Haircut

di gm19961
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incontro. ***
Capitolo 2: *** Gelosia. ***
Capitolo 3: *** Un incontro.. di fuoco. ***
Capitolo 4: *** Serata al Club. ***
Capitolo 5: *** La scommessa fatale. ***



Capitolo 1
*** L'incontro. ***




Capitolo 1.




Mi guardavo nello specchio con uno strano sguardo. Le mie sopracciglia erano inarcate e tutto ciò che vedevo era una ragazza totalmente diversa da quella che conoscevo. In neanche cinque minuti, accomodata in quella poltrona nera di pelle, e con le mani che mi sudavano, sentivo il tagliuzzare dei miei lunghi capelli color ebano farsi sempre più forte, e più vicino al mio viso. Che stramba idea avevo avuto. Tagliarmi i capelli, quei capelli che tra qualche anno avrebbero potuto tranquillamente raggiungermi i piedi, e che tenevo sempre raccolti in quella pettinatura che aveva fatto di me la solita e svampita immagini di bambina di diciassette anni, ora non esisteva più. La frangetta c'era ancora, ma i capelli si erano ridotti drasticamente ad un semplice caschetto voluminoso che mi arrivava alle spalle. Oh mio Dio. Che mi era saltato in mente?
“Cosa gliene pare, signorina?”
Chiese la parrucchiera entusiasta del suo nuovo lavoro. Io roteai gli occhi e mi toccai le ciocche di capelli corte e prive delle solite doppie punte; risi e annui contenta: tanto male non stavo!
“Penso che siano perfetti!”
Non riuscivo ancora a crederci.
Dopo sette anni di allenamenti, torture per il cuore, e tanto altro, ero riuscita finalmente ad accettare l'idea di trovare un fidanzato. O per lo meno, niente era ancora ufficiale, ma stasera sarebbe stata la sera giusta in cui si sarebbe sicuramente dichiarato a me,e mi avrebbe fatto finalmente la fatidica domanda. Anche Pearl, a malincuore, me lo aveva detto che si sarebbe dichiarato, dopotutto non mi portava spesso fuori Kurain, e le rare volte che lo faceva erano per le occasioni importanti. E mi sentivo in colpa a guardare la mia Pearl: si sforzava d'essere felice, mentre mi guardava abbracciare e baciare dolcemente un ragazzo completamente estraneo a lei, facendo al contempo crollare tutte le sue conferme; l'idea che la sua Mistica Maya prendesse in considerazione un uomo rispetto a Phoenix, l'aveva lasciata sconvolta. Tante volte mi aveva ripetuto, in quel suo minuscolo corpicino adolescenziale: “Ma ne sei sicura?! Quello non va bene per te. Te e il signor Nick siete perfetti!”
E quante volte ripetevo a me stessa che quella era solo una stupida cotta adolescenziale priva di valore. Sì, priva di valore... ma chi volevo prendere in giro? Avevo solo messo quei sentimenti in un angolo remoto, ma erano sempre gli stessi: non riuscivo a seppellirli, erano troppo forti.
Ah, Phoenix...
Avevo anche rinunciato a chiamarlo con il solito nomignolo: non mi andava neanche più di chiamare un estraneo con un nome a cui il mio cuore si era stancato a dire. Non ci riuscivo più: sopportare che lui mi avesse spudoratamente ignorata per sette anni, aveva rotto completamente la persona che ero. Non avevo idea dei suoi cambiamenti, della sua vita, della sua compagna, dei suoi probabili figli: non sapevo nulla, eccetto al nome, s'intende. Il mio migliore amico era solo un lontano ricordo; eppure alla sua amicizia, quella falsa amicizia che gli dimostravo, pensavo fosse durata per sempre. Dico falsa perché Phoenix, quello stupidissimo uomo mi aveva fatto provare qualcosa che non avevo mai e poi mai avuto l'occasione di sentire. Internamente, solo quando mi sfioriva, sentivo la saliva scendere come un blocco amaro giù per la gola, e in contemporanea anche lo stomaco si contorceva e dava il via a quelle stupidissime farfalle di svolazzare nel mio ventre.
“Grazie, e torni da noi!”
“Senz'altro.”
Sorrisi alla parrucchiera, e mi misi la borsa in spalla, camminando lentamente per le vie della città. Questo posto non era cambiato per niente, eccetto che ora i soliti grandi palazzi grigi e possenti si erano innalzati ancor di più verso il cielo. Sentii poi, improvvisamente, un odore famigliare provenire alla mia sinistra: quell'odorino delizioso erano senza dubbio i Noodles di Eldoon!
Presi il cellulare dalla borsa e scrissi velocemente un messaggio veloce a Pearly, dicendole che avrei comprato dei Noodles da asporto da poter mangiare a Kurain insieme. Premetti invio e corsi con la mia solita divisa violacea verso il chioschetto; mi sorpresi quando vidi che la gestione era cambiata, e che sopratutto ci fossero tre clienti a mangiarci lì vicino. Ambigue persone, a dirla tutta: una strana ragazzina, che di spalle aveva un coda castana e un cilindro – probabilmente di seta, tipico dei maghi- celeste in testa. Alla destra un ragazzo, anch'esso voltato di schiena con degli strani capelli tirati all'insù, di un color marrone più forte. Portava un completo rosso accesso, e tanto male non gli stava. Alla sinistra, invece, un altro uomo, molto più alto e molto trasandato: una felpa grigiastra, sandali e un carinissimo capelli azzurro con una spilla altrettanto ambigua. Guardai con attenzione la spilla, mi sembrava vagamente famigliare, tant'è che mi avvicinai inconsciamente sempre di più. Mi fermai, a pochi metri da loro. Che diamine stavo facendo? Scossi la testa, e mi misi alla destra del tizio con cappello blu, ordinando le mie due belle portate, abbandonati, ovviamente.
“Scusi, vorrei due porzioni di Noodles da portar via...”
Nel frattempo, tirai fuori il mie cellulare, sempre il solito: grosso, brutto, e viola. Con i miei adesivi del Samurai D'Acciaio. Era da tempo che non lo guardavo... tutti i miei DVD li avevo riposti con cura nello scatolone sotto il letto, e guai a chi me li toccava! Solo Pearl poteva, anzi, lei aveva il dovere di portar avanti la tradizione di quei fantastici show di cui andavo matta.
“Mi dispiace signorina. Ma ora non si fanno più i Noodles d'asporto, se vuole può mangiarle qua. Sono i migliori Noodles della città, extra salati, tra l'altro!!”
Che bisogno c'era di urlare?
La strana ragazzina dal cilindro blu schioccò le dita e mi sorrise. “Dai Eldoon, come fai a dirle di no? Papà, aiutala!”
“Uh?”
L'uomo alzò lo sguardo dalla sua ciotola, notai un vispo sorrisetto nascosto. Eppure io quello lo avevo già visto da qualche parte. Quella ragazzina poi, avrà avuto sui sedici anni... e lui sembrava molto giovane. Possibile che fosse rimasto padre ad una giovane età?
“Niente da fare, Trucy bella. Non ho gli attrezzi giusti per il cibo d'asporto.”
Chiusi il borsellino delusa e chinai la nuca, in segno di scusa. “Non si preoccupi, verrò qui a mangiare un'altra volta! Ora devo scappare; grazie mille del tentativo, bella. Ci si rivide!” risposi alla ragazzina che divenne rossa in viso, e mi sorrise a trentadue denti.
“Si figuri, ciao!”
Guardai il cellulare, e scrissi di nuovo un sms a Pearly: “Accidenti, niente Noodles. Ci accontenteremo d'altro. A dopo.”
Scappai via verso la stazione dei treni, e mi rivenne in mente quello strano tipo con la spilla colorata: quel sorriso lo avevo visto troppe volte. Ero solo troppo sciocca per capire a chi appartenesse.
 
-
 
 
Ero rimasto spiazzato. Come avevo fatto a contenermi? Ancora non lo so. So solo che se non fosse stato per quel briciolo di autocontrollo che avevo accumulato in tutti quegli anni difficili, sarai balzato in piedi e l'avrei riabbracciata senza esitazione. Quella era davvero Maya Fey? Quella era la sua voce, l'avrei potuta riconoscere tra mille. Ma era davvero molto più raffinata e meno caotica del solito. Era cresciuta, evidentemente. Cresciuta però, da non poter però togliere tutti quei gadjet dal cellulare: Samurai D'Acciao e Principessa Rosa, i suoi eroi preferiti. Non avevo mai conosciuto una ragazza così appassionata dei cartoni animati come lei. Non avevo alzato lo sguardo; avevo una paura tremenda di riguardare i suoi occhi e di far vedere a quella sensitiva che cosa ero diventato.
Toccai il pulsante dietro alla spilla, che automaticamente aveva salvato la registrazione, e sorrisi malinconico. Qui mangiavamo sempre noi, quando ancora era una ragazzina e io un ingenuo avvocato difensore. Mi passai una mano in viso, forse per impedire ai miei occhi di farsi lucidi. Ma ero ancora troppo cinico per piangere per una ragazza. Per Maya, oltretutto. Nemmeno quando era più piccola, e quando stava per finire in galera avevo pianto. Perché ora, invece, mi veniva solo l'impulso di scappar via e di mettermi a frignare come un ragazzino?
No, non l'avrei fatto.
“Papà! Ma ti rendi conto di che cosa ti sei fatto scappare? Quella poteva essere una potenziale nuova mamma!”
Mi parve di vedere Apollo con uno sguardo rosso in viso, e io risi cautamente alla sua affermazione. Trucy continuava ad assillarmi con i suoi sorrisi e le sue domande di quando mi sarei finalmente sistemato. Ma una potenziale relazione, ora come ora, non la volevo. L'unica donna della mia vita era solo Trucy, e anche se un'altra, forse della stessa soglia di importanza, si era ripresentata di fianco a me, non avevo avuto il coraggio di mostrarmi alla luce del sole. Non volevo frantumare i ricordi che aveva di me: giacca blu, capelli a punta. Esigevo che lei mi ricordasse così. Non in quello stato, no.
“Io ce la vado come potenziale fidanzata per Apollo, invece.”
“ M-ma cosa dice, signor Wright?! Io neanche la c-conosco.” replicò Apollo in evidente imbarazzo.
“Calmati, Polly! E comunque era tanto carina, non credi papà?” mi sorrise furbetta la mia Trucy, dandomi una pacca sulla spalla.
“Non ne dubito.” risposi calmo, immaginandomi Maya sette anni più grande. Sarebbe diventata la fotocopia di Mia?
“In che senso? Non l'hai vista?” sbuffò fingendosi offesa “Accidenti, avresti dovuto vederla! Pure ad Apollo piaceva, papà!”
“OBIEZIONE! E chi te lo dice?” le sue corde d'acciaio erano potenti, ovviamente. Ma forse non quanto le mie.
“Stavi balbettando fino ad ora...” Trucy concluse con una risatina dolce, e io ripresi mangiare i miei Noodles.
Ma l'avrei vista comunque, Maya. La mia telecamera l'aveva ripresa sicuramente, e sapevo che avrei rivisto quel video mille e più volte, esattamente quando rileggevo quelle lettere che con tanto affetto mi spediva i primi giorni in cui non poteva stare in ufficio, a causa dell'allentamento da sensitiva. Lettere a cui non avevo mai risposto, tra l'altro.
Maya rimase il mio chiodo fisso per tutta la giornata, ma ero così bravo a nascondere ciò che mi passava per la testa, che al momento in cui Apollo aveva portato Trucy a mangiar un gelato, non resistetti alla tentazione: mi sfilai via il capellino e strappai delicatamente la spilla dal tessuto morbido azzurro pastello. Collegai un cavetto al computer portatile di Apollo, e premetti senza esitazione il tasto “Play”. Mi portai una mano sotto il mento: sebbene non fossi un genio con i computer, almeno quello lo sapevo fare. La registrazione riprendeva i vari punti di vista dell'ambiente circostante al chiosco. Ero quasi annoiato, ma poi, finalmente eccola lì: la vidi correre nello schermo, con quella sua divisa viola e i suoi lunghi capelli... un momento. Quei capelli... quella allora era davvero Maya? Mi avvicinai di scatto allo schermo del portatile, guardando a come stava guardando incuriosita la spilla (cioè, me). Si era avvicinata di tanto, eppure prima non me ne ero nemmeno accorto. Sul mio viso apparve improvvisamente un sorrisetto ebete, e la vidi scuotere la testa e mettersi di fianco a me: la telecamera la riprendeva dalla vita in su e mi soffermai a guardarle gli occhi verdi : erano come al solito carichi d'energia e di una smisurata dolcezza. La vidi tirare fuori il cellulare viola: non avevo avuto le allucinazioni, quella era davvero Maya Fey. Sentii più e più volte la sua voce, sorridendo inconsciamente. A Mia non di assomigliava più di tanto, ad essere sincero. Quel taglio nuovo le donava, la rendeva molto più grande del solito. Scrutai ogni parti visibile del suo viso, e notai che in un primo momento aveva distolto lo sguardo dall'obbiettivo della telecamera e si era soffermata a guardare in basso... stava davvero guardando me? Mi aveva riconosciuto?
No. Non avrebbe fatto finta di nulla.
La sentii ringraziare Trucy e poi scappò via di corsa, dopo aver spedito probabilmente un messaggio a chissà chi.
Però! Da giovane non lo utilizzava più di tanto il cellulare, e ora che aveva ventisei anni sembrava non distogliergli mai lo sguardo. Un potenziale fidanzato, magari?
Sentii una strana sensazione allo stomaco, soprattutto al cuore. Non potevo essere davvero geloso di Maya. Chi ero io per impedirle di farsi una vita? Dopotutto, io ne avevo costruita una senza nemmeno troppi problemi. Chi ero io... per impedirle di sentire un uomo?
Non capii esattamente perché tutte quelle paranoie mi approdarono velocemente in testa, sapevo solo che quella strana forma di gelosia e possesso, capitava poche volte: o quando Trucy mi parlava dei ragazzi "carini" della scuola, che mi rendevano incomprensibilmente geloso della mia bimba, o quando immaginavo Maya baciare un uomo. Nah, Maya era troppo piccola... per fidanzarsi!
Era impossibile.
Annuii e con il mouse stoppai il video. Passarono cinque buoni minuti di assoluto silenzio.
Mi passai una mano in viso: perché oltre al video, anche il mio cuore sembrava essersi fermato improvvisamente?


Ow, questo fandom è così poco popolato... e me ne dispiace! E' un così bel gioco, e secondo me meritava di aver più Fic al suo interno :3
La pubblico pure qui, contemporaneamente in un altro sito, una stramba fic su Maya e Nick. Because.. they are THE love. 


Baci
gm19961

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Capitolo 2
*** Gelosia. ***


Capitolo 2
 

“Allora Pearly? Come ti sembro?”
Chiesi facendo una piroetta di fronte allo specchio, mentre la mia cuginetta mi guardava con sue occhi entusiasti e tristi al medesimo istante. Mi prese le mani, e mi schioccò un bacio sulla guancia. “Sei bellissima, Mistica Maya...”
Lo ero davvero? Dovevo ammettere che quel vestito nero e attillato mi metteva un po' in ansia: non avevo mai portato simili abiti da …. tutta la vita, ed era più che logico che mi sentissi fuori luogo: sembravo davvero una persona completamente diversa. Con i capelli più corti e con questo abbigliamento, neanche Mia mi avrebbe riconosciuto. O magari, nemmeno Phoenix.
Stupida.
Perché pensavo a lui in momenti come quelli? Stavo per vivere la serata più bella della mia vita, con il mio ragazzo, Osaki, che finalmente mi avrebbe fatta diventare moglie, e perché no, anche madre... e mi mettevo a pensare a lui? Scossi la testa e mi inginocchiai su quegli stupidissimi trampoli che avevo ai piedi: avvicinai Pearly a me, era ancora bassina pur avendo la bellezza di sedici anni. I capelli le erano cresciuti drasticamente, e col tempo si erano schiariti ancor di più, tant'è che da lontano la sua chioma sembrava di una tonalità color grano che al solito color miele. Le sfregai le mani sulle spalle e la vidi distogliere lo sguardo, con gli occhi verso il basso, un gesto che non aveva perso il vizio di fare anche da piccolina. Mi disse se era davvero quello che desideravo, se fosse lui l'uomo giusto per me. Annuii ad entrambe le sue domande e la abbracciai forte a me. Phoenix Wright non faceva più parte della mia vita, e mai e poi mai, avrebbe potuto rovinarmi un momento tanto perfetto come quello a cui avevo aspirato negli ultimi due anni e mezzo. Osaki era un ragazzo fantastico, unico nel suo genere, direi. Ed era molto dolce, per me c'era sempre stato al contrario di qualcun'altro.
Stupida.
Ci ero ricascata ancora una volta. Cos'era quel nervosismo? Era l'imminente proposta a farmi sentire così incomprensibilmente frustrata e tesa? Oppure era il mio cuore che stava tentando l'unico e ultimo tentativo di farmi cambiare idea? Di tornare indietro, adesso che ero ancora in tempo... No, il mio cuore doveva solo tacere. Mi aveva sempre fatto sbagliare, ora era giusto seguire la strada: dritta, senza svolte. E ci sarei riuscita a dimenticarlo, volente o nolente. Abbracciai nuovamente mia cugina e afferrai la borsa, camminando con disinvoltura su quei tacchi che mi aveva regalato Mia dieci anni fa. Mi aveva detto che quelli avrebbero fatto un figurone se li avesse indossati nelle occasioni speciali. E quale occasione era più speciale di quella? 
Mi guardai ancora allo specchio e una mano si appoggio improvvisamente sulla mia spalla. Guardai nella superficie riflettente e vidi dietro di me... la mia sorellina. Pearl l'aveva davvero evocata?
“... Mia!” mi voltai di scatto e abbracciai la mia sorellina, sentendo le sue braccia fini stringermi forte a lei. Quanto mi era mancata, non capitava spesso che Pearly la evocasse. Però, forse Pearl aveva fatto un bene: parlare con lei di cosa sarebbe successo quella sera, mi metteva davvero in agitazione. Avevo bisogno di una bella calmata dalla mia sorellina. Le presi una mano e la feci accomodare sul suo vecchio futon, rimasto lì, inutilizzato da più di dieci anni: ma a cui, ogni giorno, venivano cambiate le lenzuola e veniva accuratamente conservato, sotto mia richiesta, il profumo di Mia.
“Maya. Ma guardati, sembri un'altra persona! E' il gran giorno oggi, vero?” 
Perspicace, come sempre. Mi dimenticavo spesso che lei era lì a tenermi d'occhio, ovunque andassi sentivo la sua anima al mio fianco. Senza di lei, che avrei fatto... “Sì. Sono un po' agitata...” risposi atona, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi color nocciola. 
“Non ne hai motivo. Però, c'è una cosa che dobbiamo chiarire.”
Mia mi guardò con quel suo sguardo da avvocato che, più di tutti, sapeva trapelare gli sguardi impauriti e bugiardi dei testimoni. Sapevo anche dove stesse andando a parare; dopotutto era mia sorella. Chi meglio di lei mi conosceva? Forse, l'unica cosa che mi dava fastidio è che si dovesse parlare ancora di lui: ne avevo davvero abbastanza. In quelle ventiquattro ore, avevo pensato a lui ogni minuto, ogni secondo. Mi sentivo uno schifo.
“Maya... sei ancora innamorata di Phoenix, vero? Ti rendi conto che in questo istante potresti usare una persona per dimenticartelo? Non è giusto.”
Persi le staffe, lì, su due piedi. Scossi la testa e mi portai una mano all'orecchio. Che nervoso. 
“Mi dici che dovrei fare?! Dovrei restare single a vita perché sto aspettando quello stupido che non si fa da sentire da sette anni e passa? No grazie, Mia. E io non sto usando, Osaki. Lo sai, gli voglio bene.” 
“Ed è questo il punto. Gli vuoi bene E BASTA.” Mia posò le sue candide mani sulle mie spalle scoperte e con gli occhi, improvvisamente diventati più dolci e calorosi, iniziò a parlarmi di come due persone non potessero sposarsi, se non provavano dell'amore. Mi fece venire tanti di quei dubbi, fin troppi, a dire al vero. Amavo davvero Osaki? O amavo Phoenix Wright?
“... Segui il tuo cuore, Maya. Tutto ciò che ha fatto, non è stata colpa dei sentimenti. E' stata colpa del destino. Ma se tu provi questo amore da dieci anni, perché non fai in modo di rincontrarlo? Non so cosa provi Phoenix per te, ma tentar non nuoce. L'unica che ci rimetterà, al contrario di quanto pensi, sarai tu. Non hai scampo.”
 
-
 
Forse Mia aveva ragione, forse stavo commettendo uno sbaglio. Ma era troppo tardi per i ripensamenti. Ero seduta di fronte al mio ragazzo, Osaki, che non smetteva un attimo di guardarmi con gli occhi fuori dalle orbite. Forse avrei dovuto indossare più spesso cose del genere! Eravamo in un ristorante giù in città, sulla via del Parco Pubblico, in parte a una raffica di ristoranti di varie nazioni: messicano, tailandese e perfino russo!
Ma evitavo spudoratamente quel posto, si diceva che lì dentro un tipo aveva una strana copertura e che si giocasse anche a poker! Io ero una frana a giocare a poker, e tra l'altro, quel giro di persone losche non mi piaceva affatto. Evitavo perfino di passarci, quando andavo a fare la spesa, in quella via desolata.
Scossi la testa e bevvi un sorso d'acqua, nervosa come non mai. Iniziai a parlare delle solite cose con Osaki, mentre sentii una strana presenza alle mie spalle. Non seppi esattamente cosa provai in quell'istante, l'unica cosa di cui ero certa era che la strana sensazione era vagamente famigliare, quasi come se l'avessi sentita quel giorno stesso.
Ma non ci fece più di tanto caso.
E ovviamente, sbagliai alla grande.
 
-
 
Non ricordavo esattamente il perché, ma quando si trattava di cibo Trucy diventava incomprensibilmente aggressiva. Per questo mi aveva obbligato, per evitare di mangiare i miei piatti terrificanti, di comprare qualcosa al ristorante vicino all'ufficio. Ci andavo lì ogni santo venerdì, e ormai i camerieri si erano abituati alla mia presenza, e ovviamente anche a mettere tutto sul conto. Più e più volte mi avevano chiesto di star lì a fare piano bar, a suonare: ma io mi ero gentilmente rifiutato. La gente mi avrebbe – di nuovo – pagato per non suonare.
M'incamminai velocemente verso il ristorante, con le mani in tasca, e con la paranoia di fare veloce: lasciare Trucy da sola mi lasciava completamente assorto dalle mie responsabilità di padre iper protettivo. Non era colpa mia, comunque. Trucy era una ragazza troppo bella e speciale, e se avessi solo scovato un qualsiasi ragazzo a farle del male, non avrei avuto neanche rimpianti di finire in galera per lei. Eppure non ero il tipo che veniva incitato alla violenza: anzi, era l'esatto contrario. Però, tante volte, la mia gelosia e il mio astio si alzavano troppo di fretta. Questi erano gli effetti collaterali del mio smisurato carattere ingenuo che trattenevo con le catene nel mio cuore; e ogni tanto usciva lo stesso allo scoperto.
Aprii la porta del ristorante e mi diressi in fretta e furia al bancone delle ordinazioni. Lì, un bellissimo cestino con dentro del cibo più che accettabile, mi guardava come per dire: mangiami, lo so che mi vuoi. Eccome se lo volevo.
Mentre attendevo impaziente di tornare a casa, mi guardai intorno nella sala per i clienti: tutte coppiette. Mi soffermai a guardare un po' tutte le ragazze della sala, e il mio sguardo cadde sulla ragazza sull'angolo, con i capelli mori a caschetto e l'abito nero attillato che la rendeva tremendamente affascinante. In realtà la vedevo solo di schiena, ma se il dietro era così, chissà il davanti! Sentii qualcuno picchiettarmi la spalla: era il cameriere.
“Ecco la tua ordinazione, Phoenixuccio. E a proposito, ho visto che guardavi la ragazza laggiù...”
“Uh? Ah, sì. Guardavo ma non toccavo!” sorrisi cupo e guardai la sua borsa, dalla quale fuoriusciva un cordoncino violaceo. Storsi le labbra e misi bene a fuoco quel piccolo dettaglio: da lì, comunque, era troppo difficile guardare. 
“Beh, ci mancherebbe! Sai, il ragazzo prima è venuto qua a dirci che stasera le chiederà di sposarla. E che si assenterà cinque minuti per andare a prendere l'anello, che ci ha chiesto di custodire gelosamente.”
“Matrimonio, eh?”
Afferrai il cestino della cena, e chiesi al cameriere di segnare ancora. La prossima volta avrei finalmente pagato il conto di quattro mesi e passa. Oppure no.
“Oh, guarda si è alzato! Sarà andato a prendere l'anello!” cinguettò il cameriere, con forse, fin troppo entusiasmo. Che avesse delle strane tendenze, lo avevo sospettato fin dal primo momento. Ora però, ne avevo avuto la più assoluta conferma. Sarà stato per quello che non mi aveva fatto pagare per tutto quel tempo?
Davo davvero quell'impressione?
La donna tirò fuori il cellulare: viola anche quello. Sorrisi in un primo istante, e poi la registrazione che avevo guardato la mattina mi portò finalmente alla realtà. Il cellulare di Maya... non era possibile. Ancora quella strana sensazione mi aveva contorto lo stomaco, e ora sentivo che non sarebbe passata così tanto facilmente. Lasciai la cena in mano al cameriere bruscamente, e gli chiesi un piccolo favore: quello di intrattenere lo spasimante per un po' di tempo. Non mi sarebbe più sfuggita.


Ciau :3 Ecco un nuovo capitoloh di questa idiotissima fan fiction. :3
Camerieri gay POWAH.
Phoenix sta iniziando ad essere tanto geloso, non perdetevelo nel prossimo episodio! ;D
baci,
gm19961

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Capitolo 3
*** Un incontro.. di fuoco. ***


Capitolo 3

Il cameriere, scettico, mi disse “no” in un primo mento, ma con la mia assoluta – e stramba – capacità di persuadere le persone, accettò la proposta. Avevo a disposizione dieci minuti, non di più.
Camminai velocemente al tavolo della ragazza, e senza troppi problemi, con menefreghismo, mi sedetti di fronte a lei, facendola sobbalzare. Si portò una mano sul petto e mi squadrò dalla testa ai piedi.
“Ehm, quel posto sarebbe occupato...” replicò lei con una voce più impaurita del solito.
“Non posso permettertelo, Maya.”
Guardai il suo viso diventare improvvisamente più sorpreso, e notai quell'impercettibile movimento delle palpebre: aveva spalancato gli occhi. Ruotai la testa verso destra e guardai anche quell'abito così tremendamente attillato. Non era da lei indossare quella roba. Assolutamente no. Ma male non le stava affatto, anzi... se si fosse presentata quasi sempre così in ufficio tanti anni fa, non so cosa avrei fatto. Scrutai tutto: la sua pelle ancora chiara; i suoi occhi verdi e grandi; e i suoi cambiamenti fisici... che mi avevano sorpreso. Ma quello non era il momento di essere deboli: il mio nervosismo sarebbe uscito in un modo o nell'altro. 
“... Nick?”
“Azzeccato.”
Guardai l'espressione di Maya farsi sempre più cupa e triste. Mi guardò dritta negli occhi e vidi che, nervosamente, aveva serrato la sua mano destra a mo di pugno. Non l'avevo mai vista così: forse era davvero cambiata tanto in questi ultimi anni. Ma di sicuro, non era stata l'unica a cambiare radicalmente. 
“Sei davvero tu...?” chiese quasi spaventata. 
“In carne ed ossa.” risposi dopo qualche secondo.
“Che.. che cosa ci fai qui?” chiese diretta, senza troppi giri di parole. La piccola Maya era nervosa.
“Potrei farti la stessa domanda, non credi?” ribattei all'istante, lasciandole poco tempo per pensare.
La vidi alzare lo sguardo verso di me, e finalmente osservai nei suoi occhi quello che avevo temuto per tutto quel tempo: le fiamme. Maya stava bruciando di rabbia, di paura, di timore... per colpa mia. Lo sapevo che non avrei dovuto farmi vedere, di rovinarle questa serata “magica”. Ma vederla scappare via per sempre da me, non lo avrei mai permesso. Chi era quello? No, non aveva il diritto di portarmela via. 
La vidi alzarsi dalla sedia e camminare velocemente verso l'uscita, lasciando lì la sua borsa e il suo cellulare. Mi alzai di scatto e la seguii all'istante, mentre gli occhi del ristorante erano puntati su di noi. Era fuori, sul marciapiede buio, illuminato qua e la solo dalla luce dei lampioni: non girava anima viva; tutta la vita sembrava invece, essere concentrata nei ristoranti e nei bar. Ma non era nemmeno troppo tardi: solo le otto e mezza.
La vidi, poi, improvvisamente alzare lo sguardo verso di me e i suoi occhi si trasformarono improvvisamente: quel verde affascinante pareva rosso, da quanto Maya s'era infuocata. Aveva capito tutto.
“Tu.. tu eri quello di stamattina. Al chiosco dei Noodles...e la ragazzina, che ti chiamava papà!” si avvicinò con fare minaccioso a me, ma quello arrabbiato, anche se non sembrava, ero io. “Hai avuto il coraggio di non dirmi niente, mentre eravamo a dieci centimetri di distanza!!”
Mi sbraitò contro, e le lasciai buttare fuori il suo odio, che conoscevo fin troppo bene: avrebbe sbottato e poi si sarebbe calmata di colpo. Anche se, per farla arrabbiare, avevo fatto qualcosa di davvero terribile. Non era da lei reagire in questo modo; Maya Fey non era semplice da capire. Esternamente può sembrare la persona più semplice e bambinesca dell'universo, ma dentro lottava con i suoi sentimenti, lottava con la perdita di tutta la sua famiglia. Di sua sorella e sua madre, in particolare.
“E allora? Anche se ti avessi salutato, saremmo ancora qui.” risposi in modo nervoso, ma ancora con il mio tono calmo che, grazie ad anni e anni di pazienza, ero riuscito ad acquisire e far integrare nel mio alquanto complicato DNA.
“Hai avuto il coraggio di venire qui, ora, adesso... perché non prima?!” iniziò a sbattere le sue minuscole mani contro il mio petto e la vidi, per la prima volta dopo tanto tempo, sbuffare con le solite guance rosse, tipiche nelle sue arrabbiature. Quanto mi era mancata.
“Ti rendi conto che appena smetto di pensare a te, tu vieni qui, mi scombussoli la vita e poi te ne vai? Ti sembra giusto?!” mi attaccò ancora, e questa volta le presi le mani, tenendola ferma, cercando in tutti i modi di cercare il contatto visivo con lei. Era arrabbiata per davvero.
“No, però non potevo permettertelo, Maya.”
“Mi parli come se avessimo un minimo di rapporto o confidenza. Noi due siamo estranei, capiscila. E chi sei tu per dirmi cosa fare nella mai vita? Te lo dico io: nessuno.”
Quelle parole diedero l'in put alle mie mani di muoversi pericolosamente. La presi per i fianchi e la sbattei, cercando di non farle troppo male, contro il muro lì vicino: voleva fare la cattiva? La dura? Gli avrei mostrato io cosa significava esserlo, allora.
“Quindi ora la colpa sarebbe mia? E che colpe avrei? Sentiamo!” la stuzzicai solo per vedere cosa mi avrebbe risposto, e più la tenevo lì con me, più capivo che la mia missione sarebbe finita nel modo sperato. Maya non si sarebbe sposata finché io non sarei morto. Mi guardò spaventata ma ritrovò l'energia che le era necessaria per rispondermi a suon di parole. E le parole che diceva, facevano male.
“La tua colpa, eh? La tua colpa è che mi stai tenendo bloccata qui, quindi c'è Osaki che sta per chiedermi di sposarlo, ecco qual è la tua colpa momentanea. E ce ne sono tante altre, credimi!”
Mi avvicinai con le labbra alle sue: non avevo la minima intenzione di farle vincere questo dibattito. Chi era l'avvocato? Io, non lei. E ancora non capivo dove mi avrebbe portato questa strana forma di gelosia. Che cosa avrei sperato d'ottenere?
Di sicuro tutte queste tattiche erano solamente servite a far provare a Maya un po' di paura... O forse no.
La vidi sorridere vittoriosa, con le sue splendide labbra inarcate, e così vicine alle mie. Ma restai immobile nella posizione in cui l'avevo bloccata.
“Nick... tu sei geloso.” replicò lei improvvisamente calma.
Strabuzzai improvvisamente gli occhi. Dannazione!
“... Cosa te lo fa pensare?” ribattei atono.
“Nel modo in cui mi stai tenendo, per esempio.”
La vidi avvicinarsi alle mie labbra, e io restai paralizzato: mancavano si e no due millimetri a quel bramoso contatto.
Ma non andò tutto secondo ai piani.
 
-
 
“Maya, dove sei?!”
Osaki era uscito dal ristorante in fretta e furia, e fortunatamente, eravamo così nell'ombra e nell'angolo, che non pareva averci visto. Mi tirai indietro dalle labbra di Nick, che poi, non avevo avuto il coraggio di baciare.
“Per favore, lasciami...” dissi tristemente, e rassegnata.
Il suo sguardo era più intenerito in quell'istante e mollò la presa, ma mi tenne saldamente per il polso, come per accettarsi con sarei scappata via verso il mio fidanzato. Restammo immobili e in silenzio, fin quando sentii le prime gocce scendere dal cielo primaverile. Era  marzo, e i temporali erano tipici in quel mese. Non avevo neanche voglia di andarmene a prendere un ombrello. Restai lì, con il polso nella sua mano e poi osai aprir bocca.
“Sta piovendo... è meglio che me ne torni a casa.” mi passai una mano tra i capelli e con tristezza, guardai il marciapiede desolato, sorvolando la sua figura.
“No.” disse subito dopo.
“C-come?”
Lo vidi lì di fronte a me, e improvvisamente mi lasciò il polso, che ormai aveva conservato il segno rosso della sua mano calda. La pioggia e l'umidità crescevano sempre di più: ma non era solo quello a crescere. La mia voglia di stare con lui sembrava scoppiare nel mio corpo. Avrebbe potuto farmi di tutto, ma io non ce l'avrei fatta. Sarei comunque rimasta con lui, perché gli volevo bene... anzi no, ad Osaki volevo bene... a lui invece... era molto di più.
“Maya... mi dispiace. Terribilmente. Non so cosa mi sia preso.” lo sentii scusarsi, mentre il suo capello e tutti i suoi vestiti, in contemporanea ai miei, venivano costantemente picchiettati dalla pioggia che da lì in poi si sarebbe trasformata in una vera e propria tempesta.
“Eri geloso per davvero?” chiesi ancora, con un tono più dolce, mentre la pioggia faceva sembrare il mio vestito ancora più stretto e attillato di quanto non lo fosse già. Senza troppi problemi, mi tolsi le scarpe e restai scalza sul marciapiede, mentre il regalo di mia sorella si stava letteralmente infradiciando. Lo vidi osservare ogni mia mossa, e poi, finalmente, mi guardò dritta negli occhi. Erano gli stessi, non sarebbero cambiati mai e poi mai. Sempre di quel colore blu intenso che poteva scavarti dentro, e trovare... la verità, in qualsiasi piccola cosa.
“Maya... ascoltami. Mi dispiace per tutto, ma hai ragione. Chi sono io per dirti di non sposarti con un uomo che ti merita? Nessuno.”
“Ma io...”
“No, non trovare scuse. Lo hai detto e hai perfettamente ragione. Vai da lui, io me ne farò una ragione.”
“Ma perché lo hai fatto? E' una gelosia pericolosa questa, Nick...” e poi continuai mortificata “ed è impossibile che sia solo amicizia la tua.”
Lo vidi scuotere la testa e poi si riportò le mani in tasca, magari infreddolito da quell'acqua gelida che ci stava colpendo senza pietà. Mi misi a braccia conserte: faceva un freddo cane, e avevo lasciato tutto dentro. Tutta bagnata, con il trucco sbavato, pensavo di non aver fatto poi una bella figura. E cosa peggiore fu la cosa che feci dopo; quasi inconsciamente, con un broncio in viso camminai scalza verso di lui e mi gettai tra le sue braccia, nascondendo le lacrime del mio nervosismo con la pioggia. Ero distrutta.
Sentii le sue mani circondarmi e stringermi forte a lui. Sarei rimasta lì per sempre, se non fosse stato per...
Trucy.”
“Cosa?”
“Devo andarmene, Maya. Mia figlia è da più di quaranta minuti che mi aspetta, sarà preoccupata.”
Mi staccai da lui di scatto e annuii, delusa da tutto quello che era successo in quella che doveva essere la migliore serata della mia vita. 
Gli porsi la mano e lui la afferrò saldamente, scuotendola in silenzio. Quando poi, con la sua stretta mi tirò fino a lui, e il calore delle sue labbra era vicino alla mia orecchia: sospirò dolcemente e poi, scolpì nel mio cervello...
“Io e te non abbiamo ancora finito.”
“Tornerai?” chiesi a bassa voce, guardandolo con un sorriso falso.
“Dipende da te.” inclinò leggermente la testa verso sinistra.
Ed era proprio qui che si sbagliava: dipendeva tutto da lui.

Ecco il terzo capitolo. °° Terrbile, zì.
Ringrazio tutti i recensori e coloro che stanno leggendo e seguendo la storia. :) <3
gm19961

 

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Capitolo 4
*** Serata al Club. ***


 

Capitolo 4

 

Per salvarmi da quello  che era successo la scorsa sera al ristorante, avevo dovuto raccontare un sacco di frottole al mio fidanzato, come ad esempio che il mio migliore amico Phoenix – che non sentivo da sette anni - mi aveva chiamato per congratularsi con me per la mia relazione e che mi ero allontanata dal ristorante per sentir meglio, e perché dentro non c’era campo. Lui era rimasto scettico, ma dopotutto, quando lo avevo rassicurato dicendogli che Phoenix era fidanzato e con una figlia aveva sorriso all’istante. Alla faccia della gelosia!
Erano passati cinque o sei giorni, e con Osaki avevo chiarito, certo; però io mi sentivo in colpa lo stesso. Nick aveva rovinato quella che doveva essere il mio più grande sogno diventare realtà. Ma ci sarebbero state altre occasioni, infatti Osaki aveva trovato un altro modo per passare all’attacco e finalmente chiedere di sposarmi. Mi aveva invitata ad una festa giù in città, in una specie di Club dove si poteva anche ballare. Sapeva che io ero in imbarazzo quando si trattava di ballare in pubblico, ma di certo se era per divertirmi, non mi sarei tirata indietro! E poi avevo obbligato anche Pearly a venir con me, in modo che seper qualche strana ragione ci fossero stati inconvenienti – Nick – ancora, sapevo che lei avrebbe fatto di tutto per fermarlo.
Ero proprio una sciocca. Mi dimenticavo sempre che Pearl stravedeva per lui, e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per mettermici insieme. Certo, beh, l’idea di me e Nick, mentre balliamo stretti stretti mi faceva rabbrividire… ma stavo davvero pensando a quello mentre Osaki mi stava baciando?
Si staccò dalle mie labbra, ed io sorrisi imbarazzata. Ringraziai il cielo che non potesse leggermi i pensieri.
“Allora Maya? Ti passo a prendere stasera per le otto, saremo lì per le nove e mezzo. Sai che Kurain è troppo distante.” Io annuì, e gli diedi un altro bacio a fior di labbra per autoconvincermi che stessi facendo la cosa giusta.
Ma poi ripensai a Mia, e le sue parole: “Maya... sei ancora innamorata di Phoenix, vero? Ti rendi conto che in questo istante potresti usare una persona per dimenticartelo? Non è giusto.”
Lo sapevo, sorellina… sapevo che non era giusto. Ma cosa potevo farci? Ormai era andata così, e perdere Osaki per poi, magari, riperdere Phoenix significa avere una doppia sconfitta. Ero così stanca di stare male per amore, in quei setti anni non avevo fatto altro che nascondere tutto nel fondo del mio cuore… e solo Pearl era lì ad ascoltarmi mentre inumidivo la federa del mio cuscino con le solite lacrime amare. Ovunque andassi, tutto mi ricordava lui. E ora che avevo trovato una scappatoia… l’avrei seguita fino alla fine. Per qualsiasi ragione, nessuno mi avrebbe distolto dai miei obiettivi.
“Mistica Maya, devo dirti una co-ah, salve signor Osaki.”
Le parole di Pearl si fecero serie mentre pronunciava, come al solito, il nome di Osaki. Ma le stava davvero così antipatico?
“Che c’è, Pearly?” chiesi staccandomi dalla presa del mio ragazzo, rassicurandola con un veloce sorriso a trentadue denti. Pearly mi sorrise e si avvicinò alla mia orecchia, ridacchiando. “Il tuo vestito è arrivato dalla sarta… se ti vedesse il signor Nick, non ti toglierebbe lo sguardo di dosso.”
Rispose sorridendo furba, e scappando via per il corridoio esterno per raggiungere la Sala del Riposo. Mi portai le mani ai fianchi e iniziai a picchiettare il piede spazientita sul parquet. Quella ragazzina! Perché mi faceva sempre arrossire nei momenti meno opportuni?
“Tutto apposto, tesoro?”
“Ah, ehm, certo!! Sto benissimo.” risi e lo vidi sospirare contento. “Sai, sono contento che tu mi abbia detto la verità, di come quel tuo amico, come si chiama… Phonix?” “Phoenix.” lo corressi all’istante.
“Sì, lui… ecco, sono contento che ti abbia chiamato per congratularsi con te... insomma per la nostra relazione!” replicò tutto contento mentre io annuì con gli occhi sgranati. Ero davvero un’idiota perfino quando raccontavo le bugie! “Perché non  lo inviti stasera alla nostra serata? Mi hai detto che ha anche una figlia e una fidanzata, no? Potrebbe star con Pearl, mentre noi quattro parliamo un po’, tanto per divertirci di più. Che ne dici?”
Oh, Osaki. Quanto sei … adorabile quando vuoi vedermi contenta. Ma sono solo un mucchio di bugie. Oh, ma perché? Perché mi son cacciata in questo guaio? E’ tutta colpa di quello stupido, egoista, geloso, carino, e bellissimo avvocato!
“Non lo so, vedi lui fa i turni di notte in una azienda, quindi non saprei dirti. Mi sa che non è libero!”
Ok, me l’ero cavata con un’altra frottola. “Ah, che peccato! Non importa, vorrà dire che saremo solo… noi due…” lo vidi chiudere gli occhi e avvicinarsi ancora a me, mentre io indietreggiai d’un passo. “Dimentichi Pearly!” lui aprì un occhio e annuì, grattandosi la nuca “Ah certo, Pearl.”
“Adesso devo andare a prepararmi! Ciao amore, a stasera!”
Inutile dire che… era tutta colpa di Nick!

-

Rivedere Maya era stato come fare un tuffo nel passato. Nei suoi occhi avevo rivisto la persona che ero, e tutte le avventure che avevamo vissuto insieme; i suoi erano ricordi preziosi che tenevo custoditi dentro di me, ma che mai e poi mai avrei potuto – sopratutto voluto - riaprire. Maya, la mia piccola Maya era cresciuta, e non era più quella di una volta. Dovevo aspettarmelo, comunque; era passato così tanto tempo dall'ultima volta che avevo parlato con la sensitiva diciannovenne. Lì, sotto la pioggia, sette anni dopo mi ero ritrovato davanti il suo alter ego ventiseienne, e la cosa mi aveva terribilmente confuso le idee: mi ero reso conto che quella ragazza dai capelli corti e color ebano era diventata molto più affascinante, più matura nel modo di parlare e di ragionare. Era cresciuta, e con lei anche io ero cambiato drasticamente. Ma potevo davvero tornare sui miei passi? Far finta che quell'incontro fosse stato solo un piccolo incidente di percorso? Assolutamente no.
Era un’altra noiosa serata al Club della Barbabietola. Il tempo scorreva lentamente, e il proprietario aveva ideato un’altra delle sue geniali trovate per attrarre clienti in quel gelido ristorante russo. Di solito lì, ci andavano le coppie squattrinate, o persone poco affidabili; ma la cosa non mi disturbava, forse perché dopo sette anni, la gente mi conosceva e sapeva che di me – o del campione di poker – si poteva fidare. Dovevo ammettere che avevo un’aria poco rassicurante, ma mi piaceva comunque vedere le varie espressioni che la gente mi riservava, sempre diverse tra l’altro, quando mi guardava.
Guardai l’orologio: le otto e trenta. Ancora qualche minuto e sarebbe arrivata Trucy, accompagnata da suo fratello Apollo, per quella serata tutta balli o cose del genere. Avrei dovuto vegliare su mia figlia mentre una schiera di spasimanti le chiedeva di ballare? Assolutamente sì. E avrai anche provato tanto piacere a mettermi di mezzo, tra l’altro. Ma ormai la gente sapeva che era figlia mia e quindi le giravano al largo. Che fortuna.
“Hey Phoenix, anche tu farai quattro salti in pista stasera?”
Il barista John mi guardò ironico mentre asciugava un bicchiere bagnato. Ero seduto sullo sgabello del mio pianoforte e scossi leggermente il capo, divertito. “Ovviamente.”
“E chi sarà la fortunata? Ho sentito che piaci a un sacco di cameriere, qua dentro.”
“Davvero?”
Che buffo. Solo sette anni fa tutte le ragazze che incontravano mi mortificavano e ora invece, stranamente, sembravano cascare ai miei piedi. Forse era la tuta che mi rendeva uomo vissuto?
Comunque, non avrei ballato quella sera, per tanti – fin troppi – motivi: innanzitutto non che me la cavassi male a ballare, ma senza una potenziale compagna o voglia non avrei fatto proprio nulla. Poi dovevo essere reperibile per qualsiasi cliente; e mi fidavo di Apollo, sapevo che sarebbe stato sempre con mia figlia nel caso io sarei dovuto andare a giocare nel Covo.
“Eccome, signor -io voglio restare single per sempre-” mi canzonò ancora, mentre tra una risata e l’altra, come facevo a dargli torto? L’unica persona per cui avessi provato amore era soltanto la gemella di un’assassina. E… lei, ovviamente. Provavo uno strano sentimento per Maya, ma di sicuro con quell’Osaki – che m’ispirava non so quanti sguardi truci - di mezzo non avrei potuto farci proprio nulla. Era da quella famosa giornata che non la vedevo: erano passati svariati giorni, e oggi era un sabato sera. Magari in quel preciso istante Maya indossava un anello con sopra un diamante gigantesco.
Se lo meritava.
Ma non da lui.
“PAPA’!” urlò Trucy coperta con un cappotto blu, a braccetto di Apollo. Aveva i capelli raccolti con uno chignon: in quell’acconciatura c’era perfino una rosa blu intrecciata sul capo. Ai piedi aveva degli stivali, ma molto più bassi e con del lieve tacco che le aveva comprato Apollo per il compleanno. Era uno splendore. Mentre Apollo, sembrava che avesse solo vestiti rossi nel guardaroba. Mi alzai dallo sgabello e avanzi verso di lei con nonchalance. Mi chinai e aspettai che la mia piccola mi desse un bacio sula guancia. Dopo averlo ricevuto, mi sentivo già meglio.
“Signor Wright, questo è il famoso luogo in cui lavora?”
“Perspicace, Apollo.” scherzò Trucy, mettendosi una mano sulla bocca per coprire la sua risata. “Comunque tesoro, ti avevo detto di non vestirti troppo scollata, ma così coperta mi sembra un’esagerazione, sai?"
“Ma che dici, papà. Questo è solo un cappotto! E non ti preoccupare, ballerò solo con Polly… o anche Klavier.”
Apollo si sbatté una mano in fronte e mi guardò come per chiedermi: Non le faccia ancora parlare di lui, la prego.
“Klavier?” dissi io, sorpreso. “Viene anche lui?”
“Sì, con il Detective Skye! Non sono una bella coppia, papà?” replicò Trucy con gli occhi sognanti, unendo le mani e saltellando. “Penso di sì.”
“Signor Wright, anche lei stasera ballerà?” chiese Apollo curioso, guardandosi in giro chiaramente imbarazzato. Ho dovuto pagarlo per convincerlo da far da cavaliere a Trucy. Pagarlo con gli stessi soldi che lui stesso aveva guadagnato nelle piccole cause in tribunale. “Non ho l’abito adatto.” replicai ridendo.
Trucy a quel punto, guardò con uno sguardo furbo Apollo e tirò fuori dalla tasca le sue magiche coulotte che le avevo regalato tantissimo tempo fa. Incredibile che le usasse – e indossasse – ancora. La vidi gesticolare con una mano e tirare fuori improvvisamene una camicia bianca con un pantalone nero e delle scarpe semplici.
“Mai sottovalutare Trucy!” rispose Apollo, guardando orgoglioso la sorellina. Trucy me li sbatté sul petto e i suoi non ammettevano un “no” come risposta. Roteai gli occhi al cielo e presi gli indumenti tra le mani, sospirando rassegnato. “Devo proprio, Truce?”
“Non si sa mai che mi trovi la mamma proprio stasera!” mi fece l’occhiolino e mi incitò a cambiarmi.
Sarebbe stata una lunga serata.

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Do ufficialmente il via alla parte Dirty Dancing che durerà due capitoli °°
Beeeeeeene, preparatevi, ce ne saranno delle belle :'D
Grazie per chi legge e recensisce, siete adorabili ç_ç <3
gm19961

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Capitolo 5
*** La scommessa fatale. ***


Capitolo 5
 

Uscii dalla stanza del personale che ormai mancavano cinque minuti alle nove: avevo messo i miei vestiti in un angolino, e – ancora con qualche dubbio su come Trucy si fosse procurata quei vestiti – mi diressi fuori, dove il ristorante si faceva sempre più pieno di gente. Almeno non mi avrebbero chiesto di suonare il pianoforte!
“Papà! Guarda, come sto?” Trucy corse verso di me prendendo i lembi della gonna a sbuffo e fermandosi brusca davanti a me. Sbatté i suoi occhi grandi e blu, in perfetto abbinamento con l’abito che le avevo comprato molto anni fa, e che non vedevo l’ora che indossasse. Non era troppo corto, ma nemmeno troppo lungo. Ed era la ragazza più bella della sala. Ah, il buon vecchio orgoglio paterno si rifaceva sentire.
“Sei bellissima, tesoro. Dai, ora vai da Apollo, fallo divertire, mi raccomando!” la vidi allontanarsi da me, mandandomi un bacio volante che raccolsi con la mano e portai sulle labbra; guardai il quartetto starsene a parlare, mentre Ema se ne stava visibilmente in imbarazzo con quel vestito e con la mano di Gavin starsene sul suo fianco. Mi venne da ridere, e con le mani in tasca, andai a sedermi al bar, iniziando a chiacchierare con il barista, fin quando, dopo una ventina di minuti e già qualche invitò da donne respinto, mi indicò il nuovo giro di coppie che se ne stavano entrando allegramente nel Club: mi divertivo a prendere in giro insieme a John, il barista, e ridere e scherzare più  che potevo.
“Ah guarda quelli, sono in tre!” mi indicò ridendo, e io mi sporsi a guardare l’entrata con un sorriso ebete in viso: ma poi, poi la riconobbi. Non era possibile. Avrei riconosciuto quella faccia da schiaffi di Osaki ovunque. E quella ragazza dai capelli color miele che aveva visibilmente attirato l’attenzione di Apollo, mentre ballava come un castoro ubriaco, sorrideva intimidita sotto quelle luci e colori, doveva essere la piccola Pearl. E poi, al centro, lei: quell’idiota le stava togliendo la giacca lasciando allo scoperto quell’aggraziata figura che stavo incontrando fin troppo spesso nelle ultime due settimane. Indossava un abiti corto color confetto, nessun anello al dito e si trovava a qualche metro da me. Potevo rovinarle ancora la serata? Ma certo che potevo.
“Hey Phoenix, è uno schianto quella ragazza laggiù, vero? Peccato che se ne vada in giro con uno con una faccia così!” io battei il pugno contro il suo, e balzai in piedi, sbottonandomi il colletto della camicia come reazione involontaria. “Sono d’accordo con te. Vuoi vedere come la convinco a ballare con me?”
“Sei terribile” e dopo aver soffocato una risata, continuò “ti do il doppio delle solite scommesse, se le dai anche un bacio.”
“E’ andata.”
Camminai con una mano in tasca verso mia figlia e i suoi amici, salutandoli e continuando a tenere sott’occhio Maya con una visuale ancor più ravvicinata. “Apollo, ho visto come guardavi quella ragazza. Chiedile di ballare, ti dirà di sicuro di sì.”
Dissi dandogli una gomitata congiunta a Trucy, facendolo diventare rosso per la vergogna. “Frontman, lascia da parte la timidezza e chiediglielo!”
“C’è un'alta probabilità scientifica che ti possa dire di sì.”
“D’accordo, basta che la smettete di guardarmi con quegli sguardi… mi danno fastidio!” disse camminando velocemente verso Pearl, visibilmente imbarazzo, che se ne stava appiccicata a Maya.
“E tu, tesoro di papà, potresti andare da quell’uomo laggiù? E’ un produttore cinematografico, sono sicuro che ti vorrebbe nel suo film! Intrattienilo più che puoi con i tuoi trucchetti.”
Trucy mi guardò con uno sguardo sognante, e tirò fuori da non so dove il suo cilindro, mettendoselo in testa con orgoglio. Mi diede un bacio sulla fronte come ringraziamento, e corse verso di lui con quel suo fare giocoso e dolce. Mi congedai da Klavier e Ema, e finalmente raggiunsi la mia preda: se ne stava finalmente sola, mentre Pearls aveva accettato l’invito di Apollo e Osaki se ne stava a guardare Trucy, come incantato da quei suoi trucchi strabilianti. La musica che rimbombava dalla sale, improvvisamente, cambiò del tutto sound: se prima era allegra, questa era una vera e propria... rumba.
“Sei sola, Maya?”
Maya si voltò di scatto verso di me e si portò una mano sul petto, sgranando i suoi occhioni verdi verso di me: le facevo sempre questo effetto?
“Che cosa ci fai ancora qui?!” disse sbuffando, e indietreggiando di qualche passo.
“Ci lavoro.” dissi afferrandola per una mano e spingendola verso di me, stranamente a ritmo di musica. Maya portò una mano sulla mia spalla e sembrava non aver intenzione di staccarsi dalla presa, e nemmeno io. Le afferrai saldamente l’altra mano inconsciamente e iniziai a muovermi, sentendo Maya seguire i miei passi imbarazzata. Se c’era una cosa che avevo imparato a scuola di ballo – una scuola a cui mia madre mi aveva obbligato ad iscrivermi tantissimi anni fa – era quella che ogni ballo aveva una sua verità dietro. La rumba - perché questa lo era chiaramente - doveva essere la danza dell’odio, ma al contempo della passione. Che lo facessero apposta?
Guardai Maya negli occhi e le feci fare qualche piroetta, mentre sentivo lo sguardo di John sorridermi compiaciuto. Portai una mano sul fianco di Maya, sentendone il tessuto morbido aderire alle sue forme magre e in perfetto equilibrio con il resto del suo corpo. Le sue mani erano tese, ma cercai di rassicurarla con una presa piuttosto delicata. E poi, i suoi occhi verdi erano incrociati con i miei, mentre in quel ristorante sembrava essere calata l’oscurità più totale. I miei occhi erano posati soltanto su di lei: sembrava un angelo in quel vestito leggero color rosa che metteva in risalto le sue curve. Le feci fare qualche movimento brusco che però, accompagnato dal movimento involontario dei suoi ormai corti capelli color ebano, dava un’aria molto più morbida al ballo che insieme stavamo conducendo. Le sue labbra erano così vicine alle mie e quanto avrei voluto toccarle, assaporarle per un momento. Guardai velocemente le pareti della stanza: l’interruttore della luce era lì, se lo avessi scollegato, sarebbe partita l’elettricità per un momento solo prima che il sistema di sicurezza dopo massimo tre secondi, la riaccendesse. Era la mia occasione. La presi in braccio e la feci volteggiare un po’, guardando la sua espressione cambiare poco a poco: ora sorrideva, mostrandomi quelle sue fossette così dannatamente carine che mi aveva tenute nascoste per più di sette anni. Mi avvicinai al muro e con una gomitata, feci scattare la luce come programmato: sentii il brusio della gente lamentarsi e in quel momento spinsi Maya a me, mettendo le mani sulla sua schiena e baciandola per quel poco che potevo. La strinsi a me e m’insinuai nella sua bocca, cercando quel più che potevo ottenere da lei…. Perché non potevo più resisterle. Sette anni fa, quando se ne andò da me, cercai di seppellire dentro di me quel sentimento che giorno dopo giorno stava nascendo dentro di me… e ora, non potevo più farlo. Mi piaceva vederla reagire, mi piaceva vederla così bella e cresciuta. Mi piaceva lei. La sentii ricambiare poi il bacio e farlo diventare sempre più appassionato, fin quando la luce si riattivò, e insieme ci staccammo l’uno dell’altro, con gli occhi colmi di gioia e di… errore. Errore perché capii in quel preciso istante quello che il mio cuore aveva capito da tempo: ero innamorato di una donna che era destinata ad altra persona.

-

Lo aveva fatto. Lo aveva fatto per davvero. Mi aveva dato un bacio, e che bacio! Ci guardammo per svariati secondi, fin quando sentii i passi di Osaki e quella ragazzina stramba che voleva fargli vedere i trucchi magici avvicinarsi a noi. La sedicenne prese la mano di Nick e sorrise, mettendogli in testa il suo cilindro. “Papà! Chi è questa signorina? Ti ho visto ballare insieme a lei! Eravate splendidi!”
“Sì, anche io vi ho visti per un momento.” Osaki guardò Nick con uno strano sguardo, mentre mi teneva stretta a lui con fare iper protettivo. Vidi Nick sorridere e aprire quella sua dannata e affascinante boccaccia. “Sì, sono Phoenix Wright. Un suo… amico.”
“Hey, non me ne mi importa niente se tu sei suo amico. Maya è la mia fidanzata, quindi vedi di starle alla larga. E poi che ci fa lui qui, Maya? Non avevi detto che lavorava e che era fidanzato?”
Oh… miseriaccia! Ero rovinata.
“Sì, beh a quanto pare era libero, che problema c’è? E-e sì, ovvio che è fidanzato…”
“Davvero sei fidanzato papà?” disse la figlia di Nick, che mi lanciò uno sguardo incuriosito. Mi scrutò con attenzione e poi schioccò le dita vittoriosa. “Ah! Ma tu sei quella del chiosco dei Noodles! Quella bellissima ragazza vestita tutta di viola! Ma sì, lunedì scorso! Mi hai detto ciao e che sono bella.” la sentii ridacchiare mentre Osaki era sempre più confuso. Nick mi guardò con uno sguardo furbo e lo vidi staccarsi da sua figlia, prendendomi per il polso e avvicinandomi alla sedicenne.
“Io e te dobbiamo parlare.” sentii Nick pronunciare queste esatte parole a Osaki, e lui annuì, guardandomi in modo deluso. Si incamminarono verso l’uscita, lasciandomi sola a guardare i due uomini di cui ero innamorata… parlare. Di chissà che cosa, poi.
“Comunque io sono Trucy. Sei la fidanzata di mio papà?” chiese lei non smettendo un attimo di sorridere e porgendomi la mano; la vidi sbattere i suoi occhi color blu e io le strinsi la mano rassicurata.
“Sono Maya Fey, una vecchia amica di tuo padre.”
“Maya?! Tu sei quella ragazza nella foto di papà che tiene sul comodino insieme ad un’altra bambina piccola? Papà non mi ha mai voluto parlar di te… eravate fidanzati quando il mio papà era un avvocato?” chiese ancora, sconvolgendomi sempre di più. Ma da dove era sbucata quella ragazzina?
“Ero la sua assistente sensitiva! E la bambina è quella che sta ballando con quel ragazzo laggiù… deve avere la tua età. E tu? Sei la figlia di… Nick?” le domandai confusa e con gli occhi spalancati. Lei si morse la lingua e mi fece uno sguardo dolce, sfregandosi la mano sulla nuca. “Sì, sono la figlia di Phoenix Wright. Sono una maga, ma sarò famosa in tutto il mondo!”
“Segui i tuoi sogni… Trucy. Vedrai che non resterai delusa!”

-

“Allora? Mi vuoi dire chi sei? Perché ogni volta che sto con Maya tu ti devi mettere in mezzo?” mi chiese quella faccia da schiaffi del fidanzato di Maya. Che sciogli lingua. Eravamo fuori sul marciapiede e io alzai un sopracciglio, guardandolo negli occhi.
“Sono Phoenix Wright e tu non mi piaci. Ma se Maya ha scelto te, qualche buona qualità la devi pure avere. Quindi, rendila felice.” strinsi un pugno mentre guardai involontariamente in modo minaccioso Osaki. “Non c’era bisogno che tu me lo dicessi.”
“Mi piace questa tua grinta, devo dirti però che conosco Maya da tempo. Non è innamorata di te.” dissi guadandolo in cagnesco e il moro si avvicinò pericolosamente a me con uno sguardo inquisitore. “Phoenix Wright? Tu sei quel tizio che gioca a poker, giusto? Allora giochiamo.”
“Come scusa?”
“La posta in gioco è Maya. Chi vince, se la prende e il perdente dovrà per sempre sparire dalla sua vita.”
“Quando?” ribattei subito.
“Ora. Hai paura, Phoenix Wright?” mi chiese con aria di sfida.
“Entra dentro, rimpiangerai di avermi sfidato.” risposi freddamente, facendolo passare per primo al Club della Barbabietola.
 Il Covo ci aspettava.




Mi scuso per il ritardo D: Il capitolo è UHUH però non sott'intendo il EHEH; comunque dovevano ballare il tango... ma preferivo la Rumba :3
Domani parto per le mer, so GUDDEBAI (??) <333
Torneròòò presto x3
Grazie di tutto <3
gm19961

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