The history of Versailles

di Miss Yuri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1: Un nuovo capitano ***
Capitolo 3: *** Cap. 2: Primo giorno a Versailles ***
Capitolo 4: *** Cap. 3: La verità ***
Capitolo 5: *** Cap. 4: Prima missione ***
Capitolo 6: *** Cap.5: L'organizzazione ***
Capitolo 7: *** cap. 6: Fastidi e preoccupazioni ***
Capitolo 8: *** Cap. 7: Il nuovo capitano ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


The history of Versailles  

PROLOGO

   
 

Siamo nella Francia del diciassettesimo secolo. In quegli anni, la reggia di Versailles era stata appena ultimata ed era pronta ad accogliere il re e la regina di Francia, circondati dai nobili più lussuosi del paese, ridotti a semplici cortigiani per ridurne il potere.
Era arredato con i mobili più lussuriosi dell’epoca, con una architettura ricca e pregiata. Ogni sala era piena di decori, spesso placcati d’oro, dando allo spazio un aspetto mistico e divino. Ma la cosa più bella di tutte era lo sconfinato giardino reale, adorno di piante di ogni genere, con fontane zampillanti d’acqua e panchine.
Insomma, quel palazzo era una specie “gabbia dorata “, a discapito della classe meno privilegiata della società francese dell’epoca, che viveva nella miseria e nella povertà.
Proprio qui iniziava la nostra storia, in una casa poco lontana dal palazzo, dove si stava verificando un avvenimento molto importante: due giovani amanti avrebbero, finalmente, avuto un figlio o una figlia da crescere. Pochi minuti mancavano al solenne momento, solo pochi minuti.
Le urla strazianti della donna riecheggiavano per tutta  la casa, liberandola dal suo silenzio ottenebrante e allo stesso tempo soffocante. Poi tutto cessò.
Un ennesimo urlo, più acuto dei precedenti, riempì l’aria, annunciando l’inizio di una nuova vita. L’uomo alzò al cielo la figlia tanto desiderata, baciandola in modo amorevole, consegnandola, subito dopo, nelle mani della moglie. La donna se la strinse al petto, per fargli sentire il suo calore. La bambina smise di piangere e abbozzò un tenero sorriso ingenuo, sentendosi protetta dalla madre. La guardò, timidamente, riflettendo i suoi occhi color della pece in quelli neri della donna. Aveva i capelli di un insolito colore bluastro, con qualche piccola venatura nera, ma era comunque bellissima.
Ora si che erano una vera famiglia.
Il padre la depose nella sua candida culla e la coprì con una copertina di pizzo ricamato e bianco.
Sorrise alla moglie e la aiutò ad alzarsi dal letto, invitandola a guardare la loro figlia.
Uno sparo ruppe la quiete del luogo. I due trasalirono e la bambina ricominciò a piangere disperatamente. La donna si chinò su di lei, prendendola in braccio e cullandola. L’uomo si affacciò alla finestra della camera da letto. Vide degli uomini al galoppo, che si stavano dirigendo verso la loro casa. Indossavano delle divise bianche ed armati di fucili. Le guardie reali!
Dopo poco, entrarono dal portone principale, sfondando la porta con una ariete.
Il marito prese con sé la moglie e la sua bambina e si diressero verso gli scantinati della loro villa. Erano sicuri che non li avrebbero trovati là sotto, ma le cose andarono diversamente.
Dopo minuti di ricerche, le truppe reali giunsero nelle cantine. Si udivano le loro urla anche a distanza ed erano assordanti quanto temibili.
La neonata piangeva senza tregua, spaventata da così tanti rumori assieme, inutili e vani erano i tentativi di calmarla.
A un certo punto, sentirono un urlo provenire dal fondo della cantina.
- Eccoli! Sono là! – gridò un soldato, avvistando la famiglia.
Li avevano trovati, ormai, non c’era più scampo. Tentarono, comunque, una possibile fuga e cominciarono una frenetica corsa lungo i corridoi bui e rischiarati da qualche fiaccola. Le guardie di sua maestà erano dovunque e, presto, si ritrovarono completamente circondati.
Il marito si parò davanti alla moglie, nel tentativo di difenderla, anche se sarebbe stato tutto inutile. Sguainò la sua spada, pronto a un qualsiasi scontro diretto. Un soldato partì all’attacco, tentando di colpirlo dritto al cuore. L’uomo lo schivò e gli conficcò la spada dentro la schiena, estraendola subito dopo, imbrattando la lama di sangue vermiglio. Un'altra guardia si fece avanti, impugnando una pistola, pronta a sparare il colpo. Premette il grilletto e il proiettile schizzò via, ma venne prontamente evitato. La spada di lui saettò ancora una volta e venne infilzata nel corpo di un altro mal capitato.
Ma l’uomo non resistette a lungo e così la sua vita si spense dopo una dura lotta, da cui non poteva uscire vincitore.
La moglie era rimasta senza difese, in balia di decine di soldati, tra i quali riuscì a scorgere il capo delle guardie reali.
- Non la farete franca! Il regno di quei sovrani senza cuore finirà presto e qualcuno prenderà il loro posto! – urlò lei.
- Aspetta e spera! Oh… giusto! Non puoi aspettare, visto che la tua vita sta per avere fine! – la canzonò il capitano delle truppe.
La donna chinò la testa e cominciò a singhiozzare. Calde lacrime le solcavano gli occhi, bagnandole il viso di chiaro. Senza preavviso, sentì qualcosa trapassargli lo stomaco, avvertì uno strano liquido in bocca, caldo e amaro. Capì che era sangue e che stava per morire, lasciando la sua bambina completamente indifesa.
Fece solo in tempo a sussurrarle qualcosa, prima che i suoi occhi perdessero la luce e diventassero spenti e senza vita.
La neonata la guardava, troppo ingenua per comprendere cosa stava succedendo, ma capì che non era nulla di buono. Cominciò a piangere ancora più forte, infastidendo tutti i presenti.
- Fatela subito smettere! – urlarono alcune guardie, tappandosi le orecchie.
- Capitano! Non la uccida! E’ solo una bambina! – intervenì un soldato, fermando il suo superiore che stava già per infliggere, anche a lei, il colpo mortale.
- Il re ha ordinato di sterminare tutta la famiglia! Lei inclusa! – gli rispose il capo.
- La prego! – lo intimò ancora.
Dopo un attimo di esitazione, il capitano espresse la sua opinione.
- … Va bene, non la ucciderò. Nessuno dovrà far parola di questo, chiaro? – chiese, rivolgendosi ai suoi uomini. Tutti risposero con un cenno del capo, senza obiezioni.
- Tu te ne prenderai cura! – disse, indicando la guardia di prima.
- Si… signore! – gli rispose.
- E ora facciamo ritorno al palazzo. – concluse, seguito dalle sue truppe.
Il soldato rimase lì, solo in quei cunicoli, con la neonata in braccio. La cominciò a cullare, per tranquillizzarla e parve riuscirci.
Lei gli sorrise e cominciò a ridere, allungando le sue braccine verso di lui.
- Ti porterò con me, Gwen… -
 
 
SPAZIO DELL’AUTORE
 
Ciao a tutti! Mi presento: io sono Dark Riocha ed è la prima volta che scrivo su questo fandom. Spero che abbiate gradito il prologo, anche se era un po’ corto.
Segnalatemi gli eventuali errori che sono presenti nel testo e, se volete, lasciatemi un vostro parere. Accetto critiche e consigli di ogni tipo, basta che siano costruttivi.
Ci vediamo al prossimo capitolo!
  

 

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Capitolo 2
*** Cap. 1: Un nuovo capitano ***


The history of Versailles

 Cap. 1:

“ Un nuovo capitano “

 

Dopo diciassette anni, Gwen era cresciuta ed era diventata una bellissima ragazza. Aveva i capelli lunghi fino alla spalla che, durante gli anni, non avevano perso l’insolito colore bluastro e le leggere rigature nere. I suoi occhi erano sempre di un nero profondo, come la notte più scura. La sua carnagione si era fatta molto più chiara di quando era bambina, quasi lattea.
Quel soldato, che anni prima la aveva salvata dal suo terribile destino, aveva tentato di crescerla come una normale dama, ma lei aveva sempre provato un’attrazione spropositata per la vita avventurosa che facevano le guardie al servizio del re e della regina di Francia, quindi, non aveva potuto far altro che farle seguire i suoi sogni. Aveva fatto credere a tutti che fosse la sorella minore di Trent, il suo figlio naturale, per proteggerla dall’occhio vigile della regina Heather e del re Alejandro. Dopotutto, aveva fatto una promessa ai suoi genitori, ma Gwen era all’oscuro di tutto questo.
I due fratelli erano nel giardino di casa, impegnati in un duello con le spade.
- Trent, sforzati un po’ di più! - lo incitò lei, annoiata da quel combattimento, così troppo semplice per i suoi standard.
- Scusa, ma non sono bravo quanto te sorellina! - si scusò lui, imbarazzato, rivolgendogli i suoi timidi occhi verde smeraldo.
- Vediamo se così ti svegli! - disse, a un certo punto.
La ragazza fece un balzo in avanti, verso di lui. Il ragazzo cercò di difendersi, protendendo la spada davanti a sé. Ma non sentì il rumore metallico che producevano le due lame scontrandosi, piuttosto, avvertì un leggero spostamento d’aria vicino all’orecchio, poi vide una ciocca di capelli neri cadere, lentamente, a terra.
Trent rimase a fissarla, allibito da tanta velocità. Sua sorella atterrò dietro di lui, rimanendo ferma e aspettandosi una qualsiasi reazione da parte sua.
- Formidabile! - esclamò.
- Allora, vuoi continuare o ci dedichiamo a qualcosa di meno noioso? - chiese Gwen.
- Beh, a questo punto, andiamo al lago in mezzo alla foresta. - propose il fratello.
- Mhm… va bene…- si limitò a rispondergli, infilando la sua spada nel fodero di cuoio.
I due si diressero alla scuderia nel cortile di casa, per montare i loro cavalli: Trent possedeva un cavallo dal manto bianco, quello della sorella era completamente nero. Li sellarono e gli misero le briglie, poi partirono al trotto, verso la boscaglia.
 
 
Dopo aver raggiunto lo specchio d’acqua, lasciarono i loro destrieri a pascolare all’ombra di alcuni alberi, poi, si sedettero in riva al lago. L’acqua del mattino era cristallina e limpida, quasi trasparente. Ogni tanto qualche pesce saltava fuori, per poi ricadere dentro, producendo un sonoro “ splash! “. Le canne spuntavano, come tulipani, dal fondo, offrendo un comodo habitat a uccelli e rane.
- Ogni volta vuoi sempre venire qui, non so cosa ci trovi di divertente! - disse lei.
- Perché la natura è bella qui e poi posso suonare la chitarra in pace. - le rispose, sorridendogli - E io so che a te piace quando suono la chitarra. - concluse, toccando sempre il punto debole della sorella.
- Hai ragione! Mi conosci forse fin troppo bene. - gli rispose la ragazza, cominciando ad arrotolarsi una ciocca di capelli, in modo alquanto frenetico.
Il ragazzo cominciò a pizzicare le corde dello strumento, fino a produrre una melodia rilassante e calma. Gwen si stese sull’erba fresca del mattino e chiuse gli occhi, assaporando ogni dolce nota che la chitarra produceva. Rimasero lì interi minuti, lui a suonare e lei comodamente sdraiata, quando sentirono il rumore di una carrozza passare da quelle parti. I due fratelli si girarono verso la fonte del rumore, che si era insinuato fra di loro.
- Cos’è? Sembra una carrozza. - ipotizzò Trent.
- E lasciala passare. - disse la sorella, scocciata da quella intrusione.
- Su! Andiamo a vedere! - propose lui.
- Se ci tieni tanto… - le rispose la ragazza.
Dopo aver richiamato i loro cavalli dal pascolo, si diressero al passo verso la carrozza. Finalmente, la raggiunsero e capirono che era quella del re e della regina di Francia.
- E’ solo la carrozza reale. - disse Gwen - Ora possiamo tornare. - concluse lei, riavviandosi verso il lago.
Non fecero in tempo a fare un passo, che sentirono degli strani rumori provenire dal mezzo di trasporto.
- Ma cosa sta succedendo?! - si chiese, spaventato, Trent.
- Boh! - gli rispose lei, per niente interessata.
Un urlo agghiacciante squarciò l’aria, facendo sobbalzare i due giovani.
- Andiamo! - gridò la ragazza, partendo al galoppo verso la carrozza.
- Aspettami! – le urlò il ragazzo, ma era già troppo lontana per poterlo sentire.
Tentò di arrivare sul posto nel modo più rapido che poteva. Nella corsa, vide, chiaramente, che la carrozza era stata assalita da dei banditi incappucciati e vestiti di nero. In fondo, non erano poi tanto diversi da lei, visto che preferiva indossare abiti scuri. Ma quello non era il momento di pensare a certe cose.
Appena fu a un metro da uno di loro, si attaccò al dorso del cavallo con le mani, sferrandogli un calcio in pieno volto e facendolo cadere sul terreno.
- Chi è stato?! – urlò infuriato, massaggiandosi il punto in cui era stato colpito.
- Ehi! Ma è una donna! Ci siamo fatti prendere alla sprovvista da una stupida donna! - imprecò un altro.
- Adesso le faccio vedere io a questa stronza! - disse uno, lanciandosi su di lei.
Gwen rotolò di fianco, schivandolo e sferrandogli un calcio alle spalle, per poi infilargli la lama nella schiena, imbrattando la punta dell’arma di sangue.
- No! Adesso te la vedrai con me! – disse un altro, cercando di colpirla alle spalle con la spada.
Lei si girò fulminea e parò il colpo, facendo scontrare il suo metallo contro quello dell’avversario. Un altro bandito si unì al duello, mettendo la ragazza in svantaggio. Ma non ebbe problemi a combattere contro loro due, infatti, dopo poco, fece sbalzare via entrambe le spade dalle mani dei proprietari, facendole conficcare in due punti diversi del terreno.
- Basta così! Ritirata! - gridò un bandito, dandosi alla fuga seguito dai suoi compagni.
Gwen era soddisfatta di quello che aveva fatto, almeno quella “ gita “ al lago era stata più o meno emozionante. E tutto questo voleva dire che era diventata molto abile e ciò la soddisfò ancora di più.
Sentì qualcuno battere le mani, in modo lento e ritimico, dietro alle sue spalle. Era la moglie del re di Francia, che era rimasta colpita da quell’intervento improvviso quanto efficace. Era abbastanza alta e magra, con i capelli lunghi e color dell’ebano, i suoi occhi erano neri. Indossava un abito lungo fino ai piedi, vaporoso e elegante. In testa aveva un diadema d’oro, simbolo del potere monarchico.
- Suppongo che ti debba ringraziare… - disse Heather, mostrandole un sorriso languido.
- E’ stato un onore, maestà… - le rispose la ragazza, inchinandosi a lei, in segno di rispetto.
La regina rimase a scrutarla per un tempo interminabile, con uno sguardo dubbioso, poi proferì parola: - Come ti chiami? – chiese, con falso interesse.
- Gwen, vostra maestà. – le rispose subito.
- Gwen… - ripeté, come per memorizzarlo - Bene…Gwen… ho visto che sei molto brava a maneggiare la spada e che te la cavi bene nel combattimento… ho bisogno di soldati come te al mio comando, quindi, ti propongo questo: verrai a vivere a corte, ma dovrai diventare il capitano delle mie guardie reali. - concluse, aspettandosi una accettazione immediata.
- Detesto deluderla, ma non mi interessa vivere a corte, ma potrei diventare comunque il capitano delle guardie reali, se lo desiderate… - rispose la ragazza.
La regina rimase sorpresa: nessuno aveva mai osato rifiutare le sue proposte, che parevano più delle decisioni, quindi, ne rimase un po’ turbata.
- Acconsento la tua decisione, domani dovrai presentarti a corte. – disse Heather, voltandosi e dirigendosi alla sua carrozza. Al suo interno c’era il re di Francia, nonché suo sposo, che la aspettava tranquillamente. Anche lui era alto, come la moglie, ma muscoloso e con la carnagione bronzea. I suoi capelli erano castani e leggermente spettinati e gli occhi erano di un verde che ricordava molto la giada, antica pietra cinese.
- Mia sposa, ho ascoltato il tuo discorso con quella giovane, ma dimmi, ne sei proprio sicura che sia adatta a questo compito? – le chiese Alejandro.
- Il mio intuito non ha mai sbagliato. – gli rispose, in modo poco modesto.
 
 
SPAZIO D’AUTORE
 
Ciao a tutti! Scommetto che siete tutti entusiasti di vedermi! * tutti, grilli compresi, non accennano un rumore *
Grazie tante!
Con largo anticipo, ho appena postato il primo capitolo. Siccome avevo tanta voglia di scriverlo, l’ispirazione mi è stata amica e così è venuto fuori questo. Mi auguro che vi sia piaciuto.
Dopo un lungo salto temporale, arriviamo a una Gwen quasi maggiorenne, in compagnia del suo fratello adottivo Trent. Spero di non essere stata banale in questa scelta.
Dopo una piccola gita al laghetto vicino casa, Gwen salva il re e la regina di Francia da dei banditi. So che può sembrare scontata questa scelta, ma Heather e Alejandro erano in assoluto quelli più adatti alla parte degli antagonisti.
Spero di aver reso i personaggi abbastanza IC, se no, vi chiedo di dirmelo così aggiungo l’avvertimento.
Se ci sono degli errori vi chiedo di segnalarmeli.
Ringrazio le seguenti persone:
KiA99_Styles1D per aver recensito e per aver messo la storia tra le preferite, Manga_lover e Stramboidexsempre per aver recensito, Dott_Gwen per la recensione e per aver messo la storia tra le seguite e Lady Pierce per averla messa tra le preferite. Ci tengo a ringraziare anche i lettori silenziosi che leggono ma non recensiscono.
Ci vediamo al prossimo!
 
Dark Riocha
 
 
 
 
 

 

  

 

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Capitolo 3
*** Cap. 2: Primo giorno a Versailles ***


The history of Versailles
 

 

Cap. 2:
“ Primo giorno a Versailles “
 

 

 

Dopo l’incontro con la regina, Trent raggiunse Gwen, ansimante per la lunga corsa che aveva fatto: - Gwen! Che è successo?! - domandò, preoccupato - Ho visto che stavi parlando con la regina. Cosa vi siete dette? -
- Niente di che Trent, l’ho solo salvata da una morte certa e mi ha chiesto di diventare capitano delle guardie reali. - gli rispose, senza tralasciare nulla.
- Wow! Non sei felice? - chiese ancora, sempre più curioso.
- Beh… un po’ si… e un po’ no. - disse lei – Mi ha chiesto di venire a vivere a Versailles, ma io ho rifiutato, per un semplice motivo… -
La ragazza si fermò, vedendo che il fratello le si stava sedendo di fianco e, con un cenno del capo, la invitava a proseguire.
- Non mi piacciono certi ambienti! Troppe persone, troppa confusione… io non ci saprei stare in un posto così! - sbottò lei, confessando apertamente tutte le sue opinioni.
Il moro le sorrise, comprendendo pienamente i suoi stati d’animo, come se cercasse di leggerle dentro, nella sua parte più profonda: l’anima.
- Ti capisco. Gli ambienti troppo chiassosi non sono proprio il massimo! - disse lui, allargando, ancora di più, il suo riso - Che ne dici? Andiamo a casa a comunicare la notizia a papà e alla mamma? -
Lei annuì, incurvando, leggermente, le labbra all’insù.
 

- Madre! Padre! Siete già ritornati dalla vostra passeggiata? - chiese la figlia, senza distrarsi, minimamente, dall’immagine riflessa sullo specchio della sua stanza.
- Si, Leshawna. Siamo tornati prima del previsto. - le rispose Alejandro, avvicinandosi a lei e cominciando a pettinarle, dolcemente, i capelli con la spazzola.
- Alejandro! Lasciala stare e dille di vestirsi in modo più decente, per dio! E’ una principessa! Non la mia cameriera! - sbraitò Heather, arrabbiandosi con la figlia.
In effetti, di Leshawna, non si poteva proprio affermare che fosse una principessa, per il fatto che preferiva indossare abiti semplici a quelli troppo appariscenti o sontuosi. Preferiva essere come tutti gli altri che distinguersi come faceva la madre, facendo sentire le persone una nullità. Aveva la carnagione troppo scura, non si sapeva da chi aveva preso quel colore, i capelli e gli occhi erano grandi e neri e di corporatura era abbastanza rotonda, ma non bassa di statura.
La ragazza sbuffò, evitando di ripetere le sue convinzioni ai suoi genitori, perché, tanto, non le avevano mai ascoltate o prese, veramente, in considerazione. Per questo, tra le due donne, non c’era molta simpatia.
Si alzò dalla sua sedia di velluto e andò a prendere un vestito lungo fino alle caviglie, rosa, con molti svolazzi e se lo mise con noncuranza.
- Ecco! Adesso cominci ad assomigliare alla figlia di una regina! - commentò la madre, con poco entusiasmo. Leshawna incrociò le braccia e si sedette sul suo letto a baldacchino, evitando di guardare i suoi genitori. Questo, a Heather, diede molto fastidio.
- Ti aspettiamo per la cena. - disse il re, trascinando la sua sposa fuori dalla camera. Appena la porta si richiuse, la principessa tirò un sospiro di sollievo. Non ne poteva più di vivere a corte e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di essere come gli altri.
 
 
- Papà! Siamo tornati! - lo avvisò Trent, entrando dalla porta principale, seguito dalla sorella.
- Bentornati ragazzi! - li accolse lui, con il suo solito entusiasmo - Sierra! Sono tornati i nostri figli! -
- Arrivo, mio Cody adorato! - gli rispose la moglie, col suo fare dolce e fin troppo premuroso.
Dalla cucina, arrivò come un lampo e si precipitò tra le sue braccia.
- Non devi accogliere me, ma loro! - disse, dopo aver indicato i figli che, ormai, assistevano alla stessa scena un milione di volte e, perciò, erano abituati.
- Ehm, papà! - lo richiamò il figlio - Gwen ti deve dire qualcosa di importante, non è vero? - disse, dandole una leggera gomitata.
- Ecco, la regina mi ha chiesto di diventare capitano delle guardie… - spiegò lei.
- Come?! - esclamò il padre - Perché te lo ha chiesto? - domandò, in un modo che ai due parve abbastanza frustrato.
- Perché io sono intervenuta mentre dei banditi stavano attaccando la sua carrozza… - riprese lei.
- No! No! E’ fuori discussione! - disse Cody, fermamente deciso sulla sua parola.
- Ma…! -
- Niente ma, tu non lo farai e basta! - urlò, battendo i palmi delle mani sul tavolo.
Sierra, vedendo tutto questo, interferì subito.
- Caro, non ti sembra di esagerare? - disse, facendogli un occhiolino d’intesa. Il marito afferrò al volo il gesto, capendo che così avrebbe solo destato dei sospetti.
- …Va bene, potrai diventare capitano delle guardie… - si arrese, chinando la testa.
I due fratelli erano rimasti sorpresi dalla decisione del padre: perché mai avrebbe cambiato idea così all’improvviso?
- E ora, scusate, vado a riposare. - si congedò, seguito dalla sua sposa.
Si diressero in un’altra stanza della loro enorme casa e cominciarono a parlare in privato.
- Grazie Sierra… - la ringraziò Cody.
- Di che amor mio? - chiese lei.
- No, è che se non fossi intervenuta, Gwen avrebbe scoperto tutto. - le rispose.
- Caro, sai che primo o poi dovrai dirglielo. - gli ricordò.
- Si, lo so, ma non ora. Quando sarà il momento più opportuno, lo dirò ad entrambi. - concluse, sorridendo alla moglie. Il loro matrimonio era stato voluto dalle rispettive famiglie, senza che si conoscessero più apertamente, ma, dopo tanti anni, Cody aveva cominciato ad apprezzare questo legame. Si poteva, addirittura, affermare che si fossero sposati da poco e che fossero ancora nel fior dell’età.
 
 
Uno squillo di trombe annunciò l’arrivo del re e della regina di Francia. Gwen si sentì, ad un certo punto, meno sicura. Tutti i nobili si stavano radunando nella sala del trono, una delle stanze più belle di tutta Versailles, e questo la faceva sentire a disagio. Da un portone riccamente decorato, entrarono i due reali, abbigliati con i vestiti più belli di tutto il paese. Si sedettero sui loro troni, mentre i presenti si inchinavano con fare di sottomissione.
- Ben arrivata, Capitano Gwen, lei, d’ora in poi, sarà il comandante delle guardie reali. Io e la mia sposa ci aspettiamo che lei faccia un buon lavoro qui a corte. - le disse Alejandro, cercando l’approvazione della moglie. Ma lei non accennava un gesto e si limitava a guardare il modo strano con cui il nuovo capitano era vestito; di solito le divise delle guardie dovevano essere rigorosamente bianche, mentre la ragazza indossava una divisa completamente nera, con qualche bordino oro come ricamo. La donna era, allo stesso tempo, sorpresa e attratta da tanta trasgressione, pensando di non essere la sola in quella sala.
Il marito, rassegnato, proseguì con il breve discorso: - Quindi, le diamo il cortese benvenuto qui al palazzo di Versailles. -
- E’ un onore essere qui per me, Maestà. - rispose lei.
Qualcosa balenò negli occhi di Heather, una specie di fulmine a cielo aperto. Quella Gwen, si, le ricordava qualcuno, ma non sapeva chi. Al loro incontro non aveva notato niente di particolare, perché il suo sesto senso aveva tardato a scattare. Ma ora, era certa di averla già vista, da qualche parte. “ No… non può essere lei… lei è… morta… e già da parecchi anni… mi sarò solo sbagliata… “ si continuava a ripetere, fino ad auto convincersi.
Suo marito le tirò una gomitata sul fianco, senza farlo notare, distraendo la donna dai suoi pensieri.
- Le do anche il mio benvenuto, Capitano Gwen. - disse lei, cercando di apparire il più autoritaria possibile.
- Grazie, Maestà. - la ringraziò la ragazza.
Uno squillo di trombe finale annunciò il congedarsi dei due reali, verso i loro appartamenti privati. Una volta che se ne furono andati, la sala si svuotò dei nobili e delle guardie.
Gwen era rimasta sola, indecisa su come doveva muoversi in un ambiente così grande. Si mise ad esplorare, in solitario, le diverse ale del palazzo, finché non arrivò, per caso, in quella dove si trovavano gli appartamenti del re e della regina. Pensò di fare marcia indietro, per ritirarsi in qualche posto tranquillo e senza troppa gente attorno. Appena si voltò, vide una ragazza, che aveva, all’incirca, la sua stessa età, da quello che dedusse.
- Tu chi sei? - le domandò lei, con fare curioso.
- Sono… il capitano delle guardie reali. - si presentò la bluastra.
- Strano. Ma le guardie non indossano divise bianche? - chiese ancora.
Gwen preferì non rispondere a quella domanda: non voleva fare parola sul suo modo diverso di vestirsi.
- E, invece, tu chi sei? - le domandò la ragazza.
- Sono la principessa Leshawna. - si presentò la scura.
- Lei è la principessa?! Scusi per la maleducazione. - si scusò lei, affrettandosi a prostrarsi.
- No, non serve. Io non sono come mia madre. - disse, facendo un gesto vago per indicarle di alzarsi.
- Mi scusi per l’impertinenza, ma sua madre non mi ha accennato che aveva una figlia. - le confessò Gwen.
- Preferisce non parlare di me. Io la disprezzo e lei disprezza me. Ecco com’è il nostro rapporto! Neanche con mio padre posso sentirmi amata. -
- Come mai questa antipatia reciproca? - osò chiedere la bluastra.
- Abbiamo idee molto differenti… - si limitò a rispondere, senza aggiungere altro.
- Lieta di aver fatto la sua conoscenza. - la salutò la ragazza, affrettandosi a chiudere il discorso. Non sapeva se poteva fidarsi o meno di quella nuova quanto insolita conoscenza.
- La salutò, Capitano. Mi auguro di incontrarci ancora. - la salutò, a sua volta, la scura, avviandosi verso, quella che doveva essere, la sua presunta stanza.
 
 
La giornata trascorse lenta per Gwen. Si domandava come facessero i nobili a vivere in un ambiente così perfetto e tranquillo. Li definiva “ strana gente “ e, in poche ore, aveva già capito il loro modo di comportarsi: le donne si sedevano in qualche salotto a prendere il solito tè e a chiacchierare su questioni inutili, oppure giocavano a carte, passatempo destinato soprattutto agli uomini. Alcuni si dedicavano alla caccia nella riserva privata del re, facendo stupide adulazioni al loro sovrano, pur di conquistarsi la sua simpatia. Viscidi leccapiedi, ecco cos’erano!
 
 
SPAZIO D’AUTORE
Ciao a tutti! Eccomi qui con il secondo capitolo.
Ditemelo pure che è stato di una noia mortale e che potevo sforzarmi molto di più, ma questo era solo un capitolo di transizione, non so se avete capito.  
Cosa ne pensate della coppia di Cody e Sierra? Stavolta credo di avervi stupito. Ho da chiarire una cosa per evitare alcuni accorgimenti che, sicuramente, mi farete: allora, come avevo già scritto Cody e Sierra hanno avuto un matrimonio combinato, perciò non si amano alla follia, convivono e basta e solo Sierra usa i nomignoli da innamorati. Spero di aver chiarito.
E di Leshawna cosa ne pensate? So che la somiglianza non è molta con i suoi genitori, ma mi serviva un personaggio che odia sia Heather che Alejandro, quindi, credo che lei fosse la scelta più adatta.
Ringrazio: KiA99_Styles1D per la recensione, Dott_Gwen per avermi recensito ancora, Stramboidexsempre per aver messo la mia storia nelle preferite e nelle seguite e per aver recensito, AuraBianca per la recensione e per aver messo la mia storia tra le preferite, Videl_Love Gohan per le recensioni e per averla messa tra le seguite, Manga_Lover per averla messa tra le seguite e per la recensione e Lady Pierce per aver recensito e, infine, i miei lettori silenziosi.
Ok! Dopo i ringraziamenti ( che sono ben dovuti ) vi saluto e ci vediamo al prossimo aggiornamento!
 
 
Dark Riocha 

 

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Capitolo 4
*** Cap. 3: La verità ***


The history of Versailles
 

 

Cap. 3:
“ La verità “ 

 

 
 
Quella sera, l’intera famiglia era riunita a cena, davanti ad una bella tavolata ricolma d'ogni genere di pietanza. Madre e figli parlavano soprattutto della prima giornata di Gwen a Versailles. Appresero dalla ragazza che il palazzo reale non era tutto questo splendore, secondo il suo racconto. Ma sapevano come era fatta e, perciò, non gli sembrò strano che lei non fosse così entusiasta.
L’unico che non aveva ancora aperto bocca era proprio Cody, che si limitava ad ascoltare le loro conversazioni con la massima attenzione, senza commentare nulla. Sembrava alquanto irrequieto, come non lo era mai stato, ma la sua famiglia non ci aveva fatto troppo caso. Solo in un certo punto del racconto, cominciò a proferire parola.
- Però c’è stato un momento in cui la regina mi sembrava un po’ strana… - disse la bluastra - Mi fissava e sembrava che stesse riflettendo, non so su cosa. -
- Forse guardava i tuoi abiti. Le guardie hanno tutte le uniformi bianche, mentre tu hai preferito vestirti di nero. - ipotizzò Trent.
- Anch’io ho pensato quello, ma credo che ci fosse qualcosa di più, oltre al mio abbigliamento. - disse la ragazza, accentuando l’ultima parola.
- Caro! Tu cosa ne pensi? - chiese sua moglie, cercando di schiodarlo dal silenzio in cui si era chiuso.
Il marito sussultò, essendo stato interrotto dalle sue riflessioni.
- Stai attenta. Ti dico solo questo. - la avvisò Cody, con un tono lugubre che ai presenti non piacque.
Gwen non comprese a pieno il significato di quelle parole, quindi si limitò a pensare che forse il padre volesse fargli capire che i pericoli erano dietro l’angolo in un ambiente simile, o forse intendeva qualcos’altro, qualcosa di più profondo? Decise, perciò, che ci avrebbe parlato dopo cena, in privato o accompagnata da Trent.
 
 
Trovò suo padre nel giardino sul retro, intento a fumare un sigaro, facendo, talvolta, dei cerchi col fumo grigiastro che sprigionava. Il cielo era nuvoloso quella sera, tanto che non lasciava trasparire, attraverso le sue nuvole, nemmeno una stella luccicante. Era un chiaro segno che un temporale era in agguato.
La bluastra gli si avvicinò piano, quasi di soppiatto, per non disturbarlo dalla sua quiete.
- Ciao… Gwen. - la salutò, appena la vide arrivare - so già cosa vuoi sapere. -
Cody parve capire al volo i dubbi che la affliggevano, quindi, si preparò al momento cruciale, quello per cui si era preparato per anni.
- Siediti qui. Adesso ti spiegherò tutto. - le disse, con un velo di tristezza nella voce, che non volle dare a vedere.
- Cosa intendevi per “ stai attenta “? - gli chiese, subito.
- Intendevo dire molte cose, più di quante immagini… - le rispose, fermandosi per fare una grossa tirata al suo sigaro - Io… non sono… tuo padre. -
La ragazza rimase leggermente scossa: come poteva essere? L’uomo, che per anni aveva considerato come un genitore, si era rivelato non come tale?
- Neanche tua madre lo è. I tuoi veri genitori… sono… - non riuscì più a continuare quella frase, lasciandola sospesa. Ma cercò di farlo intuire. Riprese il suo racconto, deciso a raccontargli ogni singolo particolare.
- Loro facevano parte di un'organizzazione segreta contro il re e la regina di Francia. Anch’io ne facevo parte, ma mi sono ritirato, quando le guardie reali hanno assalito la casa dove abitavi. Io ti salvai, ma non potei fare lo stesso con i tuoi genitori. Erano stati il re e la regina a ordinarlo… - a questo punto, i suoi occhi s’inumidirono e la sua voce cominciò a tremare, fino a ridursi ad un flebile sussurro - Mi dissero, che se gli fosse accaduto qualcosa di male, di prenderti con me e di chiamarti Gwen, come tua madre desiderava. -
Una lacrima gli rigò il volto nello stesso istante in cui terminò il suo racconto. Gwen, apparentemente, non sembrava scossa, ma questo perchè non voleva farsi vedere debole.
Qualche goccia di pioggia stava cominciando a scendere dal cielo, inumidendo il terreno.
La ragazza si alzò e corse via, via da quel luogo, lasciando il padre solo. Per strada incontrò Trent, che era diretto ai box dei cavalli per ripararli dalla tempesta.
- Gwen! Dove eri finita? - le chiese lui, con il suo sorriso.
La bluastra lo schivò nella corsa, rischiando di andarci a sbattere, proseguendo poi verso la foresta.
- Ehi! Dove stai andando?! Gwen! - la chiamò forte il moro. I suoi urli si dispersero nel buio della sera, come le gocce di pioggia sul terreno ormai fradicio.
 
 
La riva del lago era ridotta a fango e poltiglia. Le gocce cadevano sulla superficie irregolare dello specchio d’acqua, producendo piccoli zampilli. Gli alberi sembravano, anche loro, molto turbati e muovevano le fronde in modo impetuoso. I fili d’erba venivano smossi dalle brevi folate di vento, curvandosi a destra e a sinistra, ritmicamente.
Gwen se ne stava seduta sul grande parto che precedeva la piccola spiaggia, quello dove lei e Trent si fermavano a guardare il lago. Con le braccia si teneva le ginocchia attaccate al petto, chiudendosi in se stessa. Il capo era chino e i suoi capelli bagnati gli coprivano la faccia, attaccandosi alla sua pelle lattea e delicata. Le gocce di pioggia si confondevano con le sue lacrime, formando un tutt’uno con esse.
La notte era scesa da un pezzo e la ragazza era lì da qualche ora. Sentiva la stanchezza e le palpebre le si facevano sempre più pesanti, tanto che restare svegli le costava una fatica immane. Tutte le sue realtà, tutto quello in cui lei aveva sempre creduto, tutto era sparito.
Ma ne era certa, i reali di Francia la avrebbero pagata cara per quello che le avevano fatto. Doveva solo giocare d’astuzia con loro, facendoseli amici e guadagnando la loro piena fiducia, poi li avrebbe colpiti alle spalle, dando inizio ad una nuova era, l’era in cui i cattivi e coloro che si approfittano della gente più debole, avrebbero avuto la punizione che si meritavano, pagando le conseguenze per il resto della loro vita.
Si addormentò poco dopo, distendendosi in posizione fetale sull’erba bagnata, cullata dal motimento della pioggia.
 
 
 
Si aggirava per i corridoi deserti del palazzo reale, come un gatto che cerca la sua preda in modo costante. Quello era diventato il suo unico passatempo in quel luogo che considerava disgustoso e noioso.
Avrebbe voluto spaccare tutto dalla rabbia che si portava dietro dalla sera prima, tutte le punizioni del mondo non la avrebbero fermata.
Da una stanza, vi uscì la principessa Leshawna, vestita in modo troppo semplice e troppo diverso dal loro primo incontro. Assomigliava, quasi, a una delle tante cameriere che giravano per Versailles, ai servizi di quei boriosi dei reali.
- Buon giorno Capitano Gwen. - la salutò lei, usando il suo solito linguaggio formale.
- Buon giorno, principessa. - le rispose, facendole un breve inchino.
- Vi avevo già detto che non serve con me. Non voglio sempre ripetere le stesse cose. - disse la scura leggermente infastidita.
- La prego di accettare le mie scuse. E’ l’abitudine. - le disse Gwen.
- C’è qualcosa che la turba? - le chiese, notando la sua espressione che non traspariva neanche una emozione.
- Le assicuro che sto bene! - le rispose, alzando la voce. Dopo essersi resa conto di quello che aveva fatto, capì che non era stata molto cortese.
- Mi scusi. - si scusò la ragazza, allontanandosi velocemente dalla principessa.
Non era così al nostro primo incontro. Deve esserle successo qualcosa di poco piacevole. “ pensò Leshawna, riprendendo il cammino.
 
 
Heather era davanti al suo enorme specchio, intenta a sistemarsi i capelli dopo averli accuratamente spazzolati e acconciati con dei brillanti. Indossava un abito meno vaporoso del solito, che si distendeva sul suo corpo esile, combaciandosi, perfettamente, con le sue membra. Era di color rosso porpora, abbastanza appariscente, con qualche piega sulla parte inferiore. Delle scarpe col tacco abbinate completavano l'insieme, dandole un'aria provocante.
- Grazie di essere venuta Capitano Gwen. - la ringraziò la regina, voltandosi verso di lei.
Alla bluastra costò una enorme fatica sostenere il suo sguardo. I suoi occhi erano quelli di una assassina, che non guardava in faccia nessuno pur di raggiungere i suoi scopi. Provò un impulso irrefrenabile di tirar fuori la sua spada scintillante e di attaccarla seduta stante: la avrebbe assalita con tutto il peso del suo corpo, facendola cadere sul pavimento per tutta la sua lunghezza. In quel momento, la avrebbe infilzata con la sua lama, penetrando in profondità nella carne e molto lentamente, per prolungare la sua agonia. Tutti i suoi urli, le sue imprecazioni e le sue suppliche non le avrebbero procurato neanche un minimo di pietà. Sarebbe arrivato fino al cuore che batteva ancora nel suo petto e lì le avrebbe dato il colpo di grazia. La sua voce si sarebbe placata, lasciando il posto ad una pozza rossa sul pavimento, che, via via, si sarebbe espansa nei dintorni. Avrebbe assaporato l’odore pungente e acre del sangue ancora fresco, come non lo aveva mai fatto. E così avrebbe compiuto la sua vendetta.
Si riscosse da quei pensieri così troppo sadici e violenti per lei. No, non era così spietata. Se lo avesse fatto, tutta la sua famiglia ne avrebbe pagato le conseguenze, non solo lei. Così, anche Trent e i suoi genitori adottivi la avrebbero seguita nella vita ultraterrena. Non voleva coinvolgerli per la sua sete di vendetta, che reclamava, al più presto, il versamento di sangue impuro. Loro dovevano rimanere fuori il più possibile da quella faccenda.
- Lei dovrebbe scortarmi verso una esecuzione importante nella piazza di Parigi, a cui io e il mio sposo dobbiamo assolutamente partecipare. - ricominciò a parlare la regina, distraendo la ragazza dai suoi sadici quanto macabri pensieri.
- Sarà fatto. - le rispose la bluastra, per niente entusiasta, ma si impegnò a non darlo a vedere.
Non aveva mai fatto così tanti sforzi per dire due semplice parole di poche sillabe, ma proteggere due simili mostri era la peggiore di tutte le umiliazioni del mondo. Se lo avesse saputo prima, non sarebbe diventata il capitano delle guardie scelte del re e della regina. Ma non poteva tirarsi indietro, ormai, ci era dentro con tutta se stessa.
- Fra un’ora partiremo verso Parigi, si assicuri di essere pronta. - la congedò Heather.
- Come desidera. - le rispose Gwen affrettandosi a lasciare quella stanza maledetta. Provò una sensazione di leggerezza mai sentita in vita sua, quando varcò l’uscio, chiudendosi la porta alle spalle.
La sua sfida più grande, da allora, sarebbe stata frenare l’impulso di spargere sangue quando stava in compagnia di quella donna velenosa.
 
 
 
SPAZIO D’AUTORE
 
Eccomi qua, perfettamente in orario, o quasi. Finalmente ho terminato questo capitolo.
Scusate se è leggermente più corto dei miei capitoli soliti, ma questo era davvero importante da scrivere, come avete intuito, perciò non potevo inserirlo nel prossimo, anche perché sarebbe stato troppo lungo.
Mi sono buttata in una nuova cosa: quella di descrivere la morte di Heather nella testa di Gwen, forse è la scena che mi convince di meno, ma ditemelo voi se si può migliorare o meno.
La nostra Gwen ha scoperto la verità sul suo passato ed ora il suo obiettivo è, esclusivamente, la vendetta.
Ringrazio:
KiA99_Styles1D, Dott_Gwen, Stramboidexsempre e Lady Pierce per le recensioni allo scorso capitolo, Manga_Lover, Videl_Love e Gohan e Aura Bianca, che spero di risentire in una delle loro recensioni, Miss me per aver inserito al storia tra le preferite e Td 4ever per averla inserita fra le ricordate. E ringrazio, naturalmente, anche i miei lettori silenziosi. Commentate per farmi sapere la vostra opinione perchè è molto importante sentire cosa ne pensate.
Ci vediamo al prossimo! 

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Capitolo 5
*** Cap. 4: Prima missione ***


The history of Versailles

 

  Cap. 4:

“ Prima missione “

 
   
- Cosa ti succede?! Me lo vuoi spiegare o no? - gli chiese, insistentemente, Trent, curioso di sapere cosa era successo la sera prima tra lei e il padre.
- Ho detto che non ne voglio parlare! Chiedilo a lui, piuttosto e risparmiami le tue lagne! - gli rispose Gwen, infastidita da così tanta insistenza.
- Papà non mi vuole dire e niente e… - non terminò la frase perché venne interrotto dalla bluastra.
- E hai pensato di chiedere a me!  Scordatelo! -
Il moro la guardò, sbalordito, per il fatto che lei non gli aveva mai rivolto la parola in quel modo così arrogante. Si chiedeva cosa le era successo da farla turbare così tanto e desiderava saperlo intensamente.
- Gwen, per favore! Potrei anche aiutarti se solo sapessi… - provò, un’altra volta, lui, rivolgendole uno sguardo supplichevole.
- Fidati, è meglio che tu non lo sappia. - gli rispose, un po’ meno severa. Fece per alzarsi e finire quella conversazione fatta da suppliche inutili e negazioni, ma venne afferrata per il polso dal braccio robusto del fratello, che la invitava a sedersi.
- Tu dimmelo e potremmo risolvere la cosa insieme! - le disse, sperando di spezzare il suo silenzio forzato.
La ragazza rimase lì a fissarlo per un po’, indecisa su cosa era meglio per lui: pura verità o la menzogna?  I suoi genitori adottivi le avevano insegnato a non mentire alle persone, perciò, ora che sapeva tutto, non poteva più fingere.
- Noi… non siamo… fratelli. - gli disse questa semplice frase, che bastava più di mille parole.
- Come?! Tu… non sei… mia… sorella? - le chiese Trent, evidentemente confuso da tale affermazione.
- No. Non sono tua sorella. E ora, lasciami andare! - gli ordinò lei, poiché il ragazzo le stava ancora stringendo il polso.
Allentò la stretta lentamente e, finalmente, si decise a lasciarla, visivamente scosso. Gwen si allontanò a grandi passi e attraversò il giardino tutto in fiore, poichè era la stagione primaverile. I cespugli di rose erano fioriti e rilasciavano un invitante aroma nell'aria, accompagnato da gigli e orchidee, che davano un aspetto tropicale al luogo.
- Gwen! - la chiamò il moro - Tu, per me, sarai sempre mia sorella! -
La bluastra sorrise teneramente dopo aver sentito quella semplice frase. Per lo meno, avrebbe sempre potuto contare su di lui.
Ma ora, doveva fare ritorno al palazzo reale. La carrozza dei reali di Francia sarebbe partita una mezz’ora più tardi e lei non poteva farsi attendere.
 
 
C’era una grande folla radunata intorno alla piattaforma dove era posto la micidiale macchina della morte. Il re e la regina assistevano alla scena raccapricciante da un balcone di una villa, seduti su due troni preparati per l’occasione.
Gwen era rimasta appiattita contro una parete, decisa più che mai a non assistere a un tale scempio. Come poteva tanta gente apprezzare queste cose orribili? Proprio non lo sapeva, eppure i suoi re parevano entusiasti, come se fosse un semplice passatempo per dilettarsi. “ Proprio un bel divertimento assistere alla morte di una persona! “ continuava a pensare. Non vedeva l’ora di tornarsene a Versailles. Lì, almeno, non assisteva a queste cose.
- Chi è costui che verrà giustiziato? - osò chiedere la ragazza.
- Ricordi i briganti che avevano attaccato la nostra carrozza? - gli rispose Alejandro, con un’altra domanda.
Lei annuì. Era in quell’occasione che fece la conoscenza dei reali di Francia.
- Pensiamo che lui faceva parte di quel gruppo. - terminò poi.
- Quindi lo pensate? - domandò, ancora, la bluastra.
- Si, ma è meglio essere previdenti piuttosto che pentirsene! - le rispose Heather, decisa a zittirla per godersi lo spettacolo.
La ragazza si ammutolì, basita. Come si poteva giocare così con delle vite?! Solo per un semplice sospetto erano stati capaci di condannare a morte un uomo?! E se era innocente? Avrebbero avuto un peso sulla coscienza se fossero stati dei normali esseri umani. Ma non lo erano. Erano, semplicemente degli autentici mostri.
Gwen si rinchiuse ancora nel suo silenzio ottenebrante, senza più dire neanche una parola.
- Capitano Gwen! - la chiamò la regina - Non credo che da lì possiate ammirare lo spettacolo come da qui! Venite avanti! -
Perfetto! Ora mi deve persino tormentare! Col cazzo che vengo lì! “ pensò la bluastra.
- Come desiderate. - le rispose, ingoiando un grosso grumo di saliva, che le aveva mozzato il fiato da qualche secondo. Quante ne avrebbe ancora ingoiate prima di esplodere?
Dalla balconata si poteva assistere alla scena in modo troppo impeccabile. Le venne portata una sedia dove sedersi, non molto distante dai sovrani. Cominciò ad inventarsi qualcosa per distogliere lo sguardo dalla piazza, tipo rosicchiarsi le unghie o arrotolarsi le ciocche nere che le ricadevano, dolcemente, sulle spalle. Mentre se ne stava arrotolando una, vide qualcosa di luccicante brillare su uno dei palazzi che si ergevano là attorno. Solo da qualcosa di metallico poteva provenire un simile bagliore. Aguzzò gli occhi e guardò con più attenzione l’oggetto luminescente.
Niente, non riusciva proprio a vedere di cosa si trattasse. Vide un nobile, non troppo lontano da lei, con un cannocchiale, che stava puntando sulla piattaforma.
- Mi scusi! Potrei averlo un attimo? - gli chiese, con molta gentilezza.
- Ma veramente… io! - balbettò lui, prima di farsi strappare di mano l’oggetto.
- Grazie! - lo ringraziò la ragazza e si affrettò a mettere a fuoco il punto da cui proveniva il bagliore. Dalle lenti, vide, chiaramente, che era un fucile, con un cecchino che sembrava pronto a usarlo. Subito capì: voleva uccidere il re, davanti a tutta quella gente. No! Questo non poteva permetterlo! Doveva essere lei a ucciderlo, non il primo uomo che passava per strada!
Mettendo da parte tutto il suo buon senso, decise di salvargli la vita, ma era solo una questione di strategia, non di simpatia.
Mentre pensava, sentì un rombo nell’aria e capì che il tizio aveva già sparato. Con un balzo, buttò a terra Alejandro, con tutto il trono, facendolo cadere. Il proiettile proseguì per la sua strada e andò a conficcarsi nel petto di un cortigiano, che cadde a terra subito dopo l’impatto. Il re fu aiutato dai suoi servi ad alzarsi e a rimettersi in piedi.
- Capitano, non so come… - boccheggiò lui, ma Gwen non aveva tempo da perdere con dei semplici ringraziamenti. Avrebbe corso dietro a quel cecchino, solo per avere qualche informazione in più, non certo per consegnarlo ai reali di Francia.
Voltò le spalle al re e partì all’inseguimento di quell’uomo. Si fece strada tra i numerosi nobili che avevano affollato i corridoi dell’edificio, per poi uscire all’aria aperta. Vide la sua preda aggirarsi furtiva tra la folla, cercando di non farsi vedere. Ma lei lo aveva adocchiato subito e senza troppa difficoltà. Il cecchino, quando si accorse di essere inseguito, cominciò a correre tra le persone, urtandone qualcuna, senza mai fermarsi. La ragazza lo seguì, finché non lo vide sparire all’imboccatura di un vicolo. Solo allora si fermò, per aguzzare le orecchie e captare qualsiasi rumore. Sapeva che voleva tendergli una trappola, perciò sguainò la spada e si preparò a una possibile imboscata.
Iniziò a muovere dei passi molto lentamente, per essere pronta nel caso dovesse difendersi o attaccare. Il rumore dei suoi tacchi echeggiava lugubre e la luce lasciava spazio alla penombra. Sentì qualcosa di leggero cadere appena dietro di lei. Si girò di scatto, ma non vide nessuno. Fu in quel momento che avvertì un leggero spostamento d’aria vicino alla sua schiena. Si scansò, appena in tempo per non venire infilzata. Ma la lama le aveva procurato una lunga ferita all’altezza del torace, lacerandole la carne e i vestiti, che vennero imbrattati dal suo sangue. Il suo assalitore atterrò a un metro di distanza, restando sempre in allerta.
Gwen, dopo aver subìto un tale affronto, era al colmo della rabbia, perciò lo attaccò senza esitazione. Il suo avversario parò il colpo con destrezza. La ragazza capì che non c’era da scherzare, perciò tirò fuori il meglio di sé.
Prese la rincorsa e gli balzò addosso, facendo saettare la spada davanti al suo viso, procurandogli un piccolo taglio. L’uomo soffocò un gemito, ma, dalla voce, capì che era una donna. Si premette la mano destra sulla guancia, per fermare l’emorragia. La bluastra la attaccò ancora, ma lei parò anche questo colpo, senza distrarsi oltre per la sua ferita.
Per alcuni minuti, le loro lame continuavano a saettare fulminee, senza mai un attimo di tregua. Gwen pensò che era ora di chiudere l’incontro e che aveva già perso troppo tempo. Strinse l’impugnatura e si lanciò, nuovamente, addosso alla donna. Ella si difese e parò anche questa volta. Nello stesso momento, la ragazza gli tirò un calcio nello stomaco, senza preavviso. La sua avversaria si accasciò a terra, dolorante, chinando la testa e mollando la sua arma.
La bluastra la raccolse e gli puntò contro entrambe le spade.
- Chi sei? - le chiese, alzando la voce - Chi sei? Mi vuoi rispondere?! -
Niente, quella donna non voleva dire niente e sembrava ostinata a non parlare con lei.
- Vuoi che passi alle maniere forti? - le domandò, bruscamente, Gwen - Guardo che ci metto poco a farti fuori! -
Nulla, neanche le minacce servivano a qualcosa. Non la stava nemmeno ascoltando.
- Preferisci che ti porti dal re e dalla regina?! - la minacciò ancora, sperando che così lei avrebbe parlato. La donna alzò la testa e parve svegliarsi. Scosse la testa impaurita. Ma non comunicava con la voce, probabilmente, non voleva farsi riconoscere.
- Rispondi alla mia domanda! Chi sei e cosa ci facevi là sopra? - le chiese, alzando il tono.
Nessuna risposta. Continuando così non ci avrebbe cavato un ragno dal buco.
Ormai era esasperata. Cosa doveva inventarsi per ricevere qualche informazione?! Torturarla forse? No, non ne sarebbe stata capace.
E ora che faccio? Questa stronza si sta solo divertendo alle mie spalle! “ pensò la ragazza. Forse doveva essere ancora più dura.
Mentre rifletteva , non si era accorta che la donna aveva distolto lo sguardo dal suo viso, per guardare un punto buio del portico. Gwen se ne accorse e girò la testa nella sua stessa direzione, ma non lì non c’era niente.
Quando il suo ostaggio tornò a guardarla, aveva un sorriso lugubre stampato in faccia. Era minaccioso e non prometteva nulla di buono. Sul serio pensava di poterla intimorire con un semplice ghigno?!
- Smettila di sorridere! Non mi fai paura! - le ordinò la bluastra, infastidita da un tale comportamento.
Ma la donna, invece che spegnere il suo sorriso, lo allargò ancora di più, fino a mostrare i denti bianchissimi.
- Ehi! Ti ho detto di smetter…! - non fece in tempo a finire la frase che si sentì afferrare da dietro da due robuste mani.
Quel qualcuno gli tappò la bocca e le mise una benda sugli occhi. Solo allora capì che ad assalirla erano stati in due. Forse, due uomini. Come poteva essere stata così ingenua da pensare che quella era venuta da sola. Si dimenò più che poté, ma non riusciva a liberarsi da quella stretta d’acciaio. Quel qualcuno le teneva ferme le braccia, avvolgendole le spalle. No, non voleva arrendersi così facilmente davanti al nemico. Provò a tirargli due gomitate e, fortunatamente, ci riuscì, colpendo le costole del suo assalitore. Egli lasciò leggermente la presa e lei poté liberarsi dalla sua stretta, abbastanza per correre via il più lontano possibile. La ferita al torace le faceva terribilmente male e continuava a perdere sangue, fino a perdere il senso dell’equilibrio e farle girare la testa. Più si agitava, più il sangue scorreva veloce. Cadde dopo qualche metro di corsa a vuoto, poiché non era ancora riuscita a togliersi la benda dagli occhi. Maledetta la sua debolezza! Con movimenti meccanici, tentò di rimettersi in piedi, ma qualcuno le pestò la schiena, rischiando di rompergliela. La ragazza gemette, non avrebbe mai urlato come una bambinetta! Il suo assalitore ridacchiò divertito, pestandola ancora due volte e con più violenza. Ci provava gusto a torturarla e, ora, la stava trattando come un giocattolo.
Se volevano ucciderla, perché non farlo subito, così le avrebbero risparmiato quelle umiliazioni inutili. Invece, volevano farla soffrire ancora un po’. Un altro uomo, le afferrò i capelli, fino a farla reggere sulle proprie gambe, ma lei non ci riusciva, si sentiva troppo debole e la testa continuava a girarle vorticosamente. La buttarono malamente a terra. Si aspettavano che lei si rialzasse, per divertirsi ancora un po’. Ma Gwen non si rialzò, anche se sapeva che il tormento non era finito. Si sentì colpire, violentemente, alla testa, fino a perdere i sensi. I suoni si facevano sempre più attutiti e ovattati, fino a che non perse completamente l’udito. La vista le si annebbiò poco a poco, finché non perse anche quella. Attorno a lei il buio e il silenzio più totale, solo la sua mente era rimasta. Non voleva morire così, avrebbe voluto rivedere Trent ancora una volta, solo un’altra volta. Ma, forse, non sarebbe stato più possibile.
 
 
 
SPAZIO D’AUTORE
 
Ciao a tutti! Sono ancora più o meno puntuale, per fortuna.
Allora che ne pensate? Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, anche se era un po’ più cruento dei precedenti.
Stavolta, ci tengo a lasciarvi sulle spine fino al prossimo! Forse non avrete intuito chi erano quei tre malviventi perché non vi ho dato tanti indizi, ma svelerò tutto più tardi, nel prossimo ovviamente.
Oggi sono di poche parole perciò passo subito ai ringraziamenti.
Ringrazio:
KiA99_Styles1D, Dott_Gwen, Lady Pierce per aver recensito lo scorso capitolo, AuraBianca che pian piano sta recuperando ma la ringrazio comunque, gwendolyn per aver inserito la storia tra le seguite e che spero di sentire in una recensione. E un grazie anche ai miei lettori silenziosi.
Mi raccomando, recensite, mi serve anche la vostra opinione per continuare con la storia perché motivano l’autore.
Alla prossima!
 
Dark Riocha

 

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Capitolo 6
*** Cap.5: L'organizzazione ***


The history of Versailles
 

 

Cap. 5:
“ L’organizzazione “
 

 

Si risvegliò di colpo, in quello che definì una specie di scantinato. Non sapeva quanto tempo era passato da quando era svenuta. Attorno a lei c’era l’oscurità più totale a farle da compagna. Era confusa e la testa le girava tantissimo e le faceva male, probabilmente per il duro colpo che aveva ricevuto. La ferita sul torace le pulsava, ma vide che era stata accuratamente bendata, fermando il sangue che scorreva. 
Provò ad alzarsi dalla sedia su cui era stata deposta, ma, dopo vari tentativi, non riuscì a sollevarsi. Solo in quel momento, capì che i polsi le erano stati fermamente legati dietro la schiena, impedendole qualsiasi movimento. Era già debole e la ridotta mobilità non giovava la sua situazione. Provò a liberarsi, ma tutti i suoi muscoli sembravano non volerle dar retta e non poté far altro che calmarsi. Strinse i denti, infastidita dal fatto che non poteva fare niente per tentare di fuggire.
Rimase lì interi minuti, cercando di recuperare le energie perdute, quando sentì delle voci avvicinarsi. Dopo tanto silenzio, era strano poter risentire dei versi umani, ma questo non prometteva nulla di buono. Probabilmente, erano gli stessi uomini che l’avevano portata in quel luogo.
Si fermarono sulla soglia, esattamente dietro la porta della sua prigione. Chiacchieravano, ma non riusciva a distinguere le parole e a capire i loro discorsi. Ma, di sicuro, dovevano essere due uomini. Era tesa come la corda di violino, come non lo era mai stata. Volevano farla, per caso, morire dalla tensione?
Si decisero ad aprire la porta e fecero il loro ingresso, rischiarando appena quell’ambiente buio e tetro. Invece che due, erano in tre. Non erano incappucciati e questo fece preoccupare ancora di più Gwen. Significava che non l’avrebbero lasciata viva. Il primo, che identificò come il loro leader, era abbastanza alto e muscoloso. I suoi capelli erano neri, con una cresta verde alta e fosforescente. Gli occhi erano limpidi e azzurri e nel naso, nelle orecchie e sulle sopracciglia aveva degli strani aggeggi metallici. Il secondo era anche lui alto, con i capelli di un rosso carota e brizzolati. I suoi occhi erano grigiastri e aveva alcune lentiggini sulle guance. La terza era una ragazza. Era magra, con i capelli castani e lunghi fino alle spalle, i suoi occhi erano di un nero più profondo, tanto che ci poteva perderci dentro. Sul lato destro del viso aveva un brutto taglio cicatrizzato. Gwen capì che era lei la donna che aveva inseguito e contro cui aveva duellato.
 Fu distratta dal suono della porta che veniva, malamente, sbattuta, lasciando, di nuovo, il posto al buio più completo. La ragazza accese una piccola candela, rischiarando leggermente il locale, definendo i contorni di quello che era un tavolo, affiancato da una seggiola. Lei si sedette, mettendosi in disparte. Il ragazzo dai capelli rossi rivolse la parola al compagno.
- Chi se ne occupa? -
- Se ce ne sarà bisogno, me ne occuperò io. - gli rispose il compare, incrociando le braccia e lasciando spazio all’altro. Il rosso le si avvicinò, fino a chinarsi per incontrare lo sguardo della ragazza.
- Se mi dici tutto quello che sai, io ti lascio andare. - le disse, cercando di avere un tono più pacato possibile. Ma quelle parole erano false, totalmente false e Gwen lo aveva intuito. Si limitò a voltare il capo, guardando altrove e cercando di ignorarlo.
- Ehi tu! Guardami! - le ordinò, tirandole uno schiaffo in pieno volto. La bluastra era rimasta sorpresa da un simile gesto, del resto, doveva aspettarselo che avrebbe avuto un trattamento del genere.
- Se mi ascoltassi non ci sarebbe bisogno di tutto questo. - continuò lui, avvicinandosi di nuovo al suo viso. La ragazza era infastidita da quel contatto e non voleva condividere la sua aria con un simile verme.
- Ti consiglio di allontanarti. - sibilò lei, sogghignando sotto i baffi.
- Perché dovrei? Cosa puoi farmi tu?! - ironizzò lui, ridendo appena. Proprio in quel momento, gli arrivò un calcio nelle parti basse. Soffocò un gemito di dolore e si accasciò sul pavimento, prima di riceverne un'altro in pieno volto, che gli lasciò un grosso livido viola.
Cominciò a lamentarsi rumorosamente, fino ad imprecare ad alta voce.
- Tutto bene? - le chiese la castana dopo qualche secondo, divertita da una scena simile.
- Adesso la sistemò io quella puttana! - urlò, alzandosi di scatto, ignorando tutti i colpi che aveva ricevuto.
Sul volto di Gwen era comparso un breve risolino: era soddisfatta di averlo fatto innervosire.
- Scott! Lascia che me ne occupi io. - lo fermò il compagno, stendendo il braccio davanti a lui.
- Voglio vedere come te ne occuperai! - gli rispose il rosso, massaggiandosi la faccia.
- Non sono una femminuccia come te! - lo provocò l’altro, allontanandosi e lasciandolo alle sue imprecazioni - Courtney, legale le caviglie alla sedia, così che non le salti di nuovo in mente di rivoltarsi. -
- Tu non mi dici cosa fare! - gli rispose la castana, dall’altro lato della stanza.
- Allora vai fuori di qui se hai intenzione di startene lì seduta! - le ordinò, stizzito.
Ma che furbo che sei! Così il prossimo calcio arriva a me e non a te! “ pensò lei sbuffando, mentre eseguiva il compito.
Il ragazzo con la cresta prese una sedia e si sedette con le braccia appoggiate allo schienale in modo fin troppo rozzo.
- Allora, cosa vogliamo fare? - le chiese lui, provocatorio - Vuoi darci qualche informazione senza fare storie, oppure vuoi che ti squagli viva? - proseguì, estraendo un coltello dal fodero della cintura e facendolo scintillare davanti ai suoi occhi, in modo ipnotico.
Gwen non rispose, anche perché non sapeva nulla di ciò che tramava la regina. In ogni caso, la avrebbero uccisa lo stesso, con o senza le informazioni che gli servivano. Decise, perciò, che avrebbe guadagnato tempo, l’unica cosa che avrebbe potuto fare in una situazione tanto scomoda.
- Non vuoi proprio parlare, eh? - proseguì lui, maneggiando la lama vicino alla gola della ragazza. La bluastra strinse i pugni, consapevole che era in sua balia e cominciò a sentirsi abbastanza nervosa. Ma si impegnò a non darlo a vedere, mostrarsi debole era l’ultima cosa che avrebbe voluto.
- Chi siete voi? - mormorò lei, cercando di spingerlo a rivelarglielo per ribaltare, in qualche modo, le cose.
- Vuoi saperlo? Veramente le domande le faccio io. - le rispose, sfiorandole i capelli con il coltello, con il solo scopo di intimorirla - E va bene. Tanto, a chi potrà mai andarlo a raccontare? - aggiunse poi, voltandosi verso i compagni con un ghigno stampato in faccia.
I suoi compari ricambiarono il gesto, facendo rabbrividire la loro vittima.
Oh, che cazzo! Non farti prendere dal panico!  “ si ripeteva la bluastra, tentando di controllare la paura.
- Prima di tutto, noi siamo un'organizzazione che opera contro la regina e il re di Francia, di cui tu sei il capitano delle guardie. Il nostro scopo è ucciderli, liberando il popolo dalla loro oppressione. Ma tu ci hai ostacolato e il nostro piano è andato in fumo. - spiegò, stringendo il pugno sinistro fino a far diventare le nocche bianche. Si voltò, prendendo fiato per poi rigirarsi.
- Io… non volevo salvarli… in realtà… - sillabò Gwen.
- Assì? - esclamò, sorpreso, il ragazzo - E cosa volevi fare? -
- Volevo ucciderli personalmente… - si limitò a rispondergli, chinando leggermente la testa. L’attenzione di tutti e tre era focalizzata su di lei ed erano impazienti di sapere il resto.
- Fingo di essere dalla loro parte, ma, invece sto tramando alle loro spalle… - proseguì lei, riuscendo ad intrattenerli ancora per un po’. Dopo la sua ultima affermazione, era calato il silenzio in quel locale. Il ragazzo con la cresta si decise a lasciarla in pace e si congedò, avvicinandosi ai suoi due compagni per discutere sul da farsi. Probabilmente, stavano decidendo se fidarsi o meno. Uscirono dalla porta e si allontanarono, lasciando Gwen nuovamente sola. Lei sospirò, rilasciando tutta la tensione che aveva accumulato nei pochi minuti in cui era rimasta in compagnia di quei tre.
Appoggiò la testa sullo schienale, cercando di far tornare i battiti del suo cuore alla normalità, rilassando i muscoli ancora tesi. Chiuse gli occhi per qualche secondo inspirando ed espirando lentamente la poca aria. Il petto si abbassava e si alzava ritmicamente, anche se il dolore della ferita non le era del tutto passato.
La porta si riaprì improvvisamente, facendola sobbalzare in modo impercettibile. Stavolta, era entrato solo il ragazzo con la cresta verde. Aveva il coltello sguainato e il ghigno sul suo volto era totalmente scomparso. Si chinò alla sua altezza, quasi volesse baciarla.
- Abbiamo deciso di fidarci. Ma ti avviso, se noterò qualcosa di sospetto, non esiterò ad ucciderti. - concluse, cominciando a liberarla dalle corde. Dopo di che, si rialzò e si diresse fuori dal locale.
- Seguimi. - le ordinò, mentre si avviava per il corridoio. Gwen lo seguiva a passo cadenzato, mantenendosi a distanza di sicurezza da lui. Si fermò davanti ad un grosso portone in ferro battuto. Bussò e i suoi compagni gli aprirono subito.
- Entra. - le disse, scostandosi di lato per farla passare. La bluastra si decise a varcare la soglia della stanza, ancora un po' diffidente nei confronti di quell'estraneo. Al suo interno, c’erano gli stessi tizi di prima. L’unico che non conosceva era un ragazzo seduto dietro ad una scrivania ricolma d'ogni genere di libri. Era magrolino e gracile, con i capelli ramati e gli occhi neri, nascosti da un paio di occhiali dalle lenti verdognole.
- Mi sto chiedendo ancora come abbiamo fatto ad accettarla. - si domandò il rosso, ripensando ai calci che aveva ricevuto poco prima.
- Piantala di blaterare Scott! - gli ordinò il capo - Courtney, ci pensi tu a fare le presentazioni? -
- Allora, cominciamo… - disse la castana, avvicinandosi alla nuova arrivata - Quello là in fondo è Scott. Io sono Courtney. Quello dietro la scrivania è Harold. E, detto fra noi, è uno sfigato. -
- Ehi! Ti ho sentito! - trillò l’intellettuale, alzando lo sguardo da un libro di matematica. Lei lo ignorò e proseguì con le presentazioni.
- E per finire, lui è Duncan, il nostro leader. Ti avviso, è già mio! - concluse, abbassando la voce nel dire l’ultima frase.
- Beh, pupa, dicci il tuo nome, ora. - disse Duncan, desideroso di saperlo.
- Io… mi chiamo Gwen. - gli rispose, esitando - E non sono la tua pupa. -
A quel nomignolo, Courtney si voltò rapidamente verso di lui, rivolgendogli un’occhiataccia. Avrebbe fatto i conti con lui più tardi sulla faccenda del soprannome.
 
 
 
SPAZIO D’AUTORE
 
Salve a tutti! Eccomi col nuovo capitolo fresco fresco. All’inizio le cose si erano messe un po’ male per Gwen, ma, alla fine, si è fatta dei nuovi alleati e la lotta contro Heather e Alejandro è, ufficialmente, aperta. Come vi sono sembrati Duncan, Courtney, Scott e Harold? Spero abbastanza IC, anche perché i personaggi stanno diventando tanti. Vi prego di dirmelo così metterò l’avvertimento. Temo proprio che siano OCC.
Ringrazio KiA99_Styles, Dott_Gwen e Love is not easy per avermi recensito lo scorso capitolo e per aver inserito la storia nelle preferite, nelle ricordate e nelle seguite. Sbaglio, o le recensioni stanno calando? Forse sarò solo una mia impressione, continuate a recensire così posso sapere se qualcosa non va nella storia. Ho bisogno della vostra opinione!
Dopo i ringraziamenti vi devo dare una brutta notizia: da domani fino al 27 Agosto io non potrò stare sul sito perché sarò in vacanza in Calabria. Viva le vacanze e la Calabria! Perciò non potrò aggiornare e non potrò rispondere alle recensioni. Nel caso le lasciate oggi sarò felice di farlo. Spero di ritrovarvi tutti al mio ritorno.
Ci vediamo fra un mese! ( si, lo so, è tantissimo. Ma me le merito anch’io un po’ di vacanze no? )
 
 
Dark Riocha
  

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Capitolo 7
*** cap. 6: Fastidi e preoccupazioni ***


The history of Versailles
 

 
Cap. 6:
“ Fastidi e preoccupazioni “

 

 
- Pretendo delle spiegazioni, Capitano! - urlò la regina, più arrabbiata che mai con la sua sottoposta - Invece che proteggerci, se ne andata lasciandoci senza alcun tipo di difesa! -
- Sono desolata… Vostra Maestà. - si scusò, falsamente, Gwen, rimanendo inchinata in segno di sottomissione.
- E lo credo bene! Dovrei punirvi per questo affronto! - sfuriò lei, più arrabbiata di prima - Chi mi conosce a fondo sa di cosa sono capace di fare! -
- Mia sposa, prima di saltare a facili conclusioni, lasciate prima che il Capitano ci fornisca le sue motivazioni. Poi, potrai decidere che punizione infliggerle. - intervenne Alejandro, ancora in debito con lei per il suo prode salvataggio e che, in qualche modo, stava cercando di sdebitarsi - Prego, Capitano. -
Dopo minuti e minuti di imbarazzanti rimproveri, Gwen poteva sentirsi libera di esprimersi. Non era mai stata così umiliata in tutta la sua vita e, per la prima volta, aveva desiderato di lasciare il suo corpo per rifugiarsi in quello di un altro essere vivente che conduceva un’esistenza più serena e tranquilla della sua. Nonostante l’intervento del marito, la rabbia di Heather non si era placata ed era ancora dentro di lei e bruciava ardentemente, come un incendio scoppiato in un bosco di montagna.
La ragazza dai capelli bluastri non aspettava altro che parlare e perciò fu rapida e andò subito al dunque: - La mia motivazione è semplice, Altezza, dopo aver evitato che quel proiettile vi colpisse, sono partita all’inseguimento del colpevole ma, purtroppo, l’ho perso di vista e mi è sfuggito. -
Seguirono attimi di silenzio che parvero davvero interminabili. I due reali, probabilmente, stavano rimuginando su quello che avevano appena ascoltato. La regina sembrava la più pensierosa dei due. Il suo viso era ancora contratto in un’espressione di rabbia e furore e non sembrava disposta a credere alle parole di Gwen.
- Cosa ne pensa, mia sposa? - le chiese il re - Non vorrà, per caso, punirla per avermi salvato la vita. -
Heather era divisa in due parti: doveva dare ascolto alle sue emozioni oppure al suo sposo? In altri casi, avrebbe scelto la prima opzione ma, in quel momento, portò alla luce quel poco di gratitudine che restava assopita nel suo corpo. Si ripromise che, dopo quel gesto, non ce ne sarebbero più stati altri di quel genere.
- Va bene… - si limitò a dire, per poi congedarsi subito dopo aver lasciato la sala del trono, seguita a passo cadenzato dal marito.
Per fortuna, nessuno dei nobili che risiedeva a Versailles non aveva partecipato a quella lunga discussione ma, in posti del genere, le voci girano più veloci di mille stormi di uccelli. E, in poco tempo, tutto il palazzo reale era in fermento. E questo a Gwen dava molto fastidio. Non poteva camminare libera per i corridoi che si sentiva osservata e criticata dalla massa di pettegole della reggia. Non ci sarebbe passata sopra troppo a lungo e questo lei lo sapeva.
Qualche ora più tardi, venne convocata dalla principessa nei suoi appartamenti, nell’ala più bella di Versailles. La sua cameriera personale le aveva fatto strada per gli sconfinati corridoi del palazzo per poi fermarsi davanti alla porta in acero che la ragazza conosceva già da tempo.
La serva bussò per farsi aprire: - Principessa! Le ho portato il Capitano! -
- Entri pure. - disse una voce provenire dal fondo della camera.
La cameriera aprì la porta e si scostò di lato per far passare Gwen e permetterle di varcare la soglia. Senza fare più caso alla sguattera, la ragazza camminò fino al centro della stanza e, dopo un breve inchino, rimase ritta in piedi, in attesa di sapere cosa aveva da dirle di così urgente la principessa. Nel frattempo, osservò la sua stanza. Il soffitto era molto alto e il lampadario in oro e in cristallo saltava subito all’occhio. Il mobilio consisteva in un letto a baldacchino verniciato d’oro, due comodini in ottone lucidati alla perfezione, una cassettiera in legno del medesimo colore del letto su cui erano appoggiati dei portagioie e un vecchio carillon. L’armadio era enorme e, sicuramente, ospitava una grande quantità di abiti e, infine, in un angolo c’era un piccolo specchio con un tavolino e una spazzola appoggiata sopra.
- Le do il benvenuto nella mia camera. - la accolse Leshawna, sfoggiandole un amichevole sorriso - Prego, sedetevi pure qui. - disse, appoggiando la mano su una sedia di velluto accanto alla sua.
La bluastra non poté far altro che obbedire.
- Ho saputo delle voci che girano a corte… - cominciò la scura - Però non voglio parlarvi di questo. -
Gwen tirò un sospiro di sollievo quando venne a sapere che non voleva toccare quell’argomento, ma quelle che sentì dopo non erano di certo delle buone notizie.
- Ho sentito mia madre che parlava con mio padre… - proseguì Leshawna - Dicevano che oltre a voi, presto, avrebbero assunto un altro Capitano delle guardie. Mia madre, così diceva, si sarebbe sentita più sicura. -
Per la ragazza, questo nuovo servitore sarebbe stato un grosso impedimento. Siccome, ormai, era entrata a far parte dell’Organizzazione, con questo nuovo Capitano non si sarebbe potuta più muovere liberamente. Avrebbe sempre dovuto cercare delle scuse per partecipare alle loro riunioni segrete e, prima o poi, si sarebbero insospettiti e sarebbe finita male.
- Spero che questa notizia non vi abbia turbato. - disse la principessa, vedendola assente.
- No, grazie per avermelo comunicato. - la ringraziò lei - Ora, se volete scusarmi, ho delle questioni da sistemare… -
La bluastra fece per alzarsi e andarsene ma venne bloccata da Leshawna.
- Capitano, mi dia del tu la prossima volta. - le chiese, cortesemente, per poi lasciarla andare. Dopo aver fatto un breve inchino, si affrettò a lasciare quella stanza. Per calmare i bollenti spiriti, pensò di rilassarsi nel giardino di corte e di sedersi su qualche panchina isolata. Finalmente, trovò quella che faceva al caso suo. Si sedette sopra ma si inorridì quando vide che, non poco distante da lei, c’era un gruppetto di dame pettegole che, sicuramente, stavano parlando alle sue spalle, poiché riusciva a sentire parte dei loro discorsi. Si allontanò sbuffando, in cerca di qualche altro posto tranquillo mentre, intanto, rifletteva su quello che aveva appreso recentemente.
Devo, assolutamente, far tacere queste voci. E poi, questo nuovo Capitano, chi sarà mai? Devo fuggire da qui e raccontarlo agli altri membri dell’Organizzazione. Ma come posso fare? Sicuramente la regina  mi starà tenendo d’occhio. “  pensava Gwen, mentre stava attraversando un arco di legno a cui si era attorcigliata una rigogliosa orchidea. Improvvisamente, si sentì afferrare da dietro e quel qualcuno la trascinò dentro i cespugli. Si dimenò, finché non vide in volto il suo aggressore.
- Duncan?! - lo chiamò lei.
- Sorpresa vero? - sorrise lui.
- Mi hai fatto spaventare! Non fare più una cosa del genere! - urlò la bluastra in preda a un breve attacco di rabbia.
- Non strillare o le tue guardie ci scopriranno! - la zittì, prima che qualcuno li udisse parlare - Vieni con me, devo dirti una cosa… -
 
 
Dopo aver evitato tutti gli sguardi di nobili, servi e soldati, Duncan la condusse davanti a una delle numerosi pareti esterne del palazzo. Apparentemente, sembrava uguale a tutte le altre ma, in realtà, nascondeva un segreto.
- Ti presento… il nostro nuovo quartier generale! - disse con soddisfazione mentre spingeva un mattone. Un passaggio si aprì all’istante, mostrando una lunga galleria che scendeva in profondità.
La ragazza rimase lì a fissarla per un po’, non capacitandosi di come ci era riuscito.
- Muoviti ad entrare! - la incalzò Duncan, che era già all’interno del tunnel.
Gwen si riprese e cominciarono a scendere gli scivolosi scalini bagnati dall’umidità. Anche le pareti erano umide e fredde e, talvolta, si vedeva qualche goccia d’acqua infiltrarsi dalle mattonelle e cadere dal soffitto. Dopo qualche minuto, si fermarono davanti a una porticina in legno, talmente piccola che bisognava strisciare per riuscire a entrare.
- Prego. Prima le donne! - scherzò, facendo passare la ragazza per prima. La bluastra gli lanciò un’occhiataccia, visibilmente offesa per la battuta, prima di chinarsi e gattonare per raggiungere l’uscita. Arrivò, quasi subito, davanti a un’altra porticina. La spinse con decisione e arrivò in un locale ristretto e angusto. Si sorprese vedendo che gli altri componenti dell’Organizzazione erano già tutti lì. Mancavano solo lei e Duncan.
- Ce ne avete messo di tempo ad arrivare! - esclamò Scott, sfoggiando un sorriso provocatorio.
- Usa la tua bocca per dire solo qualcosa di intelligente! - lo rimproverò il suo leader, non appena uscì dal cunicolo.
- Che te ne pare? - le chiese Courtney - Questa è stata un’idea del mio orsacchiotto! - disse, rivolgendosi al suo compagno.
- Beh è… abbastanza… segreta… - commentò Gwen - ma siete sicuri che non ci scopriranno se rimaniamo qui? -
- Impossibile! - le rispose Harold - Questi cunicoli non vengono usati da anni. E poi, Courtney, l’idea è stata mia! -
- No che non è vero! -
- E invece si! Diteglielo voi, ragazzi! - disse l’intellettuale, cercando l’appoggio degli altri membri.
- L’idea è stata del nostro capo. - concluse Scott, siccome anche lui si prendeva gioco del povero Harold.
- Potete smetterla di litigare un momento e mi ascoltate? - gli chiese Gwen. Tutti voltarono la testa verso di lei. Quando sentì tutta l’attenzione del gruppo concentrata su di lei, cominciò a raccontare quello che aveva scoperto grazie alla principessa Leshawna.
- Questo è un bell’intoppo… - constatò Duncan - Probabilmente, la regina e il re vogliono tenerti d’occhio. Dovrai stare molto attenta. - si raccomandò lui.
- E quando pensi che arriverà questo nuovo Capitano? - le chiese Harold.
- A breve… ma non ho molto tempo… si accorgeranno che sono sparita dalla circolazione. - si preoccupò la ragazza, pensando che avrebbe dovuto dare ancora altre spiegazioni se la avessero trovata che gironzolava senza fare niente di importante.
- Bene… la riunione è ufficialmente conclusa. - concluse il loro leader - Direi che possiamo lasciarla andare a fare il suo dovere di “ spia “. -
Una volta che tutti gli altri se ne furono andati, rimasero solo Duncan e Scott all’interno del quartier generale.
- Sei sicuro che ci possiamo davvero fidare? E’ arrivata da poco e non sappiamo praticamente nulla su di lei! - gli chiese il rosso, ancora sospettoso e non molto convinto sulla credibilità di Gwen.
- Ci possiamo fidare. - si limitò a rispondergli l’altro.
 
 
- Wow! La regina ha davvero perso le staffe! - esclamò Trent, dopo aver ascoltato la sorella adottiva - Non aveva tutti i torti, però. -
- Stai dalla sua parte oppure dalla mia? - gli chiese scocciata lei, stanca di parlare ancora di quella storia.
- Sto dalla tua, in fondo, hai salvato la vita al re e poi hai pure inseguito quell’individuo. Hai fatto il possibile e lo so. - la consolò lui, appoggiandole il braccio sulle spalle.
- Si, ma di questo a lei non importa! Se non ci fosse stato il re, mi avrebbe, sicuramente, punito. - strepitò la bluastra, leggermente irritata.
- Vuoi che ti suoni qualcosa con la chitarra? - le chiese il moro.
Ultimamente, lei aveva troppi pensieri in testa e troppe preoccupazioni. Forse, quelle magiche note sarebbero state la sua ancora di salvezza e le avrebbero fatto dimenticare tutto per qualche minuto. Ma si sa che anche i singoli minuti possono essere preziosi ed essenziali.
Trent appoggiò il suo strumento sulle ginocchia e cominciò a pizzicare le sue corde mentre, con la bocca, intonava una dolce canzone.
Come sempre quelle note, erano come l’acqua in un deserto per Gwen. Da nessun altro strumento avrebbe ascoltato note più paradisiache.
 
 
SPAZIO D’AUTORE
 
Hooolaaaaa! Ciao a tutti quanti! Dopo un mese di vacanze sono tornata alla carica! Finalmente, ho finito il sesto capitolo. Non immaginate la fatica che ho fatto per scriverlo! Ultimamente, ero molto depressa perché sono tornata a casa. Sono strana, vero? Il fatto è che la Calabria mi piaceva tanto! Ma lasciamo stare i miei problemi personali.
Ve lo devo dire, non sono pienamente soddisfatta di questo capitolo. Ma volevo assolutamente pubblicare qualcosa. Al massimo avrò qualche bandierina neutra.
Ringrazio tutti quelli che mi seguono e, mi raccomando, recensite per farmi sapere la vostra opinione!
Al prossimo capitolo!
 
 
Dark Riocha 

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Capitolo 8
*** Cap. 7: Il nuovo capitano ***


The History of Versailles
 

 
Cap. 7 :

“ Il nuovo capitano “
 

 
 

Erano già parecchi minuti che Trent suonava, ininterrottamente, la sua chitarra in legno d’acero. Gwen si era distesa sul prato del giardino della loro casa e aveva chiuso gli occhi, godendosi l’armonia di quel luogo. Respirava lentamente, muovendo il petto su e giù in modo armonico. Suo fratello, del resto, era contento di essere riuscito a calmarla con le sue dolci note.
Un leggero venticello soffiava fra le fronde degli alberi di ciliegio in fiore, staccandone alcune foglie rosee e trasportandole lontano dal loro luogo d’origine. Quelle rimaste sui rami ondeggiavano e producevano un leggero fruscio di sottofondo. Nell’aria l’ipnotico profumo delle rose in piena fioritura, misto a quello delicato dei gigli bianchi, delle orchidee violacee e dell’erba fresca completava il tutto, dando al luogo un’atmosfera da fiaba. Trent, senza accorgersene, smise per un attimo di suonare e si fermò a guardare Gwen: i suoi capelli blu e neri sventolavano leggeri, coprendole parzialmente il viso. Le palpebre e la sua bocca erano serrate, anche se lasciavano trasparire la serenità e la calma di quella ragazza che al moro pareva così dolce e innocente, anche se era tutto il contrario. La sua uniforme nera da capitano delle guardie era in contrasto con i colori della natura primaverile, facendola assomigliare ad una cerva bianca in mezzo ad altri cervi con il manto completamente marrone. Estasiato, le si avvicinò lentamente con il viso, fino a essere a qualche centimetro dalle labbra della sorella. Non sapeva perché, ma il suo corpo non rispondeva al suoi comandi e si lasciò guidare. La ragazza emise un gemito e contrasse le palpebre, segno che si stava svegliando. Il moro ritrasse velocemente la faccia e ritornò a concentrarsi sulla sua chitarra. Mancava poco e la avrebbe baciata, ma lei come avrebbe reagito se lo avesse fatto davvero? Non sapeva la risposta a questa domanda, almeno, non con certezza. Gwen alzò la schiena dal prato e guardò il fratello.
- Trent… perché hai smesso di suonare? - gli domandò, ancora mezza assonnata.
- Scusami è che… una corda si era allentata e la stavo sistemando… - si affrettò a rispondere, maneggiando goffamente le chiavette in ottone. La bluastra notò un certo rossore sulle sue guance, impossibile da passare inosservato. Pensò che forse si era imbarazzato perché la corda si era allentata e aveva dovuto smettere di suonare. E se la ragione era un’altra? Per cos’altro poteva imbarazzarsi?
- Mhm… ok ma ora non ho più voglia di ascoltarti. - disse lei, alzandosi e incamminandosi verso il portone principale, senza salutarlo. Il moro rimase a fissarla, mentre si allontanava a passi svelti.
Chissà cosa deve fare… “ pensò il ragazzo, riprendendo a suonare il suo strumento in solitario e senza nessun pubblico ad ascoltarlo.
 
 
Incontrò il padre adottivo appartato nel suo studio, occupato a leggere scartoffie di ogni tipo che inondavano la sua scrivania in legno di quercia. Leggeva e scribacchiava qualcosa con la sua candida piuma d’oca bianca. Appena s'inoltrò nel locale, Gwen avvertì subito l’odore dell’inchiostro con cui erano stampati i numerosi libri posti sui ripiani in perfetto ordine. Traspariva antichità e sapere da tutte le pareti quel luogo calmo e tranquillo, dove Cody era solito a ritirarsi. Alzò il capo appena la vide varcare la soglia e la sua bocca si contrasse in un socievole sorriso.
- Sai Gwen, io avrei sempre voluto fare lo scrittore ma mio padre scelse per me la carriera militare e mi promise a Sierra quando ero ancora giovane… - cominciò a raccontare, filtrando nella mente i suoi ricordi di giovinezza - Ma capisco che se non lo avesse fatto, forse tu non saresti più in vita. -
- Sono venuta qui a scusarmi… per il modo con cui ti ho voltato le spalle l’altro giorno… - cominciò la bluastra, mettendo insieme un discorso - Non era mia intenzione scappare via così. -
- Ti capisco, io stesso avrei reagito così, ma questo era quanto ti dovevo dire e non avrei potuto tenertelo nascosto troppo a lungo. - le rispose il padre adottivo, incupendosi di botto - E se ora non vorrai più chiamarmi “ padre “ accetterò la tua decisione senza oppormi. -
- Non me la sento di dirti il contrario. Tu mi hai cresciuto e tu sei mio padre e lo posso dire con certezza assoluta. -
- Sei sicura di quello che dici? - le chiese, alzandosi dalla scrivania e lasciando stare le sue scartoffie.
- Si, lo sono. - gli rispose con fermezza.
- Oh, Gwen. - sospirò Cody, avvolgendola fra le sue braccia. La bluastra ricambiò il suo gesto, appoggiando la testa sulle spalle e chiudendo gli occhi, lasciandosi trasportare dal calore di quello che aveva sempre visto come figura paterna.
 
 
- Duncan!!! Spiegami una cosa è?! - strillò Courtney, rischiando di rompere i timpani al suo amante - Credi che non abbia notato che fra te e Gwen si è creato un certo feeling, vero?! -
- Come?! No! Ma di cosa stai parlando?! - esclamò lui, preso di sorpresa.
- Non mentirmi lurido verme! Vuoi lasciarmi per quella dark?! Beh, scordatelo! - urlò, di nuovo, la castana, infastidendo gli altri membri dell’organizzazione.
- Courtney, potresti smetterla? Sto tentando di concentrarmi su questo complicatissimo libro di fisica. - si lamentò Harold, aggiustandosi gli occhiali verdi sul naso.
- Concordo con l’imbranato! Chiudi il becco a quell’oca di fidanzata che ti ritrovi! - strepitò Scott, prendendosela con il suo leader.
- A chi lo hai detto oca?! - gli strillò in faccia Courtney.
- A te l’ho detto! -
- Ripetilo se ne hai il coraggio! _
- A te l’ho detto! Sei pure diventata sorda?! -
- Basta! Mi state rompendo le palle con i vostri urli e i vostri litigi! - sbottò Duncan, mettendosi tra i due.
- Sta zitto tu! - gli ordinarono, spingendolo via e continuando con la loro lite.
Il ragazzo rimase stupito da una simile reazione ma, per quanto il suo spirito da bullo gli imponeva di attaccar briga, decise di lasciar perdere e di concentrarsi sui piani dell’organizzazione. Certo, stare con Harold era veramente un supplizio per lui; lo aveva accettato nella compagnia solo per il suo intelletto e per la sua conoscenza. Per il resto, era il suo bersaglio preferito quando si trattava di svagarsi o scaricare la tensione accumulata durante le giornate insieme a Courtney. In effetti, aveva riflettuto parecchio tempo prima di arrivare alla decisione di chiudere con lei, anche se sapeva che non gliela avrebbe fatta passare liscia per un tale affronto. Uno di quei giorni lo avrebbe fatto, ma c’erano problemi più importanti a cui pensare.
- Capo, questo è il piano che ho preparato per rimediare ai nostri precedenti fallimenti. - disse, mostrandogli un foglio scarabocchiato e con schemi indecifrabili per le capacità di Duncan.
- Meno disegni e più spiegazioni. - si limitò a dire, sbattendogli il foglio in faccia.
- Ehi! Come ti permetti! Chi fa tutto il lavoro sono io e tu mi tratti così?! Bel ringraziamento! - si lamentò l’intellettuale, aggiustandosi gli occhiali ancora una volta.
- Meno disegni e più spiegazioni. - ripeté, nuovamente, il suo leader, con un tono più serio e meno pacato di prima.
- Ecco, appunto. Tutto il piano dovrebbe riuscire se Gwen ci comunicasse l’arrivo del nuovo capitano. Temo che verremo scoperti se non sapremo al più presto la data precisa… - spiegò Harold.
 
 
- Mi avete convocato, vostra Maestà? - chiese, con voce sottile ma chiara, la bluastra.
- Si, Capitano Gwen. Ho deciso di convocarla qui nelle mie stanze in privato per parlarle di un provvedimento che ho deciso di prendere per rendere più sicuri me e il mio sposo… - iniziò la regina, guardandola con i suoi occhi da serpe velenosa.
- Perdonatemi se oso chiedere, ma di che genere di provvedimento si tratta? - domandò la ragazza, falsamente stupita perché la risposta la sapeva già dall’inizio.
- A breve, voi avrete un collega a tempo indeterminato. - le rispose con la sua solita pacatezza che la contraddistingueva - Voglio spiegarmi meglio, ho deciso di assumere un altro capitano delle guardie. -
Gwen si finse sorpresa da quella notizia, per non far intuire alla regina che era già a conoscenza di quel fatto. Ora che ne aveva la conferma, doveva solo sapere quando sarebbe arrivato quel nuovo capitano.
- La data del suo arrivo è prevista per il fine settimana, il giorno prima del corteo a cui dovrò prendere parte assieme a mio marito. Mi aspetto che voi due collaboriate per garantire la mia incolumità. - concluse Heather, voltandosi a guardare il paesaggio fuori dalla finestra della sua camera da letto. Si sentì la porta aprirsi e fece il suo ingresso nella stanza Alejandro, sorpreso di vedere il capitano nei suoi appartamenti.
- Potere andare. Non ho più niente da comunicarvi. - la congedò la regina, senza voltarsi.
La ragazza fece un inchino a lei e poi al suo sposo e si avviò verso l’uscio della camera. Scambiò un breve sguardo con il re Alejandro, che sembrava chiederle con gli occhi cosa ci faceva nella sua stanza. Ma non proferì parola e Gwen si allontanò senza badarci.
- Come mai il capitano si trovava qui? - domandò il marito alla moglie, cercando di ottenere da lei le risposte che cercava.
- Per una questione importante di cui devo parlare anche con te… - gli rispose la sposa, senza staccare il suo sguardo dalla finestra - Ho deciso di assumere un altro capitano. -
- Come? Perché non ti sei consultata con me prima di prendere questa decisione? - esclamò sbalordito.
- Io sono la regina e non ho bisogno di consultarmi con te! E, comunque, ormai sarà qui a breve, questione di giorni per la precisione. Fidati, sarà meglio per tutti. - disse Heather, stizzita dal marito.
- C’è qualcosa che ti preoccupa? - le chiese lui, ricomponendosi - Non sarai ancora in ansia per… -
- Si, sono in ansia per quello. L’organizzazione segreta che opera contro di noi sta cominciando a prendere il sopravvento sul nostro impero. Non abbiamo ne dei volti, ne dei nomi e non sappiamo dove si nascondano, ma esiste e questo lo sappiamo entrambi. - lo interruppe Heather, parlando seriamente.
- Faremo di tutto per scoprire dove si trovano. - la rassicurò il suo sposo.
- Ci sono molte cose che non sai. Ho il mio asso nella manica e ho intenzione di usarlo molto presto… - concluse la regina, piegando le labbra in un sorriso malevolo e mellifluo.
 
 
- E questo è quanto. - terminò Gwen, dopo aver passato le varie informazioni al resto della compagnia.
- Questo complicherà di certo i nostri piani. - constatò Duncan.
- Li complicherà di molto Duncan. Secondo i miei calcoli non potremmo agire indisturbati con questo nuovo capitano. - si intromise Harold.
- Che cos’è tutta questa confidenza? - gli domandò, visibilmente scocciato, il ragazzo - Portami rispetto, sfigato. -
L’intellettuale sobbalzò dopo aver sentito l’ultima frase pronunciata dal suo capo. Doveva aspettarsela una reazione del genere da parte sua. Senza che lui se ne accorgesse, Duncan era già alle sue spalle. Lo sollevò da terra con un solo braccio, poiché Harold era gracile di corporatura e lo tenne sospeso in aria per le mutande. La sua vittima emise un gemito di dolore.
- Ah ah ah! Vediamo se la prossima volta mi porterai rispetto! - rise il bullo, lasciandolo cadere al suolo dolorante.
- Ah ah! Bella questa Duncan! - ridacchiò Scott, dando il cinque al suo capo.
Gwen e Courtney avevano assistito alla scena con indifferenza. In fondo, a chi importava di Harold?
- Courtney, ti vedo pensierosa. Qualcosa non va? - le chiese la bluastra. Richiamando la sua attenzione.
- Oh! No, non è nulla. - mentì lei. In realtà stava ancora pensando al litigio che aveva avuto con Duncan poco rima, senza contare quello con Scott. Non era certa di potersi fidare del suo amante e temeva che Gwen potesse rovinare tutto.
- Tornando al nostro piano… - iniziò Duncan - Temo che dovremmo apporgli qualche lieve modifica… -
 
 
Una moltitudine di trombe annunciava l’ingresso a palazzo del nuovo capitano. Tutti i nobili del castello si erano riuniti nella sala del trono, curiosi di sapere le ultime novità riguardo ai reali di Francia. Per la prima volta da quando Gwen era a Versailles, la principessa aveva preso parte ad una cerimonia, se così si poteva definire. Heather e Alejandro erano seduti sui loro troni e Leshawna era al loro fianco, alla destra del padre.
Le trombe cessarono di suonare e, in lontananza, si sentì una carrozza avvicinarsi, accompagnata dallo scalpitio dei cavalli in corsa. Con una frenata, il conducente la fermò e lasciò scendere il suo unico passeggero. Le guardie reali aprirono le porte del palazzo, lasciando entrare il nuovo capitano. Era un ragazzo molto alto, di carnagione scura, con i capelli corti e castani, gli occhi neri e dalle braccia possenti e muscolose. Indossava una divisa blu, che metteva in risalto i suoi muscoli. Evidentemente, neanche lui ci teneva a rispettare la regola delle divise bianche.
- Sha bam! Lightning è arrivato! - urlò, mettendosi in una posa assurda davanti al re e alla regina. Alejandro sembrava davvero sconvolto. Ma la moglie lo sembrava ancora di più. Aveva chiesto esplicitamente che le mandassero a corte il migliore soldato dell’esercito francese, insomma, uno che facesse parte dell’elite, il meglio del meglio. Invece si era trovata al cospetto un pagliaccio. Dapprima si infuriò, ma si impegnò a non darlo a vedere e si ricompose quasi subito, riacquistando un qualche tipo di calma. Gwen era sorpresa e sconcertata allo stesso tempo. Avrebbe dovuto lavorare con un simile individuo? Volse il suo sguardo alla principessa Leshawna. Anche lei sembrava molto sorpresa, come tutti del resto in quella sala.
- Ehm, le diamo il benvenuto alle reggia di Versailles, Capitano Lightning… - disse Alejandro.
- Grazie! - lo ringraziò il palestrato, inchinandosi.
- Io e mia moglie ci auguriamo che presterà un buon… servizio… ecco. - balbettò, non sapendo cosa dire in una simile circostanza.
 
 
 
SPAZIO D’AUTORE
 
Ciaoooo! Eccomi che ritorno dopo giorni di assenza ingiustificata! Finalmente sono riuscita a finire il nuovo capitolo.
Mi dispiace di avervi fatto attendere così tanto, ma non mi sentivo abbastanza “ carica ”  da poter scrivere qualcosa di decente. Se lo avessi fatto non credo che sarebbe venuto un bel capitolo. Non sono nemmeno convinta di questo, ma mi auguro che abbia soddisfatto la vostra curiosità.
Ringrazio, come sempre, tutti quelli che mi seguono e lasciatemi tante recensioni.
Spero di riuscire a pubblicare presto il prossimo. Per ora non voglio dare delle date precise.
Un bacio!!!
 
 
Dark Riocha
 
 
  

  

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