A year after

di Eternal_Blizzard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** September_Hurry up ***
Capitolo 2: *** October_Una lattina di distanza ***



Capitolo 1
*** September_Hurry up ***


.Settembre_Hurry up
«Ichinose! Scendi o faremo tardi!» lo chiamò Domon, mentre con il dito indice non si decideva a lasciare il pulsante del citofono di casa dell’amico. «Oddio, non è che se n’è andato senza di me..?» si allarmò, togliendo il dito dal bottone per grattarsi la testa, ma sentì il portone dietro di sé che si apriva, scricchiolante. Si voltò e sorrise.
«Domon. No, non me ne sono andato, ma per favore non trucidare più il mio citofono…» lo supplicò, sistemandosi meglio una scarpa che non era riuscito a mettersi decentemente per via della frettolosa corsa sulle scale, luogo che quella mattina gli avevano fatto da camerino. «Se non sono in ordine, è colpa tua» lo rimproverò giocosamente, facendo una finta espressione scocciata. Il ragazzo dai capelli argentati gli passò rapidamente una mano sulla frangetta, sistemandogliela e lo ammonì a sua volta, avviandosi.
«Se tu ti fossi svegliato in tempo» iniziò, «non l’avrei fatto, lo sai» terminò, lanciando un’altra occhiata all’amico. Notando che aveva un’orrida piega al lato della giacca gliela tirò svelto, facendo sì che si stirasse.
«Che fai? Sei peggio di mia madre!» ridacchiò Ichinose, liberandosi delle premure dell’amico. «Comunque, non capisco perché stamattina hai tutta questa fretta…» ammise, inarcando un sopracciglio.
«In prima ora ho un compito in classe importantissimo. Se lo salto o perdo tempo sono fregato» spiegò allungando il passo. Ichinose accelerò insieme a lui, affiancandoglisi e guardandolo perplesso. Alla silenziosa ma eloquente occhiata del castano, Domon sospirò, grattandosi il mento. «Il prossimo non potrò farlo perché avrò una visita medica. Il prof ha detto che l’alternativa era interrogarmi, ma quando interroga è impossibile prendere la sufficienza» spiegò e vide l’altro annuire.
«Capito. Materia?» chiese estraendo un paio di merendine dallo zaino ed iniziando a mangiarne una. Porse l’altra al compagno, senza togliere la sua dai denti. Quello fece cenno di no col capo.
«Matematica» si limitò a dire e l’altro scosse la testa.
«Ahia…» replicò, riponendo la merendina nello zaino e finendo in silenzio quella che non aveva mai tolto dalla bocca. Da quel momento, per quasi tutto il tragitto calò il silenzio, finché Ichinose non si voltò a fissare Domon. «A che pensi?» gli chiese, storcendo le labbra. Il ragazzo dai capelli argentati aveva un’espressione vagamente allarmata, ma si distese leggermente quando la domanda dell’amico lo riportò sulla Terra.
«A matematica, che altro?» sbuffò, ripensando a tutto quello fatto in quel mese di scuola. «Tu?» chiese di rimando senza nemmeno pensarci troppo. La sua attenzione fu attirata dalle spallucce fatte da Ichinose. «Endou e compagnia. In Giappone quand’è che inizia la scuola? Primavera o ricordo male?» ponderò, alzando lo sguardo al cielo ed aggrottando le sopracciglia. «Mi chiedo come stiano… Avranno un club di calcio? Oppure Endou dovrà fondarne uno suo come ha fatto alla Raimon?» continuò, abbassando gli occhi in terra, sorridendo al pensiero dell’amico giapponese che, scoprendo l’assenza di un club di calcio al suo liceo, si sarebbe lanciato in un’impresa folle pur di crearlo. O di cambiare liceo, se necessario. Il volto di Domon addolcì l’espressione, guardando a sua volta verso le poche nuvole bianche presenti in cielo, come poco prima aveva fatto il più basso dei due.
«Mancano anche a te, eh? Beh, pensa che presto saremo in vacanza e voleremo dritti dritti in Giappone, per rivederli e giocare altre sensazionali partite di calcio!» sorrise all’idea. «Già…» socchiuse gli occhi e a quel punto, Ichinose ruppe l’atmosfera leggermente ovattata che si era creata con una risata cristallina.
«Oddio, ora non te ne uscirai con quelle frasi melense tipo “ci basterà guardare lo stesso cielo”, vero?» rise ancora. In effetti gli sembrava che l’amico dovesse dirlo da un momento all’altro, ma così non fu. Con un lieve rossore delle gote, il più alto sospirò, facendo il finto offeso.
«Sei scemo o cosa? Non avrei mai detto una cosa del genere. E poi, non è lo stesso cielo, ma le stelle o la luna» rettificò, piccato. L’altro agitò una mano all’aria e poi indicò un punto avanti a sé, mantenendo il sorriso. Domon lanciò l’occhio di fronte a loro e notò che a pochi metri camminavano Mark e Dylan, quindi agitò una mano e richiamò la loro attenzione, così che li aspettassero. Una volta raggiunti ripresero a camminare come se nulla fosse. Dopo pochi attimi però Dylan s’illuminò, iniziando a frugare nella tasca esterna della borsa di Ichinose, che gliela sottrasse.
«Scusami?» inarcò un sopracciglio mentre si allontanava, così da usare Mark e Domon come divisorio. «Oh, scusa, è che volevo vedere se ti era avanzata una merendina, dato che la mattina ne mangi due» ridacchiò, alzando una mano ed una spalla, come fosse normale. «Sai, non ho fatto colazione» spiegò. Dopo un’altra occhiatina perplessa, il castano prese il dolcetto e glielo lanciò.
«Sei fortunato che oggi non l’abbia mangiata» gli sorrise e l’altro ringraziò con un euforico “thank you!”. «Ah, Mark! Domon mi ha detto che avete un compito in classe in prima ora. Sei preparato?» domandò e l’altro fece un piccolo scatto con il capo, guardando il compagno di squadra con aria interrogativa.
«Preparato sono preparato, ma… Il compito è in terza ora, non prima» dichiarò con un sorriso di scherno. «Ah, no, Mark» si intromise il più alto dei quattro. «L’hanno detto il giorno dopo a ricreazione. Matematica e letteratura scambiavano l’ora» gli ricordò, ma il biondo scosse il capo.
«No, me lo ricorderei. Dov’ero io, scusa?»
«E che ne so? Mi pare Dylan ti avesse trascinato fuori, ma potrei anche sbagliarmi…» si grattò la testa. Il compagno di classe lo guardò interdetto e fece per porgli un’altra domanda, ma optò per il guardare storto Dylan ed infine afferrare Domon per la manica.
«D’accordo. Urge un ripasso svelto. Vi spiace se facciamo un corsa in classe e ci vediamo dopo?» domandò a Dylan e Ichinose, che scosse il capo mentre Domon si chiedeva perché dovesse venire coinvolto nella corsa a scuola. «Bene, a dopo!» salutò, iniziando a correre e trascinando via anche l’altro.
«In bocca al lupo!» gli gridò dietro Ichinose, salutando con un ampio gesto del braccio e poi avvicinandosi la mano alla bocca. «Ah, Domon, devi chiamare Aki, più tar…» il tono man mano si affievolì. Ormai erano andati. «Mah, glielo dirò dopo…» fece spallucce, sentendo in seguito il braccio di Dylan che gli cingeva il collo e lo avvicinava a sé.
«Kazuya, che ne dici se andiamo a fare colazione decentemente?» propose sornione, alzando un pollice come se quel semplice gesto potesse convincerlo. L’altro guardò l’orologio e scosse il capo.
«In prima abbiamo chimica e tu dovresti seguirla…» rimproverò, togliendosi il suo braccio di dosso. «Oh, come on!» sbuffò il biondo, alzando entrambe le mani. «Scuola è iniziata da un mese, ho solo un impreparato! E poi male che vada mi aiutate tu, Mark o Domon! Dai, andiamo!» insistette, tirando l’amico per la mano. Quando Dylan ci si metteva, era piuttosto difficile dirgli di no, come diavolo faceva Mark a tenerlo a bada? Misteri della vita, probabilmente. Rassegnato all’idea, Ichinose annuì, facendo spalancare ancor di più il sorriso che Dylan non si toglieva mai dal volto. «Good! Muoviamoci, che muoio di fame!» riprese a trascinarlo. «Hurry up, Kazuya!»


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E rieccomi qua! La cosa divertente? Non so scrivere slice of life! <3 Eppure eccone una. Premetto che è la prima volta che ne scrivo una (anche se, sotto consiglio di una tipa, ho messo "slice of life" anche tra i generi della mia fic sul funerale di Kageyama, ma shhh), quindi non assicuro il risultato...
Alluor, questa sarà una raccolta di dodici fic, una per ogni mese, su diversi (ma manco tropp- cioè, volevo smistare i pg, ma mi sono divisa tutti i mesi e chi ci "appare" e... beh alcuni dsi ripetono, togliendo la possibilità di apparire ad altri .__.) dicevo, su diversi pg che... vivono. Tulipanamente (sinonimo si shallamente o tranquillamente. Scusatemi, ma da quando l'ho ideato e una mia amica gli ha dato un senso (?) dovevo ancora usarlo ed ora era il moemnto miglior-). Bene, spero di riuscire a fare qualcosa di decente. Ho anche già scritto ottobre, ma lo pubblico domani così per far finta di nulla, che oa finisoc alter shot.
Ah, il titolo chiedo venia ma fa schifo. Non so trovare titoli decenti se non ai saggi brevi, ahimè. L'ho chiamato così, comuqnue, non tanto per la frase finale di Dylan, ma più per Domon e Mark, credo. ...non mi capsico manco io. :I
Vabbè, spero vi sia piaciuta e vogliate lasciare qualche commento o critica! ><

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Capitolo 2
*** October_Una lattina di distanza ***


.Ottobre_Ad una lattina di distanza
Era irritante stare seduti così, su quella dannata panchina in silenzio. Si erano incontrati per strada un quarto d’ora prima, per caso, e si erano messi a parlare del più e del meno – o meglio, Genda ci si era messo – e poi dopo le solite frasette scontate del “ma come stai?-bene, tu?” era calato il silenzio.
«E insomma…» lo ruppe Genda, dando un calcetto all’aria e spostando lo sguardo sulle nuvole grigie che iniziavano ad avvicinarsi nel cielo di Tokyo. Si voltò a guardare il ragazzo accanto a lui vagamente perplesso ed inclinò la testa di lato. «Beh, non ci vediamo da due e più mesi e non mi racconti nulla?» gli domandò, ridacchiando, ma non ottenne risposta. Aspettò qualche istante, magari stava riflettendo su cosa dirgli, ma anche dopo diversi minuti il suo ex compagno di squadra non sembrava intenzionato a parlare. Rise ancora, avvicinando una mano alle cuffie che il ragazzo indossava e fece per togliergliele. «Cos’è, sono accese e non mi senti?» domandò allegro, ma rimase basito quando ricevette uno schiaffo sulla mano, appena afferrato l’oggetto.
«Non le toccare» disse il ragazzo più giovane, buio. «Sono spente, quindi non toccarle» ripeté.
«Ah… sono spente..?» ribadì anche Genda, poco convinto. «E allora come mai non mi rispondi, Narukami?» chiese, storcendo le labbra. Ancora silenzio. «Ti sto infastidendo, vero?» si alzò, con un sospiro. Ritrovò il sorriso, leggermente imbarazzato e ridacchiò ancora, salutando con un cenno della mano. Narukami spalancò gli occhi, puntati in terra, ed alzò rapido lo sguardo sull’altro ragazzo.
«Aspetta, che fai?! Te ne stai andando?» sussultò, alzandosi in piedi a sua volta. Diavolo, si erano appena incontrati, non poteva lasciarlo lì come un baccalà! Genda si fermò, grattandosi la testa.
«Certo che me ne vado. Ci siamo incontrati e tu non hai spiccicato parola, mentre io chiacchieravo come se nulla fosse. Evidentemente volevi stare solo o avevi da fare, ti ho disturbato, no?» domandò retorico.
«No che non mi hai disturbato!» replicò svelto l’altro, aggrottando le sopracciglia.
«Quindi vuoi che resti o cosa?» chiese ancora Genda, vagamente confuso. L’altro espirò pesantemente dal naso, voltando lo sguardo e stringendo pugni e labbra. Insomma, non è che volesse che lui rimanesse lì o chissà che, però nemmeno poteva andarsene come nulla fosse. O no? Non ebbe tempo di domandarsi altro che sentì la mano dell’ex senpai posarsi sulla sua testa, mentre quello si piegava in modo da far coincidere l’altezza dei loro occhi. «Sei strano. Di solito sei sempre allegro, ma oggi mi pari nervoso. Che hai?» indagò mostrandogli il suo solito sorriso amichevole. Narukami spostò le iridi così da poter vedere la sua espressione, ma poi le fece tornare al punto di partenza. Annuendo, Genda tornò in posizione eretta e puntò sguardo e dito su un distributore a pochi metri da loro. «Ti va di parlarmene di fronte ad una bibita?» tentò, sbirciando poi in attesa di una reazione dal ragazzo, che annuì, vago. Soddisfatto del risultato ottenuto, Genda gli fece strada fino al distributore e si prese una lattina di cola al limone con sopra disegnato un pinguino circondato da cubetti di ghiaccio. Prima che potesse offrirla anche all’amico, quello ne prese una identica con noncuranza. Genda sgranò gli occhi. «Anche tu la bevi? Pensavo che io e Sakuma fossimo gli unici!» rise. Tutti la trovavano troppo aspra, ma a loro piaceva – a parte per il pinguino, ovvio. Addirittura per Kidou era troppo forte. Narukami sbatté diverse volte le palpebre fissando prima Genda, poi le due lattine e così via per diverse volte.
«Ah. Non ci avevo fatto caso. Sì, cioè, mi piace» farfugliò. «L’hanno messa in commercio da un mesetto, ma ne sono già drogato» ammise, aprendo la lattina e bevendo un sorso. Genda rise, concordando con lui e riguidandolo verso la panchina. Era il momento di parlare, così Narukami, dopo un altro sorso, si fece coraggio e respirò profondamene, per poi buttare fuori l’aria. «Niente, sono arrabbiato» dichiarò.
«Ok» annuì Genda, che alzò le sopracciglia, guardandolo. «Con chi o perché..?» cercò di farlo continuare, ma quello parve contrariato. Decise di desistere, ma proprio mentre riavvicinava la sua lattina alle labbra, Narukami riprese a parlare, guardando per aria.
«Lo sono con quasi tutti, adesso. Me compreso» iniziò, guardandolo. «Sai, il fatto è che quest’anno, con la vostra entrata al liceo è tutto così diverso… Principalmente sono arrabbiato per questo» bofonchiò.
«Non credo di capire…» scosse il capo Genda. «Cos’è che ti fa rabbia, scusa? Che intendi per cambiato?»
«Il fatto che la squadra non è più la stessa!» sbottò. «Detto sinceramente mi aveva dato fastidio già a suo tempo il fatto che il capitano Kidou ci avesse lasciati per la Raimon, ma adesso con il vostro diploma siamo rimasti in tre. Insomma, tutti voi senpai eravate importanti per la squadra…» spiegò, aggrottando le sopracciglia e stringendo il pugno vuoto.
«Tutto qui? Narukami, tu sei troppo intelligente per mettere il broncio solo perché i membri della squadra si sono diplomati…» brontolò Genda, poggiando i gomiti sulle ginocchia e guardandolo di sbieco. Un brontolio sordo uscì dal petto del ragazzo con i capelli lilla mentre agitava leggermente la lattina che teneva in mano. «Ma se non vuoi parlarne non sarò certo io a costringerti» gli sorrise, spostando poi lo sguardo sulla sua lattina ormai vuota. «Anche se in realtà, quando ti ho visto che sei uscito da scuola ridevi di gusto…» rifletté alzando gli occhi. «Ti sei rabbuiato dopo il mio arrivo, davvero non ti do fastidio?» richiese, ma il ragazzo scosse il capo con veemenza.
«Certo che no!» strillò svelto, drizzandosi, ma poi si riaccasciò sulla panca. «No davvero, scusami se ti ho dato l’impressione sbagliata… sarò sincero. Il fatto è che mi mancate!» ammise. «Tu sei in classe con Sakuma, Kidou è nella stessa scuola dell’ex attaccante della Raimon, Banjou, Oono e Jimon stanno sempre insieme… La Teikoku non è più la stessa! Anche perché Ena ha lasciato il club di calcio, quindi siamo rimasti in due… Mi sento solo» bofonchiò mogio, stringendo ed allentando la presa sul contenitore della bibita.
«Parli di te e Doumen? Dov’è il problema?» gli passò una mano tra i capelli, spettinandoglieli. «Fate le nostre veci! Da bravi senpai, guidate i nuovi membri fino alla vittoria!» si raccomandò entusiasta. «Anche perché… Non vorrete far vincere la Raimon anche quest’anno, vero?» incupì il tono, scherzoso.
«Beh, Zeus permettendo, certo che no! Anzi, vinceremo anche contro la Zeus, tranquillo!» replicò sicuro Narukami, per poi sorridere sincero. Genda ricambiò.
«Beh, era solo questo a darti pena? Il mio arrivo ti ha fatto pensare solo a quello?» volle accertarsi il ragazzo più grande ed infatti non aveva tutti i torti: l’altro scosse il capo, gonfiando un poco le guance.
«No. Mi da fastidio un’altra cosa, sempre legata a voi diplomati. Hai ragione che adesso noi porteremo la squadra in alto anche senza di voi, ve lo dobbiamo, ma…» si fermò qualche istante, riflettendo su come fosse meglio parlare, per poi proseguire: «Sia Doumen che Ena non parlano mai di voi! Mi spiego, non sembra che sentano molto la vostra mancanza e io lo trovo inaccettabile! Noi eravamo la mitica Teikoku, abbiamo passato tantissimi momenti importanti insieme! La ribellione a Kageyama dove la mettiamo?» insistette. «Senza di voi la scuola… sì, ecco, la vedo vuota» concluse. Il liceale non rispose immediatamente, dando così modo all’altro di riflettere su ciò che aveva appena detto, facendolo avvampare. Che imbarazzo, era raro si aprisse così..! Continuando a rimanere in silenzio, l’ex portiere si alzò dalla panchina e fece cadere a terra la lattina. Narukami seguì i suoi movimenti con lo sguardo, ma si ritrovò costretto ad inarcare un sopracciglio, non capendo cosa stessa facendo il compagno. Fu in quel momento che gli fece cenno col dito di alzarsi a sua volta, allontanandosi di un paio di metri.
«Calciala» ordinò indicando l’oggetto a terra. Narukami guardò entrambi.
«Scusami?»
«Calciala!» ribadì, imitando stavolta il gesto che aveva detto di compiere. L’altro, titubante, eseguì senza staccare gli occhi di dosso al suo interlocutore, facendo avanzare la lattina di qualche centimetro. Genda scosse il capo. «Cos’era quello? Ho detto “calciala”, mica “accarezzala”!» sbuffò, così l’altro, dopo un sospiro ed una grattata di naso, calciò con potenza, facendo volare l’oggetto più indietro del portiere. Quello, con fare vago, indietreggiò fino a trovarsi accanto alla cosa tirata, come se gli fosse atterrata accanto e la indicò trionfante. «Visto quanto siamo vicini?» domandò.
«…no, non… non ti seguo, Genda» ammise il violetto, avvicinandosi all’altro, che indicò un edificio alle sue spalle.
«Quello è il liceo che frequentiamo io e Sakuma. Si vede da qui, è bello vicino. Poco più giù c’è quello di Kidou, quindi vedi che possiamo vederci e stare insieme come alle medie quando e quanto vogliamo! Siamo solo ad una lattina di distanza!» affermò con allegria. Il viola rabbrividì.
«Ma dici sul serio?» lo fissò interdetto qualche secondo, ma poi scoppiò a ridere. «”Una lattina di distanza”?! Ma dai, come te ne esci!» gridò in preda alle risate. Genda, con un sorriso compiaciuto in volto, si chinò a raccogliere la lattina e, una volta tiratosi su, diede un pugnetto sulla spalla al ragazzo di fronte a sé.
«Così mi piaci! Questo è il Narukami che mi ricordo e conosco: allegro, sorridente e che ride senza indugi!» dichiarò soddisfatto, facendolo smettere si ridere ed arrossire leggermente. Quello si grattò la testa e poi sospirò, sorridendo nuovamente mentre lo ringraziava. Quella chiacchierata gli era servita. «Però…» si rigirò la lattina tra le mani più volte, mettendola poi di fronte al naso di Narukami. «Di quelli che conosciamo siamo solo in tre a bere questa cosa, quindi ogni volta che la prenderemo penseremo gli uni agli altri e saremo davvero solo ad una lattina di distanza!» asserì sicuro ed euforico per la sua eccellente tesi. Peccato che, in risposta. Ricevette un pugnetto in testa.
«Ancora con questa cosa? Ma smettila! Non devi convincertene davvero!» lo rimproverò il più giovane, che poi riscoppiò a ridere, vedendo la faccia dispiaciuta di Genda.
«Guarda che per me sarà così, eh! Non prendermi in giro!» replicò, fondendo la sua risata con quella dell’amico.

«Narukami!» lo chiamò Doumen. Stava andando a passo svelto verso il suo banco, con in mano un paio di lattine scure. Gliele posò vicino alle braccia poggiate sul tavolo e le indicò. «Queste non sono le bibite col pinguino che bevi tu? Le hanno messe anche nel distributore della scuola, così te ne ho presa una!» dichiarò il ragazzino, aprendo una delle confezioni per berne il contenuto. L’allontanò subito dalla bocca, schifato, lamentandosi di quanto fosse troppo amara. Narukami scosse la testa, sospirando della reazione appena vista e alla quale ormai era abituato. Aprì la sua lattina, continuando ad osservare il compagno che tentava in tutti i modi di assaggiarla sperando che diventasse magicamente meno aspra, invano. La portò alle labbra, ma appena il liquido fresco sfiorò il suo labbro superiore gli tornarono in mente le parole che gli aveva detto Genda il giorno prima. Una lattina di distanza, eh… gli venne istintivo un sorriso, mentre dovette premere le labbra sull’apertura del contenitore per evitare di farsi uscire una vera e propria risatina, che si manifestò sotto forma di semplice “pf”.
«Mh? Ha detto qualcosa?» gli domandò Doumen, alzando lo sguardo dalla sua bibita. Narukami, ancora sorridente, scosse il capo, bevendo d’un fiato la bevanda, posandone poi il contenitore sul banco, osservandola e rigirandola.
«Niente.» sogghignò. «Mi chiedevo quanti centimetri siano.»


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Boh, il secondo capitolo di questo slice of life che non so scrivere. Spero sia più decente del primo. Beh... non ho tempo per commentare, quindi... dico solo che il titolo mi è venuto durante una passeggiata col mio cane e dovevo usarlo per qualcosa. E' stupido lo so, ma a me pia- insomma, spero vi piaccia ><

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