The liberty's perfume

di FCq
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Fratelli ***
Capitolo 3: *** Londra ***
Capitolo 4: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Buon pomeriggio a tutti! Questa è la prima storia originale che scrivo e ho pensato di postarla su efp. Ho quasi concluso una FF nel fandom di Twilight e mi sono "lanciata" in una nuova avventura. Fin ora ho sempre scritto in prima persona e questo è il mio primo esperimento con la terza persona, spero di non aver combinato un disastroXD Il prologo è abbastanza introduttivo nella storia. Se questa dovesse piacere continuerò a scrivere e postare ogni volta che il cap sarà pronto, in caso contrario la cancellerò. Ditemi cosa ne pensate, sono qui per imparare. Grazie in anticipo a tuttiXD
 
La ragazza sorrise – un sorriso di circostanza – all’uomo basso e sudaticcio dal volto paffuto e le grandi mani che le stava porgendo il resto. Ivanna afferrò le sterline, indugiando qualche secondo di più di quanti le sarebbero stati effettivamente necessari per contare il denaro restituitole dall’uomo, troppo felice nel vendere souvenir  a quell’ora del mattino, perché non le facesse pensare di avere qualcosa di losco e non la stesse perciò imbrogliando, approfittando del suo accento orientale e della sua poca dimestichezza con la lingua, che facevano di lei una straniera. Dopo qualche istante, più per irritazione che per reale certezza, decise che l’uomo al banco non era altro che ciò che sembrava, un onesto scozzese, e ripose le monete nel piccolo zaino a spalla. Talmente abituata al freddo della sua Mosca da non farci più neanche caso, il raggio di sole che colpì la sua pelle chiara e i suoi capelli color biondo platino la sorprese e destabilizzò più di quanto avrebbe fatto una corrente di aria gelida.
 ≪Ivanna... Ivanna, tesoro fa presto: dobbiamo entrare≫, si sentì chiamare la giovane dalla voce roca e profonda del padre. Dorian Petrov, i capelli biondi come quelli della figlia e uno smisurato amore per il mondo, era un uomo di poche ed essenziali parole. Nonostante Ivanna fosse costantemente invidiata dalle sue amiche a Mosca per la libertà e la fiducia concessale dal padre, entrambe eredità dei suoi trascorsi in occidente e dell’amore conseguito per quella cultura, la ragazza a volte tendeva a sentirsi ancora un po’ bambina, come fosse rimasta congelata nel tempo all’età di sei anni, quando la madre morì in un incidente stradale. Neanche a dirlo, il proprietario dell’auto che l’aveva investita non era mai più stato ritrovato, dopo esser fuggito dal luogo dell’incidente...
Da allora erano trascorsi sei anni, un tempo durante il quale alla giovane era sembrato di vivere  la vita con solo la metà di se stessa. Una parte non sarebbe mai più ritornata e ciò le causava un opprimente ed egoistico senso di solitudine.
Il ricordo che aveva di sua madre era quello di una bellissima donna di origini americane, con occhi verde smeraldo, capelli castani e la pelle dorata, sulla quale sembrava splendere costantemente il riflesso del sole della Florida. E certo, ricordando l’amore tra i suoi genitori, Ivanna non avrebbe mai immaginato che suo padre si sarebbe potuto risposare, quattro anni dopo la morte della madre, con la sua attuale matrigna. Karina non era scortese, poco intelligente o di aspetto sgradevole, ma a Ivanna semplicemente non piaceva. E proprio quella sua cortesia e quei suoi modi gentili non le avevano mai dato un motivo razionale per avercela con lei e per ciò Ivanna la soffriva ancor di meno.
Qualche mese dopo il matrimonio del padre e di Karina era nato Ivan, un adorabile bimbo con le fossette e i capelli castani, al quale Ivanna si era da subito affezionata -contrariamente a quanto era successo con la donna - e che ora sonnecchiava tra le braccia di Dorian. Quella mattina, il padre li aveva svegliati all’alba perché fossero tra i primi a visitare il castello di Eilean Donan.
Nei pochi mesi di vacanze estive, avevano viaggiato per l’intera Gran Bretagna, sfiorando anche le coste dell’Irlanda. Ivanna non amava viaggiare, era troppo affezionata alla sua città, esattamente come lo era stata sua madre, per poterla lasciare, ma, forse l’idea dell’imminente ritorno a scuola l’aveva spinta ad apprezzare quell’ultima sosta più delle altre. O forse, semplicemente, avrebbe adorato la Scozia in ogni caso. Chiunque provenisse dalla civiltà selvaggia e frenetica rimaneva spaesato di fronte agli immensi spazi verdi e alla semplicità del popolo, cresciuto tra miti e leggende, che proprio là in Caledonia non si poteva certo dire mancassero. E le enormi distese verdi e rosa d’erica, l’amore degli abitanti per il manzo ed il salmone, le scogliere a picco sul mare, la grande quantità di castelli, arte, storia e cultura costituivano una forte attrattiva per lei...
Persa nei suoi pensieri, non si accorse immediatamente che la lunga fila di fronte alle porte del castello si era diradata, permettendo così l’accesso. Corse all’interno del maestoso edificio per non rimanere indietro, ritrovandosi in quello che doveva essere il cortile interno del palazzo. Riconobbe immediatamente i capelli biondi del padre e il piccolo Ivan che si dimenava tra le sue braccia neanche avesse appena visto un fantasma.
≪… Nel 1719 il castello andò distrutto per mano dei Giacobiti e solo nei primi decenni del secolo scorso iniziarono i lavori di restauro durati un ventennio. Alla mia destra... ≫
La guida descriveva il castello inserendo qua e là eventi storici che lo riguardavano.
Nel momento in cui la giovane alzò gli occhi al soffitto per ammirarne pienamente la bellezza, una strana sensazione la scosse. Un allarme rosso che non sapeva di avere iniziò a lampeggiare peggio di un insegna al neon in strada in una notte buia. Non credeva nel paranormale, spiriti, anime perdute eccetera, ma per la prima volta nella sua vita, la sensazione di aver fin’ora errato nell’affidarsi alla razionalità la costrinse ad abbassare lo sguardo. Il cuore batteva con un ritmo frenetico. L’amore del padre per i viaggi e il suo spirito avventuriero avevano dato ad Ivanna la possibilità di visitare luoghi ben più suggestivi del castello di Eilean Donan, ma benché fosse innegabile la sua esperienza in materia, quel luogo la intimoriva. Ivanna si era sempre considerata una persona coraggiosa, in fondo, pensava, cosa c’è di più difficile e terrificante al mondo della morte della persona più importante della propria vita, in quel caso sua madre. Nonostante tentasse mentalmente di rassicurare se stessa, Ivanna, che si riteneva oltre che coraggiosa sufficientemente intelligente perché qualche mattone ricoperto da ragnatele non potesse in alcun modo spaventarla, iniziò a pensare che la sua paura non poteva essere puramente psichica.
Sentendosi per un momento sciocca, si guardò attorno, nel tentativo di scorgere qualche segno del suo stesso timore nei volti delle altre persone presenti in sala. I suoi occhi si posarono sulle figure di due anziani che scattavano foto in ogni dove, commentando con parole forbite la costruzione dell’edificio, su una giovane coppia, tutt’altro che interessata al palazzo e alle parole della guida, o semplicemente a chiunque altro al di fuori della loro piccola bolla privata, e su un paio di bambini, i cui timbri alti delle voci echeggiavano provocando un rumoroso ronzio. Nessun volto in quella stanza sembrava minimamente sfiorato dalle sue stesse sensazioni. Dopotutto, come avrebbe mai potuto aspettarsi che le stesse persone con macchine fotografiche usa e getta e vestite di cappelli con i più svariati loghi pubblicitari di quelle multinazionali che riuscivano a far propaganda senza che neanche loro se ne accorgessero, così tranquilli nel vivere la propria vita, riuscissero a cogliere i messaggi subliminali dei loro istinti di autoconservazione. Ivanna decise perciò di lanciare uno sguardo a suo padre, impegnato ad indicare qualcosa al piccolo tra le sue braccia, che aveva spalancato gli occhi e la piccola bocca, intuendo che neanche lui avesse percepito alcunché. E benché ciò non le facesse affatto piacere, permise ai suoi occhi di osservare anche l’espressione sempre dolce di Karina. Non si sorprese di notare in lei un certo disagio: sapeva da sempre quanto fosse acuta ed intelligente. La donna si guardava intorno, sciabolando gli occhi da una parte all’altra della stanza. Fu un attimo, ma le due incrociarono gli sguardi, condividendo la medesima paura. Quella soggezione fu l’unico tratto che Ivanna, consolata dall’idea di non essere definitivamente impazzita, accettò di avere in comune con lei.
La guida li condusse al piano superiore. Ivanna sapeva che alcune zone del castello erano chiuse alle visite turistiche e, approfittando per la prima volta della libertà concessale, si allontanò dal gruppo procedendo lungo un corridoio laterale. Avrebbe dovuto essere terrorizzata, o quando meno attaccarsi al braccio del padre, cercando la protezione nella sua figura imponente e rassicurante, ma la sua curiosità vinse su tutto.  E cosa meglio del mistero che sembrava celarsi dentro quelle mura avrebbe potuto stimolarla? Ivanna non sapeva ancora che Karina l’avesse vista e si apprestava a seguirla, anche lei curiosa come la bambina di scoprire se realmente nel palazzo di Eilean Conan si celasse qualcosa di inumano, che la sua fervida fantasia aveva già figurato nella sua mente.
Karina si apprestava alle spalle di Ivanna, sempre più confusa man mano che avanzava. Una sensazione di disagio l’aveva incupita, appena entrata nell’edificio. Non sapeva bene di cosa si trattasse, né il perché, ma qualcosa l’aveva fermata dall’impedire alla bimba di allontanarsi e saziare la sua curiosità.
Aveva amato Ivanna fin dall’inizio. Era rimasta colpita da quella bimba dagli occhi chiari, così maturi e curiosi per la sua giovane età. Ivanna non aveva mai detto nulla, ma a Karina le parole non servivano. Era a conoscenza del risentimento della giovane, benché non avesse mai usato con lei parole scortesi o atteggiamenti poco consoni ad un ospite, seppur sgradito. Karina non si sentiva in diritto di biasimarla perché la considerasse un’intrusa nella vita sua e di suo padre.
Entrambe le donne si immobilizzarono al suono stridulo di un pugno sferrato violentemente contro una superficie di legno. Ivanna non aveva preso in considerazione che quel luogo così macabro potesse essere abitato da qualcuno e quel rumore così fuori luogo l’aveva stupita, bloccandole il respiro in gola.
Dal lungo corridoio opposto a quello percorso dalle due giovani donne, un ragazzo camminava con passo svelto e silenzioso. Il giovane si passò una mano nella massa dei suoi capelli scuri come l’ebano, eredità del padre, chiedendosi il perché dell’urgenza con la quale quest’ultimo lo aveva convocato. Si immobilizzò d’improvviso, percependo la presenza di qualcuno dietro l’angolo. Gli occhi di Darren si posarono sulle figure minute delle due donne. La prima era poco più che una bambina, con lunghi capelli biondi e occhi chiari, la seconda, anch’ella immobile, seguiva la giovane a qualche metro di distanza. La sua figura era per metà nascosta dall’angolo nel quale sembrava essersi rifugiata. Il suo stesso passato di spia gli fece intuire che la ragazza bionda non avesse idea della presenza della seconda, che l’aveva evidentemente, e per un motivo a lui sconosciuto, seguita. Tanto velocemente che gli occhi umani delle due non avrebbero potuto percepire il suo passaggio, Darren si mosse arrestandosi alle spalle della donna.
≪Posso esserle d’aiuto?≫, chiese, palesando così la sua presenza.
Karina sobbalzò, udendo la giovane voce di un uomo alle sue spalle. Un brivido le percorse la schiene e qualcosa le suggerì che il gelo di quella voce era il motivo per il quale si trovasse in quel corridoio deserto, non fosse stato per loro, o, ancor peggio, la spiegazione alla sua iniziale sensazione di soggezione.
Si voltò lentamente e il suo sguardo si scontrò con quello blu e intenso del giovane uomo che aveva parlato.
Darren ghignò, avanzando di un passo nella direzione della donna, che deglutì rumorosamente. Nel frattempo, la bimba bionda si era voltata e fissava la scena con occhi sgranati, sorpresa per entrambe le presenza di fronte a lei.
Il primo istinto di Karina fu quello di afferrare Ivanna e fuggire a gamba levate, ma un’intraprendenza sopita dentro di lei, probabilmente inspirata dal carattere socievole e avventuriero del marito, la convinsero a sollevare il capo e incrociare lo sguardo del ragazzo.
Darren fu quasi tentato di alzare gli occhi al cielo, se la sua esperienza non gli avesse insegnato a non distogliere mai lo sguardo da chiunque si trovasse di fronte, a prescindere da chi si trattasse. La donna, benché naturalmente spaventata dalla soggezione che esercitava su di lei con la sua presenza, si ostinò stupidamente a non abbassare lo sguardo dal suo volto. Eppure lui, nonostante questa tentasse in tutti i modi di non far trasparire all’esterno il suo naturale timore, ne riconosceva i segnali involontari nel suo corpo minuto: il tremore delle sue mani, lo scatto della pupilla, la contrazione dei tendini del collo e il respiro leggermente affannato. Probabilmente chiunque altro non fosse stato un mercenario non avrebbe notato nulla e intuito nella donna una capacità di razionalizzazione fuori dal comune.
≪Questa zona del castello è proprietà privata e sono più che certo che la guida turistica non comprenda l’avventurarsi in queste zone dell’edificio...≫, proseguì il ragazzo, avanzando ancora di un passo.
Karina arretrò istintivamente, tentando di convincere se stessa che il giovane non fosse altro che un normale ragazzo e le sue parole non suonassero come una costante minaccia.
Ivanna percepì un’emozione nuova, quando vide il giovane avanzare in direzione di Karina: terrore.
 Temeva per Karina.
Per la prima volta nella sua vita ebbe paura che qualcuno potesse ferirla, anziché desiderare di essere lei stessa a farle del male. Ivanna aveva ben chiaro il dolore causato dalla perdita di una persona amata e desiderava con tutta se stessa che il piccolo Ivan non fosse mai costretto ad impararlo. Non voleva che il padre perdesse Karina e di conseguenza la nuova felicità che quest’ultima aveva saputo donargli, come solo la madre era stata in grado di fare, un tempo. E, soprattutto, non voleva perdere Karina.
Mossa al coraggio da questo nuovo, fugace pensiero, iniziò ad avanzare lentamente nella direzione dei due. Impose alle gambe di non tremare e ai piedi - che sembravano aver dimenticato come si facesse a camminare - a disporsi l’uno avanti all’altro per raggiungere Karina.
≪Non credo troveremo dei bagni da questa parte, mamma. Sarà meglio tornare indietro≫, proruppe la ragazza, spezzando il silenzio assordante di quel momento spinoso e afferrando la mano della donna, in un gesto che non compiva da più di sei anni. 
Darren spostò immediatamente gli occhi dal volto della donna a quello più pallido della bambina. I loro sguardi s’incrociarono e Darren pensò all’ultima volta in cui qualcuno avesse sostenuto così a lungo e con tanta sicurezza il suo sguardo, stupendosi nel ricordare che quella fosse in assoluto la prima volta.
Ivanna iniziò ad allontanarsi dal giovane dagli occhi blu, nei quali sembrava essersi dissolto il sottile confine tra mare e cielo, tanto erano chiari e profondi, tirando a se Karina.
Nessuna delle due si voltò fin quando non raggiunsero un luogo abbastanza lontano dal giovane. Ivanna si sentì improvvisamente stringere da un paio di calde e amorevoli braccia, che la stritolavano senza farle male, in un abbraccio materno.
Karina affondò il volto nei capelli biondi e lucenti della piccola Ivanna, che aveva salvato entrambe da quella che non riusciva a smettere di credere fosse una situazione terribilmente pericolosa. Il dolce suono della voce della bambina mentre la chiamava mamma e la sua mano che si stringeva alla sua, nel contatto più intimo che si fossero permesse in quattro anni, riecheggiava ancora nella sua mente. Le braccia di Ivanna si strinsero a sorpresa intorno alle sue spalle. Abbracciarla e stringerla al suo petto erano stati gesti istintivi, non si aspettava che lei ricambiasse.
≪Scusa≫, sussurrò Ivanna e non ci fu bisogno di aggiungere altro.   
 
Al secondo piano del castello di Eilean Donan, nella grande sala dei banchetti, Isobel fissava ormai da tempo i preziosi stemmi araldici con i quali era decorato il camino, lungo cui poggiava le braccia, nel tentativo di evadere con la mente dai continui sproloqui dalle altre persone presenti in quella stanza. Il suono provocato dallo scontro del palmo di suo marito con il lungo tavolo in legno, finemente intagliato da artigiani Italiani, per i quali Isobel aveva scoperto una profonda adorazione, riecheggiò tra le mura e annullò le voci stridule dei due litiganti. Gli occhi di Isobel si posarono sulla figura alta e imponente di suo marito. Alex aveva lucenti capelli neri e occhi scuri come la notte, il suo volto maturo era incorniciato da un velo pungente di barba. Un ghigno le tagliò il volto, al suono del silenzio calato nella stanza. Suo marito incuteva soggezione. Era più unico che raro trovare qualcuno tanto pazzo – o coraggioso – da contraddirlo, ed evidentemente anche lui era stanco del ciarlare dei due anziani, incerti sulla strada da intraprendere. Isobel scostò gli occhi chiari dalla figura del marito e sfiorò quasi in una carezza con lo sguardo la collezione di armi appese alla parete. Centinai di pensieri le invasero la mente: ricordi di morti, sangue e stragi. Nella maggior parte dei quali, o almeno quelli degli ultimi vent’anni, si vedeva affiancata dall’uomo ora seduto a capotavola. Quelle immagini scivolavano addosso al suo corpo e la abbandonavano, con il passare degli anni. Il numero di uomini che aveva ucciso e i loro volti erano sempre meno nitidi nella sua mente infallibile, come quella di un qualsivoglia mercenario: nato ed educato all’arte della guerra e ad ogni sua sfaccettatura. I ricordi erano il fardello più difficile da eliminare. Naturalmente Isobel ed Alex non erano una normale coppia di coniugi, nessuno dei due aveva scelto l’altro e di certo nessuno dei due provava qualcosa per l’altro. A Isobel era sempre sfuggito il concetto di sentimento, o il significato dell’unione umana. La forte attrazione che sentiva verso il marito e il suo corpo forte e muscoloso era la cosa più vicina a un sentimento che avesse mai provato per lui. A volte, però, capitava che un sensazione profondamente radicata in lei si traducesse in un sorriso alla vista di Alex, con gli anni aveva capito si trattasse di semplice orgoglio nei suoi confronti per il suo carattere dominante  
Alex incrociò le mani sotto al mento e parlò con tono basso e ragionevole all’uomo piccolo e pallido che lo fissava con timore: ≪Non capisco quale sia il problema, signor Ledward. Mi era parso, che la sua risposta al nostro invito significasse che è pronto a collaborare con noi. Cosa la turba tanto?≫.
La sera precedente, nella stessa sala dei banchetti, i quattro anziani ora presenti nella stanza erano stati invitati ad una semplice cena, un modo informale per anticipare la successiva riunione, e nessuno aveva reclinato l’invito. Naturalmente Alex sceglieva bene le persone su cui fare affidamento. La notte era diventata alba, la luce del sole filtrava dalle imposte in alto, e ancora non erano giunti a un accordo che soddisfacesse pianamente ognuno dei presenti. Era nella natura dei mercenari, evitare di fare qualsiasi cosa di cui non si avesse un risultato certo e inoppugnabile.  
Iam Ledward si sollevò dal suo posto, senza guardare nessuno, ormai certo di essere l’unico sano di mente.
≪Ciò che mi preoccupa, Alexander, sono le conseguenze delle nostre scelte. Selene regna da un secolo oramai sul mondo dei vampiri, sperare di spodestarla o addirittura ucciderla è una pazzia. Inoltre è protetta dagli Assassini, il ché la rende un obbiettivo ancor più difficile da raggiungere. I cinque verrebbero subito informati dell’accaduto, e sai meglio di me che sono uomini molto influenti nel mondo degli umani, e se questi sapessero della nostra esistenza sarebbe una guerra dei mondi. Una catastrofe di dimensioni epocali. E se in fine scoppiasse una guerra tra Assassini e Mercenari, cosa ci garantisce che i gemelli schiereranno i loro vampiri dalla nostra parte, anziché fare il doppio gioco, la parola data?≫, terminò bruscamente.
≪Dovremo prima uccidere i cinque, a quel punto non ci sarebbe più alcun rischio di venire scoperti e potremmo agire indisturbati≫, controbatté Robert.
≪La vecchiaia ha per caso danneggiato la tua capacità di giudizio, Peterson? Arrivare ai cinque è impossibile. Sono protetti dall’ala di Selene e da quegli schifosi Assassini di Edvard. Che altro scopo nella vita non hanno, se non crogiolarsi nel loro risentimento per se stessi≫.
Robert scosse la testa, incerto se rischiare o meno tutto ciò che il loro piano avrebbe comportato.
Mackenna Walton, seduta alla destra di Alexander, alzò gli occhi al cielo. Discutevano da tutta una notte sulle varie possibilità ed era decisamente stufa del codardia del vecchio Iam. L’unica cosa che l’aveva spinto ad accettare l’invito di Alexander ed Isobel era l’odio profondo e il disprezzo viscerale che provava nei confronti degli Assassini. Le sue mani lunghe e ossute gesticolavano nell’aria mentre esponeva le sue ragioni.
Mackenna lanciò uno sguardo a Waren, al suo fianco, prima di schiarirsi la voce e attirare così su di se l’attenzione.
Alexander lanciò uno sguardo curioso alla donna, anch’ella facente parte della cerchia di anziani del loro mondo. Il compito principale degli anziani era far si che ogni mercenario rispettasse la legge, l’unica, in un mondo in cui il regolamento scritto e morale non aveva alcun significato: non uccidere innocenti. Quest’ultimo aggettivo aveva un significato ristretto nel loro mondo. Gli innocenti erano tutti coloro di cui non fosse stata richiesta l’uccisione, da un mandante qualsiasi. Ai mercenari non era dato sapere di quale crimine si fossero macchiati le loro vittime e a loro non importava. Gli Assassini avevano un concetto diverso sull’innocenza di un condannato. Uccidevano soltanto coloro che avevano precedentemente minacciato la pace e la serenità generale. Delle idee così divergenti non avrebbero mai potuto coesistere, la scissione era perciò inevitabile, una volta che il “morbo” della morale aveva colpito un numero considerevole di mercenari. S. Robert Peterson,  Iam Ledwer, Waren Holland e Meckenna Walton, avevano consapevolmente deciso di andare contro l’istituzione che loro stessi simboleggiavano, per riuscire a distruggere gli Assassini, divenuti ormai nemici mortali della loro specie. Alexander era stato enormemente lieto di sapere Meckenna dalla loro parte. Era famosa per la sua insensibilità e freddezza, doti vitali nel loro mestiere, non di meno era un anziano.
≪Cosa proponi, Meckenna?≫, le disse Alexander.
≪Io e il signor Holland, conveniamo che sia il caso di procedere come stabilito. Naturalmente, Iam, dimentica che siamo mercenari, più furbi per natura di qualsiasi altra specie. Nulla ci vieta, in caso i gemelli decidessero di non rispettare il patto, di prendere in custodia uno qualsiasi dei due fratelli, come merce di scambio?≫, concluse, accennando le ultime parole come fossero una domanda.
Alexander ghignò, all’espressione compiaciuta della donna.
I suoi occhi cercarono quelli della moglie.
Isobel aveva corti capelli castani e occhi chiari e il suo corpo era fasciato da un lungo abito rosso, eredità della cena tenutasi la sera precedente. Una luce lampeggiava nei suoi occhi. I giovani non amavano il matrimonio. A nessuno piaceva lavorare in coppia, si considerava il partner un peso, in gioventù. Una volta divenuti adulti si capiva l’importanza di un aiuto e di qualcuno pronto a guardarti le spalle, quando le cose si facevano più complicate.
≪Se qualcuno a qualcosa da dire, parli ora≫, disse Alex.
Il silenzio che seguì alle sue parole fu più che esplicito.
≪Bene, allora è deciso. I miei figli si occuperanno dei cinque. Entrambi sono venuti su molto bene≫, proseguì Alexander, incrociando ancora una volta lo sguardo della moglie.
≪Darren sarà qui a momenti e lo metteremo al corrente di ogni cosa...≫.
Nel momento stesso in cui terminò la frase, un lieve tocco alla porta preannunciò l’entrata del ragazzo. Negli occhi blu del giovane splendeva una luce nuova, viva e ardente come fiamma. Nessuno sapeva, nemmeno lo stesso Darren, che qualcosa stava per cambiare. La voce del padre scivolava via come acqua sulle rocce, ma una sensazione persisteva. Il ricordo di un paio di occhi chiari e di un volto innocente, che avevano sostenuto il suo sguardo con audacia: Ivanna. 

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Capitolo 2
*** Fratelli ***


1 Fratelli

Il sole era appena sorto, riflettendo i tiepidi raggi d’alba sulle acque cristalline del lago, come ogni altra mattina a Eilean Donan. Il giovane Darren era sveglio da tempo, disteso supino sul suo letto d’epoca, lavorato a mano da artigiani Italiani - per cui la madre aveva perso la testa - e fissava il soffitto, con il capo posato sugli avambracci che teneva incrociati dietro la testa. Le lenzuola di seta ricoprivano il suo corpo, lasciando scoperto il petto ampio e muscoloso. Voltò il capo verso la finestra, le tende svolazzavano sospinte dalla leggera brezza mattutina. Per la prima volta nella sua vita, Darren aveva realmente prestato attenzione al sorgere dell’alba o alla stessa notte. Il ragazzo non aveva idea del tempo che avesse passato a fissare il soffitto. Si era risvegliato qualche ora prima, il respiro ansante e le lenzuola attorcigliate attorno al corpo, a causa di un sogno che ricorreva ormai da diverse notti: una settimana, per l’esattezza, in coincidenza con l’ultima conversazione avuta con il padre nella sala dei banchetti. Alcuni anziani avevano appoggiato la richiesta fatta al padre dai gemelli, di aiutarli nella loro diserzione al governo di Selene. Personalmente aveva sentito parlare molto poco della principessa vampiro. La risplendente - com’era maggiormente conosciuta da tutti - era salita al trono dopo la morte del padre, precedente sovrano, apportando enormi cambiamenti al mondo dei vampiri. Aveva abolito la caccia agli umani, considerata ormai barbara e selvaggia nel nuovo millennio. Da quasi un secolo, in fatti, i vampiri si cibavano di sangue umano donato e di  sangue animale. Molti la avversavano, e succedeva che a volte qualcuno infrangesse la legge, pena la morte, ma nessuno aveva mai osato montare una vera e propria rivoluzione, almeno fino a quel momento... Selene aveva fatto in modo di mettere a conoscenza dell’esistenza del mondo soprannaturale alcuni umani: tre uomini e due donne. Darren non sapeva quale criterio avesse usato la principessa per scegliere i cinque, ma tutti, nessuno escluso, avevano una grande influenza nel mondo umano. Così che, se le fosse successo qualcosa di male, gli umani sarebbero stati avvisati e di conseguenza pronti a difendere la propria specie dall’assalto dei vampiri tradizionali, aiutati dalle forze degli assassini di Edvard. I vampiri ribelli avevano servito con dedizione il precedente sovrano e vivevano nel ricordo di quell’impero. Il padre di Selene era morto improvvisamente, tanto che i primi sovversivi avevano accusato la principessa stessa della sua morte o un mercenario, assoldato sempre da quest’ultima con il compito di uccidere il sovrano. Con l’aiuto della reale sarebbe stato semplice per qualsiasi di loro, porre fine alla vita del re. Neanche Darren sapeva se la seconda ipotesi fosse corretta, i mercenari delle varie famiglie nobili non erano tenuti a sapere nulla delle spedizioni degli altri. Perciò, se così fosse stato, ora il segreto giaceva nella tomba con il suo portatore. I mercenari non erano certo immortali!

Oltre al mistero della morte del padre, altre numerose leggende circolavano sulla principessa. La più conosciuta narrava che la risplendente si fosse innamorata di un uomo umano, tanti anni prima e che non avesse voluto trasformarlo. Da allora amava la razza umana più della sua. E questo era certo un buon motivo per mettere il suo mondo in difficoltà soltanto per concedere un’adeguata protezione agli umani. E anche un motivo sufficiente perché decidesse di uccidere il padre, in modo tale da imporre le sue leggi.

Un sorriso nacque spontaneo sul volto di Darren al pensiero dell’odio profondo del padre per gli assassini: alla continua ricerca di una possibilità di redenzione per le loro “colpe”, a chiedersi in continuazione cosa fosse giusto e cosa sbagliato, una vita impossibile, a dire di Alexander. La scissione tra mercenari e assassini era avvenuta quasi contemporaneamente alla salita al trono di Selene. Gli assassini erano stati mercenari, un tempo, finché Edvard senior, come raccontava la loro storiografia, non contagiò altri con la sua “pazzia” della coscienza. Naturalmente, i mercenari non ebbero remore nel dichiarare che gli assassini andavano uccisi. La battaglia che ne seguì vide le due fazioni per la prima volta l’una contro l’altra: da una parte gli assassini combattevano per le proprie idee e la propria libertà individuale, dall’altra i mercenari lottavano per difendere la specie ed estirpare le erbacce o le noie, se lo si preferiva, nell’equilibrio fasullo del loro mondo...

Quello che voleva essere un gesto simbolico e diplomatico da parte del vecchio Edvard è tutt’oggi il motivo principale per cui i Mercenari odiano gli assassini. La battaglia volgeva a favore degli assassini, contrariamente a tutte le aspettative – Darren si era sempre chiesto, benché non avesse mai avuto il coraggio di esternare i propri dubbi, se le loro motivazioni non fossero più valide rispetto a quelle della sua specie e perciò non avessero un motivo in più per vincere – e anziché continuare il massacro, si arresero. I mercenari non costituivano più una minaccia, essendo rimasti in poche centinaia sul campo di battaglia e non poterono opporsi al gesto: una ferita profonda per il loro orgoglio, anche se nessuno lo ammetteva o lo avrebbe mai ammesso. Gli assassini non avevano sete di potere, né di sangue, questo li fermò. 

Ciò che distingueva principalmente i mercenari dalle altre specie, oltre che dagli umani,  era la totale assenza di emozioni e sentimenti, la straordinaria velocità e la vasta conoscenza su arte e tecniche di guerra. I bambini venivano educati sin dalla culla alle ostilità e al totale controllo della loro emotività: esuberanza, dolore, paura, nostalgia, gioia... Nomi astratti, per Darren, di emozioni mai sperimentate. E ciò che lo turbava maggiormente, se così avrebbe potuto definire la sensazione di inquietudine che lo avvolgeva, era la consapevolezza che nessuno, nella sua famiglia o semplicemente nella sua specie aveva mai sognato alcunché. Il controllo sul proprio subconscio era la prima capacità richiesta ad un mercenario e Darren, per la prima volta in vita sua, aveva oltrepassato quel sottile confine tra realtà e onirico, separato da mura di cinta e filo spinato.

Darren era troppo bravo in ciò che faceva e la sua spudorata eccellenza nella menzogna lo convinse a non prendersi gioco di se stesso. La sua mente infallibile ricordava con chiarezza cristallina l’ulteriore incontro avuto quel giorno di una settimana prima e che senza dubbio lo aveva sconvolto più della conversazione con il padre e i quattro anziani. Improvvisamente un paio di occhi verdi, innocenti e sfrontati al tempo stesso si frapposero tra lui e il soffitto.  

Il giovane scosse la testa, drizzandosi di scatto sulla schiena e passando una mano nei capelli scuri. Possibile che i suoi sogni fossero collegati alla comparsa della bambina nella sua vita? In fondo, perché avrebbe dovuto avere così importanza una piccola umana, tanto da sconvolgere le sue notti?

Darren si lasciò alle spalle la su stanza e s’infilò nel lungo corridoio, diretto alle cucine. La sua mente, come mai gli era capitato, brancolava nell’incertezza. Le sue domande sarebbero rimaste senza risposta e lo inquietava la possibilità di star perdendo le sue capacità e la sua risolutezza. L’idea di risvegliarsi ancora in preda a un incubo non lo allettava...

Nella sala dei banchetti, occhi scuri fissavano un altro soffitto, non più in pietra ma ligneo.

≪Credi alla leggenda di Selene, Alexander? Pensi davvero che sia stata innamorata di un umano, un tempo?≫, chiese Isobel al marito, che abbassò il capo per incrociare i suoi occhi, sorridendo dell’espressione oltremodo disgustata della compagna.

≪Non sarebbe comunque un motivo valido per esporre tutti noi e la sua stessa specie, che è tenuta a governare e di cui deve proteggere il segreto, alla possibilità di un tale pericolo... E’ un’incosciente. Non era pronta a governare≫, continuò la donna, senza attendere una risposta dal marito.

Da una settimana, ormai, discutevano nei dettagli il modo migliore di procedere.

≪Dobbiamo ancora mettere al corrente Hannah della situazione.. E non sono certa che le cose andranno come devono. Tu credi che riusciranno a portare a termine la missione?≫, chiese ancora, questa volta attendendo una risposta dal marito.

Alexander si mosse con velocità inumana, arrestandosi alle spalle della moglie. Con una mano le afferrò un fianco e con l’altra le scostò i capelli, chinandosi per lasciare umidi baci sul suo collo. Isobel reclinò il capo per facilitargli il compito, sospirando. L’unica emozione che fosse loro pienamente concesso di provare, era l’attrazione fisica e il piacere di un amplesso. Per questo motivo non si lasciavano mai sfuggire un’occasione...

 ≪Non temere: sono i nostri figli. Darren è geniale e puntiglioso e Hannah è il mercenario più veloce e il più silenzioso del vecchio continente. Inoltre entrambi hanno ereditato da noi alcune caratteristiche fondamentali: possiedono la mia razionalità assoluta su ogni cosa e i loro cuori sono freddi come il tuo≫, udite queste parole, Isobel lo attirò sulle sue labbra, coinvolgendolo in un bacio pieno di passione, ignari delle orecchie che involontariamente avevano udito tutto e fatto di quelle parole molto più di quanto i due avrebbero mai potuto immaginare.

Il giovane Darren si allontanò dalla porta, percorrendo nuovamente il precedente tragitto. Le sue braccia si posarono stancamente sul sottile muretto di una delle tante finestre che affacciavano sul lago, inspirando l’aria tiepida del primo pomeriggio. Al vento che scuoteva le cime degli alberi, si aggiunse una nuova brezza, tanto delicata che brividi persistente lo percorsero lungo tutta la spina dorsale. Uno di questi lo scosse tanto da farlo drizzare in tutta la sua maestosa altezza, neanche avesse appena ricevuto una scarica elettrica. Avrebbe potuto giurare di aver percepito un alito gelido alla base del collo, come fosse il respiro della morte che aleggiava sulla sua testa. Tutto ciò non avrebbe comunque potuto distrarlo dalla consapevolezza che qualcosa in lui era profondamente cambiato. Le parole del padre avevano risvegliato delle consapevolezze da tempo sopite. Non poteva negare che ogni cosa detta fosse la pura verità, ma si chiese se la descrizione che Alexander aveva fatto di lui fosse ciò che davvero desiderava. Non si era mai posto questa domanda, perché non ne aveva mai sentito la necessità. Ogni cosa era automatica nella sua vita. D’improvviso cessò di sottovalutare e deridere gli esseri umani per la vastità di emozioni che li investivano quotidianamente, sottomettendoli al loro volere. Certamente, la forza dimostrata dalla bimba, che aveva sostenuto il suo sguardo e reagito all’immobilità della madre trascinandola via, era nata con non altra intenzioni se non quella di proteggere la donna. Il motivo di tale comportamento era rimasto ignoto a Darren, fino a quel momento. L’amore per la donna, ecco cosa aveva mosso le azioni avventate della piccola. L’amore: un sentimento di cui era stato derubato. La sua specie, che era riuscita là dove gli uomini non sarebbero mai arrivati - il pieno controllo di se stessi - aveva abbandonato lungo il cammino le cose più importanti o quanto meno ciò per cui valeva davvero la pena di vivere la vita o di morire, in caso. Ai bambini, fin dall’infanzia, veniva mostrato soltanto un lato della medaglia. E gli umani non sarebbero mai riusciti a capire quanto fortunati fossero a poter esprimere o anche solo provare tutte quelle emozioni che riempivano l’anima, scacciando l’opprimente senso di vuoto che per diciotto anni aveva inconsapevolmente scavato dentro di lui una voragine tanto profonda da non riuscire a vederne il fondo.

Le sue labbra si curvarono all’insù, nella perfetta riproduzione di un ghigno, scoprendo soltanto in quel momento che la differenza tra quest’ultimo e un sorriso consisteva semplicemente nelle sensazioni che si volevano trasmettere attraverso di esso.  

Quella bambina aveva davvero sconvolto la sua vita e ogni sua precedente certezza. Come l’alba in una notte buia, aveva portato la luce dentro di lui.

I suoi occhi blu si posarono sulle acque chiare ai suoi piedi e sui monti e le colline che circondavano il castello, cui non aveva mai prestato attenzione. Pensandoci bene, Darren amava la Scozia. Tra tutti i luoghi che aveva visitato e in cui aveva abitato, Eilean Donan, o più precisamente quel piccolo pezzo della Gran Bretagna, era il suo preferito. Stare disteso su un prato semplicemente verde, con il sole sul volto e il silenzio a circondarlo gli aveva sempre fatto dimenticare, anche se solo per pochi istanti, ciò che era e suo malgrado sarebbe sempre stato.

Un improvviso senso di nostalgia e di solitudine lo colpirono al petto. Un braccio si levò dal muretto e Darren portò una mano sul cuore, dove lo sentiva battere, al centro dei polmoni che inspiravano ed espiravano con un ritmo serrato quanto i sui battiti. Strinse la maglia nera che indossava tra le dita, provocando pieghe e solchi nel tessuto e chinò il capo, sopraffatto ed ansante. Nonostante la sua inesperienza a riguardo, intuì immediatamente a cosa fossero dovute quelle forti emozioni. La prima, la nostalgia, derivava dalla consapevolezza di tutto ciò cui aveva dovuto rinunciare fino ad allora: un carezza, un bacio, una parola gentile. Non aveva mai desiderato la normalità umana, ma in quel momento ne sentì la mancanza. Perché Isobel ed Alexander non avrebbero mai potuto fare un gesto tanto semplice e significativo, che in qualche modo rimaneva nella memoria e permetteva a un bambino di riconoscere, nel tocco materno e paterno, la propria casa. Di quella dolcezza che aveva visto nei pochi gesti compiuti dalla donna castana, qualche giorno prima, non aveva mai scorto neanche la parvenza nelle intenzioni della madre. Il suo rapporto con il padre era stato incredibilmente affiatato e idilliaco, fino a quel momento. Le loro menti viaggiavano sempre sulla stessa lunghezza d’onda ed entrambi  decidevano di agire allo stesso modo che avrebbe scelto l’altro, se questo fosse stato al suo posto. Il ricordo di quel rapporto oggi lo lasciava sconcertato. Quell’uomo non era mai stato un padre, non come lui avrebbe voluto che fosse, si era limitato a plasmarlo come creta nelle sue mani, a sua immagine e somiglianza, perché nessuno avrebbe mai potuto dire che Alexander Jonathan Reed non fosse stato un ottimo, severo insegnante.

Oramai non possedeva più quella razionalità e quel cuore così freddo e insensibile di cui il padre lo aveva vantato poco prima e che lo avevano reso uno dei migliori mercenari degli ultimi decenni. Il suo pensiero volò immediatamente agli assassini, suoi nemici naturale e contro i quali non sentiva di aver nulla in contrario. In cuor suo sapeva che la coscienza lo avrebbe portato lentamente alla pazzia. Il ricordo dei gesti compiuti e delle vite strappate senza neanche mai chiedersi cosa avessero fatto per meritare quella fine, mentre vedeva la luce spegnersi negli occhi delle sue vittime, lo attendevano, silenziosi come fantasmi. Percepì nuovamente l’alito gelido della morte sul collo, quella perfida megera che sembrava attenderlo con tanta ansia.

Ingiusto, pesò Darren, proprio ora che avevo iniziato a vivere.

La sensazione di solitudine nasceva, invece, dall’amara conoscenza della scelta fatta, seppur inconsapevolmente, non appena aveva intuito l’enormità del suo cambiamento. Non gli risultava più così difficile comprendere le ragioni degli assassini, teorie sulle quali in segreto gli anziani riflettevano ormai da tempo. Edvard senior aveva scoperto cosa fosse la coscienza, la morale e il rispetto per gli altri, ma allo stesso tempo sapeva che, chi nasce mercenario muore come tale. Sarebbe stato impossibile sfuggire alla propria natura, al richiamo spontaneo della propria specie e aveva scelto il male minore: un modo costruttivo per utilizzare le proprie capacità, conoscenze e debolezze.

Qualcosa infiammò nella sua anima, utilizzando come materiale combustibile le nuove idee e gli umani pensieri che imperversavano nella sua mente. Non esisteva nulla di benevolo e solidale nella loro specie, ma qualcosa, ancora, li distingueva dalle bestie; una legge creata, forse per umano senso di colpa, forse per comodità, e che il complotto del padre e dei quattro anziani fedifraghi intendeva violare, cancellando così anche l’ultima parvenza di coscienza dal loro mondo. Probabilmente fu il filo sottile che ancora lo legava ai mercenari o la consapevolezza che la sua intera famiglia facesse parte di quel mondo a farlo esitare, ma le sue nuove idee e la sua stessa, fiorente morale, non gli permettevano di voltarsi e ignorare ciò che sarebbe avvenuto di lì a qualche giorno. Darren sapeva che la scelta era definitiva. Non avrebbe semplicemente potuto avvertire la principessa Selene del complotto e sparire. Sapeva che avrebbe scatenato un putiferio e la sua famiglia, insieme agli altri, avrebbe pagato con la vita il tradimento, riconosciuto per mano sua. Per un attimo sentì la mancanza della sua vecchia risolutezza e la sensazione di totalità provocata dalle sue emozioni lo sconvolse. Non era abituato a sentirsi così confuso e incerto. Un tempo non avrebbe avuto remore a schierarsi contro la sua famiglia per un qualsiasi motivo, che sarebbe stato certamente meno nobile di quello perseguito. Darren non avrebbe saputo dire cosa fosse meglio, ma una cosa era certa, quel nuovo cambiamento era irreversibile.  

Il giovane dovette comprendere in poche ore, ciò che gli umani imparavano dopo anni: arriva un momento, nella vita, in cui bisogna scegliere da quale parte stare e prendere una decisione difficile, accettandone le conseguenze, positive o meno che siano. E Darren non avrebbe potuto sopprimere il suo nuovo senso del giusto e negare che la principessa vi fosse dentro pienamente, così da continuare a condurre una vita insulsa e nociva per se stesso e gli altri. Così prese la sua decisione, avvertendo di conseguenza un immediato senso di vuoto e poi di leggerezza nel proprio cuore, stupendosi di quante emozioni, anche in contrasto tra loro, un cuore poteva sopportare.

Darren sapeva che quello sarebbe stato il gesto che più di tutti lo avrebbe in seguito tormentato, ma una parte di lui sapeva anche che non avrebbe potuto fare altrimenti per come erano andate le cose. Sperava comunque che il padre e la madre non fossero tanto sciocchi e mettessero, come sempre, se stessi dinanzi agli altri, riuscendo a salvare le proprie vite.

Il pensiero di una vita giovane e silenziosa gli balenò in mente. Aveva rinunciato quasi immediatamente ad instaurare un rapporto con la sorella. Hannah viveva in un mondo totalmente lontano dal suo, e pensandoci bene, lontano da quello di chiunque altro, umano e mercenario che fosse. Aveva avuto rare occasioni di parlare con lei, se si poteva definire tale lo scambio di brevi e telegrafiche richieste da parte di uno o dell’altra, essendo rari persino i convenevoli. Ormai non succedeva da anni e il ricordo del suono della sua voce si faceva sfocato. Quando non era in missione rimaneva rintanata nella grande biblioteca e se succedeva che si trovassero tutti nella stessa stanza e non le si richiedeva espressamente un’opinione, puntava i grandi occhi in un punto preciso e si perdeva nei suoi stessi pensieri, o almeno così credeva. Un moto di tenerezza lo pervase. Hannah non sapeva nulla del complotto e forse, avrebbe potuto impedire che almeno lei ci andasse di mezzo.

Il tramonto era ancora alto sul lago, quando Darren si incamminò lungo un corridoio largo e coperto quasi per intero da quadri e antichi vasi di ceramica e terracotta, svelto nel raggiungere le camere del padre.

Nessuno sapeva dove si trovasse la residenza della principessa, ma immaginava che il padre, così determinato nel complottare contro di lei, ne fosse a conoscenza. Aveva escluso fin dal primo momento l’eventualità di rivolgersi agli anziani: non sapeva se, a parte i quattro, vi fossero altri traditori e comunque, sarebbe stata la sua parola contro la loro. Gli assassini erano creature nomadi e avrebbe impiegato troppo tempo a cercarli, perdendo così la sua occasione. Non rimaneva che la principessa.

Il motivo del suo muoversi così lesto e furtivo era presto detto. Alexander odiava che qualcuno si aggirasse nelle sue stanze, tanto meno se non era stato precedentemente invitato, cosa più unica che rara. E se quella era la prima volta che disubbidiva ad un comando diretto del padre, a preoccuparlo era la possibilità che qualcuno potesse trovarlo lì dentro, se non Alex stesso e lo fermasse ancor prima che la sua ribellione avesse inizio. Avrebbe dovuto vestire ancora i panni dell’assassino, se avesse voluto portare a termine il suo compito, la prima vera missione che considerasse significativa. Quando fu di fronte alla grande porta di legno, chiaro e lucido, una piccola ruga di preoccupazione si formò tra le sopracciglia scure. Percepì che all’interno non vi era nessuno, grazie al suo sviluppato senso di autoconservazione che lo avvertiva sempre della presenza di altre persone e aprì un’anta della porta quel tanto che bastava per poterci passare attraverso e la richiuse alle sue spalle quando fu all’interno. Con le labbra serrate e lo sguardo attento, voltò il bel viso nella stanza e si guardò intorno cautamente. Le tende chiare svolazzavano alle finestre e il tramonto illuminava d’arancio il pavimento in pietra e parte della grande scrivania posta in modo da dare una visione completa della stanza a chiunque vi si fosse seduto dietro. Il ragazzo non volle perdere ulteriore tempo e si avvicinò alla scrivania, iniziando a cercare l’informazione di cui necessitava, benché non avesse idea di cosa aspettarsi esattamente. Naturalmente immaginava che non sarebbe stato affatto facile, conoscendo il padre, ma non poté impedire alla delusione di abbatterlo, quando anche i cassetti chiusi e aperti grazie alle sue ottime capacità di scassinatore si rivelarono un tentativo vano. Soppresse uno sbuffo di frustrazione e iniziò a pensare come la mente assai creativa del padre. All’improvviso intuì che Alexander non avrebbe mai fatto uso del detto umano secondo cui bisogna mettere le cose in bella vista, perché non venissero notate, ma non sarebbe stato neanche tanto sciocco da conservare gli oggetti importanti nei cassetti chiusi della scrivania o in qualsiasi altro nella stanza. Con convinzione poggiò la grande mano sui mattoni del muro e cercò anche la più  piccola insenatura. Non si sorprese di trovarla, accanto alla finestra.

Scostò il mattone, che venne via facilmente, tentando di non lasciare traccia del suo passaggio, come frammenti di calcestruzzo. Infilò la mano all’interno del buco creatosi nel muro e dopo poco percepì qualcosa di freddo e liscio sotto i polpastrelli. Aiutandosi con la mano sinistra tirò fuori ciò che aveva soltanto percepito e si ritrovò a fissare, tenendolo stretto tra le mani, un scrigno in ceramica bianco, alto ma piccolo, e fu certo di aver trovo ciò che cercava.

Lo aprì lentamente, quasi timoroso di scoprire i segreti del padre e allo stesso tempo perversamente curioso di farlo. Nel cofanetto vi erano lettere datate agli anni della giovinezza di Alexander, banconote ordinatamente infilate in graffette di metallo con lo stemma della loro famiglia e messaggi di vecchie missioni. Tra tutto ciò qualcosa in particolare colpì l’occhio di Darren: una cartoncino bianco, piccolo quanto il palmo di una mano. Poche parole incidevano la carta pregiata, con la calligrafia stranamente frettolosa del padre.

Selene

Succh. Anthony e Natalie Blanch, Londra, Notting Hill Ladbroke Grove n.158 X  

Darren non ebbe difficoltà a decifrare il messaggio. Erano rare le occasioni in cui Alexander dava particolari indicazioni per una missione. Si limitava a consegnare, attraverso la servitù personale dei figli - un uomo o una donna incaricati di seguirli, servirli e rispettarli – un bigliettino simile, con su scritto il nome, la specie e il probabile luogo in cui trovare le vittime. E Alexander abbreviava spesso il termine vampiro, con un ironico succh. .La x era un modo per indicarne la morte, anziché la prigionia o la tortura. L’unica cosa che il giovane non riuscì a carpire fu il legame che univa la principessa Selene ai due vampiri londinesi.

Probabilmente i due conoscevano il luogo in cui era ubicata la residenza della reale o quantomeno, possedevano informazioni su di lei. Naturalmente, una volta avuto ciò che voleva, Alexander non avrebbe esitato a far uccidere i due vampiri...

Nonostante le conseguenze, Darren non si pentì mai di aver visto e vissuto una vita al di fuori del loro grigio e razionale mondo di mercenari, in cui tutto aveva uno scopo e ogni azione era mossa dall’ingordigia e dal dovere e la mente era costantemente all’erta: sempre in attesa di un possibile attacco alle spalle. Probabilmente, se quella mattina di una settimana prima Darren avesse ritardato di qualche minuto dal momento in cui Sara - la sua personale cameriera - lo aveva avvertito di esser desiderato dal padre nella sala dei banchetti e non avesse perciò incontrato la bimba dagli occhi verdi, le cose sarebbero andate diversamente: lui non avrebbe mai preso coscienza di se stesso e non si sarebbe trovato nelle camere del padre, violando uno dei suoi comandi diretti e la sua privacy, cui Alexander teneva più di qualsiasi altra cosa, nel momento in cui la stessa Isobel passava di fronte alla grande stanza. E certamente, se l’avesse fatto, per un qualsivoglia motivo, non sarebbe stato tanto umanamente sbadato da lasciarsi sorprendere con “le mani nel vasetto della marmellata”, tanto per utilizzare un tipico detto umano.

≪Che cosa stai facendo?≫.

Quando il giovane udì la voce della madre, si voltò di scatto, lasciando scivolare dalle mani lo scrigno bianco che si frantumò al suolo con un suono assurdamente rumoroso, cui né madre né figlio badarono.

Isobel stava attraversando il lungo corridoio che conduceva alle sue stanze personali, quando aveva avvertito il lieve fruscio di fogli che sfregavano tra loro. In un’altra circostanza, non avrebbe neanche fatto caso a quel genere di rumore, provenendo esso dalle stanze di suo marito. L’unico motivo per cui si arrestò di fronte alla porta fu la consapevolezza di aver appena lasciato il marito nella stanza principale e che per ciò non avrebbe mai potuto raggiungere un luogo tanto periferico del castello prima di lei. Così Isobel si ritrovò sull’uscio della porta. Riconobbe immediatamente le spalle larghe del figlio e i suoi capelli scuri. Teneva uno scrigno tra le mani e leggeva un foglio con tanta di quella concentrazione da non averla notata. Qualcosa stonò immediatamente in quell’immagine. Darren non aveva mai disubbidito a un ordine del padre. In fondo, erano così simili e in sintonia, avrebbe detto, che un’idea del genere non l’aveva mai sfiorata. Eppure, benché ciò le sembrasse assurdo, dovette in fine dare retta alla sua esperienza accumulata negli anni da mercenaria e accettare l’evidenza che le si parava davanti. Era certa che Alexander non avesse autorizzato Darren ad accedere alla stanza e il fare cospiratorio del figlio le fece immediatamente pensare che Darren stesse facendo qualcosa che non avrebbe dovuto. Inoltre, Darren Reed, come lo conosceva lei, non si sarebbe mai fatto sorprendere in un modo così banale... Benché Isobel non fosse dotata di quel tanto decantato istinto materno notò immediatamente la differenza negli occhi del figlio, quando questi si voltò nella sua direzione. I suoi occhi blu, che tanto le ricordavano gli zaffiri, erano talmente diversi dall’ultima volta che li aveva visti che anche un cieco avrebbe notato la differenza: brillavano di una luce diversa e non della solita piattezza che le ricordava un mare calmo e cristallino. Ora il mare era in tempesta e le onde battevano contro gli scogli con una tale forza e vitalità da lasciarla basita e forse per questo motivo non riuscì a muovere un muscolo, quando il figlio le passò di fianco e fuggì dalla stanza.

Darren non aveva mai prestato attenzione all’aspetto fisico della madre, se non ai tratti che avevano in comune, come le labbra e il taglio degli occhi. Il volto di Isobel non aveva mai vissuto nei suoi ricordi più importanti o nei momenti fondamentali, ma i suoi occhi erano sempre stati estremamente espressivi. Riconosceva chiaramente la luce di soddisfazione che le accendeva lo sguardo e quella di preoccupazione e turbamento che lo scurivano in modo sorprendente. Per non parlare del ghigno glaciale che le incurvava le labbra e della linea dritta che assumevano nel momento in cui qualcosa la disturbava. Quel momento non fu diverso dal solito, nonostante la preoccupazione di essere stato beccato a infrangere le regole. Darren sapeva che la madre, benché fosse tale per lui, non avrebbe esitato a raccontare ogni cosa al padre e quest’ultimo non avrebbe impiegato molto a comprendere ogni cosa. Avrebbe notato la mancanza del cartoncino e intuito il suo tradimento. Darren non avrebbe mai capito il motivo per cui proprio lui si sarebbe dovuto occupare della sua morte, se fosse una forma di affetto o di malvagità e freddezza, ma era certo che Alexander non avrebbe mai permesso a qualcun altro che non fosse lui di fermarlo.

Il giovane riuscì a sorprendere persino se stesso, con il pensiero successivo. La morte non lo spaventava quanto la prospettiva di non riuscire a portare a termine la sua personale missione. Non aveva mai preso in considerazione, neanche all’età di otto anni, l’idea di fallire un compito che gli era stato assegnato. Aveva imparato molto tempo prima a non temere per la propria vita. Ora, il pensiero della sua inettitudine e incapacità di gestire le nuove condizioni in cui versava fece cadere definitivamente la maschera che indossava. La rabbia, l’emozione che tra tutte aveva sempre considerato la più barbara e ridicola, gli offuscò la mente per qualche istante. Si sentì preda del desiderio di ritornare ad essere ciò che era sempre stato, per sfogare cattiveria e frustrazione. Darren si chiese se anche per gli essere umani le sensazioni fossero le stesse. La differenza tra di loro consisteva nel fatto che Darren conosceva bene le conseguenze e il buio di una vita del genere, perciò scacciò la rabbia e ragionò a mente lucida. Non intendeva abbandonare il suo intento originale, se c’era qualcosa che avrebbe potuto portare con se come ricordo del padre era la sua capacità di non mollare mai una battaglia. Forse per lo stesso motivo Darren sapeva che la loro sarebbe stata una lotta “all’ultimo sangue”. Alexander e Darren erano ancora troppo simili in questo: l’incapacità di arrendersi, mollare e sottomettersi. Il giovane lo sapeva bene. Eppure, non avrebbe cambiato la propria direzione, per non inciampare nel padre. A costo di cadere, avrebbe perseguito il proprio obbiettivo. In quel momento realizzò che tra lui e il padre era nata un’enorme differenza, portata dal suo cambiamento: non era fondamentale che fosse lui stesso a portare a termine la missione,  a differenza dell’egocentrico Alexander, l’importante era raggiungere l’obbiettivo.

La mente di Darren figurò nell’istante esatto in cui il ragazzo scattò in piedi il volto della persona che cercava, l’unica che non era mai riuscito a capire e che aveva sempre ignorato così come gli altri. Lei era l’unico membro della sua famiglia a non avere nulla da perdere e tutto da guadagnare. Se era di una via di fuga che aveva  bisogno, lui gliela avrebbe offerta.

A qualche porta di distanza, Joseph, il quale aveva appena concluso di stilare il rapporto sull’ultima missione di Hannah, sua protetta e padrona, dispose il foglio firmato e sigillato sulla propria scrivania, appuntando mentalmente che avrebbe dovuto consegnarlo ad Alexander. Joseph non apprezzava il proprio lavoro, ma era sempre stato molto rigoroso per quanto riguardava il proprio mestiere. Fin da bambina Hannah si era dimostrata una ragazza... particolare. Tanto che, durante il periodo di crescita, il padre gli aveva espressamente chiesto di badare a lei in modo altrettanto particolare. Ciò andava contro i suoi doveri, ma aveva imparato che Alexander era un uomo che era meglio non contraddire. Ricordava perfettamente il momento in cui lo aveva chiamato nelle proprie stanze...

Joseph aveva bussato alla porta, quasi timoroso, benché fosse sempre ritto nella propria posizione a pancia in dentro e petto in fuori, con le mani allacciate dietro la schiena, che muoveva soltanto nel momento in cui aveva necessità di utilizzarle, il ché avveniva molto spesso nel suo lavoro di educatore...

La voce di Alexander gli aveva naturalmente concesso il permesso di entrare. Quando Joseph gli fu di fronte questo non esitò a pronunciarsi, non che lui si aspettasse che lo avrebbe invitato a sedere, ma una tale urgenza da parte dell’uomo lo preoccupava.

≪Ti ho chiesto di venire perché avevo necessità di parlarti per quanto riguarda Hannah. Fin ora hai fatto un ottimo lavoro con lei, ma ho bisogno che tu faccia qualcosa in più che istruirla e proteggerla. Devi sorvegliarla. Le sue particolarità... non hanno mai creato problemi, è vero, ma temo per il futuro≫, concluse Alexander, alzando un sopracciglio in attesa di una risposta.

≪Il mio lavoro mi obbliga fedeltà nei confronti di vostra figlia. Ciò che mi chiedete di fare andrebbe contro i miei doveri...≫.

Alexander non gli diede il tempo di finire, scostò l’aria con un gesto della mano, a voler sottolineare quanto poco contassero le sue argomentazioni.

≪E’ per la tua efficienza e diligenza che ti ho assunto, Joseph. Questo è un favore personale. Sai bene quanto la mia parola sia influente e se ti distinguessi per un qualsiasi motivo, al mio servizio, potrebbe giovare alla tua carriera≫.

Quelle parole erano state più che un ottima spinta ad accettare la proposta di Alexander. Si limitò ad un silenzio d’assenzio.

Alexander sogghignò e disse: ≪Al termine di ogni spedizione dovrai consegnarmi un rapporto con un resoconto completo di ogni azione di Hannah, di progressi e regressioni, strani comportamenti ecc... ≫.

Joseph aveva annuito ed era uscito dalla stanza con un ghigno stampato in volto, identico a quello di Alexander...

Da quel giorno aveva provveduto a consegnare personalmente ad Alexander un rapporto per ogni spedizione portata a termine. Hannah non aveva mai dato problemi di alcun genere, era semplicemente silenziosa: non avrebbe potuto descriverla diversamente. Il motivo per cui aveva accettato la proposta di Alexander, assumendo un impegno che non gli competeva, era il desiderio  mal celato di avanzare di carriera. Il loro mondo si divideva sostanzialmente in famiglie nobili e di ceto medio. Lui apparteneva a queste ultime. Soltanto le famiglie nobili avevano il potere ed il diritto di accettare e portare a termine le missioni. Le famiglie, come quella cui apparteneva Joseph, erano destinate a servire i nobili. Soltanto nel caso in cui ci si distinguesse e ciò venisse riconosciuto dagli anziani, vi sarebbe un passo avanti. Joseph aspirava da anni a diventare un mercenario a tutti gli effetti e aspettava con trepidante attesa un’occasione. Alexander gliene aveva offerta una su un piatto d’argento.

Benché non praticasse lo stesso mestiere degli abitanti della casa, il suo lavoro includeva una preparazione adeguata e pari a quella dei nobili. Per questo motivo udì senza alcun problema i passi che si avvicinavano in gran fretta.

Quando la grande porta si spalancò rivelando il giovane Darren, Joseph ne stava già fissando la superficie, in attesa che, chiunque fosse, si facesse avanti. Essendo Hannah la sua protetta, nel tempo che aveva trascorso con la famiglia Reed, aveva avuto poco a che fare con il giovane da capelli scuri. Ma era certo di non avergli mai visto in volto una simile espressione.

≪Preparatevi, Joseph, dovete partire. Aspettate Hannah al portone principale, lei vi raggiungerà presto. Dovete essere pronti ad affrontare un lungo viaggio con ritorno a tempo indeterminato≫.

Il ragazzo proruppe nella stanza con quelle parole e, nonostante la confusione, Joseph annuì immediatamente, nel riflesso incondizionato di esser sempre pronto per le emergenze, come gli avevano insegnato gli anni di esperienza.

Ricevuto il consenso di Joseph, Darren non attese un minuto in più per uscire dalla sua camera e dirigersi là dove sapeva che avrebbe trovato la sorella.

Nella grande biblioteca posta sulla torre del castello di Eilean Donan, la giovane Hannah godeva del calore degli ultimi raggi del sole, come le permetteva di fare la sua posizione adagiata all’ampia finestra. La ragazza sedeva sul davanzale interno dell’imposta, costituito da poltroncine in pelle nera. Posava il capo sul vetro, le gambe distese quanto l’esiguo spazio le permetteva, tanto che le ginocchia potevano farle da appoggio per il grande tomo che teneva tra le mani. I raggi del sole, nascosto per metà dalle acque del lago che sembravano inghiottirlo, le carezzavano i capelli lunghi e castani e il volto bianco come la porcellana. I suoi occhi abbandonarono le pagine e le parole del  libro e fissarono con impazienza il sole. Se c’era qualcosa che Hannah amava quanto la letteratura erano i viaggi. All’età di cinque anni si chiedeva dove andasse a finire il sole, se davvero il lago lo inghiottisse, ma non aveva mai posto la domanda a nessuno. Ogni volta che parlava ed esprimeva un pensiero qualcuno la smentiva o la derideva. Le sue curiosità e i suoi pensieri venivano puniti con occhiate truci e schiaffi sul volto, dietro la nuca e sulle mani da parte di Joseph, Isobel e più raramente Alexander. La ragazza non sapeva se fosse meno propenso all’uso delle mani degli altri due o se, semplicemente, non amasse prestare tante attenzioni ad altre persone e a lei in particolare. Con il tempo aveva perso la voglia di esprimersi a parole e l’interesse verso la propria voce. Preferiva leggere parole e pensieri altrui. E soprattutto amava sottolineari le frasi, le parole e la stessa punteggiatura, quando questa era inserita in modo particolarmente appropriato, così che avrebbe ricordato i passaggi su cui avrebbe voluto porre delle domande, magari in attesa di qualcuno disposto a risponderle con altre parole. Aveva viaggiato tanto fino ad allora e scoperto che il sole non moriva mai, semplicemente viaggiava anch’esso, ma ora erano altre le domande che le affollavano la mente. Il suo sguardo ritornò nuovamente sulle pagine consunte. Dire che gli occhi di Hannah fossero blu sarebbe stata una definizione troppo banale per descrivere l’incontro di tutte le sfumature del freddo, dal grigio-bianco color ghiaccio al profondo blu notte degli abissi marini. Un colore, questo, considerato a prescindere freddo e distante. Perciò le persone evitavano di guardarla negli occhi. Perché incrociare il suo sguardo era come avventurarsi in acque profonde, che a guardarle da lontano, così buie e distanti, fanno paura. Nessuno era mai stato così coraggioso da gettarsi in mare e seguire la corrente. Forse, se lo avessero fatto, avrebbero scoperto che in mare aperto i fondali sono talmente belli che visti una volta non si avrebbe più il desiderio di ritornare a riva. In questo neanche Hannah credeva e allora nulla la legava al resto del mondo. Tutti la evitavano, persino gli stessi membri della sua razza le stavano lontano. La vita della giovane era un susseguirsi di conseguenze. Lei non parlava con nessuno e per questo gli altri la evitavano; ciò la portava a nascondersi dietro mura di libri e lunghi silenzi, dall’isolamento derivava la solitudine che l’avvolgeva e da ciò conseguiva la sua totale assenza di emozioni. Neanche là dove il paragone fosse stato fatto con altri della sua specie,  avrebbe mai trovato chi, come lei, semplicemente non provavano alcunché. Non era schiava delle emozioni istintive, come potevano essere la passione tra Isobel ed Alexander, la dedizione di Darren e l’aspirazione di Joseph. La ragazza era talmente abituata all’assenza di emozioni da non percepire neanche il vuoto lasciato da esse nella propria giovane anima. La sua differenza era evidente a tutti. Finché avesse portato a termine i propri compiti, suo padre e sua madre non si sarebbero lamentati, ma il loro rapporto era diverso rispetto a quello che avevano con Darren. Non che ad Hannah ciò desse alcun fastidio: era ella stessa consapevole della differenza con il fratello. Hannah non aveva bisogno di troppe parole e troppo tempo per comprendere le persone. Le bastava osservarle e quando ne condivideva la quotidianità, come con il fratello, era fin troppo facile. Darren era uguale ad Alexander, perciò era logico che neanche con lui avrebbe mai trovato un punto d’incontro o che li accomunasse.

Hannah non credeva nel destino, ma era certa dell’esistenza delle coincidenze. Ciò, però, non le impedì di sorprendersi per l’entrata improvvisa del fratello nella grande biblioteca nel momento in cui si ritrovava a pensare a lui, anziché leggere il suo libro. In un'altra circostanza non gli avrebbe prestato attenzione, ma l’espressione sul suo volto, sempre così calmo e imperscrutabile, attirò la sua attenzione. Avrebbe addirittura potuto dire che l’avesse... incuriosita.

Aveva letto della curiosità da piccola, in un fumetto di Dylan Dog:  si dovrebbe vivere se non altro per soddisfare la propria curiosità.  E in tanti altri scritti successivamente. Perciò immaginava che fosse, la curiosità, quel qualcosa che le impediva di abbassare il capo sul proprio tomo.

Darren chiuse la porta dalla biblioteca alle proprie spalle, con la massima delicatezza di cui era in possesso. Gli occhi grandi di Hannah lo fissavano e, piccola nella posizione in cui sedeva, gli diede l’impressione che anche un rumore potesse spaventarla e sconvolgerla. Benché sapesse che la sorella era un’ottima mercenaria e perciò dotata di tutte quelle capacità che non si potevano attribuire ad un essere fragile, così la vide in quel momento e come tale cercò di trattarla.

I fratelli si guardarono a lungo negli occhi, sorprendendosi del fatto che nessuno dei due avesse ancora abbassato lo sguardo.

Darren mosse qualche passo nella direzione della sorella, che irrigidì automaticamente la propria posizione. Non aveva timore della figura che, felina, le andava incontro. Non perché avesse la certezza di non doverne avere, ma perché non sapeva cosa fosse il timore. In compenso, Joseph le aveva insegnato a contrarre i muscoli e preparare il corpo ad un possibile attacco, in situazioni simili. Era abbastanza intelligente da capire quando qualcuno avesse torto o ragione, nel secondo caso si limitava a seguire le istruzioni.

Darren notò il cambiamento e sorrise per rassicurare la piccola e pallida figura.

Hanna sperimentò in quel momento un’altra sensazione di cui aveva soltanto letto: la confusione. Aveva visto, sì, qualcosa di simile prima d’allora sul volto del fratello, ma sentì che il gesto di sollevare labbra, in quel caso, aveva un significato diverso. Non seppe più se irrigidire il corpo o meno, perciò agì di propria iniziata e si rilassò nella sua posizione.

Darren sorrise ancora e disse: ≪Ciao≫.

≪Ciao≫, contraccambiò la sorella. La voce sottile si levò delicatamente dalle labbra.

≪Sapevo che ti avrei trovato qui, sommersa nei libri≫.

Hannah annuì, aspettando. Non sapeva bene cosa attendesse, ma era certa che ci fosse qualcos’altro.

≪Ho bisogno di parlarti e voglio che tu ti fidi di me≫, disse il ragazzo, andando subito al sodo.

Hannah fu certa che attuare anche il concetto di fiducia, quel giorno, dopo aver scoperto curiosità e confusione, fosse troppo.

Darren si avvicinò ancora alla sorella, prese il libro e lo ripose e le sfiorò una mano con la propria.

La giovane non la ritrasse, troppo... curiosa per quel contatto. Era sorpresa che quelle dita fossero capaci di delicatezza, oltre ad irruenza e forza, e che la utilizzassero proprio con lei. Il giovane le strinse delicatamente la mano e la incitò a sollevarsi. Hannah si alzò in piedi, senza staccare lo sguardo dal suo.

Darren ripose nella sua mano il foglio che stringeva saldamente tra le dita. Hanna abbassò il capo e lo fissò, ora nella propria mano.

≪Che cos’è?≫, chiese.

Se qualcuno avesse tenuto il conto, avrebbe potuto dire che, con quelle ultime parole, avessero effettivamente portato a termine la conversazione più lunga avuta prima di quel momento.

≪So che non abbiamo mai parlato molto, Hannah. Io ero ciò che ero e tu eri ciò che sei. Qualcosa è cambiato per me...≫, il giovane si guardò alle spalle, in attesa che qualcuno facesse irruzione dalla porta da un momento all’altro.

≪Non ho tempo e non ho nessun’altro a parte te. Sei l’unica di cui io sia disposto a fidarmi. Dobbiamo raggiungere Londra e... ho bisogno di te per quello che sto per fare≫.

Hannah era sorpresa – ed ecco che sperimentava un’altra emozione: in pochi minuti aveva provato già più di quanto avesse fatto in diciassette anni di vita – dall’urgenza che udiva nella voce di suo fratello e dalla preoccupazione che gli segnava il volto. Ma non paura. Era certa che lui non la provasse mai. Era forte, Darren. Questo era il tratto dominante del suo carattere, il primo che lei aveva letto in lui.

≪Devi andare. Sei la mia speranza in caso io...≫, il giovane esitò e alla ragazza non sfuggì.

≪Cosa potrebbe succedere?≫,chiese Hannah.

Darren aveva imparato che Hannah non amava parlare, ma quando lo faceva poneva sempre le domande esatte e non sprecava mai il fiato.

≪Potrei non farcela, Hanna, nostr...≫, le sue parole furono bloccate dal sopraggiungere di rumori dall’esterno. I due si voltarono simultaneamente. Lui era consapevole, lei no.

Darren poggiò una mano sulla schiena di Hannah e la spinse verso porta.

≪Lo farai?≫, le chiese soltanto.

I loro sguardi s’incrociarono nuovamente. Hannah lesse all’interno del suo sguardo una scintilla che non aveva mai notato prima e lei notava ogni cosa. Non le erano sfuggite le parole del fratello: io ero ciò che ero. L’uso del passato non era un caso. Darren le stava dicendo che era cambiato. Nessuno dei due seppe cosa fu a spingere la ragazza a rispondere affermativamente – forse quella sensazione di buon umore pensando al futuro: la speranza che potesse trovare un punto d’incontro con i fratello, forse il suo istinto che, per la prima volta, le suggerì qualcosa, ovvero che Darren era in qualche modo nel giusto – sta di fatto che annuì.

Gli occhi del giovane brillarono come il riflesso dei raggi del sole sulle acque e sorrise ancora.

≪Vai, Joseph ti aspetta di sotto. Cercherò di raggiungerti: non voglio abbandonarti. Devi ancora sapere tutto, ma non c’è tempo...≫. Il rumore di poco fa si fece più vicino.

Darren aprì la porta e i due uscirono.

Una volta all’esterno presero a camminare velocemente verso le scale.

≪Non fare loro del male, mi raccomando. Devi far si che ti dicano dove si trova la principessa e metterla in guardia...≫.

I passi divennero udibili ad orecchio umano. Darren tirò la sorella tra le proprie braccia.

≪Ce la farai piccola, lo so. Non riavrò gli anni che ho perso, ma cercherò di guadagnarne. Sta attenta. Sento che sei importante. Ti voglio bene≫.

Quelle parole sorpresero, confusero, fecero sperare Hannah, dalla prima all’ultima. Darren le stava dando fiducia e lo aveva fatto ancor prima che lei decidesse di dargliela a sua volta. Il fatto che fosse andato proprio da lei era una prova.  Se non errava, ciò che provava Darren era rimpianto per aver perso del tempo che avrebbero potuto trascorrere insieme. Credeva che potesse fare qualcosa. Forse, se avesse parlato con lui gli avrebbe risposto con altre parole. Scoprì che desiderava saperlo. L’affetto era un concetto astratto per gli altri, figurarsi per lei. Hannah non pensava che il fatto di non essere mai stata contagiata da sensazioni quali odio, rancore ecc... la rendevano la più probabile esponente a provare quell’emozione. Tra le braccia del fratello scoprì che avrebbe voluto provare anche lei l’affetto. Se non altro, per saziare la propria curiosità su di esso.

Darren sciolse l’abbraccio, guardò la confusione sul suo volto e sorrise teneramente.

≪Spero per te che riesca a capire cosa significa. Trova l’affetto, Hannah≫, le augurò.

≪Vai≫, disse poi, in tono frettoloso.

≪Vieni≫, chiese lei, con voce bassa e delicata. Qualcosa le suggeriva di non lasciarlo.

≪Tenterò≫, fu la sua risposta.

La ragazza scese i primi scalini, prima di scomparire si voltò un’ultima volta. Gli occhi blu brillavano, le sopracciglia scure erano contratte. Incrociarono gli sguardi, prima che un rumore attirasse l’attenzione di lui e si voltasse, con uno sguardo agguerrito e la mascella serrata. Non vide chi fosse, ma si affrettò a scendere di sotto, memore delle parole del fratello.

Quando scese l’ultimo gradino alzò il capo e trovò Joseph ad aspettarla. Il ricordo dell’affetto del fratello, di fronte alla freddezza di lui, la portò ad irrigidirsi. Lui  non le dava fiducia e le tappava le parole. Non aveva mai avuto nulla di diverso dal comportamento di Joseph, da quello del padre, della padre e degli altri in generale, ma i gesti e le parole di Darren le fecero credere che ci fosse qualcos’altro. E lei lo preferiva: era migliore. Hannah e Joseph si guardarono, senza dire alcunché. La ragazza si avvicinò.

≪Dobbiamo andare?≫, chiese lui. Hannah annuì.

Joseph era ancora incerto, ma non poteva disobbedire al volere di Hannah.

Si avviarono velocemente alla porta. Lui confuso, lei certa di dover fuggire, benché non sapesse il perché. Prima di lasciare il palazzo entrambi si guardarono alle spalle, provando sensazioni diverse. Lo stomaco della ragazza protestava e il suo cuore batteva con un ritmo più veloce del solito. Il respiro era mozzato. Timore, forse. Si avventurarono nella sera, lasciandosi alle spalle Eilean Donan, correndo verso il bosco dopo aver attraversato lo stretto ponte di pietra, l’unica cosa che legasse il castello alla terraferma.

Il ragazzo dagli occhi color zaffiro, ancora all’interno della rocca, attendeva la morte con un sorriso sul volto, consapevole di aver assicurato il proprio obbiettivo a mani sapienti, e una determinazione nello sguardo e sul volto che indusse ad arrestarsi Alexander, in testa al piccolo manipolo di uomini che si apprestava a seguirlo. Forse fu il sopraggiungere della figura femminile e scattante di Sarah, che si parò di fronte a Darren stringendo in mano il suo pugnale, a fermarli. Alexander aggrottò le sopracciglia e ghignò in direzione della donna che si era parata di fronte al figlio, con fare protettivo. Nel suo sguardo non vide alcunché se non una freddezza glaciale e calcolatrice. Faceva ciò per cui era stata assunta dall’ uomo stesso, alla nascita del figlio. Sarah era consapevole di non avere alcuna possibilità di vittoria contro Alexander e il numero dei suoi uomini, ma per ciò non si tirò indietro.

Una mano si posò sulla spalla della donna, una trentenne dai capelli lunghi e mori, e i suoi occhi abbandonarono per la prima volta la figura di Alexander per posarsi su quella ben più giovanile del figlio. Darren le sorrise e fece un cenno con il capo perché si allontanasse. Sarah lo conosceva da quando ancora non aveva imparato a camminare ed era certa di non avergli mai visto una simile luce negli occhi o un sorriso così umano sulle labbra. Non avrebbe riconosciuto Darren in quell’uomo se non fosse stato per la ferrea determinazione che lo animava e per il coraggio con cui aveva deciso di affrontare il padre senza alcun aiuto esterno.

≪Darren...≫, sussurrò la donna.

≪E’ meglio che tu vada via, Sarah. Io posso affrontare da solo mio padre≫.

Il rimprovero nelle sue parole verso il padre non sfuggì né a Sarah né ad Alexander. La donna aveva immediatamente raggiunto Darren non appena aveva capito il motivo del fermento di Alex e delle guardie. Non aveva preso in considerazione l’eventualità di defilarsi, forse perché soltanto poche settimane prima i due avevano condiviso il letto, forse per diligenza sul lavoro.

Sarah scosse la testa e si limitò ad affiancare Darren: non intendeva andar via. Darren sospirò ma non aggiunse altro.

Isobel, qualche passo alle spalle degli uomini capeggiati dal marito, sussultò. Immaginava che Sarah avrebbe approfittato della prima via di fuga offertagli anziché rimanere al fianco del figlio. Si sentì improvvisamente in difetto e di meno, rispetto a quella donna. Era dalla parte sbagliata?

Non appena aveva riacquistato le proprio capacità cognitive, si era diretta a passo svelto dal marito. Alexander aveva ascoltato silenziosamente la sua spiegazione, che Isobel sentiva come un peso sulla propria anima e aveva tratto le proprie conclusione, le stesse della donna. Eppure lui non aveva visto quella scintilla nello sguardo di Darren, non avrebbe potuto capire fino in fondo e, quando Alexander si allontanò per radunare qualche guardia, Isobel si chiese se lei avesse capito davvero. Isobel era sempre stata una donna ambiziosa, amava l’arte, la cucina e le belle cose. Aveva accettato di buon grado il piano del marito, fin dall’inizio. Avrebbe soltanto guadagnato grazie ad esso, ma non era pronta a perdere qualcosa. Perché avrebbe perso Darren, ne era certa. Dallo scontro di due determinazioni così furiose e grandi, una era destinata a perire, se non entrambe.  

Isobel incrociò gli occhi del figlio, che le rivolsero uno sguardo che avrebbe definito malinconico, prima che questo lo dirigesse sul volto del padre.   

≪Mi hai deluso, Darren, riponevo grandi speranze in te. Perché?≫. Le parole di Alexander lo colpirono con la stessa violenza dei suoi schiaffi.

≪Per poter parlare di delusione, dovresti prima conoscere la fiducia, papà. Ma tu non hai idea di cosa sia, perciò non mi aspetto che mi comprenda. Sappi che non ho intenzione di prendere parte al vostro complotto, né di rimanere con le mani in mano mentre infrangete la legge. Rinuncia ai tuoi propositi e io rinuncerò ai miei≫.

Alexander strinse i denti per l’insolenza del figlio e nascose la sua irritazione dietro una risata sguaiata.

≪La legge? Nel nostro mondo non è altro che una parola senza senso né fine≫, controbatté lui, gesticolando con una mano.

≪Eppure tu ti ostini a schierarti dalla sua parte. Nessuno, neanche coloro che tu consideri la legge, ti spalleggerebbe, figliolo≫. Un’altra risata sferzò l’aria.

≪La mia legge non ha i volti e i nomi degli anziani, ma il mio viso e la mia coscienza. Parlo di legge morale. Dovresti riflettere sulle conseguenze che questo complotto arrecherà al mondo degli immortali e a quello degli umani≫.

Le risa di Alexander si arrestarono e la consapevolezza si fece largo nella sua mente. Il figlio era sotto l’influenza del morbo della coscienza, sporca nemica dell’uomo. Gli unici animali senzienti e si ostinavano come stupidi a seguire emozioni e istinti dannosi per la mente!

≪Parli di coscienza e di conseguenze? Non sei più figlio mio, ma di Edvard e sei suoi sporchi principi.  Non ti permetterò di interferire con i miei piani≫, così dicendo si voltò in direzione dei propri uomini, ≪occupatevi di lei. Lui è mio≫.

Darren fissò il volto del padre, le narici dilatate, i muscoli frementi e gli occhi lampeggianti, nell’istante che separò la quiete dall’attacco. Le tre guardie accerchiarono Sarah e Alexander si fiondò sul figlio. Uno scontro tra Titani avrebbe scatenato un polverone molto più piccolo. La concentrazione con la quale i due attendevano la mossa dell’altro e la potenza dei loro fisici e delle loro menti a confronto creò loro intorno un vuoto e un silenzio assurdi, nonostante i suoni degli scontri a pochi passi da loro. La finta di una finta assicurò a Darren la prima mossa verso il padre. Pian, piano comprendeva la frustrazione e la malinconia degli assassini. Davanti ad un nemico è impossibile non reagire, anche se una parte di loro vorrebbe risparmiarne la vita. Per Darren le cose erano ancor più difficili, trattandosi del padre, ma non avrebbe potuto permettersi alcuna distrazione e alcun tentennamento. L’idea di star combattendo per un fine nobile e non per se stesso o un invisibile mandante, gli dava la forza di non deporre l’arma. Era così difficile quella vita! Quando aveva scoperto di non voler più combattere, di non avere sete di potere e di vendetta, aveva scoperto qualcosa per cui avrebbe dovuto imbracciare le armi. Il suo obbiettivo lo costringeva ad affrontare difficoltà che si sarebbe volentieri risparmiato e ne detestava il peso, ma allo stesso tempo era esso stesso la sua forza. Cos’altro fare se non lasciarsi trasportare? L’attacco al fianco sinistro mancò Alexander di pochi millimetri, perché l’uomo aveva avuto la prontezza di scansarsi e afferrare il coltello che teneva nella cinta, puntandolo al fianco del ragazzo prima di cadere in avanti. Darren fu altrettanto veloce da evitarlo, ma la lama affilata tranciò un lembo della sua maglietta. I due si ritrovarono nuovamente uno di fronte all’altro. Benché ciò avrebbe costituito indubbiamente un vantaggio per il ragazzo, Darren non estrasse la propria arma. Qualcosa gli impediva di puntare un coltello alla gola del padre. Entrambi avevano il respiro leggermente accelerato, ma l’attacco da parte di Alexander fu fulmineo e improvviso quanto quello del figlio. Affondi e sferzate di lama risuonarono nel castello per diversi minuti. D’un tratto la lama di Alexander si avvicinò pericolosamente al collo del figlio e questo impedì che vi si conficcasse all’interno della trachea soltanto perché lo bloccò con il proprio pugnale, neanche fosse un combattimento a colpi di spada. Darren aveva una grande alleata dalla propria parte: la mente. Il suo ingegno era la caratteristica dominante della sua tecnica. Anche quel giorno utilizzò l’astuzia per vincere contro il padre: lo dribblò con una finta laterale e aiutato dalla parete e dalla sua velocità gli fu alle spalle, la lama si mosse in direzione del suo collo... In quel momento Darren imparò una lezione che nessuno aveva mai dovuto insegnargli, visto che l’eventualità non si sarebbe mai potuta presentare: non distrarre mai la concentrazione dal tuo nemico per assicurarti delle condizioni di un tuo compagno. Nel momento in cui un urlo di dolore si levò dalle labbra di Sarah, Darren interruppe la corsa della propria lama e fissò i suoi occhi su di lei giusto il tempo di vederla riversa a terra senza vita. La distrazione gli fu, come si suole dire, fatale. Alexander afferrò il suo pugnale dentellato e lo lanciò dall’altra parte del corridoio, afferrò le braccia e le costrinse dietro la sua schiena, sbattendolo violentemente sul pavimento, bloccato dalle sue ginocchia, con il proprio coltello premuto sulla pelle del suo collo. Nella violenza dell’impatto contro il pavimento Darren reclinò la schiena e il capo all’indietro e vide la figura della madre allontanarsi, sorretta dalle pietre della parete, scossa da tremiti convulsi.

Alexander lo sovrastava.

≪E’ questo ciò che comporta la coscienza figliolo: la morte. Un uomo che si abbassa alla compassione è un uomo finito. La ragione doveva essere la tua guida≫, sussurrò all’ orecchio del figlio Alexander.

L'ultimo passo della ragione è riconoscere che c'è un'infinità di cose che la sorpassano. Hai mai pensato, padre, che ciò che ci rende uomini è la capacità di provare compassione verso gli altri?≫, rantolò il giovane e la lama si conficcò più a fondo nella gola.

≪Se così fosse, perché tu perisci e io vivo?≫, chiese l’uomo.

Darren sorrise.

≪Quando morirai, perché la morte prenderà anche la tua vita, di te non rimarrà nulla se non una lunga lista di nomi su lapidi di cemento. Io muoio, ma i miei principi, la mia compassione, la mia coscienza continua a vivere. Qualcun altro porterà a termine l’obbiettivo per cui ho dato la vita e le idee che lo hanno animato. Io continuerò a vivere in lui anche quando tu sarai cenere e ossa. Questo è il vero potere e l’immortalità: rimanere anche quando tutto il resto scompare≫.

Gli occhi e le narici di Alexander si dilatarono e i primi fissarono quelli del figlio, blu nel blu.

Uno spettatore inatteso osservava la scena, abbastanza silenzioso, come sempre, da rimanere taciuto ai loro sguardi.

Hannah, dopo aver percorso un discreto tratto di strada insieme a Joseph, aveva sentito una morsa stritolargli il torace. Aveva portato una mano al cuore, che batteva frenetico e si era voltata. Il suo istinto parlò ancora e la sensazione era così nuova che Hannah non poté che fidarsi ciecamente di ciò che gli suggeriva. Lasciò Joseph nella foresta e corse, ripercorrendo la strada verso Eilean Donan. La distanza che la separava dal fratello era troppa perché lei potesse sopportarla. Darren non l’aveva ancora raggiunta, eppure lo aveva promesso: non l’avrebbe abbandonata. E lei si era fidata di quelle parole, perciò, avrebbe visto con i suoi occhi il motivo per cui non l’aveva ancora mantenuta. Attraversò nuovamente il ponte di pietra e rientrò nel castello. Un allarme lampeggiò nella sua mente, rumori di battaglia si udivano dal piano di sopra. La morsa le afferrò il cuore e lo strinse nuovamente tra gli artigli. Qualcosa le suggeriva che Darren fosse in pericolo e avesse bisogno del suo aiuto. Risalì le scale silenziosamente e si appostò. Tre uomini sovrastavano una figura femminile riversa a terra, il volto deformato da tagli e lividi. Qualcuno, che riconobbe essere un uomo dal taglio del capelli, sovrastava un’altra figura maschile. E quel ragazzo fu l’unico che riuscì a riconoscere. I suoi capelli scuri, le labbra che le avevano sorriso, gli occhi che le avevano parlato, le braccia che l’avevano stretta: Darren. Immediatamente scattò in avanti per liberarlo del peso che lo costringeva sul pavimento, ma il braccio dell’uomo si alzò e il suo coltello si conficcò nella gola candida di Darren prima che lei potesse muovere un passo nella sua direzione.

Ogni cosa, per ognuno dei presenti, si fece improvvisamente silenziosa. Alexander estrasse il pugnale dalla gola del figlio e fissò i suoi occhi spalancati, lo vide boccheggiare in cerca d’aria. Lo zaffiro non perse la sua limpidezza mentre la morte gli rubava l’ultimo respiro.

La vista di Darren divenne un manto di punti di luce e oscurità, ma il ragazzo sapeva che a prevalere sarebbe stata la seconda. Lo aveva sempre saputo, fin dal momento in cui aveva deciso di perseguire una causa contro il padre. Neanche nella morte riuscì a portare rancore all’uomo che gli aveva dato la vita e gliel’aveva poi strappata. La sua condizione e i suoi fantasmi, la sua ignoranza erano una punizione sufficiente. Alexander non aveva bisogno anche del suo rancore. Darren consegnò la propria forza e la propria vita alla sorella, in un gesto simbolico, confidando in lei ogni cosa. Il giovane scoprì di non avere rimpianti. Non moriva inconsapevole. Aveva vissuto davvero, anche se solo per qualche ora, aveva vissuto. Chiese scusa al mondo e a se stesso per il male che aveva fatto, cosciente che quell’ultimo gesto non lo avrebbe liberato del peso di tutti gli altri errori. Ma non aveva rimpianti, se non uno.

Se avesse avuto del tempo a disposizione, una volta avvertita la principessa, avrebbe cercato la bimba e fatto di lei il suo nuovo obbiettivo. Avrebbe vegliato su di lei con costanza e dedizione, come soltanto un angelo dal passato di diavolo avrebbe potuto fare.

Avrei voluto conoscere il tuo nome, pensò Darren prima che la morte lo accogliesse tra le braccia, innamorata, questa, fin dalla nascita di quel bimbo dagli occhi blu come gli zaffiri. Da allora lo attendeva con impazienza.

A qualche passo di distanza, un cuore perse un battito, nell’istante in cui quello di Darren smise di battere. Hannah fu consapevole che il fratello fosse morto nell’istante in cui la luce si spense nei suoi occhi e la tenebre calarono sulle acque. Il suo capo si abbandonò sulle pietre fredde. Hannah corse, lontano dalla morte e dal dolore che gli stringeva il petto. L’unico che le avesse dimostrato quante cose ci fossero oltre ciò che lei già conosceva, l’affetto, la cosa più grande, non c’era più. Non aveva mantenuto la sua promessa di non abbandonarla, ma Hannah avrebbe mantenuto la propria. Quando fu nuovamente al di là del ponte, nella foresta, percepì qualcosa di bagnato scivolarle lungo il collo. Terrorizzata lo raccolse sulle dita e lo osservò a lungo, prima di capire di cosa si trattasse e meravigliarsi: una lacrima.

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Capitolo 3
*** Londra ***


2 Londra

Il suono metallico delle ruote che stridevano contro i binari della ferrovia, nell’affollata stazione di Inverness, non ridestò la giovane dai propri pensieri.

Si diceva della pietra di azzurro topazio che fosse il simbolo della contemplazione e dell’animo costante, tranquillo e temprato a tutte le avversità, che avrebbe frenato le passioni, l’ira, la lussuria e avrebbe combattuto la malinconia.

Gli occhi di Hannah avrebbero rispecchiato alla perfezione quella leggenda, se non avessero brillato di una luce malinconica insanabile. Benché non avesse distolto lo sguardo dal vetro e automaticamente dalla vista di acque limpide, verdi colline e montagne, gli occhi della giovane non avevano catalogato alcun particolare dello splendido panorama che le scorreva di fronte: guardava senza riuscire a vedere.

Nello sguardo si susseguivano le immagini dell’ultima notte a Eilean Donan. Il ricordo della vita che abbandonava gli occhi di Darren, il capo riverso sul pavimento, le labbra piegate in un’espressione pacifica, il suono della lama che si conficcava nella sua gola e il momento in cui le mani del suo assassino l’avevano malvagiamente estratta, dopo aver inflitto il colpo mortale, non si cancellava dalla sua mente come qualsiasi altro. Non era certamente la prima volta che Hannah assisteva a una scena simile, quando non erano le sue stesse mani a muovere la lama, ma dopo ore di viaggio in treno la stupiva che le tormentassero ancora la mente. Hannah pensò che la causa fosse la mancanza del suo rifugio, la grande libreria, che l’accoglieva a ogni rientro a casa. Era ormai un rito, quello di rintanarsi tra le pagine di un buon libro e dimenticare. La giovane strinse le ginocchia al petto e vi posò il mento. Hannah sarebbe voluta ritornare indietro, al pomeriggio del giorno prima, quando Darren non era ancora entrato nella libreria con quella luce negli occhi. La giovane non avrebbe saputo dire se lo squarcio che sentiva al posto dei polmoni e del battito cardiaco potesse essere definito come mancanza di qualcosa. Se così fosse stato, avrebbe tranquillamente potuto affermare di sentire la mancanza della routine e della sicurezza del proprio angolo di solitudine. Una frustata gelida la costrinse a mettere in discussione la propria argomentazione. Non avrebbe dovuto scartare immediatamente l’idea che lo squarcio fosse ciò che rimaneva del posto vacante occupato da Darren. Hannah non voleva ammettere che, in così poco tempo, avesse trovato ciò che sentiva di star aspettando e l’avesse perso altrettanto velocemente. Darren le aveva donato l’affetto, lei aveva scoperto di apprezzare quelle sensazioni e ora ne sentiva la mancanza. Le mancava la possibilità di approfondire quel rapporto. Le mancavano gli abbracci, le rassicurazioni e la fiducia. Soprattutto quell’ultima. Hannah non ne aveva mai realmente ricevuto da parte di nessuno, perciò non era certa del modo in cui si agisse in quei casi. Lasciò che fosse l’istinto a decidere per lei. Non avrebbe deluso la fiducia che Darren aveva riposto in lei, la dove avesse potuto addurre al termine “delusione” la sensazione di sconforto provata nel momento in cui capì che Darren non l’avrebbe raggiunta e in base alla quale aveva perciò deciso di ritornare indietro...

 Hannah ripercorse mentalmente la loro conversazione. Intuì, dalle parole affrettate del fratello, che il giovane fosse consapevole della propria fine.

Sei la mia speranza in caso io..., il giovane non aveva concluso il proprio presagio. Cosa potrebbe succedere?, aveva chiesto Hannah.

La giovane si rimproverò per non aver insistito.

Il mistero di cosa fosse successo a Eilean Donan le portò via molto tempo. Era possibile che qualcuno avesse fatto irruzione nel castello? Poteva trattarsi di un tradimento? All’interno della residenza si nascondevano forse delle talpe? Il padre non era certo un uomo ben voluto e ogni mercenario, nel corso della vita, crea la propria personale lista di nemici da tenere sott’occhio. Anche lei era certa di averne parecchi... Ciò spiegava il perché della presenza sul luogo di alcuni uomini in servizio al castello come guardie. Il topazio blu dei suoi occhi fiammeggiò e lampeggiò, come una pietra minerale esposta alla luce del sole. La sua mente si soffermò sull’uomo la cui mano aveva segnato la fine della vita di Darren. Hannah, non provando alcunché, aveva sempre cercato di afferrare il motivo che spingeva le persone a richiedere la morte di altri. L’odio e l’affetto. Entrambi erano ottimi moventi, le aveva spiegato Joseph un tempo. Ora che la giovane aveva assaggiato l’affetto, si chiese come potesse portare a richiedere un omicidio o una tortura. Ricordò quel qualcosa di fondamentale che le era sfuggito. L’omicidio e la tortura erano richiesti per affetto. Un eccesso di questo portava le persone a commissionarli per quei gesti. Di cosa fosse l’odio lei non ne aveva idea, ma, ancora una volta, grazie al tempo speso dietro ai libri, riuscì a riconoscerlo nelle emozioni che stava provando(le sembrava ancora strano parlare di se stessa che prova delle emozioni). I denti stridevano tra loro e nello sforzo di trattenerli serrava la mascella, sentì che lo sguardo diventava davvero freddo, come lo vedevano tutti gli altri e il proprio istinto, sempre così pacato e silenzioso, si risvegliò in tutta la propria brutalità e ferocia. Aveva ucciso innumerevoli volte, senza mai provare piacere né ira né soddisfazione. Ma sentì tutta la potenza della propria rabbia, mentre nella mente figurava l’immagine delle proprie dita strette intorno al collo dell’uomo che aveva ucciso il fratello, e seppe che, in quel caso, avrebbe provato entrambe le cose: piacere e soddisfazione.

Quando si fu ripresa, stabilì la prima certezza di quel nuovo giorno: Eilean Donan non era più un posto sicuro e lei non avrebbe potuto farvi ritorno. Si chiese se Alexander e Isobel fossero ancora vivi, ma quel dubbio non le creò altri squarci nel petto.

La seconda certezza stabilita fu, mentre l’alba sorgeva dietro le colline, che avrebbe trovato l’uomo, chiunque esso fosse, e avrebbe messo in pratica il concetto dell’eccesso di affetto o avrebbe sperimentato le conseguenze dell’odio per la prima volta, ma lo avrebbe ucciso, allo stesso modo in cui lui aveva ucciso Darren.

Decretati entrambi i suoi principali punti fermi, Hannah iniziò a porsi domande di altro genere. Il primo obiettivo era portare a termine il compito che le aveva assegnato Darren, ma lei non aveva idea di ciò che l’aspettava. Fissò il foglio che teneva tra le mani. Sembrava una semplice missiva come tante le erano state consegnate da Joseph e più unicamente da Alexander. Darren le aveva chiesto di non fare del male ai vampiri segnalati, benché il foglio ne indicasse la morte. Perciò l’omicidio era escluso. 

Devi far si che ti dicano dove si trova la principessa e metterla in guardia..., aveva detto il ragazzo, costatò la giovane, ricordando un altro frammento della loro conversazione.

Sapeva molto della principessa, tutto ciò che si potesse conoscere di lei attraverso le letture. Nessuno sapeva dove vivesse né se fossero veritiere le leggende che circolavano su di lei. In pochi avevano avuto l’onore di vederla personalmente e tutti avevano adorato e lodato la sua straordinaria bellezza. Si diceva di lei che fosse una creatura misteriosa, poco loquace e tenebrosa. Qualcosa non aveva mai convinto Hannah riguardo alla storia della principessa. Mancavano tanti tasselli al puzzle.

Avrebbe dovuto ideare un piano prima di bussare alla porta dei vampiri. Il suo scopo era ricavare informazioni sull’abitazione della principessa, per poi metterla in guardia su un potenziale pericolo di cui neanche lei era a conoscenza. Se i vampiri avessero rifiutato di dirle ciò che desiderava, avrebbe dovuto utilizzare le maniere forti? Le parole di Darren sul non far loro del male si riferivano anche a questo o soltanto alla X? Se i vampiri erano a conoscenza del luogo in cui era ubicata la residenza reale, non erano nemici da sottovalutare. Il foglio riportava due nomi ma nulla escludeva che fossero in numero maggiore. Perciò non avrebbe potuto aggredirli immediatamente e torturali fin quando non le avessero detto ciò che desiderava sapere. Allora in che modo si sarebbe presentata da loro? Avrebbe dovuto fingersi umana? Se, come supponeva, i due vampiri fossero stati dalla parte della principessa, non avrebbe semplicemente potuto spiegar loro il motivo che l’aveva condotta lì, così che le avrebbero indicato l’abitazione per avvertire Selene del pericolo incombente? In quel caso avrebbe dovuto svelare che era una mercenaria. Non era il modo in cui avrebbe agito solitamente, ma non avendo altra scelta né informazioni non avrebbe potuto fare altrimenti.

Il motivo per cui avrebbe voluto avvertire personalmente Selene, oltre a volersi accertare di portare a termine l’obiettivo che era stato di Darren, consisteva nel fatto che Hannah fosse certa che scoprire il pericolo che incombeva su Selene, l’avrebbe portata all’assassino di Darren. Era probabile che il fratello fosse implicato in affari di cui non era a conoscenza e che centravano con ciò che stava per fare, ma che non aveva avuto il tempo di realizzare.   

Joseph, abituato ai lunghi silenzi, non aveva interferito nei pensieri della ragazza, limitandosi a sederle a fianco, anch’esso immerso nelle proprie idee. L’uomo aveva ben poco sui cui riflettere, non conoscendo i motivi del viaggio e gli intrecci della situazione, ma era sempre stato acuto, o fortunato, nel cogliere segnali e mutamenti negli atteggiamenti delle persone che lo circondavano. La fretta di Darren e il suo sconvolgimento interiore non gli erano sfuggiti, quando aveva fatto irruzione nella camera, trafelato e determinato. Benché evitasse di esprimere le proprie opinioni, ciò non significava che non ne avesse costruito nella propria mente. Joseph era un buon osservatore. Aveva intuito immediatamente la diversità di Hannah e, in seguito, il rapporto gelido tra lei e il resto della sua famiglia. Darren non era un’eccezione. Joseph aveva passato anni a osservare la ragazza, anche nei momenti più critici. Il primo omicidio, all’età di sei anni, la prima tortura, durata dodici ore, a tredici anni. Eventi che segnavano i piccoli mercenari, introducendoli alla loro vita reale. Per Hannah nulla era cambiato, in entrambi i casi. Aveva svolto il suo compito con freddezza ed eccellenza. Joseph aveva visto cedimenti, ghigni di piacere e soddisfazione, accanimento, nel percorso della propria carriera, ma non si aspettava che qualcuno potesse rimanere estraneo alle prime volte sul campo. Hannah possedeva istintivamente quella capacità che si acquisiva dopo i primi cinque, sei anni nel settore.

La ragazza non gli aveva spiegato cosa fosse successo a Eilean Donan, ma, di ritorno dal palazzo, Joseph aveva visto nei suoi occhi quello sconvolgimento che attendeva da undici anni.

Soltanto nel momento in cui gli altri passeggeri iniziarono a scorrergli a fianco, Joseph si ridestò. Un uomo, di cui intravide solo lo spolverino marrone, nella fretta gli colpì il gomito con la ventiquattro ore. Le porte del treno erano affollate delle persone che spingevano per uscire. Si alzò dal proprio posto, afferrò lo zaino e posò lo sguardo sulla figura immobile di Hannah. Non aveva ancora distolto lo sguardo dal vetro, benché il grigio cemento del marciapiede avesse occupato il posto delle verdi colline, a ulteriore conferma che non stesse prestando loro attenzione. Joseph le sfiorò una spalla, richiamandola con uno sguardo sospettoso. Hannah lo guardò di rimando, impiegando qualche secondo prima di capire che il treno si era fermato ed era ormai quasi vuoto. Si alzò con un movimento aggraziato ed elegante e finalmente entrambi lasciarono il treno. Quella stessa mattina, Joseph e Hannah riuscirono a non mancare la coincidenza con l’aereo che da Inverness li avrebbe condotti a Londra. Altre due ore in cui i pensieri ebbero la possibilità di affollare entrambe le menti.

Il loro arrivo nel caotico aeroporto di Londra fu, come per il seguente, molto silenzioso. La città li aveva accolti con un clima che sembrava riflettere perfettamente lo stato d’animo di entrambi. Il cielo era di un confortevole grigio fumo, la nebbia un velo sottile e impalpabile che inumidiva la pelle e i capelli e la pioggia leggera un costante ticchettio sulla strada e sui grandi autobus a due piani che circolavano per strada. Londra era esattamente come ci s’immaginava che fosse. Non mancava nulla al quadro che la dipingeva come città nuvolosa, accogliente e, forse, a causa dei troppi libri di Harry Potter, magica. Hannah si aspettava di veder spuntare da un momento all’altro il giovane Harry con una scopa in mano e la bacchetta nell’altra. Lasciarono il city airport con il più classico taxi nero. Un ometto dal volto disponibile e il sorriso con tanto di fossette, vestito in un completo scuro, li condusse a Notting Hill. La cosa che Hannah apprezzò maggiormente dell’uomo fu la sua capacità di capire l’assenza di desiderio da parte di entrambi i passeggeri di dire alcunché e  perciò tacque, limitandosi a qualche convenevole.

≪Dove desiderate che vi lasci, di preciso?≫, chiese l’uomo.

Hannah fissò lo sguardo amichevole dell’uomo dallo specchietto. Gli occhi  nocciola brillavano. La ragazza non capì se avesse appena ricevuto buone notizie o fosse una sua caratteristica, in ogni caso, lo invidiò per la serenità che lesse nel suo sguardo. Hannah estrasse il cartoncino che teneva nella tasca dei jeans, con un movimento fulmineo vi lanciò uno sguardo, in modo che nessun’altro presente nell’auto potesse comprendere cosa vi fosse scritto.

≪158 Ladbroke Grove, ci lasci pure a qualche abitazione di distanza≫, gli rispose cortesemente la ragazza.

Joseph voltò leggermente il capo e tese lo sguardo per cogliere qualcosa di ciò che c’era scritto sul foglio, ma Hannah lo ripose immediatamente al sicuro nella propria tasca, il tutto senza degnarlo di uno sguardo. Avrebbe dovuto chiederle che cosa stesse succedendo e il perché di tanta riservatezza, una volta scesi dalla macchina.

Il tassista sorrise come sempre, ma alla ragazza non sfuggì il suo leggero sospiro.

≪Ha forse qualche problema a portarci dove le ho chiesto, ehm...?≫, chiese, curiosa di scoprire se quel quartiere celasse qualcosa di particolare.

L’ometto sussultò. Benché la ragazza si fosse rivolta con tono cordiale quegli occhi blu indagatori lo avevano destabilizzato e inquietato. Dean aveva notato immediatamente che ci fosse qualcosa di diverso in quei due individui. Qualcosa gli diceva che fossero pericolosi. La ragazza aveva un volto pulito e innocente ma teso e lo sguardo era glaciale. L’uomo, con il quale non aveva alcuna somiglianza, ma che anzi sembrava appena sopportare, aveva un volto talmente duro da sembrare scolpito nella pietra. Non avevano l’aria di essere turisti, anzi il loro accento era impeccabile. Nessuno dei due aveva aperto bocca per tutto il viaggio e a Dean era parso che fosse l’unico a risentire di quel silenzio e della situazione. La prima volta che aveva incrociato gli occhi dell’uomo aveva istintivamente temuto per la ragazza, solo di qualche anno più grande della figlioletta.

≪Dean, signorina. Assolutamente non c’è alcun problema. Vedete, oggi è il compleanno di mio fratello. Abita a Portobello Road e quando mi avete chiesto di accompagnarvi a Notting Hill ho tirato un sospiro di sollievo perché non avrei fatto ritardo a causa del lavoro. Speravo soltanto che la vostra destinazione fosse Portobello, ma non è assolutamente un vostro problema≫, disse, sfoderando la parlantina che aveva taciuto per tutto il viaggio, con grande sforzo.

Hannah annuì.

≪Vostro fratello≫, sussurrò la giovane.

Joseph le lanciò uno sguardo a dir poco strabiliato. Non l’aveva mai sentita parlare così a lungo con un’altra persona, a meno che non fosse costretta a farlo.

Dean dovette scambiare il suo sussurro per una domanda, a causa dell’intonazione che aveva utilizzato, perché rispose: ≪Oh, si. Compie sessantacinque anni. Con Ashlie, sua moglie e Chuck, mio nipote, abbiamo organizzato una festa a sorpresa. Sa, il suo compleanno coincide con il suo pensionamento≫, concluse. Dean era consapevole della facilità con cui iniziava a ciarlare quando si trattava della propria famiglia e in particolar modo del fratello. Erano sempre stati uniti, fin da bambini e benché lui fosse più piccolo di nove anni, non c’erano mai stati disaccordi o gelosie, quasi sempre...

≪Sembra che vostro fratello abbia una bella vita... come si chiama?≫, sussurrò ancora Hannah. Joseph e Dean colsero lo sconforto nella sua voce, ma reagirono diversamente. Il primo socchiuse le labbra e serrò la mascella, temendo che potesse cascare sul sedile per lo stupore, il secondo le rivolse uno sguardo paterno e rispose con entusiasmo.

≪Duncan Owen è uno degli uomini più onesti che conosca, signorina. Mio fratello è il proprietario di un’azienda di trasporti: taxi, autobus... Lavoro per lui da cinque anni. Sue moglie è una bellissima donna e suo figlio è un bambino adorabile. Le assicuro che ha lavorato duramente per guadagnare tutto quello che ha ora. Lei ha un fratello?≫, chiese, trattenendo il proprio entusiasmo e addolcendo il tono della voce. Temeva che quello fosse un tasto dolente.

Hannah, che aveva fin ora fantasticato sul racconto di Dean, immaginando il volto del fratello al posto di quello ipotetico di Duncan, alzò il capo e incrociò gli occhi color nocciola nello specchietto. Il cambiamento nel tono di voce dell’uomo non era passato inosservato, ma la rassicurò. Lo sguardo caldo che le rivolse alleviò leggermente la sensazione che le stringeva il petto. Lo squarcio si allargava, anziché richiudersi, man mano che il tempo passava. Hannah ebbe un attimo di smarrimento. Non sapeva come rispondere alla sua domanda. Un tempo, sarebbe stata incerta su cosa dire non sapendo se il suo antico rapporto con Darren potesse essere considerato pari a quello tra fratelli, ma avrebbe generalmente detto di sì. Quel giorno, sapeva di aver avuto un fratello e di averlo perso troppo in fretta. Il lato pratico le suggeriva di rispondere affermativamente, per non destare sospetti in Joseph: doveva ancora decidere se metterlo al corrente della morte di Darren. Eppure, sentiva che quella risposta avrebbe allargato a dismisura la falla nel sui petto. Non avrebbe semplicemente potuto fingere che Darren fosse ancora vivo...

Nel tempo che impiegò a prendere una decisione, destando ulteriori sospetti in Joseph, Dean comprese la sua difficoltà e la sollevò dal dover rispondere.

≪Siamo arrivi a Ladbroke Grove. E’ il 150. Desiderate che accosti qui e proseguire a piedi?≫, chiese.

Hannah si riprese e annuì. Dean accostò il taxi di fronte ad una grande casa bianca. Una serie di villette si stendevano per tutto il viale. Joseph salutò e uscì immediatamente dall’auto, respirando aria fresca. Quel viaggio era stato tremendamente lungo e sentiva le membra intorpidite. Hannah rimase così sola nel taxi con un Dean sempre sorridente. Recuperò il denaro per la corsa e si sporse in modo da consegnarlo all’uomo.

≪Avevo un fratello. E’ morto poco tempo fa...≫, sussurrò, in risposta alla sua domanda di prima.

Dean rimase un attimo perplesso prima di rivolgerle un altro sguardo paterno.

≪Mi dispiace≫, le disse.

Hannah conosceva le varie formule di cortesia della comunicazione umana, ma, nel momento in cui gli occhi color nocciola si sciolsero e il volto paffuto assunse un’espressione addolorata, comprese che non era quello il caso.

Hannah si allontanò e afferrò la maniglia.

Una mano calda sulla spalla la fermò.

≪Non conosco lei e non conoscevo suo fratello, ma leggo nei vostri occhi quanto vi manchi la sua presenza. Non saprei cosa fare senza Duncan, è sempre stato il mio punto di riferimento. Abitavo in Italia e siamo stati lontani per tanti anni. Avevamo litigato per una sciocchezza. Quando Chuck è nato ci sono state delle complicazione, Ashlie rischiava la vita. Ho preso il primo aereo è sono corso qui. Non potremo recuperare tutti gli anni che abbiamo perso, ma se io non fossi corso a Notting Hill, quel giorno, non ne avremmo avuto neanche uno insieme. Quello che voglio dirle è che finché l’affetto non si consuma il legame non si recide. Se non avessi tenuto a mio fratello non sarei andato in ospedale e lui non si sarebbe accasciato sulla mia spalla a piangere e non lo avrebbe fatto di nuovo quando ci hanno assicurato che Ashlie stava bene≫.

Hannah rifletté sulle sue parole. Forse avrebbe dovuto smettere di considerarsi immutata rispetto a qualche giorno fa. L’affetto l’aveva cambiata e, non avrebbe voluto dimenticarne il calore, neanche se il prezzo da pagare era lo squarcio nel petto. Così credeva.

Dean sorrise nuovamente come aveva fatto per tutto il viaggio e la ragazza tentò di replicare. Un angolo delle labbra si sollevò un po’ tremante e, quasi a volerle insegnare come fare, il sorriso di Dean si allargò maggiormente. La giovane aprì la portiera e scese dall’auto. Mentre il motore ripartiva si voltò indietro: ≪Dia a suo fratello i miei auguri di buon compleanno≫.

Avrebbe voluto una vita come quella di Duncan per Darren. Ciò che voleva per se stessa era ancora un mistero. Forse semplicemente perché non si era mai posta la domanda.

Quando fu al fianco di un rigido e sospettoso Joseph, gli avvenimenti nel taxi passarono in secondo piano ed Hannah ritornò con la mente alla propria missione. I due presero a camminare lungo il viale.

≪Intendi tacere a lungo?≫, le chiese d’improvviso Joseph, ormai all’esasperazione.

Hannah lo guardò per la prima volta negli occhi da quando avevano preso il taxi per Notting Hill.

≪Mi sembravi così desiderosa di conversazione, in auto≫.

Quel tono languido e ironico la fece irrigidire immediatamente. Scostò lo sguardo senza rispondere, guardandosi intorno. Erano circondati da grandi ville, con verdi giardini. In strada le auto erano poche e si muovevano quasi tutte nella direzione inversa alla loro.

≪Ho bisogno d’informazioni≫, disse in fine la ragazza.

≪Che genere di informazioni? Sarà necessaria una lunga tortura o...≫.

≪Nessuna tortura≫, lo interruppe la ragazza.  ≪Devono rimanere vivi. Guardati intorno, sono sanguisughe. Non voglio essere costretta a battermi con loro≫.

Joseph annuì, consapevole che non avrebbe ottenuto altro e si guardò intorno, come gli aveva chiesto Hannah.

Quando furono al n. 157 di Ladbroke Grove, Hannah si chiese per la prima volta se Darren non avesse sbagliato a scrivere le indicazioni sul foglio. Le villette a schiera terminavano a quel punto, per lasciare spazio ad una stradina a rotazione attorniata dal verde. Era molto simile a un piccolo parco pubblico. Due sempreverdi le coprivano la visuale. Decise di proseguire. Camminò lungo il vialetto, chinando il capo per non farsi colpire da qualche ramo o sporcare dalla rugiada delle foglie e si ritrovò a strabuzzare gli occhi. Comprese che ciò che le era parso un piccolo parco era in realtà il giardino di una grande e lussuosa villa. L’abitazione era diversa dalle altre non solo per la maestosità, ma anche per il materiale di costruzione: mattoni rossi. Un’inferriata, anch’essa in cotti, circondava la casa, alla quale si accedeva oltrepassando un largo cancello. L’edificio a tre piani era sormontato da un tetto di tegole scure. Il portone in mogano si trovava in una protuberanza della facciata principale. Le numerose imposte e gli angoli della casa erano abbelliti da strisce di legno che li delimitavano. Era un edificio moderno ma dal fascino antico. Ciò che catturò maggiormente la sua attenzione fu il numero inciso sulla cancellata: 158. Hai visto, pensò, sono qui. Lo sconcerto per la spontaneità del suo pensiero, rivolto a Darren, la distrasse tanto profondamente da non capire ciò che stava succedendo alle sue spalle fin quando non si sentì stringere, serrare, da un paio di braccia che la scaraventarono a terra con potenza inaudita, lasciandola confusa e boccheggiante, non tanto per il colpo alla schiena e alla nuca, ma a causa della luce che accendeva i profondi occhi verdi che la fissavano con rabbia.

Nonostante i suoi numerosi anni di esperienza, Joseph non aveva percepito il silenzioso avanzare del nemico. Nel momento in cui si voltava, richiamato da un insignificante quanto fuori luogo sibilo dell’aria, qualcosa lo aveva colpito alla base della schiena. Un braccio gli stringeva il collo e una mano gli tappava la bocca.

≪Shh≫, il suo aggressore gli sussurrò all’orecchio, prima di colpirlo ancora una volta alla schiena. Le ginocchia cedettero e cadde riverso a terra.

Si diceva, invece, della pietra di smeraldo che tenesse lontani i demoni, ma in quel momento, soprafatta da un corpo nemico e ancor di più dalla forza della sua rabbia, Hannah temette di star avendo personalmente a che fare con il demonio. La profondità di quello sguardo verde e lucido come lo smeraldo la teneva incollata all’asfalto. E in quegli occhi, forse per la leggenda secondo cui fissare a lungo lo smeraldo rafforzava la vista, forse per la capacità innata dello zaffiro azzurro di vedere al di là delle superfici, Hannah avvistò molti più demoni di quanti il giovane potesse allontanarne.

Il contatto visivo era durato pochi secondi, troppo brevi perché Hannah o il giovane potessero dire di aver compreso ogni cosa l’uno dell’altro – in fondo, erano entrambi creature complicate e delle volte incomprensibili – ma abbastanza perché intuissero il peggio di ciò che si celava dietro lo smeraldo e lo zaffiro. Era il peggio di una persona, la prima cosa che notavano negli altri sia uno che l’altra. Il giovane Michael aveva intuito immediatamente, a causa della sua passata – e indesiderata - esperienza con i mercenari, la natura dell’uomo e della ragazza. Eppure, aveva avuto bisogno di scontrare il proprio sguardo con quello della giovane per comprendere davvero ciò che celava e rimanerne sorpreso. Le atrocità del gesti compiuti in vita le si leggevano sul volto, probabilmente a causa della pelle troppo chiara e sottile, ma il calore del suo sguardo non era qualcosa che avesse contemplato. Il blu lo aveva avvolto. Se qualcuno avesse chiesto a Michael cosa amasse più di qualsiasi altra cosa, lui avrebbe risposto: l’oceano. Gli occhi della ragazza lo avevano accolto, grandi e limpidi, e le onde lo avevano cullato, riscaldandone la pelle ghiacciata. Per tutta questa serie di motivi nessuno dei due aveva badato a Joseph, fin quando le sue mani non artigliarono le spalle di Michael e lo allontanarono dal corpo di Hannah. Il ragazzo, brutalmente strappato dalla propria serafica pace, atterrò miracolosamente sulle gambe. Hannah si rialzò da terra, anch’ella più lenta del solito. Michael aveva perso il suo vantaggio iniziale e si ritrovava ora solo contro due avversari. Il volto dell’uomo e il suo sguardo freddo lo fecero rabbrividire. Sapeva di non essere nel pieno delle proprie capacità mentali, un po’ a causa della ragazza, un po’ per la rabbia che gli accecava la ragione di fronte alla vista di quelli che considerava i suoi nemici giurati. Si diede dello sciocco per essersi lasciato distrarre, pian piano il suo odio personale sovrastava qualsiasi altra emozione.

Hannah arretrò istintivamente, mentre qualcosa simile allo squarcio nel petto si allargava e inghiottiva un altro pezzo del suo cuore. Gli occhi che l’avevano immobilizzata, un affascinante misto tra il verde smeraldo e il verde giada, da irati erano mutati in una calma leggiadra come i fili d’erba sulle colline e nei boschi della sua bella Scozia, sospinte dalla brezza leggera e, ancora, in un fuoco verde d’odio che la sconvolgeva. Se qualcuno avesse chiesto ad Hannah cosa amasse più di qualsiasi altra cosa, lei avrebbe risposto: la foresta. Nei  boschi la luce filtrava dalla foglie e giungeva in maniera diversa a chiunque si trovasse all’interno. Il profumo dell’ossigeno puro, delle foglie, dell’erba e delle cortecce penetrava nelle narici. Verde, verde e ancora verde. Un popolo di creature, nascoste agli sguardi, si agitava nella foresta. Lì, Hannah si sentiva a casa. Non poteva credere, ora, che il verde fosse suo nemico. Che non la proteggesse, la nascondesse e la circondasse. Non poteva credere che il verde l’odiasse. Non l’aveva mai riconosciuto prima dall’ora, ma ora si rendeva conta della miriade di volte in cui aveva intravisto lo stesso odio negli occhi delle sue vittime. Eppure non aveva mai aperto alcuna crepa nel suo petto già lacerato, prima d’allora.

Lo scatto del ragazzo verso la sua figura fu fulmineo, Hannah non si mosse dal proprio posto. Joseph assorbì l’impatto al suo posto e riuscì a respingere il ragazzo. I due presero a muoversi velocemente intorno a lei.

Fu durante il combattimento che Hannah riuscì a comprendere ciò che aveva tralasciato fino a quel momento: il giovane era un vampiro. Collegò immediatamente ciò che l’aveva condotta lì, Darren e la sua missione.

≪Fermo, Joseph≫, urlò.

Nessuno dei due le diede ascolto. Allora decise di riprendere in mano la situazione. Aveva già permesso che il ragazzo la distraesse abbastanza. Si portò davanti a Joseph, posandogli una mano sul petto e arrestando il piccolo combattimento.

Entrambi gli uomini rimasero basiti dalla velocità con la quale la piccola figura si era precipitata in mezzo ad entrambi.

≪Ora basta≫, ribadì, trucidando con uno sguardo il proprio compagno.

≪Lui è...≫, prima che potesse proseguire, Joseph la tolse di mezzo e schivò l’affondo del giovane che aveva approfittato della situazione per attaccare.

≪Maledizione≫, esclamò la ragazza, ma nessuno la udì.

Se il ragazzo non aveva intenzione di darle ascolto, avrebbe fatto in modo di catturare la sua attenzione. Badando che il giovane la notasse si voltò in direzione dell’abitazione e iniziò a correre. Non troppo in fretta, ma abbastanza perché il vampiro non potesse acciuffarla.

Michael scartò di lato, evitando di essere colpito alla base della nuca. Era stato per tutto il tempo del combattimento abbastanza accorto, spaventato all’idea che qualcuno potessi notarli. All’improvviso la ragazza si era voltata ed aveva iniziato a correre a velocità sostenuta verso la villa alla fine della strada, verso la sua casa. Un moto di preoccupazione per la sua famiglia lo assalì. Lasciò l’uomo a terra e si apprestò all’inseguimento di occhi-blu.

Hannah ghignò soddisfatta, quando udì il fruscio causato dai passi veloci del vampiro alle sue calcagna. Scavalcò l’inferriata con due abili mosse e cadde dolcemente sull’erba sottile del giardino. Non si soffermò ad ammirare la bellezza di quel luogo, ma se lo avesse fatto avrebbe notato i cespugli di rose rampicanti e la simmetria dei fili d’erba. Hannah era consapevole che avventurarsi in quella proprietà, in territorio nemico, dove sarebbe stata in svantaggio in tutti i sensi possibili, era un rischio, ma non aveva altro modo per procedere. La copertura era evidentemente saltata, perché il ragazzo doveva averla riconosciuta come mercenaria e come minaccia, ma lei non aveva intenzioni bellicose e avrebbe fatto in modo che lo capisse. Era pronta a tutto pur di raggiungere il suo obbiettivo. Se ci fosse stato un modo più ragionevole di agire lo avrebbe adottato, non si aspettava di essere colta di sorpresa dal vampiro... In un certo senso, nonostante il pericolo che correva, ben conscia che il ragazzo non l’avrebbe mai raggiunta, la divertiva che questo si affannasse a seguirla. Decise che avrebbe giocato un po’ con lui. Se non errava, i bambini umani lo chiamavano: nascondino. Scattò a destra.

Michael si chiedeva come quella ragazzina potesse muovere le gambe così velocemente, stentava a starle dietro. Avrebbe voluto poter mutare la propria forma in un pipistrello, come nelle leggende, pur di avere un paio d’ali con cui raggiungerla. Naturalmente, la maggior parte delle leggende era falsa. I vampiri non avevano problemi con gli specchi né con il sole. Erano dotati di una forza e di una velocità sovrumana, ma se avessero piantato loro un paletto nel cuore, sempre se fossero stati tanto rapidi da riuscirci, ne avrebbero sofferto per un bel po’. Avevano una rapida capacità di rigenerazioni e la loro vita era eterna, sospesa per sempre nell’età della maturità. Da ciò si distinguevano i vampiri nati come tali e gli umani resi immortali artificialmente. D’un tratto la ragazza svoltò a destra e Michael fu costretto ad arrestarsi bruscamente, prima di poterla raggiungere in quella direzione. Imprecò tra i denti: i canini dolevano per la frustrazione. Michael si massaggiò la mascella e aumentò il passo. La ragazza svoltò a sinistra, scomparendo dietro uno degli alberi del loro giardino delle dimensioni di un piccolo parco. Il sentiero che conduceva a casa era libero. Per la sorpresa dovette nuovamente arrestarsi all’improvviso, inciampando in avanti e affondando il volto nell’erba. Sibilò e si risollevò con le braccia. Da qualche pare una risata cristallina e breve sferzò l’aria. Trovata.

Hannah portò una mano sulla bocca, trattenendo il sorriso. Aveva assistito alla scena appollaiata sull’albero. Il ragazzo era caduto goffamente a faccia in giù nell’erba, dopo una brusca frenata della sua corsa. Ciò che sorprese maggiormente la giovane, non fu aver assistito alla figura esilarante del vampiro, ma la sua conseguente e spontanea risata. Aveva riso, per la prima volta nella sua vita e il sorriso non sembrava intenzionato ad abbandonare le sue labbra. Avrebbe voluto prolungare il suono della propria risata per non dimenticarlo, ma aveva capito di aver fatto un passo falso. Il vampiro l’aveva trovata.

Un corpo maschile penzolava simpaticamente, aggrappato all’alto ramo dello stesso albero sul quale Hannah era appollaiata. Si incontrarono nuovamente l’oceano e la foresta, la menta e i mirtilli, lo smeraldo e lo zaffiro, quando i due giovani incrociarono gli sguardi. Che strana situazione, pensarono entrambi. Il vampiro e la mercenaria continuavano a fissarsi negli occhi, dalle loro assurde posizioni, uno penzoloni da un albero e l’altra appollaiata su un ramo vicino. Il giovane succhiasangue alzò un sopracciglio. Le labbra rosse a cuore della giovane tremolavano, mentre lo fissava ripetutamente dalla testa ai piedi, poi scoppiò in un fragorosa risata. Senza dubbio il suono più cristallino che il ragazzo avesse mai udito, benché ne percepisse il tono rauco, quasi non utilizzasse la voce da troppo tempo. La ragazza saltò agilmente dal ramo, senza smettere di ridere. Michael storse le labbra, punto in viso dalla sua ilarità. Si beffava sfacciatamente di lui. I canini premettero sul labbro inferiore. Aprì le mani e anche lui si lasciò cadere. La mercenaria continuò a non badargli, quasi non avesse davanti a se un nemico. Michael si chiese se il motivo fosse la sua sicurezza nelle proprie capacità o semplice imprudenza.

≪Mi stai prendendo in giro?≫, chiese, sempre più infastidito da quella strana ragazza.

Hannah asciugò gli occhi con le dita, altri accenni di lacrime le avevano bagnato le guance, ma le sensazioni che stava provando erano diverse dall’ultima volta. Alzò il capo e guardò il ragazzo. Hannah socchiuse le labbra per lo stupore. Era sorpresa di non aver notato prima quel particolare fondamentale, troppo presa dal verde dei suoi occhi, aveva messo in secondo piano il viso del giovane. Hannah non era un’appassionata d’arte, ma sapeva attribuire il giusto merito alle cose belle. E prima dall’ora non aveva mai sentito di poter definire bello qualsiasi cosa non fosse un libro, un dipinto, un’opera architettonica, un paesaggio naturale. Quel volto era meritevolmente catalogabile come “molto bello”. Il motivo per cui non aveva mai assegnato tale attributo a una faccia era facilmente spiegabile: un volto non è mai perfetto e in totale armonia. Un particolare, che sia il naso troppo piccolo o troppo grande, le labbra troppo piene o assenti, il taglio degli occhi, poteva stridere con tutto il resto. Era così per ogni viso, mentre nei dipinti e nelle statue ogni dettaglio era perfetto e armonioso con il resto. Il giovane era il primo uomo a poter rientrare nella categoria delle belle arti. Il suo volto era perfetto, ogni particolare sembrava essere stato scolpito in armonia con il resto, dalle mani esperte di un maestro. Le guance larghe, il mento volitivo, i grandi occhi, le labbra perfette e rosee, le ciglia e le sopracciglia, la fronte e il naso erano tutti tratti disegnati. Quel volto era incorniciato da fili dorati che accarezzavano dolcemente il collo e i lati della fronte. Il mento era accarezzato da un velo sottile di barba di un colore leggermente più scuro dei capelli. E lì, sulle sue guance, Hannah notò il residuo scuro di un po’ di terra, dovuto all’atterraggio frontale di prima e tornò a sorridere.

Quel sorriso impertinente fu la risposta alla domanda di Michael. La ragazza alzò un dito e indicò il suo volto, verso la sua guancia. Lui passò una manica della sua maglietta sulla propria gota e la ritrovò sporca di terra. Allora comprese il motivo della sua ilarità. Storse ancora le labbra, ma questa volta per trattenere un sorriso. Doveva ammettere che, a parti inverse, avrebbe riso anche lui. Allora decise, nel gesto più insensato che avesse compiuto fin ora, di riprendersi la rivincita che gli spettava. La ragazza, troppo impegnata a ridere, non lo vide correrle incontro e, sorprendendola alle spalle, spingerla a terra. Occhi-blu cadde rovinosamente faccia avanti. Michael scoppiò in una risata doppiamente fragorosa e soddisfatta.

Dopo un primo attimo di smarrimento Hannah comprese cosa fosse successo e anche la posizione del vampiro, quando era lei a ridere della sua disavventura. Si alzò, con indosso la stessa espressione del giovane, corrugando le belle labbra e stringendo i pugni.

Fu così, la prima frustrata e irritata e il secondo ancora a ridere, che Joseph e altri quattro vampiri li ritrovarono. Il mercenario si arrestò alle spalle dei due, cercando di trovare un significato a quella scena inconcepibile. I quattro vampiri, proprietari della casa, erano stati richiamati dalle risate e dalla consapevolezza che una presenza estranea si trovava nel loro giardino.

≪Cosa sta succedendo?≫, chiese una voce maschile.

Il primo a farsi avanti era stato un uomo, immutato da chissà quanto tempo nei suoi trent’anni.

Sentendo la voce di suo zio, Michael si riprese e alzò il capo per incrociare i suoi occhi. Nicolas Leroy era un vampiro originario della Francia, la sua età dimostrava che non fosse nato come essere immortale, ma che fosse stato trasformato e reso tale. Michael non aveva mia conosciuto un uomo più zelante di lui. Ora lo fissava, un sopracciglio rivolto verso l’alto e una muta richiesta di spiegazioni negli occhi scuri.  

≪E’ una lunga storia≫, bofonchiò il ragazzo.

≪Chi sei?≫, chiese poi l’uomo, rivolto ad Hannah.

Questa non ebbe il tempo di rispondere, perché Michael l’anticipò.

≪L’ho sorpresa a spiare la nostra casa, insieme a lui≫, disse, indicando Joseph con un cenno del capo, senza rivolgergli uno sguardo, con le braccia incrociate sul petto e memore del suo rancore e della sua iniziale preoccupazione.

≪Io. Non. Spiavo≫, lo corresse Hannah, sottolineando le parole con un tono di voce più duro.

≪A no?≫, chiese Michael. Hannah si limitò a rivolgere la propria attenzione al vampiro adulto, irritando il ragazzo.

≪Non perdiamo la calma, Michael. Spiegati ragazza≫, lo rabbonì Nicolas.

Un’altra volta Hannah fu interrotta, mentre Joseph le si avvicinava.

≪Sono mercenari, Nicolas≫, sibilò Michael. Quelle parole attirarono l’attenzione di tutti e quattro i vampiri.

Al suono della parola “mercenari” una donna, dai lunghi capelli biondi e gli occhi verdi-azzurri, strinse con forza un braccio di Nicolas, fissando Joseph ed Hannah con rancore mal celato. Un ragazzo dai capelli neri come l’ebano, si portò davanti ad una giovane dall’aria spaesata, che poteva passare tranquillamente per la sorella di Michael, visti i suoi corti capelli biondi color oro e gi occhi verdi.

Il timore era una cosa comprensibilissima di fronte ad un mercenario, quasi un allarme naturale dell’istinto, ma in quella famiglia sembravano odiare i membri di quella razza e conoscerli molto bene.

Nicolas carezzò il braccio della donna che lo aveva arpionato, quasi volesse trattenerlo o trattenersi... e si rivolse a noi, sempre pacatamente, ma con molta più accortezza nello sguardo.

≪Cosa vi porta qui?≫, chiese.

≪Non abbiamo cattive intenzioni, ho soltanto bisogno di alcune informazioni...≫, rispose Hannah, sul vago.

≪Mi consentirai di non fidarmi ciecamente di te, ragazza≫, disse Nicolas.

≪E’ lecito≫, rispose lei, ≪ma il motivo della mia visita potrebbe interessarvi direttamente≫.

≪In che modo?≫, chiese Michael.

≪Non c’importa il motivo per cui siete qui. Andate fuori dalla nostra proprietà e badate a non rimetterci più piede≫, ringhiò la donna bionda, mostrando i canini.

Né Hannah né Joseph si scomposero.

≪Bonnie≫, l’ammonì Nicolas.

Hannah fissò a lungo negli occhi quella donna, il dolore che vi lesse dentro, nonostante fossero offuscati dalle lacrime cui non permise di debordare, le ricordò il suo tormento per Darren. La ragazza, senza accorgersene, diventava minuto dopo minuto un’osservatrice sempre più sagace e sensibile alle emozioni altrui.

Hannah chinò il capo. Avrebbe voluto fare qualcosa per lei, fin troppo consapevole di ciò che si provasse, ma non poteva, perché neanche lei conosceva la cura o una colla abbastanza resistente perché riattaccasse i bordi dello squarcio che era certa bruciasse anche nel petto della vampira.

≪Riguarda Selene≫, sussurrò.

Due parole ebbero la capacità, allo stesso tempo, di calmare gli animi e di scaldarli. Rispettivamente quietarono i vampiri, che presero a fissarla con intensità, e agitarono Joseph, sempre ignaro, sempre confuso, sempre sospettoso. La mente di Joseph era in un tale stato di confusione e sgomento che considerò impossibile poter raggiungere livelli maggiori di stupore e incertezza. Aveva udito il suono nuovo e, così fuori luogo, delle risa della sua protetta fin dalla strada, sebbene si aspettasse urla di dolore o il tacito silenzio della morte. Il suo volto e i suoi occhi non erano mai stati tanto vivi prima dall’ora, qualsiasi cosa le avesse oscurato lo sguardo la sera del giorno precedente era momentaneamente scomparso dalla sua mente. Joseph capì immediatamente cosa lo turbasse: non era normale per un mercenario un simile comportamento. La ragazza perdeva di vista il concetto di assenza di emozioni. Davanti alla casa si era lasciata cogliere di sorpresa, rischiando la propria vita, quella del compagno e la missione. E poi l’aveva ritrovata a ridere e sghignazzare pateticamente con lo stesso vampiro che l’aveva aggredita pochi istanti prima. Joseph iniziò a temere che Alexander avesse avuto ragione fin dall’inizio su di lei...

Una lastra di ghiaccio sostituì il corpo di Nicolas per qualche istante al suono del nome della principessa udito dalle labbra della ragazza. Un panico irrazionale gli avvolse i pensieri.

≪Cosa sai della principessa? Parla. Selene...≫, la voce si affievolì fino a tacere. Il volto della principessa colmò la sua mente. Doveva ogni cosa a lei...

≪E’ questo il problema. Non so molto più di voi≫, disse Hannah, a voce più alta.

Nicolas scambiò qualche sguardo con la propria famiglia, che annuì, indagando fin nell’anima i turbamenti dei membri più fragili: sua moglie e suo nipote. Michael e Bonnie annuirono.

≪Perché non entriamo in casa, nel frattempo? Ma badate a ciò che fate. Siamo in maggioranza e se dovesse rivelarsi un subdolo tranello...≫, li avvisò Nicolas, mettendo immediatamente in chiaro la situazione.

≪Ci ucciderete, lo sappiamo≫, concluse Hannah. Il suo primo istinto fu quello di rivolgergli un sorriso sardonico. Non era nella sua natura accettare uno svantaggio o una situazione tanto rischiosa e imprevedibile. Avrebbe desiderato potergli dimostrare con quanta facilità avrebbe potuto uccidere tutti loro e uscirne illesa... Hannah scosse la testa e soppresse il proprio istinto e la propria propensione naturale a quel genere di atti.

Seguirono il vialetto che conduceva alla grande casa, oltrepassando l’immenso giardino, in religioso silenzio. Hannah fu affiancata da Joseph ed entrambi finsero di non notare la disposizione dei vampiri che li avevano circondati con movimenti casuali. Michael si trovava alle loro spalle, la ragazza bionda alla loro sinistra, il ragazzo moro alla loro desta e Nicolas e Bonnie in testa a quello strano corteo. Come se, con la sua velocità, Hannah, irritata dalla situazione, non avesse potuto fuggire o far altro.

Ne era consapevole il giovane vampiro che chiudeva la fila.  Aveva visto con i propri occhi la straordinaria velocità della mercenaria e l’abilità in combattimento dell’uomo. Chiunque sarebbe rimasto paralizzato dopo il suo colpo, mentre lui si era limitato a cadere in ginocchio, prima di rialzarsi e affrontarlo senza neanche una goccia di sudore in volto. Michael era preoccupato dalla situazione. Stavano accogliendo nella propria casa due potenziali nemici con capacità che li rendevano nettamente superiori al loro livello. Forse soltanto la maggioranza numerica li avrebbe salvati, in caso di scontro. Deglutì, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza. La sua mente lo avvertiva del pericolo che costituiva la giovane, ma Michael non riusciva a temerla. Piuttosto, lo turbava il secondo, che iniziò a tenere sottocchio con maggiore accuratezza.

Varcata la soglia d’ingresso, Hannah si guardò intorno con celato stupore. Non credeva di aver mai visto una cosa tanto bella, ma il suo sgomento non si fermava alla sfarzosità dell’ambiente, ma al calore che emanava ogni singola superficie. Quella era davvero una casa, non un rifugio o un insieme raffinato di mobili racchiusi in quattro mura di mattoni. Hannah fu immediatamente certa che, sfiorando con un dito ogni singola parete e superficie ne avrebbe scorte le tracce della storia che si celava dietro di essa.

Le sensazioni di Joseph furono ben diverse. Si sentì immediatamente in trappola, nel momento in cui la porta fu richiusa alle loro spalle. Temeva che Hannah li avesse cacciati in guai grossi e non badò alla casa, se non per scorgere qualche eventuale via di fuga.

L’atrio era un grande spazio colmato da numerosi scaffali pieni di libri, quadri e un grande scala a chiocciola. Lo sguardo di Hannah si soffermò sulla libreria, soltanto uno di loro notò il luccichio fanatico nei suoi occhi alla vista di tutti quei volumi: Michael.

≪Sediamoci in salotto, sarà più comodo e piacevole discutere≫, esortò gli ospiti Nicolas.

Solo in quel momento Hannah scostò lo sguardo dalla libreria e lo condusse dove l’uomo indicava. Oltrepassando un grande arco furono catapultati in una realtà di salotto molto più moderna ma egualmente semplice. I due mercenari si accomodarono sul bel divano chiaro a due posti e gli altri chi sulle poltrone chi sul sofà più grande.

≪Credo sia il caso di fare le presentazioni, innanzitutto≫, esordì Nicolas.

≪Il mio nome è Joseph, sono il collaboratore della famiglia Reed e in particolare della signorina Hannah Arriviamo dalla Scozia con un aereo da Inverness≫, disse Joseph.

≪Mi chiamo Nicolas Leroy e questa è mia moglie Bonnie, lei è mia figlia Anne e suo marito, David, e lui è mio nipote Michael. Che cosa vi ha portato dalla Scozia a Notting Hill?≫.

Sia Joseph che i vampiri si voltarono in direzione di Hannah.

≪Una fonte affidabile mi ha consegnato il vostro recapito come punto di riferimento per contattare la principessa, come ben sapete, non è facile rintracciarla≫, disse la ragazza.

≪Per quale motivo dei mercenari hanno un così urgente bisogno di comunicare personalmente con la principessa?≫, chiese Nicolas.

Quella era la domanda cui Hannah non era certa di volere né sapere rispondere. Aveva già stabilito in treno che l’unica possibilità era dire la verità. Perciò rispose: ≪Devo avvertire la principessa del grave pericolo che corre≫.

Un silenzio assordante calò nella stanza. Il primo a reagire fu Joseph.

≪Cosa?≫, esclamò, sollevandosi dal posto e fissando Hannah con gli occhi fuori dalle orbite.

Hannha gli restituì uno sguardo tranquillo.

≪Che problema c’è≫, chiese, come se non lo sapesse.

Era insolito, per non dire impossibile, che un mercenario si lanciasse in una missione di protezione o salvataggio.

≪Sei consapevole di ciò che stai facendo, Hannah≫, ringhiò l’uomo.

Hannah si alzò per fronteggiarlo. ≪Non hai voce in capitolo≫, gli disse la ragazza.

Il gesto fu molto veloce, non abbastanza perché Hannah non potesse schivarlo, ma decise di accettare ugualmente lo schiaffo. Lo stava aspettando.

La mano di Joseph si schiantò contro il suo volto e ghignò malignamente, quando Hannah chinò il capo. Ciò che nessuno dei due si aspettava fu la reazione di chi li circondava. Le donne ebbero un sussulto, udendo quel colpo che avrebbe frantumato una parete, Nicolas serrò la mascella, David distolse lo sguardo e Michael... il vampiro ringhiò e si frappose fra i due, mostrando i canini a uno stupito Joseph.

≪Non immischiarti in affari di famiglia≫, disse lui, con un tono di voce glaciale, che fece rabbrividire il vampiro, nonostante ciò, questo ringhiò ancora. 

≪Michael≫, lo richiamò Nicolas, scuotendo il capo.

Il ragazzo lo guardò di rimando, il verde smeraldo divenne verde giada. Soltanto guardare i volti della sua famiglia consentì a Michael di riacquistare un po’ di lucidità. Scosse il capo e ritrasse i canini, lanciò un ultimo sguardo a Joseph e si voltò verso la ragazza, ancora a capo chino. Non aveva neanche voltato il capo. Aveva assorbito totalmente l’impatto. Michael le alzò il mento con le dita, costatando l’entità del danno. Sulla guancia era evidente il calco delle dita della mano che l’aveva colpita. La ragazza non incrociò il suo sguardo, tenendo basso il proprio.

≪Stai bene?≫, le chiese.

Solo in quel momento, Hannah alzò lo sguardo e ritornò con la mente al sicuro nella foresta.

Vedendo la pelle così chiara del suo volto, orribilmente deturpata, Michael sentì risalire la bile e premere i denti contro le gengive.

≪Certo che sta bene, siamo mercenari. Non basta certo uno schiaffo a ucciderci e poi non e la prima volta né sarà l’ultima≫, Joseph sussurrò le ultime parole come una minaccia e un avvertimento.

Michael si sentì nuovamente punto in viso e decise di rispondere per le rime.

≪Mercenari?≫, chiese ironicamente. Sparì per il tempo di un battito di ciglia e riapparve con del ghiaccio, che depositò nella mano di Hannah e che condusse alla sua guancia. Lei lo fissò con uno strano sguardo, che il ragazzo non seppe spiegare. Dopodiché, Michael si voltò e guardò di sottecchi Joseph, continuando con la frase di prima.

≪Io qui vedo un mercenario e un valletto. E’ Hannah a prendere le decisioni, rammentate, Joseph? E mi sembra che lei abbia le idee piuttosto chiare in merito a ciò che vuole fare≫, disse Michael con un mezzo sorriso. Gli occhi di Joseph lampeggiarono e fu tentato di strappargli il cuore dal petto, ma, memore della veridicità delle sue parole, decise di risparmiarlo.

Michael non era consapevole di aver colpito un punto debole e di aver affondato la lama, ma lo sperava.

≪Abbassiamo i toni e riprendiamo civilmente la conversazione, naturalmente se Hannah è d’accordo≫, disse Nicolas e infierì, volontariamente, un altro colpo a Joseph che riprese il proprio posto sul divano.

Hannah annuì, allontanò la mano con il ghiaccio dal volto e si girò in direzione della famiglia di vampiri. Michael non si mosse di un solo passo e neanche lei lo fece.

≪Hai parlato di un pericolo. Di che si tratta? Ne sei certa? Come ne sei a conoscenza?≫, la spronò Nicolas.

≪Mi dispiace, ma non posso rispondere alla maggior parte delle tue domande≫, rispose Hannah.

Nicolas le lanciò uno sguardo interrogativo.

≪So di un pericolo imminente, la mia fonte mi ha chiesto di mettere in guardia la principessa, ma non ha avuto il tempo di spiegarmi di cosa si trattasse. Però sì, ne sono certa. E no, al momento non posso riferirvi come sono venuta a conoscenza della cosa. Ho bisogno soltanto di sapere dove trovare Selene, al resto penserò io. Devo sapere chi si nasconde dietro questa minaccia: è una questione personale. Perciò devo parlarle personalmente≫, concluse la giovane mercenaria.

I vampiri si lanciarono sguardi incerti.

≪Capirai che non possiamo darti l’indirizzo della principessa. Ti parlerò chiaramente ragazza. Potresti essere un pericolo per lei, Hannah, ma potresti anche dire la verità e a quel punto non me lo perdonerei mai. Ho bisogno di tempo, prima di potermi fidare ciecamente di te. E nel caso in cui decidessimo di dirti dove si trova, ti seguiremo da lei. Se accetti di darci tempo e le nostre condizioni, hai una possibilità≫, disse Nicolas.

Hannah fu immediatamente cosciente dell’intelligenza della sua strategia. Avrebbero prima dovuto fidarsi di lei e in ogni caso non l’avrebbero mandata da sola. Avrebbe accettato di farsi analizzare e giudicare?  Doveva, se voleva portare a termine la missione di Darren. Per la prima volta, avrebbe fatto in modo di conquistare la fiducia di qualcuno.

≪Accetto le vostre condizioni≫, disse, ≪spero solo che facciate in fretta, non so quanto tempo rimanga alla principessa. Non vorrei che tutto fosse stato vano≫. Solo Hannah capì quanto fossero fondate quelle ultime parole. Sempre più certa della sua teoria, non voleva che la morte di Darren fosse stata vana.

≪Nel frattempo sarete ospiti in casa nostra, speriamo di arrivare presto alla giusta conclusione≫, augurò Nicolas.

Sui volti di ciascuno dei presenti si dipinsero espressioni diverse. Alcuni erano curiosi, altri irritati, altri preoccupati, altri soddisfatti, all’idea della prossima convivenza. Lo smeraldo e lo zaffiro incrociarono nuovamente le proprie strade, nessuno dei due sapeva cosa il futuro riservasse loro. Lo smeraldo non brillava più come un tempo e cercava, senza saperlo, la luce che lo avrebbe fatto risplendere nuovamente. Lo zaffiro non aveva mai brillato, non perché non possedesse la lucentezza necessaria, semplicemente perché non era mai stato in grado di farlo. Anche lo zaffiro attendeva. Aspettava un gioiello che bramasse la sua luce e riuscisse a trovarla, dovunque essa si fosse nascosta, per fuggire dalle tenebre che la minacciavano.     

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Capitolo 4
*** AVVISO ***


AVVISO

Avrei voluto postare un nuovo capitolo, ma ho deciso di SOSPENDERE MOMENTANEAMENTE la storia. Vorrei prima portarla a termine, così da postare tranquillamente. Sono affezionata a questa storia, perciò non intendo abbandonarla. Chiedo scusa a chi ha letto e a chi ha lasciato una recensione, ma per il momento è questa la mia decisione. Grazie ugualmente per il vostro tempo, a presto, forse...

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