It's easy, you complete me.

di say goodbye
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It's just a joke. ***
Capitolo 2: *** Goodbye Atlanta. ***



Capitolo 1
*** It's just a joke. ***


"Dai, passa la palla, muoviti"
Il bambino dagli occhi color miele imprecava esuberante come se non aspettasse altro. 
"Se la vuoi te la devi venire a prendere" avevo solo otto anni ma avevo già la spiccata personalità provocativa di una normale adolescente.
Ero perfettamente in grado di stuzzicarlo in ogni attimo della giornata, possiamo dire che era il mio hobby. 
Con un balzo quasi da idiota saltò dentro ad una pozzanghera a pochi centimetri da me sporcandomi la maglietta nuova delle winx. Furiosa, divenni furiosa, avevo il fumo che mi traboccava dalle orecchie come si suol dire. Lo aveva fatto apposta, non c'erano altre spiegazioni. Cosa meritavo? Vendetta. 
"Ti strappo i capelli"
Ero parecchio aggressiva e devo dire che la cosa non mi dispiaceva affatto.
Teneva alla larga le persone false cosa più che positiva. 
I ricordi della mia infanzia sono particolarmente sfocati, principalmente rinchiusi in una camera impolverata nella mia testa. Perché? Perché sono ricordi che quello stronzo ha osato macchiare con la sua merda. Sono ricordi ormai rovinati che non voglio far tornare a galla. 
Di chi sto parlando? Oh, andiamo, lo sapete benissimo. Ormai tutto il mondo gira intorno a quel presuntuoso egocentrico moccioso di nome: Justin Bieber.
Non riesco a capire, davvero, come un branco di ragazzine arrapate possano provare un'amore incondizionato per qualcuno che non conoscono nemmeno.
Ebbene, io lo conosco, e credetemi, in questi ultimi 10 anni non ha fatto altro che rendermi la vita un inferno, come se ci provasse gusto, come se non avesse nient'altro a cui pensare.
La cosa peggiore? E' che ora si atteggia e si comporta come se non fosse accaduto assolutamente nulla tra di noi e la cosa mi fa rabbia, tanta rabbia.
Mi capita spesso di vederlo in giro, frequentiamo la stessa compagnia, non è facile, ma la maggior parte delle volte ingoio il rospo della sua presenza e vado avanti a testa alta.
E' capito si, è capitato che qualche volta sono sbottata e gli ho rinfacciato tutto il male che mi ha fatto passare ma accade raramente.
Ho il pieno controllo dei miei nervi da molto tempo ormai. 
Sono Melanie Ferguson e vivo ad Atlanta..'OH MIO DIO E' DOVE ABITA JUSTIN BIEBER, CHE EMOZIONE, COME SEI FORTUNATA *________*' AHAHAHAHAHAHAHHAHAHAHAHAHAHAHAH NO. Cerco di evitare ogni commento simile, mi danno alla nausea.
Abito nella sua stessa città e sinceramente preferire perdere la verginità con un barbone. 
 
9 luglio, lunedì.
Anche oggi devo passare un pomeriggio cercando di sopportare quel microbo che ultimamente non fa altro che ronzarmi intorno. Vorrei tanto fosse una mosca almeno quelle le puoi depistare schiacciandole oppure spruzzando un po' di DDT. 
Mi sveglio e, ancora con gli occhi semichiusi mi dirigo nervosa in cucina.
Mi guardo intorno, la colazione è già sul tavolo, quasi un miracolo. 
'Sono andata con Mark, torno stasera tardi non aspettarmi' 
eccolo lì, il solito biglietto di benvenuto che mia madre lascia quotidianamente sul mobiletto in cucina.
Lei e papà si sono separati un paio di anni fa, io ero ancora piccola per capire il vero significato della parola 'divorzio' ed è per questo che ora non mi fa nessun effetto.
Con mio padre ho perso ogni tipo di contatto, ogni tanto chiama per sapere come sto, ma non sono mai andata oltre.
Mark è il nuovo apparente compagno di mamma, oddio, non è nè un tipo simpatico, nè antipatico, è semplicemente..un tipo si ecco.
Adoro mia madre, niente discussioni su questo, solo che mi da l'idea di una puttana.
Non puoi uscire la mattina presto e tornare la notte verso le quattro, non ha praticamente alcun senso.
Sollevo le spalle facendo finta di niente, bevo il mio latte bollente, un pizzichio mi solletica la gola il che mi fa fare un'espressione strana con la bocca, quasi di fastidio.
Do un'occhiata veloce all'orologio, sono le 11, è ancora presto per varcare le soglie dell'inferno.
Cero di scrollarmi il sonno di dosso optando per una doccia fredda e rinfrescante. Spesso le migliori idee mi vengono proprio sotto la doccia, è il modo migliore che ho per riflettere, per pensare a tutte le cose che ho passato.
Certo, è il posto migliore dove posso piangere, dove le mie lacrime si mischiano alle gocce d'acqua che escono ininterrottamente dal maniglione. 
Il telefono inizia a squillare, ma cazzo, proprio adesso? Il tempismo è andato a farsi fottere, dio.
Scosto la tenda mi guardo intorno e provo a scendere cercando di bagnare il meno possibile il pavimento, infilo il primo asciugamano che trovo e mi dirigo correndo verso il salone. 
Sulla schermata azzurra del mio cellulare appare il suo nome -Justin- resto ferma, impassibile, un piccolo balzo sorprende il mio cuore, come se ne fosse contento. Scuoto la testa, no, non può esserlo, non deve esserlo.
Riattacco forse perché mi manca il coraggio, forse perché non ho voglia di sentirlo o forse perché non ho voglia di affrontare il passato. 
 
FLASHBACK.
"Justin che cazzo ci fai qui? Perché sei nudo? Perché lo sono anche io? Porca puttana. "
"Scusa, eri ubriaca e..e..tu mi piaci..quindi.."

"Ti sei approfittato di me, con me hai davvero chiuso."
 
 
Si, me lo ricordo, me lo ricordo come fosse ieri.
Si era approfittato di me, mi aveva colto nel momento di debolezza più assoluta, era stato scorretto, troppo, non meritava il mio perdono. 
La cosa che non capivo e che non capisco tutt'ora è come due bambini così tanto amici possano essere arrivati ad odiarsi così tanto.
Cioè si, ok, lui ha fatto quel che ha fatto, ma come ha potuto..
Credevo fosse l'unica persona in grado di non farmi mai del male, ma ancora una volta mi ero sbagliata.
Ancora adesso non ho imparato la lezione, ma ci sto provando, giuro, lo sto facendo. 
Devo dimenticarlo, e per farlo devo andarmene da qui.

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Capitolo 2
*** Goodbye Atlanta. ***


Il modo migliore per dimenticarmi di lui è andarmene da qui.
 
Sono passati pochi giorni dall'ultima volta in cui l'ho visto, il suo sguardo, la sua risata, il suo modo di fare sono rimasti impressi nella mia mente come disegnati con un pennarello indelebile.  
Poco fa ho chiamato mio padre, voglio andare a stare da lui per un po' di giorni, almeno fin quanto ne avrò bisogno.
Ogni tanto ci vuole staccare dal mondo quotidiano ripartendo da zero.
Ha detto che è ben contento di rivedermi anche se il nostro rapporto non è uno dei migliori.
Può essere anche un'occasione per riallacciare ciò che un tempo si è rotto. Parto domani mattina presto con il primo volo diretto per Londra,
sono agitata? troppo.
sono triste? dipende dai punti di vista.
mi mancheranno i miei amici? forse. 

 
Sono sempre stata quel tipo di persona solitaria che non ama stare troppo in mezzo alla gente, ad esempio, opto stare a casa a sentirmi un po' di musica che andare in pizzeria con gli amici, opto leggermi un libro piuttosto che andare a ballare, opto un film anziché stare in centro. Pochi sono come me, ma come si dice, pochi ma buoni..
 
 
10 luglio, martedì.
Oggi è il grande giorno, nessuno ancora sa che parto e sinceramente non ho la minima idea di come dirglielo.
Voglio essere decisa, ma non troppo fredda, distaccata ma non voglio fargli credere che in realtà non me ne importa niente, anche perché non è così.
Ho appuntamento verso le 15 nel nostro solito punto di ritrovo, al telefono ho sbiascicato solo un 'vi devo dire una cosa' una cosa così importante non si può dire per telefono, sarebbe squallido, forse troppo. Inizio a incamminarmi, caldo, oggi fa particolarmente caldo. Non tira un filo di vento e sento pian piano i miei capelli afflosciarsi sulla mia fronte bagnata di sudore. Odio, tanto odio, c'ho messo quasi un'ora per piastrarli, tanto lavoro buttato nel cesso come fosse niente.
Passo davanti ad un bar, con la coda dell'occhio scorro in vetrina diversi tipi di granita che sembrano quasi sussurrare il mio nome, manco stessimo girando un porno.
Ti tenta e cerca di persuaderti con quel rumore allietante del ghiaccio che si infrange tra le lame del tubo girevole. Cedo, un gelato ha la meglio su di me, che vergogna. Il gusto zuccherato di quella granita alla menta mi solletica l'esofago e sento lentamente lo stomaco assumere freschezza, ne avevo proprio bisogno. 
Mentre cammino chiudo gli occhi per sentire il silenzio che mi circonda, forse troppo silenzio.
Come al solito io non posso fare a meno delle mie figure di merda, quindi? Quindi proprio nell'attimo in cui chiudo gli occhi vado a sbattere contro qualcuno apparentemente troppo idiota per vedermi e schivarmi. Riapro immediatamente gli occhi e sento una sostanza appiccicosa imprimermi la maglietta, alzo gli occhi al cielo e prego dio che non sia ciò che immagino. Abbasso lo sguardo, e porca troia sì, mi ero sporcata dalla testa ai piedi.
Fulmino la persona davanti a me propensa a darmi la mano, il volto è coperto dai raggi di sole che mi disabilitano la vista. Non ci credo, io lo ammazzo, vaffanculo lo ammazzo. Con tutte le persone che ci sono in sto cazzo di mondo, dovevo andare a sbattere proprio contro di lui? Perché? Perché? Dio buono. 
 
Mel: "Vedo che non sei cambiato, a quanto pare ti diverti a rovinare le mie magliette." Dico scocciata.
Justin: "Guarda che hai fatto tutto da sola" Sorride compiaciuto. 
Mel: "Sei un'idiota, ecco cosa sei." Rispondo a tono.
Justin: "E tu una bambina." Si avvicina a me pericolosamente, sento il suo respiro leggero sul mio collo, un brivido mi porta compulsivamente a mordermi il labbro, perché mi faceva quell'effetto? Voglio essere baciata ora, ti prego fallo..
No aspetta, che cazzo sto dicendo? Strabuzzo gli occhi e cerco di pensare ad altro, mi scosto bruscamente. 
"Stammi lontano." Non lo lascio finire di parlare che già mi trovo alla fine del vialetto alberato, voglio voltarmi ma non voglio dare nell'occhio, perciò fascio scivolare la pupilla dell'occhio destro leggermente verso di lui, sperando non si accorga di nulla. Ritorno sui miei passi e penso al modo in cui potrei dirgli che me ne vado. 'Sapete, prendo una pausa me ne vado' no, troppo da stronza..mh..'Ehi ehi ho deciso di andarmene ;)' così però gli faccio capire che non vedo l'ora di sloggiare..sto impazzendo. Ho il cervello che tra poco sento che esploderà, la devo smettere.
Una volta là le parole mi usciranno da sè.
Eccomi..ci siamo. Sono tutti lì davanti a me che aspettano che io faccia o dica qualcosa, è arrivato il mio momento ed è troppo tardi per tirarsi indietro, prendo coraggio e sospirando le uniche parole che mi escono dalla bocca sono "Ragazzi..è difficile da dire ma..vado a stare da mio padre per tutto il periodo scolastico." Indescrivibili sono le facce, una voce, una voce dietro di me, una voce interrotta dal magone, mi volto e riesco a leggere la tristezza nei suoi occhi.
Justin: "Che cosa?"

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