoi rivedere vecchi nemici, l'errore più fatale che tu
possa
commettere è lasciare un solo, microscopico, insignificante
indizio.
E
proprio perché io dovevo rivedere il mio vecchio nemico,
tutti gli
indizi dovevano portare a me.
“Quindi,
signor Maison, le presento Near.” disse Roger nel suo studio.
“Piacere...”
dissi senza entusiasmo.
Mi
apparve di fronte un uomo alto, corpulento. Pelato, con dei baffetti
biondi e l'aria arcigna.
“Salve,
Near.” mi disse studiandomi. “Signor
Maison...” dissi
cominciando a rigirarmi un ricciolo di capelli tra le dita
“Ho
bisogno che lei mi faccia parlare con il presidente degli Stati
Uniti.”. “Come?” mi chiese perplesso.
“Ha capito bene. La
faccenda riguarda il caso Kira. Deve sapere che L è morto
cinque
anni fa e quello che al momento sta coordinando la polizia è
un uomo
del Quartier Generale Giapponese che sta svolgendo l'azione
diplomatica. Anzi, lo definirei un fantoccio nelle mani della
polizia. Sono io l'erede del vero L.” cominciai a spiegare
senza
smettere di tormentarmi i capelli. “Ho in possesso della
documentazione su tre anni di indagini sul caso. Come sospettavo il
tutto potrebbe avere a che fare con qualcosa di
sovrannaturale.”.
Aprii
una valigetta mostrando vari CD di documentazione.
“Il
28 ottobre 2004, L informò la polizia di aver identificato
Kira e
ordinò di non avvicinarsi a una Porsche rossa. Quaranta
minuti dopo
l'uomo che era a bordo di quell'auto, Kyosuke Higuchi, fu circondato
dalle volanti della polizia e arrestato. Higuchi morì sul
posto, ma
è chiaro che aveva il potere di uccidere le persone.
Casualmente, un
poliziotto che si trovava vicino a Higuchi al momento dell'arresto,
lo sentì parlare di un quaderno della morte, sul quale
bisogna
scrivere il nome della persona di cui si conosce il volto per
ucciderla. Qualcosa di simile a un quaderno fu trasportato dalla
macchina di Higuchi a un elicottero che volò via qualche
minuto
dopo.”.
Maison
mi guardava esterrefatto.
“Quindi
mi procuri modo di parlare con il Presidente e se non mi crede ha a
disposizione la mia documentazione.” dissi alzandomi e
uscendo
dalla stanza lasciando la valigetta lì.
Non
mi andava troppo di perdermi in discorsi inutili.
Quello
che dovevo fare lo avevo fatto dopotutto.
Ero
decisamente in ritardo.
Quando
giunsi alla villetta del terzo omicidio salutai Naomi senza troppo
entusiasmo: “Scusa il ritardo, Misora.”
“Non importa, mi sono
permessa di iniziare senza di te.” disse lei con una punta di
tagliente sarcasmo.
“Davvero?”
chiesi mettendomi a carponi e avvicinandomi a lei.
Naomi
aveva di sicuro parlato con L dopo essere uscita dall'appartamento di
Quarter Queen.
Era
tornata da me dicendomi che il quarto omicidio sarebbe avvenuto il 22
agosto e non il 17, ma non mi aveva saputo spiegare il
perché
dicendo che non le andava di dirmelo.
Quando
una persona ha questo tipo di reazione, dopotutto, può
essere solo
perché l'idea non è stata sua, ma le è
stata trasmessa da qualche
altra persona.
“Hai
già esaminato la stanza da bagno, Misora?” chiesi
sempre con
noncuranza. Di sicuro l'aveva già ispezionata, dopotutto era
uno dei
punti migliori della mia opera...
“Sì,
ovvio. Tu?” “Ho dato un'occhiata prima di salire.
La vasca è
ormai inutilizzabile: dipinta in quel modo, potrebbe farci un bagno
solo Elizabeth Bàthory.” dissi con un po' di
ironia. “Pulire
ogni impronta, ma lasciare il sangue della vittima. Ha fatto
così
anche nel secondo omicidio. È un caso di nevrosi da manuale.
Come se
all'assassino non importasse nulla all'infuori di sé
stesso.”.
…
Mi
stava dando dell'egocentrico?
Beh,
poco importava in quel momento cosa pensasse Naomi di me.
“Sì,
proprio così.” dissi con indifferenza continuando
a gattonare.
“Non credo ci sia nulla lì, ho già
frugato in ogni angolo.” mi
disse lei con tono di voce stanco. “Ehi, certo che sei
proprio
pessimista, Misora!” “Non sono... senti, credo che
dovremmo
focalizzarci sul cadavere mutilato. Il braccio sinistro e la gamba
destra amputati... sono la differenza più grande, rispetto
alle
altre due vittime.”.
Contrariamente
alle altre volte pareva proprio che Naomi avesse voglia di correre.
“Ne
avevamo già parlato, no? Qualcosa che dovrebbe esserci ma
non c'è.
Quindi, quello su cui dobbiamo riflettere è il
perché abbia
lasciato la gamba destra nel bagno e portato via il braccio sinistro.
Un braccio intero. Non è come portare via due volumi di
Akazukin
Chacha!. Eppure lo ha fatto...” “Il braccio non
è ancora stato
ritrovato... I resti di un cadavere non sono cosa semplice da
gestire. Se l'assassino l'ha portato con sé ci dev'essere
senza
dubbio un motivo preciso. Non sappiamo se si tratti di un messaggio,
ma... anche se non lo fosse, forse quel braccio rappresenta una prova
scomoda per l'assassino.” mi interruppe lei.
Sì.
Aveva decisamente fretta.
“Sì,
può darsi. Sarebbe piuttosto logico. Però, se
pensiamo che gli
occhi danneggiati della seconda vittima significavano “punto
cieco”
e “occhiali”, forse anche l'avere portato via il
braccio sinistro
ha un significato... ma in tal caso non mi convincerebbe la faccenda
della gamba destra. È come se avesse fatto le cose a
metà, con la
gamba. Come hai detto tu, Misora, gestire pezzi di un cadavere non
è
facile, ma non lo è nemmeno mutilarlo. Deve averci messo
tempo. Non
trovi che sia troppo pericoloso fare una cosa del genere in una
villetta a schiera? I vicini potrebbero accorgersene in qualunque
momento.” dissi leggermente infastidito.
Era
ovvio che il tutto fosse un messaggio.
“Un
braccio e una gamba asportati completamente... Il cadavere giaceva
più o meno in questo punto, no?” chiese Naomi
posizionandosi
vicino a una macchia di sangue.
Rimase
qualche secondo in silenzio.
“Dunque...
le foto, le foto!” esclamò prendendo
frettolosamente la sua
documentazione dalla tasca.
La
fissavo incuriosito. Raramente quella donna aveva un simile
entusiasmo.
Osservò
le immagini della vittima attentamente, stringendo gli occhi per
individuare precisamente il punto dove si era trovata dopo essere
stata uccisa.
“In
teoria era qui, con il braccio destro e la gamba sinistra ben stesi e
allargati a stella... beh, una stella senza due punte.
Uhm...”
cominciò a riflettere ad alta voce.
Ghignai
solo per un secondo.
Sì,
ci era quasi.
E
per questo avevo deciso che dovevo farla concentrare su altro, giusto
per divertirmi ancora un po'.
“Secondo
il tuo ragionamento, Misora, c'è ancora tempo prima del
quarto
omicidio, quindi procediamo con calma... A proposito, posso
chiedertelo di nuovo? Perché credi che sarà il 22
agosto?” “Beh,
veramente...”.
Si
girò verso di me con l'aria di chi non sa minimamente cosa
dire.
“Il
motivo è talmente ingenuo che quasi non varrebbe la pena
parlarne.
Il terzo omicidio è avvenuto il 13 agosto.
Giusto?” “Sì, non
c'è bisogno di controllare.” “Nel primo
omicidio, avevamo a che
fare con i numeri romani, ma in questo caso parliamo di numeri arabi.
Tredici... 13. Scrivendo 1 e 3 l'uno accanto all'altro, sembra una B,
non trovi?” “Sì. Ora che ci penso, mi
è capitato di sentirlo in
un quiz per bambini. Chiedevano “quanto fa 1+3?” e
la risposta
era “B”.” “Esatto.
B.”.
Naomi
finalmente si stava avvicinando alla soluzione anche da questo punto.
Meglio
del previsto, ma di sicuro era partita dalla risposta e adesso stava
arrancando per cercare di risalire indietro al ragionamento fatto da
L per darle la soluzione.
Di
sicuro non l'aveva pensato lei.
“Vuoi
dire BB? Però, Misora, anche se vale per il terzo omicidio
avvenuto
il 13 agosto, come spieghi le altre date? Il cruciverba è
arrivato
alla polizia il 22 luglio, la prima morte è avvenuta il 31
luglio,
la seconda il 4 agosto e hai previsto la quarta per il 22 agosto. Non
mi sembra ci sia alcun legame con la B.” “A prima
vista può
sembrare così, ma basta seguire uno schema diverso. Il
più
intuitivo è il primo omicidio, il 31 luglio. 3 e 1. Basta
invertire
le decine con le unità per ottenere 13.”
“Ok, con il 31
funziona. Ha una sua logica. Però, Misora, che mi dici del 4
e del
22?” “È la stessa cosa. Pensa al quiz
per bambini che hai citato
prima: la domanda era “1+3”. Normalmente, la
soluzione sarebbe
“4”, proprio come il 4 agosto. Per quanto riguarda
il 22 agosto,
abbiamo 2 decine e 2 unità. Se togliamo 1 dalle decine e lo
spostiamo alle unità, otteniamo 13. In altre parole, tutte
le date
in cui l'assassino ha agito finora, il 22, il 31, il 4, danno 4 come
somma della cifra delle decine e quella delle unità. Per
ogni mese,
le uniche date che hanno questa caratteristica comune sono il 4, il
13, il 22 e il 31... Soltanto quattro giorni. E finora qualcosa
è
successo in ognuno di quei giorni... Anche la quantità
iniziale di
wara ningyo era 4. 1+3 fa 4... Forse è solo un caso, ma
volendo
possiamo anche aggiungere che, sommando 4 e 9, gli intervalli di
tempo fra gli omicidi, il risultato è sempre 13. Ovvero,
B.”.
Alla
fine, con l'aiuto di L, ce l'aveva fatta.
“Hai
ragione. Non male. Credo che equiparare 13 e B sia una buona
idea.”
le dissi. Lei sorrise soddisfatta.
“Vero?
Per questo penso sia giusto supporre che il quarto omicidio
avverrà
il 22, nove giorni dopo il 13. Nove, quattro, nove... Avrebbe potuto
essere quattro giorni dopo, il 17. In quel caso, si potrebbe ottenere
due volte 13 sommando a coppie gli intervalli di tempo, ma ritengo
più probabile che accada qualcosa il 22, come il mese
scorso. Per
quanto ci si sforzi, è impossibile associare il numero 17
alla B.
Non resta che pensare che il quarto omicidio sarà il
22.”.
Naomi
stava cominciando ad esagerare. Il ragionamento numerico era
corretto, ma si comportava come se avesse avuto in mano tutta la
soluzione del caso.
Era
proprio quella la categoria umana che più mi dava fastidio.
Quella
che non sa di non sapere.
“Soltanto
una cosa. Trovo sia una forzatura pensare che da 22 si possa ottenere
13 trasferendo un 1 dal posto delle decine a quello delle
unità.
Forse fa comodo a te e alla tua teoria, ma non vedo alcun motivo per
spostare un 1. È diverso dall'invertire 3 e 1 nel giorno 31.
Hai
tirato fuori questa spiegazione a posteriori, per avvalorare la tua
conclusione.” “Ma... Ryuzaki...”
“Non fraintendermi, in linea
di massima trovo corretto il tuo ragionamento. È solo quel
punto che
non mi convince.” “Ma allora...”.
L'avevo
messa in difficoltà, negando la parte del 22 l'omicidio
sarebbe
potuto anche avvenire il 17.
“No,
io ho un'alternativa per quella parte. Misora, hai detto che sei
cresciuta in Giappone, vero? Se è così, dovresti
essere più
abituata di me agli ideogrammi dei numeri...” “Gli
ideogrammi dei
numeri?” “Prova a pensare a come si scrive 22 in
ideogrammi.”.
Naomi
strinse gli occhi.
Il
numero 22 in Giapponese si scrive 二十二.
“Allora?”
“Allora niente.”.
Prevedibile.
“Davvero?
Ti darò un altro piccolo suggerimento, Misora. Prova a
immaginare
che l'ideogramma centrale sia un “+”, un segno
più. Diventa 二+二,
ovvero 2+2. Se li sommi risulta 4, giusto? E la tua idea di
interpretare il 4 come 1+3 è perfetta. In fondo, per far
corrispondere 1+3 a B, dobbiamo mettere insieme 1 e 3, in altre
parole, sommando 1 e 3 si forma B. Per questo 22 va interpretato come 二十二.
Basta che ci sia un buon motivo per sommare i numeri insieme. Date
queste premesse, è corretto dedurre che il quarto omicidio
avverrà
il 22 agosto. Prima mi ero fatto sopraffare dal tuo impeto e ho fatto
un po' di confusione, ma ora ho le idee chiare come se mi fossi
scolato un barattolo di melassa!”.
Le
avevo dato la soluzione, ma proprio per questo dovevo confonderle le
idee ancora di più.
E
poi non le avevo detto la cosa più importante.
Il
numero 4 in Giapponese si legge “shi” e questa
parola significa
“morte”.
“Però,
Misora... ancora una cosa soltanto. Il tuo ragionamento si basa sulla
premessa che l'assassino scelga le sue vittime in base all'anello
mancante, le iniziali BB. In altre parole, parti dal presupposto che
l'assassino sia fissato con la lettera B. Ma come abbiamo
già detto
in precedenza, c'è la possibilità che l'anello
mancante non siano
le iniziali BB, bensì QQ.”
“Sì, è vero...” “Se
non fosse
B, ma Q, il tuo ragionamento farebbe acqua. Il che significa che
l'hai formulato basandoti su cavilli logici. E su una semplice
casualità.”.
Naomi
sgranò gli occhi.
“Casualità?
Guarda che stiamo parlando di 13 e B! È evidente! C'era
forse
qualche corrispondenza simile riguardo alla Q?”
esclamò piuttosto
irritata. “Sì, sono d'accordo. A questo punto non
si più può
parlare di casualità. Però la tua è
chiaramente una congettura
fatta a posteriori. Quello che vorrei sapere da te è
perché hai
portato avanti il tuo ragionamento scegliendo come presupposto la B e
non la Q.” le dissi fissandola.
Di
sicuro non mi avrebbe confessato che la teoria era di L.
“Evidentemente,
dato che al momento abbiamo tre vittime e due B contro una sola
contro una sola Q, come dire... la B mi è rimasta
più impressa. È
ovvio, in seguito, ho provato anche a riflettere sulla Q, ma non sono
riuscita a trovare nessuna corrispondenza...”.
Parole
forzate, superficiali e prive di fondamento.
Rimase
in silenzio. Sembrava piuttosto smarrita.
“L'assassino
è B...” mormorò all'improvviso.
Una
sola frase peggiore di una scossa elettrica.
“Come?”
“No, intendevo dire che finora ha insistito sulla B. Se
questa sua
insistenza nascondesse un messaggio, magari anche le sue iniziali
potrebbero essere BB.”.
Che
L le avesse detto anche chi fosse il maggior indiziato? A questo
punto era l'unica cosa possibile, dato che di sicuro Naomi non
sarebbe mai potuta arrivare a dire una cosa del genere da sola.
Mi
tranquillizzai.
In
ogni caso non sarebbe arrivata a nulla, né lei né
L.
L
aveva potuto solo sentire parlare del misterioso Rue Ryuzaki.
Lei
non ne era semplicemente in grado.
“Oppure
QQ. Effettivamente hai ragione nel dire che gli elementi che
riconducono a B sono più numerosi, ma forse è
solo perché siamo
noi incapaci di trovare delle corrispondenze con Q.”
“Sì, è
vero, ma...” “Comunque, anch'io credo sia B e non
Q. Al 99%. È
abbastanza plausibile anche che l'assassino si chiami B. Vittime di
nome BB per un assassino chiamato BB... la cosa si fa
interessante.”
“Interessante?” “Sì. Comunque,
d'ora in poi fai attenzione,
Misora. Se vuoi affermare qualcosa, devi avere le basi per farlo e se
vuoi smentire qualcosa, devi averne anche in questo. Per quanto
corretta, una deduzione fondata su presupposti sbagliati non basta a
sconfiggere un criminale.”
“Sconfiggerlo?
Ryuzaki, è tutta questione di vincere o perdere?”
“Sì.
È questione di vincere o perdere.”
Perché
quella era una gara.
_____________________________________
Authoress'
words
Come mio
consueto sono in ritardo! Ahahahah! *risata isterica*
Come al
solito non voglio morire, quiiiindi non mi uccidete! ^-^" Bon, andando
avanti vi dico un paio di cosette che forse non sapete. Partiamo da
Elizabeth Bàthory. Il suo vero nome è
Erzsébet Bàthory ed è la
più grande serial killer della storia. Era una contessa il
cui personaggio si perde nella leggenda perché fu una di
quelle persone che definirei sadiche, dato che torturava e uccideva le
sue serve.
Seconda
curiosità di Any: la numerazione Giapponese! Avete trovato
scritto questi simboli: 二十二. Questi
si leggono "nijuuni" e la sillaba con la vocale lunga "juu" va
accentata. In Giapponese i numeri superiori composti da decina e
unità non seguono il nostro tipo di numerazione
(decina-unità), ma vanno in questo modo:
unità-dieci-unità. Insomma, per fare un esempio
noi scriviamo 22, loro scrivono 2-10-2. xD
Ma che senso aveva
dirvelo non lo so.
Sì, sto impazzendo
come Beyond. Aiutatemiiiii! >.<
Any
|
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Capitolo 30 *** Theme 47. Ikari ***
Questa storia è
stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Improvvisamente
squillò un telefono.
Guardai,
infastidito dall'interruzione, uno dei miei collaboratori, che
rispose con espressione perplessa.
In
quel luogo, all'SPK, tutti dipendevano da me. Era una sensazione
lievemente fastidiosa, che scacciavo con alcuni miei giochi. Proprio
in quel momento tenevo tra le mani una freccetta, pronto a colpire il
bersaglio.
“È
L... quello nuovo.” mi disse il collaboratore di fretta,
coprendo
il ricevitore. Immediatamente il comandante Rester provvide a
collegare un apparecchio per intercettare la chiamata e poterla
sentire. Una voce maschile cominciò a parlare leggermente
distorta.
“Buongiorno.
Il direttore generale Yagami mi ha riferito quanto detto da John
Matckenraw... o forse dovrei dire Larry Corners.”.
Finalmente
sentivo la voce dell'uomo che aveva osato prendere il posto di L.
Non
era minimamente all'altezza.
Aveva
un modo di parlare arrogante, lasciava intendere un chiaro senso di
superiorità decisamente fastidioso.
“Posso
chiedere il vostro appoggio per quanto riguarda il caso dell'omicidio
del Capo della Polizia Takimura?” chiese poi.
Il
mio collaboratore evidentemente non sapeva che rispondere, mi
guardò
come per chiedere aiuto.
“Me
lo passi.” dissi semplicemente.
Premetti
qualche tasto sull'apparecchio per l'intercettazione e poi risposi.
“Piacere
di conoscerti, secondo L.”.
Secco.
Senza giri di parole.
La
persona dall'altro capo del telefono rimase in silenzio qualche
secondo per poi rispondere: “Secondo L? Che storia
è questa? Con
chi sto parlando?”. Aveva perso la calma troppo facilmente.
No,
non era decisamente all'altezza.
“Inutile
nasconderlo. Noi siamo l'SPK, un nuovo organo fondato allo scopo di
catturare Kira. Tutti i sette membri del nostro direttivo sono a
conoscenza della morte di L. Io sono il cuore dell'SPK... Il mio nome
è... vediamo... N.”.
Non
sentii alcuna risposta. Senza curarmene troppo continuai:
“Stando a
quanto ti ho detto, non possiamo più contare su di L. In
America, la
CIA e l'FBI danno ormai la priorità alle mie direttive
invece che
alle sue. Tuttavia, poiché l'omicidio del Capo della Polizia
Giapponese rappresenta un crimine imperdonabile e poiché io
credo
che questo caso possa condurci ad arrestare Kira, intendo darvi il
nostro pieno appoggio.”.
Aspettai,
ma di nuovo non sentii nulla.
Avevo
messo ben in chiaro come stava la situazione.
Il
secondo L non aveva lo stesso potere del primo e dopotutto non
meritava di averlo.
“Qualcosa
non va, L?” chiesi dopo qualche secondo di silenzio.
“No...
no... La verità è che, dopo la morte del Capo
della Polizia, è
stata rapita la figlia del Direttore Generale Yagami. A quanto pare,
il rapitore è lo stesso e ci ha indicato Los Angeles come
luogo di
scambio.” “Lo scambio? Immagino che ti riferisca al
quaderno,
vero?” “Esatto...”
“D'accordo... radunerò più uomini
possibile a Los Angeles, senza specificare loro i dettagli relativi a
questo caso. Inoltre terrò d'occhio tutta la
città con il
satellite. Lascio a te il pieno comando dell'operazione, L.”.
Lanciai
una freccetta.
Era
fastidioso chiamare in quel modo una persona che non meritava di
portarlo.
Mancai
il bersaglio.
“Near,
sei sicuro che sia una buona idea lasciare il comando a questo falso
L? Dopotutto, non è stato in grado di dare la caccia a
Kira...”
cominciò Rester. “Meglio così, no? Ci
sarà più facile servirci
di lui.” risposi freddamente. “Certamente, le vite
umane hanno la
priorità, ma non dimentichi che i veri obiettivi dell'SPK
sono
prendere il quaderno e catturare Kira.”.
Lanciai
l'ennesima freccetta, ma mancai di nuovo il bersaglio. Si
schiantò
contro il suo obiettivo, finendo tra le altre, immobili sul
pavimento.
“E
poi, a dire la verità, per me è ancora meglio se
il quaderno passa
dalle mani della polizia a qualcun altro...” soprattutto
perché
sapevo perfettamente chi fosse il “qualcun altro”
in questione.
Per
Mello il metodo del rapimento era il migliore. Non implicava troppo
spreco di tempo e permetteva quasi immediatamente un contatto diretto
con la persona o la cosa interessata.
Era
tipico di lui.
“Che
ne diresti di una pausa?” mi chiese all'improvviso Naomi.
Probabilmente era già stanca.
“Sì,
ottima idea. Vado a preparare un caffè allora.”
dissi cominciando
ad avviarmi, quando mi fermò. “No, preferirei
farlo io.”. Senza
neanche lasciarmi il tempo di rispondere, scese al piano terra verso
la cucina.
Quel
luogo sembrava tranquillo e rilassato.
Quel
luogo dove era avvenuto un omicidio completo di mutilazione del corpo
del cadavere.
Eppure
sia per Ryuzaki che per Naomi oramai sembrava tutto perfettamente
naturale.
Per
Ryuzaki e per Naomi.
Solo
per Beyond non lo era.
Con
noncuranza mi avviai verso il centro della stanza, esattamente dove
Backyard Bottomslash era morta. Osservai quel punto qualche secondo,
poi mi piegai e mi stesi lì, nella posizione in cui l'avevo
lasciata.
Naomi
entrò nella stanza dopo un po' con un vassoio tra le mani.
“Ryuzaki...
c'è qualche novità?” chiese ancora
prima di vedermi.
Quando
mi vide, ripeté inutilmente:
“Novità?”.
Rimasi
in silenzio fissando il vuoto.
“Ehm...
Ryuzaki?” “Sono un cadavere.”
“Eh?” “Adesso sono un
cadavere. Non posso rispondere. Sono morto.” spiegai come se
fosse
stata la cosa più ovvia del mondo.
Rimasi
un attimo perplesso.
Il
personaggio di Beyond era sempre più assurdo.
Naomi
mi fissava probabilmente chiedendosi come reagire. Poi si
concentrò
sul foro sulla parete esattamente di fronte a lei.
Frettolosamente
si diresse verso il tavolo, ma per qualche errore di calcolo, quando
stava per scavalcarmi con un piccolo balzo, finì solo per
cadermi
addosso. Sullo stomaco.
Mi
sfuggì un piccolo lamento.
Almeno
riuscì a non rovesciare anche il caffè.
“Scu-scusa...”
balbettò.
Si
alzò rapidamente e posò il vassoio sul tavolo
imbarazzata, poi
afferrò la documentazione.
“Che
succede, Misora?” chiesi avvicinandomi a carponi.
“Stavo
riesaminando gli schemi delle scene del delitto. In ognuno... ho
notato una cosa. Si tratta della collocazione delle wara
ningyo.”
“La collocazione delle wara ningyo? Ovvero?” chiesi
interessato.
“Quando
abbiamo ispezionato le varie scene del crimine, le bambole erano
già
state rimosse dalla polizia, perciò finora non me ne ero
accorta. Ma
ho notato che c'è un criterio nel modo in cui l'assassino ha
posizionato le bambole. Ha fatto in modo che, entrando in questa e
nelle altre stanze, la prima cosa che si vedesse fosse una wara
ningyo. C'è una bambola nella parete di fronte alla porta:
è stata
sistemata in modo da essere la prima cosa che salta agli occhi
entrando nella stanza.”.
In
effetti ogni bambola era esattamente di fronte alla porta, ma il
motivo di quella posizione non era quello appena descritto da Naomi.
Dopotutto
senza la prima bambola in quella posizione, sarebbe stato impossibile
ottenere le porte chiuse.
Naomi
aveva una certa tendenza ad agganciarsi a cose poco importanti. Il
suo obiettivo era arrestare l'assassino in tempo, concentrarsi troppo
su queste cose avrebbe fatto perdere tempo prezioso.
“Sì,
effettivamente è così. Vale sicuramente per
questa stanza e, ora
che mi ci fai pensare, ricordo che anche nel luogo del primo e del
secondo omicidio, quando si apriva la porta, di fronte c'era il segno
lasciato dalla wara ningyo... Ma questo cosa vorrebbe dire,
Misora?”.
Dovevo
assicurarmi che lei non avrebbe capito il perché di quella
posizione
della bambola.
Ne
valeva del gran finale.
“Dunque...
forse c'è qualche attinenza con le stanze chiuse a chiave
dall'interno.”.
Non
provai alcuna forma di paura a quella frase, nonostante fosse
pericolosa.
Mi
sentivo calmo, come se non l'avesse detto.
Non
c'era bisogno di preoccuparsi. Dopotutto Beyond era maestro dell'arte
del persuadere.
Prima
di poter permettermi di fare passi falsi, dovevo capire cosa volesse
dire di preciso.
“Cosa
intendi?” “In tutti e tre gli omicidi, le persone
che hanno
scoperto per prime i cadaveri hanno aperto la porta e sono entrate,
no? Usando una copia della chiave o forzando la porta. Sono
entrate... e all'improvviso hanno visto una di quelle bambole
inquietanti. Le wara ningyo sono la prima cosa che si sono trovate
davanti agli occhi. Hanno per forza attirato la loro attenzione.
Magari l'assassino era nascosto nella stanza e ha approfittato di
quell'attimo di distrazione per fuggire...”.
Questo
non sarebbe stato possibile.
Nessun
assassino correrebbe il rischio di farsi prendere confidando
nell'attimo di stupore causato dalla visione di una bambola.
Ma
soprattutto, la cosa che più attira l'attenzione
è il cadavere.
“È
un classico degli enigmi della camera chiusa nei romanzi gialli,
quasi come il trucchetto dell'ago e del filo. Però, Misora,
pensaci
bene. Se fosse solo per distogliere l'attenzione, le bambole non
servirebbero.” “Perché?”
“Perché se non ci fossero state le
bambole, la prima cosa che avrebbero visto sarebbe stato il cadavere.
Come quando tu, prima, hai visto me che fingevo di essere morto e ti
sei bloccata. Quindi, all'assassino sarebbe bastato dell'attimo di
stupore di chi avrebbe scoperto il cadavere.”.
Dopotutto,
mio caro lettore, potrebbe esserci qualcosa di più ovvio?
Quando
un essere umano vede un suo simile privo di vita, non è
più capace
di mantenere la calma.
Va
in panico, a volte ha paura per sé stesso.
E
se poi conosceva la vittima di persona, comincia anche a farsi
prendere dal pianto.
Gli
occhi bagnati dalle lacrime non vedono bene, la loro visuale
è
limitata.
Riescono
a percepire solo le cose più dolorose e null'altro.
La
speranza e il futuro non esistono più per quegli occhi.
Cosa
ci sarebbe di più facile dell'approfittarsi di una simile
debolezza
umana, mio caro lettore?
Solo
con una buona dose di indifferenza ed egoismo ci si potrebbe
riuscire.
Qualità
che non si poteva dire mancassero all'assassino di quel caso.
“Sì...
è vero. Hai ragione... Quindi non voleva che vedessero il
cadavere
come prima cosa? Però non mi viene in mente nessun motivo
plausibile...” “Neanche a me.” tagliai
corto.
“Anche
se avesse voluto distogliere l'attenzione dal cadavere, ritardarne la
scoperta di uno o due secondi... non avrebbe molto senso. Ma allora
perché mettere le wara ningyo in quella posizione? Forse
è stato
solo un caso.”.
Forse
è stato solo un caso.
Una
spiegazione che in realtà è una resa.
“No,
probabilmente l'ha fatto apposta. Non possiamo definirlo un caso, ma
personalmente trovo che non valga la pena affrontare il problema in
questo modo. Come ho detto, quello che vorrei fare, anzi, quello che
dovremmo fare, è dare la priorità a cercare i
messaggi lasciati
dall'assassino, non alle wara ningyo o alle stanze chiuse.”
“Sì,
ma... No, va bene. Facciamo così. Scusa, ho sprecato del
tempo
prezioso.”.
Ero
riuscito a distoglierla da quell'argomento così delicato.
Dopotutto
avevo mantenuto la calma.
Tutto
come previsto.
“Dovresti
scusarti per avermi calpestato, piuttosto.” “Ah,
sì. Giusto.”.
Raramente
è possibile convincere un essere umano a fare qualcosa che
richiesto
da te, vero, mio caro lettore? Due sono le possibile vie in questo
caso.
La
prima, manipolare la persona facendo in modo che non si renda conto
di agire proprio come tu vuoi.
La
seconda, sfruttare i suoi sensi di colpa.
Tra
le due vie ho sempre preferito la prima, ma Ryuzaki avrebbe scelto la
seconda.
“Ti
dispiace davvero? Allora posso chiederti un piccolo favore per farti
perdonare?” “Sì. Di che si
tratta?” rispose con poca
convinzione. “Potresti fingere di essere il cadavere come
stavo
facendo io prima? Backyard Bottomslash era una donna, quindi rispetto
a me potresti essere una fonte di ispirazione migliore.”
chiesi con
una logica che solo al mio personaggio poteva appartenere.
Naomi
non rispose, semplicemente si posizionò dove le avevo
richiesto
nella mia stessa posizione.
“Allora?
Qualche idea?” mi chiese lei. Io la osservai per bene col
dito
indice poggiato sulle labbra, reclinai leggermente il capo verso
destra per poi affermare: “No, niente.”. Lei
assunse
un'espressione decisamente infastidita: “No? Beh, lo
immaginavo.”.
Improvvisamente
mi avvicinai al caffè lasciato sul tavolino nella stanza.
“Dove
vai?” “Lo prendo prima che si raffreddi.”
risposi con
noncuranza.
Mi
sedetti, presi la mia tazza e cominciai a sorseggiare.
Non
era molto dolce, ma non mi lamentai.
“Mmmh...
Il caffè caldo è un sollievo per la mia pancia
dolorante.”
ribadii. Naomi mi fissò infastidita.
“Ryuzaki...
anche questa vittima, come la prima, è stata spogliata,
mutilata e
rivestita, giusto?” “Sì,
perché?” “Beh, capisco che sia
più
semplice mutilare un corpo nudo. I vestiti sono piuttosto resistenti
e potrebbero far impigliare la lama con cui si sta tagliando. Ma
perché rivestire la vittima, alla fine? Non poteva lasciarla
nuda?
Per il primo omicidio aveva senso, perché la maglia
nascondeva le
ferite che formavano i numeri romani. Ma in questo caso... dev'essere
stata una gran fatica. Non è facile vestire un cadavere... o
comunque qualcuno che non si muove.”.
Aveva
imboccato il sentiero giusto da sola.
“Misora,
la gamba lasciata nel bagno aveva ancora scarpa e calza,
vero?”
“Sì, stando alla foto.”
“Quindi, forse, lo scopo
dell'assassino... o meglio, il suo messaggio, non ha niente a che
vedere con vestiti e scarpe, ma solo con la mutilazione del cadavere.
Per questo tutto il resto è stato risistemato
così com'era prima.”
“Ma allora... il braccio sinistro e la gamba destra?
Perché ha
lasciato la gamba nel bagno e portato con sé il braccio? Che
differenza c'è tra i due? Un braccio e una
gamba...”.
Naomi
continuava a fissare il soffitto, così feci lo stesso
rosicchiandomi
l'unghia del pollice.
“Tempo
fa mi sono occupato di un caso che forse potrebbe servirci come
esempio. Posso parlartene?” chiesi.
“Certo.” “Un caso di
omicidio. La vittima era stata uccisa con una coltellata al petto, ma
l'assassino le aveva anche tagliato l'anulare sinistro e se l'era
portato via. Mutilazione di cadavere. Perché pensi l'abbia
fatto?”
“L'anulare sinistro. È facile. La vittima era
sposata, vero? Di
sicuro l'assassino le ha tagliato il dito per portarsi via la fede
nuziale. Capita che gli anelli, con il passare del tempo, rimangano
incastrati e non si riesca più a sfilarli.”
“Giusto. La vittima
era stata uccisa per denaro. In seguito, siamo riusciti a ritrovare
l'anello in vendita sul mercato nero. Da lì siamo risaliti
all'assassino e l'abbiamo arrestato.”.
La
storia era convincente, ma non era quello che Naomi doveva trovare.
Era
un depistaggio.
Beyond
amava prendersi gioco della sua vittima. Ma la vittima non era una
persona che aveva ucciso.
La
vittima era Naomi Misora.
E
così decideva lui quando lei dovesse capire qualcosa e
quando no.
“Sì,
Ryuzaki... è una storia interessante, ma dubito che qualcuno
si
porti tutto il braccio per rubare un anello. E Backyard Bottomslash
non era sposata. Secondo le informazioni della polizia, al momento
non frequentava nemmeno qualcuno.” “Esistono altri
anelli, oltre
alla fede nuziale.” “Ma non occorre portarsi via
tutto il
braccio.” “Sì, è vero.
Infatti l'avevo detto che questa storia
forse
poteva servirci
come esempio. Se non ci serve, allora sono spiacente.”.
Aveva
aggirato facilmente l'ostacolo.
Quasi
più facilmente del previsto, ma già avevo
immaginato che non le ci
sarebbe voluto molto.
“Non
occorre che ti scusi... ma non credo che c'entri un anello...
giusto?” chiese.
Non
risposi.
La
osservai mentre allungava il braccio sinistro verso l'alto. Una volta
teso, allargò le dita.
Anche
lei aveva un anello.
Le
scese la manica della giacca.
Un
dettaglio mi colpì particolarmente.
Il
suo orologio.
“Ryuzaki...
Backyard Bottomslash era destra o mancina?” mi chiese.
“Stando
alla tua documentazione era destra. Perché me lo
chiedi?” “Se
era destra... forse portava un orologio al braccio sinistro. Forse
l'assassino voleva portare via l'orologio.”.
Indovinato,
Naomi.
Stavi
decisamente per superare anche la terza prova.
“Vuoi
dire che le ha amputato un braccio per rubare un orologio? Ma
perché
l'avrebbe fatto, Misora? Tu stessa hai detto che nessuno si
porterebbe via tutto il braccio per rubare un anello. La stessa cosa
dovrebbe valere anche per un orologio, non credi? Se l'obiettivo
fosse stato l'orologio, gli sarebbe bastato portare via soltanto
quello. Un orologio non è come un anello. Non rimane
incastrato. Non
c'è alcun bisogno di tagliare il braccio.”
“No, non credo che
l'obiettivo fosse l'orologio in sé. Ma potrebbe essere il
messaggio.
Togliere l'orologio e basta sarebbe stato troppo evidente,
perciò ha
preso l'intero braccio...” “Un depistaggio, quindi?
Capisco...
Però, se è così, il motivo per cui ha
amputato la gamba destra
diventa ancora più incomprensibile. Dubito ci fosse un
orologio
anche lì. E se voleva confondere le tracce, non occorreva
l'intero
braccio. Il polso era sufficiente.”.
Naomi
era quasi giunta alla verità, eppure si era fermata pochi
passi
prima.
Stava
per prendere un'altra strada.
“Braccio
sinistro... Gamba destra... Polso sinistro... Caviglia destra... Mano
sinistra... Piede destro... Orologio, orologio, orologio, orologio...
Due mani e due piedi, due braccia e due gambe... E se fossero le
parti rimaste a significare qualcosa? Non il braccio sinistro e la
gamba destra, ma il braccio destro e la gamba sinistra... Le quattro
estremità.” mormorò.
“Cinque,
con la testa.” dissi indicandole la via.
“Cinque...
Cinque meno due, fa tre... 3. Il terzo omicidio... Mani, piedi... e
la testa, cinque in tutto... La testa? Il collo... Il collo, un
braccio e una gamba...” continuava a dire tra sé e
sé. Sembrava
stesse facendo uno di quei giochi dove bisogna collegare una parola
all'altra e formare una sequenza per tornare alla parola originaria.
“Se
cinque meno due fa tre, poteva amputare le braccia e lasciare le
gambe, oppure amputare il braccio sinistro e la testa... Se doveva
essere per forza il braccio sinistro, allora perché la gamba
destra?”.
Così
non sarebbe arrivata da nessuna parte.
“Sono
rimasti la testa, un braccio e una gamba. Tutti con una lunghezza
diversa, no?” chiesi.
Rimase
perplessa a fissarmi.
“L'ago...
o la lancetta?” mi chiese.
“Che
vuoi dire?” “La lancetta...”
ripeté.
Era
arrivata a destinazione, mio caro lettore.
“L'orologio!
Le lancette dell'orologio, Ryuzaki!” “Come?
L'orologio? Le
lancette dell'orologio, dici?” “La lancetta delle
ore, quella dei
minuti e quella dei secondi: sono tre! E ognuna delle lancette ha una
lunghezza diversa!” disse spingendo il braccio per terra per
rialzarsi.
Mi
venne vicino, mi rubò la tazza di caffè e la
bevve in un sol sorso,
sbattendola poi sul tavolo.
“Dalla
prima scena del crimine ha portato via Akazukin Chacha! per farci
notare Carenza di svago! Dalla seconda, ha portato via le lenti a
contatto per farci notare gli occhiali! E da questa ha portato via
l'orologio... e ha trasformato la vittima in un orologio!”
esclamò
con troppa foga.
“Ha
trasformato la vittima... in un orologio?” dissi simulando
perplessità. “Per orologio intendi...”
“La testa è la
lancetta delle ore, il braccio quella dei minuti e la gamba quella
dei secondi! Per questo l'assassino non si è limitato a
portare con
sé l'orologio o ad amputare la mano all'altezza del polso,
ma ha
dovuto asportare tutto il braccio e una delle gambe. Altrimenti il
corpo non avrebbe formato le tre lancette dell'orologio!”
disse
senza prendere un solo respiro. Si calmò, inspirò
profondamente,
poi mi strappò le foto della documentazione.
“Guarda
questa foto, Ryuzaki. Vedi? La testa sono le ore, il braccio destro i
minuti e la gamba sinistra i secondi: indica le ore 12:45 e venti
secondi.” “Uhm... Se la metti così, in
effetti...” “Non sono
io che la metto così! Questo è senza dubbio il
messaggio
dell'assassino. Ha lasciato la gamba in bagno per sottolineare che
aveva portato con sé l'orologio.”.
Quasi
corretto, Naomi. Ma mancava ancora qualcosa.
Presi
in mano la fotografia e cominciai a studiarla, ruotandola o ruotando
io stesso la testa.
“Se
anche la tua deduzione fosse corretta... non è detto che
l'orologio
rappresentato dalla vittima indichi le 12:45 e venti secondi.
Rovesciandola diventano le 6:15 e cinquanta secondi. Oppure se la
giriamo così...” dissi girandola di 90°.
“Le 3:00 e
trentacinque secondi. Ruotandola ancora di 180°, diventano le
9:30 e
cinque secondi. Se la vittima rappresenta le lancette, questa stanza
è il quadrante. Per questo il cadavere giaceva supino al
centro
della stanza. Quindi, dal momento che il tronco del corpo è
stato
messo in posizione parallela a due pareti e perpendicolare alle
altre, le quattro alternative che ho citato prima sono quelle con le
probabilità più alte. Ma anche quattro sono
troppe. Finché non le
riduciamo a uno, massimo due orari, non abbiamo decifrato il
messaggio dell'assassino.”.
Naomi
abbassò lo sguardo sconfitta.
“Ora
che ci penso, nel primo omicidio, uno degli elementi più
importanti
erano i numeri romani, spesso usati negli orologi... ma in questa
stanza non c'è nulla che assomigli ai numeri romani. Ci
vorrebbe un
indizio per determinare quale ora indica ciascuna parete.”
dissi
scrollando le spalle.
“Ryuzaki,
da che parte è il nord? Forse rappresenta le
dodici...” mi chiese
senza convinzione.
“Ci
avevo già pensato anch'io, ma non c'è alcuna
spiegazione logica per
cui le ore dodici corrispondano al nord. Non stiamo parlando di una
mappa. Potrebbe essere l'est, come l'ovest o il sud.”
“Una
spiegazione logica? Hai ragione. In mancanza di prove, ci dev'essere
almeno una logica. Però... le pareti sono tutte uguali.
È
impossibile capire...”.
Davvero
le vedevi tutte uguali?
Eppure
mi ero impegnato così tanto per renderle differenti... non
è forse
vero, mio caro lettore?
“È
vero. È come se davanti a noi si ergesse un muro
invalicabile.”
“Un muro? Bella metafora. Un muro, un muro...”.
Lo
sguardo di Naomi nascondeva una grande concentrazione. I suoi occhi
osservavano ogni dettaglio della stanza.
“Ryuzaki,
ho capito.” disse con troppa calma. “È
la quantità di peluche.
Il numero di peluche per ciascuna parete indica la rispettiva ora.
Guarda, lungo la parete della porta ce ne sono dodici e di
là sono
nove: indicano le ore 12 e le ore 9. Quindi, se consideriamo questa
stanza come il quadrante di un orologio, il lato della porta
è
quello in alto.” “Aspetta, Misora. Questo
effettivamente vale per
le ore 12 e le ore 9, ma i peluche su questa parete sono cinque e
sull'altra due. Se indicassero i quattro numeri sul quadrante,
dovrebbero essere 12, 3, 6 e 9, non 12, 2, 5 e 9. Così non
funziona.”.
Mi
stupì rispondendomi quasi immediatamente: “E
invece sì. Perché
ci sono le wara ningyo. Aggiungendo una wara ningyo ai due peluche e
una agli altri cinque, otteniamo un 3 e un 6. Così,
è possibile
considerare la terza scena del crimine come un quadrante. Questa
stanza è stata disposta in modo da rappresentare un
orologio.”.
Corretto,
Naomi.
Senza
perdere tempo mi prese la foto di mano e la appoggiò per
terra, dove
poco prima si era stesa.
“Le
ore 6, 15 minuti e 50 secondi.” dissi.
__________________________
Authoress'
words
Bau.
Wof,
bauarf bau. Grrrrarf!
Bau bau!
/(^-^)\
...
Sì,
ok, scusate. Quello era il mio cane che ci teneva a dare il suo parere
e l'ho accontentato. ^-^
Per farmi
perdonare della lunghiiiiiiiissima assenza ho fatto un
lunghiiiiiiiissimo capitolo.
Effettivamente
è troppo
lungo.
Se siete
arrivati fin qui avete già fatto abbastanza sforzo per oggi.
^-^"
Quindi vi
lascio andare in pace. u.u
Bau bau!
^-^
Any
|
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Capitolo 31 *** Theme 23. Low of Solipsism ***
Questa storia è
stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
Era
passato poco tempo dopo l'ultima comunicazione di Halle.
Nonostante
i miei ordini, nonostante avesse accettato di fare come le avevo
detto, stava temporeggiando.
Diceva
di doversi fare una doccia, ma quella aveva tutta l'aria di essere
una scusa.
“Near!”
mi chiamò il comandante Rester.
Sugli
schermi di sorveglianza era riapparsa Lidner, ma stavolta seguita da
una figura incappucciata che le puntava una pistola alla testa.
Mello.
“C-cosa?!
Ma che sta succedendo?! In un certo senso, è andata come
avevi
previsto, ma...” cominciò a balbettare il
comandante.
“Fateli
entrare.” mi limitai a dire freddamente.
Avevo
previsto che Mello avrebbe cercato di contattare un membro dell'SPK,
al 70% Lidner, ma non immaginavo che sarebbe arrivato lì
così
presto.
L'unica
cosa possibile era che quei due si fossero già incontrati in
passato.
Fu
Gevanni a permettere loro di entrare, io non mi alzai nemmeno dalla
posizione in cui mi trovavo.
Quanti
anni erano passati dall'ultima volta che l'avevo visto? Più
o meno
sei, calcolai rapidamente.
Lo
vidi da uno degli schermi di sorveglianza, senza nemmeno voltarmi.
Immediatamente
notai che aveva una cicatrice che gli divideva il volto, una di
quelle che non spariscono più.
Che
se la fosse procurata quando aveva portato via il Death Note?
“Benvenuto,
Mello.” dissi.
Neanche
il tempo di parlare, che i restanti due membri dell'SPK alzarono le
armi contro la lettera M.
“Getta
la pistola!” gridò Rester. “Non solo tu,
Mello... Anche voi,
signori... abbassate le armi. Sarebbe inutile far scorrere del
sangue.” dissi con estrema calma. “M-ma lui ha
ucciso tutti i
nostri compagni... e non solo, ha anche rapito e assassinato il capo
della Polizia Giapponese...” mormorò Gevanni
leggermente
intimidito.
Lo
guardai lievemente infastidito.
“Non
abbiamo nessuna prova al riguardo, e per quanto concerne il capo
della polizia, tutto lascia pensare che sia opera di Kira. Comunque,
la cosa è irrilevante. Non fatemelo ripetere. Il nostro
obiettivo è
catturare Kira.”.
Mello
si era macchiato di molti crimini da quando era fuggito, ma ucciderlo
a cosa avrebbe portato? Dopotutto non poteva fare altrimenti, non
disponeva di nessuno dei miei mezzi, neanche del denaro necessario. E
nonostante questo aveva fatto notevoli passi avanti basandosi sulle
sue sole forze.
Eppure,
nonostante tutto il tempo trascorso, continuava ad agire allo stesso
modo con cui l'avevo conosciuto: in maniera impulsiva. Amava scendere
in campo di persona, quando c'era una battaglia da combattere.
Non
aveva paura.
“Se
ora uccidessimo Mello, non ne ricaveremmo nulla. Sarebbe
terribilmente scortese puntargli la pistola dopo che è
riuscito a
recuperare temporaneamente il quaderno e ad avvicinare Kira prima di
noi. Dovremmo mostrargli rispetto, invece.” aggiunsi, dato
che
nessuno dei miei si decideva ad abbassare le armi.
Finalmente
Rester obbedì.
Mello
mi guardò con odio.
“Ineccepibile,
Near.” disse abbassando la pistola. “Avevi previsto
tutto?” mi
chiese con un tono imbevuto di odio e rabbia.
“Sì.
Anche se non mi aspettavo che saresti venuto fin qui. Grazie al tuo
lavoro, mi sono avvicinato a Kira.”.
Quell'ultima
frase che avevo detto bastò per fargli perdere
definitivamente il
controllo.
Tirò
di nuovo fuori la pistola e la puntò contro di me.
Digrignò i denti
furioso.
“Near...
Guarda che io non sono uno strumento per completare il tuo
puzzle.”.
Rester
e Gevanni risollevarono le armi. “Non me lo faccia ripetere,
comandante Rester. Abbassate le armi.”.
Non
mi avrebbe ucciso davvero. Se lo avesse fatto non ne sarebbe uscito
facilmente.
“Se
vuoi spararmi, spara pure, Mello.” dissi semplicemente.
Caricò
la pistola, la puntò con più precisione.
Improvvisamente
Halle gli si parò davanti: “Ascolta, Mello... se
ora tu uccidessi
Near anche se in futuro riuscissi a catturare Kira, probabilmente non
avrebbe più alcun significato. Senza contare che, se tu
sparassi a
Near, puoi star certo che noi spareremmo te. Se voi due moriste qui
ora, cosa ne ricaveresti? Faresti solo la felicità di
Kira.”.
Inaspettatamente si calmò quasi all'istante.
Ghignò
abbassando di nuovo la pistola per poi dirmi come se non fosse
successo nulla: “Dimenticavo, Near... ero venuto solo per
prendermi
la mia foto.”.
La
foto?
Quella
che sei anni prima mi aveva regalato Matt?
Sorrisi
impercettibilmente. Il piano del terzo della classifica aveva
funzionato alla perfezione.
La
presi con delicatezza, mostrandola al proprietario. “La foto
è
questa e non ce ne sono altre copie. Ho fatto anche in modo che non
venisse ripresa dalle telecamere di sorveglianza.” gliela
passai.
“Ho anche sistemato le cose con tutti coloro che in passato
ti
hanno visto in volto alla The Wammy's House. Non posso assicurartelo
al 100%, ma ora non dovrebbe essere possibile ucciderti con il Death
Note.”.
Mi
ero assicurato la sua incolumità persino con chi lo aveva
semplicemente incrociato in un corridoio.
Mello
girò l'immagine per trovare una scritta: “Dear
Mello”.
Avrei
dovuto finirla prima, non avevo neanche avuto il tempo di pensare
come continuare.
Sarebbero
bastate poche righe, ma era arrivato semplicemente troppo presto.
Eh
sì, Mello. Eri arrivato per primo.
“Se
non siamo riusciti a trovare nulla in tutto questo tempo, forse
significa che dobbiamo lasciare perdere. Trattandosi della
rappresentazione di un orologio analogico e non digitale, forse non
ha senso cercare di distinguere tra mattino e pomeriggio.”
sugerii
a una Naomi Misora che oramai non si dava pace per cercare indizi.
Indizi che non avrebbe trovato, ovviamente.
“Già...
allora sarà il caso di lavorare su entrambe le possibili
piste,
ovvero 06:15:50 e 18:15:50.”. disse con lo sguardo perso nel
vuoto.
“Il
cruciverba dava come soluzione l'indirizzo della prima vittima, il
primo indizio il nome di Quarter Queen, il secondo indicava la zona
dove abitava la terza vittima. Dubito fortemente che l'assassino
voglia indicarci l'orario del prossimo omicidio, anche
perché con un
indizio del genere non riusciremmo mai a capire dove ciò
avverrà.”
dissi portandomi il dito indice alle labbra.
“E
se l'assassino si fosse preso gioco di noi e non ci volesse indicare
il luogo del prossimo omicidio per non correre pericoli?”
“Non
avrebbe lasciato neanche un indizio se non avesse voluto correre
pericoli.”.
Naomi
si rabbuiò.
“Il
numero... deve indicare un luogo... o un nome...”
mormorò.
Non
credevo fosse così difficile da capire.
Dovevo
aiutarla, era troppo sconfortata per arrivarci da sola.
“Un
luogo? Molti luoghi sono indicati da numeri.” dissi. Lei mi
guardò
perplessa. “Non esiste un numero civico tanto
lungo.” “Un
numero civico no, ma un codice catastale sì.”.
Naomi
si illuminò.
Proprio
così, 061550 era il codice catastale di un enorme condominio
a
Pasadena che riuniva quasi duecento appartamenti.
Beyond
non aveva perso tempo. Era stato fin troppo frettoloso nel trovare la
soluzione, ma questo era solo perché non poteva permettersi
perdere
tempo.
Oramai
il suo piano aveva poco tempo per essere portato a termine.
Ci
recammo al condominio in questione, esaminammo i nomi di tutti gli
abitanti.
Trovammo
una donna che abitava al n° 1313 di nome Blackberry Brown.
“È
sicuramente lei.” esclamò Naomi entusiasta. La mia
espressione era
cupa. Lei se ne accorse e mi guardò perplessa:
“Cosa c'è che non
va? Ora possiamo prevedere le azioni dell'assassino e anticiparle.
Dovremmo essere in grado di tendergli un'imboscata. Se tutto va bene,
non solo impediremo il quarto omicidio, ma arresteremo anche il
colpevole. Anzi, sono sicura che lo cattureremo!”.
“Misora,
a dire il vero nel condominio c'è un'altra persona che
potrebbe
corrispondere. Un uomo di nome Blues-harp Babysplit, che vive da solo
al n° 404. Anche lui BB.”.
Naomi
sgranò gli occhi.
Inizialmente
mi guardò come se le avessi appena fatto un brutto scherzo,
poi
sembrò accettare la cosa anche se con molta riluttanza.
“Però
dovrebbe comunque trattarsi del 1313. 13 equivale a B, Ryuzaki. E
1313 è BB. Non potrebbe esserci coincidenza migliore per il
quarto
omicidio, l'ultimo, se teniamo presente il numero delle wara
ningyo.”
“Tu credi?” “È sicuramente
così. Perché dovrebbe essere il
404? Ryuzaki, un edificio con il tredicesimo piano e un appartamento
numero 13 è cosa rara, in America. Spesso il numero 13 viene
saltato. Non trovi che, avendo a disposizione un tredicesimo piano,
sia naturale per l'assassino volerlo usare? Anzi, forse è
proprio
per questo che ha scelto quel condominio e quella vittima...”.
Era
troppo sicura.
Naomi,
troppa sicurezza fa male.
Non
bisogna mai dare nulla per scontato. Mai.
Soprattutto
se si ha a che fare con il più grande serial killer di Los
Angeles.
Soprattutto
se si ha a che fare con Beyond Birthday.
Dico
bene, mio caro lettore?
“Assolutamente.”
mi sorpresi a pensare in risposta.
Dopotutto,
solo quel sottogenere di divinità di Kira era riuscito a
superarlo.
Ma
Beyond lo superava di gran lunga.
Beyond
non si era avvalso di stupide divinità o di quaderni neri
fatati.
I
miei pensieri erano e sarebbero sempre stati carichi di disprezzo nei
confronti di colui che aveva ucciso il più grande detective
del
mondo.
“Misora,
non dimenticare la questione degli intervalli di tempo. Il 22 luglio
la polizia di Los Angeles ha ricevuto il cruciverba; nove giorni
dopo, il 31 luglio, è avvenuto il primo omicidio; quattro
giorni
dopo, il 4 agosto, è avvenuto il secondo; nove giorni dopo,
il 13
agosto, il terzo. Se il quarto dovesse avvenire il 22 agosto,
sarebbero nove giorni, quattro giorni, nove giorni, nove giorni.
Ricordi? C'è il problema del perché non sia
9-4-9-4 ma 9-4-9-9,
nonostante 9 più 4 faccia 13. Abbiamo un quattro e tre nove.
Non
trovi che manchi di equilibrio?”.
“Sì,
ma... l'alternanza era...” iniziò incerta.
“Non
è alternanza: se pensiamo a 4 e 9 come a un tutt'uno, allora
è una
successione coerente di 13. Non trovi strano che non sia stato
seguito questo criterio? Il numero 404 dell'appartamento
ripristinerebbe l'equilibrio: avremmo tre 4 e tre 9.”.
Lei
aveva un'aria scoraggiata.
“Se
l'appartamento avesse avuto un numero diverso dal 404, allora anch'io
sarei stato convinto al 100%, anzi al 120%, che la vittima designata
per il quarto omicidio fosse Blackberry Brown del 1313.
Però, non
possiamo ignorare che qualcuno dalle iniziali BB, Blues-harp
Babysplit, abiti in un appartamento con due 4 nel numero.”.
Aspettai
che lei dicesse qualcosa, ma ottenni solo che abbassasse lo sguardo
in evidente soggezione.
Probabilmente
aveva dato per buona la mia teoria.
“Non
possiamo farci nulla.” conclusi. “Non resta che
dividerci,
Misora. Meno male che lavoriamo in coppia.”.
Già,
perché se L non avesse scelto una persona, ma di
più, sarebbe stato
un bel problema. Trovare due persone con le iniziali BB nello stesso
luogo era difficile, trovarne tre era quasi impossibile.
Ma
non del tutto.
Se
fosse stato necessario ci sarei riuscito.
Era
sempre più stupefacente l'abilità con cui Beyond
aveva calcolato
ogni minimo dettaglio della sua opera.
Lui
sapeva che L avrebbe scelto una sola persona e questo perché
gestirne più di una sarebbe stato troppo complicato.
L,
anche se indirettamente, controllava i suoi collaboratori e di una
persona che aveva scelto di usare per la prima volta non si poteva
fidare.
Non
Questa storia è
stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
del tutto, almeno.
“Ognuno
si occuperà di uno degli appartamenti a rischio. Tu del
1313,
Misora, io del 404. La proprietaria del 1313, Blackberry Brown
è una
donna, mentre Blues-harp Babysplit del 404 è un uomo,
perciò mi
sembra logico dividerci gli incarichi in questo modo.”
“Cosa
intendi per incarichi?” “Sbaglio o sei tu che hai
proposto di
tendere un'imboscata? Tra oggi e domani parleremo con Blackberry
Brown e Blues-harp Babysplit e chiederemo loro di collaborare alle
indagini. Ovviamente, non gli diremo che sono nel mirino di un serial
killer. Se non stiamo attenti, potrebbe esserci una fuga di notizie e
rischieremmo di complicare le cose.” “Ma non pensi
che abbiano il
diritto di sapere?” “È più
importante il loro diritto a vivere.
Gli pagheremo un indennizzo adeguato e ci faremo prestare i loro
appartamenti per l'intera giornata.”
“Pagarli?” “Sì, è
il
modo più semplice. Per fortuna, ho fondi sufficienti a
coprire la
spesa. Inoltre, se il caso verrà risolto,
riceverò una ricompensa
dai miei clienti. Se si trattasse di un normale omicidio le cose
sarebbero diverse, ma non c'è motivo per cui quell'uomo o
quella
donna vengano uccisi solo perché il loro nome inizia per BB.
Il
killer li cercherà nei loro appartamenti, quindi, se
prendiamo il
loro posto e ci facciamo trovare al 1313 e al 404, in teoria
riusciremo a incontrarlo. Per sicurezza, è ovvio, condurremo
Blackberry Brown e Blues-harp Babysplit in un luogo sicuro per tutta
la giornata del 22... Ecco, la suite di un hotel di lusso, per
esempio, potrebbe andare benissimo, non trovi?”
“Quindi noi
dovremmo... Capisco.”.
Si
poggiò sulla bocca la mano, come per soffocare una domanda
che non
doveva fare.
Ancora
mi durava il denaro che avevo avuto grazie alla mia permanenza nella
mafia di Los Angeles, ma che io disponessi di simili cifre, neanche
Naomi lo poteva immaginare.
“Non
è il caso di chiedere la collaborazione della
polizia...?”
cominciò a chiedere.
Era
incredibile come quella donna avesse ancora stima verso quelle
inutili divise che probabilmente non avevano neanche tentato di
decifrare il mio cruciverba.
“Giusto.
Sarebbe utile per proteggere le vittime, però la cosa
potrebbe
sfuggirci di mano e rischieremmo di lasciarci scappare l'assassino.
Dopotutto, immagino che le nostre deduzioni non siano comunque
sufficienti a far intervenire la polizia. Sono sicuro al 99% riguardo
al messaggio dell'assassino, ma la convinzione non basta: ci mancano
le prove. Ci direbbero che sono delle fantasie senza né
testa né
coda e tutto finirebbe lì.” “Senza testa
né coda?” “Sì,
infondate e sconclusionate.” conclusi sollevando il dito come
se
avessi detto qualcosa di solenne.
Lei
si soffermò qualche secondo a pensare qualcosa, poi mi
guardò negli
occhi e disse: “È probabile che l'assassino agisca
da solo,
Ryuzaki, ma al momento della cattura ci sarà uno scontro
corpo a
corpo.”.
Sorrisi.
Era
terribilmente ironico.
Una
donna che mi aveva quasi messo al tappeto si preoccupava di uno
scontro corpo a corpo?
“Non
c'è problema. Non può battermi, se siamo uno
contro uno. Non
sembra, ma sono piuttosto forte. E tu sei esperta di capoeira,
giusto?” dissi con un mezzo ghigno.
Non
sembra, ma sono piuttosto forte.
Ero
sicuro che fosse una frase detta da L, chissà dove,
chissà quando.
“Sì,
ma...” “Misora, sai usare una pistola?”
“Eh? No, io non...
non è che non la sappia usare, ma non ne ho una.”
“Allora te la
procurerò io. È meglio che tu sia armata. Finora
si è trattato di
una sfida investigativa con l'assassino, ma d'ora in poi è
in gioco
la nostra vita. Devi essere pronta a tutto, Misora.” dissi
portandomi il pollice tra le labbra.
Avevo
ancora la pistola con cui compii il mio primo omicidio.
Oltre
a calcolare ogni dettaglio perfettamente, Beyond era anche molto
cauto.
Conservava
tutto ciò che, anche a distanza di anni, gli sarebbe potuto
tornare
utile.
E
riusciva a utilizzarlo al momento giusto.
Nonostante
avesse molte somiglianze con lui, in questo era totalmente diverso da
Mello.
Mi
fermai un secondo osservando quelle righe sottili e ordinate.
Rimasi
immobile per qualche secondo.
Il
mio respiro era bloccato dalla sorpresa.
Tutto
mi sarei potuto aspettare, tranne che questo.
…
Quand'era
che Naomi aveva parlato della capoeira a Beyond?
E
così, mio caro lettore, io e Naomi ci siamo separati.
Tutto
era perfetto per andare al gran finale.
No,
Beyond.
C'era
un solo piccolissimo errore.
Un
errore che ti sarebbe potuto costare non poco.
___________________________
Authoress' words
Buongiorno!
*il pubblico le punta contro armi da fuoco di vario
genere*
Tzè! Tanto sono abituata a mio fratello,
credete di farmi paura? Comunque se volete spiegazioni sul
perché sono sparita per... due mesi?! Ma come? Sono stata
via così tanto? o.o
Comunque i motivi della mia sparizione sono molti:
1 - Scuola, come sempre. -.-"
2 - L'ispirazione è andata in vacanza
dicendomi che sarebbe tornata quando avrei finito di studiare, ma
nonostante non abbia ancora finito l'ho convinta a tornare.
Comunque adesso sono qui, anche se mi odierete non
me ne importa e pubblico lo stesso. u.u
Any
|
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Capitolo 32 *** Theme 24. Suiri ***
Questa storia è
stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
“Siamo
profondamente dispiaciuti, ma il corpo speciale di polizia ha
ufficialmente dichiarato che, in base ai risultati degli esami, uno
dei due corpi rinvenuti sul posto risulta appartenere a Kiyomi
Takada. Le fiamme che hanno causato il crollo della chiesa sembrano
divampate dalla benzina contenuta nei serbatoi di un camion di due
tonnellate e una moto che si trovavano all'interno
dell'edificio.”.
Cominciai
a tormentarmi i capelli.
Era
davvero troppo tardi adesso.
Speravo
che a dirmelo non sarebbe stata la voce elettronica della
televisione. Dovevo mantenere la concentrazione.
Concentrazione...
Concentrazione...
Sapevo
cosa dovevo fare adesso.
E
tutto grazie a quell'episodio.
Avevi
ripetuto non so quante volte che mi odiavi, Mello. Allora
perché
avevi sacrificato la tua vita per salvare la mia? Se tu fossi stato
lì, mi avresti risposto che lo avevi fatto solo
perché se io fossi
morto Kira non sarebbe mai stato preso e ti saresti trovato solo
nemici.
Ma
tu eri morto.
Avrei
dovuto basarmi solo ed esclusivamente sulle mie forze. E ancora non
potevo perdonarmi del tutto del non aver eseguito gli ordini di L.
Mi
sembrava tutto un sogno, uno strano, evanescente, brutto sogno.
La
mia mente era quasi vuota. Era tutto vero. Ed era vero anche quello
che aveva detto L.
Nessuno
di noi due sarebbe riuscito a superarlo, ma insieme potevamo farcela.
Convincere
Blues-harp Babysplit e Blackberry Brown a passare una notte in un
albergo di lusso come il “The Peninsula Beverly
Hills” non era
stato difficile. Il mascherare il tutto come la vincita a
un'estrazione da un elenco telefonico giorni prima aveva reso il
tutto più credibile.
Ora
io e Naomi ci trovavamo davanti al condominio dove il miglior serial
killer che Los Angeles avesse mai visto stava per agire.
Era
il momento.
In
ascensore c'era uno strano silenzio. Naomi guardava in basso,
pensando a chissà cosa. Era preoccupata. Probabilmente stava
già
immaginando il momento dell'arresto.
Anche
io stavo immaginando cosa sarebbe avvenuto a breve, ma le mie
previsioni non coincidevano con quelle della mia
“collega”.
Io
e Naomi ci separammo. Lei salì fino al tredicesimo piano,
mentre io
mi fermai all'appartamento numero 404.
Sorrisi.
Finalmente,
il punto di arrivo che tanto aspettavo.
Lentamente
aprii l'appartamento e con la massima delicatezza sospinsi la porta
di lato.
Mi
guardai intorno. Il soggiorno era molto spazioso.
Mi
appoggiai ad una delle eleganti sedie, guardai di nuovo l'ambiente
circostante.
Dovevo
aspettare...
Non
mi ero mai reso conto di quanto potesse essere difficile, vero mio
caro lettore?
Il
tempo sembrava rallentare, quando avrebbe dovuto accelerare.
Sembrava
strano. Avevo avuto fretta fino a quel momento per poi guardare
inutilmente l'arredamento di quella stanza.
E
aspettare ancora poco prima di poter finalmente assaporare la
vittoria.
La
vittoria dopo aver visto la morte dei miei genitori.
La
vittoria dopo essere stato rinchiuso dentro una stanza come un pazzo.
La
vittoria dopo essere stato privato della mia essenza.
La
vittoria dopo aver perso Any.
La
vittoria dopo essere scappato, dopo aver ucciso, dopo aver visto
morte ancora...
Risi,
stavolta ad alta voce, senza più preoccuparmi.
Io
ero uno strumento di morte, anzi, io ero un dio della morte!
Io
ero nato per quello! Dovevo uccidere! Sì, sì,
dovevo dare un senso
alla morte!
La
scrittura di Beyond era diventata improvvisamente disordinata,
frettolosa. Era sempre stata perfetta fino a quel momento.
La
follia che era in lui stava uscendo piano dai limiti del suo corpo.
Si
stava impossessando di ogni sua azione.
Mi
fermai all'improvviso.
Dovevo
mantenere la calma.
Non
era ancora il momento, anche se già potevo avvertirlo.
Mi
alzai, chiusi la porta, mi avvicinai alla parete, la tastai.
Con
delicatezza appoggiai il chiodo dell'unica wara ningyo che avevo con
me quel giorno sul muro liscio. Cercando di fare meno rumore
possibile lo colpii fissandolo.
Annodai
il filo rosso della bambola.
L'impazienza
aumentava.
Non
potevo aspettare, ma dovevo.
Ancora
poco...
Mi
aggiravo nervosamente per l'appartamento, cercando il luogo migliore.
Non
capivo.
Se
Beyond aveva mandato fuori dall'appartamento Blues-harp Babysplit,
chi avrebbe ucciso?
Ci
vollero pochi secondi prima che la verità mi colpisse come
un
fulmine.
Believe
Bridesmaid, BB.
Quarter
Queen, bb.
Backyard
Bottomslash, BB.
Beyond
Birthday, BB.
Con
forzata calma, tirai fuori dalla mia borsa una piccola bottiglietta.
Conteneva
benzina.
Sempre
con calma la versai sul mio corpo.
Socchiusi
gli occhi.
Una
scintilla.
E
poi il calore.
Stavo
bruciando.
Bruciavo!
Il calore si espandeva lungo tutto il mio corpo. Il dolore si
intensificava ogni secondo di più. Inconsciamente mi
muovevo, quasi
mi contorcevo, ma non potevo farci nulla!
La
mia morte era l'ultimo omicidio.
Le
camere chiuse servivano a fingere che non fosse un suicidio!
Il
mio piano era perfetto, mio caro lettore!
L
aveva perso!
Era
spaventoso. Tutto ciò che Beyond aveva fatto era finalizzato
alla
sua stessa morte.
In
passato aveva affermato di essere disposto a uccidere per
utilità,
ma questa era pura follia.
E
poi, dopo aver inspirato per l'ennesima volta quell'odore
nauseabondo, cominciai a perdere i sensi.
Mi
lasciai cadere a peso morto sul pavimento.
Non
ero più nella stanza, non sapevo dove mi trovavo.
Il
dolore era forte, ma la mia volontà lo era di più.
Mi
contorcevo, ma non cercavo di spegnere le fiamme.
Il
loro suono quasi mi ipnotizzava, così come il loro colore.
Tutti
i rumori divennero un'eco lontana. E così persi anche la
cognizione
del tempo, vedevo sfocato.
Rosso,
solo rosso riuscivo a vedere.
Rosso
come le fiamme, rosso come i miei occhi, rosso come il sangue. Il
sangue innocente che avevo versato, ma era tutto perfetto
così! Mio
caro lettore! Cosa importava in quel momento? Io avevo dato loro un
dono: avevo dato un senso alla loro morte.
No,
Beyond. Non avevi dato un senso alla loro morte. Ovvero, lo avevi
dato ma solo per te stesso.
E
dopotutto è sempre così: qualsiasi cosa si faccia
per dare un senso
alla propria vita o alla propria morte è sempre per
auto-realizzazione, non per altro.
Un
suono più forte mi distrasse. Era sordo, ma non riuscivo a
distinguerlo bene.
Cos'era?
Una
voce?
No...
Nessuna voce poteva rimbombare in quel modo.
Lo
sentii di nuovo, più forte. Qualcuno stava facendo quel
rumore a
raffica.
Era
uno sparo?
Sì!
Doveva essere uno sparo!
Chi
avrebbe mai sparato in un posto del genere?
...
Chiusi
gli occhi.
E
così anche Beyond era finito? Bruciato. Esattamente come
Mello.
…
No,
non era possibile.
Beyond
non poteva essere morto lì, in quel momento. Il quaderno era
stato
scritto successivamente.
Dopo
l'ultima parola c'erano molte pagine totalmente bianche, le sfogliai
una ad una.
Ne
contai tredici.
Ma
nella quattordicesima c'era ancora scritto qualcosa.
Quanto
tempo era passato?
Sentii
del freddo.
Un
rumore, una voce...
Aprii
gli occhi, piano.
C'era
qualcosa di bianco e appiccicaticcio sul mio corpo. Non riuscivo a
muovermi bene.
Un'ombra
stava parlando con qualcuno. Il suono della voce rimbombava ancora.
Naomi?
Sentii
una presa d'acciaio sul mio polso.
“Rue
Ryuzaki, ti dichiaro in arresto per l'omicidio di Believe Bridesmaid,
Quarter Queen e Backyard Bottomslash. Non hai il diritto di rimanere
in silenzio, né di chiamare un avvocato, né di
avere un giusto
processo.”.
…
Questa
era davvero la fine del gioco di Beyond Birthday, del serial killer
di Los Angeles.
Tutto
per un errore, uno solo in un piano perfetto.
Così
era finita la storia dell'unico serial killer degno della mia stima.
________________________________
Authoress' words
Salve! Perdonatemi l'ennesima pausa nella
scrittura, ma sto rischiando vari debiti a scuola, se mi prendessi
troppe pause dallo studio la mia estate diventerebbe un incubo!
Ah, già. Alcuni potrebbero fraintendere,
quindi lo scrivo bello grande:
LA
STORIA NON È FINITA!
Ci saranno più o meno altri due capitoli, rispettando i
piani che mi sono fatta fin da quando ho scritto il primo capitolo.
Per favore, non fraintendete. Non ho intenzione alcuna di allungare il
brodo di proposito perché mi sono affezionata troppo alla
storia o cose simili. Io non vedo l'ora di finirla! xD Solo che ci sono
due cose che devo scrivere assolutamente. E lo farò nei
prossimi due capitoli, quindi non mi abbandonate!
Tenente duro!
Cercherò di fare in fretta stavolta!
Any
|
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Capitolo 33 *** Theme 1. Death Note (again) ***
Questa storia è
stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene.
“No.
Tu sei solo un assassino e questo quaderno è la peggior arma
omicida mai apparsa sulla terra.” dissi con una freddezza
glaciale.
“Se
fossi una persona
normale, anche se avessi usato questo quaderno una sola volta mosso
dalla curiosità, avresti poi guardato con sgomento e terrore
ai suoi
effetti e ti saresti pentito della tua azione, senza mai più
usarlo.” continuai a parlare con Light Yagami. Anzi,
continuai a
parlare con Kira.
“Per
assurdo, potrei
ancora capire una persona che uccide per eseguire i propri interessi.
La riterrei persino normale. Tu invece sei stato soggiogato dallo
Shinigami e dal potere del quaderno, e stai facendo un grosso errore
nel credere di poter diventare un Dio. Tu sei solo un serial killer
psicopatico. Ecco cosa sei, nulla di più.”
conclusi.
Dopo
qualche secondo di
pesante silenzio mi rispose: “Sei tu a essere in errore,
Near.
Ormai io incarno la giustizia.” disse con presunzione e
sufficienza.
“Sì,
può darsi. Nessuno
è in grado di stabilire cosa sia bene e male, giusto e
sbagliato.
Anche se esistesse un Dio e questa fosse la sua parola, io ci
penserei su e deciderei di testa mia se fosse giusta o sbagliata. Io
sono come te: credo in ciò che considero giusto e ne faccio
la mia
giustizia.” presi una pausa.
“Io
ritengo che tu sia
tutto fuorché un Dio, e che costringere tutti gli uomini a
vivere
secondo una via da te tracciata non sia sinonimo né di pace
né di
giustizia. Inoltre, la mia coscienza mi dice che autoproclamarsi Dio
e uccidere a destra e a manca è assolutamente sbagliato. Ma
come la
pensano le altre persone qui presenti? Per loro cos'è
giusto? Cos'è
la giustizia?”.
Light
Yagami abbassò lo
sguardo.
Dopo
molti secondi infiniti
parlò di nuovo.
La
tensione era palpabile.
“Near,
inizialmente hai
creduto che il quaderno realizzato da Mikami fosse quello vero, e
l'hai modificato. Mikami invece è stato indotto a prendere
il
quaderno falso fabbricato da voi. Ciò significa che entrambi
i
quaderni che voi due credevate veri erano falsi. E allora come fai a
stabilire con certezza che i quaderni che si trovano qui siano
veri?”
disse, dandomi l'impressione di starsi arrampicando sugli specchi.
“Il quaderno che ora è in mano tua e quello che
Aizawa ha portato
qui dal Quartier Generale Giapponese saranno veri?” disse
bluffando.
Non
poteva star dicendo sul
serio, considerata la sua reazione.
Stava
solo cercando di
salvare il salvabile.
“Dato
che vedi Ryuk,
ammettiamo pure che il tuo quaderno. Però quello di Aizawa
era
custodito al Quartier Generale in cui io sono stato tutto il tempo...
quindi avrei potuto benissimo sostituirlo. Se così fosse,
solo io
saprei dove si nasconde quello vero. Se proprio vuoi sconfiggere
Kira, dovresti verificare se il quaderno di Aizawa è vero
oppure no,
scrivendovi sopra il mio nome o quello di Mikami.”.
Ero
sicuro che quel quaderno
fosse vero.
“Light
Yagami... Kira...
io non ho intenzione di ucciderti. Ormai non ha più
importanza se il
quaderno sia vero o no. Sin dall'inizio il mio obiettivo era
catturare Kira, volevo solo riuscirci facendo luce sul caso. Anzi,
ormai è come se ti avessi già catturato, e ora
confischerò il
quaderno di Aizawa. Per ora direi che è sufficiente. Non
renderò
pubblica la cattura di Kira, né l'esistenza del quaderno e
sono
convinto che i qui presenti manterranno il segreto. Per quanto
riguarda te, Kira, mi assumerò la responsabilità
di richiuderti
fino alla tua morte in un posto isolato. Per quanto riguarda il
quaderno, ritengo plausibile che le due regole scritte sul retro,
ovvero quella dei tredici giorni e quella che prevedeva la morte per
chi avesse bruciato il quaderno siano state aggiunte in un secondo
tempo da te a tuo vantaggio. Ora che ti ho preso immagino che questo
Shinigami possa anche rivelarmi in tutta se si trattava di una
menzogna, e se quel quaderno è vero o no.”.
“Eh?
Beh, per me è ok...”
disse una strana creatura sullo sfondo.
“E
anche se non riuscissi
a capire se le regole sono vere e se il quaderno è
autentico, mi
limiterò a metterlo al sicuro in modo che non capiti mai
più in
mano a nessuno. Al momento la sola cosa che conta è
catturare te.”
conclusi con decisione.
“Beh,
se vuoi capire se il
quaderno è vero o falso, perché non provi a
dargli un'occhiata?”
chiese Light Yagami passeggiando per la stanza a piccoli passi.
“Secondo te è vero o falso?”.
Improvvisamente
dal suo
orologio uscì un piccolo sportellino contenente un foglio e
immediatamente cominciò a scriverci.
“Ha
un foglio nascosto!”
gridò Rester.
Improvvisamente
un colpo di
pistola.
Tota
Matsuda, un membro del
Quartier Generale aveva sparato a Kira.
“Matsuda,
a chi cazzo
spari, idiota?!” urlò Yagami. “Se
proprio devi sparare a
qualcuno spara agli altri! Ti sei bevuto il cervello?”.
Il
colpo aveva preso Light
sulla spalla, ma solo di striscio.
“Proprio
tu Matsuda!
Pensavo che almeno tu mi capissi! Kira è la giustizia!
C'è bisogno
di lui! Spara! Spara a Near! A tutta l'SPK! E poi anche ad Aizawa e
agli altri!” “Perché?! Il
sovrintendente... il direttore... il
direttore Yagami era tuo padre!” rispose il giovanissimo
agente.
“Tuo padre per cosa è morto allora?!”
“Mio padre? Vuoi dire
Soichiro Yagami? Hai ragione, Matsuda, le persone inquadrate e tutte
d'un pezzo come lui alla fine ci rimettono sempre. Ti sta bene un
mondo in cui quelli come lui fanno la figura dei poveri
illusi?”.
Light
aveva cominciato ad
ansimare.
“Tu
l'hai fatto morire e
ora cambi discorso con la storia che lui avrebbe fatto la figura del
fesso?” “Mio padre è morto per gettare
le basi di un mondo in
cui quelli come lui non facciano la figura degli imbecilli. Se ti sto
dicendo di ammazzare questa gente, è anche per far
sì che lui non
sia morto invano. Lo capisci?!” e di nuovo cercò
di uccidermi.
Con
il dito sporco di sangue
continuò a scrivere il mio nome.
Un
altro colpo riempì
l'aria, risuonò più forte, più deciso.
“Io
lo ammazzo! Bisogna
eliminarlo!” gridò Matsuda puntando la pistola
alla giugulare di
Kira. Prontamente altri tre agenti lo fermarono prima che fosse
troppo tardi.
“Mikami!”
Yagami chiamò
la sua pedina. “Che diavolo stai facendo?! Aiutami, presto!
Ammazzali! È questo il tuo compito, no?! Che stai
combinando?!” “E
come faccio? In queste condizioni? Con un quaderno falso? Tu non sei
affatto un Dio! Perché mi tocca tutto questo?! Che ci faccio
io in
questa situazione?! È colpa tua! Tu non sei un Dio! Tu sei
feccia!”.
Kira
aveva perso anche
l'ultimo alleato.
“Visto
che si era
ingegnato tanto per nasconderlo nell'orologio immagino che non ne
abbia altri. Arrestiamo Light Yagami con l'accusa di essere il serial
killer conosciuto come Kira.” ordinai.
“Fermi!
Non avvicinatevi!”
urlò Yagami cominciando a trascinarsi a terra.
“Misa... che
diavolo sta facendo Misa?” “Misa Amane è
al Teito Hotel.”
risposi. “In un Hotel?! Che diavolo combina in un momento del
genere quella cretina?! Takada... che fine hai fatto Takada?!
Ammazzali! Scrivi i loro nomi!” “Kiyomi Takada
è morta.”
risposi di nuovo. “È morta? Ma chi... chi
è stato?! Qualcuno li
uccida!”.
Improvvisamente
Light Yagami
si fermò ai piedi dello Shinigami.
“Ma
certo, Ryuk scrivi tu
i nomi di questa gente sul tuo quaderno! Mi rimani solo tu! Usa il
quaderno!” “E sia. Usiamolo.” rispose
dopo molto tempo quella
creatura. “Ben ti sta Near! Avresti dovuto uccidermi subito!
Ora
che Ryuk ha detto che scriverà i vostri nomi nessuno
potrà più
fermarlo! È troppo tardi ormai, morirete tutti!”
gridò Kira.
“No
Light. Sarai tu a
morire.” disse con estrema calma la creatura.
Kira
si arrestò. Sembrava
incredulo.
“Sembra
proprio che tu
abbia perso, Light. Grazie a te me la sono spassata
parecchio.”
“Io... moriro?! Sto per morire?!”
“Proprio così, tra 40
secondi. Ormai è stabilito.” “No! Non
voglio morire e nemmeno
finire in carcere! Fa' qualcosa! Deve pur esserci un modo,
no?!”
cominciò a urlare a squarciagola. “La morte di una
persona il cui
nome viene scritto sul Death Note non può essere cancellata
per
nulla al mondo. Tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro. Addio,
Light Yagami.”.
In
quel momento Yagami
apparve come un semplice essere umano. Non era più Kira, era
una
persona che aveva paura della propria morte, che voleva sfuggirvi.
Ma
dopo quei lunghissimi 40
secondi il suo cuore smise di battere e morì.
Ero
piuttosto confuso.
In
qualche modo ero stato portato via da quell'appartamento ed ero stato
rinchiuso in una cella.
Ci
volle un po' di tempo per vedere di nuovo chiaramente cosa stava
accadendo.
Ero
stato sconfitto, di nuovo.
L
aveva vinto.
Non
aveva più senso nulla, allora.
Non
avrei di certo potuto dimenticare, ma che altro avrei potuto fare?
Era troppo tardi oramai.
Non
capivo il perché di quella sconfitta... come aveva potuto
una come
Naomi Misora capire tutto?
Rimasi
in silenzio.
Avevo
ancora le sembianze del mio rivale.
Cominciai
a esaminare mentalmente ogni cosa successa fino a quel momento. Dove
avevo sbagliato?
Improvvisamente
ricordai.
La
capoeira, Rue Ryuzaki non poteva sapere che Naomi ne era esperta.
“Che
errore stupido.” mormorai quasi disgustato.
Io,
colui che avrebbe dovuto superare L avevo commesso una leggerezza
simile?
Sentii
un rumore, un uomo si alzò dalla branda sopra di me.
“Oh,
ma guarda, un nuovo inquilino.” disse appena sceso dalla
scaletta.
Lo
guardai un secondo negli occhi.
Jason
Moore, ancora 25 anni di vita.
Era
un omaccione corpulento, dalla pelle abbronzata. Aveva i capelli
rasati da un po' di tempo: era già iniziata la ricrescita.
“Tu
perché sei dentro?” mi chiese con aria
comprensiva. Senza neanche
guardarlo risposi in un sussurro: “Ho cercato di battere
L.”.
Jason
parve perplesso: “Eh? In che senso...?” ovviamente
non capiva.
Mi
alzai dalla branda.
Non
riuscivo a perdere l'abitudine di camminare curvo, notai.
“Io
sono il serial killer delle wara ningyo.” dissi con un
leggero
compiacimento in quella frase.
Guardai
il mio interlocutore. Aprì la bocca, come per prendere aria,
ma poi
non disse nulla.
Trascorsi
in quella cella più di un anno.
Dopo
poco tempo mi abituai alla noia di quel posto, alle chiacchiere
frivole di Jason.
Mi
parlava sempre di sua moglie Melissa e di quanto l'amava, di come si
sarebbe fatto perdonare per aver ucciso quelle persone e per essere
stato costretto ad abbandonarla...
A
dicembre del 2003 stavamo ripetendo sempre gli stessi dialoghi,
cercava disperatamente di farmi raccontare il mio passato, ma io non
rispondevo.
“Dai!
Non ho neanche ben capito come ti chiami e ancora non parli!”
disse
amichevolmente dandomi una botta sulla spalla.
Lo
guardai con uno sguardo minaccioso mostrandogli i miei occhi rosso
sangue.
Come
se fosse stato intimorito si fece indietro.
Improvvisamente
boccheggiò.
Improvvisamente
la sua durata vitale sparì, emise un grido soffocato e si
accasciò
al suolo.
Rimasi
qualche attimo come imbambolato.
Cosa?
Aveva
ancora 25 anni da vivere, come era mai possibile una cosa simile?
Non
avevo mai sbagliato una lettura, non era possibile una cosa simile.
Eppure adesso compariva solo il nome sulla sua testa.
Non
c'era dubbio: era morto.
“Oh,
eccone un altro che se ne va.” mormorò qualcuno.
“Un
altro? È successo a degli altri?” chiesi.
“Oh, sì. È opera di
Kira, non ci possiamo fare niente. Si dice in giro che può
anche
spingere le persone a suicidarsi.” mi rispose un detenuto
della
cella accanto. “Come fai a non sapere chi è
Kira?” mi chiese
qualcun altro.
In
effetti avevo sentito parlare di Kira. Un assassino capace di
uccidere a distanza, uccideva tutti i criminali peggiori del pianeta.
L
era sceso in campo di persona pur di catturarlo.
E
come avrebbe potuto il mio rivale rifiutare un caso del genere? Un
caso divertente, intrigante e misterioso.
Da
quel giorno in poi vidi morire sempre più detenuti senza che
io
potessi prevederlo, così chiesi alla guardia incaricata di
portare
il cibo di poter prendere qualcosa dalla roba che mi avevano
consfiscato: un quaderno nero.
La
guardia rimase perplessa.
“È
totalmente bianco. Se volete potete anche controllare.” dissi
con
un tono di voce quasi minaccioso.
Dopo
poco mi fu portato.
...
Immagino
che tu abbia capito, mio caro lettore, come ho usato quel quaderno.
Quel
quaderno ce l'hai al momento tra le mani.
Come
decisi a 15 anni, quel quaderno non avrebbe contenuto errori e
sarebbe servito a qualcosa di importante.
Concludo
qui il mio racconto, mio caro lettore.
Probabilmente
sto per affrontare la stessa fine di Jason, ma dopotutto è
la stessa
che ho donato a molte persone.
E
alla fine ho dato un senso alla mia esistenza.
…
E
così, voltai pagina
sapendo che era tutto finito.
Con
mia sorpresa, invece,
dietro l'ultima pagina vi erano dei foglietti. Sembravano essere
appunti.
Uno
di questi recitava:
Il
carcerato numero 013 è stato ritrovato morto nella sua cella
in data
21 gennaio 2004.
Tra
le mani aveva una penna e sul tavolo della cella vi era un quaderno
nero scritto.
Il
carcerato ha fatto in tempo a firmare lo scritto prima di morire.
Sul
suo volto ho notato un sorriso quasi di soddisfazione.
…
Il
caso Kira era terminato
da tempo, ma ovviamente non lo avevo reso pubblico.
Si
sarebbero creati solo
scompigli e qualcuno avrebbe cercato di rimpiazzarlo. Ma chi sarebbe
mai potuto essere al livello di Light Yagami?
Se
qualcuno lo avesse
rimpiazzato sarebbe stato solo un mitomane, niente di più.
Ora
il mio compito era
quello di eliminare tutte le tracce della conclusione del caso e
anche della morte di L.
Come
se Kira non fosse mai
esistito.
“Near,
l'appartamento
identificato è questo.” mi distolse dai miei
pensieri la voce di
Halle Lidner. “Arrivo.” mormorai appena, alzandomi
dal sedile
dell'auto in cui mi trovavo, appoggiando una delle mie marionette da
dito sul sedile accanto a me.
Quell'appartamentino
in
periferia, piccolo e mal tenuto, era stato identificato come
l'abitazione temporanea di Mello.
Salii
le scalette che
portavano all'ingresso e attesi che Gevanni riuscisse ad aprire la
porta.
Dopo
pochi minuti potei
entrare.
La
stanza era quasi vuota,
Rester iniziò la perquisizione.
Cominciai
a passeggiare nei
vari ambienti della casa.
Spinsi
una porta e trovai la
camera da letto. Era estremamente semplice: aveva solo due letti
singoli e un comodino con un cassetto. Quasi di istinto lo aprii.
Rimasi
immobile.
Dentro
c'era un quaderno
nero.
Somigliava
troppo a quello
di Beyond, anche per la dimensione.
Dopo
qualche secondo di
paralisi lo aprii e lessi alcune righe.
Questo
quaderno è il mio testamento. Un messaggio in punto di morte
di
qualcuno che non sono io, rivolto a un luogo che non è
questo mondo.
Il caso più probabile è che sia quel testone di
Near a scoprire per
primo questo quaderno. Se così fosse non ti sto dicendo di
farlo a
pezzi e darlo alle fiamme. Se dovessi renderti conto che io ero al
corrente di cose su L a te sconosciute, beh... è un grande
piacere
darti questo dolore.
Ecco
chi aveva lasciato
quella macchia di inchiostro anni prima. Non poteva essere che lui.
Sfogliai le pagine, sì. Conosceva dettagli dei pensieri di
Beyond
che L non gli avrebbe raccontato, conosceva la storia da entrambi i
punti di vista.
Sentii
un profondo senso di
vuoto e di smarrimento.
Nonostante
fosse morto mi
sembrava che stesse parlando in quel momento con me.
Rilessi
ancora.
È
un grande piacere darti questo dolore.
“Mi
spiace, Mello.”
mormorai.
Hai
perso di nuovo.
___________________________
Authoress'
words
E dopo
500.000.000 di anni che non mi si vede... ecco l'attesissimo (ma anche
no) ultimo capitolo!
Wow, mi
sembra così irreale che sia finita davvero! Beh,
immagino che il 92,3% di voi se ne sia dimenticato, ma finalmente ho
dato la soluzione all'enigma della macchia d'inchiostro.
Spero di
non aver deluso nessuno di voi con questa mia storia (mia solo in parte
però. u.u Mica ho tutta questa fantasia!).
So
benissimo che 33 capitoli son tanti, infatti ne volevo fare di meno, ma
non ce l'ho proprio fatta, infatti non credo di aver
allungato il brodo.
Grazie di
cuore a chi è giunto fin qui!
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