Pâtisserie ♡ Dolci di lusso.

di evilangel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~Macarons ***
Capitolo 2: *** ~Tortino al cioccolato. ***
Capitolo 3: *** ~Meringata. ***



Capitolo 1
*** ~Macarons ***


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Complicato, di difficile preparazione, ma un’estrema soddisfazione se riuscito.
 

 
Domani ci sarà la guerra. Domani non usciremo di casa.
 
<< Ehi, Kidou >>. Quasi inciampò, mentre saliva sul marciapiede.
<< Cosa c’è? >>. Il moro si portò il cellulare all’orecchio. << Sono occupato >>.
<< Dimmi perché devo portare sempre io le buste della spesa >>.
<< Si, va bene... Domani il turno di notte, ok… >>. Lo stava ignorando di nuovo. Poteva però capire che ultimamente era molto occupato a causa del lavoro, dell’imminente promozione se avesse svolto bene tutto quello che il capo gli chiedeva.
Lo portava in giro con la sua macchina -quella di Gouenji-, interrompeva cene e pranzi per correre in ufficio, correva da un capo all’altro della città per commissioni improbabili. Per il capo, non per Shuuya.
Ci teneva davvero, a quel lavoro.
In una giornata di Febbraio insolitamente troppo fredda, però, era riuscito a portarlo a mangiare un boccone. Di solito non mangiavano mai il pranzo insieme, perché Yuuto mangiava in ufficio o non mangiava affatto.
Poi lo vedeva tornare a casa con le occhiaie e la cravatta spaiata, e ordinava al ristorante take-away sotto casa il doppio delle porzioni. Non sapeva dire se la cosa gli facesse piacere, ma l’altro finiva sempre per mangiar tutto.
D’altronde, doveva sdebitarsi per avergli permesso di vivere in casa sua.
Kidou schivò una ragazza che correva per strada, parlando da sola. << Ok, grazie. A domani >> e mise giù il cellulare.
<< Cosa voleva? >> chiese il biondo, continuando a camminare sul marciapiede. Era Febbraio, ma aveva nevicato giusto qualche giorno prima e le strade erano ancora avvolte nei fiocchi sporchi; l’asfalto soffocato da un ghiaccio sottile, invisibile, coperto di orme e scie sconnesse.
Si aggiustò la giacca pesante, mentre rispondeva: << Gli avevo chiesto se domani potevo non lavorare il pomeriggio, così mi ha dato il turno di sera >>
<< Non andava bene il pomeriggio? >>.
Il moro lo guardò, mentre lui stesso rischiava di scivolare in mezzo alla strada poco trafficata.
<< Domani è il 14 Febbraio >> spiegò. Era una cosa spaventosa. Tutte quelle ragazze ammassate nei negozi a comprare cioccolatini all’ultimo minuto, i colleghi che entravano a lavoro con mazzi di rose per le loro incontentabili signore. Coppiette, cuori, amore dappertutto.
Shuuya rise, e quasi gli cascarono le borse della spesa. << Maddai, solo per questo? >>. Sorrise ancora, non sapeva trattenersi.
<< Sarebbe inutile se andassi a lavoro con tutto quel caos. Non mi riuscirei a concentrare >>.
Non sapeva a cosa era dovuto quest’insolito odio di Kidou, ma in certi giorni era intrattabile. Non ci potevi parlare, scattava appena dicevi qualcosa che non fosse “Cosa vuoi per cena?” o “Sono stanco, vado a dormire”. Ogni tanto si arrabbiava perché andavi a dormire.
Stress.
Cercò d’infilargli in una mano una borsa della spesa, ma Kidou era troppo furbo per lui. Si era messo le mani in tasca, e si era voltato da un’altra parte.
Dall’altra parte c’era una pasticceria. Una di quelle lussuose, che ti faceva prendere cinque chili solo a guardarne la vetrina. Dolci, dolci e ancora dolci, disposti ordinatamente sugli scaffali, contornati da nastri coordinati, qualche biglietto col prezzo. E il prezzo era esorbitante.
<< Quarantanove euro per una scatola di cioccolatini >>. Sul viso apparve il solito sguardo whatthehell?, però rimase davanti alla vetrina, con le mani in tasca. Poche persone entravano e uscivano dal negozio.
Era bello anche solo osservare cose che non avrebbe mai comprato. Era Shuuya quello con le mani bucate, non lui. Una volta era arrivato a casa con un nuovo tostapane. Di tostapane ne avevano già uno, ma non glielo aveva fatto notare. Così ora ne aveva uno per sé e uno per lui, ma era stanco di mangiare panini ogni volta che il biondo non aveva voglia di cucinare.
Fece scivolare gli occhi prima sul ripiano più in basso. Pasticcini, biscotti, i classici petit four.
Più in alto, cornetti, torte semplici, ciambelle, krapfen, altri dolci innominabili.
E sullo scaffale più in alto, insieme a scatole di cioccolatini, torte, pasticcini ripieni, dolci complicati, c’erano dei cosi colorati.
 

ll macaron è comunemente farcito con crema ganache o marmellata e richiuso da due biscotti.

 
 
Li osservò un attimo. Li aveva già visti, ma non si era mai preoccupato di chiedere cosa fossero. Chiese al biglietto: “Macarons”.
I dolcetti erano tanti, disposti su un piatto rettangolare, di un sacco di colori diversi. Andavano da un rosso sbiadito fino a un viola carico.
 

Il pasticcino è caratterizzato dalla sua liscezza, da due pezzi a cupola, da una circonferenza guarnita di increspature, e la base piatta.

 
Non aveva la minima idea di come fosse il sapore e, a dir la verità, non aveva nemmeno voglia di scoprirlo: una scatola gli sarebbe costata una ventina di euro.
Shuuya osservava i dolci dalla vetrina, seguiva lo sguardo di Kidou e si fermava sui mini-hamburger-monocolor –si, rende l’idea.
Aveva notato che avevano attirato la sua attenzione, ma sapeva che non li avrebbe mai comprati. Lui era quello che non tirava mai fuori un soldo per ciò che reputava inutile, e gran parte delle volte sbraitava “Inutile!”, “Mettilo giù! Non ci serve” o “SHUUYA!”.
Lo vide indugiare ancora un po’ sui dolcetti, poi si voltò e ricominciò a camminare, senza aspettare che il biondo avesse ripreso le borse.
 
 
 
14 Febbraio; 9:30
 
Era da tanto che non si svegliava tardi la mattina. Probabilmente per Gouenji svegliarsi a quell’ora non era una cosa all’infuori del normale, ma per lui si.
Si rigirò un attimo nel letto, tra le lenzuola tiepide. Quell’idiota doveva essersi già svegliato, e si sorprese di non trovarlo ronfante accanto al proprio posto. Ogni mattina, quando si svegliava prima delle sette per colpa del russare di quel biondo, malediceva il giorno in cui aveva acconsentito a farlo vivere in casa sua, dove c’era solo una camera da letto e, si, un solo letto. Aveva provato a farcene stare due, ma non ce l’aveva fatta, e nemmeno un letto a castello gli andava bene.
Ma ora che non c’era, che un leggero profumino alleggiava fino alla stanza dalla cucina, era quasi contento di non vivere solo.
Guardò un attimo fuori, e pioveva.  Il cielo era chiaro e pallido, ma pioveva comunque. Era leggera, ma a lui la pioggia non piaceva, rendeva tutto più difficile.
Si mise seduto, si passò i palmi sugli occhi rossi, poi si diresse in cucina. La mattina solitamente passava ad un bar qualunque sul tragitto per l’ufficio, e non mangiava spesso la colazione a casa, quella cucinata dal suo coinquilino. Non sapeva nemmeno se la preparasse bene, anche se il profumo non era niente male.
Entrò in cucina.
<< Buongiorno >>
<< ‘Giorno >>.
Gouenji era girato di spalle, verso i fornelli e cucinava qualcosa, tipo frittelle.
Yuuto si sedette al tavolo, mentre prendeva in mano il telecomando. Accese la televisione, iniziò a cambiar canale.
Poggiò un gomito su un macaron. Poi demolì con gli occhi l’intera scatola.
<< Idiota >>
<< Eh? >>. Non si sarebbe girato per ricevere la solita ramanzina. Immaginò solo un Kidou arrabbiato, con il fuoco negli occhi, seduto davanti alla scatola rilegata in nastro rosso e carta da regalo bianca. Era uscito molto presto quella mattina e aveva trovato giusto l’ultima scatola, non doveva essere contento?
No, si aspettava proprio quella reazione.
 

Disponibile in tanti gusti e colori, un leggero strato croccante all’esterno e morbido all’interno,
 capace di deliziarti -per quanto piccolo-.

 
Dopotutto, lo aveva pensato quando aveva dato un morso ad uno di quei dolci. Aveva avvertito lo strato croccante fuori e poi un qualcosa di morbido, di più dolce.
Era sicuro che anche Kidou fosse così, e non appena avesse scoperto come sciogliere lo strato esterno… bhe, magari dentro non c’era nulla. Era così abituato a vederlo spossato e sottopressione, lunatico e stressato, che forse dentro non c’era proprio nulla. Sembrava che il lavoro e la voglia di raggiungere i propri intenti schiacciassero ciò che era bello, ma Kidou era così.
Era anche una persona complicata. Dovevi starci bene attento in base ai momenti, dovevi sapere esattamente cosa gli era successo o cosa stava facendo prima… e la maggior parte delle volte sbagliava a capirlo.
Ma si sentiva felice quando riusciva a far qualcosa di giusto, anche per sbaglio o a caso.
Si girò un attimo per controllare, non sentendolo dire più nulla, e ricordandosi solo in quel momento che era la mattina di San Valentino.
Sorrise quando lo vide assaggiare un macaron rosso, e rispondere al sorriso. Non era abituato a vederlo sorridere di prima mattina.

<< Li mangio perché altrimenti li sprechiamo >>.

 
 

_   _  _ _ _____________________________________________________________________
Era una bella idea…

L’HO ROVINATA :’DD
Comunque non so, ho già in mente le prossime coppie, i prossimi dolci, le prossime situazioni.
Esploriamo insieme gli angoli del gusto òwò -wtf?- .
Mi sento tanto programmatelevisivodicucina :’DD
Per quanto riguarda questo capitolo… La Shuuto me gusta .3. Anche se non so se ho reso bene la coppia çç
E sono stata troppo pigra per trovare un finale decente ಠ__ಠ
Sarà il caldo e lo stupido gattino-tigre che mi corre sul desktop. Mi distrae :’DD
 
Ok, gentagliaH, un’ultima cosa~ In questo ultimo mese voglio dedicarmi a questa raccolta e a “HomoseXuality”, così mi levo il pensiero.
Poi bho, spero continuiate a seguirmi :3
-PpppfffffH. E chi mi segue?-
 
BuonaSerata/Giornata (?) ♥
Debby.
 

 
 

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Capitolo 2
*** ~Tortino al cioccolato. ***


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[Grazie a Cate che mi ha donato (?) il nome per la gelateria ♥]

Il cioccolato è un alimento derivato dai semi della pianta del cacao diffuso e ampiamente consumato nel mondo intero.

 
Era meglio tornare a casa prima che il gelato si sciogliesse, perché il gelato al cioccolato si scioglie subito, e poi i gusti che non vuole nessuno, tipo i frutti di bosco, quelli non si sciolgono mai. Tanto è buono, tanto è delicato.
Forse era proprio vero che le cose più belle si distruggessero prima, ma aveva ben poco a che fare col gelato. L’unica cosa che sapeva era che Yuuka gliene aveva chiesto un po’ qualche ora prima, e che era stato costretto a uscire solo per prenderne una vaschetta.
Così nel sacchetto aveva solo una misera vaschetta di gelato al cioccolato e panna, e pensandoci sopra il sacchetto non serviva nemmeno, ma l’aveva preso come una garanzia. Non sia mai che qualcuno lo scambi per un ladro di vaschette di gelato.
Se fosse stato di buon umore le avrebbe mangiate anche lui un paio di palline al cioccolato, ma il caldo estirpava ogni traccia di voler fare qualcosa.
 Yuuka aveva passato tutta la mattinata sdraiata a guardare la tv, alle dieci il biondino aveva chiamato Kidou per chiedergli se volesse uscire un po’ e aveva interrotto la sua rilassantissima nuotata in piscina. Anche lui avrebbe voluto andare in piscina, ma non aveva voglia di tirare fuori il costume dall’ultimo cassetto, quello incastrato.
E se il caldo dava fastidio ad uno come lui, c’erano persone che ne risentivano ancora di più.
 

Il cioccolato è anche un ingrediente di svariati dolciumi, tra cui gelati, torte, biscotti e budini.
 

Un temperino gli cadde in testa forse dal cielo, e non era uno di quelli normali, in metallo. No, era uno di quelli  col contenitore.
Per la sorpresa o per chissà che altro, non percepì subito la sofferenza, vide solo l’oggetto cadere e rotolare in strada. Sentì un: «Aaargh» e poi un tonfo. Suzuno aveva sempre l’abitudine di lanciare gli oggetti fuori dalla finestra quando perdeva la pazienza. Afferrava la prima cosa nel suo raggio d’azione e la scagliava oltre la finestra aperta, che quando non lo era sirompeva.
Avvolse bene la plastica del sacchetto attorno alla vaschetta, nascose il tutto sotto la siepe del giardino, entrando dal cancello sempre aperto, dato che così la ragazza non doveva alzarsi ad aprire quando Nagumo rientrava in casa.
Vide la sua chioma chiarissima poggiata al tavolo, sopra un libro di algebra.  Suzuno ripeté il lamento precedente, seguito da uno sproloquio confuso sulle disgrazie che affliggevano il mondo, e non erano né la guerra, né il riscaldamento globale. 
   «Dolce fanciulla, cosa vi disturba?»
Suzuno alzò la testa, e appena lo riconobbe fuori dalla finestra si ributtò con la fronte sul libro, non rispondendogli nemmeno.
  «Vattene, non sono in vena.»
  «Dai.» Gouenji appoggiò le braccia ai bordi della finestra.
  «Sparisciti e squagliati all’ombra come faccio io»
  «Vero, il ghiaccio si squaglia prima del gelato».
La ragazza risollevò la testa quel che bastava per non capire il nesso. Era tutto un piano per farle venir voglia di un gelato. Perché il gelato era fresco, era dolce, colava tutto d’un lato ed era bello leccarlo quando si scioglieva. Sciolto era più buono, e non ti facerva sentire una cacca quando ti scioglievi anche tu.
  «Vammi a prendere un gelato.» ordinò, standosene ancora distesa sulla scrivania.
  «No.»
  «Ora.»
Eppure Gouenji non voleva dirle che l’aveva già comprato, che in realtà la vaschetta era lì bisognosa di essere mangiata, sarebbe stato soddisfatto solo vedendola alzarsi per andarlo a prenderlo.
Non perché volesse che uscisse con lui, voleva solo trovare un qualche individuo con cui fare due passi, ma pensandoci si sentì un vecchio che doveva fare la passeggiata pomeridiana. Fare due passi.
  «Puoi prenderlo da sola.»
  «E’ solo uno stupido gelato,  tu sei già fuori.»
  «Devi solo uscire dalla porta.»
  «Fuori dalla porta c’è il sole.»
  «Allora squagliati all’ombra senza gelato.»
Con questo si guadagnò un’occhiata delle più orribili, e la ragazza si alzò dalla sedia.
 

I tortini di cioccolato con cuore fondente sono delle golose tentazioni di cioccolato monoporzione.

 
Ora che aveva raggiunto il suo intendo, non restava altro che godersi i coloratissimi insulti che stavano per arrivare, ma si sorprese dell’enorme potere che avesse il calore del sole.
Non era riuscito a sciogliere il cuore di Suzuno, anche se in fin dei conti non era nemmeno così tanto freddo, ma era così opprimente da togliere alla dolce fanciulla  la forza di parlare.
Ogni tanto, mentre percorrevano la strada per la gelateria, sembrava guardarlo con la vaga intenzione di dire qualcosa di cattivo, sui suoi capelli, sulla felpa, ma poi rimaneva tutto dentro. Non sapeva più se esserne felice, perché così non era più divertente.
  «Cosa stavi facendo prima?»
  «I compiti.» Nessun “Secondo te, idiota?”
  «Di algebra?»
  «Si.» Ebbene, il caldo possiede un potere enorme.
Alla loro vista, la gelateria si faceva spazio tra altri edifici inutili, incastrata tra un negozio di scarpe e un piccolo e squallido bar. Più in avanti c’era Kidou di ritorno dalla piscina, ma era una cosa trascurabile.
Pian piano, si avvicinavano alla tanto bramata meta di quel giorno estivo, uno dei più caldi di quell’agosto non sopportabile.
Anche l’asfalto sembrava ardere, quando Fuusuke si rese conto di non avere neanche un soldo.
  «Però il gelato lo offri tu.» Ovviamente avrebbe offerto Gouenji anche se fosse andato a prenderlo senza di lei.
 

Facili da preparare, possono essere surgelati e poi consumati in seguito, all’occasione giusta.

 
La Mont Blanc serviva uno dei gelati più buoni della cittadina, oltre al fatto che fosse una delle poche gelaterie con l’aria condizionata perfettamente funzionante, di quelle che non ti congelano appena entri e poi ti costringono a restare a letto per il resto dell’estate causa raffreddore o altri malanni. Perché lì non avevano paura che il gelato si squagliasse, lo facevano quasi apposta, così sciolto sembrava più secsi.
Il ragazzo si controllò in tasca, osservando l’unica banconota da dieci euro che era rimasta dall’acquisto del gelato. Mentre Suzuno apriva la porta della gelateria, lo immaginò liquefarsi all’ombra delle foglie spesse, e capì di non aver più voglia di mangiare del gelato. Entrando, un alquanto fastidioso tintinnio della campanella sulla porta avvertì la signorina dietro alla cassa.
Un’improvvisa sensazione di fresco li prese quando si chiusero la porta alle spalle, sigillando il caldo con la porta di vetro. Tutto nella gelateria richiamava freschezza: il colore lime alle pareti, le piastrelle bianche al pavimento, alcuni tavolini circondati da bianche sedie imbottite e ricoperte da pelle.
  «Allora, cosa desiderate?»
I gusti al bancone erano vastissimi, anche se i contenitori erano pieni solo a metà. Alle pareti scritte, fotografie di gelati, ma soprattutto dolci. Una crostata, delle brioche, dei biscotti, uno strudel. In un angolino, quasi volessero dimenticarsene, un tortino al cioccolato, con il ripieno fondente che colava tutto sul piatto. Anche senza avercelo davanti, la sua mente ricordò l’odore di cioccolato, la consistenza della pasta calda. Stomachevole, soprattutto considerando il fatto che il caldo escludesse ogni possibilità o voglia di mangiare qualcosa che non avesse una temperatura sotto zero.
Ma quella era una gelateria di classe, e vendeva anche dolci.
  «Un gelato a due-»
  «Due tortini al cioccolato.»

 Hanno un cuore di cioccolato morbido e fondente. Sono cotti al forno.

 
  «Caldi?». La ragazza alla cassa non sembrava affatto sorpresa dalla richiesta, non come Fuusuke. Probabile che costassero più del gelato, e guadagnare cinque euro in più era… bello.
  «Si, caldi.»
Suzuno lo guardò, esordì con un: «Cosa?». Non sentì nemmeno la fine della risposta prima di tirare qualche bello scappellotto al ragazzo. In quel momento di profonda convinzione del fatto che non avesse un cervello, era tornato tutto più divertente.
A dir la verità, nemmeno Gouenji sapeva perché fosse stato disposto ad ordinare qualcosa di così spropositato, ad Agosto, quando a tratti vedi l’aria scaldarsi e cominciare a ballare la danza più detestabile. Ci credette davvero quando l’albina gli urlò la frase più dolce del mondo. «Stupido, io non lo mangio.» anche se non aveva nemmeno il diritto di lamentarsi, dato che i soldi spesi per il dolce non erano suoi.
La signorina arrivò col sorriso più felice del mondo, con i due tortini caldi incartati e quasi fumanti. Doveva essere davvero una liberazione sbarazzarsi degli ultimi due tortini, che con tutte le probabilità non avrebbe acquistato nessuno e sarebbero rimasti a muffire. Però il profumo era così buono che per un attimo i soldi spesi non sembrarono sprecati.
Dopo aver pagato, prese il pacchetto con i tortini. Era caldo.
  «Sediamoci qua fuori.»
Fuusuke prese a farsi aria con la sua stessa canottiera, prima di sedersi ad un tavolino e piazzarci la fronte sopra. I raggi del sole permettono all’occhio umano di vedere i colori, in quel momento tutto sembrava sfavillare di colori troppo forti. Però fuori dalla Mont Blanc era ombroso, fresco, perché l’aria condizionata usciva dalla porta d’ingresso, nemmeno fosse la più dolce delle benedizioni.
Gouenji si sedette accanto alla ragazza, ancora intenta ad osservare il piano del tavolo da molto molto vicino. Scartò il pacchetto che la signorina aveva fatto immaginando che dovessero portare i due tortini a casa.
  «Testa di pigna, non hai le forchette.»
  «Allora andiamo a mangiare a casa tua.»
Fuusuke s’illuminò alla parola “casa tua”, di certo lì era più fresco di quanto non fosse all’ombra di una tenda a strisce rovinata.
Tirarono indietro le sedie e si alzarono, mentre Shuuya cercava di riavvolgere il pacchetto nella carta.
Non si poteva dire che l’albina camminasse mentre tornavano indietro, ma non si poteva nemmeno dire che corresse. Era piuttosto una camminata veloce verso un bel letto, fresco, pronto ad accoglierla infischiandosene di compiti delle vacanze, tortini, caldo, porcospini.
  «Io te l’avevo detto che non avevo voglia di uscire» disse, come se fosse un’accusa, quando arrivarono davanti alla porta di casa sua. Aveva sprecato tempo che avrebbe potuto passare a sciogliersi all’ombra, invece di farlo sotto al sole. Tirò fuori dalla tasca le chiavi, le infilò e girò nella serratura ,e fece per entrare quando Shuuya strappò il cartone a metà, dandole quel tortino che lei non voleva. Facendolo, ripensò al gelato ormai sciolto che aveva sprecato.
Suzuno osservò il cioccolato sciolto sul piatto, e dopotutto era una sempre una ragazza. Prese il tortino con una mano, mentre con l’altra chiudeva la porta. Prima di farlo, donò uno dei suoi sguardi al ragazzo, uno di quelli adorabilmente cattivi.
 

Dolce quasi sorprendente, da consumarsi in qualsiasi momento. Per sorprendere l’amato a San Valentino, ma anche per concedersi un attimo del buon cioccolato.

 
Entrò in casa e appoggiò il dolce sul tavolo, mentre Gouenji se ne tornava a casa per buttare il gelato sciolto nel sacchetto. Yuuka si sarebbe arrabbiata non poco.
La ragazza prese una forchetta dal cassetto vicino al frigorifero, e si sedette al tavolo, con l’intento di fissare il dolce per un po’.
Non era poi così male mangiare del cioccolato, anche se faceva caldo, anche se era abbastanza tardi e avrebbe dovuto cenare tra qualche ora.
Gli occhi di Gouenji erano cioccolato, ma non sapeva perché gli era venuto in mente. Sbatté la testa sul tavolo, tanto per far uscire il pensiero.
 

«Ti odio tanto anch’io, testa di pigna»
 

_   _  _ _ ___________________________________________________________
Ok, non so più cosa fare D’:
Non ero per nulla ispirata per questo capitolo. Cioè, all’inizio si, ma poi mi sono persa .3.”
La GouenGaze si merita più di così. E non so perché, ma quando si tratta di loro non riesco a scrivere qualcosa di romantico, mi getto sul comico –checomicononè- .u.
Comunque me ne infischio di quel “ACCOUNT IN DISUSO.” nella mia pagina. Io aggiorno, gnè gnè (?) .u.
Passando a quello che penso del capitolo: SONO CONFUSA çç
Effettivamente non scrivo proprio benissimo quando i personaggi non sono miei (una delle mie tante pecche), ma questa OneShot non ho nemmeno voglio di ricontrollarla una seconda volta, quindi non capisco perché dovrebbe leggerla qualcuno *depress*
Babbè, non importa~
Uno zomp dalla sedia girevole che sopporta il mio peso tutti i giorni ♥,
Deb.
 
P.s. Sono stato piùpigra con l’immagine questa volta. Non ho molto tempo questo pomeriggio çç//sob

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Capitolo 3
*** ~Meringata. ***


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La meringa è una preparazione dolce a base di albume di uova e zucchero a velo.

 
Cadere è normale. E’ perché siamo umani che cadiamo. Probabilmente solo quando non saremo più in grado di rialzarci non potremo più considerarci  tali, o forse non lo siamo già più. Sbagliamo, sbagliamo, e sbagliamo ancora, e se si tira il conto, gli errori sono più di quello che abbiamo fatto di utile, ma poi una vittoria vale dieci volte di più, e pensiamo di rimetterci a posto.
Forse perché sbagliando tutto, quello che riesce, quello che viene bene, sembra tutto più bello. Ma non avrebbe dovuto rischiare tutto solo per una vittoria.
E se fosse stato colpito da qualche bella pallonata?
E se si fosse fatto male?
E se fosse morto?
Strinse la maniglia della porta bianca prima di entrare. Ma poi rimase là, in piedi. Non lo vedeva da un po’.
E se si fosse fatto male? Male davvero?
 

Nella pasticceria europea esistono la meringa francese, la meringa italiana e la meringa svizzera.
 

Afuro era egocentrico, perfezionista, metteva sempre tutto sé stesso in ogni sua causa momentanea. Finiva spesso per farlo letteralmente, non importandosene del fatto che non fosse una divinità per davvero. Sentiva il dolore, la sofferenza, la pressione, poteva danneggiare il corpo che curava tanto. Provava sentimenti, e per questo era stupido.
E ogni volta che lo dimostrava, ogni qualvolta si faceva male, aveva sempre assistito, come uno spettatore fuori dal campo, magari urlandogli qualcosa a proposito della sua intelligenza da mollusco. Certi giorni aveva il desiderio di strapparsi la divisa di dosso, gettare i resti sull’erba sintetica e andare a fare la persona normale. Non quella che giocava calcio, non quella che doveva giocarci con Aphrodi, non quella che doveva stare dietro ad ogni sua cavolata. Ma quando Afuro si slogava un qualcosa, quando cadeva, quando sanguinava, non era mai il primo a soccorrerlo, c’era sempre qualcuno che lo precedeva. Era difficile ammettere che era palesemente spaventato dall’avvicinarsi.
Qualche ora prima aveva ricevuto notizia della vittoria della Raimon contro la Chaos, che era una cosa felice.
Non gli avevano chiesto se dovevano dire prima la notizia buona o prima quella cattiva. Non lo avevano nemmeno avvisato del fatto che ce ne fosse una cattiva, perché forse non è cattiva.
E’ solo finito all’ospedale.
 

La meringa, leggerissima e friabile, trova applicazione in diverse preparazioni dolci.

 
Verso la fine della chiamata, quando già iniziava a chiedersi perché l’avessero chiamato, dato che non poteva importargli granché della vittoria –l’avrebbe visto da solo, magari alla TV- lo avevano avvisato del fatto che Aphrodi si fosse infortunato, e che di conseguenza fosse all’ospedale. Poi la chiamata era terminata.
L’unica cosa che aveva pensato era che se l’era cercata, e si era sdraiato sul divano. Una delle cose che Terumi sapeva fare meglio, o che gli piaceva di più, era mettersi al centro dell’attenzione. Solitamente era difficile capire se stesse facendo qualcosa perché ci teneva davvero o perché era la cosa giusta.
Aveva mangiato una delle meringhe sul tavolo, quelle che aveva comprato Aphrodi qualche giorno prima e che nessuno aveva mangiato. Ogni tanto entrava in casa con qualcosa di dolce, comprato in chissà quale pasticceria o supermercato, ma alla fine non mangiava nemmeno metà di quello che comprava.
E col tempo Tadashi sembrava capire che comprasse porzioni così abbondanti per lui, così da essere costretto a mangiare l’altra metà pur di non buttarla, o a darla a qualche gatto.
Ne aveva mangiata un’altra, di quelle cosine bianche. Friabili. Dolci.
Non gli avevano detto che tipo d’infortunio aveva subito, come stava, o se era cosciente. L’unica cosa di cui era a conoscenza era l’ospedale e, dopo averlo chiesto ad un’infermiera, il numero della stanza.
Strinse la maniglia ancora, mentre con l’altra mano cercava di tenere il dolce. Lentamente, spinse la porta.
Sentì un qualcosa attanagliarli lo stomaco, quando lo vide sdraiato sul letto, con quel camice a dir poco senza stile. La partita era finita da poche ore, e Afuro era ancora privo di sensi. 
Un medico sporse la testa all’interno della stanza, osservò il ragazzo con in mano una torta. «Starà bene.»
Si, certo che starà bene. Se non lo avesse fatto, Tadashi lo avrebbe ucciso.
Era brutto pensare che ci sarebbero potute essere volte in cui non ce l’avrebbe potuta fare.
Poggiò la meringata sul comodino accanto al letto, buttò a terra un vaso di fiori. Il vaso si ruppe, e l’acqua sporca imbrattò i fiori, i frammenti rotti e il pavimento.
Si voltò verso il medico, in piedi con lo stetoscopio al collo, che in quei momenti  sembrava solo un ornamento.
   «E lei come fa a saperlo?». Urlava contro una persona innocente. «Non sa come sia fatto! Lui è troppo stupido per capire quanto sia importante.»
Gli chiuse la porta in faccia. «E continuerà a far così, anche se starà bene».
L’uomo bussò alla porta, chiedendo di entrare. Il ragazzo di avvicinò e chiuse la porta a chiave.
 

Uno dei dolci più popolari in cui si utilizzano le meringhe è, appunto, la meringata.

 
Sarebbe dovuta andare così.
Invece si girò leggermente. «Lo spero anch’io.» Il medico gli sorrise di rimando, e chiuse la porta della stanza. Hera poggiò la meringata accanto al vaso di fiori intatto, chiedendosi se fosse stato lasciato lì da qualcuno oppure se fosse lì da prima che Afuro si facesse male.
Accanto al vaso “Grazie. Endou”
Si sedette accanto al letto, sulla sedia libera. Immaginò se stesso che passava la notte accanto ad Aphrodi, come si vedeva spesso nei film.
   «Ehi, Afuro.» Gli spostò i capelli dagli occhi, per controllare se stesse solo facendo finta di dormire. «Ehi, ci sei?»
Non gli rispose.
   «Mentre stavo venendo qui, ho comprato un qualcosa di dolce a caso. Spero ti piaccia, appena ti sveglierai.»
In realtà non lo aveva comprato a caso, ci aveva pensato molto, davanti alla vetrina della pasticceria. Forse lo aveva attirato il fatto che fosse completamente bianco, che era un colore che accostava bene al biondo nel lettino. Ma Aphrodi era anche rosso, non sapeva se di sangue o amore.
   «Dentro ci sono le fragole.» Si sentiva impacciato, nella sua mancanza di qualcosa da dire. E anche se sapeva che Aphrodi non lo stava sentendo, era come se ci stesse parlando per davvero, come si fa con le persone in coma.
“Starà bene”.
Poggiò la fronte sulle lenzuola, e tese le orecchie. Sospirò, e fu l’unico suono che sentì. Fuori dalla finestra, le auto non passavano; nel corridoio non camminava nessun paziente malato, dottore, o infermiera. A dir la verità era solo una mescolanza di suoni confusi, ovattati dalle pareti color azzurro, di quelli sbiaditi.
Rumori un po’ coperti dalle pareti, e un po’ dai respiri del paziente. Sentendolo respirare, dormiente, con quell’aria da vittima innocente, gli venne quasi voglia di saltare sul lettino e strangolarlo fino a quando non si sarebbe svegliato, anche se lo strangolamento non era il metodo migliore.
 

La meringata è un dolce estremamente goloso e fresco, anche se dalla preparazione un po’ laboriosa.

 
Non capiva quanto lo metteva in pensiero quando faceva certe stupidate. No, non era stare in pensiero, era quella voglia di rinfacciargli quanto sia imprudente e irresponsabile.
Risollevò la testa, la poggiò sulle braccia che aveva incrociato sopra al letto, a pochi centimetri di distanza da Afuro. Guardandolo, non riuscì più a volerlo ammonire, anche solo col pensiero.
Lo osservò per un po’, in quell’unico momento in cui stava zitto, non dava fastidio e non lo disturbava. Condividendo la stessa camera nel dormitorio,  era abituato a sentirsi chiamare in media cinque volta ogni ora. “Hera, dov’è questo?”
“Dov’è quest’altro?”
 “Hai comprato codesta cosa?”
Si alzò solo quando sentì la mancanza di quelle domande, perché la maggior parte delle volte erano domande. Tornò quella voglia di svegliarlo a forza, pur di sentire la sua voce.
Spostò il piatto della meringa più vicino al vaso di fiori, così che non cadesse. Guardò ancora Afuro, gli si avvicinò come un ladro.
Gli stampò un bacio sulla fronte, e dall’imbarazzo avrebbe voluto sbattere la testa sulla porta, mentre usciva.
 

Un dolce particolarmente adatto alle giornate calde, possibilmente guarnibile con del cioccolato o della frutta.

 
Sentì Afuro svegliarsi, e tirarsi su a sedere. «Sai che l’avrei preferita al cioccolato». Disse questo come prima cosa, guardando la meringa, poi gli chiese scusa, anche se il moro non afferrò subito a che proposito.
Si girò ancora. «Non eri sveglio, vero?».
   «Chi può dirlo.» Il ragazzo si sbellicò, toccandosi la fronte.
Hera sorrise. Anche Afuro sorrise, quando smise di ridere.
   «Promettimi che non farai più certe stupidaggini.»
   «Quale tipo di stupidaggini?»
   «Tutte.»
   «Allora non posso promettertelo.»
Il biondino mascherò la propria colpevolezza con un sorriso. Hera si sedette ancora sulla sedia accanto al letto.
   «Allora per ora posso accontentarmi di vederti finire questo dolce da solo, perché io non ne mangerò nemmeno un pezzo.»
 

L’aveva comprata solo per lui.

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Dopo lunghi e sofferti (?) giorni, ho finito :’DD
A dir la verità è stato quasi divertente scriverlo, ma sono Pigra çç
Mi pare che questa sia la prima HerAfu che scrivo, ma ovviamente è una coppia che adoro .u.
La dedico a Aki, che è così carina e in astinenza di HerAfu ♥
Magari un giorno scriverò qualcosa di più divertente èè
Anche se a dirla tutta penso che Afuro stia bene anche con Atsuya. Asjofn. //la prendono a randellate.
Bene, penso che per un po’ non aggiornerò tipo un mese o poco meno-, a meno che non mi venga un’idea geniale. Comunque spero piaccia :’DD //lettori si buttano giù dalla finestra.
Deb.

 P.s. Qualsiasi recensione è ben accetta ♪ Probabilmente ho sbagliato qualcosa, anche se mi sono tormentata per ore (?) sulla trama originale x°°

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