Revenge

di _Nazariy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pace? ***
Capitolo 2: *** Guerra? ***
Capitolo 3: *** Vendetta ***



Capitolo 1
*** Pace? ***


Tanto tempo fa, o forse molto avanti nel futuro, esisteva un paese, Galigor, dove la gente oramai da vent’anni non si preoccupava di nulla e viveva serenamente. Gli dei erano stati generosi con questo popolo. Dopo aver notato che tutti gli uomini erano grati loro per questa prosperità ( una gratitudine che veniva dimostrata coi sacrifici, costruzione di templi, composizione di lodi e addirittura degli spettacoli dedicati a loro ), i creatori donarono a quelli più devoti, che vennero chiamati ‘monaci’, un decimo dei loro poteri.

Uno di questi monaci era Ramon, un uomo forte, che aveva partecipato a molte battaglie durante il regno di Agar X, si era ritirato a vita sedentaria in campagna, lontano dal centro e dalla confusione. Ora, a quarant’anni aveva una moglie, dalla quale aveva avuto il piccolo Visen. Era un bimbo capriccioso, ma quando fissava il padre con quei suoi occhi verdi smeraldo faceva passare in lui ogni goccia di rabbia e si ritrovava tra le sue braccia ad essere coccolato.
In questo villaggio di campagna i monaci erano pochi, poiché la gente era più occupata ad allevare il proprio bestiame e a coltivare i campi. Però è anche vero che non ce n’era bisogno. Per gli abitanti era quella la felicità: passare ogni giorno in tranquillità, circondati dalla famiglia e dagli amici. Tuttavia spesso dovevano affrontare i problemi che si verificavano spesso in campagne come le malattie improvvise, cattivi raccolti, attacchi da parte degli animali selvatici e dei briganti.
Ramon di questi problemi non ne aveva. Il suo raccolto maturava dieci volte più velocemente di qualsiasi altro, guadagnava inoltre facendo il medico, guarendo le persone malate ponendo semplicemente il palmo della mano sulla loro fronte ( questa è una parte del potere di Lazarus, il dio della vita, capace di resuscitare chiunque ), inoltre i briganti avevano paura di avvicinarsi alla sua casa, un poco fuori dal villaggio. Tra di loro girava voce che l’uomo che vi abitava fosse un demone ( bisogna capirli, erano degli ignoranti, non sapevano che nelle grandi città c’erano tanti uomini come lui ) da quando uno di loro ha visto Ramon massacrare un intero branco di lupi a mani nude.

Gli anni passavano, Ramon e Claire vivevano senza alcune preoccupazioni, Visen cresceva sano e forte. Quello che animava le giornate erano le visite in piazza, dove la gente si riuniva ogni giorno a mezzogiorno per svagarsi, mangiare insieme, discutere delle ultime novità… e proprio queste erano sulla bocca di tutti da un po’ di tempo. Si diceva che i villaggi vicini venivano devastati: carestie, animali particolarmente aggressivi, terreni prosciugati completamente... In un certo senso questo turbava anche Ramon, pur essendo egoista a suo modo, si preoccupava dei suoi concittadini, d’altronde li conosceva da tempo. Però quando le voci si calmarono, la vicenda passò di mente al monaco. Dopo una settimana la casa oltre il ruscello dietro l’abitazione di Ramon fu trovata abbattuta. I due vecchi che vivevano dentro… o meglio, i loro resti, furono trovati a più di tre chilometri da lì, nella foresta di Qerubin. La gente si tenne lontano da quel posto e spesso restò sveglia di notte. Anche il monaco, poiché la sua maggior preoccupazione erano il figlio e la moglie. La quinta notte dopo l’accaduto si sentì un boato. La casa a tre piani del capo villaggio ( la seconda casa più grande, della quale quel vecchio andava molto orgoglioso fino all’arrivo di Ramon, che si face costruire quella cosa enorme, diceva lui ) non aveva neanche un piano ora. Da quel cumulo di legno, polvere e carne umana provenivano degli strilli e rumori indefiniti. Ramon fu lì in meno di un minuto. Era invecchiato, ma non era meno agile per questo. . All’arrivo di Ramon tutto si era calmato lì dentro. Il capo villaggio era inginocchiato alcuni metri davanti alla casa e piangeva. Ramon vide in mezzo alla nebbia polverosa un paio di occhi rossi che lo fissavano e percepì il respiro pesante della bestia. Questa balzò fuori da quel che rimaneva della casa e con una velocità fuori dal comune colpì il monaco con una zampa, che indietreggiò, senza però cadere. Ramon si protesse con le braccia e ora si preparò a contrattaccare. Notò però che il suo avambraccio sinistro era coperto di sangue. Quella bestia aveva una forza smisurata. Il monaco la osservò attentamente: aveva le sembianze di un lupo nero dal pelo lungo, però era alta quanto un uomo ( probabilmente se si fosse alzata completamente sulle zampe posteriori avrebbe raggiunto, sì e no, tre metri d’altezza ) e le sue zanne erano più lunghe del dito indice di un uomo. Gli artigli scavavano il terreno e il mostro si preparava per un altro attacco. Ramon capì che dovette usare l’intelletto che agli animali mancava per averla meglio. Quando la bestia balzò su di lui, l’uomo si inchinò e porto un gancio destro dritto sul petto dell’animale. Il colpo era potente e catapultò quello che sembrava un lupo troppo cresciuto a molti metri d’altezza. Tuttavia il danno sembrava solo superficiale, poiché, anche in aria, l’Ombra Lupa ( come era stata battezzata la bestia da qualcuno tra la folla ) sembrava continuare a mirare Ramon. Quando lui capì che il prossimo attacco del mostro sarebbe stato portato dall’alto si getto a terra il più lontano possibile. L’impeto spazzò via una parte del terreno e l’onda d’urto fece cadere molte persone. Il monaco osservò tutto ciò incredule. Nemmeno con la sua forza era capace di tanto: quella bestia era dieci volte più forte di lui. Ora stava ringhiando verso di lui e lo fissava con i suoi occhi rossi, ma gelidi. Poi sembrò trasformarsi. Diventò pian piano una nuvola nera di fumo e svanì di fronte agli occhi increduli della gente.

Ramon ora viveva facendo molta più attenzione, credeva che i monaci fossero invincibili. Ora però sapeva che esistevano creature molto più forti di lui, capaci anche di ucciderlo. Per settimane non si parlò d’altro, il villaggio spese tutto per assumere delle guardie armate dalla capitale di Galigor, tra cui alcuni monaci. Però, a parte i soliti animali selvaggi, non si intravedevano pericoli.
La catastrofe che segnò l’inizio della fine del villaggio non poté essere fermata con le armi. All’improvviso nulla riusciva a crescere nei terreni del villaggio e quelli circostanti. Questo non era dato dal tempo, poiché non faceva né troppo caldo, né troppo freddo, inoltre le piogge erano regolari. Tuttavia non veniva coltivato più nulla, gli abitanti erano disperati. Solo Ramon riusciva a continuare ad usufruire del proprio terreno, grazie ai suoi poteri. Molta gente abbandonò il villaggio, molti altri si recavano ogni dì dal monaco pregando per il cibo ( facevano elemosina perché non avevano i soldi per pagare, inoltre a Ramon non serviva aiuto nei campi, dato che sbrigava tutto da solo con facilità ). L’uomo, ossessionato dal figlio, ebbe paura che questo via vai di persone potesse disturbarlo o, addirittura, qualcuno gli potesse fare del male.  Solo le persone più fidate continuavano a ricevere aiuti dal monaco, altri, offesi dal suo comportamento, abbandonarono le loro case, come fecero alcuni precedentemente. Tuttavia abbandonare il posto dove si è cresciuti non è semplice. Il villaggio ora contava non più di cinquanta persone. Un terzo di tutto il terreno era stato acquistato da Ramon. Quelli che lui conosceva meglio abitavano nella sua proprietà, mentre gli altri si sentivano costretti a razziare i campi di notte. L’uomo ne era consapevole, ma li lasciava fare, d’altronde spesso le cose avanzavano, anche dopo una rendente vendita in città. Pian piano la voce si sparse in giro e gli abitanti aumentarono. Il monaco se ne accorse quando non gli bastò ciò che aveva raccolto per venderlo in città. Quando tornò al villaggio avvisò tutti che non avrebbe più tollerato le razzie. La gente si tenne alla larga dalla sua proprietà per un po’ di giorni, ma quando il cibo cominciò a scarseggiare, tornarono a prendere ciò che potevano nei campi.
Una notte Ramon sentì molte voci nella parte estrema del suo terreno, a Nord del villaggio. Si infuriò. Non tanto perché rubavano, ma più che altro perché avevano ignorato le sue parole ( lui si sentiva superiore a tutti, per questo si auto-considerava il capo indiscusso ). Prese l’oggetto più vicino a sé ( una tazza di ceramica che era appoggiata sul comodino, dalla quale aveva bevuto il tè all’arancia la sera prima ) e lo tirò in direzione delle voci. Fu colpito un vecchio che morì sul colpo. Le altre persone si dispersero come piccioni.
Fu lasciato in pace per molto tempo. Però mentre andava in città con la famiglia, al ritorno si accorgeva che mancavano interi raccolti di una settimana o addirittura degli oggetti preziosi in casa. Le persone facevano finta di nulla. Ramon non poteva di certo prendersela con tutti. Ora però non si sentiva parte del villaggio. Gli altri gli parlavano alle spalle e la moglie veniva ignorata da tutti quando scendeva in piazza. 

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Capitolo 2
*** Guerra? ***


Trasferimento. Quando si sparse la voce che la famiglia di Ramon cambiava casa, tra gli abitanti si creò il panico. Era l’unico a tenere in piedi il villaggio. Se sé ne sarebbe andato, non ci sarebbe stato nulla da mangiare per quelli che non avevano un altro posto dove andare. Un giorno i più saggi si riunirono a casa ( nuova casa ) del capo villaggio ( il vecchio era ancora vivo e non voleva mollare ).

«Se Ramon se ne va per davvero per noi sarà la fine, deve rimanere», sbuffò l’uomo con la barba folta.
«Per questo vi ho riuniti qui, geni», borbottò il proprietario della casa.
«Sì, questo si sapeva», disse un uomo seduto in fondo, «però come facciamo? Non possiamo tornare tutti amichevoli dopo quello che ha fatto a Juan. E poi è uno stronzo egoista!», il tizio alzò la voce dicendo l’ultima frase.
«Con la forza, amici miei, con la forza», disse il capo villaggio andando in un’altra stanza.
Un uomo con la benda sull’occhio sinistro rise: «Come diavolo facciamo? Quello lì non è umano! Ricordate come ha lottato contro l’Ombra Lupa? ( essì, era proprio lui che aveva battezzato la bestia in quel modo )».
Il vecchio tornò stringendo qualcosa tra le mani: «Non parlo di forza fisica, idiota. Ma di queste…», dicendo ciò, gettò sul tavolo tre fucili Cliplock, era il secondo modello creato, che superava di gran lunga il primo modello nella precisione e nella gittata. «Ho speso tutto quello che abbiamo ricavato dalle vendite in queste armi senza consultarmi con nessuno, che vecchio burlone che sono», sghignazzò. «Ce ne sono altre di là. Presentiamoci da lui prima che parta e facciamogli smettere con quell’atteggiamento di superiorità!»
Sembrava un’adunata dei rivoluzionari. Infatti era una rivoluzione. Contro un solo uomo che non aveva sottoposti, aveva solo la forza e i soldi. Solo.
Il giorno dopo una decina di uomini si appollaiò dietro la casa di Ramon. Alle 6 del mattino vennero sparati dei colpi d’avvertimento ( le munizioni erano preziose, perciò il vecchio con la benda fu incaricato di questo ).
«Ramon d’Escamer!  Tu non comandi qui, esci di casa, subito!», esclamò il capo villaggio.
«Sappiamo che ci senti, se non vuoi mettere in pericolo la tua famiglia vieni fuori!», disse un uomo sulla trentina.
«Zitto, lascia parlare me.», ribatté il vecchio.
Ormai però era tardi. Il tasto dolente era stato toccato. Ramon era alla porta d’ingresso e fissava l’uomo.
«Questo villaggio non può essere comandato da gente vecchia », l’uomo guardò il capo villaggio, «o da gente egoista», rigirò lo sguardo verso Ramon.
«Cosa vuoi fare, Dupre?»
«Rimettere in piedi questo villaggio», rispose al vecchio e poi puntò l’arma verso il monaco. «Tu ti credi superiore a tutti. Sarà vero. Ma un uomo non può essere superiore alla massa. Vediamo quant’è resistente il tuo fisico.»
Dupre premette il grilletto e partì un sonoro colpo. Era diretto dritto al petto di Ramon, il quale, grazie ai suoi riflessi, si scansò. Il proiettile, tuttavia, lo colpì al fianco. Però l’uomo rimase in piedi. Era infuriato. Non provava molto dolore, il proiettile non si era conficcato profondamente. Però era adirato con quella gente. Li avrebbe lasciati in pace, se ne sarebbe andato. Ora loro cercavano di fermarlo.
In un attimo Ramon fu vicino a Dupre e gli assestò un pugno sul fianco scoperto. L’uomo fece un volo di quattro metri e cadde a terra assieme al fucile. Tre costole rotte, fegato spappolato, grave emorragia. Stato: deceduto.
I nove uomini armati fissavano il corpo del loro compagno. Ramon si avvicino con calma vicino al fucile e lo prese. Con un rapido movimento delle mani lo spezzò in due.

«Siete ancora sicuri di volervela prendere con me? Lasciateci andare.»
Il vecchio capo villaggio si sentì in colpa per la morte di Dupre. Però non abbassò l’arma, continuava a puntarla verso il monaco e sudava freddo. Stava giocando con il fuoco.
«Se mi lasciate andare non vi farò alcun male. Dupre se l’è cercata.», Ramon fissava i volti arrabbiati, spaventati, pieni di emozioni contrastanti dei concittadini.
L’uomo con la benda fece un cenno con la testa ai suoi compagni. Gli uomini stavano cominciando a circondare Ramon. Intorno a lui si formò un ottagono di fucili puntati contro di lui. Era pericoloso sparare da questa posizione, pensò il monaco. Non si fece intimidire e continuò a fissare tutti con l’espressione fredda ed irritata. Però qualcosa non quadrava. Gli uomini erano otto. Lui era sicuro di averne contati nove prima che questi lo circondassero. Dalla casa si sentì un urlo.
«CLAIRE!!», gridò Ramon e si precipitò verso la casa. Per uscire dall’ottagono di uomini spinse quello che era di fronte a lui rompendogli la spalla, il quale cadde a terra gemendo di dolore. Una raffica di colpi partì nella direzione del monaco. Molti lo colpirono sulla schiena, scaraventandolo a terra. Mentre un gruppo aveva finito di sparare e ricaricava i fucili, l’altro cominciò a sparare, senza dare a Ramon un attimo di tregua. Sembrava che l’uomo con la benda non fosse un semplice contadino. Il monaco si rialzò, sanguinando dalla schiena e, saltando, irruppe nella casa sfondando il muro centrale. Salì le scale e corse faticosamente verso la camera da letto.
«Eccoti, caro Ramon». Un uomo con  capelli sparpagliati qua e là, una folta barba e dei vestiti da straccione, sogghignando, puntava il fucile contro la tempia di Claire, la quale era a terra e piangeva. Visen stava ancora dormendo nella stanza vicina, tutto questo baccano non l’aveva svegliato.
Il monaco aveva gli occhi rossi di sangue, il vestito a pezzi e macchie scarlatte ovunque sul colpo.
«Sai… sono vecchio. Tanto sarei morto comunque. Te lo dico in faccia, odio quelli come te. Hai ucciso mio padre, sai? Bastardo», ridacchiò. «Povero, povero Juan. Non ho mai usato questi aggeggi prima d’ora. Vediamo come fun-»
Prima che l’uomo finisse di parlare, Ramon scattò in avanti e lo colpì sul viso, spaccandogli letteralmente la testa. Il corpo senza vita fece un volo giù dalla finestra e si schiantò al suolo, spargendo pezzi di cervello dappertutto.
Era inutile farlo ragionare ora. Derek, l’uomo con la benda, diede l’ordine di sparare in quella direzione. Una pioggia di colpi perforò le finestre.
Spari. Vetri frantumati. Il grido di una donna. Il pianto di un bambino. All’improvviso cessò tutto.

Gli uomini abbassarono i fucili fumanti e guardarono verso la casa. Poi verso il cielo. Chi aveva il cappello, se lo tolse. La rivoluzione aveva provocato un ferito grave e cinque morti, di cui due innocenti. Era stato un errore di Derek includere nel gruppo uno che bramava la vendetta come Ross. Era finita, ma non come tutti avevano sperato.

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Capitolo 3
*** Vendetta ***


«Sarebbe stato meglio se l’avessimo lasciato andare... almeno non ci sarebbero stati dei morti», disse Theos, il vecchio capo del villaggio Soba. Un villaggio che da questo momento non esisteva più. Un villaggio fantasma.
Derek, colui che aveva guidato la piccola armata di uomini, non aveva nulla da dire. Si rimise il cappello e si girò per andare ad avvisare il resto della popolazione.  Bisognava preparare le provviste e andare a cercare un altro posto dove stabilirsi. Mandò due persone a controllare la situazione nella casa, anche se non c’erano speranze che Claire e Visen fossero sopravvissuti.
Theos continuava a sperare. Non gli rimaneva molto da vivere e non avrebbe retto un peso del genere sulla propria coscienza. Dopo dieci minuti se n’erano andati tutti, tranne lui. I due uomini non tornavano. Il vecchio si alzò dalla roccia su cui era seduto  ed entrò nell’abitazione. Era spaventato. Si sentiva ancora la puzza di sangue e di morte. Quando girò l’angolo e si preparò a salire le scale, vide qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. Lake, l’uomo più giovane dei due che erano stati inviati, era sdraiato sugli ultimi gradini in una pozza di sangue. Le sue interiora erano sparse sul muro dietro di lui in una chiazza scarlatta. Il vecchio cadde in ginocchio, le sue gambe non ressero. Sentì il soffitto scricchiolare. D’istinto guardò su. Tutto crollò su di lui.
Derek spiegava la situazione agli abitanti. Erano appena svegli, tutti riuniti in piazza. Non la presero bene. C’era chi gridava, chi piangeva. Alcuni andarono subito a fare provviste ai campi di Ramon, ma furono subito fermati da un avvertimento di Derek. Lui era su un palco di legno, al centro del foro. Una quarantina di persone gli stava intorno. All’improvviso qualcosa di pesante precipitò sul ripiano dov’era l’uomo con la benda. Lui cadde a terra, mentre il resto crollò.

Il corpo del capo villaggio giaceva in mezzo alla polvere e al legno spezzato. Era pieno di sangue e lividi, sembrava essere stato preso a pugni come un sacco da boxe. Derek lo fissava incredule, si era persino dimenticato del suo dolore alla schiena, aveva fatto una brutta caduta. Si creò il panico. La storia raccontata da lui era una menzogna? La gente non sapeva cosa fare, né cosa pensare. Qualcuno si precipitò nel capanno di Derek per prendere le armi, ma fu fermato da Johan, il braccio suo braccio destro, che, dal ritorno dalla casa di Ramon, era ancora armato ( tutti avevano depositato lì le armi ).

«Cazzo, dà quelle armi alla gente e falli preparare!», grido Derek cercando di alzarsi. Johan lo guardò infastidito e consegnò le armi ai primi uomini. In tutto c’erano otto fucili. Otto persone pronte a sparare. Ora sette... Un sasso grosso quanto un pugno perforò la testa di Simon, un ragazzo magro, altro circa un metro e settanta. Quella situazione in un certo senso lo faceva felice perché era fuori dall’ordinario e lo faceva sentire importante. Ora non più. Era come gli altri. Una decina di cadaveri era distesa sulla piazza, sangue dappertutto. I vivi gridavano, correvano. Gli uomini armati non sapevano dove sparare. Le pietre continuavano a piovere conficcandosi nel terreno. Le case non presentavano un riparo, poiché i sassi erano come meteoriti. Nulla era un ostacolo per loro. Ne stava cadendo uno dritto su Derek. Sparandone ad uno, l’aveva deviato pochi metri più a destra. Aveva solo un occhio, ma ci vedeva benissimo, come ai tempi della guerra durante il regno di Agar X.
Ora qualcuno stava scendendo velocemente dalla via principale verso la piazza. Era velocissimo. Tanti fuggivano, ma chi era troppo vicino a lui non sopravviveva.

Ramon era ancora coperto di sangue. Sangue che non era solo il suo. Un grido di rabbia e dolore percosse la città. Il monaco ignorava i colpi che gli venivano sparati. Si scaraventò su Derek e lo buttò a terra. Il fucile gli cadde di mano. I due si fissavano. Lo sguardo di Ramon non era umano. L’ira. Era la rabbia in persona. Ramon lo teneva fermo reggendolo per le braccia. Ora le braccia di Derek sanguinavano e un’espressione di dolore percuoteva il suo viso. Svenne. Ramon lo scaraventò lontano e proseguì con il massacrò. Entrò nell’abitazione dove c’era Johan e altri due uomini armati. Il giovane era spaventato. Tuttavia punto il fucile contro di lui tremando:
«Arrenditi, arrenditi, arrenditi...», continuava a dire sottovoce. Sudava freddo.
I due uomini vicino a lui non persero tempo e spararono. Due proiettili andarono dritti nel petto di Ramon, il quale indietreggiò, ma subito dopo scattò e colpì i due con dei diretti sul viso e Johan con un impeto del suo stesso corpo. Morirono tutti e tre.
Quando il massacro finì Ramon pianse per ore inginocchiato in mezzo al mare di cadaveri e sangue.
Al tramonto sapeva di chi era la colpa. Sapeva su chi avrebbe dovuto sfogarsi. Sapeva dove doveva andare.
A sud, vicino al confine, c’era la grotta di Karin. Nulla vi entrava e nulla usciva, poiché essa era sigillata ed era sempre protetta da un guardiano. Si diceva che questa era l’entrata per gli Inferi. L’unico dio che Ramon poteva incontrare stando sulla terra era Mars, dio della guerra e dell’ordine naturale delle cose. Risiedeva all’interno della Terra, in modo da poter intervenire dove necessario. Dopo due giorni di viaggio stremante, Ramon raggiunse questa grotta. Il guardiano, Karin, sembrava un uomo anziano, con indosso una povera tunica e aveva una spada arrugginita legata al fianco.

«Cosa ti porta qui, ragazzo?», chiese il vecchio.
«Il dolore e la voglia di uccidere», Ramon lo guardava fisso negli occhi. Persino Karin, che viveva lì da più di due secoli, non aveva mai visto uno sguardo tanto determinato e pieno di rabbia. ‘Nel peggiore dei casi dovrò uccidere anche questo vecchio e spaccare la roccia che blocca l’ingresso alla caverna’, pensò il monaco. Tuttavia Karin con un movimento della mano, fece spostare la grossa pietra circolare che bloccava la caverna. Dichiarò di essere un semidio, l’aiutante sulla superficie di Mars, era colui che stabiliva le verità e le menzogne per mantenere l’ordine. Ramon si sorprese, ma continuò il cammino, rivolgendo l’ultima frase a Karin:
«Ho voglia di uccidere anche te».
«Ne sono consapevole», il vecchio sorrise.
La grotta sembrava l’interno di un serpente, si aggrovigliava, procedeva per spirale, svoltava improvvisamente prima a destra e poi a sinistra. L’unica fonte di luce erano dei piccoli corpi rossi che svolazzavano di qua e di là. Sembravano delle piccole sfece luminose, però, a volte, le si sentiva sghignazzare e sembrava che bisbigliassero qualcosa. Quando Ramon cercava di prenderle correndo senza successo, erano veloci. Dopo ore di corsa si accorse che qualche decina di queste sfere lo seguiva. Dopo un giorno si accorse che erano sempre le stesse. Sembravano tutte uguali, ma dopo un po’ di tempo Ramon vide quel qualcosa che le distingueva tutte. Ognuna emanava una luce diversa. Due corpi luminosi erano sempre particolarmente vicini a lui. Quando il monaco era sfinito e si mise a sedere per terra, le due sfere si lasciarono prendere. Ramon ne chiuse una nel suo pugno. Era calda. Lui la strinse forte nella mano e sentì il calore pervadere il suo corpo. Si sentiva completamente ripreso, la sua anima si era rinvigorita. Ramon decise di conservare l’altra sfera e continuò a correre. Ora era molto più veloce e dopo alcune ore arrivò alla fine del percorso roccioso.
Ora la luce era troppa, tanto che il monaco si coprì gli occhi per un po’ di tempo. Si guardò in giro stupito. Era tornato in superficie? La fonte di luce era il sole. Il cielo era sereno, tutto si presentava normale. C’era persino il capanno di Karin. Ramon vi entrò dentro spaccando la porta, tuttavia dentro non c’era nulla. Solo vecchi mobili. Il letto era ricoperto di polvere e ragnatele. Poi lo guardò meglio: uno scheletro vi era sdraiato, quasi come se dormisse. Indossava una tunica bianca ( ora ingiallita  ) mangiucchiata dalle tarme. Accanto a lui c’era una spada arrugginita.
Ramon decise di dirigersi verso il villaggio che aveva oltrepassato dirigendosi qui, era a poche ore di cammino. Tuttavia non vi era alcun villaggio. Solo case bruciate, cadaveri, o ciò che sembrava essere dei cadaveri. Non era il posto da cui era venuto, questo era l’inferno.
«Ti stai divertendo a scorrazzare in giro, monaco?», una voce gelida arrivò alle orecchie di Ramon. Lui si guardò in giro senza vedere nessuno.
«Da questa parte». Da una delle case carbonizzate uscì un uomo. Aveva una leggera barba nera e dei profondi occhi scuri, coperti un parte dai suoi lunghi capelli corvini. Indossava un elmo argentato appariscente, ma nulla in confronto ai suoi abiti: aveva decine di collane a forma di catena, una tunica grigia copriva una parte di quello che sembrava essere un’armatura argentata. Ramon lo guardava senza rispondere nulla. «È raro vedere un umano qui. Ma dopotutto tu non sei completamente umano, no? Le decisioni prese dall’alto non si sono rivelate poi così brillanti», l’uomo ridacchiò.
«Chi sei?», chiese il monaco freddamente.
«Vuoi che mi presenti? Uno come te dovrebbe conoscermi. Ah, giusto, voi ci rappresentate in modo diverso». All’improvviso del fumo nero circondò l’uomo. Era così fitto che non lasciava intravedere alcun dettaglio. Quando si diradò, apparve un uomo muscoloso, con indosso un’armatura dorata e un elmo dal quale spuntavano due corna rosse. Impugnava saldamente una grossa lancia nella mano destra ( era come veniva rappresentato nelle icone sacre ).
Ramon lo guardò. Guardò il suo primo obbiettivo. Guardò Mars.
«Così mi dovresti riconoscere».
«Che onore... avere un dio di fronte a me. Dovresti sapere già per cosa sono venuto», Ramon continuava a fissare gli occhi del dio.
«La vendetta non è ciò che cerchi, umano, tornatene nel tuo mondo».
«Non ho un mondo in cui tornare. Tu devi farmi salire fino all’Epiro, la dimora degli dei celesti. Sono un umano, ma non sono stupido. Non so quali ragioni abbia avuto, ma uno dei tuoi amichetti ha provocato quella siccità che mandò in rovina il villaggio».
«Oh... non sei stupido per niente», Mars sorrise. «...Per essere un umano», aggiunse. Roteò la lancia e si scaglio contro di lui. Con un rapido movimento, Ramon si gettò a sinistra, ma non riuscì a schivare completamente: la lancia lo colpì ad una gamba. Il monaco cadde, sentendo un grande dolore. Quando la guardò si accorse che le mancava il piede, il sangue scorreva come un fiume. Mars si stava avvicinando a lui, guardandolo dall’alto in basso. «Sei già arrivato fin troppo lontano per essere un umano. Presto prenderanno provvedimenti e toglieranno i poteri ai monaci, una cosa così non dovrà più succedere», sospirò. «Sai perché è successo questo? Ci annoiavamo, volevamo vedere cose sarebbe accaduto se certi uomini fossero stati superiori agli altri, dato che li abbiamo creati tutti uguali. Però, a parte qualche imprevisto come questo, il che è alquanto pericoloso per noi», ridacchiò, «è tutto come prima. Infatti vedo che alcuni di voi si reputano già superiori agli altri, senza alcuna ragione. Gli unici superiori siamo noi, gli dei. Possiamo giocare con le vite di voi uomini in questo modo...». Detto questo, si sprigiono un’altra volta il fumo nero che avvolse Mars completamente: al suo posto apparve un mostro, un lupo grosso almeno il doppio di un uomo. Vedendolo, Ramon non aveva più nulla da dire. Da seduto, si lasciò cadere a terra e guardò il cielo. Era come quello nel suo mondo.
Mars, assunto le sembianze di una bestia, si avvicinava a Ramon respirando pesantemente. Ma lui all’improvviso si ricordò delle sfere rosse nella caverna. Palpò la tasca, sperando che quella rimasta fosse ancora lì. Sentì il calore con la mano, poiché ormai quella gamba era diventata insensibile. La strinse. La forza che gli fu data gli permise di alzarsi e stare su un piede, appoggiato ad palo carbonizzato ( forse un resto di una casa ).
All’improvviso Mars cominciò a ridere. Era un rumore inquietante, ma Ramon capì che dalla bocca di quella bestia proveniva una risata. Il dio cominciò a parlare:
«Sei disposto persino a questo? Vuoi negare loro la reincarnazione? Probabilmente ne avevi anche un’altra, altrimenti non saresti arrivato fin qui», continuò a ridere. «Meglio così, meno lavoro per me».
Ramon ignorò la risata, era occupato a staccare un pezzo della lancia e infilare il ferro appuntito al posto del suo piede. Ora stette ritto in piedi. «Di che diavolo stai parlando?»
«Oh, voi non rappresentate quelle. Tua moglie e tuo figlio, umano. Ti sei appena pappato tuo figlio», Mars rise vedendo la faccia di Ramon. Era confuso e continuava a fissare il muso della divinità. Solo dopo realizzò che le sfere rosse erano le anime. E quelle che lui aveva assimilato erano le anime di Claire e Visen. Erano morti due volte per colpa sua e questa volta era per sempre.
Ramon con un gridò si scaglio contro il mostro e conficcò il suo piede-lancia nel suo occhio destro. Mars ruggì e fece un balzo indietro, spezzando il piede del monaco. Lui cadde a terra, dopodiché cercò subito di rialzarsi, ma il dio gli afferrò per le zanne l’altro piede e lo scagliò in alto.
«Questa volta tocca a me, umano».
Saltò in alto e con le sue zanne lo spezzò in due, senza dargli la possibilità di reagire. Quel giorno piovve sangue.
Mars, tornato all’aspetto umano, prese una sfera rossa che era fuoriuscita dalla parte superiore del corpo di Ramon.

«È stato divertente, umano», aprì con due dita il buco dove sarebbe dovuto essere il suo occhio destro e ve la inserì. «Vedrai il mondo delle divinità attraverso di me, sarà interessante sentire l’opinione di un uomo...»

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