~Una foglia che alza il vento.

di Brooke Davis24
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentazioni. ***
Capitolo 2: *** Tanto rumore per nulla! ***



Capitolo 1
*** Presentazioni. ***


Un pensiero. Credo sia la cosa più potente al mondo. Non l’amore, non la guerra, non il tempo. Un pensiero. Semplice, silenzioso, canaglia.
Cosa si può contro un pensiero? Non esistono armi, non esistono soluzioni, non esistono escamotage; è come entrare in un labirinto circolare che, di livello in livello, si accartoccia su se stesso e conduce al cuore della struttura, un vicolo cieco dorato che sa di prigionia. Ogni azione genera l’effetto esattamente contrario a quello si vuole produrre: soffocandolo, lo si rinvigorisce; ignorandolo, gli si concede l’espansione; assecondandolo, se ne rimane sopraffatti. Non esiste ciò che giusto e ciò che è sbagliato, né un sentiero che sia preferibile da percorrere rispetto ad un altro. Per quanto ci si possa affannare nel tentativo di seminarlo, è un’impresa titanica che non conduce ad alcuna vittoria. Non ci si improvvisa eroi con un pensiero. Una volta attecchito, sedimenta negli anfratti più deboli della nostra mente, la corteggia, la seduce e la soggioga, finché, sconfitta, essa non cede ad ognuna di quella lusinghe e lascia campo libero al suo contenuto , alla sua estensione, alla sua irrispettosa foga.
Amelia aveva avuto modo di sperimentare quella situazione sin da piccina e, come la maggior parte degli individui, non aveva opposto resistenza al meccanismo ingeneratosi nelle segrete del suo cervello, insidiata e catturata da un elemento che, se anche avesse voluto combattere, non le avrebbe concesso l’opportunità di farla franca. Era umana, del resto, e, in quanto tale, debole, persino fragile nelle occasioni più inattese. Non si sarebbe mai definita come una donnicciola in preda a spasimi d’amore, certo, ma era altrettanto realista da sapere quanti e quali fossero i suoi limiti, al di là dell’alta opinione che aveva di sé. Era stato, del resto, il primo obiettivo che si era prefissata: conoscere le sue debolezze sarebbe stata la chiave di apertura di ogni singola porta, perché, come aveva imparato col tempo, conoscere il nemico è l’elemento primario in una qualsiasi battaglia.
Aveva ventiquattro anni; era giovane, bella, forte e, soprattutto, italiana, e, negli ultimi anni, aveva sperimentato in prima persona quanto difficoltoso ma appagante potesse essere il ruolo di donna. Aveva osato, sperimentato, spesso rischiato e si era spinta laddove molte non avevano neppure osato pensare di giungere, sfiorando l’eccellenza ed imparando ad addomesticarla. Il suo corpo non era mai stato venduto, la sua mente  mai asservita, le sue aspirazioni mai fiaccate ed aveva preservato l’integrità che, sin da piccina, le era stata inculcata come uno dei valori più importanti al mondo, con la consapevolezza che i compromessi l’avrebbero svigorita a tal punto da rendere disattese le sue ambizioni.
Per quanto strano possa apparire, nel XXI secolo, la vita per una donna continuava a non essere semplice. Dopo decenni di rivendicazioni, barbarie, soprusi, proteste e apparenti vittorie del femminismo, la verità era che il mondo continuava ad essere profondamente, vergognosamente misogino e che, perfino nei Paesi più sviluppati, sarebbe stato semplice individuare i segnali non soltanto di quel radicato maschilismo ma anche della posizione di sfavore del genere femminile: il clero era ancora rigorosamente fazioso nei confronti del cosiddetto sesso forte, fatta eccezione per la piccola schiera di suore cui era stato concesso “il privilegio” di essere marginalmente ammesse alla casta; gli individui, considerati come appartenenti alla razza umana, venivano ancora indicati come ‘uomini’; erano le donne a patire le pene dell’Inferno per mettere al mondo un bambino; erano le donne ad essere principalmente violentate, sodomizzate, uccise, non rispettate. Per non parlare del fatto che la colpa delle disgrazie del genere umano gravasse tutta sulle spalle di Eva. Indovinate un po’? Una donna.
Amelia si chiedeva cosa ci fosse di sbagliato in quel mondo. Benché cresciuta in una famiglia tutt’altro che patriarcale, in cui le mogli indossavano i pantaloni molto più dei mariti, aveva sempre avuto l’impressione – Poi divenuta certezza! – che la realtà dei membri del suo sesso fosse ben lontana dal somigliare alla propria, se guardata complessivamente. Non che, con ciò, si potesse dire che odiava gli uomini, no! A dirla tutta, credeva strenuamente che alcuni di essi, come suo fratello, fossero tra le creature più amorevoli di tutto l’Universo e che una vita senza di loro sarebbe stata frustrante ed incompleta, in ognuno dei possibili sensi raccordabili ad una simile riflessione. Così com’era persuasa che la diversità non fosse l’errore compiuto nella comparazione tra uomo e donna. Semplicemente, se le avessero chiesto di schierarsi da una parte piuttosto che da un’altra in presenza di una qualunque ragionevole controversia, avrebbe preso le parti del suo sesso.
Viveva a Lewiston, nel Maine, una città non esageratamente popolosa nella quale si era recentemente trasferita per motivi di lavoro, seguendo Fabio, il fratello, che l’aveva preceduta di qualche mese. Prima d’allora, aveva lavorato – E, contemporaneamente, studiato! – come apprendista investigatore per uno degli uomini più indisponenti, infingardi ma maledettamente preparati nel proprio mestiere che avesse mai avuto modo di conoscere. Come spesso accade in occasione di alcuni degli avvenimenti più importanti della vita di una persona, il loro incontro era stato del tutto casuale: lo aveva visto entrare con aria alquanto circospetta nel negozio di profumi presso il quale aveva trovato impiego, anni prima, una volta arrivata in America, e, indipendentemente dal fatto che non fossero stati affari suoi, non era riuscita a trattenersi dal chiedergli cosa davvero lo avesse spinto ad introdursi lì. Ricordava di essere stata guardata con cipiglio severo e di essersi risentita nel profondo, quando l’altro, rendendole la boccetta che aveva casualmente agguantato, se n’era andato via senza fiatare. Qualche tempo dopo, aveva scorto lo stesso individuo, del quale aveva scoperto nome e referenze, al di là della strada e, con sfacciataggine inaudita, si era diretta verso di lui, chiedendogli per quale ragione uno stimato professionista come Rainold McIntosh si stesse prendendo la briga di sorvegliare il locale; doveva averlo sorpreso parecchio, perché, il giorno successivo, una proposta dallo studio di lui l’aveva introdotta nell’ambiente più meschino ed affascinante nel quale si fosse mai trovata ad operare, lo stesso dal quale non era più uscita. La gavetta era stata stancante e i suoi nervi avevano rischiato spesso di cedere dinanzi alle pressioni, ma non era mai accaduto veramente; era riuscita a farsi un nome, a guadagnarsi la stima non soltanto del suo capo ma di chiunque avesse avuto modo di vederla in azione o avesse visto la sua richiesta diligentemente soddisfatta.
E, dopo la bellezza di cinque anni di servizio, meriti riconosciuti, una qualifica di tutto rispetto e molta più esperienza di quanta non si fosse aspettata di poter accumulare, aveva cominciato a camminare con le proprie gambe, diretta proprio verso Lewiston. Lì, infatti, la stazione di polizia, la stessa presso la quale lavorava Fabio, aveva chiesto il suo intervento per una serie di problematiche non indifferenti rispetto alla soluzione di diversi casi, a cui nessuno di loro era ancora riuscito a dare una spiegazione.
Poggiata contro il muro alle spalle del comandante della stazione di polizia, Roger Fish, intento a presentarla ai suoi futuri colleghi, Amelia si guardò intorno con fare circospetto e, con un sorriso appena accennato sulle labbra, cercò lo sguardo del fratello, che, nell’imperturbabilità della sua condizione, le concesse un occhiolino rapido ma non abbastanza da sfuggirle. Si erano trasferiti in America dall’Italia contro il volere della famiglia e, dal momento stesso in cui avevano abbandonato casa, la loro era stata un’odissea.
Avevano perso i genitori all’età di tredici anni (lei) e diciassette (lui) ed era stato un così duro colpo per entrambi che, per mesi, avevano vissuto in una condizione di apatia  permanente. Nulla, all’infuori del dolore sordo che covavano nel petto e che stava conducendo al collasso i loro cuori, era parso tangerli: non la rassegnazione, non la serenità, men che meno la felicità. I loro zii erano stati meravigliosi, li avevano accolti in casa con molta più accondiscendenza di quanto non avessero mostrato per le marachelle dei figli, e si erano preoccupati di non fargli mancare niente; li avevano portati con sé in vacanza, li avevano vestiti con i migliori capi d’abbigliamento e avevano fornito loro un’istruzione magistrale, l’unico sbocco al dolore che sia Amelia che Fabio erano riusciti a trovare nel corso della loro vita successiva al momento della tragedia. Prendere la decisione di recarsi negli Stati Uniti, così lontano dalle loro radici, senza aver ricevuto l’approvazione del resto della famiglia, era stato un gesto azzardato e meschino, in particolar modo nei confronti di chi si era preso la briga di crescerli con lo stesso amore di una madre o un padre biologici. Non avevano informato nessuno sulla loro destinazione e la loro nonna era quasi morta di crepacuore, quando era venuta a sapere della loro sparizione; avevano rischiato di farle prendere un infarto anche qualche mese dopo l’arrivo negli USA, quando avevano telefonato per rassicurarli sulle loro condizioni di salute e renderli partecipi della loro nuova vita. La nonna aveva pianto tutto il tempo e la zia era sembrata così arrabbiata da far temere ad entrambi di essere stati degli incoscienti; ma il danno era stato fatto e nessuno dei due aveva minimamente pensato di tornare indietro. L’America aveva rappresentato per loro la possibilità di un nuovo inizio, il luogo ove nessuno conosceva la loro storia e avrebbero potuto essere tristi, spensierati, persino scapestrati senza dover rendere conto di nulla.
Ripensandoci, Amelia cercò lo sguardo del fratello e, sebbene la sua espressione non fosse minimamente mutata, seppe di essere stata capita.
«…Quindi, trattatela con tutti i riguardi dovuti ad una signora e accoglietela calorosamente. Senza esagerare, sia chiaro!»
Fu tutto quello che Amelia riuscì a sentire, prima che un discreto rumoreggio si levasse dai presenti in sua direzione, e la diffidenza nei loro volti apparve in maniera così lampante che non si stupì avessero fatto cilecca nei casi in questione: decifrare i loro comportamenti era semplice come togliere le caramelle ad un bambino, inducendolo in inganno.
»«Tesoro, vorresti dire qualche parolina ai tuoi colleghi, qualcosa che, magari, ho omesso per sbaglio?» continuò Fish – Era così che lo chiamavano tutti informalmente, parlando tra di loro! – con voce melodiosa, rivolgendosi direttamente a lei con voce suadente e sguardo di sfida. Voleva metterle pressione addosso, voleva rendersi conto di quanta verità ci fosse stata nelle parole del signor McIntosh quando gliel’aveva raccomandata come l’apprendista più promettente che avesse mai avuto. Allontanandosi dalla parete ed affiancandosi all’uomo, passò in rassegna i suoi colleghi con uno sguardo rapido; infine, tornò su Fish.
«Non c’è nulla che lei non abbia già detto che valga la pena sapere in questa sede…» tagliò corto e i suoi occhi furono così fermi e taglienti che l’altro non ebbe dubbi sulla tempra della giovane; aveva l’atteggiamento giusto, glielo riconosceva, ma ciò, di certo, non significava che fosse necessariamente tutta quell’eccellenza di cui gli avevano parlato. «Ora, so che avete poche cose tra le mani, o molte mal gestite, su un omicidio piuttosto cruento sulla Russell Street. Vorrei i dettagli!» proseguì e vide gli occhi del comandante dilatarsi e un sorriso increspargli le labbra.
«Caspita! Dritta al sodo, vedo. Mi piace, zucchero!» commentò e Amelia lo trovò più che inappropriato. Il suo sopracciglio s’inarcò quel tanto che bastava a sottolineare il suo scetticismo, rispetto alla confidenza che lui aveva cominciato ad usare, e il suo studio ne seguì le movenze finché non realizzò cosa stesse per insinuare, quando gli occhietti sospettosi di lui si posarono su uno dei suoi stessi uomini. Fabio.
«Qualunque insinuazione stia per fare, signor Fish, vorrei ricordarle che l’agente Sperelli non ha lasciato il comando di polizia da stamattina e che il caso risale proprio alle prime ore del giorno. Inoltre, non è l’unico episodio per cui sono stata chiamata!» gli fece notare e osservò l’espressione dell’altro aprirsi in manifesto compiacimento. Finché il ferro era caldo, Amelia decise di battere su di esso, dimostrando a Fish e ai presenti che non aveva intenzione di giocare, né di essere presa in giro. «Le sue reazioni mi lasciano perplessa, signore. Ha ricevuto le mie referenze ed è consapevole del fatto che io sia un investigatore privato oppure mi ha scambiata per la donna delle pulizie?» chiese, retorica e spiccia, e godette quando scorse i lineamenti dell’uomo indurirsi a testimonianza del fatto che non avesse gradito per niente la sua impudenza, non di fronte al resto del comando di polizia.
«Scott, accontenta la signorina Sperelli e forniscile i dettagli sul caso!»
L’agente, celere ed efficiente, avanzò verso di loro e le porse un plico, sul volto un’espressione a metà tra il serio ed il divertito. Ringraziandolo, Amelia lo prese e, senza indugiare ulteriormente, passò in rassegna foto ed informazioni per una manciata di minuti, finché un nome non attirò la sua attenzione e le sue labbra non si distesero nel sorriso più bello e furbo che i suoi colleghi avessero mai visto.
«Oh-Oh! Kevin Finnigan, vecchio briccone!» esclamò senza troppa enfasi ma abbastanza soddisfatta. Era un pesce che aveva abboccato più volte al suo amo e ricordava con piacere gli episodi in cui aveva avuto modo di beccarlo in una faccenda o in un’altra, senza avere il potere di agire materialmente. La pecca del suo mestiere era quella: poteva seguire piste, raccogliere notizie, interrogare e schedare, ma nulla che avesse a che vedere con l’azione. Le cose, da quel momento in poi, sarebbero state diverse! «Incensurato, cocco di mamma, vive ancora a casa dei suoi; l’ultima volta che ha avuto un approccio sessuale con un essere che avesse vagamente le sembianze di una donna, nel maneggio del padre di lei, si è beccato il calcio di un cavallo alla coscia: femore rotto, un mese e mezzo di inattività dalla vita in giù… E sai che guaio!» si lasciò scappare e una sommessa risata collettiva si alzò attorno a lei. «Non credo sia lui il vostro problema, non quello principale almeno. E’ ricco ma stupido, il che significa più facile da infinocchiare per una donna. E’ anche un uomo, però, e, sebbene ne conservi molto vagamente le sembianze, non ama essere scaricato. Non ha la fama di avere un buon carattere!» comunicò loro e, quando alzò lo sguardo su Fish, scorse per la prima volta un cipiglio interessato, genuinamente sorpreso ed attento. Aveva la tipica faccia da poliziotto e stava rimuginando sulle informazioni che lei gli aveva appena fornito.
«Quindi, pensi che sia il passaggio centrale ma non quello finale, giusto?»
«Esattamente. Non si macchierebbe mai di un reato simile: sua madre è una fervente cattolica e, se soltanto osasse sporcarsi le mani di sangue, non verrebbe soltanto sculacciato ma privato dell’intera eredità. La signora Finnigan sa essere molto dura, quando serve.» gli fece sapere e ricambiò appena il sorriso che l’altro le aveva rivolto, intimamente compiaciuta della fortuna avuta. Mai si sarebbe aspettata di poter dimostrare la propria bravura in tempi così brevi e mai si sarebbe aspettata di rincontrare Finnigan sulla sua strada. Sarebbe stato un ricongiungimento molto interessante.
«Ottimo. Adesso, zucchero, scegli un compagno con cui lavorare in squadra…» la invitò, indicando con un gesto ampio della mano i presenti e spingendola ad optare per la persona che si fosse dimostrata, a pelle, a lei più incline. «Tieni in conto che manca l’agente Thomas, ma non è un tipo facile con cui lavorare. Vuole fare tutto da solo e ha un gran caratteraccio. In compenso, è il migliore con cui abbia mai lavorato in anni di carriera.» la informò, ma per Amelia l’informazione fu meno che rilevante. Non le interessava lavorare con una persona egoista e piena di sé; voleva il gioco di squadra, voleva la complicità, voleva la fiducia. Dei segreti e delle mezze verità non avrebbe saputo che farsene, ma, soprattutto, non aveva intenzione di perdere tempo in stupidi giochetti.
Lentamente, il suo sguardo corse sui presenti e nulla la colpì in particolar modo, perché nessuno di loro le concesse l’accesso ai suoi pensieri o alle sue abilità; rimasero tutti impassibili e, salvo qualche osservazione d’apprezzamento verso di lei, non ebbe grandi elementi su cui basarsi. Fu sul punto di scegliere una persona a caso, quando, per puro errore, la sua attenzione si posò su un ragazzetto biondo, con grossi occhiali trasparenti e lo sguardo di chi avrebbe voluto molto di più dalla vita ma non sapeva come prenderselo. Doveva avere all’incirca un anno meno di lei.
«Quell’agente lì!» disse, indicandolo, e gli altri si voltarono in direzione della persona che, sgomenta, aveva alzato gli occhi in sua direzione, spalancando la bocca. Amelia gli rivolse un sorriso sicuro e ammiccò nei suoi confronti.
«Tesoro, non fai un buon affare, credimi. E’ pressoché un buono a nulla.» commentò Fish e la osservò con uno strano cipiglio, cercando di comprendere quale fossero i suoi piani.
«Sarà lui il mio compagno, signore. Ha una sua postazione, vero?» domandò e fu così pedante che il comandante provò l’impulso di metterla al suo posto.
«Ovviamente. E sarà anche la tua da domani!»
«Perfetto!» disse.
 
 

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Capitolo 2
*** Tanto rumore per nulla! ***


 
II Capitolo.
Tanto rumore per nulla!
 
La notte è uno dei momenti a cui la maggior parte degli individui tende nel corso di un’intera giornata: rappresenta l’esatto istante in cui ci si concede al riposo, alla possibilità di riflettere in un’atmosfera abbastanza silenziosa e rilassata, e, per i più fortunati, implica condividere il letto, l’affetto e i pensieri con la persona che sia stata designata come la prescelta per quel compito ingrato ma appagante.
Non è semplice per nessuno – O quasi! – lasciar entrare un estraneo nella parte più intima di sé. E’ rischioso e, talvolta, persino deleterio. A dispetto delle convinzioni più ottimistiche, l’essere umano non è fatto per la bontà: persiste, nel suo carattere, un anfratto buio e spesso nascosto, al quale non è possibile accedere senza alcun permesso; una nota stonata, intimamente disarmonica, a rovinare la privata composizione dell’animo; un suppellettile disadorno in una casa bisognosa di dettagli. La parte peggiore di una donna o di un uomo non sale mai a galla senza ragione e non si presenta come primario elemento per un qualunque rapporto. Difficilmente, nella vita, si può dire di aver conosciuto individui in grado di ammettere e disporre in prima linea i propri difetti, laddove ancora non si siano mostrati i pregi, perché il corso di una conoscenza segue, usualmente, schemi prestabiliti che iniziano col dare il meglio di sé e terminano con la scoperta di loschi, insopportabili segreti.
Per i poliziotti, tuttavia, la vita notturna non era nulla di tutto ciò. Non aveva a che vedere con le filosofiche elucubrazioni, con le letture, con le romantiche condivisioni, bensì con un turno alla stazione di polizia o in giro per la città, condividendo un panino farcito ed una tazza di caffè con il collega assegnato dal caso. Nei giorni migliori, era concesso loro, con turnazione prestabilita, il lusso di un profondo, corroborante sonno senza sogni, atto a lenire le fatiche del corpo e della mente, sempre vigile per deformazione professionale, e, una volta a settimana, potevano prendersi una meritata pausa da un lavoro che, sovente, s’intrecciava con la vita di tutti i giorni.
La routine, a Lewiston, non era noiosa come in molte altre cittadine del Maine e, sebbene non vantassero nessun primato in quanto a criminalità organizzata, la situazione si era fatta discretamente più torbida da qualche anno a quella parte. Carichi di droga sempre più consistenti avevano cominciato a girare, le morti per overdose si erano triplicate ed avevano avuto inizio le lotte tra clan; da mesi, seguivano piste tra le più disparate nell’intento di pervenire ad una soluzione, ma, benché fossero stati più volte prossimi alla conclusione definitiva, avevano sempre mancato, di poco, l’obiettivo. Era diventato frustrante occuparsi di quei casi tanto quanto investigare sui recenti omicidi e furti che avevano sconvolto gli abitanti del luogo: per quanto alcuni di essi fossero collegati allo smercio della polvere bianca, ve n’erano stati due che avevano colpito l’opinione pubblica e la cui risoluzione aveva acquistato sfumature più nitide da quando la giovane Amelia Sperelli era stata chiamata in loro soccorso.
L’agente Christopher Thomas, tornato due settimane circa dopo l’arrivo di lei, era rimasto profondamente contrariato da quella richiesta d’aiuto, ritenendola inappropriata ed offensiva per gli sforzi che sia lui sia il resto della squadra avevano sostenuto per venirne a capo. Inoltre, per quel che ne sapeva, era una giovane donna di ventiquattro anni, che aveva scelto di lavorare con il più imbranato della stazione di polizia. Quanto credibile poteva essere la sua posizione? E cosa avrebbe potuto contro dei criminali veri e propri, se il duo ne avesse incontrati alcuni lungo la strada? Riconosceva che il fratello di lei avesse stoffa da vendere e, in base a quanto gli era stato riferito, sembrava che la ragazza ne avesse ereditato la tempra ed il caratterino, ma continuava a diffidare delle opinioni dei colleghi che lo avevano avvisato di non sottovalutarla, convinti che avrebbe potuto riservare loro molte più sorprese di quante non credessero.
Guardando fuori dal finestrino dell’autopattuglia, col mento poggiato sul palmo della mano, Christopher osservò lo squallore del quartiere presso il quale si trovavano: era un’ex rispettabile zona residenziale ridotta allo sfacelo dalla povertà e dalle losche attività di chi vi abitava; si trattava di una serie di piccole case poste l’una accanto all’altra, separate da grate improvvisate atte a delimitarne i rispettivi, incolti giardini; vi si erano stabilite persone di colore, americani con intenzioni davvero poco onorevoli, individui pericolosi e alcuni spacciatori di bassa lega che si erano dimostrati abbastanza furbi da non farsi ancora beccare, consapevoli che la polizia stesse cercando pesci molto più grossi. Alcune tra quelle famiglie, però, erano semplicemente state troppo sfortunate per aspirare ad una vita migliore e l’agente ne conosceva talune formate da gente così perbene che, se avesse potuto, avrebbe aiutato lui stesso a risollevarsi.
Divertito, il suo sguardo critico indugiò su un giardinetto affollato più del dovuto, cosparso di luci e presso il quale era presente un tavolo di vivande ed alcolici che sarebbero bastati a richiedere un loro intervento. Soffermandosi sulla quantità di gente che, riversata all’interno del perimetro di fronte la casa ma anche nella porzione di strada immediatamente oltre il cancelletto, ballava, cantava e gioiva, si chiese quale fosse la motivazione di quella festicciola che sembrava avesse coinvolto buona parte del quartiere, ma, soprattutto, quanto scalpore avrebbe potuto destare un loro intervento. Da lontano, scorse i figli di un’abbondante signora di colore che lo adorava come fosse suo nipote e dalla quale passava spesso per sapere se ci fossero movimenti sospetti nella zona; era diventata la sua informatrice di primordine, sebbene si fosse sempre curato di far apparire le sue visite casuali come non mai per non crearle problemi.
«Sei peggio di una tomba, amico. Preferirei essere in coppia con quella gran gnocca della Sperelli!» esordì il collega Martinez e Chistopher si voltò in sua direzione con un gran sorriso sulle labbra, prima di lasciarsi scivolare sul sedile ed assumere una posizione più comoda, la stessa che, possibilmente, gli avrebbe conciliato un sonnellino. L’esclamazione dell’altro non lo aveva offeso, piuttosto incuriosito ulteriormente sull’identità della giovane: era tornato da appena due giorni ed aveva sentito commenti così piccanti su di lei da avergli reso difficile resistere all’idea di recarsi presso casa sua e verificare la veridicità delle voci.
«Ma è proprio tutta questa bellezza?» azzardò e, in tutta risposta, dalla bocca dell’altro si levò un fischio d’apprezzamento più che chiaro. Ridendo sommessamente, Christopher tentò di figurarsela un paio di volte e, in ognuna di esse, la sua immaginazione corse su curve prosperose vestite da abiti molto più che succinti… In effetti, nella sua mente, si erano stagliate le immagini di alcune delle donne più sexy con cui fosse andato a letto negli ultimi tempi, compresa l’ultima conquista rimorchiata nel periodo di vacanza dai suoi. Era valsa ogni minuto del suo tempo, dentro e fuori dal letto.
«Amico, lasciamelo dire, è proprio uno schianto. Ha quell’aria da snobettina che, di per sé, ti spinge a castigarla e un corpo che Dio solo sa com’è riuscito a crearlo. E’ il mio sogno erotico da settimane, quasi a pari merito con la Anderson.» gli confessò, mentre estraeva uno dei panini che avevano portato con loro, lo spezzava e ne porgeva educatamente una metà a Christopher. Avevano più o meno la stessa età ed erano riusciti a legare tra una birra ed un’altra; Sean era un ragazzo un po’ meno sveglio dell’altro, un sempliciotto che, spesso, parlava troppo ma altrettanto in gamba come poliziotto. Se non lo fosse stato, del resto, non si sarebbero trovati insieme né in quel caso né mai. «Quando ha scelto quell’imbecille, mezza checca di Luke Generoso, ho visto tutte le mie speranze svanire in un solo colpo. Non dà molta confidenza la tipa, sai?» proseguì, scandendo a fatica le parole, mentre masticava l’ennesimo boccone e lo mandava giù con una sorsata d’acqua. Chris sapeva che l’amico avrebbe preferito decisamente qualcosa di più fresco e piacevole al palato per dissetarsi e non nascondeva di averne egli stesso desiderio, ma erano in servizio e il dovere veniva prima di ogni altra cosa. «Secondo me, è il tuo tipo, bello!» aggiunse, infine, quando realizzò che, senza il suo intervento, l’altro non si sarebbe profuso in alcun commento. L’agente Thomas era un uomo poco propenso a confidenze quando si era a lavoro, ma, di tanto in tanto, Martinez riusciva a strappargli fuori una conversazione quantomeno decente. Quella sera, tuttavia, sembrava praticamente impossibile e il portoricano si chiese se non fosse successo qualcosa, durante quelle due settimane d’assenza, che avesse a che vedere con quell’accentuato mutismo.
«E cosa te lo fa pensare, sentiamo..?» ribatté Christopher, incuriosito dall’osservazione del collega. Si conoscevano abbastanza l’un l’altro e non capitava di rado che, sfacciatamente, uno dei due si invitasse a cena a casa del rispettivo amico per trascorrere una serata meno solitaria del previsto, forti del fatto che non avessero una famiglia alle spalle; e mai, in tutto quel tempo, Martinez si era permesso di avanzare una simile supposizione rispetto a qualunque donna nei paraggi avesse riscosso il loro interesse.
«Mi sembra un tipo di quelli che non te la danno vinta nemmeno sotto tortura, una di quelle che non casca in ginocchio non appena passi come avviene di solito. Credo che il tuo fascino farebbe cilecca con lei, capo.» lo informò, scoppiando a ridere subito dopo. L’idea di Christopher contrariato per un rifiuto lo divertiva come poche altre cose e non nascose a se stesso di volersi godere appieno il momento in cui fosse accaduto.
«Tu dici? E perché lei dovrebbe essere immune?» chiese presuntuosamente.
«Perché non sei il tipo che fa per lei, Chris. Sei troppo sborone per i suoi gusti.» rispose e fu parecchio serio, mentre addentava per l’ultima volta il suo panino e ripuliva la divisa blu scuro dalle molliche cadutegli addosso.
«Pensi che le piacciano i tipi come Generoso?» domandò ancora e imitò l’altro, mentre abbassava appena il finestrino per far cambiare l’aria nell’abitacolo. Una folata di vento gelido, insinuandosi attraverso la fessura lasciata volontariamente aperta da Christopher, s’introdusse e squarciò il calore interno con inaudita assenza di tatto. Inspirando profondamente, l’uomo godette della sensazione di rinvigorimento che i suoi polmoni provarono e accolse con un sorriso il loro ringraziamento.
«Ma, dico, ti ha dato di volta il cervello?!» fece Martinez, fiondandosi contro lo sportello opposto al suo e ponendo rimedio alla follia del collega. «Con questo freddo, come ti viene in mente di fare una cosa simile?»
«Sei un uomo grande e grosso o una femminuccia petulante? Guarda quelli là quanto si divertono. Altro che freddo!» lo rimbeccò, indicandogli il gruppo rinfoltito di persone che si era riunito attorno alla casa sulla quale era precedentemente caduto il suo sguardo. Con la coda dell’occhio, scorse Martinez seguire il suo invito e, subito dopo, scattare al suo posto, gli occhi sbarrati e una strana espressione a metà tra lo sconvolto e l’assuefatto. Improvvisamente, si voltò verso di lui e, per un attimo, Christopher temette di dovergli assestare un gran bel colpo in testa, se solo avesse osato fare una mossa azzardata.
«Guarda là! Vediamo se la trovi o no tutta questa bellezza…» lo provocò e le sopracciglia dell’uomo al suo fianco si inarcarono visibilmente.
Indirizzando la propria attenzione verso il punto di poco prima, i suoi occhi scorsero qualcosa che, poc’anzi, non era stata di certo in quella posizione. Centottanta centimetri di sinuosità, avvolti in un fasciante vestitino in lana grigio, accordato con calze ricamate di una tonalità appena più chiara, si stagliavano dinanzi a loro con tutta l’impudente sensualità di cui una donna del calibro di Amelia Sperelli poteva essere compunta. Mentre la osservava muoversi a tempo di musica con disinvoltura, incurante del fatto che due suoi colleghi la stessero studiando molto più che attentamente, la giovane scostò una lunga ciocca di capelli oltre la fronte e tornò a scatenarsi tra la folla sulle note di una canzone latinoamericana che, di minuto in minuto, sembrava avesse invaso l’autopattuglia con persino maggiore prepotenza del freddo.
«E’ un demonio, quella donna!» fu tutto ciò che Martinez riuscì a dire per rompere il silenzio che si era creato, mentre entrambi la osservavano muovere i fianchi con spregiudicatezza e ridere all’indirizzo di qualcuno che non si preoccuparono di individuare, almeno finché non la videro allungare il braccio e invitare questi ad avvicinarsi a lei con l’indice. Quando si focalizzarono sulla persona che stava avanzando verso l’altra con passo decisamente meno sensuale di quanto la donna in questione non meritasse ma con molta più disinvoltura di quanto si fossero mai aspettati, i due rischiarono una sincope. «Quello non è Luke Generoso? Cristo Benedetto, sto avendo un’allucinazione, ne sono sicuro!»
Prendendolo per le braccia, Amelia portò una mano del biondino sulla sua schiena e tenne l’altra fermamente ancorata alla propria, mentre cominciava a muoversi con la stessa abilità di una brasiliana il giorno del Carnevale a Rio. E, con infinita sorpresa, il ragazzo che avevano sempre considerato un imbranato rispose con altrettanta disinvoltura, lasciando intendere ai colleghi di aver avuto spesso quel genere di contatto, se non con lei, con altre donne.
Christopher non avrebbe saputo affermare cosa l’avesse lasciato più basito: se l’avvenenza della giovane o la scoperta vena da seduttore di Luke. Da un canto, infatti, per quanto palesemente positivi fossero stati i commenti di Martinez e degli altri a lavoro, non avrebbe mai pensato che potessero rappresentare una realtà tanto sconvolgente; dall’altro, la sua mente non era avvezza – Né mai lo sarebbe stata! – all’idea dell’agente Generoso in simili circostanze. Se lo avessero tramortito con un piede di porco, la sensazione sarebbe stata meno sgradevole, ne era certo.
«Lei sta andando via… Deve averla disgustata!» lo riportò alla realtà Martinez, spingendolo a ridestarsi dalle riflessioni che, importunandolo, avevano sopraffatto la sua mente. Assottigliando lo sguardo, vide la donna, con cui non aveva ancora avuto modo di conversare, gettare un’occhiata rapida in tutte le direzioni, controllare il cellulare e immettersi in un’ampia strada a passo piuttosto spedito.
«Metti in moto, lascia le luci spente e fai il giro. Sta per incontrarsi con qualcuno!» gli disse e Martinez seguì, pur perplesso, le sue istruzioni: diede gas al motore, inserì la prima e svoltò a destra anziché a sinistra, percorrendo rapidamente – Ma non tanto da dare nell’occhio! – le strade che li avrebbero condotti ancoranonavevacapitodove. «Accosta qui!» gli ordinò, ad un certo punto, l’agente Thomas e, lieto di poter porre fine a quell’incomprensibile inseguimento, fu sul punto di chiedere all’altro cosa diavolo fosse accaduto; dovette fermarsi, tuttavia, nell’esatto istante in cui, con la coda dell’occhio, vide Amelia in compagnia di un uomo di media altezza, non propriamente in forma, il cui volto gli ricordava qualcosa, o, meglio, qualcuno… Sbarrando gli occhi, faticò a credere a quello che gli si stava parando davanti: quello era Kevin Finnigan.
La conversazione giunse alle loro orecchie con molta più nitidezza di quanto non avessero sperato…
«Cosa vuoi da me, eh? Non è un posto raccomandabile, questo, e non mi va che, vedendomi, qualcuno possa sospettare che io sia invischiato in affari loschi. Ho già il fiato sul collo della polizia; non mi servono altre rogne.» le disse, spiccio, mentre Amelia, seduta su un muretto decisamente malmesso, accavallava le gambe, poggiava il gomito contro la coscia e adagiava il viso sul palmo della mano. Civettuola ma ferma con lo sguardo, gli sorrise e si prese gioco di quelle sue preoccupazioni, servendosi solo ed esclusivamente della sua pacatezza; era uno schiaffo abbastanza evidente se raffrontato con l’agitazione dell’altro.
«Amore…» lo adulò in italiano, consapevole del fatto che avrebbe colto vagamente il reale significato di quelle parole e più distintamente il sarcasmo della voce. «…Non hai nulla di che preoccuparti, finché sei con me. Voglio soltanto fare due chiacchiere. Sai come sono fatta…» fece lei e, in maniera velata – Ma neppure troppo! –, gli ricordò i loro precedenti incontri; come in passato, un velo di sudore imperlava  la fronte di Kevin e gli occhietti si muovevano di qua e di là nel tentativo di scorgere qualunque elemento sospetto potesse spingerlo a darsela a gambe.
«Io non ho mai voluto chiacchierare con te, dolcezza. Sei una così bella donna. Perché ti ostini ad avere a che fare con tutto questo schifo e non ti prendi un po’ di Kevin? Sai, potrei perdonarti per tutti i rifiuti passati…» affermò e, appena un istante dopo, una sonora risata femminile s’irradiò nell’aria, smentendo l’apparente serietà di quell’invito a nozze per il divertimento. Amelia si tirò indietro, raddrizzando la schiena e, una volta alzatasi dalla sua postazione, lo fronteggiò e incrociò le braccia al petto.
«Smettiamola con i giochetti, Kevin. Spiegami cosa diavolo stai combinando e giuro che tua madre non saprà nient’altro e non riceverà più lettere anonime con strane storie sul tuo conto… Parola di scout!» esclamò e, facendosi beffa di lui, portò la mano destra all’altezza del petto, laddove batteva, con rintocchi nitidi e placidi, il suo cuore di giovane donna battagliera. Dalla sua postazione, le labbra dell’agente Thomas s’inclinarono in un sorriso.
«Brutta…» fece per dire, ma dovette arrestarsi non appena osservò una nota strana modificare le fattezze della sua smorfia ridente, trasformandola in un ghigno che – E, oramai, lo sapeva bene! – non prometteva nulla di buono.
«Cosa, Kevin? ‘Brutta’ cosa?» domandò, mentre portava una ciocca di capelli dietro l’orecchio, impassibile.
«Brutta storia, ecco cosa. Io non c’entro niente con quello scempio.» cominciò e una grossa vena gli si gonfiò sul collo; si guardava nervosamente in giro, quasi temesse di poter essere udito e di potere finire nei guai. Amelia fu certa del fatto che stesse dicendo la verità. «Andavamo a letto e mi piaceva anche parecchio come donna; ma a lei non piaceva il mio carattere, schizzinosa dei miei stivali.» proseguì e le sue labbra si modellarono in un’espressione di muto disprezzo. La ventiquattrenne volse una leggera occhiata in basso, osservando il movimento convulso delle mani dell’uomo, e, istintivamente, fece un passo indietro, stando bene attenta a non rendergli palese l’intento di voler prendere le distanze: Kevin Finnigan era un tipo violento, non pericoloso, certo, ma non desiderava dargli motivo per saltarle addosso; quella sera, non era in vena per una colluttazione. «Dovevo farle regali costosi per farmi perdonare quando, per sbaglio, la colpivo o quando rompevo qualcosa in casa sua, e le piacevano parecchio. Dopo un po’, però, ha smesso di accettarli: non le bastavano e non mi voleva. Capisci? Per l’ennesima volta, venivo scaricato…» tentò di farle capire e, per attenuare la tensione, cominciò a passeggiare avanti e indietro, passando la mano tra i radi capelli che rimanevano ancora sul suo capo. «Ho provato a farle cambiare idea, a dirle che sarei migliorato, ma non c’è stato verso. Così, ho fatto una cosa di cui mi vergogno da morire e che vorrei non aver fatto…» le disse ed Amelia s’irrigidì. Era convinta che non fosse stato lui ad ucciderla, ma il suo sesto senso le suggerì che quanto avrebbe sentito l’avrebbe disgustata poco meno di un omicidio confessato. Quando lo vide arrestarsi e guardarla con gli occhi rossi, gonfi di lacrime, provò un moto di tenerezza per lui: non perché la meritasse, non perché fosse una persona perbene, non perché Amelia avesse il cuore tenero… Provò tenerezza per la sua solitudine e per la sua disperazione, perché, per quanto tempo avesse sprecato nel tentativo di farsi amare, usando addirittura l’esca del denaro, rimaneva un uomo tristemente, indicibilmente solo. «Ho scoperto che se la faceva con il suo ex-marito, che stavano provando a rimettere in sesto la loro famiglia e, dopo tutto quello che le aveva fatto, non riuscivo a crederci. Così, sono entrato nella sua camera da letto, rompendo il vetro della finestra, ho legato la maggiore delle sue figlie ad una sedia e l’ho costretta ad assistere ad un rapporto sessuale tra me e sua madre.» sfiatò e, piegatosi in due, cominciò a piangere come un bambino, singhiozzando e farfugliando incomprensibili scuse ad un Dio in cui, probabilmente, non aveva mai creduto. Amelia strinse i pugni, reprimendo a stento tanto i conati di vomito quanto l’impulso di scaraventarglisi contro e picchiarlo, e dovette richiamare a sé ogni più piccolo briciolo di autocontrollo per rimanere in silenzio. Un’ondata di calore, a dispetto del freddo circostante, la colpì al viso e sentì gli zigomi arrossarsi visibilmente. Quando, con l’impeto di un predatore, Kevin si accostò a lei, così vicino al volto da respirarle contro la pelle, il tempo parve fermarsi. «E’ stato suo marito, è stato lui…» sussurrò e gli occhi della giovane donna si sbarrarono, mentre prendeva forma una delle sole ipotesi che la polizia non aveva neppure vagliato, nonostante le sue insistenze. Se non fosse stata tanto disgustata, avrebbe esultato tra sé e sé. «Guarda cosa mi ha fatto…» le disse e, slacciando rapidamente i bottoni della pesante camicia di flanella, le mostrò l’incisione vivida e vagamente sanguinolenta che gli avevano lasciato sulla pelle. Numero 3.
«Cosa significa?» chiese, guardandolo dritto negli occhi.
«Ha detto che verrà a farmi visita tre volte e che, per ognuno dei figli che l’ho costretto ad uccidere, si porterà via un pezzo di me…» rispose e due grosse stille rotonde caddero dai suoi occhi, estinguendosi in prossimità del mento, preso da un tremito convulso che gli permetteva a stento di articolare quei sussurri. «Aiutami, ti prego. Sono una persona orribile, lo so, ma non sai di cos’è capace quell’uomo.» la supplicò e, nel farlo, le prese la mano e la strinse. Le dita viscide di lui mantennero poco la presa sull’arto di lei, che prontamente lo liberò, servendosi di un movimento secco e deciso. Solo in un secondo momento, Amelia si rese conto di star stringendo, in quella stessa mano, un piccolo cartoncino. «Chiama a questo numero e dì che sei una mia amica. Adesso, devo andare!» fece lui e, prima ancora che la giovane potesse ribattere, lo sentì correre alle sue spalle.
Strategicamente, Amelia finse di controllare un orologio che non possedeva, si guardò intorno, alzò uno dei mattoni del piccolo muro sul quale si era seduta e fece finta d’incastrarvi qualcosa. Poi, imboccò una strada alla sua sinistra.
*
Erano trascorsi una ventina di minuti circa, dal momento in cui l’insolito duo, formato dall’investigatrice privata più sexy del Maine e dall’essere meno avvenente della stessa Nazione, aveva lasciato la postazione, e l’autopattuglia con a bordo gli agenti Thomas e Martinez non si era mossa di un solo passo. L’aria era carica di tensione dentro l’abitacolo: per quanto entrambi si fossero impegnati nel tentativo di catturare gli ultimi stralci di conversazione tra l’uomo e la donna, nessuno dei due aveva carpito la benché minima informazione a riguardo. Era frustrante per due poliziotti del loro calibro essere surclassati, istintivamente e in quanto a tempistica, da una ventiquattrenne che, senza troppa fatica, sembrava essersi assicurata la testimonianza più veritiera e produttiva che Kevin Finnigan avesse mai rilasciato, da quando le indagini sul caso della Russell Street avevano avuto inizio. L’unica speranza che nutrivano era che, di lì a breve, uno dei due ritornasse: avevano visto Amelia muoversi furtivamente, calcolare i tempi e chinarsi per controllare o mettere al sicuro qualcosa, ma, quando Christopher era sceso per controllare il muro in questione, non aveva trovato nulla che potesse compiacere il suo io poliziesco. Né lui né l’amico erano riusciti a proferire parola, rispetto all’inerzia del loro agire, ed avevano trascorso gli ultimi dieci minuti tentando di sopportare le note spensierate che il quartiere sembrava profondere con tanta prodigalità.
Fu un rumore contro il vetro accanto a Martinez che, oltre a catapultarli con violenza nel mondo reale, attrasse la loro attenzione. Entrambi, alla vista dell’investigatrice Sperelli, rimasero quanto mai perplessi. Il portoricano abbassò il finestrino.
«Buonasera, Martinez!» lo salutò, la mano poggiata contro il tetto dell’auto, piegata in avanti così da poter essere all’altezza del viso dell’agente. «Trovato qualcosa sotto i mattoncini?» domandò ed un moto di stizza s’impossessò di Christopher, quando realizzò di aver fatto il suo gioco. Senza rendersene conto, si erano fatti infinocchiare da un metro e ottanta di bellezza italiana tutta da domare. «Avete mai sentito parlare di agenti in borghese? Ho dovuto sudare sette camice per convincere le persone del luogo a non saltarvi addosso.» gli comunicò ed entrambi dovettero ammettere di non essere stati magistralmente accorti nel nascondere la loro presenza ai più. Una pattuglia della polizia, che si aggirava in piena notte per quei quartieri, non poteva passare inosservata. «Discrezione, la prossima volta…» li ammonì e fece per andarsene, prima che, compiuto qualche passo, non decidesse di tornare indietro. «Per la cronaca, l’investigatore privato sono io; quindi, lasciatemi fare il mio lavoro. E’ già complicato senza dover badare a due trentenni che non hanno la benché minima idea di come si indaghi su un caso come questo. Le seccature non mi piacciono. Spero di essere stata chiara!» concluse e, nel farlo, per la prima volta, cercò e trovò lo sguardo d’acciaio dell’agente Thomas, al quale rivolse un sorriso saccente, carico di sufficienza. «Tanto rumore per nulla. Mi aspettavo di meglio!»

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