Tutta colpa di Oliver Baston

di Payton_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***
Capitolo 3: *** Parte III ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


 

Tutta colpa di Oliver Baston

-Parte I-

 

 

Avere diciannove anni dovrebbe essere sinonimo di maturità. Dovrebbe, perché James Potter ne stava dimostrando davvero poca. Questo, a dire della piccola Lily, che a quindici anni riusciva a sgridare il fratello maggiore ed essere quasi ascoltata, tra un brontolio e l’altro. Decisa, l’aveva trascinato per un braccio fuori dal salotto, in corridoio, lontano da orecchie ed occhi indiscreti.

 

«Jamie, smettila di infastidire Teddy e Vic» aveva sentenziato la saputella, incrociando le braccia al petto come faceva loro madre. Geni Weasley, sembrerebbe.  

 

«Non sto infastidendo nessuno» aveva provato a ribellarsi il maturo, le mani in tasca e l’altezza a giocare dalla propria per conferirgli un’aria spavalda.

 

«, che lo stai facendo, da quasi due ore. Sembri zio Percy quando siede tra Lucy e Albert»  continuò Lily. «Mi spieghi il tuo problema? Se ti stai annoiando, Albie è fuori a…»

 

Non sapremo mai cosa stesse facendo Albus, perché James voltò le spalle alla sorellina, salendo le scale per andare in camera propria, lontano – il più possibile tra quelle mura – dai piccioncini che c’erano in salotto.

 

«Dovrai scendere per cena, Jamie» urlò Lily, ricevendo un mugugnio sconnesso per risposta.

 

James sbatté la porta della propria camera sperando che al piano sottostante sentissero il rumore; lanciò le scarpe in un angolo, accese la radio e si gettò sul letto, le mani incrociate dietro la testa.

 

Finalmente la pace. E la solitudine. Una splendida, beata e fottutamente maledetta solitudine che, in tutta sincerità, faceva davvero schifo.

 

James avrebbe voluto trovarsi al piano di sotto, a parlare con Teddy e approfittare di ogni minuto in sua compagnia, ma non poteva. Lily diceva che dava fastidio, ma in realtà era Victoire che gli rubava la scena. In fondo, lei vedeva Teddy ogni giorno. Stronza!

 

La cugina aveva smesso di essere nelle grazie di James nell’istante esatto in cui lui aveva capito che avrebbe voluto essere al suo posto; quando s’era accorto di voler essere abbracciato da Teddy, di volere un suo bacio.

 

James aveva diciannove anni, certo, e avrebbe dovuto essere maturo, ma non ne aveva assolutamente voglia. Era arrivato al così detto limite. Voleva lamentarsi e affogare quella dannata malinconia che non voleva in nessun modo lasciarlo in pace.

 

Per l’appunto - a proposito dell’essere lasciati in pace - nemmeno tre minuti dopo che aveva sbattuto la porta della camera, qualcuno aveva bussato e, senza troppi preamboli, l’aveva spalancata. Ovviamente era Teddy devoassolutamenteconsolaretutti Lupin, sorriso bonario e capelli blu appresso.

 

«Ehi» aveva esordito intelligentemente, sedendosi ai piedi del letto. «Bella canzone.»

 

«La radio. Per me è noiosa» l’aveva liquidato James, deciso a non rendere le cose facili. Abbiamo già detto che non aveva voglia d’essere maturo, no?

 

«Prima o poi dovrai sistemare questa stanza» disse Teddy, storcendo il naso per il disordine che s’era trovato davanti.

 

«Mamma non vuole che uso la magia. Mamma aspetterà in eterno che io usi le mani» fu la risposta secca che James fornì, facendo scuotere la testa a Teddy.

 

«Allora, l’addestramento come va?» chiese Teddy, sorridendo ancora, come se  non ci fosse stato un muro tra loro.

 

«Va’» rispose James, scrollando le spalle con sufficienza. A quel punto, Teddy sospirò rassegnato. «Okay, non renderai le cose più facili. Dai, che succede?»

 

«Niente» rispose prontamente James, facendo intuire che sì, tutto andava male.

 

«Jamie»

 

«Ho detto niente!» esclamò isterico. Troppo. Teddy non riusciva mai a capire quando era il momento di lasciarlo semplicemente sbollire.

 

Invece di rinunciare Teddy si ficcò una mano in tasca, estraendo un piccolo orsetto gommoso alla fragola. James non adorava nulla come quelle caramelle Babbane, erano state la sua unica gioia in anni di obbligate visite ai cugini Dursley.

 

«Non mi comprerai così facilmente. Non ho più otto anni» fu la sdegnata risposta che fece sogghignare Teddy, pronto ad estrarre altri orsetti dalla tasca dei jeans.

 

«Tanto sono già miei, li hai presi dal mio vaso» precisò James, incrociando le braccia come volevano da copione quei maledetti geni Weasley.

 

Teddy inarcò un sopracciglio con aria supponente: «Potrei sempre mangiali io» lo sfidò, chiudendo il palmo e ritraendo la mano per evitare che James li rubasse.

 

«Non lo faresti mai»

 

«Hai ragione, io non lo farei, ma se li offrissi a Vic lei lo farebbe, non sa che sono solo tuoi.»

 

Orsetti alla fragola e Vic. Orsetti alla fragola di Jamie e Vic. Non andava affatto bene.

 

«Dammeli!» tuonò appunto James, deciso.

 

«Dimmi cosa c’è che non va»

 

«Teddy, i miei orsetti!» protestò ancora James, alla faccia del non avere più otto anni. Adesso però non riusciva più ad impietosire il buon Teddy facendo gli occhi da cucciolo indifeso.

 

Si sfidarono in silenzio per qualche istante, fino a quando le spalle di James non si rilassarono. Non riusciva mai a vincere con Teddy. Certo, non capiva mai quando era il momento di farlo sbollire, ma sapeva sempre come calmarlo, persino quando la colpa del suo malumore era sua.

 

«Non è niente, sono solo un po’ nervoso per via dell’addestramento» mentì, cercando di risultare convincente, anche se ingannare Teddy non era per nulla complicato. 

 

«E perché hai discusso con Lily, allora?»

 

«Non lo so, forse avrà il ciclo.»

 

«Jamie!» lo rimproverò Teddy, concedendo una variazione di colore ai propri capelli. Certe cose erano un tabù per lui.

 

«Avanti, Teddy, stai con quella di sotto da quanto tempo? Quattro anni? Sai, anche lei è una donna» lo stuzzicò James, oramai dimentico d’essere arrabbiato.

 

«Quella di sotto ha un nome, per inciso, e poi sono sette anni che sto con lei, non quattro, ed è bene che tu sappia che…»

 

«Okay, okay, lo so» si intromise James, per nulla propenso ad una ramanzina esistenziale da parte di Teddy. «I miei orsetti. Forza»

 

«Non ora» protestò Teddy, allontanando la mano da quelle di James, che frenetiche cercavano di aprirgli le dita. Quel ragazzino era maledettamente forte da quando era diventato una recluta Auror.

 

«Ti ho detto cosa avevo: orsetti» mugugnò James, in ginocchio sopra il letto mentre tentava di rubare le caramelle (sempre alla faccia della maturità dei diciannove anni).

 

«È ora di cena» spiegò Teddy, alzandosi e facendo cadere James sul materasso.

 

«Sembri mia mamma»

 

«Avanti, alzati» ordinò Teddy, e James obbedì, come sempre quando l’ordine proveniva da lui. Non poteva farci nulla, doveva sempre accontentarlo, così come Teddy aveva sempre provato ad accontentare lui, Al e Lily quando erano tre piccole pesti che non volevano fare altre che giocare ad ogni ora.

 

«James» lo chiamò Teddy, serio «voglio ricordarti che se ti serve qualcuno con cui parlare, io ci sono. Gli amici servono a questo.»

 

Uno schiaffo forse avrebbe fatto meno male. Anzi, sicuramente. Quello sarebbe passato, dopo il dolore iniziale. Teddy cercava solo d’essere un buon amico, ma James avrebbe voluto urlargli contro che della sua amicizia non se ne faceva niente, anche se non era propriamente vero.

 

«Vai avanti, arrivo subito» sbiascicò, cercando di sorridere e mostrando quella che invece si rivelò una smorfia di disappunto. Fortunatamente, Teddy non se ne accorse o finse di non farlo.

 

«E Jamie,» aggiunse invece, poggiando una mano allo stipite della porta «è arrivato Der: comportati bene.»

 

In quel momento, James capì che al peggio non c’era davvero fine.

 

 

 

*

 

 

 

La scena era comica; o almeno per qualcuno doveva per forza esserlo.

 

«James, prendi tu i piatti?»

 

Stava apparecchiando con l’aiuto di Vic. Non voleva fare una scenata. Non poteva, Teddy ci sarebbe rimasto male. E poi nessuno riusciva mai ad essere cattivo con Vic. Questo sia per via della sua stramaledetta bellezza da 1/8 Velaa, sia per il suo avere sempre un sorriso per tutti, come zio Bill.

 

James avrebbe voluto davvero evitare di odiarla, ma non poteva. Lei e quei suoi capelli impeccabili; lei e quei suoi occhi perfettamente in tinta con i capelli di Teddy.

 

«Perché sei così silenzioso, James? Hai la febbre?» chiese preoccupata Ginny, osservando di sottecchi il figlio.

 

«No, mamma» rispose annoiato James, prendendo i patti come concordato con un cenno a Vic. Victoire il raggio di sole che tutti adoravano. Victoire la ragazza della porta accanto che gli impediva d’essere felice.

 

Non aveva nemmeno punzecchiato Lysander, quindi doveva essere per forza grave. In compenso, Al era comodissimo seduto sul divano tra le sorella ed il fidanzato, sorridendo sornione ad entrambi. Lily l’avrebbe ucciso a fine serata, era certo. Harry, invece, li osservava sorridendo sotto i baffi, sperando che Ginny non si accorgesse del suo essere maledettamente fiero del figlio di mezzo.

 

James apparecchiò nel più totale silenzio, ricevendo occhiate perplesse da tutti i presenti. Lily s’era perfino convinta che avesse ascoltato le sue prediche e che, per una volta, avesse deciso di concedere vita facile a lei a Lysander. Poi rinsavì, e capì che qualcosa non andava.

 

Lysander, dal canto suo, era più teso che una corda di violino. Essere ignorato da James lo portava a pensare che di lì a poco sarebbe arrivato un uragano.

 

Conosceva bene James, gli Scamandro ed i Potter avevano passato ogni estate insieme. Inoltre, Lysander ed il gemello avevano solo un anno in più del maggiore dei Potter, quindi avevano frequentato Hogwarts nello stesso periodo, anche se in Case differenti. Per la precisione, James avrebbe definito Lysander un amico prima di Lily.

 

Si sedettero a tavola senza nemmeno tentare di allontanare Jamie da Lysander, che invece si sedette proprio accanto a lui. Aveva deciso che non avrebbe impedito a Lily d’essere serena con il proprio ragazzo, per quella sera.

 

Ginny iniziava seriamente a pensare che quello non fosse il proprio figlio, dato che cenarono nella più totale serenità e nella più totale assenza di James.

 

«Jamie, quando è stata la prima volta che mamma mi ha dovuto portare al San Mungo» chiese improvvisamente Albus, fissando serio il fratello. Tutti ammutolirono in attesa della risposta. James alzò lo sguardo dal piatto e si ritrovò addosso sette paia di occhi.

 

«Quando ti ho appiccicato con la Supercolla una maschera alla nuca per farti fare il professor Raptor» scandì lentamente James, senza indugiare. «Perché me lo chiedi?»

 

«Volevo essere sicuro che fossi tu» spiegò Albus, facendo ridere tutti. Tutti tranne James, che li liquidò con un sussurrato «Ah!», prima di riabbassare lo sguardo.

 

Calò nuovamente il silenzio, mentre tutti iniziarono a fissare Harry incitandolo a fare qualcosa.

 

«Jamie» esordì allora il capofamiglia, schiarendosi la voce, «quando è stata la prima volta che…»

 

Non riuscì a finire la frase. L’uragano arrivò, dando ragione a Lysander, che prontamente allontanò la sedia. I Corvonero non dovevano per forza essere coraggiosi, no?

 

«Che cazzo avete tutti?» sbottò James, facendo infuriare immediatamente Ginny per quella parolaccia gratuita. «Sono io, James Sirius Potter, e sarò sempre io quello che si alzerà e andrà via da questo cazzo di tavolo» tuonò, facendo stridere la seggiola sul pavimento e battendo i pugni. Le posate vibrarono, scosse dalla rabbia magica di James, ed un bicchiere esplose in mille pezzi.

 

«James, torna subito qui!» ordinò Ginny, ma come risposata ricevette solo il rumore della porta d’ingresso che sbatteva con forza.

 

*

 

 

 

Quando James tornò a casa, era notte fonda. L’abitazione dei Potter era scura e silenziosa, ma sapeva che i suoi genitori erano svegli, a rimuginare su quale punizione infliggergli. Non l’avrebbe accettata.

 

Era rimasto in silenzio, se ne era stato buono mentre Vic baciava Teddy, lo stringeva, ma loro non erano riusciti a lasciarlo in pace ed avevano dovuto per forza istigarlo. Involontariamente, certo, ma a conti fatti era irrilevante.

 

Nel profondo del proprio cuore, James sapeva che non era colpa dei genitori, di Al o di Lily, e nemmeno di Teddy e Vic. Eppure, era dannatamente arrabbiato con ognuno di loro.

 

Stranamente, era arrivato nella propria stanza senza essere intercettato dalle prediche dei genitori che gli ricordavano che non poteva andare e venire a suo piacimento, che fino a quando avrebbe vissuto sotto il loro tetto doveva stare alle loro regole. Be’, forse si sarebbe trovato una casa tutta sua dove l’unica regola sarebbe stata l’assenza di regole.

 

Sdraiarsi sul letto era stata quasi una punizione, più che un sollievo per le gambe indolenzite dalla lunga camminata notturna.

 

Era su quel letto che aveva baciato per la prima volta un ragazzo. Zac Brown, Battitore della squadra di Quidditch di Grifondoro di un anno più vecchio di lui.

 

Zac… Che stupido nome, per un primo bacio. Un nome banale, ordinario.

 

Teddy non è per niente ordinario, si ritrovò a pensare.

 

Brown aveva flirtato con lui per tutto il suo sesto anno a Hogwarts, ma Jamie non aveva mai ceduto. Almeno fino all’estate, quando era venuto a trovarlo bello, abbronzato e maledettamente irresistibile. James era pur sempre un ragazzo, ed un pompino non era rifiutabile all’infinito.

 

Sapeva da tempo di essere gay, ma non aveva voluto ammetterlo a nessuno se non se stesso. Era spaventato, smarrito. Sì, Jamie Potter aveva provato il sapore dell’impotenza e della paura. Istintivamente, i suoi occhi cercarono il poster di Oliver Baston, oramai ex glorioso capitano dei Plammered United, appeso ad una delle pereti della stanza. James sapeva che era tutta colpa di Oliver Baston.

 

Già, se Baston non fosse stato uno splendido capitano, Jamie non si sarebbe accorto così presto d’essere gay. Non avrebbe ceduto, alla fine, al corteggiamento per sfinimento di Brown. E non avrebbe mai dovuto capire che i sentimenti che provava per Teddy andavano oltre l’amicizia.

 

Magari con il tempo avrebbe accettato d’essere gay e si sarebbe innamorato di un altro ragazzo e non del suo caro amico etero e fidanzato.

 

Non poteva pensare alla faccia di suo padre di fronte alla notizia di lui e Teddy insieme. E non ne valeva nemmeno la pena, visto che era una prospettiva molto più che remota.

 

Balzò giù dal letto con rabbia, diretto allo stramaledettissimo poster dello stramaledettissimo Oliver Baston. Con un solo strattone lo strappò dalla parete, mostrano il contorno annerito sull’intonaco chiaro. Era appeso lì da anni.

 

Osservò intensamente e per l’ultima volta il sorriso del suo Capitano per eccellenza prima di iniziare a farlo a pezzi. Strappò, scalciò ed inveì contro il poster fino a quando la voce di Al non spuntò improvvisamente dietro di lui.

 

«Jamie, che stai facendo?» chiese mentre chiudeva la porta e, scaltro, insonorizzava la stanza. «Se mamma e papà dovessero sentirti…»

 

«Fanculo mamma e papà. Fanculo il mondo!» esclamò James, infierendo ancora sul poster.

 

«Fanculo, fanculo, fanculo!»

 

«Calmati! James, stai calmo!» protestò Albus, provando ad afferrare il fratello per le spalle.

 

«Vuoi sapere un segreto, Al?» chiese improvvisamente James, il tono di voce più isterico di quello di una vecchia strega zitella. «Io. Sono. Gay»  scandì, cercando una qualsiasi reazione negli occhi verdi di Albus. Niente. Zero. Nada. Nisba. Ma in fondo, Albus era sempre il figlio di Harry nonhomaicapitobeneleemozioni Potter, occhi smeraldini e capelli color carbone a provarlo.

 

L'unica cosa a cui era riuscito a pensare era stata una maledizione contro se stesso per non essere rimasto a dormire.

 

«Non hai commenti, Al? Non riesci nemmeno più a rivolgermi la parola?» sbottò James. «Sai, quel letto, quello dove tu sei seduto, è lì che ho baciato il mio primo ragazzo. Te lo ricordi Zac Brown? Gran battitore davvero. E gran succhiatore di cazzi»

 

Colto dal timore dell'avere una crisi di panico e per evitare che James aggiungesse altri particolari che, davvero, non voleva sapere, Albus si obbligò a parlare.

 

«Sono… Sono sorpreso» mugugnò, guardandosi intorno in cerca di un aiuto.

 

«Sei sorpreso?» chiese James, sentendo la rabbia ribollire nelle vene. «Solo per questo? Oh, vedrai, adesso sarai sorpreso» esclamò con enfasi, gettandosi letteralmente a sedere accanto al fratello.

 

«Sono innamorato, Al. Già. Davvero, davvero innamorato. Di Teddy Lupin. Hai presente Teddy? Ventisei anni, capelli blu, figlioccio di nostro padre, fidanzato con nostra cugina Vi…»

 

«Okay, basta. Basta! » lo fermò Albus. «Non serve che tu faccia lo spiritoso» precisò, il peso di non sapere cosa dire o fare evidente nei suoi occhi. A quel punto, James si afflosciò sul letto coprendosi il viso con le mani, finalmente conscio dell'aver fatto una scenata.

 

Rimasero in silenzio qualche istante, seduti l’uno accanto tra i brandelli del poster di Oliver Baston. Albus a metabolizzare la notizia e James a metabolizzare non sapeva nemmeno lui cosa.

 

«È tutta colpa di Oliver Baston» esordì poco dopo James. «È colpa sua se sono gay» precisò, osservando i brandelli del Capitano sparsi per la stanza.

 

«Non esiste colpa per questo, James» disse Albus, davvero convinto del significato di quelle parole.

 

«Io ho sempre pensato che i gay fossero più… gay» aggiunse dopo qualche istante, scrutando il fratello da sopra gli occhiali.

 

«Più gay» ripeté James, in uno sbuffo tra il divertito e l'esasperato. «Al, io ti sto confessando d’essere gay e tu mi dici che per te non lo sono abbastanza?»

 

«James… Dammi un attimo per abituarmi all’idea! Mi hai detto che sei innamorato di Teddy

 

«E me ne sono già pentito» si lamentò James, voltando le spalle al fratello e incrociando le braccia al petto con fare stizzito. Il ritorno dei geni Weasley, sembrerebbe.

 

Dopo qualche istante di silenzio, la mano destra di Albus scivolò a stringere la spalla di James, facendo pressione perché si voltasse a guardarlo.

 

«A me non importa che tu sia gay, è che non l’avrei mai detto» disse una volta incrociato lo sguardo del fratello.

 

«Bel tentativo» lo liquidò James, oramai più triste che arrabbiato.

 

«Senti, Jamie» sbottò Al, stranamente deciso, «zio Charlie sembra forse gay? No, lui addestra draghi! Ma a chi importa, in fondo?»

 

«A nonna Molly. Lei voleva più nipoti. Così come importerà ai nostri genitori. Mamma non ha altri cinque figli su cui puntare, solo due.»

 

Albus non aveva mai visto il fratello così a terra. James era quello forte, quello deciso. Non si incrinava mai, nemmeno nei momenti di difficoltà. Lui e Lily non l’avrebbero mai ammesso, dato che James era già abbastanza borioso e vanesio senza che qualcuno lo lodasse, ma per loro era un saldo riferimento. Era l’unico che non era mai stato schiacciato dal peso del loro cognome, e adesso stava sprofondando sotto un peso per lui decisamente più grande.

 

«Se vuoi possiamo bruciarli, i resti del poster di Oliver Baston» propose sorridendo complice.

 

James soppesò quella proposta qualche istante, prima di sorridere di rimando.

 

«Meglio che niente» concesse, alzandosi dal letto e prendendo prontamente la bacchetta. Sì, bruciarli lo avrebbe fatto sentire un po’ meglio.

 

Aveva fatto bene a confidarsi con Al.

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Capitolo 2
*** Parte II ***


Tutta colpa di Oliver Baston

-Parte II-

 

«No!» Ginny Weasley era irremovibile. «No, no, no!» nessuno le avrebbe portato via il suo bambino. Nemmeno lui stesso.

«Mamma, non te lo sto chiedendo» precisò James, facendola infuriare ancor più.

«Harry, dì qualcosa. Fa qualcosa» ringhiò, stringendo con forza l’estremità del proprio grembiule. Il pranzo stava bruciando sui fornelli, ma nessuno sembrava averci fatto caso a parte Lily, che s’era alzata mescolando in silenzio, meccanicamente. Harry, dal canto suo, non sapeva davvero cosa dire o fare.

«Ginny, non rientra nelle mie competenze» farfugliò, grattandosi nervosamente la nuca. Un tic che aveva assorbito da Ron durante anni di lavoro fianco a fianco.

«Sei il Capo del Dipartimento Auror, deve essere di tua competenza» scandì Ginny, arrabbiata come era stata vista poche volte.

«Jamie è una recluta, non un Auror» cercò di scusarsi, togliendo gli occhiali per massaggiarsi gli occhi.

«Mamma, tranquilla, ho controllato bene: papà non può fare niente per fermarmi» disse James, compiaciuto e deciso a non arrendersi. Non era più un ragazzino, quello che voleva fare era solo affar suo.

«Io ti appoggio, Jamie» si intromise Al, facendo emettere alla madre un gemito strozzato. Lily lo fulminò con lo sguardo, ma lui si limitò a scrollare le spalle.

«Mamma, stai esagerando» continuò James, impassibile. «E poi è deciso.»

«Sono due anni, James» protestò Ginny. «Due anni se supererai l’esame»

«Appunto, solo due anni. Supererò senza problemi l’esame» esclamò James, oramai stanco di quelle inutili proteste.

Aveva fatto richiesta di continuare l’addestramento per diventare Auror in Germania. Con i suoi voti, poteva benissimo farlo.

Avrebbe imparato tecniche straniere e sarebbe certamente diventato una recluta preparatissima. E poi sarebbe stato lontano da Teddy. Per due anni. Era la soluzione perfetta, solo che sua madre non voleva proprio capirlo. O non aveva le basi per farlo.

«Partirò tra dieci giorni» li informò, alzandosi dalla sedia.

«No, che non partirai!» strillò Ginny. Ora comprendeva perfettamente come doveva essersi sentita Molly il giorno in cui Charlie li aveva informati della sua partenza per la Romania.

«Mamma, mi spiace, ma è deciso» aggiunse James, prima di uscire in silenzio dalla cucina, lasciano madre e padre a discutere e Lily a salvare il pranzo.

Era arrivato a metà scala quando Albus lo raggiunse, chiedendogli di fermarsi.

«È.. per quella cosa, vero? Per via di Teddy» chiese, con un po’ di rammarico nella voce. James si bloccò, voltandosi in direzione del fratello. «Credo sia più per me, Al» rispose mostrando un sorriso amaro. Era la verità, in fondo. Partiva per cercare di ritrovare un equilibro lontano dagli squilibri; per accettarsi e poter tornare ad essere felice.

 

*

 

Stava chiudendo la valigia, quando aveva sentito bussare alla porta. Sapeva cosa stava per accadere. Ci sarebbe stata l’ultima, pesante, processione per i saluti.

La festa alla Tana con tutti i numerosi zii e cugini Weasley, tranne la famiglia di zio Bill e Teddy che erano in vacanza in Francia, era stata solo l’assaggio. Ora c’era la parte più difficile: i Potter.

«Avanti» si costrinse a dire mentre poggiava la borsa per terra. Erano i suoi genitori.

«Hai preso tutto, James?» chiese suo padre, per rompere il ghiaccio.

«Al massimo potrete sempre spedirmi quello che ho dimenticato» rispose sforzandosi di sorridere. Sua madre non gli parlava dal giorno in cui avevano litigato, in cucina. Ma era pur sempre una madre, quindi corse ad abbracciare il proprio bambino, oramai più alto di lei di almeno venti centimetri.

«Nessuno ti giudicherà male, se vorrai tornare prima» disse stringendolo forte. Quelle semplici parole suggellarono un patto di non belligeranza tra loro, e James si ritrovò ad abbracciare la propria madre con la stessa intensità ricevuta.

«Lo terrò a mente» le disse, lasciandola per voltarsi verso suo padre.

Harry Potter non era un uomo da abbracci, così come il figlio, ma quella era un’occasione speciale. Strinse rigidamente James, dandogli qualche pacca sulla schiena.

«Rendi onore ai nomi che porti» gli disse, fissandolo intensamente.

«E anche al mio cognome. Gli farò vedere che sono il degno figlio di Harry Potter» promise James, e Harry sapeva che avrebbe tenuto fede alla promessa.

Salutati i genitori, fu il turno di Al e Lily.

«Dovete abbracciarmi per forza anche voi?» chiese James, mentre già allargava le braccia per accogliere Lily.

«Mi mancherai, Jamie»

«Anche tu mi mancherai, Pluffetta» la stuzzicò James, ricevendo un pugno leggero nei reni. Quel soprannome era stato inventato molti anni prima; James sosteneva che Lily sembrava una piccola Pluffa che schizzava per casa, con quei capelli rossi.

«Probabilmente Der starà festeggiando» disse Lily, facendo ridere tutti.

«Be’, digli che ho lasciato un erede» la informò James, poggiando una mano sulla spalla di Al.

Scherzarono qualche istante, fino a quando Albus non si fece serio, prendendo James per le spalle.

«È per te» gli disse, scrutandolo con uno sguardo identico a quello del padre.

«Per me» confermò James, annuendo con il capo.

«Andiamo?» chiese Lily, prendendo James per mano. «Al, la valigia» ordinò, trascinando il più vecchio dei propri fratelli per le scale.

«Perché dovrei prenderla io?» protestò Albus, ma senza troppa enfasi. Nessuno voleva mai discutere con Lily, la sua tecnica di presa per sfinimento sapeva essere devastante.

Mancavano solo cinque minuti all’attivazione della Passaporta, quando un trafelato Teddy Lupin piombò di corsa nella cucina di casa Potter. Merda!

James fulminò Albus con lo sguardo, e dalla reazione che ebbe quest'ultimo fu chiaro che era stato lui ad avvertirlo dell'imminente partenza.

«Perché non mi hai detto che te ne andavi?» chiese, visibilmente sconvolto.

«Eri in vacanza, Teddy» tagliò corto James, alzando le spalle come se non fosse stato un problema. «Anzi, dovresti ancora esserlo»

«E volevi andartene senza salutarmi?»

«Be’, tornerò a Natale. Sarà come ai tempi di Hogwarts» mentì James, come aveva mentito alla propria madre. Non sarebbe tornato per Natale. Non quell’anno.

L’irruenza dell’abbraccio di Teddy quasi lo fece cadere a terra. Un abbraccio che l’aveva sciolto al punto che, se Teddy glielo avesse chiesto, sarebbe rimasto a Londra. Un abbraccio che lo stava rendendo debole.

«Devo andare, Teddy. La Passaporta» gli ricordò, cercando di sciogliere quell’abbraccio maledetto.

«Mi mancherai, James. Non sai quanto» gli sussurrò Teddy, prima di lasciarlo andare.

James si aggrappò con forza alla Passaporta, cercando di costringersi a non lasciarla andare e restare accanto a Teddy.

Se ne andò così: con il volto del ragazzo che amava fisso su di lui, in modo che potesse vedere in quegli occhi la muta supplica che gli chiedeva di restare.

 

*

 

Due anni, tre mesi e sette giorni: il tempo in cui James Sirius Potter era mancato da casa.

Due anni, tre mesi e sette giorni ad allenarsi, imparare una nuova lingua e a dimenticare Teddy Lupin. Oltre Ogni Previsione, Eccellente, In fase di valutazione.

Due anni, tre mesi e sette giorni per diventare un nuovo James, più maturo e capace di accettare se stesso.

Non era uscito con molti ragazzi durante il periodo di addestramento, ma quei pochi erano riusciti a fargli accettare pienamente la propria omosessualità.

Pochi istanti e la Passaporta l’avrebbe riportato a casa. Un nuovo James gettato da uno strappo in una vecchia vita.

Era agitato, e la scuola d’addestramento gli sarebbe perfino mancata, ne era certo. Però aveva voglia di tornare a casa.

Albus e Lily gli avevano scritto molte lettere, per non parlare dei suoi genitori, ma James non ne aveva letta nemmeno una.

Ogni mese aveva scritto una lettera a casa, ma mai ne aveva aperta una. Il flusso di notizie era stato a senso unico. Aveva preferito così.

Non era mai tornato, nemmeno per Natale. Sua madre l’avrebbe ucciso, una volta arrivato a Londra, ma era stato meglio così. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Forse.

Ora, però, doveva affrontare la parte più difficile: tornare a casa.

Avrebbe rivisto Teddy e forse due anni di fatica sarebbero stati vanificati da un solo sorriso. Per quanto ne sapeva, lui e Vic potevano essersi sposati; potevano avere un figlio.

Forse Albus aveva trovato una ragazza e Lily aveva lasciato Der. La vita della sua numerosa famiglia poteva essere esattamente la stessa o poteva essere completamente diversa.

Aveva voglia di bisticciare con Rosie, ubriacarsi con Freddy e sfidare Luis a Quidditch.

Avrebbe perfino accettato di buon cuore un abbraccio dalla propria madre e da nonna Molly…

Il familiare strappo alla vita lo catapultò in una casa completamente vuota. E la Tana non era mai vuota. Probabilmente avevano organizzato uno di quegli stupidi ‘effetti sorpresa’ che nulla hanno della sorpresa; e James non vedeva l’ora di sentirli gridare tutti insieme, di fingere d’essere stupito e abbracciarli tutti.

«Sorpresa!» urlarono in coro decine di voci, una volta che fu arrivato in giardino. Appunto.

Erano tutti lì per lui. Perfino Lysander, quindi Lily non l’aveva ancora lasciato. Be’, James era felice di vedere perfino lui.

Baci, abbracci, lacrime e complimenti compressi in un fiume maggiormente rosso avvolsero James per almeno un’ora. Potter, Weasley, Weasley e ancora Weasley, ma nessun Lupin. Niente prova finale, quindi.

«Dov’è Teddy?» sussurrò infine all’orecchio di Albus, che per un attimo parve deluso da quella domanda.

«Al San Mungo, arriverà più tardi»

«Per Merlino, è successo qualcosa?» chiese subito James, preoccupato.

Invece di rispondere, Albus si volto verso Lily: «Mi devi cinque Galeoni, non le ha mai lette le lettere» urlò in direzione della sorella, che iniziò ad insultare James a distanza.

«Teddy ci lavora al San Mungo, James. Ricerca e sviluppo, te l’avevo scritto. Credo stia cercando dei nuovi rimedi più efficenti per i morsi di Lupo Mannaro.»

Forse le cose non erano cambiate in modo radicale a casa, ma era cambiato Teddy. Aveva trovato la sua strada. Come aveva fatto lui.

«Devo fare una cosa» esclamò James, lasciando Albus abbastanza perplesso.

Trovare la 1/8 Veela più fastidiosa della storia non fu difficile. Era bionda in modo imbarazzante, facile da distinguere nei confini rossi della Tana.

«Ehi, Vic» la salutò James, afferrando un boccale di Burrobirra. Se Victoire su sorpresa da quel saluto cordiale, non lo diede a vedere.

«Bentornato» disse invece, facendo tintinnare il suo bicchiere di vino Elfico contro il boccale.

Dopo alcuni minuti di imbarazzante silenzio, James riuscì a sputare quello che doveva dire.

«Sentì Vic» esordì, schiarendosi la voce, «mi dispiace, sono stato spesso uno stronzo con te» ammise, sentendosi quasi meglio. «Ero geloso del tempo che passavi con Ted, ma non avevo il dir…»

«Lascia stare, Jamie. Non mi va di parlare di Teddy» lo interruppe Victoire. Un’ombra scura parve passare nei suoi occhi azzurri.

«Non… Non capisco» farfugliò James, colto completamente alla sprovvista. Nella sua mente le cose avrebbero dovuto andare in modo diverso. Si sarebbe scusato, lei lo avrebbe perdonato e avrebbero vissuto tutti felici e contenti. O quasi.

«Tu non… Oh, be’, noi ci siamo lasciati. O meglio, lui mi ha lasciata. Mi ha spezzato il cuore.»

Improvvisamente, James non fu più in grado di odiare Vic. Non perché lei e Teddy s’erano lasciati, ma perché sapeva esattamente cosa volesse dire avere il cuore infranto. Il suo l’aveva ricostruito in Germania. D’istinto, abbracciò Vic, cercando di trasmetterle tutta la sua comprensione.

«So come ci si sente» le sussurrò all’orecchio, per poi lasciarla andare, alquanto perplessa, e sparire in direzione di Albus.

«Forse dovevo leggerle quelle lettere» disse al fratello, che avendo visto l’abbraccio tra lui e Vic capì subito a cosa James si stesse riferendo.

«Cosa farai, adesso?» chiese Al, guardandosi nervosamente intorno, in attesa dell’arrivo di Teddy.

«Niente» rispose prontamente James. «Questo non cambia niente» aggiunse, prima di lasciare Al da solo.

Forse da Vic non ha saputo tutto, decise Albus. Non poteva essere altrimenti. 

 

*

 

Sdraiato sul proprio letto, circa un'ora dopo la festa, James si ritrovò a pensare a Zac Brown. Non aveva senso avercela con lui e con Oliver Baston. Non era colpa loro se era diventato gay, non c’era colpa per questo, anche se James l’aveva capito solo con il tempo. E poi, il pompino di Brown non era stato per niente male.

Sonnecchiava con le mani intrecciate dietro il capo, quando la voce di Teddy irruppe magicamente in camera.

«Mi sono perso il grande rientro»

«Non è stato poi così grande» rispose James, senza muoversi o aprire gli occhi. Una cosa per volta.

«Complimenti, Auror Potter» si congratulò Teddy, e a quel punto James non poteva continuare a tenere gli occhi chiusi. Quando finalmente decise di voltarsi, rimase interdetto qualche istante.

«Teddy?» chiese, sfregandosi gli occhi con il dorso delle mani.

Il ragazzo che aveva di fronte non era Teddy. Il suo Teddy aveva sempre avuto i capelli colorati. Lui li aveva sempre adorati quando erano blu. Quel ragazzo, quel Teddy, aveva i capelli neri come la notte. Come quelli di Zac Brown. Banali.

«Ti piacciono?» chiese Teddy, intuendo subito lo shock di James.

«No.» James non mentiva mai a Teddy. Tranne sui propri sentimenti, è chiaro.

«È per il lavoro» tagliò corto Teddy, sedendosi sul letto. «Scegli un colore» propose, come spesso faceva quando erano piccoli. Anni d’esperienza come babysitter gli avevano fatto capire quanto i bambini adorassero guardarlo mentre cambiava il proprio aspetto.

«Blu» rispose subito James, come sempre, portandosi a sedere a sua volta. Ancora non riusciva a comprendere cosa il suo cuore stesse suggerendo. Amicizia? Odio? Amore? Tutto era terribilmente confuso.

«Sono vent’anni che rispondi sempre blu» osservò Teddy, mentre cambiava il colore dei propri capelli.

«Non sei tu con un altro colore»

«Sono sempre io, solo con un altro colore» lo corresse, alzando un sopracciglio.

«Ma non sei il mio Teddy» si lasciò sfuggire James, pentendosene subito. Dopo aver pronunciato quelle parole, capì che due anni passati lontano non erano serviti proprio a nulla. Un solo sorriso e la Germania era svanita in un istante.

Il tuo Teddy? E quando mi avresti comprato?- scherzò il Metamorfo, alleggerendo per un attimo la tensione.

«Anni fa, tua nonna voleva liberarsi di te» gli diede corda James, sentendosi meglio. Forse.

«Allora, come è la Germania?» chiese Teddy, la fame di sapere avida come sempre.

James soppesò per qualche istante la risposta che avrebbe dato.

«Lontana» disse, aggiungendo altre parole nella propria mente. Lontana da te, pensò. Da noi.

«Davvero? Pensavo fosse a pochi passi da Diagon Alley!» lo derise Teddy, dandogli una pacca sulla spalla.

«Si mangia male» aggiunse James, come se avesse avuto un’illuminazione. D’altro canto, cosa avrebbe potuto dire?

Oh Teddy, in Germania c’è un’ottima birra, nessun Metamorfo che potesse ricordarmi te ed i ragazzi che mi hanno aiutato a dimenticarti. O meglio, a provare a dimenticarti.

Ci sono il dolore e la rabbia che ho provato verso di te; verso Vic. C’è la vergogna d’essere gay seppellita da qualche parte, non so dove per paura di ritrovarla. C’è tutto un mondo che ha visto il mio cambiamento, che mi ha accettato come non so se questo farà.

C’è la tomba di un vecchio James che non esiste più e la culla di quello nuovo, che comunque ti ama.

C’è un mondo che non ti ha mai visto, eppure è pieno di te.

Avrebbe potuto, ma non era pronto. La Germania era stata abbastanza inutile per il fattore Teddy, a conti fatti.

«Facciamo così: della Germania parliamo un’altra volta, okay?» propose Teddy, improvvisamente serio.

«Come vuoi» convenne James, che non capiva il cambiamento improvviso dell’amico. Teddy sospirò profondamente, prima di parlare.

«Senti James» sputò fuori torcendosi le mani. «Sono cambiate un po’ di cose, in questi due anni. Io sono cambiato e volev…»

«Oh, so tutto, Teddy» lo interruppe James. «Me l’ha detto Vic»

«Vic» ripeté Teddy, perplesso. «Ma Vic, Vic?»

«Quante altre ne conosci?»

«Nessuna ma… Oh, be’, lasciamo stare. Tu che ne pensi, James?» chiese Teddy, sempre intento a torcersi le mani e con i capelli di un bizzarro color cipria.

Fu il turno di James d’essere perplesso, dopo quella domanda e... quel colore.

«In che senso?» chiese appunto, grattandosi la nuca.

«Ma di tutta la situazione, no?» esclamò Teddy, nervoso. «Di… Di me. Del nostro rapporto. Credi che mi vedrai in modo diverso?»

«Non dire cazzate, Ted!» lo stroncò subito James. «Perché mai dovrei?» chiese, sorridendo rassicurante. E ignaro. Idiota!

Teddy guardò James come se non l’avesse mai visto prima. Dal suo punto di vista, s’era dimostrato maturo come non si sarebbe mai aspettato che fosse.

«Grazie» sussurrò, con il cuore pieno di gioia. Un grande peso aveva appena lasciato il suo cuore. Un peso che però James non sapeva d'aver tolto.

Aveva preso molte delle qualità del proprio padre, ma purtroppo era anche ugualmente frettoloso nell'inquadrare le situazioni.

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Capitolo 3
*** Parte III ***


 

Tutta colpa di Oliver Baston

-Parte III-

 

 

«Adescio brindiamo a… al tuo ritorno!» esclamò Freddy, perdendo l’equilibrio e rischiando di cadere dalla sedia. «O abbiamo shià brindato per queshto?» chiese, cercando di trovare l’equilibrio e rovesciare la minor quantità di Burrobirra possibile.

«N-non credo prroprio che abbiamo shià brindato a questo» sbiascicò James, alzando il proprio boccale verso quello del cugino.

Albus sospirò, pensando che probabilmente quello era il ventesimo brindisi in onore del ritorno di James. Bevve un po’ del proprio Succo di Zucca (qualcuno doveva pur restare lucido) pentendosi d’aver acconsentito ad uscire con il fratello ed il cugino.

Non gli era mai piaciuta la ‘Taverna Infiammata’, puzzava di birra ed era piena di dubbie personalità, ma sembrava che a James fosse mancata tanto.

Fred e James avevano appena iniziato l’ennesima sfida a chi riesce a bere tutto il boccale d’un fiato, quando Albus vide Teddy entrare nel bar accompagnato da alcuni amici che non aveva mai visto.

«Jamie» cercò di chiamare il fratello, che però stava ridendo a squarciagola per qualcosa che aveva detto o fatto Fred. Non aveva visto Teddy ed i suoi amici, ma lui aveva visto loro.  Lo vide bisbigliare qualcosa a quei ragazzi, che gli diedero qualche pacca sulla spalla prima di andare a sedersi ad un tavolo dall’altra parte del locale. In un attimo, Teddy gli fu addosso. O almeno, Albus si sentì come se li avesse braccati.

«Sono parecchio ubriachi» osservò sogghignando, facendo cenno al barista di venire al loro tavolo. «James mi aveva detto che sareste venuti qui» disse ad Albus, che si sforzò di sorridere e di nascondere il panico.

«Jamie, Freddy, c’è posto per un altro brindisi?» chiese Teddy, spostandosi tra loro e poggiando le mani sulle loro spalle.

«Teddy!» esclamò James, illuminandosi. «C’è Teddy!» trillò, indicando l’amico al cameriere, che era appena arrivato.

«E cosa vuole Teddy?» chiese allora il ragazzo, estraendo la bacchetta.

«Sangue di drago per tutti: offro io» rispose Teddy, ignorando le proteste di Albus e le acclamazioni di James e Fred.

«Non posso, davvero. Chi riporterà a casa James?»

«Non ti preoccupare, Al. Sarò il vostro babysitter anche per stasera.»

Quando tutti ebbero il drink tra le mani, Teddy levò il bicchierino e propose un brindisi.

«Ai cambiamenti!» esclamò, seguito dagli altri tre ragazzi.

Parecchi bicchierini di sangue di drago dopo, nemmeno Al era più tanto lucido. S’erano spostati al tavolo degli amici di Teddy, e James e Fred erano diventati l’attrazione della serata.

James Sirius Potter, quando era ubriaco, era perfino più egocentrico del solito.

Al aveva la sensazione che un amico di Teddy ci stesse provando con lui, ma era invece certo che Josh, un altro amico, ci stesse provando spudoratamente con suo fratello. Che non disdegnava.

Fred sembrava non accorgersi di nulla di ciò che gli accadeva intorno, mentre Ted continuava a lanciare occhiate furtive a James. Sembrava che lo stesse vedendo per la prima volta. Nuovamente.

«James, ti va di prendere una boccata d’aria?» propose Josh, mentre già prendeva la giacca.

«Certo!» trillò James, seguendolo fuori senza troppi preamboli.

Immediatamente, Teddy afferrò per un braccio Albus, avvicinandolo a sé.

«Che cosa sta facendo tuo fratello? Josh è gay!» disse, visibilmente scosso. Albus però  non riuscì a rispondere, perché Fred piombò tra loro.

«Credo si voglia scopare il tuo amico, Ted» sputò fuori ridendo, prima di proporre un altro giro di… qualsiasi cosa.

Albus si rese conto in quel momento che Fred sapeva la verità riguardo a James, ma che Teddy ne era allo scuro. E si rese anche conto di quanto Teddy fosse arrabbiato.

La serata aveva preso una piega maledettamente orribile, e Albus non poté faro altro che dirsi ‘te l’avevo detto’.

 

*


Josh Bennet era stato una grande, grandissima scopata. O forse era stato l’alcool a renderlo tale, James non avrebbe saputo dirlo. La sua unica certezza, oltre che sola consolazione, era che quel terribile post sbornia non era stato vano.

«Stupido coglione!»

Rimase interdetto qualche istante, prima di muoversi. Forse era ancora troppo ubriaco, perché gli era sembrato di sentire la voce di Teddy imprecargli contro. Ma era impossibile, perché era nel suo letto, al caldo, a fare i conti con i postumi della notte precedente.

«Alzati!» urlò ancora la voce di Teddy, e in un istante James si ritrovò con il culo sul pavimento.

«Teddy?» 

«Cento punti a Grifondoro!» ribatté quello che sì, era davvero era Teddy Lupin.

«Che c’è?» pigolò, il cervello ancora incriccato dall’alcool e dall’intorpidimento del sonno.

«Josh Bennet» fu la secca risposta. «Sarebbe stato carino, da parte tua, dirmi che anche tu sei gay, sai? Sarebbe stato carino evitare di farmi impazzire per trovare il modo dimostrati che ero sempre io, nonostante la novità. Mi sarebbe piaciuto che tu ti fossi confidato con me. Tu di me sapevi, Jamie. Era mio diritto sapere di te!» sbraitò Teddy, i capelli che variavano minacciosamente colore dal nero al rosso all’arancio, facendolo sembrare una fiammella.

«Tu… Tu sei gay?» chiese James, sgranando gli occhi. Sembrava proprio un pulcino, seduto a terra, mezzo avvolto nelle coperte e con i capelli sparpagliati.

«Ma che domanda è questa, Jamie? Sei stato tu a dirmi che Vic ti aveva detto tutto, ricordi?»

«Be’, tutto ma non questo!» si difese James, alzandosi in piedi. Temeva che la testa stesse per scoppiargli. Un ritmo martellante minacciava di sfondargli il cranio. Gay. Gay. Gay. Come aveva fatto a non capirlo? A non accorgersene prima?

«Quindi tu sei gay» scandì, fissando Teddy come se avesse visto un fantasma.

«Già. Anche tu, l’hai dimostrato rimorchiandoti il mio amico» lo ammonì Teddy, incrociando le braccia al petto. Strano, lui non aveva geni Weasley.

«Ero ubriaco» precisò James, lasciandosi cadere sul letto. «Lo sono ancora.»

«Dovevi dirmelo» insistette Teddy, avvicinandosi al quasi-cadavere James.

«Come hai fatto tu?»

«Io ci ho provato, ma tu mi hai detto che sapevi già tutto.»

«Be’, credevo di sapere tutto, ma mi sono sbagliato» ribatté James, lanciando la coperta sul pavimento con fare stizzito.

«Oh, allora nessun problema, ti sei solo sbagliato» ironizzò Teddy, i capelli ancora pieni di varie sfumature di colore. Iniziò a camminare avanti e indietro e a torturarsi le unghie.

«Perché farmelo sapere così, James? Perché tramite Josh?» chiese, ora più addolorato che arrabbiato.

«Non sapevo come dirtelo» si giustificò James, evitando il suo sguardo.

«Potevi almeno tentare, io volevo parlartene il giorno in cui sei tornato» disse Teddy, il rammarico evidente sul suo viso. «Mi hai deluso.»

«Merlino, facevo meglio a restarci in Germania!» sbottò James, decisamente in vena di perdere la pazienza. La testa minacciava di scoppiargli in senso letterale.

«Ecco lo spirito Grifondoro del figlio del grande Harry Potter» lo derise Teddy, facendo davvero perdere le staffe a James.

«Io sono andato in Germania per noi, Teddy» sputò, balzando in piedi. «Ci sono andato per non rovinare la nostra amicizia, stronzo ingrato!» si lasciò sfuggire, battendo l’indice della mano destra sul petto dell’amico. Si pentì subito d’averlo detto, ma oramai il danno era fatto.

«Che cazzo vuol dire?» sbraitò Teddy. E Teddy non diceva quasi mai parolacce, a differenza di Jamie, quindi doveva essere proprio sconvolto.

«Bene, vuoi la maledettisima verità, Teddy?» chiese James, poggiando le mani sui fianchi esattamente come faceva Lily quando voleva che il messaggio venisse recepito perfettamente. «Me ne sono andato perché ero innamorato di te. Mi hai chiesto come è la Germania ed io ti ho risposto che è lontana. Non era una risposta a vuoto. È lontana da te! Da te e Vic, per la precisione, l’ho scelta per smettere di vedervi ogni giorno abbracciati e felici. Stavo male, Teddy. Sono andato via per accettare il mio essere gay e per dimenticarti.»

Oh. Cazzo. James l’aveva detto d’essere ancora ubriaco, in sua difesa.

Teddy, dal canto suo, era immobile come una statua. Lo sguardo fisso su James, le mani lungo i fianchi e gli occhi sgranati. Sembrava aver perso il dono della parola.

«Altri cento punti a Grifondoro» disse James, la voce più fredda della mano di un Dissennatore. «Sono riuscito a stupirti» aggiunse, facendosi un applauso e mostrando un sorrisetto amaro e deluso.

«Addio» sussurrò mentre superva Teddy, per uscire da quella camera improvvisamente stretta. E sarebbe stato davvero un addio, se Ted non si fosse riscosso appena in tempo.

«E ci sei riuscito?» chiese, voltando leggermente il capo verso la spalla, James praticamente in procinto di aprire la porta.

«A fare, Ted?» domandò, troppo scosso per capire il significato delle parole dell’altro.

«A dimenticarmi» precisò Teddy, voltandosi verso di lui.

James aveva una mano sulla maniglia e le spalle ricurve di chi sta portando un grande peso. Si voltò lentamente, mostrando uno sguardo terribilmente serio. «No, Teddy. Sono ancora innamorato di te, se è questo che vuoi che ammetta» rispose, chiudendo poi gli occhi e sospirando pesantemente. Quello che accadde nei successivi dieci secondi, James non lo vide. E Teddy non seppe mai spiegarlo. Corse d’impulso verso James, afferrandolo per le spalle e sbattendolo contro la porta della stanza. Lo baciò con irruenza, come se dovesse appiccicare per sempre i propri baci sulle labbra di James, che rispose senza la minima esitazione. E finalmente, diciamocelo!

«Non… Non so se sono innamorato di te, c’è un casino assurdo nella mia testa. L’unica cosa che so è che da quando sei tornato non ti vorrei in altro posto se non accanto a me» sussurrò Teddy all’orecchio di James, mentre ancora lo schiacciava contro la porta della stanza.

«È più di quanto mi aspettassi, Teddy.»

Sfoderando più di due anni d’addestramento in un solo colpo, James afferrò Teddy per la vita e se lo caricò in spalla. Lo lanciò senza troppi preamboli sul letto, raggiungendolo in un batter d’occhio.

«Una volta non saresti mai riuscito a scaraventarmi su un letto» si sentì in dovere di puntualizzare Teddy; era comunque più vecchio di sette anni.

«Non che non fosse stato nei miei piani» ammise James, mentre già si sfilava la maglietta. Ero stufo marcio di aspettare Teddy. «Ed è colpa tua se sono più forte di te: io ho passato gli ultimi due anni a spaccarmi la schiena, tu in un laboratorio, cervellone.»

«Vorrà dire che inventerò un siero che mi renda più forte» si difese Teddy, ma era un altro l’attacco che cercava di parare davvero. Le mani di James erano impegnate nel tentativo di strappare - letteralmente - i suoi vestiti.

«Attento a non fare la fine di Bruce Banner.»

«E chi sarebbe?»

«Il protagonista di un fumetto Babbano che leggeva mio cugino Dursley» spiegò James, mentre Teddy gli sfuggiva in tutti i modi dalle mani. «Ma vuoi stare fermo?»

«No! Ci sono i tuoi di sotto.»

E dopo questa frase, puntuale come qualsiasi copione avrebbe voluto, Albus spalancò la porta della camera. La scena che gli si palesò d’avanti fu James con indosso solo i pantaloni del pigiama, seduto sopra Teddy - almeno lui vestito - e intento a bloccargli i polsi sul cuscino.

«Okay, questa è una scena che non avrei mai voluto vedere» biascicò, divenendo paonazzo. «Mamma mi manda a dirvi che la colazione è pronta» aggiunse, fuggendo poi giù per le scale, non prima d’aver intelligentemente richiuso la porta.

James e Teddy scoppiarono a ridere come due ragazzini. «Te l’avevo detto» disse Teddy, mentre James si infilava la maglietta. Ignorando il commento, quest’ultimo strinse Ted per la vita, dandogli un piccolo bacio vicino all’orecchio destro. «Sono felice» sussurrò, fiondandosi poi fuori dalla stanza. Il richiamo della colazione anti post sbornia.

Teddy rimase da solo nella camera di James, impalato accanto al letto. Ripensò a come erano passati dal litigare al baciarsi, senza trovare un senso logico alla scena. Non era importante che avesse senso, però. Sfiorò con le dita il punto in cui James gli aveva dato l’ultimo bacio e sorrise. Sono felice anch’io, pensò.


*


Era un momento importante, per James. Per sentirsi davvero a casa, c’era qualcosa che doveva assolutamente sistemare. Non era stato per nulla facile recuperare quell’oggetto, ma la fatica ne sarebbe valsa la pena.

Srotolò il nuovo poster di Oliver Baston, identico a quello che aveva stracciato più tre anni prima, e lo attaccò esattamente nello stesso posto. Era lì che doveva stare.

Sorrise compiaciuto al suo Capitano ed andò a sedersi sul letto, ripensando a quante cose erano cambiante dall’ultima volta che l’aveva visto.

Teddy non stava più con Vic. Teddy gli aveva detto d’amarlo. Di averlo sempre amato, forse. E lui ricambiava con tutta la gioia del mondo.

Era bello avere il controllo della propria vita, almeno in parte. Aveva fatto outing, ma Al a parte nessuno sapeva di lui e Teddy. Una cosa per volta.

Come se il solo pensarlo potesse farlo apparire, Teddy si materializzò in camera.

«Alzati!» ordinò, più agitato che un bambino che vede per la prima volta Hogwarts.

«Ciao anche a te.»

«Vieni qui.»

«Oh, ma ti amo anch’io.»

Ignorando il monologo di James, Teddy lo placcò all’improvviso e se lo caricò in spalle con un solo braccio. Con l’altro fece due rapidi incantesimi per insonorizzare la camera e sigillarla.

 «Mettimi giù!» strillava nel frattempo James, battendo i pugni contro la schiena del proprio ragazzo.

«Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!» cantilenava Teddy, mentre depositava James con poca grazia sul letto. «Sono più forte di te» trillò, bloccando i polsi di James sopra la sua testa.

«Ma come ci sei riuscito?!» piagnucolò quest’ultimo, provando a liberarsi.

«Una pozione ben riuscita, anche se l’effetto durerà poco» spiegò rapidamente Teddy, mentre le sue labbra saggiavano avide il collo del proprio ragazzo.

«Ti amo, Jamie» disse improvvisamente, pienamente convinto di quelle parole. Non avrebbe permesso a niente e nessuno di separarli. Non più.

«Io ti amerei se liberassi i miei polsi.»

«Okay, per oggi non amarmi» scherzò Teddy, allentando leggermente la presa. Non poteva dargliela pienamente vinta.

«Sono felice, Teddy» sussurrò James, sfoggiando il suo miglior sorriso malandrino.

«Sono felice anch’io, Jamie» disse Teddy, baciando subito quelle labbra sottili che oramai desiderava troppo.

«Sai, se tu mi liberassi potrei…»

«Oh, adesso sta zitto, James!» lo liquidò mordendogli il labbro inferiore. Non era il momento per le chiacchere.

C’era voluto del tempo perché potessero stare insieme; non era stato per nulla facile e la loro battaglia non era ancora finita, ma adesso potevano affrontare qualsiasi cosa insieme invece che da soli.

Ed il merito, in fondo, era tutto di Oliver Baston, Capitano dei Plammered United e vecchio amico di Harry Potter che molti anni prima, quando James aveva meno di un anno, gli aveva augurato con tutto il cuore di poter essere davvero felice. Solo che questo lui non poteva saperlo.

 


 

Ed ecco la conclusione, che spero non abbia deluso nessuno.

Grazie a tutti quelli che hanno seguito e commentato la storia.

Grazie d'essere arrivati fin qui. ♥

Payton

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