Hidamari

di CaskaLangley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nessuna paura ***
Capitolo 2: *** Con il corpo ***
Capitolo 3: *** Tesori del mare ***
Capitolo 4: *** Lo stesso odore ***
Capitolo 5: *** Tutti e due ***
Capitolo 6: *** Compromesso ***
Capitolo 7: *** Involucri vuoti ***
Capitolo 8: *** Solitudini ***
Capitolo 9: *** Speranza ***



Capitolo 1
*** Nessuna paura ***


Attenzione: la storia contiene spoiler più o meno espliciti su Kingdom Hearts, Kingdom Hearts: Chain of Memories e Kingdom Hearts 2.

Attenzione di nuovo: ho scelto il rating R perché la storia non è in effetti così grafica e dettagliata nelle descrizioni. Non la ritenevo una NC17, insomma, e non credo che lo sia. Tuttavia ci tenevo a sottolineare la R -che spesso viene ignorata, poverina ;_;" - in quanto "Hidamari" pur non essendo una yaoi contiene riferimenti ad atti violenti e sessuali tra due ragazzi (<3). Se la cosa vi turba, vi secca o semplicemente non fa per voi, è meglio che non proseguiate nella lettura. Vediamo come funziona questo rating, altrimenti lo alzo XD Grazie ^-^!

Questa storia è una one-shot, ma sull’EFP ho preferito dividerla in capitoletti, anche perché aveva già nella sua forma originale i titolini interni :o Comunque è già terminata e la pubblicherò completamente in quattro aggiornamenti; non so in che arco temporale, dipende tutto da quali disponibilità di connessione avrò XD ma in massimo due settimane sarà pubblicata tutta (questo per tranquillizzare che mi conosce e conosce bene anche i miei tempi imbarazzanti ;_;").

Ok, non rompo più >_<

HIDAMARI

#31; biancospino ~ speranza

Nessuna paura

Sora si riparò gli occhi dall’accecante luce del sole pomeridiano. I riflessi sul mare brillavano così forte da sembrare cristalli rotti, specchi che riflettevano raggi taglienti come lame.

Accolse la vista con un po’ di fastidio, ma si abituò presto, come ci si abituerebbe a qualsiasi difetto presente su qualcosa di desiderato tanto a lungo. Era come quando, da piccolo, chiedeva per Natale giocattoli che sembravano molto più belli di come si rivelavano una volta aperta la scatola, ma era così felice di averli ottenuti, così soddisfatto all’idea di poterli mostrare a tutti quanti il giorno dopo, che non importava se le sue aspettative fossero state o meno deluse, perché quello che importava era l’appagamento.

La felicità, in fondo.

E a proposito di felicità, vide subito che sulla spiaggia, seduta sulla sabbia senza nemmeno un telo, Kairi era in attenta contemplazione del mare.

Si avvicinò a lei di corsa, temendo che un soffio di vento potesse portargliela via - come si era sempre portato via tutti i miraggi che lo avevano accompagnato durante il suo interminabile viaggio.

Sollevò un sacco di sabbia, che era tanto leggera e secca da volargli fin quasi negli occhi. Quando le fu dietro alla schiena, e quando vide che la propria ombra incontrava la sua, intrecciandosi per terra come chiara prova della loro esistenza, sospirò a pieni polmoni perché fu finalmente certo che lei era lì. Loro erano lì. Ed erano insieme.

Ormai era tornato da almeno un mese, ma questi pensieri lo rendevano ancora così puerilmente felice che gli veniva voglia spesso voglia di stringerla, o anche solo di posarle una mano sulla spalla, di far passare tra le dita una ciocca dei suoi capelli…qualsiasi cosa, per godersi la sua tangibile, dolcissima presenza.

Kairi si girò, con una mano aperta sopra gli occhi, e gli rivolse un sorriso luminoso.

Non era sorpresa di vederlo, al contrario, era come se lo avesse aspettato fino a quel momento.

Kairi lo guardava sempre in quel modo, nel modo in cui metti a fuoco una sagoma amica in lontananza, e ogni volta sembrava corrergli incontro, con quei suoi occhi azzurri e brillanti, anche se restava immobile.

A volte Sora pensava che non ci fosse niente nel mondo in grado di dare tanta gioia.

Potersi aspettare.

Avere l’assoluta sicurezza che il momento di vedersi arriverà, e arriverà presto.

Era come continuare a tornare a casa.

Sora si sedette accanto a lei, e strinse con soddisfazione la sabbia caldissima tra le mani.

Lei lo rimproverò felice, pungolandogli il naso con una matita: "Pigrone, ma quanto hai dormito?" – Sora notò che non stava guardando il mare, ma era invece concentrata su un blocco da disegno.

"Non me ne parlare, sto morendo di sonno…"

"Sei rimasto ancora a fare compagnia a Riku, vero?"

Sora appoggiò i gomiti sulle ginocchia e sospirò.

Da quando erano tornati, Riku faceva la vita di un gatto fuso con un pipistrello.

Passava le giornate dormendo nel rifugio segreto, per terra, come un animale selvatico, e quando il buio calava lui si alzava, mangiava, camminava, guardava il mare e tornava a dormire. Sora aveva cercato in vano di cavarlo fuori da quel buco umido e buio, ma aveva presto dovuto arrendersi davanti alla sua ormai nota ostinazione.

"Io non lo capisco…" sospirò Kairi scuotendo lentamente la testa e tornando ad esaminare il disegno schizzato sul foglio, ma non aveva usato il tono di chi non capisce davvero.

Kairi non era una stupida. Non era mai stata egocentrica, una principessa che aspetta senza muovere un dito che il suo principe azzurro la vada a cercare. Era coraggiosa, invece, e sapeva guardare in faccia le cose.

Era una dote che Sora doveva ammettere di non possedere, per questo in lei la ammirava così tanto.

Tuttavia il fatto che Kairi fosse così sveglia in quell’occasione non era completamente una fortuna.

Era chiaro che Riku non avesse intenzione di farsi capire da lei, né da nessun altro.

E Sora odiava essere consapevole di questo, e di dargli ragione, in fondo.

La notte, quando il sole calava e il mare diventava blu scuro, Sora si sdraiava sulla sabbia e…respirava.

Era felice di essere tornato. Felice come non avrebbe mai immaginato di poter essere.

Ma solo di notte, quando tutto taceva, e solo le onde del mare lambivano i suoi pensieri, gli sembrava di riuscire a respirare. Il giorno era troppo frenetico. Così luminoso, e accecante, così pieno di rumore, che Sora non poteva fare altro che seppellire i pensieri e i ricordi che ogni tanto bussavano nella sua testa sotto una valanga di immagini e di parole, muovendosi, ridendo, comportandosi come se tutto fosse stato normale.

…Normale.

…le cose sarebbero mai più state normali, per loro…?

Guardò il profilo sereno di Kairi, la sua pelle rosa, i capelli che prendevano una colorazione quasi rossa alla luce, ed era chiaro, dolorosamente chiaro, che nonostante la sua sensibilità, nonostante il suo coraggio, nonostante la sua forza, lei non avrebbe potuto capire, e non doveva capire.

Non era giusto che capisse.

Kairi, che era così bella accarezzata dalla luce…

Sora scosse la testa, allontanando i pensieri malinconici. C’era la notte per diventare pensierosi. Il giorno era fatto per godersi ogni momento.

"Che cosa sarebbe quella roba?" domandò scavezzando il collo sul disegno di Kairi. Ovviamente si accorse che quella roba non era un titolo lusinghiero, ma era troppo tardi per ritrattarlo, e lei gli dette un colpetto in testa col blocco, arrabbiata. Poi lo girò al contrario sulle ginocchia e disse: "Sarebbe una cosa che non è venuta. Uffa."

Sora cercò di appianare le cose: "Posso vederlo bene?"

"A che serve, tanto è una roba."

"Ma dai, scusami, l’ho visto di sfuggita, e poi c’era il sole. Fai vedere, per favore."

Kairi gonfiò graziosamente le guance, poi sospirò e gli porse il blocco.

"Faccio schifo, dillo pure, tanto lo so."

"Ma dai, sono dei fiori, giusto?"

"Sì, ma quali?"

"Se non lo sai tu…"

"Io lo so! Sei tu che non lo capisci perché non sono capace!"

"In tua difesa si può dire che non conosco bene i fiori…"

"E’ un biancospino."

Sora rise come un castoro nervoso, e cambiò discorso: "Non sapevo che disegnassi."

Nel dirlo si rese conto di quanto triste, e lunga, fosse stata la loro lontananza.

Mentre lui spazzava via Heartless a Keyblade spianato, Kairi…lei viveva.

Andava a scuola. Guardava il sole sorgere e tramontare. Parlava con i compagni di classe, rideva, disegnava, e faceva tutte quelle cose che era giusto che facesse.

Ad essere ingiusto era che lui l’avesse trascinata in quel casino.

Era ingiusto che l’avesse fatta aspettare, e preoccupare.

Era ingiusto che l’avesse messa in pericolo così tante volte che lei avrebbe dovuto odiarlo, e non guardarlo con quell’affetto che gli riempiva il cuore.

Kairi meritava ogni più piccolo attimo di quella vita meravigliosa e normale.

Quella vita meravigliosa e normale che Sora, dopo aver tanto lottato per renderle, le aveva infine tolto un’altra volta. Chi gli assicurava che questa volta sarebbe durata?

Quando lei parlò, come se fosse destino che con poche parole dovesse cancellare ogni suo turbamento, si sentì subito meglio.

"Ho cominciato da quando siamo tornati qui insieme. Non so perché, mi è preso così. Ma è meglio che smetta, mi sa, sono negata nella maniera più assoluta…" ammise, ridendo.

Sora, allora, guardò con più attenzione il blocco. Rimase in silenzio per un po’, senza sapere lui stesso a che cosa stesse pensando, finché non disse solamente, in un sussurro: "Naminé."

Kairi lo guardò dubbiosa, con i suoi occhi rotondi da cerbiatta.

"…Naminé…credo che lei disegnasse…"

Invece di esserne turbata, lei accolse questa pseudo-rivelazione con gioia. La sua bocca si schiuse, poi sorrise felicemente. Sinceramente, Sora trovava un po’ strana la sua tranquillità davanti a certe cose, come quando a undici anni lui e Riku erano convinti di aver visto un mostro marino, e invece di scappare a riva Kairi si era immersa con gli occhialini per vederlo da vicino (cosa che ovviamente li aveva costretti a seguirla, e mentre Riku poteva essere effettivamente interessato ai mostri marini, Sora non era completamente convinto di volerne incontrare uno dal vivo).

Poi Kairi guardò il blocco e fece una smorfia: "Qualcosa mi dice che era più brava di me, vero?"

"Non mi ricordo. Non bene, almeno. Però forse sì, era brava…non ne sono sicuro, però."

"Forse Roxas lo saprebbe!" disse lei emozionata. Sora, come se lo avessero colto sul fatto in un momento imbarazzante, arrossì.

"Non lo so, forse, io che ne so?"

"Credi che loro si conoscessero bene?"

"Non lo so…forse."

"Io la vedo più come una cosa…mmmh, di affinità, sai. Magari non si vedevano spesso, ma era come se fossero sempre uniti" nel dirlo intrecciò le dita delle mani e gliele mise davanti agli occhi "Capisci?"

"Non lo so, forse…"

"Non lo so, forse, non lo so, forse…queste risposte non mi servono a molto, Sora!"

Sora si grattò imbarazzato la testa e Kairi disegnò un cuoricino sul blocco.

"…come ti senti con questa cosa…?"

"Con che cosa?"

"Avere un’altra persona dentro di te."

"Tecnicamente non sono delle altre persone" rispose Sora scrollando le spalle.

"Sì lo, so, non tecnicamente, però…" tracciò con la matita un lungo segno sul foglio "…Naminé aveva dei pensieri…" prese un pugno di sabbia e lo lasciò scivolare tra le dita "…lei parlava, rideva, e aveva paura…"

"Non aveva un cuore" rispose Sora, troppo duramente. Kairi scosse la testa, sorridendo tristemente: "Lo so, però…comunque sia, la cosa più strana è che non mi sento affatto strana. Piuttosto da quando l’ho incontrata è come se fossi…completa. Lei è me, ma è contemporaneamente una mia amica che vive lontana, e so che sta bene…anche se in realtà mi vive così vicina."

Sora scavò nella sabbia con un piede. Non voleva dirle che lui non provava nessuno dei quei sentimenti piacevoli, e non solo. Non provava niente. Quando pensava a certe cose c’era come il vuoto, dentro di lui. La sensazione di avere dei ricordi, e delle emozioni da incanalare, ma di non riuscire a farlo.

Kairi domandò imbarazzata: "Quello che dico ha il minimo senso?"

Lui le sorrise: "Certamente che ce l’ha."

"Anche tu ti senti così?"

Sora rifletté per un attimo sulla possibilità di mentire, poi capì che in quel frangente sarebbe stato inutile. Non era abituato a dire bugie, e voleva farlo abbastanza poco da essere credibile quando vi era costretto.

"Quando è successo, Riku ha detto che sarei stato sempre lo stesso. Ma io non mi sento così. A volte mi sento…invaso."

Kairi tacque. Difficile capire perché. Poteva essere scossa, o semplicemente rispettosa. Lei era sempre stata così, estranea al desiderio di riempire il silenzio con parole tutto sommato inutili.

Sora invece odiava il silenzio.

Avrebbe voluto ridere e urlare così forte da coprire tutto il silenzio del mondo.

Tuttavia, adesso, quel silenzio…

Senza muoversi di un solo centimetro da dov’era seduta, Kairi si inclinò fino ad appoggiare la testa contro la sua spalla, con gli occhi chiusi.

Sora si agitò solo per un attimo, ma quello subito successivo si rilassò in modo sorprendente.

"…Sora…"

"Mh?"

"…non senti mai come…come dei sentimenti, che non riconosci come tuoi, sul subito…ma poi ci pensi, e ci ripensi, e ad un certo punto è come se in fondo, da qualche parte, anche tu avessi provato quegli stessi sentimenti, ma in modo molto meno…"

Non continuò. Sora attese a lungo, poi terminò: "doloroso."

"…allora capita anche a te?"

Lui annuì. Un’ammissione pericolosa, viste le circostanze.

Kairi si spostò i capelli da davanti al viso.

"Quando ero qui da sola, e vi aspettavo, e quando non riuscivo a ricordarmi bene di te…mi sentivo molto sola. Però avevo sempre quella speranza…quella sensazione che vi avrei rivisti, prima o poi. Quella fiducia in voi. Ma a volte, da quando siamo tornati, io siedo qui, o sono a casa mia, o magari sono in mezzo alla gente…e mi sento sola in modo desolante. Mi sento così sola, e spaurita, che mi viene da piangere. E vorrei tanto urlare, e chiedere aiuto, ma a stento respiro, come se una mano mi tappasse la bocca…"

Sora cercò di guardarla e vide che stava strizzando gli occhi.

"Ehy…"

"…forse Naminé si sentiva in questo modo…" disse Kairi d’un fiato "…forse si sentiva sola, sperduta, e prigioniera…e non aveva nemmeno un cuore per sperare che qualcuno andasse a trarla in salvo…"

"Ehy, ehy" si preoccupò, alzando poi senza pensarci un braccio per cingerle le spalle, e lei chiuse subito gli occhi.

"Se ci penso mi sento così in colpa…"

"Ma cosa stai dicendo, non è mica colpa tua!"

"Lo so" singhiozzò, strofinandosi gli occhi col dorso della mano "ma a volte questi sentimenti sono così soffocanti che vorrei poterla almeno abbracciare…"

Sora non sapeva cosa fare. Ormai poteva saltare in testa ad un drago di vento, attorcigliare Jafar nella sua coda, colpire il Baobao con un fulmine e massacrare mille Heartless, ma quando si trattava di trovare le parole per consolare qualcuno, nella fattispecie la ragazza più importante del mondo, era praticamente paralitico.

Come sempre fu Kairi a risolvere tutto con un gesto semplicissimo: gli prese la mano.

"…forse io ho rischiato di dovermi sentire proprio come lei…ma sono stata fortunata ad arrivare su quest’isola, e ad incontrare voi. Da quando sono rinvenuta su questa spiaggia, non mi sono mai sentita sola. Anche quando mi sembrava di esserlo perché eravate lontani, eravamo comunque vicini. Anche quando sono saltata in quel portale."

"Quella comunque è stata una cosa un po’ stupida…" bofonchiò Sora.

Kairi rise: "Sì, però vi ho ritrovati, giusto?"

Lui le sorrise a sua volta: "Giusto."

"E non ne ho mai dubitato nemmeno per un secondo."

"Beh, questo è perché sei pazza e hai il cuore più grosso della tua testa…"

Kairi spalancò gli occhi, poi divertita lo colpì in testa col blocco da disegno e rise: "Oddio, da che pulpito viene la predica! Che paura, per un attimo mi sei sembrato identico a Riku, che impressione!"

"Vero vero? L’ho fatto apposta! In effetti sono soddisfatto di com’è uscita!"

Kairi incrociò le braccia sul petto e simulando una voce profonda che faceva quasi paura sul suo faccino delizioso disse: "Questo è perché sei pazza e hai il cuore più grosso della tua testa!"

Sora, per dare una maggior credibilità, le spostò tutta la frangetta davanti agli occhi. Lei rise e lo ripeté, facendo lo sguardo arcigno. Poi, cercando di riprendere fiato, disse: "oddio, speriamo che Riku non salti fuori adesso o ci uccide!"

Sora scosse la testa: "Non credo che il problema esista…"

Kairi, allora, gli prese nuovamente la mano. Sora, nonostante si sentisse improvvisamente triste, fu contento nel rendersi conto che aveva smesso di sobbalzare sorpreso quando si toccavano. Era consolante, e piacevole.

"…vorrei che Riku tornasse a scherzare con noi…"

Kairi gli prese la mano tra le sue e gli disse dolcemente, ma con assoluta sicurezza: "Un giorno succederà."

Sora annuì, con la sensazione disgustosa di avere come un sedimento in fondo allo stomaco. Della sporcizia che siccome era così tappato, trattenuto, otturato come un lavandino, non riusciva a lavarsi via.

Lui capiva Riku, e in un certo senso era pronto a giustificarlo, ma quell’atteggiamento lo faceva sentire così…accusato.

Non ne poteva più di sentirsi in colpa per averlo lasciato andare. Di non essere stato abbastanza sveglio o abbastanza forte o abbastanza veloce da riportarlo a casa subito.

Quando lo vedeva lì, accartocciato per gli affari suoi, Sora si sentiva il fallimento peggiore dell’universo.

E si chiedeva: ha avuto senso aver aiutato tante persone?

Aveva avuto senso, se alla fine non era riuscito ad aiutare proprio lui?

…aveva avuto senso…?

"…Sora…?" lo chiamò dolcemente Kairi.

Lui le sorrise e lei lo ricambiò, serena.

Andava bene anche così.

Non importava che Riku lo facesse sentire come se si stesse aggrappando con i denti ad un filo che pendeva dalle tenebre. Finché Kairi gli dava tutta quella luce, non aveva paura.

…non aveva…

…nessuna…

…paura…

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Capitolo 2
*** Con il corpo ***


Con il corpo

Alle undici meno un quarto di sera già sapeva che non sarebbe riuscito a dormire.

Camminava per la sua stanza senza sosta, toccando gli oggetti, osservando le pareti con incredibile attenzione, ed era come se tutte quelle cose lo stessero ingannando, perché avevano una forma, sì, e una consistenza, ma non dovevano averla, perché quelle cose non sarebbero dovute esserci.

O forse era lui, quello che non ci doveva essere.

Era mancato da casa per due anni. Due anni, nell’arco di una vita intera…guardandola in proporzione, non erano niente. Ma a quindici anni due anni sono una vita, e dopo tutto quello che aveva passato si sentiva come un adulto che tornando alla stanza della sua infanzia non la riconosce, anche se è rimasta invariata; il tempo aveva modificato il ricordo, e la stanza del ricordo era infine diventata più vera di quella reale.

Quando si sentiva così non lo aiutava che sua madre gli parlasse e lo guardasse come se niente fosse stato, come se si fosse allontanato per una settimana, se fosse stato in gita scolastica, e dopo un iniziale entusiasmo per il ritorno aveva immediatamente ricominciato a rimproverarlo per la scuola e perché non sparecchiava mai la tavola. Era assurdo. Da quando era tornato, quello che aveva vissuto si stava allontanando.

La sala della chiamata…Riku che veniva inghiottito dalle ombre…Kairi che era una principessa e lui che riceveva un’arma leggendaria per salvarla e portare la pace nei mondi…più ci pensava, più queste cose si sfumavano fino a perdere la loro consistenza. I ricordi diventavano così precisi, ma così poco vividi, da diventare praticamente sogni.

La prima settimana, quando tutti e tre si sforzavano di vivere come avevano sempre fatto, a Sora era sembrato di aver definitivamente compiuto l’impresa. Di aver salvato tutto quello che c’era da salvare.

Poi aveva capito che Riku non si era perdonato.

Lo avevano fatto tutti, ma lui…lui non poteva ancora perdonare se stesso.

Quando si era isolato nel rifugio, Sora aveva dovuto arrendersi all’evidenza : non esisteva modo di riportare indietro il passato, anche se tutti e tre lo avrebbero voluto. Il mare, il sole, la sabbia, l’albero di Paopu, quelle cose non sarebbero cambiate. Erano stati loro a cambiare.

Le cose non sarebbero mai più state le stesse, se non in quei ricordi che sembravano sogni.

Uscì fuori con molta cautela, per non svegliare i propri genitori.

Si fermò ad osservare il proprio riflesso distorto dalla cascata, sentendo l’acqua fredda schizzargli sulla faccia. Si chiese come stessero Donald e Goofy, sorridendo a questo pensiero.

Davanti al rifugio erano nati rigogliose siepi di fiorellini bianchi. Chissà se chi li aveva piantati sapeva che dietro a quello che sembrava un inutile buco ci fosse una grotta, probabilmente sì, e forse lo avevano coperto proprio per impedire che i bambini giocando ci si inoltrassero e si facessero male.

Tutte le volte che Sora attraversava quel cespuglio, graffiandosi coi rami e soffiando i piccoli petali inodori dal naso, aveva come la terribile sensazione che il loro stesso mondo li stesse chiudendo fuori.

Riku stava ancora dormendo.

Era sdraiato per terra, incurante del sacco a pelo che Kairi aveva insistito per dargli, quasi sdegnasse l’idea di averne bisogno. Messo così, appoggiato contro la parete della roccia, sembrava un animale selvatico che era stato prima addomesticato e poi abbandonato di nuovo alla natura. Ogni notte dormiva sotto la porta chiusa, come se stesse facendo la guardia ad una casa senza famiglia. Si vedeva benissimo che aveva provato ad aprirla con la forza, le sue mani sanguinavano sempre.

Il senso di colpa continuava a gettare detriti nel cuore otturato di Sora.

"Si può sapere che cosa stai guardando?"

Lui sobbalzò dallo spavento. Si guardò alle spalle, preparandosi inconsapevolmente alla lotta, poi capì e guardò Riku, che lo stava fissando con fastidio.

"Credevo che dormissi, mi hai fatto prendere un colpo!"

"Infatti stavo dormendo, poi sei arrivato tu a fare casino" -si girò dall’altra parte, dandogli la schiena.

"Non ho fatto affatto casino, e comunque fa lo stesso, tanto ero venuto per svegliarti."

"Perché dovrei svegliarmi?"

"Perché è ora, no?"

"Ora di cosa?"

"Di svegliarti!"

"Che ore sono?"

Sora scrollò le spalle: "Sarà quasi l’una, credo. Non so."

Riku finalmente si mise a sedere. Non sembrava per niente uno che aveva dormito fino a quel momento. Buttò un occhio verso il passaggio, poi disse: "Sarà appena passata mezzanotte."

"Certo, adesso sai anche leggere l’ora dalla luce…"

"Non ci vuole tanto per chi non è tonto come te" appoggiò la schiena contro la porta e si passò le dita tra i capelli per sistemarli "…sono stato in posti dove c’era così poca luce, che ho imparato a riconoscere le sfumature delle tenebre…"

Sora si sedette accanto a lui, e chiuse gli occhi in silenzio.

C’era un altro motivo per cui non riusciva a dormire.

Nonostante spesso si sentisse fuori luogo come una battuta venuta male, le sue giornate scorrevano tranquille. Stava con Kairi, ed era felice, una felicità ridicola, addirittura bovina.

Ma quando cominciava a diventare buio, e restava solo, lo stomaco cominciava a dargli fastidio.

Era come se le membra gli si contorcessero.

Come se una mano di fuoco lo stritolasse dentro.

Si sentiva ribollire lento, come lava in un vulcano. E poi tutto quello che provava, tutto quello che ricordava e che pensava…tutto si scioglieva.

Provava un senso abbacinante di bisogno. Un’urgenza inappellabile, folle, che lo faceva sudare e diventare nervoso, irascibile, intrattabile, ipersensibile, ma anche indolente. Le mani gli tremavano, e faceva fatica a respirare bene. Somigliava ad una fame feroce, insaziabile, ma non era affatto una fame –e si era rassegnato a questo solo dopo tre notti in cui era sgattaiolato in cucina ad ingozzarsi di carne come se fosse rimasto ad abitare nelle Terre del branco. Ed era doloroso, ma non era nemmeno un dolore.

Era piuttosto un’attesa; resa ancora più bruciante dall’incoscienza, perché non aveva la più pallida idea di che cosa stesse aspettando, e quindi non poteva nemmeno mettersi a cercare.

Non aveva mai provato niente di tanto insistente. Gli mandava il sangue alla testa, gli rendeva impossibile stare fermo. Avrebbe tanto voluto avere un qualche migliaio di Heartless da massacrare, anche a mani nude, ma non c’era niente da massacrare lì.

Così andava da Riku, anche se spesso questo peggiorava la situazione.

Doveva essere l’odore sulla sua pelle.

Quell’odore di sangue, di sudore e di metallo, di fuoco e di terra bruciata dopo aver lanciato un Thundaga.

L’odore di chi ha combattuto impugnando un Keyblade.

Quell’odore lo perseguitava. Quando sua madre preparava il pesce, quando i fiorellini bianchi fuori dal rifugio profumavano al mattino, quando era sulla spiaggia e le onde gli bagnavano i piedi, Sora a volte sentiva quell’odore.

In quei momenti voleva essere stretto. Non abbracciato: stretto. Voleva che qualcuno gli impedisse di esercitare il desiderio di distruggere.

La sera prima, poi, mentre ripensava alle parole di Kairi su Naminé, Sora aveva finalmente realizzato l’ovvio all’improvviso: a Roxas mancava Axel.

Lo aveva pensato con una tale lucidità, una tale sicurezza, che era come se fosse stato lui a dirglielo, esasperato dalla sua ottusità. Gli mancava in un modo furioso e irragionevole, un modo che faceva venire voglia a Sora di sbattere la testa contro al muro fino a rompersela.

Per farlo soffrire così, lui e Axel dovevano essere stati molto amici.

"…Riku?"

"Mh?"

"Quando eri nell’oscurità…hai avuto occasione di conoscere Axel?"

"Axel?"

"Uno dei tredici. Con i capelli rossi."

Riku appoggiò la testa contro la porta e ce la batté più volte, come per aiutare i pensieri a convogliare in un unico punto: "Axel, Axel, Axel…"

"Smettila di ripeterlo…" - era come essere pungolato insistentemente con uno spillo in un punto sensibile.

"Axel!"

"Te ne sei ricordato?"

Riku simulò uno sguardo falsamente sexy e lo puntò col dito: "A-X-E-L! Memorizzato?"

"Lui! Lui"

"Che razza di deficiente, accidenti. Sì, mi è capitato d’incontrarlo. Perché?"

"Lui e Roxas erano amici."

"Ancora con queste storie?"

"Credo che lui gli manchi molto."

"E?"

"Roxas non aveva un cuore…"

"…e?"

"Com’è possibile? Come può una persona mancarti tanto da fare così male, senza nemmeno avere un cuore?"

"Una persona non ti manca solo col cuore."

"E come altro?"

"Con la testa, col corpo.."

"Come fa a mancarti qualcuno col corpo? E’ illogico!"

"E noi tutti ci fidiamo ciecamente del tuo concetto di cosa è logico e cosa non lo è…" lo schernì, poi si alzò in piedi e dichiarò: "Vado a farmi una nuotata, vieni?"

Sora, cancellando completamente ogni possibile pensiero impegnato dalla mente, spalancò gli occhi: "Che cosa?!"

"Ho detto che vado a nuotare."

"Sì, non sono sordo, ho capito!"

"Allora cosa lo chiedi a fare? Stupido."

"E’ tardi!"

"Tardi per che cosa?"

"Per nuotare!"

"Sarà tardi per te, per me è presto. Mi sono svegliato adesso."

"Ma è buio!"

"E allora?" gli sorrise maliziosamente.

Sora saltò in piedi come un gatto in allerta. Si sentiva esattamente come da piccolo, quando Riku si prefiggeva di disubbidire deliberatamente agli ordini degli adulti, e riusciva sempre a fare in modo non solo di convincerlo, ma di metterlo addirittura nelle condizioni di scongiurarlo di portarlo con lui. Quel sorriso spavaldo e quasi sensuale non era mai stato di buon auspicio per lui.

"Nuotare di notte è pericoloso."

Riku si limitò a ridergli in faccia e si incamminò. Sora gli andò dietro e continuò, come il Grillo parlante: "E se ti attacca una medusa?"

"Nell’ultimo anno mi hanno attaccato cose ben peggiori, Sora. Credo di poter gestire una medusa" si aprì senza riguardo una via tra i fiori bianchi e Sora si prese in faccia la maggior parte dei rami.

"Le meduse fanno male! Bruciano, e sono velenose, e se ci pensi sembrano dei piccoli nobody!"

"So gestire anche un nobody, sebbene nella sua leggendaria e letale forma tascabile."

"Ma brucia!" ripeté lui, come se quella fosse l’argomentazione migliore possibile. E lo era, lui lo sapeva bene, a cinque anni una medusa gli si era appiccicata alla faccia, e poteva giurarlo sulla testa del Re, preferiva dover impacchettare altri diecimila regali per Babbo Nachele piuttosto che sentire ancora una volta quell’orribile dolore.

"Che paura."

"Se ci sono gli squali?"

"Faccio un bagno vicino alla riva, non vado in mare aperto a pescare gamberi."

"E se escono i pesci velenosi che si nascondono di giorno?"

Riku rise: "Non esistono pesci del genere!" –e a pochi metri dalla riva cominciò a spogliarsi.

Sora cercò di dire qualcos’altro, ma prima che potesse formulare una frase sensata l’amico gli lanciò in faccia giacca e maglia. Lui buttò tutto a terra con rabbia e continuò a seguirlo.

"Al buio non puoi vedere bene dove stai andando!"

Riku si girò e gli stoccò un’occhiata, un misto di ilarità e sdegno così eloquente che non dovette nemmeno aggiungere altro. Sora si sentì subito un cretino e aggiunse: "Qui non è come andare in giro nell’oscurità bendato ad ammazzare mostri con il Keyblade!"

"No, qui potrei pestare una conchiglia rotta."

"Sì!"

Riku rise ancora e si tolse i jeans. Sora incrociò le braccia sul petto: "Se ti prende uno squalo te lo scordi di chiedere aiuto a me."

"Se mi prendesse uno squalo ti butteresti in acqua senza pensarci nemmeno un secondo."

Sora si limitò a guardarlo male: "Sì, è vero."

"Adesso però gradirei che ti girassi e coprissi gli occhioni innocenti."

"Come se non ti avessi mai visto nudo. Nell’oscurità hai subito qualche altro cambiamento di cui non mi hai ancora reso partecipe?"

Riku fece un mezzo sorriso provocatorio: "Non è l’oscurità, è la crescita, quella cosa che a te non tocca. Non voglio scatenare gelosie ingestibili."

"Se non ti ammazza lo squalo lo faccio io" decretò lui prima di dargli la schiena. Quando poi si rese conto che Riku non faceva rumore da un po’ si girò preoccupato, e sospirò di sollievo quando vide che era già in acqua.

A volte, senza nessun motivo, veniva colto dall’ansia e dal terrore atavico di girarsi e scoprire che Riku e Kairi non erano più con lui. Temeva di perderli di nuovo più di qualsiasi altra cosa.

Sora si avvicinò all’acqua la toccò con la mano. Aveva dimenticato che il mare fosse così caldo di notte. Ci pensò su un po’, poi si disse che oh, al diavolo, anche lui poteva gestire una medusa, e sicuramente tra lui e Riku potevano gestire uno squalo, quindi si spogliò e si buttò, tagliando con un tuffo la prima onda che si fece avanti.

Quando riemerse aveva i capelli appiccicati alla faccia e si sentiva bene.

Si avvicinò a Riku, che fece una breve risata -compiaciuto per essere riuscito ancora una volta a fargli fare quello che voleva lui. Sora scrollò le spalle con fare indifferente: "Se arriva uno squalo io gli salto sulla schiena e lo colpisco. Ho fatto pratica, in questo."

"Io gli squarcio la pancia a mani nude."

"Io gli strappo la pinna e la uso come arma contro di lui."

"Io gli cavo gli occhi e li uso come arma contro di te."

"Perché, che ti ho fatto?"

"A quel punto lo squalo sarà morto e avrò ancora voglia di combattere, suppongo" detto questo, si immerse. Sora si guardò intorno per cercare di seguire la sua sagoma, perché aveva imparato negli anni che in quei casi era meglio non distrarsi, le strategie di Riku per spaventarlo erano variegate e potevano ancora stupirlo.

Invece lui si limitò a riemergere e a sputargli acqua addosso. Poi gli chiese: "A te non capita mai?"

"Che cosa?"

"Di avere voglia di combattere."

Sora scosse la testa.

"Non ci credo."

"Perché?"

"Perché non è vero."

"E’ vero, invece. Sono stanco di combattere…E dovresti esserlo anche tu."

"E’ ovvio che sono stanco, ma questo non toglie che a volte ne abbia voglia. E ce l’hai anche tu."

Sora chiuse gli occhi con superiorità: "Pensa un po’ quello che vuoi."

Poi li riaprì e vide che Riku gli stava facendo di nuovo quel sorriso malizioso che non prometteva niente di buono. Già temeva che lo avrebbe sfidato a qualcosa di pericoloso, come a chi tratteneva di più il fiato sott’acqua, e senza la sua coda da tritone dubitava che sarebbe riuscito a batterlo. Riku si sarebbe affogato, pur di non tirare la testa fuori prima di lui.

"Dai, dimmi che non ti dava i brividi."

Sora non gli rispose. L’altro insistette, più serio: "Dimmi che ammazzare quelle cose non ti eccitava."

Sora pigolò offeso: "Torno a riva" - fece per girarsi, ma Riku gli afferrò un braccio. Quel contatto lo fece sobbalzare, e risvegliò in lui l’orrendo mal di pancia che lo teneva sveglio la notte. Questo lo innervosì ancora di più.

"Che c’è, cosa vuoi?"

Riku lo tirò più vicino, fino a far quasi toccare i loro corpi.

Gli stese un braccio sulla spalla, lentamente, si chinò su di lui e gli sussurrò roco all’orecchio: "Stai forse cercando di dirmi, Sora, che massacrare ondate di Heartless non ti hai mai dato piacere?"

A Sora sembrò di essere sul punto di sputare il cuore.

Gli diede una spinta, con cui riuscì a staccarselo di dosso e a farlo quasi cadere.

Sibilò a denti stretti, respirando come se lo avessero spaventato: "Mi dispiace, io non sono come te."

Dopo aver nuotato per al massimo due metri verso la riva si sentì schiacciare con forza sul fondo del mare. Cercò di divincolarsi, ma arrivò fino a sbattere il muso contro la sabbia e la ghiaia. L’aria cominciò a mancargli e iniziò a dimenarsi, scalciare e graffiare, finché non fece un disperato tentativo ed aprì la bocca per mordere l’aggressore. Riuscì ad agguantargli il braccio, e fosse l’ultima cosa che faceva glielo avrebbe strappato e risputato sulla spiaggia. Finalmente la morsa lo liberò e poté riemergere, con i polmoni in fiamme e il respiro affannoso da fare male. Gli occhi gli bruciavano e aveva bevuto almeno due litri d’acqua, che continuava a rigurgitare dalle profondità dello stomaco, mentre ne soffiava istericamente altra fuori dal naso. Era cresciuto su un’isola, ma non aveva mai imparato a sopportare l’acqua nel naso. La odiava, e quel bastardo lo sapeva benissimo. Non aveva ancora smesso di tossire, quando Riku gli prese con forza il polso: "Che cosa vorrebbe dire che non sei come me?"

Sora gli morse la mano e subito Riku gli diede uno schiaffo con l’altra. Lui gli diede un pugno nello stomaco che gli tolse momentaneamente il respiro, così poté liberarsi facilmente e raggiungere la riva. Mentre cercava i suoi vestiti con lo sguardo Riku gli urlò ridendo: "Sei un ipocrita, Sora!"

Non gli diede retta. Doveva andarsene. Doveva solo andarsene in fretta.

Riku però non era della stessa idea, gli arrivò alle spalle e lo strattonò così forte che per un pelo non gli slogò la spalla. Sora ebbe i riflessi abbastanza pronti da abbassarsi e dargli una gomitata, poi lui lo bloccò e gliene piantò a sua volta una nella schiena. Sora gli azzannò un fianco e riuscì a liberarsi, sfracellandosi con la faccia contro la sabbia, che adesso non sembrava così morbida. Il tempo di cominciare a sputare granelli che Riku lo rigirò senza troppi problemi e gli spappolò mezza gengiva con un cazzotto sulla guancia. Sora si strozzò con sangue, ma lo inghiottì quasi con piacere, e gli sputò addosso quello che restava mentre con la mano libera lo colpiva alla mascella, poi se lo tirò con forza vicino, gli conficcò le unghie nella schiena e gli morse il collo quanto più forte poteva, finché Riku non afferrò il suo con entrambe le mani e continuò a stringere; Sora fu costretto ad aprire la bocca per respirare, e si lasciarono entrambi andare.

Un attimo dopo, Riku gli aveva bloccato le mani al terreno.

A Sora bruciavano gli occhi per via della sabbia, che diventava ulteriormente molesta appiccicandosi ai loro corpi bagnati. Sputò altro sangue sulla bocca di Riku, che lo leccò e gli sorrise, con le labbra che gli sanguinavano per i pugni.

Sora gli sorrise a sua volta, prima che lui lo lasciasse andare e gli desse così l’occasione di saltargli nuovamente alla gola e azzannarlo. Riku lo prese per la fronte e se lo tolse di dosso, sbattendolo con forza di nuovo contro la sabbia. Ghignò, sadico e soddisfatto: "Sempre a mordere, piccolo bastardo, sei un uomo o un leoncino?"

Sora prese il respiro prima di rispondergli "sono stato in tempi diversi entrambe le cose", e con una ginocchiata nello stomaco riuscì ad ottenere di nuovo la posizione dominante.

Continuarono a picchiarsi con entusiasmo, riempiendosi di morsi e di lividi, e quando alla fine Sora si ritrovò sopra di lui senza fiato, affannato, col sangue che ribolliva nelle vene e il viso arrossato, Riku lo afferrò per i capelli, se lo portò vicinissimo e gli disse a pochi centimetri dalle labbra: "Ripetimi ancora che non ti dà piacere".

Sora lo accontentò con un mezzo sorriso, ma scosse lentamente la testa con un tranquillissimo "no". Lui allora gli strinse più forte e lo costrinse a guardare in basso.

Le loro erezioni dure e palpitanti dicevano l’esatto contrario.

Sora scoppiò a ridere, non avendo altro da aggiungere. Riku doveva averla interpretata come una resa, perché si rilassò, e lui non si rilassava mai prima di essere del tutto sicuro di aver reso innocuo il suo avversario, anche se quell’avversario era il suo migliore amico.

Sora aveva la testa vuota e dolorate, ma anche la piacevole sensazione di aver riciclato qualcosa all’interno del suo corpo. Sputò altro sangue sulla sabbia e ridacchiò: "Ti odio, prima di domani avrò inghiottito duecento litri di sangue."

"Sono io che ti odio, mi hai quasi strappato il collo, stupido pazzo."

Lui sospirò beatamente: "Domani avrò così tanti dolori che non riuscirò ad alzarmi dal letto."

"Così almeno per qualche ora non penseremo ad altro…"

Sora rotolò giù da lui e si sdraiò al suo fianco. Poi fece un verso disgustato: "Se vedo ancora sabbia mi metto a gridare."

"Allora credo che dovresti andartene."

"Già. Qui ci sarà sempre un sacco di sabbia, vero?"

"Andiamocene."

Sora smise di guardarlo. Rivolse gli occhi al cielo e sorrise: "E dove te ne vuoi andare?"

"Non lo so. Che cosa non abbiamo ancora visto?"

"Non lo so…forse questa volta abbiamo davvero visto tutto."

"Ti sbagli. Sicuramente ci sono ancora un sacco di cose da vedere."

Sora sorrise tra se e se. Per Riku ci sarebbe stato sempre qualcosa da vedere, perché per Riku c’era sempre altro. Sora poteva avere dei dubbi, e anche quei lunghi momenti di rimpianto. Ma era una persona semplice, in fin dei conti. A lui andava bene anche così. Le stelle, il mare, le cose che lo avevano cresciuto. Aveva visto abbastanza.

Riku non avrebbe mai visto abbastanza.

Era stata quell’ansia irragionevole di vivere il più possibile a renderlo il pupazzo di Malefica, ma era stata quella stessa ansia a salvare il suo cuore.

Sora non aveva quell’avidità, ma non aveva nemmeno quella forza.

Chiuse gli occhi, godendosi finalmente in pace l’odore che di solito lo tormentava.

Forse le cose erano andate in modo sbagliato quando la porta della luce si era aperta.

Odiava pensarlo, ma a volte sentiva che forse la cosa migliore per loro sarebbe stata restare dall’altra parte. In un mondo in cui tutto è niente, e si vive di ricordi come relitti di vascelli in fondo all’oceano.

"Come fai a sapere che Roxas e Axel erano amici?"

Sora girò la testa: "Perché ti viene in mente adesso?"

"Mi è venuto in mente e basta. Te l’ha detto Roxas? O è una di quelle cose che sentite?"

"Me l’ha detto Axel, prima di sparire. Ha detto…" tornò a guardare il cielo, mentre una profonda tristezza gli saliva fino agli occhi. All’improvviso gli veniva da piangere.

"…ha detto che Roxas era l’unico che gli piaceva. E che lo faceva sentire come se avesse avuto un cuore…"

"Addirittura."

"Addirittura…"

Adesso aveva le lacrime agli occhi. Che orribile, orribile situazione. Non era più nemmeno padrone delle sue emozioni. Se solo avesse potuto infilasi una mano in gola e sradicare Roxas da lì sarebbe stata la persona più felice del mondo, ma purtroppo non poteva, e non solo perché Roxas non era una placca infiammata, ma soprattutto perché non poteva dire con certezza che cosa scatenasse quei sentimenti assurdi dentro di lui.

Non che facesse alcuna differenza, in fondo.

Poi sentì Riku ridere.

"Che c’è?"

"Senti, ma ti ha detto proprio così? Mi fa sentire come se avessi un cuore?"

"Già."

Riku rise ancora. A lui non sembrava molto carino ridere dei sentimenti altrui, specialmente con Roxas lì davanti (beh, davanti idealmente), ma prima che potesse avanzare una critica Riku disse divertito: "Allora credo che tu ti sia perso un passaggio, Sora."

"Uh?"

"Non sarebbe una novità, diciamo che non sei mai stato esattamente la pallina più brillante dell’albero di Natale…"

"Visto che tu invece sei così sveglio spiegami un po’ che cosa mi sarei perso!"

"Se non altro, cominciano a tornare un po’ di cose…"

"Uffa, piantala di rimuginare da solo!"

"Prima mi hai chiesto come si fa a sentire la mancanza di qualcuno col corpo, no?"

"Sì."

"Fai due più due. A mente, se ci riesci, altrimenti puoi usare le dita."

"Non capisco cosa stai cercando di comunicare…"

Riku rise e Sora sbuffò: "Per me non hai capito niente e mi stai solo prendendo in giro."

"Sono dell’organizzazione! Sto cercando di confonderti!"

Sul subito Sora non capì, ma quando ci arrivò Riku aveva già aggiunto: "Ho sentito tre idioti dire questa cosa un sacco di volte, per non ammettere che non capivano niente."

"Rikuuu! Almeno non ti vantare perché sei rimasto a spiarci senza farti vivo neanche una volta, non è proprio il caso!"

Niente da fare, Riku stava ridendo di lui e non avrebbe smesso molto presto. in fondo era meglio così. La sua risata lo tranquillizzava fin da quando erano bambini, e Dio, se aveva bisogno di essere tranquillizzato adesso.

Dopo un po’ che se ne stavano in silenzio, ancora nudi, con gli occhi chiusi e solo le onde del mare a suonare come una ninna nanna, Sora sbadigliò. Riku incrociò le mani dietro alla testa e disse: "Forse è il caso che tu torni a casa. Domani ti aspetta un’altra interminabile giornata di sole…"

"Dovrei anche lavarmi questa sabbia di dosso…"

"Ormai si sarà seccata."

Sora provò a spolverarla e vide che in effetti andava via facilmente. Si sarebbe fatto una doccia per bene a casa. Inghiottì un altro po’ di sangue e tirando fuori la lingua per il disgusto biascicò: "Non ti perdonerò mai."

Riku rispose troppo seriamente: "Lo so."

"Per la gengiva…" specificò, a bassa voce.

Un attimo dopo Riku era sopra di lui e gli teneva ferme le braccia.

Sora sentì una terribile, insopportabile vampata di calore.

Poi Riku gli prese la testa, gliela piegò su un lato e gli azzannò il collo.

Sora gridò fortissimo e lui gli tappò la bocca. Sora gli morse la mano, ma lui non la tolse, così continuò a mordere il più forte possibile, come se volesse sbriciolargli le dita. Lo morse con tutte le sue forze perché il cuore gli batteva come un trapano nel petto. Perché la pelle gli bruciava a contatto con la sua. Perché la stretta salda e violenta attorno i polsi lo eccitava. Perché aveva voglia di prendere in bocca i suoi capelli bianchi e tirarli, di avere le mani libere per graffiare ancora la sua schiena. Perché sentiva tutto il suo corpo sul punto di far esplodere ogni più piccola terminazione nervosa. Avrebbe voluto che quel dolore sublime non finisse mai.

Quando Riku lo lasciò lui mollò la sua mano, e non poté trattenersi da ricominciare a respirare affannosamente, sconvolto, e spaventato.

Riku gli diede un colpetto sulla fronte con le dita e gli disse: "Così impari a mordermi, piccolo bastardo".

Sora non rispose. Le sue maledette viscere avevano preso fuoco e si stavano squagliando come gelato flambé. Riku si fece serio, guardandolo, poi guardò la mano che recava il segno dei suoi denti e constatò: "Un giorno potresti diventare il Re della giungla."

Sora cercò di recuperare la voce: "Una volta ci ho provato, ma secondo Rafiki non ero adatto…"

Riku rise e si alzò.

Quando i loro corpi furono nuovamente divisi, sotto la pelle di Sora ricominciò una battaglia furiosa; dalla soddisfazione per essere finalmente in salvo, a uno struggente senso di mancanza. Cercò di alzarsi, ma gli girava la testa. Chiuse gli occhi.

"In quanto alla cosa di Roxas, pensaci. Buona notte, stupido leoncino."

Sora riaprì gli occhi solo quando sentì che Riku era tornato in acqua.

Si mise faticosamente a sedere, ma non riusciva a mettere bene a fuoco le cose. Gli sembrava di avere la febbre. Quindi era vero che nuotare di notte può essere pericoloso.

Sputò altro sangue e vide che ce l’aveva ancora duro.

Il suo primo pensiero fu di dolore, per quando avrebbe dovuto togliere la sabbia da lì.

Anche il secondo fu di dolore, ma di un dolore meno veniale.

Toccò l’erezione per controllare che fosse vera. Beh, era vera.

Pensò a Roxas. Pensò ad Axel. Pensò a Riku.

Axel e Riku.

Axel e Roxas.

…oh, no.

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Capitolo 3
*** Tesori del mare ***


Tesori del mare

Tesori del mare

Da quando era tornato Sora non aveva ricominciato ad andare a scuola. Altra cosa che sua madre trovava perfettamente normale. Meglio così. Non avrebbe saputo spiegarle quanto la sua sofferenza all’idea di stare inchiodato ad un banco per tutte quelle ore fosse giustificata. D’altra parte era consapevole che prima o poi avrebbe dovuto ricominciare. Doveva finire le medie, poi le superiori, poi magari andare all’università, e dopo ancora trovare un lavoro, e poi, e poi…la verità era che Sora non riusciva a vedere se stesso a distanza di quell’anno.

Il Sora che avrebbe fatto tutte quelle cose era da un’altra parte, ormai.

Il Sora che era adesso continuava a pensare, in un angolino buio e remoto della sua coscienza, che un giorno sarebbe accaduto qualcosa che gli avrebbe fatto ricomparire il Keyblade tra le mani.

Non avrebbe voluto, ma quello era il solo futuro che riuscisse ad immaginare con un certo realismo.

"Sora!"

Si scosse e cominciò a guardarsi frettolosamente intorno, cercando di localizzare la provenienza del richiamo.

Kairi lo stava salutando agitando un braccio, mentre correva verso di lui. Aveva ancora la cartella e la divisa scolastica; le stava così bene che lui non riusciva a sopportarne la vista senza arrossire e gongolare almeno una volta. Si rendeva conto di quanto questo fosse stupido, e allora? Ne era felice.

Kairi lo raggiunse e si buttò sulla sabbia con le ginocchia, poi vedendolo gridò subito: "Sora, Santo Cielo! Che cosa ti è successo??"

Sora fece spallucce: "Ho fatto a botte con Riku."

"Che cosa? Siete due stupidi! Guarda che disastro, mamma mia…" avvicinò una mano alla sua guancia viola, ma non fu una buona idea, e Sora si ritrasse. Lei capì e chiese mille volte scusa in un secondo, poi allontanando le mani per paura di fare altri danni chiese che cosa fosse successo.

"Niente."

"Come sarebbe a dire niente?"

"Non è successo niente. Abbiamo solo fatto a botte."

"Così. Senza motivo."

"Sì" confermò, e poi rise "Questa mattina mi sono svegliato con in bocca questo enorme grumo di sangue e…" - resosi conto che l’espressione di Kairi non rifletteva esattamente la sua stessa esaltazione, decise di risparmiare i particolari. Lei disse, non troppo convinta: "Beh, contenti voi…"

Contenti…forse. Chissà. Fatto stava che Sora aveva passato una notte assurda e piena di calore. In ogni sua insopportabile forma. E non era completamente sicuro che dipendesse solo dalla temperatura. Se avesse dovuto dare la colpa a qualcuno di quell’insopportabile condizione, beh, l’avrebbe data certamente a Roxas.

"Ah!" fece Kairi, distraendolo dai suoi pensieri "Era tipo una delle vostre gare? Come quelle che facevate sempre!"

"La rissa, dici?"

Kairi annuì. Sora le sorrise: "Sì, una specie."

Lei allora batté gioiosa le mani, e fece un largo sorriso, che Sora non comprese.

"Che c’è da sorridere …?"

"State tornando normali!" poi fece con una mano segno di fermarsi e disse, crucciata "Ok, fai finta che non abbia detto normali…però hai capito lo stesso il senso, vero?"

"Uuh…sì, forse…"

Kairi si sedette composta accanto a lui.

La luce le accarezzava dolcemente le guance rosa, e mentre si spostava i capelli dietro le orecchie, portandosi le ginocchia al petto e sistemando la gonna dell’uniforme sui fianchi, Sora la ammirò come si ammirerebbe un tramonto, una maestosa cascata, la nascita delle tartarughe o qualsiasi altra meraviglia della natura, e pensò che non fosse semplicemente splendida.

Era splendente.

La guardò così a lungo, imbambolato e sereno, che persino lei, affatto semplice da far vergognare, fece un mezzo sorriso imbarazzato. Siccome gli sembrava di dover giustificare il proprio interesse, le disse: "Non ti ho ancora detto che i capelli così ti stanno benissimo!"

"Davvero?"

"Sìssì."

Kairi ne accarezzò le punte e gli sorrise: "Meno male che me lo dici, in effetti avevo qualche dubbio…"

Sora scosse vigorosamente la testa: "Ti donano tantissimo, davvero! Non che coi capelli corti stessi male, tutto il contrario, ma ti fanno più…"

"Femminile?"

"…uh….veramente pensavo ad alta…"

Kairi si fermò, come se non avesse capito bene, poi rise. Anche Sora rise e aggiunse: "Ma anche più femminile."

"Non vale adesso che te l’ho detto io!" prese un pugno di sabbia e fece il gesto di lanciarglielo negli occhi, cosa che fece scattare all’indietro Sora supplicandola di non farlo mai più, lui odiava la sabbia. Kairi si sporse in avanti, sorridendo ancora, e la soffiò via.

Anche in quel momento, per lui, Kairi era splendente.

Ogni suo gesto, anche il più piccolo, lo meravigliava.

Quando strappava un fiore, quando si puliva le ginocchia dalla sabbia, ma anche quando starnutiva con entrambe le mani davanti alla bocca, e faceva quello starnutino trattenuto e minuscolo, come se non stesse davvero starnutendo, ma stesse dicendo solo "ecciù!", lui restava a bocca aperta, meravigliato.

Ripensò a quando lui e Riku l’avevano trovata sulla spiaggia. Dalla casa sull’albero era apparsa così piccola che era sembrata, ad un primo sguardo, una bambola.

Sua madre gli aveva sempre detto che il mare è pericoloso, ed è giusto che sia così, perché deve difendere un’infinità di bellissimi tesori.

Quando si avvicinarono e videro che quella bambola in realtà era una bambina, Sora pensò che il mare avesse tirato fuori uno di quei tesori.

Aveva talmente paura che il mare se la riprendesse, i primi tempi, che tremava tutte le volte che lei si avvicinava all’acqua, e lui e Riku partivano in quarta a sorvegliarla, cercando frettolosamente una scusa qualsiasi per portarla sulla terra ferma, dove le onde cattive non l’avrebbero raggiunta.

L’avevano trovata loro.

Loro l’avevano aiutata, avvolta in una coperta e scortata al rifugio segreto; lì l’avevano nutrita, le avevano dato da bere latte col cioccolato, avevano steso i suoi vestiti al sole e le avevano dato i loro, Sora i pantaloni e Riku la maglietta, e mentre lei turbata e tremante non aveva versato nemmeno una lacrima, loro con le dita le avevano pettinato i capelli sottili e secchi di salsedine.

Kairi non era un tesoro qualsiasi. Lei era la loro principessa.

Pensando a questo Sora si sentì pervadere da un affetto e una gratitudine così profonda che gli sembrava di tremare. Senza pensarci strinse un braccio intorno alle sue piccole spalle e lei lo lasciò fare, avvicinandosi, mentre sorrideva e apriva la cartella sulle ginocchia. Tirò fuori il blocco da disegno, cercò un foglio, e glielo mostrò.

"Guarda che cosa ho fatto nell’ora di matematica, invece di ascoltare."

Sul blocco, schizzati in un angolo, due bambini tenevano per mano una bambina.

La bambina aveva i capelli corti e un vestitino bianco. Un bambino aveva i capelli grigi, mentre quelli dell’altro erano punte insensate sparate verso tutte le direzioni. Insieme, guardavano ammirati un gigantesco frutto di Paopu che usciva dal mare, e il bambino coi capelli grigi lo indicava, come se stesse proponendo di andarlo a prendere. Dietro di loro c’era un buco nero, vicino a una cascata…ma il buco era coperto di fiori bianchi. Nessuno si sarebbero potuto nascondere, lì.

Sora sospirò, e sorrise appena, senza fiato, scuotendo la testa. Kairi si sistemò ancora i capelli, che il vento continuava a scompigliarle: "Ok, lo so che tecnicamente è orrendo, però in fondo in fondo è carino, no?"

Chiedendosi per quale stupida ragione avesse aspettato tutto quel tempo, Sora le diede un bacio.

Voleva essere solo un attimo, invece esitò sulle sue labbra profumate di amarena.

Quando si allontanò appena, Kairi si sistemò il lucidalabbra sbavato con il mignolo e rise, con gli occhi chiusi: "Pensavo che non lo avresti mai fatto, la prossima volta ti disegno un poster intero, anzi, ti vernicio direttamente un muro!"

Anche Sora rise e se la avvicinò nuovamente, ma a quel punto lei si era alzata sulle ginocchia ridacchiando, e dopo avergli messo le braccia intorno al collo lo aveva spinto a terra.

Sora sbottò, divertito ed esasperato insieme: "Nooo, basta sabbia!"

Kairi gli picchiettò la fronte con un dito, rimproverandolo: "Saltare in un buco nero per venirti a cercare non è bastato! Non si può certo dire che tu non sia un uomo che si vuole far desiderare, Sora!"

Lui cominciò a ridere, cercando di fermarle le mani con cui gli stava facendo il solletico. Quando ci riuscì la guardò bene nei suoi bellissimi occhi azzurri, come se fosse stata la prima volta. Le prese il viso tra le mani e la baciò di nuovo.

Mentre erano sdraiati lì, da soli, e la sua nuca castano brillante copriva l’accecante luce del sole, Sora pensò per la prima volta, con tutto il cuore, che era valsa la pena di essere tornato.

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Capitolo 4
*** Lo stesso odore ***


Lo stesso odore

Lo stesso odore

Era completamente, irrimediabilmente innamorato di Kairi.

Era passata esattamente un’ora dall’ultimo bacetto che si erano scambiati sulla soglia di casa, sorridendosi come tutte le sere, eppure in modo completamente diverso da tutte le altre sere.

Tra di loro era sempre stata una cosa tra le righe, così scontata, eppure così delicata.

Adesso, finalmente, i loro sentimenti erano chiari davanti a loro. Si potevano manifestare in gesti comuni, così ovvi, eppure così straordinari.

Lui la amava.

La amava anche in quel momento, quando dopo una mezz’ora in solitudine nella sua stanza quel senso di euforia e pace si era stemperato fino a scomparire, sostituito dalla solita sensazione di essere nel posto sbagliato.

Da quando Kairi gli aveva sorriso dicendogli a domani, una voce languida dentro di lui aveva cominciato a sussurrare incessantemente il nome di Riku.

Eppure Sora amava la vita che aveva riconquistato.

Amava la spiaggia, nonostante il recente odio per la sabbia. Amava il paesaggio sempre uguale, così rilassante, e il suono delle onde così famigliare, ma che la natura capricciosa del mare rendeva ancora imprevedibile. Amava quel far niente dolcissimo, pescare e arrabbiarsi se non prendeva niente, poi addormentarsi in pieno pomeriggio in riva al mare, sdraiato all’ombra dell’albero di Paopu. Amava godersi quel mondo minuscolo eppure così bello insieme a Kairi, e avere la sensazione che quel mondo gli calzasse così perfettamente perché era stato creato per loro.

Ma aveva premuto tutto il giorno sui lividi che Riku gli aveva procurato.

Aveva succhiato e ingoiato tutto il sangue che gli usciva dalla gengiva, torturandola quando sembrava stare guarendo, e a cena la sua gamba era ciondolata nervosamente per tutto il tempo mentre minuto dopo minuto l’orologio si sforzava a muovere le proprie lancette con arrogante tranquillità.

Dalla sera prima una piccola parte di lui era rimasta all’ombra, ad aspettare che il momento tornasse.

Ancora botte. Ancora lividi. Ancora quell’odore irresistibile.

Non dimenticava la dolcezza delle labbra soffici di Kairi anche adesso che si consumava nel desiderio della durezza del corpo di Riku che distruggeva il suo. Tratteneva invece entrambe le sensazioni il più possibile vicine, come tesori, e ne amava il brutale contrasto. Le sue scoperte più recenti e importanti.

Appena rintoccarono le undici e mezza -ed era prestissimo- saltò fuori dalla finestra.

Il sangue si risvegliava nelle sue vene ad ogni passo, poi cominciava a ribollire, fino a cavalcare, quando fu vicino al rifugio. Nessuna lotta poteva essere più invitante di una che coinvolgeva Riku, per via di quell’amicizia così salda e profonda intrecciata alla rivalità feroce.

Quando entrò nel rifugio Riku stava ancora dormendo.

Sora si inginocchiò accanto a lui e cominciò a colpirlo per svegliarlo, anche se non ce n’era bisogno perché lui sembrava dormire con un occhio aperto come i cani o gli assassini, sempre in allerta. Infatti gli bloccò subito il secondo pugno.

"Si può sapere da dove viene questa orrenda abitudine di svegliarmi?"

"Dal fatto che non puoi dormire tutto il giorno" disse frettolosamente, e gli morse la mano con cui tratteneva la sua. Riku gliela tolse senza fatica, borbottando: "Perché non ti compri una di quelle cose su cui si fanno i denti i cuccioli e non mi lasci in pace?"

"I denti me li faccio su di te se non ti alzi!"

"Sciò, micio, sciò. Ho sonno" e detto questo si girò dall’altra parte.

Sora, trovandosi di fronte al muro della sua schiena, non trovò niente di meglio da fare che dargli una ginocchiata. Chiaramente Riku lo stava provocando, come faceva sempre quando si appassionava a qualcosa che lui gli aveva proposto e che Sora aveva inizialmente snobbato, come la pesca (hobby di cui si erano stufati dopo due settimane), il Blitzball (una settimana) e il tuffati-dal-punto-più-alto-di-pancia-e-fatti-un-male-bestiale (un pomeriggio, poi le loro madri li avevano legati a delle palme, letteralmente, con delle corde che passavano sotto le ascelle). Lo faceva apposta per farlo imbestialire e ci riusciva benissimo.

"Non puoi avere ancora sonno, hai dormito tutto il giorno!"

"Tu sei fuori con Kairi, tutto il giorno. Che cosa ne sai di che cosa faccio io?"

Eccole lì. Le tacite accuse che Sora non sopportava. Se non altro questa volta era nelle condizioni di sfogarsi, quindi gli diede un pugno.

"Puoi anche risparmiarti quel tono da emarginato, non siamo certo io e Kairi che ti abbiamo chiuso qui!"

"Senti, torna tra un’ora, o al limite vai a farti le unghie contro una parete. Vai micio, pussa via."

In tutta risposta Sora gli addentò una spalla. Era solida, nervosa, forte, come sospettava che le sue non sarebbero state mai. Continuò a mordere, finché lui non smise di fare l’impassibile e lo allontanò con una sberla sulla testa.

"Si può sapere cosa vuoi?"

"Devo fartela pagare per ieri sera!"

Riku, finalmente, aprì bene gli occhi. Si appoggiò sui gomiti, e gli rivolse quel suo sguardo da falco arrogante che punta la preda in trappola.

Era lo sguardo che Sora aspettava.

"Vuoi farmela pagare."

"Esatto. Mi fa ancora male la guancia!"

"Nient’altro?"

"Che cos’altro c’è?"

Lo aveva detto con una tale sicurezza, che si sentì come se non ci fosse veramente nient’altro.

"Non lo so, vuoi dirmelo tu? O se sei ancora in vena di riflessioni a riguardo puoi farmelo dire dal tuo amico invisibile."

Sora lo conosceva abbastanza da sapere che non alludeva a niente, e contemporaneamente stava alludendo a tutto. Faceva così solo per tirarlo scemo. Quanto non lo sopportava, perché doveva essere così odioso? Non poteva picchiarlo e basta?

"Non è mio amico."

"Allora c’è qualcos’altro di cui vuoi parlare?"

"No, ho detto che ti devo spaccare la faccia per ieri sera!"

Riku lo lasciò andare: "Provaci."

Finalmente, Sora non aspettava altro.

Gli si scagliò subito contro con un pugno, ma Riku lo fermò, gli torse il braccio e in un batter d’occhio gli era seduto sulla schiena, e gli teneva la testa schiacciata per terra; se lo avesse voluto gli avrebbe slogato una spalla senza nessuna fatica. Sora si godette ogni secondo di quel dolore, come se dopo quello non sarebbe mai più stato possibile averne dell’altro.

Riku gli chiese svogliatamente: "Adesso posso tornare a dormire?"

Sora concentrò tutta la sua forza sul braccio libero e riuscì a sbilanciarlo e levarselo di dosso. Gli salì sopra, bloccandogli le gambe con le sue, e riuscì a dargli finalmente quel benedetto cazzotto in faccia. Poi si fermò a guardarlo, ansimando soddisfatto.

Invece di reagire, Riku lo guardò a sua volta: "Avevo capito che volessi picchiarmi."

"Perché, che cosa sembra?"

Lui si limitò a ridere e Sora lo picchiò sull’altro lato della faccia, forte come se avesse dovuto spaccare il terreno, e lui lo aveva subito afferrato per la maglia e schiacciato contro il pavimento. Gli si era seduto sullo stomaco, e dopo averlo stordito con un pugno –così sicuro di essere il più forte che non lo aveva neppure immobilizzato- si aprì la maglia e scostò il colletto della giacca; si abbassò, lo afferrò per i capelli e gli mostrò il collo rosso e violaceo: "Guarda che cosa mi hai fatto. Perché non impari a fare a botte, invece che mordere come una bestiaccia?"

Si era avvicinato.

Si era avvicinato tremendamente tanto.

Era un invito, e Sora lo colse: lo morse di nuovo, nello stesso punto, con così tanta rabbia che Riku gridò, e questa volta fu lui a dovergli mettere una mano sulla bocca perché non li sentissero tutti –perché nessuno se ne accorgesse, si spaventasse o si preoccupasse e uscisse dalla propria casa per andare a vedere, per distruggere la loro più illecita e delirante e sublime forma di pace. Una pace fragilissima che poteva contenere solamente loro.

Riku se lo strappò di dosso, gli tirò con forza una manica e gli addentò la spalla nuda. Sora strinse la terra fredda, quasi scavandola, in preda ad uno sconcertante miscuglio di dolore e piacere. Si aggrappò a lui e gli abbassò la maglia sulla schiena sudata, scoprendo le spalle forti e muscolose, il petto scolpito che guardò con un’invidia talmente avida da somigliare al desiderio. Gli morse a sua volta la spalla, poi decise di distruggergli in modo definitivo il collo e se lo riprese, tirando la pelle coi denti come se la dovesse strappare e mangiare, e a quel punto, inosservato e protetto dal senso di colpa, aprì la bocca e lo leccò per un brevissimo istante, esitando con le labbra premute –assaggiando finalmente quell’odore che gli dava dipendenza. Riku ringhiava, continuava a morderlo, e gli occhi di Sora si riempivano di lacrime mentre gli sollevava la maglia lungo la schiena e succhiava vorace il sangue che finalmente riusciva a fargli versare. Provò a stritolargli la spina dorsale, ma era impossibile, così con le mani cominciò a graffiarlo, a scavarlo come un topo che fa un buco nel muro.

Con un unico e rapido gesto Riku si tolse la giacca.

Avrebbe voluto farlo anche Sora, il calore lo stava soffocando, ma lui gli impediva di muoversi e anche questo lo soffocava, come lo soffocava la voce rotta dal dolore di Riku che gli ansimava vicino all’orecchio: "meno male che non ti dava piacere, bastardo…"

Inutile negare ancora, ma non avrebbe perso ammettendolo e lui lo sapeva. L’unico modo in cui poteva rispondergli era graffiarlo più forte, aprire di più la bocca, divorargli più carne, strappargli di dosso quell’odore meraviglioso e velenoso, nella speranza che togliendoglielo tutto avrebbe smesso di essere così profondamente in suo potere.

Riku si spinse con forza contro di lui, facendogli sentire in modo inequivocabile tutta la sua erezione, e Sora gli attanagliò la vita con le gambe per imprimergli negli addominali di pietra la forma della propria.

Riku gli morse l’orecchio, gli parlò così vicino che poteva sentire le sue labbra: "E’ tutto qui? Non dovevi farmela pagare per non so ancora bene cosa?"

Sora cercò di toglierselo di dosso, ma lui ovviamente fece resistenza, e il contrasto dei loro movimenti lo stordì di un piacere insopprimibile e vergognoso. Si sentì meno colpevole quando capì che anche Riku l’aveva sentito, e attese fremente quando un attimo dopo gli sussurrò "no, tu rimani qui" prima di dargli una spinta veloce e profonda col bacino.

Sora stava impazzendo. Stava sgusciando fuori dalla sua pelle.

Capiva solo il sangue, il membro di Riku che sempre più duro cercava di scavargli le viscere, i loro grugniti orgogliosi e doloranti, l’odore del sudore e la certezza di non appartenere più a quel piccolo patetico luminoso mondo ristretto. Niente al di fuori di queste cose aveva il benché minimo senso, ogni cosa iniziava e finiva contro i movimenti bruschi dei loro fianchi.

Cominciò a tremare in modo convulso, non riusciva a tenere ferme le mani e dovette aggrapparsi al suo collo con le braccia; così vicina tutta l’anatomia di Riku sembrava ancora più imponente, addirittura monumentale di fronte alla sua imbarazzante magrezza, all’ostinata adolescenza del suo corpo.

Ricominciò a cercare di morderlo ancora più forte, umiliato, ma non riusciva nemmeno più a tenere la presa e si ritrovò a ficcargli i denti nei nervi al ritmo dei loro lombi, fino a quando Riku non lo morse dietro la nuca e fu così inaspettatamente doloroso che gridò forte, e per non gridare ancora di più si riempì la bocca della sua spalla.

Non aveva mai sentito così tanto dolore tutto insieme, era in estasi; e la cosa più soddisfacente in assoluto era sentire Riku che soffocava i gemiti mentre lo mordeva, le vibrazioni della sua pelle bagnata e fremente sotto le sue mani. Anche se era Sora ad avere la schiena contro il pavimento, per una volta perdevano entrambi.

Senza motivo d’un tratto divenne tutto ancora più intenso, e violento, le spinte di Riku si facevano sempre più furiose e insieme persero definitivamente ogni senso civile della decenza; Sora senza più forze succhiò tutto il sapore della spalla di Riku, che emise un rantolo esausto contro il suo collo, stringendogli la schiena, spingendosi ferocemente contro di lui un’ultima volta.

Poi praticamente si spensero. I loro corpi continuarono a sfregarsi lentamente ancora un po’, senza coscienza, raccogliendo ogni scheggia d’estasi. Quando non rimase più niente finalmente si fermarono, e ogni loro più piccolo osso si arrese alla gravità, facendoli franare sul pavimento come soldatini giocattolo distrutti.

A Sora non sembrava di aver mai avuto tanto bisogno di respirare in vita sua.

Quel bisogno fu così urgente che premette le mani sul petto di Riku ripetendo "alzati, alzati, alzati" e quando lui gli scivolò appena un po’ su un fianco fece entrare nei polmoni tanta di quell’aria che temeva gli sarebbero esplosi, ma non bastò.

Era tutto così asfissiante, e bollente, e umido. La sua maglia era zuppa da far schifo, come il torace scivoloso di Riku. Aveva la guancia bagnata di saliva, probabilmente sua, perché a furia di mordere succhiare e leccare aveva praticamente sbavato su tutta la spalla e il collo dell’altro.

…era venuto nei pantaloni. Chissà se anche Riku…

Tutto il suo corpo tremava e per far stare ferme le mani dovette agguantargli la schiena; non la poteva tenere con le unghie, perché era troppo umida, così dovette stringerla con tutte le braccia. Provò a dare un occhiata in basso, per risolvere il suo dubbio, ma ovviamente non si vedeva nulla. Si mosse appena contro il suo bacino e sentì il sesso completamente rilassato, poi vide che lui aveva fatto una smorfia infastidita e si era ritratto. Anche lui, quindi…Ok, questo decisamente lo faceva sentire meglio, e per dirla tutta gli dava un piacere un po’ sadico. Poi chiuse gli occhi.

Cercò di concentrarsi sul suo respiro, era così…potente. Di quel potere completamente rassicurante.

Lui spostò appena la testa per dirgli all’orecchio: "Questo collo te lo faccio ripagare, razza di gattaccio."

Tutto quello che Sora riuscì a rispondere fu "va bene" prendendo altra aria e buttandola fuori quasi con disperazione.

Rimasero per tantissimo così, buttati l’uno sull’altro come cadaveri. Solo quando Sora fu riuscito a normalizzare minimamente il respiro cercò il collo di Riku e lo leccò. Lui allora si mosse, tenendosi appena sollevato con i gomiti, e Sora continuò a leccarlo con calma, con un affetto e una tenerezza totalmente devoti, come se questo potesse davvero servire a guarirlo.

Riku rise. Una risata quasi dolce.

"Proprio come un leoncino…"

L’odore inconfondibile di Riku, si rese conto in quel momento, era esattamente come il suo.

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Capitolo 5
*** Tutti e due ***


Tutti e due

Tutti e due

Il mattino dopo, Sora dovette constatare che i morsi di Riku erano molto più pericolosi delle lance di Xaldin. Tutti i nervi dal collo in giù gli tiravano e bruciavano ancora in modo pazzesco, e se provava a toccare l’enorme macchia violacea che si era formata sulla spalla desiderava ardentemente poter usare un’energiga. Solo le sue parti basse, chissà perché, sembravano felici e contente.

Quella notte, con i muscoli che gli consentivano a stento di muoversi, la spalla che gli bruciava, i lividi che gli facevano male in qualunque modo si mettesse e l’odore di Riku che si mescolava a quello ancora distinguibile dello sperma, aveva dormito meravigliosamente bene.

Nemmeno i sogni erano riuscito a turbarlo, sogni quantomeno realistici in cui Axel gli stava sopra e tutto intorno esattamente come gli era stato Riku, con la non trascurabile differenza che erano completamente nudi, stavano facendo l’amore, e lui gli ripeteva adorante che era il suo piccolo Roxas.

Che. Imbarazzo.

Veramente.

Ma mentre sognava, era felice.

Guardando fuori dalla finestra vide Kairi che si accingeva a suonare il campanello. Ci picchiò i pugni per attirare la sua attenzione e quando lei lo vide gli sorrise e gli fece cenno di scendere. Sora si precipitò giù dalle scale dopo essersi infilato le prime cose che aveva trovato, e quelle cose furono i vestiti che indossava la sera prima, che erano sporchi di terra e odoravano del suo sudore e di quello di Riku, per non parlare nello specifico dei pantaloni. Immaginava che non fosse una buona idea avvicinarsi troppo a Kairi in quello stato, ma aveva voglia di vederla, non aveva tempo per cambiarsi, e comunque a lui quell’odore piaceva.

Aprì la porta e se la trovò davanti, come una perla quando apri la conchiglia.

Si pentì subito di non essersi messo dei vestiti puliti.

Kairi indossava un abitino color crema, e tra i capelli aveva un rametto di fiori bianchi. La luce non aggressiva del mattino la rendeva ancora più armoniosa in ogni sfumatura di colore.

Maledetti vestiti sporchi.

Kairi lo salutò e si avvicinò. Lui indietreggiò e lei lo guardò interrogativa, così dovette ammettere: "E’ meglio se mi stai lontana, puzzo da far schifo…"

Kairi rise e gli diede retta: "Volevo vedere come stava la tua guancia."

A lui faceva così male la spalla che della guancia si era completamente dimenticato, tantopiù che la gengiva aveva smesso di sanguinare. Se la colpì con un pugno simbolico e le strizzò l’occhio: "Stai tranquilla, mi riprendo in fretta."

"Però è ancora tutta livida…" gli fece cenno di aspettare con la mano e tirò fuori da una borsa di paglia una boccetta "Vi ho preso questo. Stavo andando da Riku per darglielo. Se avete fatto a botte, conoscendovi, chissà come siete ridotti dove non posso vedervi."

Sora avrebbe voluto abbracciarla per la gratitudine. Non avrebbe avuto l’effetto di un’energiga, ma insomma, meglio di niente.

"Vieni con me?"

"Credo che Riku stia dormendo, non so se è il caso di svegliarlo, poi diventa cattivo…"

"Ma no, è gentile anche se lo svegliamo."

"Se lo svegli tu, forse."

Kairi gli prese una mano, tirandolo un po’, con il sorriso sulle labbra: "Dai, vieni."

"Sì, certo, tanto se deve picchiare uno dei due non si fa certo dubbi su chi scegliere…"

Lei rise e lo tirò ancora: "Vorrà dire che ti potrai nascondere dietro le mie spalle. Ti proteggerò io, per una volta."

Sora capì di non poter resistere ad una proposta del genere, e sospirò: "Fammi almeno andare a cambiare."

"Ma no, va bene così!"

Non poteva vincere contro di lei, era chiaro da sempre, quindi si lasciò trascinare di buona lena fino al rifugio, dove lei strappò un altro rametto di fiori bianchi e se lo mise sull’altro lato della testa. Sembravano un’aureola, adesso, o una piccola corona discreta che le si addiceva perfettamente.

Sora guardò il cespuglio e mormorò senza volerlo: "Le cose sono cambiate così tanto, solo piantando dei fiori…"

"Non è detto che il cambiamento debba essere una cosa negativa…"

Lui la guardò e vide che anche lei lo stava guardando.

Vorrei che non lo fosse avrebbe voluto dirle, ma quelle parole si fermarono a lungo sulla lingua prima di ritornare nella gola. Le disse invece: "Te lo tengo aperto, fai attenzione a non graffiarti."

Kairi scosse la testa e sospirò: "Sora, non succede niente se mi faccio un graffio. Non preoccuparti per queste cose. Non devi più proteggermi, adesso."

Anche se lo aveva detto col sorriso, Sora sentì che non c’era al mondo cosa peggiore che qualcuno avrebbe potuto dirgli. E che glielo dicesse proprio Kairi lo rendeva ancora più difficile.

Con un incredibile senso di rassegnazione la lasciò passare in mezzo al cespuglio senza aiutarla. Poi si intenerì, quando una volta nel rifugio vide che lei era l’unica che ancora non dovesse fare attenzione a camminare nel passaggio.

Come aveva immaginato, Riku stava dormendo.

Era a petto nudo, e sulla schiena aveva delle profonde strisciate rosse che sembravano fatte dagli artigli della Bestia. Sora fece uno stupido sorriso soddisfatto, poi si guardò intorno e vide che la giacca e la maglia di Riku erano ancora dove li avevano lasciati quella notte.

Kairi si inginocchiò vicino a lui e gli posò una mano sulla spalla, poi cominciò a scuoterlo dolcemente e a chiamarlo.

"Sono sveglio, Kairi."

Lei gli tolse i capelli da davanti alla faccia con le dita, e cominciò con un tono affettuoso da mamma: "Ti ho portato un unguento per le ferite. Ma cos’è successo al tuo collo, ti ha morso una tigre?"

"Un leone. Era grosso come una cavalletta, ma con dei denti malefici…" e aprì leggermente un occhio per guardare in direzione di Sora.

"Siete proprio due stupidi. Non siete cambiati affatto da quando facevate a gara per chi raggiungeva prima la stella…"

"Dodici a cinquantacinque, vorrei ricordare" disse Riku mettendosi sulla schiena.

Sora protestò: "Ero almeno a quindici!"

"Puoi essere anche a diciotto, ma sei sempre un perdente…"

"Almeno non mi rassegno…"

"Questo lo devo ammettere."

Sora annuì orgoglioso, poi Riku aggiunse: "Ma chi può dire se sia un bene?"

"E’ un bene. Lo sappiamo tutti che questo è il lato migliore di Sora" disse Kairi, mentre sbatacchiava la boccetta per versarsi delle gocce sulle mani.

Sora si inginocchiò vicino a lei e guardò Riku con un sorriso sornione di sfida: "Visto? E’ il mio lato migliore. Tu che lati migliori hai?"

"Per esempio non puzzo."

Sora si annusò e si allontanò accuratamente da Kairi.

"Di chi è la colpa se puzzo così, eh? Scusa se io ho una casa vera e non posso farmi il bagno alle quattro del mattino come te!"

Riku lo guardò come se volesse dire qualcosa, ma poi rimase in silenzio e distolse lo sguardo. Meglio così, perché Sora già stava trattenendo il respiro. Si tranquillizzò, e si rivolse a Kairi: "Qual è il lato migliore di Riku?"

Lei si stava sfregando le mani per spargere bene l’olio: "Fammi pensare…"

"Visto? Ci deve pensare!"

"Certo che ci deve pensare, è difficile scegliere il mio lato migliore visto quanti ce ne sono."

"Non è vero, se ne sta inventando uno credibile per non offenderti."

"Il lato migliore di Riku è la sua coscienza" disse lei, estranea al loro infantilismo.

Riku sorrise amaramente, strusciando il viso contro le braccia come un gatto pigro: "Con tutti quelli che potevi scegliere come hai fatto a toppare così clamorosamente?"

Kairi gli posò le mani sulla schiena e cominciò a massaggiarlo. Sora per un attimo fu geloso, di tutti e due.

Non voleva che lui venisse toccato così dalle sue mani, né che lei s’intromettesse nel loro mondo e alterasse i segni che gli aveva lasciato sul corpo. Quelli erano i suoi segni.

"Ma stai zitto, è inutile che fai la scena con me, vi conosco troppo bene. Tutti e due."

"Come fai a dirlo?"

Sora raggelò.

Kairi, invece, continuò a sorridere come chi la sa lunga, massaggiandolo come se niente fosse.

"Perché conosco i vostri cuori…Ci ho guardato dentro per tutti questi anni. Ho visto il meglio di voi, e anche il peggio. Io so esattamente quello che siete."

Si spostò i capelli dietro un orecchio con il polso per non ungerli. Un rametto di fiorellini bianchi le scivolò sulla spalla, poi cadde a terra.

"Siete i miei eroi."

Sora guardò il rametto a terra, e si sentì come se quei fiori oltre all’entrata del rifugio gli avessero anche ricoperto il cuore. Erano bellissimi, e avevano un buon profumo…ma lo rendevano inaccessibile. Così difficile da raggiungere senza graffiarsi…

Riku in quel momento stava guardando altrove, come sempre. Il suo pensiero era rapito da altri mondi, mondi lontani da quello, mondi dove loro non c’erano.

Il suo sguardo verde perso nel vuoto lo faceva sentire come se loro tre fossero ancora divisi ai capi opposti dell’universo, e non c’era palazzo, buco nero, scalinata o battaglia che potesse risanare quella orribile frattura

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Capitolo 6
*** Compromesso ***


Compromesso

Le cose tra lui e Riku erano giunte all’esasperazione.

Ad un certo punto era diventato chiaro quello che volevano, ed era lì, fisico, palese davanti a loro.

Finché si rotolavano nella terra lottando come animali erano a pari e potevano fare ancora finta di niente, ma quando inevitabilmente uno schiacciava l’altro contro il terreno otteneva tutto il potere, e avrebbe potuto esercitarlo nel modo in cui tutti e due desideravano fino allo spasmo, ma entrambi erano troppo testardi per essere i primi a cedere. Così avevano passato un’infinità di notti a massacrarsi di botte, a sputare il proprio sangue e leccare quello dell’altro, a gridare per i morsi inflitti a muscoli ancora doloranti per la sera precedente, a prendersi le ginocchiate nello stomaco e a strusciarsi fino alla pazzia, e quando quella straziante tensione sessuale raggiungeva il culmine, e a Riku -che vinceva inevitabilmente, anche perché lui spesso glielo permetteva, come se in fondo fosse convinto di dovergli qualcosa- sarebbe bastato un solo movimento per dargli quello che entrambi volevano, puntualmente lasciava passare il momento, il tempo entro il quale Sora era costretto a reagire e a sbalzarlo via, per non ammettere che lo cercava, lo stava aspettando.

Vivevano le loro notti pestandosi, nell’attesa di stordirsi talmente tanto di pugni da non curarsi più di chi avrebbe vinto e chi perso, ma per quanto si picchiassero, per quanto sangue perdessero e quanti buchi si scavassero nella carne a morsi, quando si ritrovavano ad essere dominanti si lasciavano ribaltare, cedevano il potere, e con esso anche la patata bollente.

Erano due idioti.

Kairi aveva ragione, non erano affatto diversi da quando correvano fino a sfinirsi per chi raggiungeva prima la stella. Fare il passo decisivo significava aver perso, ammettere di non farcela più a sopportare quella forza brusca e sconosciuta che attirava i loro bacini. Sarebbe significato chiamarla in un modo ben preciso.

Sarebbe stato troppo umiliante.

Dopo un mese così Sora aveva raggiunto un livello molesto di frustrazione; aveva una spalla e una caviglia slogata, un morso/succhiotto grosso come un palazzo nell’interno coscia (e per tutto il tempo in cui Riku era stato lì a farglielo lui gli aveva tirato i capelli trattenendosi veramente con sforzo dal supplicarlo), era pieno di lividi in faccia ed era venuto nei pantaloni un’infinità di volte.

Almeno grazie a Kairi si rilassava.

Le giornate con lei erano esattamente come le aveva sognate durante il suo viaggio, se possibile addirittura più meravigliose. Stavano sempre insieme, si tenevano per mano, parlavano tantissimo, e quando si baciavano, cosa che si era rivelata l’inaspettata ciliegina sulla torta, Sora sentiva chiaramente che lei era tutte le cose più belle che uno ricorda di casa quando è lontano, tutte insieme.

Quello che c’era tra loro era semplice e chiaro, di una dolcezza implicita e completamente naturale. Non erano diventati fidanzatini smielati e appiccicosi, non avevano cambiato atteggiamento l’uno nei confronti dell’altra, non si erano dati nomignoli, e se si appartavano era perché spesso Sora non riusciva a stare in mezzo a gente che non sapeva, e non perché avessero quel fastidioso e a quanto pare irrinunciabile bisogno di pomiciare come tutte le altre coppie.

Il loro rapporto era così fluido, così divertente.

Ma il fatto che fosse semplice non significava che fosse meno intenso di quello con Riku, o meno forte o meno coinvolgente. Era solo meno…contorto. E grazie al cielo, meno violento.

Inutile negarlo, gli piaceva quando Riku lo mordeva a sangue, e sentiva i suoi denti, la sua lingua, il suo respiro. Ma gli piaceva allo stesso modo che Kairi gli sorridesse toccandogli con l’indice il dorso della mano.

Gli piaceva l’odore di Riku quanto gli piaceva quello di Kairi.

Lui li amava.

Li amava entrambi, con identico trasporto e uguale devozione.

Solo che mentre le cose con Kairi procedevano secondo il loro ritmo naturale, la goliardia del rapporto con Riku lo rendeva più frenetico. Con lui Sora voleva. Non sapeva che cosa questo implicasse. Era fermo ad uno stadio molto precedente al desiderio consapevole del cosa e del come, c’erano solo sensazioni, parole che aveva sempre detto e che adesso avevano assunto nuovi significati che gli toglievano il respiro.

Voglia. Forza. Possesso. Dentro. Fame.

Una notte, dopo che avevano lottato come leoni per almeno un’ora, gli era salito sopra e gli aveva aperto i jeans. Non sapeva che cosa cercasse finché Riku non se l’era tirato fuori e gliel’aveva offerto, e lui aveva saputo da subito di non poter fare altro che abbassarsi i pantaloni e farlo entrare nell’unico posto in cui potesse farlo. Aveva perso, e allora? Non era una novità.

A livello teorico sapeva che quello era sesso.

Era la cosa più vecchia del mondo, ma era così diverso da come se l’era sempre immaginato, perché era così…vero. Nessuna sfumatura, nessun velo, nessuna dolcezza. Nessuna pietà. Era solo carne. Era primitivo, violento, egoista, furioso. Non era diverso da nessuna delle loro lotte. Eppure quella cosa apparteneva a loro così intimamente che era come se fossero stati loro a inventarla, e per questo Sora imparò presto ad adorarla.

La sua più grande soddisfazione, quella sera, era stata la consapevolezza di avere Riku nelle sue mani.

Sora era quello che stava soffrendo. Quello che resisteva stoicamente al dolore.

Riku era completamente succube del piacere che si stava prendendo dal suo corpo. Come sempre, aveva lasciato che quello che voleva possedere lo dominasse.

Quando Riku era venuto dentro di lui, tenendogli i fianchi e prolungando la spinta come per infliggergli il colpo di grazia, Sora aveva ansimato ad alta voce sotto di lui, imprecando e poi ridendo con lui, finché non si era spostato i suoi capelli dal viso e gli aveva detto all’orecchio: "Uno a zero".

"Uno a uno" era stata la risposta accomodante di Riku, che poi gli aveva morso per sfida le labbra, guardandolo negli occhi; quando quel morso era diventato un bacio -il loro primissimo bacio- gli aveva preso il pene e glielo aveva stretto e mosso con forza fino a portarlo all’apice, a quella delicata follia, per poi sussurrargli con un sorriso stronzo e vittorioso: "Due a uno, Sora".

Riku non sopportava di essere in svantaggio, ma Sora adesso sapeva di avere comunque un vantaggio su di lui. Gli sembrava un compromesso più che accettabile.

Qualche sera dopo era pigramente sdraiato su di lui, e di tanto in tanto lo faceva ridere con esternazioni di compiacimento come fare le fusa e dire grwar sfregando la guancia contro il suo petto.

Riku gli stava grattando la testa e lo coccolava a modo suo -accarezzandolo frettolosamente, pizzicandolo e dandogli colpetti con le dita sui lividi. Poi gli domandò all’improvviso, come se ci avesse pensato tutta la sera: "L’hai già fatto con Kairi?"

Sora sgranò gli occhi e si tirò su, guardandolo come se fosse diventato scemo: "Cosa?!"

"Non mi sembra una domanda così stupida."

"Certo che lo è!" - e lo era perché, nella sua abissale ignoranza e imbarazzante ingenuità, a quel farlo legava solo e unicamente gli approcci violenti e sanguinosi avuti con Riku, e non intendeva nella maniera più assoluta fare le stesse cose con Kairi, nemmeno nei casi in cui era stato lui a dare invece che ricevere.

Naturalmente sapeva che il sesso poteva essere anche diverso da come lo facevano loro, ma quello gli sembrava l’unico modo in cui lui potesse e volesse farlo. L’unico in cui gli sarebbe venuto naturale.

"Credevo che a questo punto voi due vi foste messi insieme."

"Certo, come lo siamo noi due."

"Spero non nello stesso modo, se alzi un dito su Kairi ti ammazzo."

"Ma sì, ovvio che non nello stesso modo in quel senso…nello stesso modo perché stiamo insieme in senso stretto. Passiamo il tempo insieme."

"…Tutto qui?"

Come tutto qui?

Passare tutto quel tempo con Kairi era meraviglioso, paradisiaco, il massimo!

"Che cosa vuol dire tutto qui?!"

"Vuol dire tutto qui."

Sora morse il suo petto in modo lento, umido, appiccicando tutte le labbra e la lingua contro la sua pelle prima di stringerla tra i denti. Adesso che si era come rappacificato con il suo odore, il suo sapore gli piaceva ancora di più. Gli ricordava sempre meglio la sensazione di stringere il metallo freddo dell’impugnatura del Keyblade, per qualche associazione di pensiero che aveva a che fare col sudore, con la vittoria, e la paura di morire.

"Io non penso a fare quelle cose con Kairi."

"Figurati."

Scosse la testa: "Davvero. Non mi interessa pensarci, e non ci penso" si appoggiò sui gomiti, in modo da poterlo guardare in faccia "…a me basta stare con lei. La sua vicinanza mi riempie talmente di gioia che non vedo cosa potrebbe esserci di più. Sapere che mi sta accanto e non se ne andrà è già bellissimo. Quindi se potessi passare il resto della vita anche solo stringendole la mano, continuerebbe a non importarmi di fare nient’altro. Per me sarebbe il massimo della felicità."

Riku tacque e lo schiaffeggiò. Poi lo derise, ma con affetto: "Quanto sei stupido."

"Ripetilo!"

"Sei stupido."

Sora restituì lo schiaffo. Riku prese ad accarezzargli lentamente la schiena: "Quindi secondo la tua logica noi lo facciamo perché mi odi."

"Ma per te sarebbe stata la stessa identica cosa, se Roxas non si fosse messo in mezzo…"

Lui scoppiò a ridere così forte che Sora sobbalzò sul suo petto.

"Certo, Roxas! Dovrei inventarmi anche io un nobody per queste cose! Io? No, è stato Kirux!"

"Che brutto nome…"

"Non dare la colpa a Roxas, tu mi odi e basta."

Sora rise e sogghignò: "Sì, fa tutto parte di un piano per ucciderti."

"Ah, ecco, adesso mi tornano un po’ di cose…"

Ascoltò il battito del suo cuore e sospirò: "Non ti voglio uccidere, Riku…"

"Non sarebbe un problema."

"Come no? Morire cambia un po’ di cose…"

"Forse per gli altri. A me non interessa."

Lui si tappò le orecchie: "Non intendo starti a sentire."

Perché doveva fare sempre così? Perché quello stupido doveva sempre cercare di deprimerlo con mezza frase ingiustificata e gratuita?

Lui gli prese un polso, allontanandogli una mano dall’orecchio, poi si avvicinò e sussurrò: "Se potessi scegliere, vorrei che fossi tu a uccidermi."

"…E perché non scegliere di vivere, invece?"

Riku si limitò a ridere di nuovo. Tornò a grattargli la testa e gli disse dolcemente: "Ti invidio, Sora. Non ti sei mai vergognato di essere così debole…"

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Capitolo 7
*** Involucri vuoti ***


Involucri vuoti

Odiava ammetterlo, ma a volte gli sembrava di sentirsi bene solamente nell’oscurità del rifugio segreto.

Quando passava in mezzo a quei fiori ormai quasi distrutti, e le labbra capricciose di Riku decidevano se quella sera gli avrebbero dato solo dolore, o solo affetto, oppure entrambe le cose insieme, Sora da lui prendeva tutto e chiudeva fuori il resto. Le braccia di Riku rinventavano il suo mondo ogni notte.

Quando tornava nel mondo degli altri, Sora odiava il modo in cui si sentiva.

Come quando andava ad aspettare Kairi fuori da scuola e vedeva i suoi coetanei uscire. Parlava con loro, e inizialmente anche con un certo piacere, e una certa curiosità, ma dopo poche parole capiva che lui e quelle persone avevano davvero molto poco di cui parlare, ormai. C’erano troppe cose che avrebbe voluto raccontare e altrettante che doveva tacere.

Si sentiva così…interrotto.

Odiava lo sguardo di sufficienza o affettuosa noncuranza che gli si dipingeva sul viso ascoltando gli affari degli altri, come i fratelli maggiori che ascoltano le scoperte dei fratellini più piccoli. Odiava pensare di essere migliore di loro.

in fondo, che cosa avevano fatto Tidus o Wakka?

Magari avevano preso un otto a scuola. Avevano ottenuto un buon punteggio in una partita di Blitzball. Potevano anche aver battuto il record di Riku nella corsa fino alla stella.

Beh, Sora aveva salvato il mondo.

Due volte.

Era consapevole di essere stato scelto per caso, o forse per meriti innati, ma non certo per risultati conseguiti con lo sforzo. Sapeva che nella stessa situazione qualsiasi altro Keyblade Master si sarebbe comportato come lui. Non era speciale, non davvero.

Eppure si sentiva speciale.

Non ci aveva mai pensato nemmeno per un secondo mentre era in viaggio. Anche quando aveva affrontato Riku, il suo pensiero ricorrente era stato "ha ragione, il Keyblade spetta a lui. Io sono solo un moccioso, ridatemi Kairi e fatemi tornare a casa, c’è stato un terribile errore".

Adesso era come se, allontanandosi dalle cose, avesse preso davvero coscienza della loro enormità.

A volte guardava l’orizzonte e si chiedeva quanto distassero da lì i luoghi in cui avrebbe potuto dimostrare di nuovo il suo valore. Non voleva desiderare di partire, quando era così felice di essere tornato.

Era felice…ma era cambiato.

Anche se Kairi gli aveva detto di non farlo mai…

Adesso era come dislocato nello spazio. Niente di quello che aveva imparato, lì aveva senso.

Lui sapeva fare un doppio salto e un aerocombo, ma non aveva seguito le lezioni di matematica dalle frazioni in poi. Quando Kairi faceva i compiti sulla spiaggia e risolveva un’espressione lui si sentiva offeso, addirittura ferito, e voleva solo strapparle i quaderni e gridare come un pazzo: "Ho sconfitto Ade! Capisci? Ade! Se vai sul monte Olimpo puoi vedere la mia costellazione!"

Era stato un pirata. Aveva cavalcato il vento su un tappeto volante. Aveva salvato la Cina insieme a Mulan. Aveva nuotato nel regno di Atlantide, e visto il passato a Timeless River. E niente di tutto questo, su Destiny Island, aveva il benché minimo significato.

Più si sentiva così, più capiva perché Riku si fosse sfasciato le mani contro quella porta chiusa.

Più si sentiva isolato da quel piccolo mondo, più isolava se stesso in un mondo ancora più piccolo. Un mondo umido, e buio, dove l’affetto che poteva ricevere dall’unica persona che lo capisse era direttamente proporzionale a quanto portava le sue ossa vicino a rompersi.

Amava Kairi. La amava moltissimo.

…non sopportava di pensare che lei non potesse capirlo.

E forse chissà, anche quello che lo legava a Riku non era altro, ormai, che l’illusione di ritrovare il passato nel suo odore. Magari per Riku lui non era altro che una cicatrice vivente dell’oscurità. Quando lottavano, chi poteva dire contro che cosa Riku lottasse. Chi poteva dire contro che cosa vincesse, e da che cosa si lasciasse invece vincere.

Forse era semplicemente troppo dura essere stati uomini per due anni, e ritrovarsi adesso ad essere di nuovo ragazzini.

Forse Sora non amava né Kairi, né Riku.

Forse Sora amava il ricordo delle gesta gloriose che vivevano in loro. La parte di luce e di ombra che si dividevano nella sua vita e sul quale era stato abilmente in bilico per tanto tempo.

Forse, in fondo, Sora amava solamente se stesso…

…che pensieri orribili. Se ci fosse stato Donald gli avrebbe dato lo scettro in testa. E poi Goofy lo avrebbe consolato con una parola magari banale, ma così vera che sarebbe stato impossibile ignorarla. Forse con loro Sora sarebbe tornato il ragazzo che era stato prima della chiamata, e non quello che aveva supplicato un suo nemico di portarlo da Kairi, perché era troppo stanco di lottare.

Stava per alzarsi dal muretto, quando la campanella suonò e tutti cominciarono ad uscire da scuola.

Qualcuno lo salutò. Un paio di ragazze si fermarono addirittura a parlargli, per arrivare a chiedergli ovviamente di Riku. Fortunatamente non dovette rispondere, perché in quel momento, insieme a Selphie, arrivò Kairi che lo soccorse: "Sora! Un ragazzaccio che non viene a scola non dovrebbe farsi vedere in giro, potresti scatenare gli istinti violenti di tutti!" poi gli diede un breve bacio. Mossa assolutamente impeccabile, perché interpretandola per una richiesta d’intimità tutti si dileguarono.

Kairi gli prese la mano e cominciarono a camminare. Sora non era troppo in vena di parlare, purtroppo, e così si limitava ad ascoltare lei, annuendo e ammirando i riflessi sui suoi capelli. Poteva restare per ore a guardare i giochi di colori che compieva la luce su quei capelli castani, timorosamente meravigliato come davanti al volo di una farfalla. Pensò poi ai capelli argentei di Riku, al loro colore piatto, e cercò di ricordarsi come fossero al sole.

"Sora? C’è qualcosa che non va?"

"Ma no, stai tranquilla. Sono solo un po’ pensieroso…"

"Deve essere un bel problema, se ti fa addirittura pensare…"

"Già…Ehy!"

Kairi rise e si fermò.

"Seriamente, che cosa ti dà da pensare? Magari ci possiamo pensare insieme."

"…ripensavo a quello che mi hai detto su Naminé. Sul fatto che si sentisse sola e che a volte ti senti sola anche tu."

"Mh."

"Che cosa ne pensi?"

Lei scosse risentita la testa: "…in che senso?"

"Che cosa ne pensi di questa cosa dell’empatia con Naminé…? Insomma, credi che è sia come se i suoi sentimenti si fossero…aggiunti ai tuoi?"

"Non so, non credo che…"

Sora non la lasciò finire: "Secondo te ti sarebbe possibile provare qualcosa che non hai mai provato prima, qualcosa che non proveresti altrimenti, solo perché Naminé l’ha provata, o la prova? E come se fosse un residuo della sua memoria, oppure è come se fosse viva, dentro di te, avesse dei pensieri, e quei pensieri si mischiassero ai tuoi? E ti sentiresti confusa, in quel caso, non è vero? Non hai la sensazione che qualcun altro pensi con la tua testa?"

In pratica: poteva dare la colpa a Roxas per quello che stava diventando?

Alla fine di quell’insensata filippica, Sora respirava velocemente.

Kairi aveva continuato a guardarlo, senza farsi scappare una sola smorfia di confusione, incredulità, fastidio o che cos’altro. Lei lo guardava sempre come se quello che stava dicendo avesse perfettamente senso.

Quando fu sicura che avesse finito, gli posò una mano sul petto, all’altezza del cuore.

"Non può esserci qualcuno che pensa con la tua testa, Sora. Non c’è nessuno."

"I giochi di parole non mi aiutano a capire…."

"…io non credo di provare i sentimenti di qualcun altro, perché Naminé non è qualcun altro. Naminé sono io. Naminé è me. Anche se per un po’ siamo state qualcuno di diverso, siamo nate come la stessa persona, ed è quello che siamo tornate ad essere. E allora…non mi sento come se i suoi sentimenti si fossero aggiunti ai miei. Mi sento come se i miei sentimenti fossero tornati a casa."

Sora chiuse gli occhi. Lei lo richiamò: "Ehy…"

Lui riaprì gli occhi. Lei gli sorrise.

"Puoi provare cose che non hai mai provato prima perché tu le provi. Io non non capisco niente di queste cose, e non ho gli strumenti per fare un ragionamento veritiero…ma per quello che sento, e che mi sembra di aver capito, i nostri sentimenti si appoggiano a quelli dei nostri Nessuno. I sentimenti non possono sparire, non importa se non c’è un cuore dove contenerli. Se provi qualcosa, non se ne può semplicemente andare. Quel qualcosa non si è perso, è sicuramente rimasto con noi…ma non si è sovrapposto ai nostri sentimenti. Li ha completati. Io mi sento come…se Naminé avesse provato solamente cose che ho provato anche io, solo in modo diverso. E quelle cose, adesso, ogni tanto si mettono…in risalto, dentro di me. Ma quello che sentiamo…non importa perché, è solamente nostro."

Sora sospirò: "Mi sta venendo il mal di testa."

"Scusa, ho parlato troppo…"

"No, no!" le prese le spalle, temendo che se ne andasse "Per niente, anzi, ti ringrazio! E’ questa storia che mi fa venire il mal di testa, perché se non ci penso è perfettamente chiara, e quando invece ci penso diventa un…"

"Sora…" gli disse mettendogli un dito sulla bocca, e gli sorrise "…tu sei sempre Sora. Questa è la sola cosa importante. Non preoccuparti troppo di questo, altrimenti finirai per diventare l’involucro vuoto del tuo Nessuno. Sarebbe un controsenso, non credi?"

Sora le prese la mano e annuì.

"…ma allora…"

"Sì?"

"…quello che dicevi sulla solitudine. Sul fatto che a volte ti senti molto sola…"

Kairi si distanziò un po’ da lui, pur mantenendo il contatto: "Beh, non è che posso riuscire a spiegarti proprio tutto! Sei tu quello che era là fuori a sentire le spiegazioni, mica io!"

Sora si grattò la testa, imbarazzato: "Vero, hai ragione…"

Poi Kairi gli lasciò la mano.

Fece qualche passo e guardò verso il mare, che da sopra la collina sembrava ancora più immenso.

Si sistemò i capelli e fece un sorriso malinconico, ma fiducioso.

"Tutti i viaggi che avete fatto…un giorno me li racconterete, non è vero…?"

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Capitolo 8
*** Solitudini ***


Solitudini

Solitudini

Almeno adesso sapeva che quello che provava era reale.

Si era congedato da Kairi poco lontano dalla cascata. Era tardo pomeriggio e lo aveva invitato a casa sua a mangiare un po’ di cioccolato caldo con la frutta. Sora ovviamente era l’ultimo che si sarebbe tirato indietro, e così lei si era fatta prendere dall’entusiasmo e aveva pensato che poteva portare il fornellino al rifugio, così magari potevano mangiare tutti e tre insieme.

Sora aveva annuito, trattenendo dietro le labbra la tristezza.

Il cespuglio di fiori bianchi era ormai rado per il loro continuo avanti e indietro Kairi gli aveva detto che quando tentava di disegnarlo aveva consultato un libro a riguardo, e aveva così scoperto che il biancospino nel linguaggio dei fiori simboleggia la speranza.

Lei aveva trovato simbolico che ne avessero piantato così tanto proprio mentre lui e Riku erano da qualche parte nel mondo a fare gli eroi.

Sora trovava simbolico che il loro ritorno lo avesse ridotto così.

Quando varcò il passaggio venne messo all’erta da tremendi rumori di lotta. In un solo secondo passò in rassegna di tutto: Heartless, Nobody, Organizzazione, Malefica, persino Pietro. Corse dentro a perdifiato, con le mani che continuavano a posizionarsi in modo da far comparire il Keyblade e che si ritiravano frustrate quando niente succedeva.

Non c’era nessuno nel rifugio. Solo Riku.

Stava prendendo ancora a pugni la porta.

Sora lo chiamò, ma come poteva immaginare non servì a niente. Gli si avvicinò lentamente, come si sarebbe avvicinato ad un animale selvaggio con la zampa chiusa in una tagliola; il fatto che fosse in trappola non lo rendeva meno pericoloso, e certamente non lo rendeva più ragionevole.

"Riku…"

Nessuna risposta. Solo colpi.

Sora arrivò così vicino che il sangue gli schizzava in faccia. Lo faceva stare male. Era strano, perché da qualche tempo il dolore di Riku era il suo rifugio, il luogo dove poteva sguinzagliare il proprio e rimettergli la catena prima di tornare nel mondo reale. Adesso aveva solo una gran voglia di piangere.

Gli toccò una spalla con una mano, ma lui lo scacciò. Sora allora gli saltò sulla schiena, aggrappandosi con tutte le sue forze e gridando il suo nome come se potesse servire a farlo rinsavire, ma quando Riku lo disarcionò e lo buttò a terra, e continuò a sbattere le mani spellate contro la pietra, lui capì che non c’era niente da fare rinsavire.

Quello era Riku. Lo era sempre stato.

Davanti a questo, Sora era impotente.

Si rialzò in piedi e gridò l’unica cosa a cui era riuscito a pensare: "E’ chiusa!"

Riku continuava ad ignorarlo e a lui cominciava a tremare la voce di rabbia.

"Non puoi aprirla!"

"Sì che posso!" gli rispose finalmente.

"Nessuno può!"

Lo sentì quasi fare quel sorriso invasato e sensuale che aveva sempre quando era convinto di poter uccidere Dio, lo stesso con cui gli aveva teso la mano quando era sparito, inghiottito dalle ombre.

"E’ una di quelle maledette porte che si aprono desiderandolo, no? Col cuore e altre stronzate di questo genere."

Sora rispose amareggiato, perdendo per un attimo la voglia di fare qualcosa: "Sono quelle stronzate che ci hanno riportati a casa…"

"E le stesse stronzate mi riporteranno là."

Lui scosse forte la testa: "Riku, smettila! Kairi sta venendo qui, la spaventerai! Riku!"

"Può venire anche il Re, per quello che mi riguarda."

Sora si stava veramente arrabbiando. Si avvicinò di nuovo a lui, abbastanza da sentire l’aria che si tagliava sotto i suoi colpi, e tremando per il nervoso urlò: "Non puoi aprirla, mettitelo in quella testaccia, non puoi aprirla! Non puoi aprirla!"

Riku ringhiò solamente: "Vattene."

"Perché?!" gli afferrò disperatamente un braccio "Perché?!"

Riku cercò di toglierselo di dosso, ma lui era aggrappato così forte che dovette farlo sbattere contro al muro per fargli mollare la presa. Sora cadde sul pavimento con la testa e la schiena doloranti, ma si alzò immediatamente.

"Perché?!"

"Perché questo non è il mio posto!"

Sora sentì un tremendo dolore al cuore.

Avrebbe voluto non averglielo chiesto.

Lui lo sapeva il perché. Non avrebbe dovuto costringerlo a dirglielo.

Adesso era così vero che feriva come una lama.

"Non è vero! E’ questo il tuo posto! Ti sei solo convinto che non lo sia perché quello che hai passato là…"

Riku lo interruppe, fermandosi a riprendere fiato per un momento: "Non avrei dovuto seguirti. Avrei dovuto restare là."

Adesso Sora era veramente, veramente infuriato. Doveva solo trattenersi dal cavargli gli occhi e strappargli i capelli, e ringraziò di non poter usare la magia, altrimenti lo avrebbe carbonizzato seduta stante con un firaga. Era così arrabbiato che non riusciva nemmeno a gridare.

Gli disse a denti stretti: "Perché sei tornato, allora? Perché, stupido cretino!"

"Perché credevo che fosse quello che volevo. Ma mi sbagliavo."

"Beh, bell’errore, Riku! Lascia stare questa maledetta porta!"

In quel momento sentirono entrambi la voce preoccupata di Kairi, che distorta dall’eco nel passaggio chiedeva: "Ragazzi?"

Sora guardò Riku e lo scongiurò con gli occhi di smetterla, adesso. Lui picchiò una testata contro la porta e si fermò, con il corpo scosso dai tremiti. Sora avrebbe voluto toccarlo, ma quando allungò la mano capì che non sarebbe stato giusto, e la ritrasse.

Anche se di notte diventavano un unico cuore che batteva ad un ritmo indomabile e meraviglioso, di giorno erano lontani. E in quello, erano completamente soli.

"Che cosa state facendo?"

Kairi aveva una grande cesta di paglia tra le braccia.

Riku sibilò: "Vattene, per piacere."

"Riku!" Sora si girò verso di lei "Non dargli retta, è solo nervoso, tra un attimo…"

"Tra un attimo che cosa, Sora? Ci picchieremo? E poi? Vuoi far vedere a Kairi un bello spettacolo…?"

Sora lo bruciò con lo sguardo e indietreggiò, inquadrandolo finalmente per quello che era.

Un nemico.

"Vattene, allora…" disse tra i denti, poi alzò la voce "Vai, che cosa aspetti?!"

"Ti sembra che non ci stia provando?!"

"Vai?" s’intromise Kairi, e subito ripeté con un pigolio quasi isterico "Vai?"

Sora gridò, rivolto più a lui che non a lei, guardandolo con tanta rabbia che non ricordava quando fosse stata l’ultima volta in cui aveva desiderato così che qualcuno sparisse, che qualcosa finisse.

"Riku se ne vuole andare! Ci vuole lasciare dopo tutto quello che abbiamo fatto per ritrovarci!"

Kairi cercò subito di avvicinarsi di corsa, ma Sora le sbarrò il passaggio trattenendola con un braccio. Lei gridò il nome di Riku, incredula. Sora aveva gli occhi che bruciavano di lacrime amare.

"Vai, torna nell’oscurità! Tornaci, Riku! Sei solo un vigliacco!"

A quel punto Riku avanzò verso di loro. Lui non si mosse e rimase a prendersi un pugno in faccia che lo fece crollare a terra. Anche Kairi, che si era tenuta al suo braccio, venne spinta via; per poco non cadde, mentre il cesto che teneva si sfracellò sul pavimento. Lei lo guardò, come se decidere di raccoglierlo o meno avrebbe significato decidere del loro futuro.

Sora si alzò e colpì Riku nello stomaco. Lui lo afferrò e gli diede una ginocchiata diretta sui reni. Sora s’inginocchiò a terra e Kairi si avvicinò per aiutarlo, ma si ritrasse quando vide che stava sanguinando dalla bocca.

"Io sarei il vigliacco?" gli chiese Riku, proiettandogli addosso la sua ombra fredda e slanciata.

Sora sputò e gli sorrise: "Sì, tu."

Riku gli diede un calcio in faccia. Kairi li supplicò di smetterla e cercò di buttarsi sul suo corpo per fargli da scudo, ma quando gli fu addosso Sora la spinse via e le gridò di starne fuori.

Non le aveva mai parlato così e sperava di non doverlo fare mai più.

Lei comunque non la prese bene e invece di spaventarsi gridò: "Devo sempre starne fuori! Non sapete fare altro che tenermi fuori!" si alzò in piedi e andò da Riku, che riempì di pugni nervosi sul petto "Devo sempre stare fuori da tutto! Che cosa vuol dire che te ne vuoi andare?! Riku!"

Lui la spinse via, abbastanza forte da farla cadere, ma non da farle del male. Sora controllò da lontano che stesse bene e si rivolse di nuovo a lui: "Sei un vigliacco!"

"Io sarei il vigliacco? Svegliati, Sora! Tu vuoi che resti per te! Vuoi che resti per dimostrare al mondo quanto sei stato bravo, quanto sei stato eroico! Vuoi che rimanga perché tu vuoi essere felice!"

"E anche se fosse?! Che cosa c’è di sbagliato in questo?! Che cosa c’è di male nel voler essere felici?! Io non sono come te, io voglio essere felice!"

"Tu non sei come me, Sora, è questo il problema! Tu vorresti che io fossi come te per non sentirti in colpa per quello che sono diventato! Perché quello che vedi in me ti fa paura! Ma il motivo per cui vieni qui ogni notte è perché muori dalla voglia di essere come me!"

Sora si sentì pugnalare alla gola.

Si alzò, senza sapere che cosa volesse fare. Gli si avvicinò, ma non provò a colpirlo. Riku lo guardò con disprezzo, prendendogli i capelli con una sensualità di cui solo lui poteva essere capace in un momento del genere, e gli disse compassionevole: "Tu non sei pronto per diventare come me."

Sora cercò di guardarlo negli occhi il più freddamente possibile.

"Io almeno ho il coraggio di provare ad essere felice."

"Nascondendoti qui con me…? Usandoci come feticci di quello che è stato? Bella idea di coraggio, Sora. Bella idea di felicità. Dopotutto, forse sei diventato un mostro esattamente come me…"

"Nessuno pensa che tu sia un mostro. E se anche qualcuno lo pensasse, quei qualcuno non siamo né io né Kairi. Tu lo pensi. Ti sei convinto di essere un mostro perché così è più facile credere di non meritare di essere felice, ma tu lo meriti!"

"Io non credo."

Sora non riuscì più a restare duro e il suo sguardo si sciolse.

"Perfetto. Vattene allora. Vai a fare il mostro da solo."

"Da solo è l’unico modo in cui mi aspetto di essere."

"Lo vedi? Lo vedi?!" si allontanò bruscamente, come se stargli vicino fosse diventato pericoloso per la sua incolumità "Riku Riku e solamente Riku! Per te esiste soltanto Riku! E’ sempre e solo Riku! Perché devi sempre fare così?! Perché devi sempre comportarti come se fossi solo?!"

"Perché lo sono."

"Grazie…" mormorò Kairi in un angolo. Riku era leggermente risentito, si vedeva, ma non disse niente. Questo a Sora fece ancora più male.

"Sei un idiota. Vai al diavolo. Vai a essere solo lontano da qui. Goditi il tuo egoismo, goditi il tuo tormento, e goditi anche la tua solitudine. Io forse non sarò rimasto nell’oscurità quanto te, e non pretendo di capire che cos’hai provato. Ma se quello che è stato là è più importante che essere di nuovo a casa con noi…allora vai. Fai come se non l’avessi mai combattuta e fatti inghiottire dall’oscurità una volta per tutte. Sei solo…sei solo un vigliacco."

"Tu non sai niente della solitudine."

Sora spalancò gli occhi.

"Io non so niente della solitudine?"

Riku non gli rispose. Lui gli afferrò la maglia, strattonandolo e alzando la voce: "Ti ho cercato per due anni! Per due anni! Credi che non mi sia mai sentito solo?! Credi che non sia stato orribilmente doloroso?!"

Riku sorrise amaramente: "Bighellonare in giro col mago pasticcione e il capitano dal cuore d’oro la definisci solitudine?"

"BIGHELLONARE?" ripeté Sora con un sorriso incredulo "BIGHELLONARE?"

"Bighellonare."

"Io ti stavo cercando! Stavo cercando te! E già che c’ero scusa tanto se ho dovuto fare anche quella cosetta di salvare il mondo!"

"E il custode del Keyblade ci ricorda le sue gesta…"

"Smettila! Smettila di farmi sembrare il cattivo, smettila di farmi sembrare quello che si prendeva la gloria mentre tu soffrivi! Io volevo solamente trovarti! Volevo solamente ritornare a casa! Io ero solo esattamente quanto te, e se non ci credi allora sei tu che non sai niente della solitudine!"

Riku stava per parlare, ma la voce di Kairi li immobilizzò entrambi.

"Basta, adesso smettetela, tutti e due!"

Sora ritornò lentamente in se. La guardò, poi guardò Riku, e andò da lei. Provò ad avvicinarsi, e forse ad accarezzarle una spalla, ma lei si strinse forte il cesto al petto e si allontanò, fissandolo con una mancanza di fiducia che lo distrusse.

I suoi bellissimi occhi azzurri erano pieni di lacrime amare, e di una delusione così cocente e feroce che faceva più male di tutti i lividi che aveva sul corpo.

Sora provò a scusarsi, ma si fermò di nuovo quando lei alzò di nuovo la voce rotta dal pianto.

"Siete voi che non capite niente, la solitudine non è brandire uno stupido Keyblade!"

Buttò a terra il cestino e li guardò con disprezzo, mentre piangeva. Sapeva essere così forte e così fragile insieme…loro due non lo avevano mai imparato.

"Mi avete tagliata fuori da tutto! Sono rimasta qui ad aspettarvi! Sono venuta a cercarvi, vi ho ritrovati, e per che cosa?! Per questo?!" diede un calcio al cestino, che si aprì, rovesciando a terra due frutti di Paopu "Allora andatevene! Siete solo dei macellai! Andatevene tutti e due! Tornatevene ai vostri viaggi, tornatevene alle vostre avventure, alle vostre missioni e alla vostra oscurità! Andate a fare gli eroi! Andate a spaccare teste con le vostre chiavi giganti e sparite per sempre dalla mia vita!"

Aveva gridato con così tanta voce che il suo pianto era diventato muto. Ma Kairi era così, non lasciava mai che le lacrime si mettessero tra lei e quello che voleva dire. Non sapeva piangere per ricatto, né per risolvere i problemi, anche se in quel momento sarebbe stata la cosa più facile per tutti.

Invece di aspettare che la compassione stemperasse gli animi, tirò su col naso un’ultima volta e se ne andò. Non di corsa, ma con un passo svelto, e dignitoso…da vera principessa.

Sora si sentì come se non avesse mai capito niente.

Come se niente di tutto quello che aveva fatto fosse stato giusto.

…come aveva potuto credere che Kairi non capisse…?

Si rendeva conto solo in quel momento che non solo lei aveva capito, aveva capito tutto quanto, ma che li aveva anche perdonati. Ogni singolo giorno, da quando erano tornati, lei li aveva perdonati.

Aveva perdonato le loro stranezze, i loro silenzi, il loro ostinato chiudersi dentro una noce di ricordi, rimpiangendo cose che non avrebbero meritato di essere rimpiante.

Li aveva sempre perdonati, e avrebbe continuato a perdonarli se solo loro avessero provato a fare qualcosa per uscirne, se non avessero permesso che quello che avevano sempre sognato infine distruggesse le loro vite.

…ma loro non avevano capito niente…

Erano soli, adesso, con la loro ridicola insensibilità.

Sora poteva anche maneggiare due Keyblade contemporaneamente, ma il cuore di Kairi…quello lo aveva fatto cadere così stupidamente. Proprio lui, che lo aveva addirittura tenuto dentro di se…

La prima cosa che riuscì a dire fu solo "guarda cos’hai fatto" rivolto a Riku, che si guardava le mani sanguinanti.

Lui gli rispose dopo un po’: "…uno come me può fare solo questo genere di cose…"

Allora Sora si avvicinò lentamente.

Gli prese le mani e se le avvolse nella maglietta, il più delicatamente possibile, per non fargli più male del necessario. Lo guardò con una rabbia triste e sconsolata, piena di amore.

"Sei uno stupido…"

Gli prese una mano e se la posò sulla guancia. Sentiva il suo sangue appiccicoso e caldo.

"Sei uno stupido…"

Si sforzò di non lasciare andare la tensione tutta insieme e scoppiare a piangere. L’aveva già fatto una volta, e non era stata la migliore delle sue dimostrazioni di coraggio.

"Sei uno stupido…"

Riku gli sussurrò dolcemente: "Lo so…"

Sora appoggiò la fronte contro il suo petto e si riempì i polmoni del suo profumo.

Non sentiva solo l’odore della battaglia, adesso. Riku profumava anche di sale e di onde del mare. Di lunghe corse sulla spiaggia e del Paopu dolcissimo riscaldato dal sole.

All’improvviso era come se le scintille del Keyblade si fossero spente, e lui poteva finalmente guardarsi intorno con estrema chiarezza.

Erano ritornati a casa.

Lo abbracciò con trasporto, e una triste, nostalgica dolcezza. Quando alzò gli occhi, lui gli sorrise come se si fossero appena ritrovati.

Sora strinse un lembo della sua maglia tra le mani e si allontanò.

"…dobbiamo trovare Kairi."

Riku annuì.

Uscirono insieme dal rifugio e Kairi era lì. Davanti alla cascata, con le ginocchia rannicchiate al petto, in mezzo ai biancospini come un animaletto in cerca di rifugio dalla pioggia.

Sora si avvicinò, timoroso di farle male anche solo così. Cercò di pulirsi la guancia dal sangue di Riku per non turbarla, ma poi capì che quella era la cosa più bella che potesse mostrarle. Si inginocchiò davanti a lei e le accarezzò i capelli. Appena si mosse, lei si buttò tra le sue braccia e gli disse che era uno stupido. Lui guardò Riku, poi sorrise, stringendo la sua vita sottilissima "Lo so…"

Aspettò un attimo che si calmasse, ma come sempre era lui il più scosso di tutti.

"…credevamo che te ne fossi andata…"

Lei sorrise, rilassata: "Stavo aspettando che veniste a cercarmi. E infatti siete venuti…"

"Certo che siamo venuti…"

Sora sentì alle sua spalle Riku che si faceva spazio tra i rami, e vide la sua ombra che tornava nel rifugio. Gli dispiaceva, ma aveva altre priorità al momento.

Fu invece Kairi che, sorprendendolo ancora una volta, si buttò a terra come un giocatore di baseball, e gli si aggrappò alla gamba. Riku sobbalzò spaventato. Aveva fatto sobbalzare Riku! Il poveretto non sapeva cosa fare, e siccome solo facendo un passo l’aveva strisciata di mezzo metro si era subito chinato a soccorrerla, riempiendola di domande su come stesse e ripetendole che era una scema, non ci si butta in mezzo ai piedi della gente, specialmente di quella alta il triplo di te. Sora rise allegramente, guardandoli.

Kairi si mise a sedere da sola, come una bambina orgogliosa. Aveva le ginocchia sbucciate.

"Non te ne andare" gli disse, a metà strada tra una supplica e un ordine. Lui fece per rispondere, ma lei glielo impedì: "Non te ne andare!"

Sora ne approfittò e si inginocchiò accanto a lei.

"Smettila di fare l’idiota, il tuo posto è qui con noi!"

"Lo è sempre stato e lo sarà sempre!"

"Anche se sei odioso!"

Kairi rise, e rise anche Riku.

Sora non sapeva quale dei due avesse la risata più bella, ma a lui sembrava che avessero entrambi la più stupenda risata di tutto il mondo. Quando ridevano insieme, poi, era come svegliarsi bene alla mattina.

Era essere completo.

Per fortuna, nessuno gli avrebbe mai chiesto di scegliere una sola di quelle risate.

Riku chiuse gli occhi e sospirò: "Quanto siete insistenti. Dovevo buttarvi in mare quando ero ancora in tempo…"

Kairi lo abbracciò, poi afferrò Sora e lo costrinse ad un abbraccio di gruppo. Lui sul subito pensò di dover dire qualcosa per sdrammatizzare, ed essere così all’altezza di Riku che sicuramente avrebbe fatto il superiore. Invece lui se lo strinse al petto, senza nessuna esitazione. Li strinse entrambi.

Il profumo dei fiori legava dolcemente l’odore eccitante della sua pelle e quello vanigliato dei capelli di Kairi, e Sora capì che non c’era niente che potesse o dovesse fare.

Essere se stesso, in quel momento, era in assoluto la fortuna più grande che la vita gli avesse concesso.

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Capitolo 9
*** Speranza ***


Speranza

Speranza

Erano seduti vicini nel rifugio, a dividersi un Paopu intinto nella cioccolata calda. Non era ancora molto tardi, e la fiamma sotto il padellino bastava a fare da illuminazione.

Kairi si stava mettendo in bocca un pezzetto di frutto infilzato nel bastoncino, ma questo scivolò via, cadendole sulla gonna e sporcandole le labbra di cioccolato.

Riku sospirò e si lamentò perché gli sembrava di dover fare la balia a due mocciosi, Sora invece sorrise e le diede un bacio. Quando si allontanò appena lei gli si avvicinò di nuovo e gliene diede un altro, un bacino a stampo, che era assolutamente perfetto per le sue labbra piccole che assumevano, in quei momenti, una deliziosa forma a cuoricino.

Al terzo bacetto Riku parlò tra se e se: "Fate pure con calma, io intanto mangio…"

Sora rise contro le labbra di Kairi, si girò e diede un piccolo morso a quelle di lui, per poi baciarle con gioia infantile.

Ovviamente calò il silenzio, finché Kairi non disse, in una mezza risatina: "Ok, questo è strano."

Riku scrollò le spalle: "No, per il grande Signore del Doppio gioco è perfettamente normale."

"Non faccio il doppio gioco!"

"No, certo. Chi lo avrebbe mai detto che dentro l’acino d’uva nella tua testa si nascondesse un minuscolo genio del crimine."

Sora gli schiacciò la caviglia con un tallone, poi si appoggiò con la schiena contro il muro e dichiarò solennemente: "Io vi amo moltissimo. Sarebbe strano se pretendessi di fare una distinzione."

Riku fece un leggero sogghigno: "Sì, certo, adesso guarda che gira e rigira diventa persino una cosa nobile."

"Non ho detto che è nobile, ho detto che è così e basta" borbottò spazientito, poi infilzò con forza un frutto nel bastoncino e lo ficcò nel cioccolato. Riku gli prese la mano e si mise lo spicchio in bocca. Poi gli avvicinò la testa con una mano e lo baciò. Un bacio con la bocca aperta e tutta la lingua, questa volta, profondamente intimo. Invece di inibirlo, Sora si rese conto che la presenza di Kairi lo eccitava. Non che ne fosse troppo fiero, comunque. A quel punto, però, gli suonò un campanello, e all’improvviso pensò che forse, vagamente e molto lontanamente, Kairi potesse avere qualche perplessità sulla faccenda. Si staccò bruscamente da Riku e si girò verso di lei, agitando le mani e sentendosi in dovere di dare una spiegazione, quindi cominciò: "Senti Kairi, come ho appena detto io vi amo tutti e due, quindi…"

Kairi lo interruppe: "Sì, tutto questo è molto bello, Sora, sono perfettamente d’accordo con te, solo che c’è una cosa che non mi torna."

"Che cosa?"

"Perché tu puoi baciare Riku e io no?" –e fece un buffo faccino dispiaciuto.

Riku, neanche a dirlo, concordò animatamente e le prese un polso per tirarsela vicina, e Sora si mise in mezzo, sbracciando e impedendo con tutte le sue forze che attuassero i loro malvagi propositi.

"Nooo, che fate, non potete!"

"Perché no?" gli chiese Kairi, facendo l’ingenua, mentre era praticamente mezza sdraiata sulle sue gambe e mezza su quelle di Riku, che lo prese in giro "Guarda che noi ti amiamo moltissimo, ma non possiamo mica fare distinzioni."

Sora continuò a lagnarsi come un bambino ostinato: "Non poteteeee!"

"Che pena, hai proprio la sindrome del protagonista…" osservò Riku, e Kairi disse: "Su, non essere egoista".

Sora cominciava solo adesso a capire i risvolti criminali di cui aveva parlato Riku, e a trovare le falle nel suo piano perfetto. Tuttavia, quando dopo gli sguardi beffardi in sua direzione le labbra belle e delicate di Kairi si unirono in modo quasi casto a quelle carnose e sensuali di Riku, scoprì con immensa sorpresa che non gli dava poi tanto fastidio. Al contrario, gli sembrava legittimo. E bello.

Quando si baciarono di nuovo, in modo più impegnativo, Sora tirò la maglia di Riku come un bimbo lasciato in disparte, e lui si separò da Kairi per baciarlo. Nella sua bocca gli sembrò quasi di sentire il sapore di entrambi. Poi anche lei gli diede un lungo bacio, mentre Riku gli grattava la nuca con le dita e gli mordicchiava possessivamente il collo.

Santo Cielo.

Era troppo per il suo povero cuore.

Continuarono a baciarsi a vicenda, in un silenzio quasi sacro. Il profumo della cioccolata che ribolliva rendeva più languido e confortante l’ambiente, mentre lentamente Sora perdeva il controllo delle sue stesse sensazioni.

Dovevano essere quasi le due quando Kairi, che aveva i ritmi di una persona normale, si addormentò.

Riku gli propose di fare sesso per passare il tempo, ma la cosa era infattibile perché Kairi non solo era miracolosamente riuscita a mettersi in modo da bloccare l’accesso alle parti coinvolte, ma aveva anche il sonno piuttosto leggero, e nessuno dei due voleva prendersi la responsabilità di rischiare che si svegliasse e venisse sconvolta dai loro incontri cruenti. Così rimasero a mangiare Paopu e cioccolata, baciandosi e infliggendosi piccole torture, dai morsi ai bastoncini appuntiti conficcati nel torace.

Molto tempo dopo, quando Sora cominciava ad avere un po’ di sonno (mentre per il fuso orario di Riku era giusto sera), Kairi aprì gli occhi e li salutò con due mani. Una per uno. Poi chiese che ore fossero. Riku guardò fuori e disse che probabilmente erano le quattro passate. Lei allora si sfregò gli occhi, più vitale: "Tra un po’ allora albeggia. Andiamo a vedere?"

Sora annuì subito e aspettò la risposta di Riku -che sembrò non dover arrivare mai, finché non sbuffò: "E luce sia!"

Lui e Kairi ebbero un puro momento di giubilo e lo abbracciarono, poi si abbracciarono anche tra di loro, giusto per non farsi mancare niente. Lei li prese per mano e uscirono.

Subito Riku sbottò: "Ma allora sono questi cosi a puzzare così al mattino!"

"Sono fiori, non possono puzzare!" contestò Kairi, accarezzandoli simbolicamente come per consolali dall’offesa subita.

Sora disse, alzando le spalle: "Beh, ti ci dovrai abituare" e si chiese se lui si sarebbe abituato mai. Alla sua vecchia vita che diventava nuova. A tutte le cose che erano cambiate, e anche a quelle che sarebbero rimaste sempre le stesse. Mentre Riku prendeva a calci il cespuglio, e Kairi ne strappava un rametto per metterselo tra i capelli, era sicuro di sì.

Non vedeva il mare con tutti e due da così tanto tempo che quasi si commosse.

Andarono sotto l’albero di Paopu e si sedettero, lui tra le gambe di Riku, e Kairi tra le sue. In realtà Kairi si riaddormentò subito, ma non importava. La tenne stretta tra le braccia, pensando che ne era valsa la pena.

Era valsa la pena di tutto.

Quando il primo spicchio di sole si affacciò sopra al mare la chiamò pianissimo all’orecchio, per non spaventarla. Lei sbatté gli occhi, dapprima confusa, poi si svegliò, e la prima cosa che fece fu girarsi e guardare Riku. Anche Sora lo fece, ma lui non se ne accorse, perso com’era nella silenziosa contemplazione dell’orizzonte. Ma sembrava sereno, e questo era l’importante.

Quando Kairi si riaddormentò Riku le accarezzò la testa, mentre dava un bacio alla sua.

Sora prese il rametto di biancospino dai capelli di lei e se lo mise nella tasca dei pantaloni, insieme al talismano. Poi si abbandonò completamente contro il petto di Riku e si addormentò, respirando tranquillamente il loro profumo.

Adesso sapeva che qualsiasi fosse successa, quello sarebbe rimasto sempre il suo mondo.

Un mondo dove l’oscurità e la luce danzavano nel palmo della sua mano.

***

Note incoerenti dell’autrice

Yeah! Altri tre giorni, altre trenta pagine! Sta diventando un’inquietante costante ò_o Magari gli astri cercano di dirmi che il 30 di marzo morirò, lol (…).

Comunque che palle ste one-shots lunghissime XD Ma almeno c’è una storia, non sono cinque pagine di pippe mentali del personaggio che riflette sui suoi pensieri (che cosa contorta, poi, riflettere sui propri pensieri), quindi va bene.

Che dire di Hidamari (che, tra parentesi, significa luogo soleggiato)?

Amo Kingdom Hearts <3 Amo Riku e Sora <3 Amo Sora e Kairi <3 Amo anche Kairi e Riku <3 ma, cosa che è stata ben più decisiva, amo i rapporti triangolari (penso che chi mi sleggiucchia ogni tanto l’abbia notato XD Vedere "Non sono un angelo" su Final Fantasy VII per credere). Per quanto mi riguarda la situazione tra questi tre e talmente ambigua da questo punto di vista (nel senso più puro del termine, poi: Sora è chiaramente innamorato di Kairi, ma è altrettanto chiaramente innamorato di Riku, anche se in termini meno dichiaratamente romantici –anche perché Nomura è un paraculo), che era un esplicito invito a finire FINALMENTE con un bel menage-a-trois *_*/

E qui vi farete la domanda legittima: la lemon di gruppo?

Oh-yes <3! Però la storia era già lunga e sarebbe stata obbiettivamente inutile XD Quindi me la sono evitata, anche perché per quello che avevo in mente avrei dovuto far passare del tempo (narrativo, dico) e mi avrebbe sballato i tempi, che volevano essere invece brevi (il tutto si svolge in poco più di un mese). Senza contare che volevo restare quanto più possibile in canon (quanto più possibile, leggasi: KH è un gioco dove si uccidono i cattivi con la forza dell’amore, accidenti, quanto puoi restare in canon a una cosa del genere?!), e con la storia del "passò un po’ di tempo" è facile scanonizzarsi.

Detto questo, penso che la farò a parte è_é/ tanto una storiella zozza non si rifiuta mai, è come il caffè.

Questa volta non ho dediche da dispensare, quindi la dedico a me stessa e alla mia passione (platonica) per il menage-a-trois <3

Questa è la prima storia che scrivo per il theme set 35 Flowers della writing community True Colors <3 I personaggi su cui ho fatto claim sono appunto Riku, Kairi e Sora, quindi dovrete vedere come minimo altre quattordici storie scritte da me su di loro: abbiate molta pazienza XD Pubblicherò le storie dei 35 Flowers prima lì, quindi se vi rotolate nel vostro letto nella spasmodica attesa di leggere altre duecento inutili pagine della sottoscritta, passate prima da lì (e scaricatevi Veronica Mars, rifinitevi Kingdom Hearts, non so, ma fate qualcosa). Inutile dire che se scrivete, dovete assolutamente aderire >_<

…ok, ho finito *_*/
Vi cito solo la colpevole del rating che dice in una mail
: "[...] R (cazzo, sono due ragazzini che si scazzottano e un tribacio, alla fine,
non osare piazzarci un rating superiore XD) [...]
"
Blame lisachan!!

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