Knight & Shadows

di Kisuke94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un giorno come tanti ***
Capitolo 2: *** Risveglio ***
Capitolo 3: *** Attrazione ***
Capitolo 4: *** Oblio ***
Capitolo 5: *** Volontà ***
Capitolo 6: *** Scelte ***
Capitolo 7: *** Ritiro ***
Capitolo 8: *** Dolore ***
Capitolo 9: *** Fine ***
Capitolo 10: *** Ricordi ***
Capitolo 11: *** Riscatto ***
Capitolo 12: *** Un nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** Un giorno come tanti ***


I CAPITOLO

Le prime gocce di rugiada cominciavano a staccarsi dalle foglie mentre nelle case s'intrufolava il sole del mattino. Stava per cominciare una nuova frenetica giornata e il fruscio delle radio si assestava sulle frequenze preferite per dare la carica.
«Buongiorno amici ascoltatori e benvenuti a un nuovo appuntamento su FujiNews, come ogni mattina il vostro amato Akihito è qui per voi insieme al suo collega Seguro...»
«Buongiorno Giappone, sembra che le previsioni avevano visto giusto, il caldo non si fa ancora sentire ma si prevede all’orizzonte un'estate bollente!»
«Fate attenzione ai colpi di sole, altrimenti rischiate di diventare come il nostro caro Seguro!>
«Intendi terribilmente intelligente e affascinante?»
«E soprattutto modesto! Spero che non farai strage di cuori questa sera alla festa, perché mi servi lucido per intrattenere i nostri fan!»
«Esatto amici, ricordiamo, infatti, la Festa che si terrà stasera, lungo il viale Yotsubashisuji, nel distretto di Osaka. Tanti i volti noti, numerosi anche gli esordienti. Non mancheranno le giostre e le bancarelle a ornare il tutto, e specialmente i fuochi finali che chiuderanno la parata, fuochi accompagnati dalla nuova idol di molte ragazze, e anche ragazzi, Mayumi!»
«Bene, restando in “tema” Mayumi, ecco in nuovo singolo estratto dal suo nuovo album. A tra poco con nuove news»
 
-Allora io vado!- Disse Shin'ichi, uscendo dall'aula del club di aikido, della scuola superiore che frequentava. Era un ragazzo alto e magro, con i capelli castani mossi, e viveva con la sorella nel distretto di Osaka.
-Ci vedremo domani ok?- domandò una sua amica di corso.
-Si! Sayonara, Tsuna-san.- rispose, agitando il braccio più in alto che poteva, sorridendo come era solito fare quando parlava con i compagni. Quel sorriso gli creava sempre molti problemi, tante erano le ragazze che a scuola gli facevano il filo, ma lui di fidanzarsi non ne voleva sapere.
-Oh, anche questa giornata è terminata!- fece, buttandosi sul letto, dopo aver salutato la sorella e lanciato la borsa sulla sedia girevole vicino alla scrivania. 
-Quante mail, cavolo ma non mi lasciano respirare!-
Il cellulare era pieno di messaggi lasciati dalle sue fan, quasi tutte del suo istituto. Lo prese, senza rispondere a nessuna di quelle, e lo poggiò nel cassetto del comodino. Si vestì e uscì di nuovo per un giro in centro. 
-Oggi il cielo è bellissimo- disse tenendo il capo alzato a fissare la volta celeste, che aveva l'insolito colore rossastro.
-Ahi!- esclamò una ragazza, investita da Shin'ichi. Lei si girò, e vedendolo il soggetto arrossì in viso. 
-Scusa non ti ho proprio vista- 
-Ma no figurati, sono io che ero imbambolata a vedere il cielo- rispose la ragazza, abbassando la testa e incrociando le dita in modo nervoso. Lui sorrise porgendo in avanti la mano.
-Piacere di conoscerti, mi chiamo Shin'ichi Kobayashi, per gli amici Shin- le disse cercando un contatto. Il cuore della ragazza palpitava a più non posso, il vento le spostava i capelli, mettendo in risalto il suo dolce viso, candido come una rosa.
-Pi-piacere, io sono Emi- rispose porgendo lo sguardo verso il fiume che si trovava li vicino. Portandosi con la mano i capelli dietro all’orecchio destro. Gli occhi le brillavano al riflesso del sole che stava tramontando.
-Ti intimidisco per caso? Tranquilla non mangio- aggiunse Shin, stringendole la mano. Chinando poi il capo leggermente verso destra, tirando il labbro, accennando un sorriso. -Ti ho visto in giro per il nostro istituto, frequenti la terza classe giusto?-
-Ehm si!- continuava a rispondere sempre più agitata, non era abituata a rivolgere parola ad un ragazzo bello come lui.
-Scusa, ora devo andare o mi perdo la parata, mi ha fatto piacere conoscerti, ci becchiamo!- disse Shin, correndo verso il centro, lungo il fiume, lanciando un occhiolino voltandosi. Nell'udire quelle parole il cuore di Emi sembrò fermarsi, la gentilezza e il sorriso di quel ragazzo l'avevano fatta innamorare.
Giunto alla parata, ormai sera, si iniziò a girare intorno cercando volti noti, non trovandoli. La gente occupava tutto il viale, le luci di ogni bancarella sembravano tante stelle bianche, c’era perfino chi indossava i tipici kimoni Giapponesi. Le ragazze non mancavano, così come non mancava la curiosità di Shin di osservare i loro “lati b”,e tra questi riconobbe quello della sua compagna di classe. Si avvicinò stringendo i fianchi della ragazza, si avvicinò a questa la quale sussultò essendosi spaventata a morte. Si voltò di scatto, pronta a lanciare una pizza in direzione di Shin, che, tuttavia, uscendo dalla sua visuale, riuscì a scansare il colpo, stringendole il polso.
-Ehi, ehi! Reagisci così male con tutti?- domandò, lasciando il braccio della ragazza.
-E tu spaventi sempre così le ragazze?- rispose lei, muovendo il polso con l’altra mano. Era bastato una piccola stretta ad arrossirlo.
-Chiedo scusa!- continuò Shin, chinandosi col corpo e alzando il capo sorridente, strizzando l’occhio destro.
-Sei qui con qualcuno?- domandò ancora. Muovendo frettolosamente la mano tra i capelli.
-No, vuoi strapparmi un appuntamento, per caso?- rispose di nuovo, a braccia conserte. Il suo nome era Izumi, frequentava la stessa classe di Shin, col quale andava molto d’accordo. Anche lei indossava un kimono, capelli avvolti a chiocciola e mantenuti da un bacchetta di legno, molto sottile. Era alta quasi quanto Shin, e non invidiava nessuno in quanto a bellezza, tanto che era una delle più agogniate dell’istituto.
-Tranquilla non sarà nulla di ufficiale- disse lui, facendo la linguaccia mentre poggiava una mano sulla spalla della ragazza.
Si fermarono ad ogni bancarella che proponeva giochi simpatici, tutti rigorosamente vinti da Shin, il quale si destreggiava tra il colpire lattine e il pescare pesciolini dalle vasche. Ogni pupazzo ottenuto lo donava alle tante bambine che si fermavano a guardarlo, anche se i più belli li teneva per la nuova fiamma. Presero poi un gelato, cercando di non rovesciarlo a causa del poco spazio disponibile per muoversi. Arrivarono al palco dove di li a poco si sarebbe esibita l’idol giovanile Mayumi, trovarono fortunatamente due posti liberi sulla gradinata della fontana che si trovava poco distante dal punto in cui sarebbe uscita la star. Si abbassarono le luci, e dal palco spuntò una piattaforma che si alzò un paio di metri, piattaforma che presentava alla base tanti piccoli led multicolore, che aprirono il concerto. Al primo suono di chitarra i riflettori furono puntati su Mayumi che si apprestò a cominciare il concerto, durante il quale Shin non esitò a provarci con Izumi.
Aspetto però i fuochi per strapparle un bacio. Non erano gli unici, sotto i mille colori dei fuochi d’artificio le loro labbra erano incollate, così come aveva sapientemente programmato il giovane. Terminati, lasciò Izumi alla fermata del bus, mentre lui avrebbe seguito la strada diametralmente opposta alla sua.  Poco distante da casa, un gruppo di teppisti stava pestando un povero rivenditore per aver chiesto il pagamento della loro consumazione. Accortosi di quanto stava accadendo Shin si lanciò in sua difesa, non curante del loro numero, intenzionato a salvare quel negoziante.
-Ehi voi, vi sembra modo di fare giusto questo?- disse loro con tono sicuro e duro.
-E tu chi cazzo sei?- domandò il capo banda, che portava una cresta molto alta di colore verde scuro, con una banda al collo e cicatrici su tutto il corpo.
-Il mio nome è Shin'ichi, e vi consiglio di lasciar in pace quel signore se non volete avere guai!- rispose il ragazzo, portando la mano destra dietro la schiena e la sinistra a palmo rivolto verso il volto.
-E questi guai chi li porterebbe, tu per caso?- chiese in modo spavaldo il tipo ridendosela con gusto volteggiando una mazza di ferro, facendo segno agli altri di prepararsi a menare anche il ragazzo.
-Mi dispiace, scelta sbagliata!- rispose Shin, lanciandosi verso il loro capo a busto basso, dimostrando un'ottima agilità. Questi, vedendolo arrivare, cercò di mettere a segno un colpo di spranga, andando però a vuoto e ricevendo la carica del ragazzo che con due colpi ben assestati lo mandò a tappeto privo di sensi.
-Oh no capo!- esclamarono in coro i restanti teppisti. 
-Vi conviene sloggiare o farete la stessa fine- gli consigliò il ragazzo prendendo il corpo del capo per la camicia e lanciandolo ai compagni.
-Ce la pagherai! È una promessa- aggiunsero prima di scappare nel buio.
-Signore tutto ok? Nulla di rotto spero?- iniziò a chiedere Shin al negoziante ancora tramortito. 
-Oh ma che ragazzo gentile, ti ringrazio dell'aiuto- rispose lui, socchiudendo gli occhi mentre con l'aiuto di Shin si rialzava.
-Si figuri, è un mio dovere civile aiutare un cittadino in difficoltà- rispose lui sorridendo.
-Oh figliolo, peccato che di persone come te ne siano rimaste poche.- aggiunse lui, pulendosi i vestiti impolverati.
-Si, lo noto sempre più anch'io- aggiunse Shin, volgendo lo sguardo a vuoto.
Aiutato il negoziante, prosegui verso casa, ma proprio quando stava fuori la sua villa venne investito da una strana luce, di un giallo fioco, somigliante ad una cometa, che lo fece cadere battendo la testa.
 
 
Nel frattempo, nel distretto di Ishikawa, Aaron continuava la sua vita ordinaria. Era un ragazzo molto alto, capelli biondi, che arrivavano al collo, occhi azzurri, tendente al ghiaccio ed un carattere molto introverso.
-Non capisco cos'hanno da ridere, dopotutto la loro vita è così monotona- disse guardando un gruppo di amici che si divertivano, mente mangiavano un gelato, sulla fontana della piazza principale. La piazza era molto grande, c’era un rivenditore di gelati con la sua carretta poco distante dall’entrata, il sole illuminava il tutto, componendo giochi di luce con i cristalli d’acqua che schizzavano via dalla fontana. Questa aveva una forma circolare, composta da 3 ripiani che andavano via via stringendosi, con tre gradini alla base. Aaron era fermo su una panchina in ferro, che si trovava ai limiti della piazza, anch’essa circolare. Tutt’intorno c’erano alberi pieni di foglie, e nei giardinetti triangolari c’erano tantissime margherite.
-Detesto le persone che trascorrono la vita in questo modo- continuò chiudendo violentemente il libro che stava leggendo, innervosito dal comportamento di quei ragazzi, che non condivideva. 
-Che esistenza inutile la loro. Come del resto quella di molte persone che vivono qui- disse, alzandosi. Aveva ancora la divisa scolastica addosso, tutta scura, con un colletto rialzato e un simbolo d’oro, che doveva rappresentare l’effige dell’istituto che frequentava.
-Ehi Aaron- disse una voce femminile in lontananza, di cui s’intravedeva il braccio, agitato frettolosamente in aria.
-Oh no, mi ha trovato anche qui- disse tra sé e sé il ragazzo, battendo, col palmo della mano, la fronte.
-Sei sempre tutto solo, mi dispiace- affermò la ragazza, apparendo realmente preoccupata per il compagno. Si chiamava Yuchi, era una bellissima fanciulla, coi capelli lunghi rossi, con degli occhi castani, dolcissimi.
-Tranquilla, sai che preferisco stare solo piuttosto che con quelli della nostra classe- rispose lui, voltandosi verso il tramonto, anche qui rossastro, con poche nuvole a donargli sfumature particolari.
-Da quando è successo, sembra che tu non stia per niente vivendo la tua vita- disse Yuchi, poggiando una mano sulla sua spalla.
-Quante volte devo ripeterlo che non voglio sentire più parlare dei fatti accaduti tre anni fa?- fece lui, rivolgendosi in malo modo alla ragazza, spostando violentemente la mano dal braccio. Lei che cercava solo di alleviare i continui pesi che egli stesso si attribuiva.
-Forse ho esagerato, scusa!- continuò, mentre la ragazza, con le lacrime agli occhi, corse via lasciandolo solo a fissare il tramonto. Scese la piccola collinetta che lo divideva dal fiume che passava li sotto, stringendo il libro al petto. Raggiunse il piccolo molo che dava sul fiume, molto grande.
-Sembra proprio che il signore abbia deciso un'esistenza solitaria per me- disse sedendosi sul bordo del molo, tenendo un piede fuori e l’altro vicino al corpo.
-Perché la vita è stata così dura, perché mi sembra che tutto accada solo a me- continuò a dire, prendendo un sasso e scagliandolo sullo specchio d'acqua. A ogni rimbalzo si formavano onde che si scontravano tra loro, e il suono, dato dal contatto con l’acqua, lo rasserenò.
-Sarebbe molto meglio se a morire, fossi stato io!- concluse stendendosi sulla banchina fissando il movimento delle nuvole.
Tornato a casa, vuota, salutò e andò in camera controllando le mail sul PC portatile che aveva sulla scrivania vicino la finestra, ma la sua casella era sempre vuota. Il tempo sembrava non passare mai, in meno di dieci minuti fece due volte il giro della casa, si stese sul letto e finalmente trovò la sua pace ascoltando la musica dal suo mp3.
-Devo dire che anche la mia di vita è triste!- fece mentre ascoltava una delle sue canzoni preferite.
Stanco per la lunga giornata trascorsa, si addormentò come un bambino, con la musica ancora in play, con la mano, che manteneva il lettore musicale, poggiata sul petto. In quel preciso istante, proprio come successo a Shin’ichi, una cometa si staccò dal malto stellato e attraversò la finestra della sua camera, diventando tutt’uno col corpo del ragazzo.
 
Nel distretto di Kōchi‎, invece, il giorno successivo il sole si presentò nuovamente rossastro, e illuminava la casa molto curata e in ordine di Oliver. Si trovava su una collinetta quasi a cercare una sorta di superiorità rispetto al vicinato, superiorità che traspariva senza problemi dai proprietari di quella villa.
Solo lui, Oliver, faceva eccezione, stava sempre tra le sue, a scuola sembrava quasi non ci fosse. Di corporatura molto fragile, come di carattere, aveva i capelli grigi, tendenti al bianco. Non era molto alto, rientrava nella norma, non era socievole, non era ordinato, in generale non c’era.
-Oliver, quante volte ti ho detto che il cane deve stare fuori in giardino?- gridò forte la madre, una signora magra e alta, al contrario del figlio, molto rigida negli insegnamenti, e un po’ troppo tirata negli atteggiamenti. Era maniaca dell’ordine e della disciplina, non amava inoltre che il figlio non avesse amici.
-Guarda che ha combinato. E poi che stai facendo, degnati di rispondere a tua madre quanto meno- continuò a gridare lei, facendo cenno alla cameriera di pulire il pavimento permeato dalle zampate dell’animale.
-Scusa, mi ero appisolato. Non volevo mancarti di rispetto- fece il ragazzo scendendo le scale a piccoli passi, strofinandosi gli occhi, infastiditi dall’eccessiva luce che entrava delle vetrate della sala da pranzo. La casa non era per niente in linea con lo standard Giapponese, questo era un altro aspetto che la distingueva dalle altre.
-Portalo immediatamente fuori, e poi vatti a fare una doccia, e trovati dei compagni, stai sempre chiuso in casa a giocare col computer o col cane. Da quando ci siamo trasferiti mi sembri uno zombie, dopotutto la carnagione è chiara quindi stai lì per diventarlo!- esclamò con tono offensivo la madre, era solita fare certi discorsi. La loro famiglia era molto rispettata in America, dove abitavano in precedenza, spostatasi per motivi lavorativi del padre.
-Vieni qua bello, solo con te posso stare in tranquillità, non so che farei se tu venissi a mancare- disse Oliver al proprio amico a quattro zampe, con gli occhi socchiusi sfoggiando un candido sorriso, che nascose per un attimo la tristezza che poco prima lo colmava. Il cane abbaiò due volte prima di leccare in viso il ragazzo, che nel frattempo lo stringeva forte, mentre nella finestra alle sue spalle la sorella si vestiva, probabilmente per uscire, ballando a tempo di musica, che disturbava non poco i vicini. Anche lei era molto tirata, a scuola era quella più egocentrica, e proprio per questo attirava a se molti ragazzotti, che facevano i carini col fratello per entrare nelle sue grazie; era proprio questo forse il suo unico pregio, l’esser molto legata al fratello minore, non era ancora chiaro però se lo faceva per compassione o perché realmente ci teneva.
Calata la notte, rientrato nella sua stanza dopo aver fatto la doccia, come la madre gli aveva ordinato, mentre finiva di passarsi l’asciugamano tra i capelli, ancora una volta, la cometa colpì anche lui, che cadde sulle ginocchia in un tonfo risonante in tutto il piano inferiore, per poi accasciarsi a terra privo di sensi.
L’indomani un sole nuovo sorse su tutto il Giappone. I ragazzi ignari di quanto stava accadendo aprirono gli occhi al nuovo giorno, a quel nuovo inizio che mai si sarebbero aspettati, l’inizio di un cammino che incrocerà le loro vite e li cambierà per sempre. 

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Capitolo 2
*** Risveglio ***


II CAPITOLO

Era una calda domenica estiva, tutti erano in fermento. C’erano auto in ogni via, pronte a partire per le mete balneari. Chi invece aveva deciso di restare in città anche per le vacanze estive, si barricava in casa, coi condizionatori perennemente accesi, per sopperire al caldo eccessivo di quei giorni. Si, perché quel caldo non si poteva sopportare.
I più anziani, che ne soffrivano maggiormente, erano ormai assistiti abitualmente all’Ospedale principale di Osaka, ma quella mattina tra anziani e malati, vi era anche un ragazzo giovane, reduce da un incidente  che gli sarebbe costato la vita.
Era stato ricoverato in una camera singola, per non creare problemi con le persone più anziane, abituate ad orari ben diversi di un giovane, anche se la situazione al momento non creava problemi. La camera era decisamente piccola, composta da un letto, posto vicino al finestrone che donava molta luce e dava sul parco interno dell’ospedale, un comodino sul quale erano poggiati dei fiori, sul lato superiore, e alcuni effetti personali sul ripiano inferiore. Vi era inoltre una tv appesa alla parete, e subito sotto di essa una scrivania con una poltroncina su cui poteva soggiornare un parente del ricoverato. Sul comodino, c’era anche una radiosveglia, che iniziò improvvisamente a lampeggiare.


«Buongiorno e ben ritrovati amici che ci seguite da casa, qui è il vostro Akihito che vi parla.» 
«Insieme a lui ci sono anche io, Seguro»
«Stanchi di questo caldo torrido?»
«Ci siamo noi a rinfrescarvi con nuove news e con aggiornamenti meteo, che sfortunatamente non segnalano miglioramenti di temperatura, almeno fino a giovedì!»
«Sentito? Giovedì questo tempo ci darà una tregua.»
«Akihito, amici, ho una notizia scoop. Avete notato tutti il sole che ha colpito il Giappone tre giorni fa, non è così? Bene, ciò che forse non sapete, è che ha causato non pochi problemi alle telecomunicazioni. Si dice in giro, che il sole stia per collassare!»
«Non date retta a questo stupido di Seguro. Deve sempre fare lo sciocco. No, la verità è che gli scienziati hanno saputo spiegare le cause solo in parte, attribuendo le ragioni di questo fenomeno a--»

-Diamine spegnete questo affare!- disse Shin’ichi, voltandosi ancora stonato verso la sorgente di quel suono fastidioso.
-Ti sei svegliato. Mi hai fatto prendere uno spavento!- rispose la sorella, Naoko Kobayashi, facendo ciò che il fratello, poco prima, gli aveva chiesto. Era una ragazza di appena ventitré anni, solita portare i capelli legati, e sempre a disposizione del fratello minore. I genitori erano fuori, quindi si sentiva tutta la responsabilità sulle spalle, non li aveva informati dell’accaduto, naturalmente, per evitare ulteriori allarmismi.
-Ma cosa mi è successo? Perché mi trovo in ospedale? E perché ho tutte queste fasce in testa?- domandò a raffica il ragazzo, toccando le fasce, per poi alzarsi leggermente in posizione retta, aiutandosi con le braccia.
-Non fare sforzi eccessivi!- disse Naoko, alzandosi dalla poltroncina, tendendo le mani al fratello per aiutarlo a sedersi bene. Il suo volto era turbato, un pensiero continuo balenava nella sua mente, e non riusciva a rimuoverlo.
-In verità, non ho idea di cosa ti sia accaduto- rispose la ragazza, portando i capelli dietro al lobo destro mentre tornava a sedere. Il silenzio che seguì quella frase fu carico di tensione. Non sapeva come dirglielo, ne tantomeno spiegarlo. Da giorni stava preparando il modo migliore per informare il fratello di quanto era accaduto due notti prima, ma trovarsi nella situazione, con due occhi come i suoi ad opprimere la flebile sicurezza della giovane, non era proprio la stessa cosa. Intanto lui era li, seduto, impaziente di sentirsi dire dalla sorella cosa era successo, dato che la sua memoria dell’accadutovacillava, lo sguardo era insistente, e l’attesa non era un suo punto forte. Ma da dove iniziare! Come poteva dire al fratello ciò che nemmeno i medici si potevano spiegare, come manifestare a parole ciò che aveva provato quella notte, non era facile, spiegargli la paura e il timore di aver perso ciò di cui più caro aveva; Attese pochi minuti e, con le lacrime agli occhi, iniziò il racconto.
-Avevo sentito che eri tornato, che salivi le scale fuori casa, ma all’improvviso…- la ragazza chinò di scatto il capo, lasciandosi coprire il volto dalla frangia, per nascondere gli occhi infiammati, pieni di lacrime, che caddero ininterrottamente sulle sue mani poggiate, l’una sull’altra, in grembo.
-All’improvviso ho udito un rumore secco e violento. Scesi di corsa a vedere se tutto era apposto e..- -..e ti ho ritrovato steso a terra, in un lago di sangue, senza- l’ultima frase pronunciata, fu sentita da tutto il piano dell’ospedale, il suo grido di dolore aveva turbato tutti, persino Shin che, vedendola, iniziò a tremare tutto.
-Quando è arrivata l’ambulanza, davanti agli occhi stupiti del medico e dei suoi assistenti, inspiegabilmente, le ferite che avevi dietro alla testa si sono rimarginate. Capisci, proprio sotto i loro occhi!- continuò, cercando di asciugarsi le lacrime con la mano destra. Era spaventata e aveva le pupille dilatate, tremava incondizionatamente, i suoi sentimenti non li poteva certo nascondere. Il ricordo di quella notte, non la faceva dormire da giorni ormai, non era certo pronta ad una scena simile, a tanto sangue, e a tale miracolo.
-La ferita. Rimarginata.- ripeté Shin, portando le mani dietro la testa, turbato alquanto, da ciò che la sorella gli aveva riferito.
-Ad ogni modo, sono felice che ti sei risvegliato. Sono tre giorni che dormi senza mangiare nè bere!- aggiunse ancora la sorella, di nuovo calma e rilassata.
-Non lo avrai mica detto a mamma e papà?- domandò, voltandosi verso la sorella con sguardo tesissimo, con le mani contratte davanti al petto.
-Certo che no! Sai cosa mi avrebbero fatto?. Per fortuna, essendo maggiorenne i dottori si sono accontentati della mia tutela. Anche se mi hanno detto che una diagnosi come la tua non l’avevano mai vista, e che avrei comunque dovuto avvertire i nostri familiari.- rispose prontamente Naoko, alzandosi nuovamente dalla poltrona, con un balzo.
-Quando ce ne potremmo andare?- domandò in fine Shin, fissando le coperte del suo letto.
-Anche subito. Dato che la ferita si è rimarginata da sola, aspettavamo il tuo risveglio per le ultime analisi- rispose ancora la ragazza, voltando solo il capo. Nel corridoio appena fuori la stanza, gli infermieri andavano avanti e indietro, frettolosamente. Trovato il medico che stava assistendo Shin, lo informò del suo risveglio. Gli ultimi accertamenti durarono più del previsto, ma ciò che stupiva di più i medici, erano gli esiti più che positivi che ogni esame dava.
-Bé, posso dire che stai più che bene, giovanotto. Gli esami sono ottimi, così come la salute, e la cicatrice non si vede nemmeno più. Sei sano come un pesce!- disse il medico, dando due pacche sulla spalla destra di Shin.
-Potrebbe evitare di trattarmi come un ragazzo problematico?- rispose Shin, volgendosi verso il dottore con uno sguardo assassino.
-Non mi ricordo cosa è successo quella notte, ma stia pur certo che è difficile mettermi a terra, e con quella ferita per giunta!- esclamò poi, peccando di superbia, mentre il medico, stupito da cotanta energia, allontanò lento la mano dalla sua spalla, quasi spaventato da quel ragazzo, di molti anni più piccolo di lui.
-Deve scusarlo, non è abituato a trattare coi medici. Grazie mille per l’aiuto!!- intervenne subito la sorella, prendendolo per le spalle e spingendolo fuori dall’ospedale, per evitare ulteriori figure da parte del fratello.
Raggiunsero l’auto nel parcheggio, l’ospedale si trovava dall’altro lato della città quindi il viaggio sarebbe stato lungo, e il caldo era insopportabile. Sfortunatamente, né l’aria condizionata né lo stereo erano funzionanti nell’auto della sorella, ciò portò ad un silenzio quasi imbarazzante, accentuato ad ogni semaforo rosso, che dilatava ancor di più i tempi di percorrenza. All’ennesimo semaforo però, quel silenzio fu bruscamente interrotto da una domanda, aspettata da Shin, circa ciò che accadde la notte in cui perse i sensi. Inutilmente Shin cercò di ricordare, tutto si interrompeva a quando lasciò l’amica Izumi alla fermata del pullman.
-Ma com’è possibile?- domandò la sorella, stringendo forte il manubrio, con le braccia tese su di esso.
-Ti ripeto, ho un blackout, non ricordo veramente cosa è accaduto dopo.- rispose Shin, guardando dal finestrino una bambina che lo stava salutando. Vedendo, però, che il giovane non ricambiava, la bambina, che portava i capelli rilegati in due file da nastrini rossi, iniziò a piangere.
-Per favore, chiudiamo qui questa storia?- chiese poi il ragazzo, leggermente irritato, per le eccessive domande della sorella e per la ragazzina che continuava a piangere, nonché per il semaforo che tardava a scattare.
-Ma tu mi dai risposte così vaghe. Come vuoi che ti aiuti a capire cosa ti è accaduto?- reclamò Naoko, alzando la voce, voltandosi di scatto verso il fratello. Era lei, in primis, a volersi lasciare la storia alle spalle, ma voleva capire cosa era successo al fratello, si preoccupava per lui, ma questi non lo capiva.
-Non ho alcun interesse a capire cosa mi sia successo, come te lo devo dire!- rispose Shin, urlando più della sorella, che spaventata inserì la marcia, pronta a ripartire, senza proferir altro.
In quel momento, il semaforo si fece verde, le auto iniziarono a bussare, quella nera che stava a fianco a loro, dove la piccolina piangeva, partì di corsa. Shin seguì con lo sguardo l’auto, che, arrivata al centro dell’incrocio, fu investita da un camion pesante in piena corsa. Istintivamente Shin scesa dalla vettura della sorella per prestare soccorso, ma non c’era nulla da fare, lo spettacolo era terrificante, di quella jeep non si riconosceva neppure la targa, gli airbag erano aperti, ma i corpi delle vittime erano esanime. Il conducente, aveva la testa traforata da una lamina staccatasi dal telaio del camion, sul lato passeggero, dove si trovava la madre della piccola, l’airbag non aveva funzionato correttamente, soffocando la giovane madre all’interno del cuscino non pienamente gonfiato. Il sangue sgorgava a fiumi, così come la benzina dei due mezzi. Anche il conducente del camion era senza vita, aveva effettuato un volo di senti metri, e si era schiantato di fronte al vetro della fermata degli autobus. La piccola, spaventata e ferita ad entrambe le gambe,  si era salvata, ma le fiamme che avvolgevano i mezzi erano altissime e non diedero tempo a Shin di avvicinarsi. Il ragazzo fu costretto ad assistere all’agonia della bimba, sofferente e sanguinante, finché un’esplosione non le tolse la vita.
 
«Risponde la segreteria telefonica di Aaron Van Ho- e di Yumi. Ahah. Ehi, fammi finire. Non posso rispondere al momento, lasciate un messaggio dopo il beep.»                                                                                                                                    «Beep!»
«Aaron, sono Rieko. Che fine hai fatto, a scuola non vieni da giorni, non ti vedo da quando ti ho lasciato al molo. Mi dispiace se ti ho lasciato così, non mi far stare in pensiero. Richiama appena ascolti questo messaggio»
«Non ci sono ulteriori messaggi»

-Ah! Che dolore. Tre giorni eh!- Disse Aaron, barcollante, mentre si dirigeva verso il frigorifero, per prendere un succo. Appena alzato, sentiva una fitta la petto che non lo lasciava andare. Anche lui era rimasto per giorni a letto, e il suo corpo ne aveva, in qualche modo, risentito. Sistematosi, uscì di casa, con un wafer ancora tra i denti, e aperta la porta, vide la sua compagna che era in procinto di bussare il campanello.
-Sei opprimente, te lo devo!- disse, stringendo ancora il biscotto tra i denti, quello era il suo “buongiorno” all’amica. Mise le mani nelle tasche del pantalone, lungo fino alle ginocchia, e scese i quattro gradini che lo dividevano dalla ragazza. Fermatosi a pochi centimetri da lei, butto giù il boccone e, alzandole il volto con la mano destra, gli diede un bacio sulla fronte, per scusarsi del suo comportamento di quei giorni. Rieko arrossì al’istante restando immobile, mantenendo con entrambe le mani la valigetta scolastica, infatti, era appena uscita dall’istituto, avendo ancora l’uniforme della scuola.
-Non dovevi, sai che è mia abitudine sparire per un po’!- riprese Aaron, facendo cenno con la testa di uscire dal vialetto di casa.
-E tu sai che sono sempre in pensiero per te- rispose lei, sorridente e solare più che mai. La giovane non faceva altro che tornare a quell’istante, a quando le labbra di Aaron si sono posate sulla sua fronte. Difficilmente accadeva, ma è in quei momenti di dolcezza che il suo cuore era catturato dal ragazzo. Ormai era partita, stava fantasticando con la mente ad un possibile matrimonio, e Aaron se ne accorse.
-Oh guarda, un market!- disse il ragazzo strizzando un occhio, mentre indicava il negozietto di alimentari all’angolo. Era riuscito a distogliere la ragazza da quelle fantasticherie, così entrarono e comprarono un pacco di biscotti, di cui Aaron ne era ghiotto. Pagò lui e, prima di uscire, salutò la commessa. Non l’aveva mai fatto, e questa cosa Rieco l’aveva notata.
-Quanto detesto fingere, ora mi è accollata un’altra seccatura.- disse Aaron tra sé e sé, tornando per un attimo, quello di sempre. Rieko, che felicemente sorrideva, voltatasi in quel preciso istante, se ne accorse, e un brivido la percosse, ma non gli diede peso, era felice così, preoccuparsi ulteriormente avrebbe rovinato l’atmosfera che si era appena creata.
-Qualcosa ti turba?- domandò comunque. In verità quella turbata era lei. Sfortunatamente, tirandole una guancia, Aaron rispose di non preoccuparsi, ottenendo, come ci si potrebbe aspettare, l’effetto opposto. Per quanto lei non ci volesse dar peso, sapeva che qualcosa non quadrava in tutta quella situazione. Continuarono a passeggiare, e raggiunto un parco, si fermarono a giocare, tornando con la mente a quando erano piccoli, quando andavano lì a divertirsi con gli altri compagni. Le scenette che ogni volta rallegravano le loro giornate, misero di buon umore Rieko, che ricordava ancora di come Aaron la difendesse sempre, mostrando l’affetto che col tempo sembrava svanito. Lui non era sempre stato scontroso, era gentile, una volta. Mentre il sole tramontava, si sedettero sull’altalena, uno di fronte all’altra, Aaron poggiò la testa contro la catena, e ripensava a quando su quella sabbia ci giocava con tutta la famiglia, e con la persona che ha sempre amato.
-Vuoi che torniamo a casa?- domandò Rieko, prendendo per mano il ragazzo, che tornò, in un sussulto, al presente. La ragazza capiva bene quello che poteva provare, eppure non riusciva a riprenderlo, veniva respinta, quasi non accettata. Ciò non faceva altro che addolorarle il cuore, ormai innamorato, suo malgrado, del giovane.
-Non è questo, potevo evitarlo, non credi?- rispose Aaron, lasciandosi scappare una lacrima dai suoi occhi luccicanti. Il ragazzo era diviso in due, una parte si era già lasciata tutto alle spalle, focalizzandosi su sentimenti quali odio e rancore, l’altra, invece, era rimasta a quel giorno di dicembre, il 26, la sua anima piangeva ancora lacrime di dolore, sicura ormai che nulla avrebbe riportato indietro le cose.
Quando si alzarono, fattasi ormai sera inoltrata, raggiunsero il limite del parco, dove le palizzate si interrompevano per dar spazio all’ampia entrata, videro una veste bianca scendere dal palazzo proprio di fronte al parco. Non capirono subito cos’era, essendo la zona povera di luce. Lungo i muri perimetrali della via, però,  c’erano i pali elettrici, e l’oggetto era in rotta di collisione con i fili dell’alta tensione.

Fu un attimo, una luce abbagliò entrambi, la via vuota emise un rumore rotto, i fili furono tirati a pochi metri da terra dal peso del corpo, che emanava fumo da più parti. Una bambina era caduta, inspiegabilmente, dal sesto piano del suo palazzo, e la sua piccola testolina si trovò, sanguinante e a tratti bruciata, tra due fili dell’alta tensione. Aaron e Rieko, in poco tempo, furono costretti a realizzare che l’oggetto, che poco prima vedevano a malapena, era la ragazzina, e che per lei non c’era più nulla da fare. Il giovane, cadde sulle ginocchia, quasi paralizzato, rivedendo negli occhi della piccola, i suoi.                                                                                                                                                                                                                                                           

Nel frattempo, in un palazzo abbandonato, in una camera che dava sull’oceano, una donna, coi capelli lunghi oltre la schiena ed un’aderentissima tuta, era intenta a parlare con un uomo misterioso, attraverso un monitor. La stanza era illuminata solo dalla luce che emetteva lo schermo, nonostante dall’altra parte ci fosse solo un’ombra scura, la cui voce era indubbiamente alterata.
-Signore, si sono risvegliati!- riferì la giovane, rivolgendosi alla web-camera, brava a non far trasparire alcun tipo di sentimento dal volto.
-Ottimo. Sai cosa fare, non deludermi!- ordinò l’uomo, attendendo risposta dall’altro capo.
-Sarà fatto, sua eccellenza!- rispose, abbandonando la stanza e l’attrezzatura.

 

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Capitolo 3
*** Attrazione ***


III CAPITOLO

La notte, per Shin e Aaron, sembrò interminabile, le loro menti ripercorrevano insistentemente quegli attimi, gli attimi in cui avevano assistito all’agonia di quelle due bambine. Con difficoltà i due riuscirono a chiudere occhio, solo quando la notte lasciò spazio alla luce dell’alba, che tutto cancella, entrambi, stesi sui rispettivi letti, crollarono come piccoli bambini dopo un’intensa giornata passata al mare. La cosa migliore per entrambi, al risveglio, sarebbe stata lasciarsi tutto alle spalle, e riprendere la loro vita, fatta di alti e bassi, poco differente da quella delle altre persone che vivevano intorno a loro.
Quando il sole raggiunse il suo picco più alto, Shin aprì gli occhi, martoriato più che mai da quel cellulare che, sulla scrivania, non smetteva di squillare. Alzatosi per raggiungerlo, barcollando ancora per via del sonno, lo prese in mano, era Shila, la sua compagna di classe, nonché compagna del club di aikido. Shin fece appena in tempo a cliccare il tasto di accettazione chiamata, per poi spaventarsi, facendo addirittura cadere il cellulare, per l’acuto della voce dell’amica.

-Ehi Shin, ma dico ti sembra modo di fare corretto questo?-
-Eh! Scusa è mezzogiorno passato, che vuoi?- rispose il giovane, aprendo la finestra che dava al balcone, poggiandosi sulla ringhiera, rilassandosi guardando gli alberi mossi dal vento, del parco di fronte casa sua.
-Come cosa voglio, sei sparito da quattro giorni, e poi che toni sono? Mi sto preoccupando per te e tu rispondi in questo modo?-
-Più che preoccupata mi sembri arrabbiata, mi voi mica accusare di qualcosa?- continuò a ribattere Shin, irritato dai modi della ragazza.
-No, tranquillo! L’importante è che stai bene, e da come rispondi, direi che non ci sono problemi- rispose la ragazza, con una voce molto più calma e dolce.
-Si, non sono stato bene in questi giorni, ma ora è tutto apposto- replicò il ragazzo, ritornando in camera per vestirsi, facendo pose improbabili pur di non mettere il vivavoce.
-Ah! Ultima cosa e poi stacco…-
-*finalemnte*- pensò Shin.
-.. Il Sensei dice che oggi farà lezione, alle tre devi venire a scuola-
-Cosa? Ma ti pare, e me lo dici a quest’ora?- rispose, mentre scendeva le scale di casa.
-Non urlare. E poi che vuoi da me ti sto chiamando da ben due ore-  contestò la ragazza, non condividendo la reazione di Shin, dato che lei non aveva colpe.
-*ah è vero, quattro chiamate perse*-
-Si scusa, non ho chiuso occhio, si vede che non ho minimamente sentito il cellulare. Comunque ci vediamo tra un’ora al solito posto giusto?-
-Yosh!-
-Bene, a dopo- disse Shin chiudendo la chiamata.
-*ho le ossa a pezzi*- disse poi tra sé e sé. Cercò inutilmente di fare scratch, per poi incamminarsi in cucina per preparare un pranzo fugace al microonde. Sul frigo c’era un biglietto della sorella, per informarlo che avrebbe tardato e che in frigo c’era del sushi precotto da poter riscaldare. Aprì, prese il prodotto suggerito dalla sorella, una bibita gassata e un pezzo di pane dal freezer. Mangiò il tutto rapidamente, tornò in camera e si preparò lo zaino con tutto il necessario per la lezione, prese le chiavi di casa e uscì. Raggiunse Shila, che stava aspettando da un po’, ma solo perché era in anticipo, giacché la puntualità era un dogma per Shin. La ragazza era molto bella, capelli corti, color nero; con se aveva uno zaino verde scuro, con minigonna e maglietta molto corta, che le donava un gran fascino.
-Oh! Sei già qui?- disse Shin, abbassando lo sguardo, infastidito dal “ritardo”. Fissò poi l’orologio, guardò lei e poi ritornò sull’orologio.
-Mi spieghi perché sei arrivata prima???- chiese alzando la voce, indicandola col dito indice, agitato inutilmente.
-L’ho fatto apposta. Mi da fastidio la tua puntualità- rispose lei, abbassandosi, col dito all’occhio, facendo la linguaccia.
-*Tsè, sempre la solita!*-
-Dai ora andiamo o facciamo tardi!- disse la ragazza voltandosi in direzione della scuola.
-Impossibile!- rispose Shin a quella provocazione.
L’istituto era molto grande, tipico dei licei giapponesi, passarono il cancello di ferro, aperto a metà, e salutarono il custode che, dall’aspetto, era un buon gustaio. Si diressero verso la palestra, dove il corso avrebbe dovuto iniziare, erano i primi, escludendo il maestro, e Shin, voltandosi verso la compagna, gli fece il gesto col dito medio in segno di vittoria. Il maestro era una figura imponente, molto alto e molto magro, con un fisico che faceva invidia a molti, aveva i capelli neri, mossi e lunghi fino alla noce del collo, che legava ogni volta che aveva lezione. Molte professoresse nell’istituto gli andavano dietro, era single e per questo ammirato da molte donne, egli, infatti, la mattina presenziava a scuola come professore di supporto, era laureato in fisica dopotutto.
Quando tutti erano ormai giunti, il Sensei diede inizio alla lezione. Dopo il riscaldamento iniziale, formarono dei gruppi che poi, a turno, si sarebbero affrontati, Shin era capitato con Kaito, un ragazzo esile ma molto agile, con i capelli neri, brizzolati, di fascia media, in altre parole, uno che ci sapeva fare con le arti marziali. Shin era il primo del corso, per questo il maestro gli diede l’onore di aprire gli incontri, raggiunsero entrambi il centro della palestra, mentre gli altri li guardavano in silenzio, e dopo il saluto si prepararono ad affrontarsi.
-Vincerà Shin, è scontato!- era l’unica cosa che si sentiva volare in quei pochi istanti di tensione durante i quali i due avversari si studiavano.
Kaito, in posizione di difesa col pugno diretto all’avversario, attendeva la mossa di Shin che, avventato come sempre, non tardò a fare. Si lanciò all’attacco ma, inaspettatamente, entrambi i suoi colpi andarono a vuoto, schivati con maestria dal ragazzo che, notato un punto cieco nella postura di Shin, lo colpì al fianco, allontanandolo di qualche metro. Shin, rialzatosi all’istante, stava ripensando a come fosse potuto succedere, a come avesse fatto quel novellino a colpirlo, incapace di crederci, ci riprovò invano.
-*Ma cosa sta succedendo, questo sgorbio mi ha colpito per ben due volte*-
-Cavolo, l’ha colpito ancora, è forte il piccoletto!- disse un ragazzo vicino al compagno.
-Si, ma ora è spacciato!-rispose l’altro, prestando molta attenzione allo scontro, tanto da non girarsi nemmeno per dare risposta. Il Maestro che aveva visto la scena, strizzò l’occhio, chiedendosi cosa avesse intuito quel ragazzo, fu un istante, il tempo di riposare lo sguardo sull’incontro.
-Tu questa me la paghi sciocco insolente!- appena Shin pronunciò queste parole, carico di rabbia per la brutta figura fatta di fronte a tutti, sparì dal punto in cui si trovava, sotto lo sguardo attonito degli altri, per ricomparire a pochi centimetri da Kaito, pronto a sferrargli un pugno all’altezza del volto. Il ragazzo naturalmente non si era nemmeno accorto che Shin stesse, di fatto, di fianco a lui, per sua fortuna però il colpo fu fermato dal maestro, anche lui, inspiegabilmente, mossosi a velocità sonica.
-Cosa pensavi di fare Shin, se questo colpo lo avesse centrato, Kaito a quest’ora sarebbe morto!- esclamò il sensei turbato, stringendo sempre più la presa, mentre lo sguardo degli spettatori glaciò.
-Mi lasci, lo scontro deve ancora terminare!- controbatté Shin, il cui sguardo era cupo, con gli occhi vuoti.
-Lo scontro, come dici tu, è terminato ora! Dichiaro l’incontro impari, si faccia avanti il secondo gruppo- ribatté con tono imperioso il maestro, lasciando la mano di Shin.
-Anzi no! Se proprio vuoi combattere, ti scontrerai con me!- aggiunse poi, con uno sguardo di sfida che spaventò gli altri allievi, increduli di quanto avesse appena detto.
-Cosa! Ho sentito bene? Vuole affrontarlo il sensei?- chiese un ragazzo al compagno, tremando alquanto, stupito da quello che aveva sentito poco prima. Tutto nella palestra tacque, l’aria era tesissima, molti avevano perfino paura di deglutire, buttar giù quel nodo che si era formato in gola. Shin, non era per niente turbato dalle parole del maestro, si voltò verso quest’ultimo, guardandolo con aria di sfida, accettando così la proposta del suo avversario.
-Bene, ora si ragiona- furono le prime parole dette dal ragazzo, i cui occhi brillavano di un fuoco intenso. Avvicinò le mani al petto per poi portarle in direzioni opposte, non era una posizione di difesa, tutt’altro, aveva intenzione di attaccare per primo. Così fu, il suo movimento non fu percettibile per la vista dei compagni, ma il suono dovuto al contatto delle scarpe con il pavimento della palestra era stato di certo udito da tutti. Arrivò in un istante vicino al maestro, tentando di colpirlo con un destro potente, che però colpì l’aria, infatti, questi, si era prontamente allontanato, quel poco che bastava per colpire con un calcio in rotazione il ragazzo, che vistolo arrivare, lo evitò e si portò in posizione di difesa. Le bocche di tutti erano spalancate, quello a cui stavano assistendo era puro spettacolo, ammutoliti da quei colpi in successione non sapevano cosa fare, e non riuscivano a fare pronostici.
-*è più dura di quanto mi aspettassi*- pensò Shin, ansimando, stanco ormai per i difficili movimenti eseguiti, il corpo non era abituato a quella velocità, ma ciò che preoccupava di più era che il ragazzo non si accorgeva di quanto veloce si stesse muovendo. Il sudore iniziò a scivolargli sul volto, il respiro si faceva più pesante, ma in mente aveva unicamente un pensiero: vincere.
-*Non è normale quello che sta facendo, per raggiungere quella velocità e mantenere quella tecnica ci voglio anni pure per il più bravo dei maestri. Anch’io ci ho messo molto prima di raggiungerla, che sta succedendo a questo ragazzo!*- rifletté, invece, il maestro, turbato sempre più per la velocità che il suo allievo stava dimostrando, non era da tutti evitare un suo colpo ma, a differenza del suo avversario, lui non era per niente stanco. Arrivò dietro Shin, il quale, incredulo, non fece nemmeno in tempo a girarsi, e lo colpì al centro della dorsale, spingendolo in avanti e costringendolo a restare a terra. Il dolore era indescrivibile, così come le urla strazianti che il giovane emetteva con voce sottile. Il tutto durò poco, infatti, Shin si rialzò prontamente, toccandosi la schiena con la mano sinistra, ma per niente sconfitto. Sparì di nuovo, spaventando ancora una volta i compagni di corso, arrivò di fronte al maestro, abbassato così da non lasciargli campo di visuale, e col gomito lo colpì all’addome, ma questi non subì il colpo, alzando subito il ginocchio colpendo al mento il ragazzo. Lui non voleva fargli del male, ma in qualche modo capiva che avrebbe dovuto farlo sfogare, e l’unico modo per farlo era combatterlo.
-Cavolo. Shin è in difficoltà, non potrà mai battere il Sensei- disse ancora un ragazzo al suo compagno.
-*Ti sbagli. Quello in difficoltà è il sensei, si deve trattenere per non farlo male, ma Shin non si arrende e non gli lascia molta scelta. Perché sta facendo questo Shin’ichi?!*- pensò invece quest’ultimo, che iniziava a sudare nonostante non stesse affrontando lui lo scontro.
-Basta così! Torna a casa Shin!- ordinò il maestro voltatosi in segno di vittoria. Il gesto fu ben interpretato dal ragazzo, il quale sussultando due volte con i pugni a terra, sparì nuovamente con l’intento di colpire almeno una volta il suo maestro, che facendo un lungo respiro e chiudendo gli occhi, lo prese al volto e lo scaraventò al suolo.
-Ho detto che basta così!- disse con uno sguardo da belva inferocita, che spaventò e placò al contempo il giovane allievo, che si rialzò, spostò la mano e lasciò la palestra, non dando nessuna spiegazione nemmeno a Shila, lasciando dietro di sé delle lacrime, che gli uscivano dagli occhi. Shin era mortificato con tutti, ma il suo orgoglio gli impediva di dirlo ai compagni, uscì di corsa dalla scuola, passò per il centro, rimuginando su ciò che era accaduto poco prima, sul perché avesse sentito come l’istinto di farla pagare a Kaito, istinto che tutt’ora lo accompagnava.
-*Ma cosa mi succede!*- penso, fissando i pugni, mentre ignorava chiunque passasse di lì, sembrava entrato in un’altra dimensione, in un luogo buio, nel quale lui era l’unico essere, dove nessuno lo potesse disturbare. Sul volto aveva ancora i segni dell’incontro, quella scia di sangue che gli colava dalle labbra, che non aveva nemmeno sentito fuoriuscire.
-*Avrei davvero ucciso Kaito?*-
-*Ma.. ne sarei stato realmente capace? E poi cos’è questa continua rabbia, sarà forse colpa di quello che mi è accaduto giorni fa?*- continuò a riflettere, formulando sempre nuove ipotesi, mentre il mondo intorno a lui tornava quello di tutti i giorni. Diede uno sguardo intorno a sé, come sempre tutti trascorrevano la loro normale vita, senza pretendere sconvolgimenti di sorta, cosa che a Shin, che puntava sempre al meglio in ogni cosa, dava molto fastidio. Girò l’angolo, meno grugnito di persone, trovandosi di fronte un gruppo di ragazzini poco al di sotto dei suoi anni.
-Ehi che ti guardi?- disse uno di loro. –Si. Cerchi rogna?- domandò un altro. –Rispondi perlomeno stronzo!- aggiunse un altro ancora.
-Ehi nani, vi conviene lasciarmi in pace, non è giornata, ve lo consiglio caldamente!- esclamò con tono troppo tranquillo Shin, col capo chino, senza nemmeno incrociare lo sguardo con quei ragazzini, mantenendosi fermo e concentrato sulla loro posizione.
-Cosa? Hai visto quanti ne siamo? Al massimo ti consigliamo noi di darci quello che hai se non vuoi fare una brutta fine.- Appena il loro capo banda terminò la frase, iniziò a piovere, con lampi e saette che dominavano il cielo.
La pioggia battente, bagnò tutti i vestiti di Shin, abbassandogli i capelli fin sotto il naso. La mente del ragazzo poca importanza aveva dato alla minaccia di quel gruppo di ragazzini, ma c’era qualcosa che lo incitava a pestarli, ma non un pestaggio semplice, quella cosa gli suggeriva di massacrarli. Alzato lo sguardo, da una piccola apertura nella folta chioma che copriva il suo viso, i sei ragazzetti videro il male in persona, un punto rosso che dominava gli occhi di Shin, quello sguardo demoniaco, li aveva pietrificati. Fu un attimo, il tempo di un lampo, Shin camminò sempre verso casa, lasciandosi alle spalle i corpi esanime dei ragazzi, smembrati a mani nude, in un istante, da lui stesso. La pioggia che continuava a battere sulla strada, in pochi attimi si trovò in conflitto con una pozza rossa, questa grazie al contatto con l’acqua iniziò a dirigersi verso la grata posta sul ciglio della strada, proprio per raccogliere le acque quando pioveva come quella sera.
Tornato a casa, bagnato fradicio, chiuse la porta e vi si appoggiò contro. Portò le mani alla testa e non si fece capace di quanto era accaduto, di come avesse potuto togliere la vita a quei poveri ragazzi. Il suo cuore batteva all’impazzata, la mente era confusa, sembrava gli stesse per scoppiare. Il volto della ragazzina gli ritornò in mente, così come gli sguardi impauriti di quei piccoletti, crudamente puniti.
-*Che cosa ho fatto!!*- -*Non capisco come sia potuto accadere*- -*Non posso esser stato io*- -*Non è da me*- Questi pensieri riempirono in poco tempo la sua mente, mentre sprofondava in un limbo di cui non vedeva l’uscita.
-Di cosa ti preoccupi, dopo tutto avrebbero fatto la stessa cosa se non li assecondavi!-
Il ragazzo sussultò, spaventato e ancor più confuso. Una voce aveva detto quelle parole, ma non c’era nessuno in casa, poggiò le gambe al petto e si strinse forte, proprio come un bambino che ha paura del buio, la voce era sicuro di averla sentita, ma sembrava quasi che provenisse da dentro di lui.

Quattro ore prima, invece, la ragazza dai capelli lunghi, entrò in un’auto in cui, seduto sul lato del passeggero, c’era un ragazzo di circa diciotto anni, con i capelli corti, con un ciuffo che gli scendeva sull’occhio destro, che se ne stava con i piedi sul cruscotto della macchina, e il sedile ribaltato all’indietro.
-Dobbiamo andare in centro, il capo ci ha detto di trovarli- riferì la ragazza, accendendo l’auto, il cui motore risuonò in tutto il parcheggio, dopotutto una Lamborghini solo una melodia del genere poteva rilasciare.
-Ma hai idea di quanto sia grande il Giappone? Non sappiamo neppure da dove cominciare!- rispose l’altro, agitando le mani, cercando attenzione da quella statua che era concentrata alla guida.
-Per questo dobbiamo sbrigarci, e poi se useranno i poteri, sarà più facile scovarli- disse lei, sempre attenta alla guida, senza far trasparire nemmeno un’emozione.
-Quindi si combatte. Non vedevo l’ora!- ribatté l’altro, mentre gli occhi gli brillavano.
Scesero dall’auto, ormai giunti in centro, vivo come sempre, con persone sempre di corsa, che trascorrono un’esistenza fatta di velocità e tempo, tempo che sembrava sempre mancare.
-Bene cerchiamoli- ordinò la ragazza all’altro, presentandosi con cappello di paglia, con tanto di fiocchetto rosa, occhiali da sole, minigonna e camicia rosa.
-Awh! Che stanchezza, quell’auto è scomodissima, non ci si può nemmeno appisolare.- disse il giovano, sbadigliando, mostrando ben poco interesse all’operazione. Cambiando improvvisamente espressione, distese la mano sinistra aprendo il palmo al cielo, e mentre la stava per richiudere, fu fermato dalla ragazza, che lo rimproverò. I due sembravano andare poco d’accordo, forse perché lei era una tipa più calma e riflessiva, un genere di persona che esegue gli ordini e non esce mai da questi, il ragazzo invece era l’esatto opposto, non solo se ne fregava degli ordini, ma avrebbe fatto a meno della “correttezza” della ragazza, lui avrebbe fatto ciò che gli passava per la testa.
-Juro ma che credi di fare! Vorrai mica disintegrare la città?- domandò, con sguardo attecchito la ragazza, che ha svelato anche il nome dell’altro. Le parole della giovane però erano state due, la sua voce era stata sentita dai passanti, che li presero per degli Otaku cronici, ma quello che lei temeva era un pericolo vero, non qualcosa scaturita dalla mente umana e limitata a quest’ultima.
-Uffa. Ma ti pare che ci mettiamo a cercare come normali esseri umani?- rispose il ragazzo, tirando a sé la mano che aveva stretto la ragazza. Girandosi al lato opposto, infastidito come sempre dalla sua presenza, da quella ragazza che si comportava quasi come una madre, che si preoccupa per le azioni sconsiderate del figlio.
-Sarà praticamente impossibile trovarli- aggiunse in fine Juro, guardando l’altro lato della strada, dove per puro caso passava proprio Aaron, che indossava un maglietta leggera con cappuccio, color grigio, con uno stemma a forma di drago sulla parte posteriore.
-*E quello lì chi è ora?*- si domandò poi Juro, sparendo senza informare la giovane, distratta da una rissa che vedeva partecipi due bande locali, ormai quegli scontri erano di rutine in quella zona.
 
Intanto, in un ospedale molto distante dal centro abitato, una macchina di lusso parcheggiò di fronte all’entrata principale, da cui scese una ragazza con i capelli legati da un fiocchetto, la quale corse di fretta al piano superiore dove era intenzionata a saperne di più circa quanto stava accadendo. Tutti quelli che la vedevano passare si spaventarono, era determinata, passo deciso, nonostante i tacchi molto alti. Raggiunto poi il medico di turno, che conosceva molto bene, domandò cosa fosse successo a suo fratello, ricoverato lì da ben cinque giorni.
-Cosa? Ma che significa?- fu la sua reazione dopo la notizia scioccante.
-Le ripeto, le cause non si conoscono, ma suo fratello è caduto in coma, non possiamo stimare quando si riprenderà. Può essere un giorno, come un mese, come un anno, queste cose non possono essere stabilite da noi medici- rispose più rispettosamente possibile il medico, comprendendo quanto la sorella fosse preoccupata.
-Mi lasci sola con mio fratello!- esclamò la giocane, incrociando le braccia finché il dottore non se ne andò.
Piangendo, entrò nella stanza buia, dove il fratello era ricoverato, l’unica luce era quella a neon proprio sopra la sua testa, e alla vista del suo esile corpo, le lacrime sgorgarono a fiumi. Si avvicinò al letto, sfiorando con le dita il tenero viso del ragazzo, del quale lei si era sempre presa cura, tirando a se la sedia, si sedette vicino a lui, prendendogli la mano, ricordando quante volte si fossero dati il cinque quando vincevano i tornei di tennis o quando giocavano alla play. I suoi occhi luccicavano, brillavano ormai di luce proprio riflessa dal quel neon che sovrastava il lettino. Non si faceva capace, com’era potuto accadere, il fratellino era in coma e lei non poteva farci nulla, non poteva cambiare le cose.
-Oh Oliver! Cosa ti è successo… come farò senza di te… la casa è fredda, neanche questo caldo riesce a riscaldarmi il cuore, come facevano i tuoi sorrisi… perfino quello stupido cane sente la tua mancanza- disse, sorridendo per l’ultima frase, cercando di riprendersi e asciugarsi le lacrime, che stavano sciogliendo il nero che contornava gli occhi. La ragazza passò l’intera serata vicino al fratello, con la testa poggiata di fianco a lui, da cui l’infermiera di turno non la volle allontanare.
-Dove mi trovo? Perché è tutto buio qui? Perché sento freddo?- Oliver si trovava in un luogo che non aveva mai visto, in verità non lo sapeva poiché tutto intorno a lui era dominato dall’oscurità. Tremava, non solo per il freddo eccessivo che governava quel posto, ma anche di paura, la paura che, ovunque si trovasse, non ne sarebbe uscito mai.
-Bene! Sei tornato in te, ragazzino!- rispose una voce che risuonò più e più volte, in un eco che non trovava fine, parole che fecero sussultare il ragazzino, che smise di tremare. Aveva paura, era solo, lontano dai suoi affetti, circondato dall’oscurità e alla presenza di un’entità che non vedeva, finché due punti rossi, molto sopra della sua testa, brillarono come fiamme dell’inferno. Quell’essere era gigantesco e in cuor suo Oliver sperava solo che tutto fosse un semplice incubo, ma la realtà era ben altra e lui se ne sarebbe accorto di lì a poco!

 

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Capitolo 4
*** Oblio ***


IV CAPITOLO

Era sera. La luna in cielo dominava incontrastata, le stelle erano sbiadite a causa della sua luce riflessa, poche nubi, solitarie, si spostavano grazie al vento freddo, che rinfrescava l’aria torrida di quell’estate infernale, il cui caldo era accentuato dal calore dei mezzi e dei condizionatori sparsi per la città.

La città, sempre in movimento, non dorme mai, le strade sono colme di persone di ogni razza, colore e classe sociale. La società giapponese in sé è molto variegata, varietà che contrasta con la poca personalità dei singoli individui, sempre limitati dai parenti a seguire stereotipi che minano la crescita caratteriale della persona. Frequenti erano i casi di suicidio, un po’ per l’economia altalenante del paese, un po’ per la mafia, la famosa Yakuza, retta da leggi proprie ma composta, comunque, da esseri senza cuore, e in generale, suicidi causati da una mancanza di fiducia in se stessi e nel futuro del paese. In questo quadro, di per sé caotico e problematico, gli incidenti degli ultimi giorni non passarono inosservati, non facendo altro che aumentare i disordini, e ad alzare un muro mediatico contro la polizia incapace, sfortunatamente, di trovare collegamenti logici tra le vittime, o tracce di killer seriali.

«Buona sera e ben trovati ad un nuovo appuntamento con le news dal paese. Morti misteriose si sono verificate negli ultimi giorni, tra il distretto di Ishikawa e Osaka. La polizia è ancora nel pieno delle indagini, pur ipotizzando varie piste, gli inquirenti hanno difficoltà a tracciare un qualche filo logico tra i vari crimini avvenuti nei due distretti. Notizia dell’ultima ora, il ritrovamento di sei corpi, senza vita, di ragazzi di età media intorno ai quindici anni, ma ce ne parlerà meglio il nostro inviato. Onoki ci senti? sei in linea.»

«Grazie. Sì come hai detto poco fa, è una notizia dell’ultima ora, in un quartiere di Osaka, già noto alle forze dell’ordine, per questione di ordine pubblico legato alle bande che girano per queste strade. Qui la situazione non è delle migliori, ci hanno negato di riprendere con le telecamere il luogo dell’incidente, dalle prime indiscrezioni sembrerebbe un giro andato male, ma, vi assicuro, lo stato  in cui si trovavano quei corpi è indescrivibile, basti sapere che le parti del corpo erano irriconoscibili, e sparse un po’ ovunque. Per ora è tutto, linea a voi in studio.»

«Grazie al nostro Onoki, vi terremo informati per ulteriori aggiornamenti nel corso del TG. E ora passiamo ai problemi in..»

-Altre morti inspiegabili?-

Si chiese Aaron, abbassando il volume della televisione. Durante il servizio aveva prestato molta attenzione al caso, dopotutto aveva assistito a una di quelle morti misteriose, ma continuava a credere che queste fossero in qualche modo legate tra loro, e collegate a ciò che gli stava accadendo in quei giorni. Posò il telecomando sulla tavola, apparecchiata, e si sedette a mangiare, controllando continuamente la tv nel caso sarebbero giunte nuove informazioni sul caso. Cercava di mangiare, sì, ostacolato però dalle immagini che riaffioravano nella sua mente, il volto sanguinante di quella bambina, e delle immagini, mai viste prima, in cui immaginava come quel telecronista avesse trovato i corpi di quei giovani. In pochi attimi si sentì male, si alzò di fretta, facendo cadere la sedia, corse in bagno e rimise. Quell’odore nauseante lo costrinse a restare sull’orlo del water per molto tempo, i dolori di quei giorni non erano spariti del tutto, e riaffioravano nei momenti meno opportuni; prese coraggio, si avvicinò al lavandino per sciacquarsi il viso, lo bagnò due volte e, ancora gocciolante, alzò il volto contro lo specchio, le gocce scendevano lungo il viso, quando a un tratto, per un istante, vide il volto della bambina, ormai in decomposizione, sul riflesso dello specchio. Il giovane sussultò, il cuore sembrò interrompere il suo normale battito, il circolo sanguigno era ormai fermo, quell’immagine lo spaventò a morte. Si colpì due volte per tornare in sé, nel frattempo, l’acqua calda che scorreva, aveva appannato il vetro, che non rifletteva più le immagini, diventato ormai opaco. Aaron lo pulì e per fortuna rivide il suo candido viso, ma incrociò con lo sguardo la cicatrice che aveva poco al di sotto dell’orecchio, quella cicatrice lunghissima, che arrivava fino alla schiena, colma di ricordi dolorosi.

Stanco e un po’ rattristato, tornò in cucina, spense la televisione, e s’incamminò nella sua stanza, lasciando tutte le luci accese. Nel letto, volgendosi verso l’unica finestra che aveva nella stanza, fissò la luna, la cui visione era alterata dalle lacrime che avevano ricoperto l’intera superficie oculare, voleva dimenticare tutto ma non ci riusciva, cercava di focalizzarsi su altro, ma ogni tentativo risultava vano. La sua mente ormai era un misto di ricordi ed emozioni, emozioni che gli toglievano il respiro, lo facevano riflettere su ciò che accadeva intorno a sé e su ciò che accadrà, e da ciò dedurre come lui si sarebbe dovuto muovere in quel contesto, era un calcolatore, tutto ciò che faceva, aveva uno scopo ben preciso, tutto ciò che diceva, non era detto a caso.

L’indomani, alzatosi presto, andò in centro, in cerca di svago, e più in generale di risposte. Da casa sua prese l’autobus che fermava proprio alla via principale del centro città, e per tutto il tragitto non fece altro che criticare le persone che salivano e scendevano dal pullman, descrivendole  come gente senza spina dorsale, incapaci di far valere i loro diritti, personali e politici, critiche rivolte quasi con compassione, con un pizzico di egoismo, con un modo di fare che lo poneva ostinatamente al di sopra di tutti, aveva sempre desiderato, infatti, decidere per gli altri, sentirsi un capo, sicuro di essere l’unico, in tutta la nazione, ad esserne realmente capace.

-Ah, com’è bella la città al mattino presto, senza idioti con giacchetto e pistola, dal grilletto facile, senza quegli attivisti in giacca e cravatta, falsi e innaturali, e senza quelle stupide ragazzine, goth, che sostano sui ponti a fare foto stupide come la loro esistenza. L’aria pura e incontaminata del mattino è ineguagliabile, perfino lo smog è inferiore a quest’ora, è un bene, la maggior parte delle morti annuali sono causate da fumi tossici inalati in centro.-

Iniziò a dire Aaron, inspirando profondamente, girandosi intorno e commentando ogni persona che incontrava il suo sguardo. La vita in centro aveva già preso piede, la moltitudine di volti che andava e veniva per le strade era impressionante, nei palazzi più lussuosi, entravano tutti i funzionari del governo o delle pubbliche amministrazioni, tutti in tiro, con la loro inseparabile valigetta e i capelli sistematicamente riportati all’indietro, per chi aveva ancora la fortuna di averceli i capelli. Vi erano poi le persone comuni, che tra una faccenda e l’altra si lasciavano il tempo di un gelato o di una chiacchierata tra amici al bar della zona, i loro abiti sono molto casual, dominava per di più l’azzurro dei blue jeans, che in Giappone sin dal secolo precedente spopolava, tutti rigorosamente bermuda, il caldo si faceva temere, e nonostante molte di quelle persone dovevano attaccare con il lavoro, non potevano resistere con dei pantaloni a gamba lunga, era improponibile.
Saltavano all’occhio invece, quella schiera di giovani, con età compresa tra i tredici e i ventisei anni, la cui vita vuota e monotona, li costringeva a trovare delle “vie” alternative per scappare dai loro mondi tanto odiati, alternative che potevano essere o una banda, di moda tra i maschi, decisamente più violenti, oppure quello delle Gothic Lolita, ragazze vestite con abiti decisamente maid, solite portare buffi cappelli decorati, e ombrelli in tema con l’abito. Non erano pochi, inoltre, i party, tenuti anche al mattino, in cui questi ragazzi possono liberare il loro IO, possono sentirsi svincolati da quelle opprimenti regole imposte dai loro genitori, in quelle ore possono apparire chi d’avvero sono o vogliono essere. Loro erano attaccati da Aaron per il semplice fatto che si ribellavano in silenzio, organizzando appunto feste in discoteche periferiche, o almeno, conosciute solo da chi le frequenta, invece che opporsi al volere ostinato dei loro genitori, che gli impongono di seguire determinati esempi. Ma Aaron, che di questi problemi non ne ha mai avuti, avendo sempre detto ciò che pensa senza paura delle conseguenze che le sue parole avrebbero portato, non criticava solamente, lui rifletteva sul mondo e su come questo potesse essere cambiato in qualcosa di meglio, a partire proprio dal carattere dei singoli individui. Tutto quello era ciò che abitualmente il ragazzo pensava e faceva, ma ora era diverso, tra quelle persone cercava qualcuno, voleva delle prove, credeva, infatti, che a causare quelle morti non fosse la mano del destino, ma qualcosa di più pericoloso e vicino.
Guardandosi intorno, sentendosi quasi escludo dal mondo, si concentrò su ogni respiro, azione e chiacchiera, che gli giungevano ai cinque sensi. Localizzò, come un computer, le varie persone che lo circondavano, stilandone una sorta di didascalia, per trovare la gusta cavia. Un violento manrovescio chiamò l’attenzione del ragazzo che, voltatosi, vide una ragazza di appena sedici anni maltrattata da un ragazzo di poco più grande, lei, in ginocchio, subiva quei colpi in silenzio, lasciandosi però scappare lacrime cristalline, che riflettevano i raggi solari, proprio in direzione di Aaron. Nessuno muoveva un dito, le persone tendevano a scansare la coppia, fregandosene di cosa stava accadendo a pochi metri da loro, quest’atteggiamento era fin troppo abituale, difficilmente, infatti, si vedeva un eroe che aiutava i più deboli, in quella società che, gli eroi, li abbatteva.
Scosso, alquanto, da ciò che stava accadendo sotto i suoi occhi, con un sorriso beffardo, decise di dare manforte alla giovane, ma a distanza, infatti, se ciò che aveva intuito era esatto, sarebbe riuscito nel suo intento senza errore.

-*Bene, capiti a pennello, t’insegno io a prendertela con i più deboli!*- disse tra sé e sé, allontanando le tre dita che aveva poggiato al volto. Lui sospettava che le morti di quei giorni erano causate da qualcuno, che conscio o meno di ciò che stava facendo, toglieva la vita alle persone. Se le sue teorie erano esatte, anche lui era capace di uccidere, ma non aveva ancora capito come.
-*Okay, devo concentrarmi, sarà questa la chiave di volta. Ho letto molti manga, ho un vasto arsenale di scelte per attivare questa sorta di potere!!*-

Esclamò, tendendo la mano verso quel ragazzo, che, ignaro di tutto, continuava a menare la ragazza. Chiuse l’occhio sinistro, per ottenere maggior precisione, cercando di mantenere la mano ferma, inutilmente. Attese pochi secondi, e non vedendo nessun tipo di effetto, passò a una seconda prova, chiuse entrambi gli occhi, focalizzando il suo pensiero non su ciò che stava accadendo, ma a ciò di cui più caro aveva perso, pensò poi al volto della bambina tra i cavi elettrici e, infine, immaginò il ragazzo che aveva di fronte, provando una rabbia che non avrebbe mai immaginato.
-Adesso!!- urlò a voce altissima, aprendo gli occhi. La sua voce attirò, questa volta, le persone che passavano di lì.  Ma ciò che più scioccò i passanti, e Aaron stesso, fu ciò che sotto i loro occhi accadde. La mano del giovane, che stava per sferrare un nuovo colpo alla ragazza, rimase ferma in carica, mentre il ragazzo iniziò a tremare, non era paura quella, sembrò quasi che davanti non vedesse la ragazzina, ma la morte stessa. Pochi istanti dopo, all’ennesimo tremito, la mano iniziò a disgregarsi in tanti piccoli pezzettini, che volarono in aria come foglie al vento. Il ragazzo prese il braccio menomato con l’altra mano, non credendo a ciò che stava accadendo, attribuendo però la colpa di tutto alla giovane, non avendo sentito, nella foga, la voce di Aaron.

-Brutta puttana cos’hai fatto?- domandò poi a voce alta, allungando il braccio cercando di colpire con un pugno ben assetato il suo volto. Tra i due vi si intrappose Aaron, fermando il pugno con una velocità sovraumana.

-Ah- Ah. Lo sapevo!-

Disse poi, con un ghigno minaccioso in volto, un sorriso quasi diabolico, pari a quello di uno scienziato pazzo che aveva riportato in vita un essere umano. L’eccitazione era forte, così come la voglia di scoprire potenzialità e limiti di questa cosa, tutte quelle ipotesi che aveva supposto si erano rivelate veritiere, e questo lo rese eccentrico, finalmente avrebbe potuto attuare un piano di pulizia, agevolato in tutti i sensi da quel potere. Inaspettatamente, però, successe qualcosa che il ragazzo non aveva programmato, ma che non lo stupì più di tanto, ciò che era accaduto, fu che il pugno, che aveva fermato in precedenza, iniziò a disintegrarsi, così come l’intero braccio e, se non si fosse fermato, avrebbe tolto al ragazzo l’intero corpo. Il ragazzo, che aveva ormai perso la mano sinistra e l’intero braccio destro, non emise fiato, non era chiaro però se per paura o perché non sentiva dolore, fu chiaro comunque che lì era pericoloso, e  per questo scappò via, inciampando tre volte.

-Grazie di avermi salvata, sei il mio eroe- disse poi la ragazza con voce sottile, reggendosi a malapena sulle sue gambe, cercando appoggio sulla schiena di Aaron.

-Non vedo nessun eroe qui. Ciò che ho fatto, non era per proteggere qualcuno- replicò poi il ragazzo, prendendo sulle spalle la giovane, portandola poi su di una panchina al lato della strada. La gente intorno, dopo qualche minuto di perplessità, ritornò alla propria vita, come se quello che era successo non fosse mai accaduto.

-*Dunque, al minimo contatto l’azione è automatica, devo ricordarmelo. Devo fare più pratica!*-

Pensò Aaron, stringendo gli occhi, appoggiando la ragazza sulla panchina. Si raddrizzò e con un colpo di schiena, scrocchiò le ossa della spina dorsale, voltò lo sguardo verso qualcuno che, nella folla che attraversava su ogni lato dell’incrocio, lo stava fissando e che probabilmente aveva assistito a tutto. Un brivido lo scosse, gli occhi di quell’individuo erano accesi, nonostante la distanza che li separava si sentiva nell’aria una tensione mai riscontrata prima, quell’individuo tra la folla bramava quel potere. Un attimo, però, e quella tensione svanì, insieme al misterioso personaggio.

Sfortunatamente, colui che Aaron stava fissando nella folla, era Juro che, dal giorno precedente, lo stava pedinando, che, felice ed eccitato, si allontanò da quel posto. Saltellando per l’incontro cui aveva assistito, prese il palmare per informare l’altra agente di quanto aveva visto, ma accidentalmente il suo smartphone cascò nel tombino che aveva davanti, in seguito ad un inciampo. Rimasto con gli occhi spalancati per pochi minuti davanti a quel buco profondo, da cui saliva un odore sgradevole e nauseabondo, scosse il capo e si rialzò, non facendosi scrupoli nel chiedere il cellulare ai passanti.

-Scusi mi presta il suo telefono?- domandò a un agente della sicurezza di un palazzo d’affari.

-Ehi, Serena, mi senti?- chiese mantenendo il cellulare con due dita, con tanto di vivavoce.

-Ma dove sei finito???- domandò invece la ragazza, fin troppo calma dopo l’enorme esplosione che poco prima aveva intravisto tra i palazzi.

-Senti c’è stato un piccolo problemino da queste parti. Shishishi!- rispose quest’ultimo, ridendosela con gusto, mentre nei suoi occhi si riflettevano le fiamme dell’inferno.

-Ho delle notizie interessanti- aggiunse poi, attirando l’attenzione della giovane compagna.

-Non dirmi che sei stato tu a causare quella forte esplosione?!- esclamò lei, cambiando decisamente tono di voce, molto più serio e teso.

-Bhè, in effetti, non posso dire che qui faccia fresco, shishishi!-

Rispose Juro, con una risata isterica, allontanando le braccia in direzioni opposte, aperte allo spettacolo terrificante che si trovava di fronte. C’erano fiamme ovunque, i palazzi erano sommersi dal fumo, nero come la pece, che nascondeva un’immagine ancora più disastrata della zona, infatti, l’onda d’urto causata dal ragazzo, aveva frantumato tutti i vetri dei palazzi, e li aveva fatti collidere tra loro. Per strada c’erano cadaveri ovunque, ma anche persone che correvano cercando di spegnere quelle fiamme che avevano intorno a loro, tutto questo agli occhi di Juro che, senza rispetto alcuno, sedeva su una pila di corpi senza vita, che perdevano sangue a fiumi, ed erano quasi tutti carbonizzati. Senza la luce del sole, sembrava un teatro apocalittico, da cui nessuno sarebbe uscito vivo. Il giovane, che ancora rideva della strage che aveva fatto, prese una sigaretta dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni e, allungandosi verso un corpo che ancora andava a fuoco, si abbassò e la accese.

-Ho trovato quello che stavamo cercando!- riferì, dopo aver cacciato il fumo dal naso, passandosi un dito sulla guancia, pronto a raccontare tutto ciò che sapeva, ma ancor più esaltato dal fatto che, a momenti, sarebbero arrivati la polizia, i vigili e i mass media.
 
Nel frattempo Aaron era tornato a casa, si era chiuso nella sua stanza senza mangiare, eccitato più che mai da ciò che era successo ore prima, non facendo nemmeno caso a tutte le sirene che tempestavano la città. Sedutosi a gambe incrociate sul suo letto, rifletté su come avesse fatto a distruggere la mano di quel ragazzo, e comprese come serva un sentimento forte per azionare il meccanismo di disintegrazione dei corpi sui quali presta la sua attenzione. Ripercorse ogni attimo di quei momenti, focalizzandosi su ciò che aveva visto nella sua mente prima di attaccare, sperando di trovare un modo alternativo per attivare i poteri, giacché non avesse la ben che minima voglia di ripensare a quell’incidente che aveva innescato la reazione.

-Aaah, che strazio, devo riuscirci a ogni costo-

Disse, iniziando a fare svariate prove. I sentimenti che doveva provare li conosceva, così come i suoi obbiettivi, ma c’era dentro di lui una vocina che, come un tormento, continuava ad avere un timore; timore che, a lungo andare, avrebbe chiesto sempre più potere, entrando in un circolo vizioso da cui non sarebbe riuscito ad uscire. Fortunatamente il ragazzo era conscio di questa cosa, e si ripromise che avrebbe badato a ciò che faceva, avendo ormai trovato il modo per attuare il suo piano. Sicuro ormai di aver trovato un’alternativa per l’attivazione, si compiacque che una mosca entrò dalla finestra di fianco al letto, la fissò e senza indugiare la utilizzò come cavia, si concentrò su di essa e, utilizzando il nuovo sistema, chiuse l’occhio destro e vide la mosca librarsi in aria mentre ogni pezzo del suo minuscolo corpo si frammentava in infiniti altri pezzetti.

-Perfetto!- gridò il giovane, digrignando ancora, con gli occhi vuoti e completamente neri.


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Anche questo capitolo è concluso, come vi pare stia procedendo la storira? continuate a seguirla che i climax narrativi non tarderanno ad arrivare ;)

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Capitolo 5
*** Volontà ***


V CAPITOLO

Come ogni giorno il sole del mattino, all’alba, risplende sul blu del mare orientale, su quell’enorme specchio d’acqua che riflette le stelle, ancora visibili, della volta celeste, sfumata da quel violetto fugace che, pian piano, lascia spazio all’azzurro mattutino. Su quella distesa marina, a più di duecento kilometri dalla costa, vi era una piattaforma, non segnalata sulle mappe, grande quanto un aeroporto, distribuita su più livelli, di cui solo uno visibile dall’esterno.

Quella mastodontica struttura, non emetteva alcun suono, non aveva nessuna luce segnaletica, ne faro di sorta per segnalare la presenza, sembrava quasi una piattaforma fantasma. Enormi pilastri, disposti a cerchio, accompagnati da uno centrale che misurava il triplo di quelli esterni, sorreggevano i sette piani della struttura, appositamente numerati sui muri perimetrali, ben visibili nonostante la densità dell’acqua marina. Proprio nell’ultimo livello, vi era una stanza, munita di anticamera, che prendeva l’intera estensione della piattaforma; proprio a fianco della porta stagna che dava a suddetta stanza, vi era un monitor, che segnalava, a coloro che si trovavano nell’anticamera, la temperatura cui era sottoposto chiunque vi entrasse. Attualmente quello schermo, tirato a lucido, segnava ben settanta gradi centigradi, con un’apposita freccia ad indicare l’incremento della temperatura tendente all’alto. All’interno dell’anticamera, vi erano tre individui: Juro, tornato alla base per fare rapporto su quanto aveva visto in centro, e su cosa aveva combinato in seguito; Serena che, a braccia conserte, attendeva l’uscita di chi si trovava nella stanza termica; e infine vi era un’altra persona, alta, con i capelli castani, poco lunghi, legati da un nastro nero, di corporatura robusta. Poggiato alla parete, con gli occhi chiusi, era in uno stato di meditazione, attendendo anch’egli l’uscita del compagno dalla stanza. Rioga era il suo nome, rispettato da molti lì alla base; le sue abilità erano sconosciute alla maggior parte di loro, temuto persino da Juro, nonostante avesse appena ventitré anni, si trovava in quella base da ben otto. In seguito ad un incidente però, questi aveva perso il braccio destro e la mano sinistra, che furono prontamente sostituiti da parti meccaniche ricavate da una lega quasi indistruttibile, composta da ferro, carbonio e diamanti; all’esterno queste parti sembrano comuni arti, in quanto rivestite da una speciale gomma simile al tessuto cutaneo umano, solo tre viti, che legano il braccio alla scapola destra si vedono perfettamente, di colore grigio scuro, reticolate.

Intanto la temperatura riportata dal display era salita ancora di più, emettendo un suono ogni grado aumentato. All’ennesimo bip, Rioga aprì un occhio, di un verde smeraldo, rimanendo sbalordito dalla temperatura di oltre ottanta gradi cui Walter, il ragazzo che si trovava all’interno, si stava sottoponendo. Proprio al di là della parete infatti, il calore era ben visibile in forma gassosa, che creava un effetto ottico di smussamento dell’immagine, le gocce di  sudore non avevano tempo di raggiungere il suolo, evaporando a pochi centimetri da esso. I capelli del ragazzo erano protetti da uno speciale casco, per evitare che prendessero fuoco, mentre il resto del corpo, era scoperto, meno la parte inferiore, che era coperta da una tuta ultraleggera cromata all’esterno così che il calore faticasse a entrare; a ogni movimento del busto tutti i muscoli del giovane si muovevano armonicamente, contraendosi e dilatandosi a vista d’occhio. A causa delle alte temperature, ogni colpo sferrato dal ragazzo era seguito da un vortice di fiamme che si accendevano al solo sfregamento dell’aria da parte dei pugni; inoltre, ogni sequenza di colpi l’aria si spostava così velocemente da creare innumerevoli tagli nelle pareti perimetrali del locale, completamente bianco così da contenere il calore e non catturarlo. Con gli occhi chiusi continuava a colpire a una velocità impressionante, spostandosi a destra e sinistra senza soluzione di continuità, sembrando quasi che stesse danzando al centro della stanza. Un po’ alla volta, però, i colpi diventavano più pesanti e più violenti, dovuto al fatto che il giovane fu circondato da ricordi poco piacevoli, quei momenti della sua vita che avrebbe tanto desiderato dimenticare ma che, come il giorno e la notte, ritornavano costantemente a galla.
 
-Perché è successo a lei, che centrava con l’operazione. Far del male ad un innocente solo per ferire l’avversario non è un comportamento leale- ricordò Walter, in immagini sfocate; era un giorno in cui la pioggia batteva incessantemente, lui, inginocchiato in un cumulo di fango, reggeva il corpo senza vita di una sua compagna, nei suoi oggi colmi di lacrime si rispecchiava il volto insanguinato della giovane che, morta tra le sue braccia, sorrideva, voleva che rimanesse un ricordo puro, senza macchia, di una persona che ha vissuto con la consapevolezza di morire, e che lo aveva fatto nel modo che sperava, tra le braccia della persona che amava.

-Non disperarti, trasforma il dolore in rabbia e la rabbia in forza. Devi annientare chi ha fatto del male a te e a lei, devi vendicarla.- disse una figura alle sue spalle, poggiandogli la mano sulla spalla, comprendendo il dolore che stava provando, cercando di dargli supporto, non trovando però le parole adatte.

-La vendetta non me la riporterà indietro. Non si può ingannare la morte, ne tanto meno la vita altrui ingannerà me- rispose il ragazzo, col cuore colmo di tristezza. Vide la sua vita spezzata in due, la persona che amava era morta, lui non l’ha potuta salvare e non riusciva a capacitarsene.

-Perché la gente intorno a me muore… Perché la mia esistenza è condannata ad esser sola!!- urlò, poi, colmo di collera, mentre le gocce bagnavano il suo viso, e nascondevano tutte le lacrime versate per la giovane. Intanto, con l’ennesima goccia cadente sul suo volto, gli occhi si tinsero di un nero intenso, nel quale sarebbe stato facile perdersi, un nero che avrebbe inghiottito la sua anima e non l’avrebbe più lasciata andare.
 
Rivedere il suo volto, nei suoi ricordi, fece riaccendere la rabbia che un tempo lo dominava; riaprendo gli occhi, rossi come le fiamme più profonde dell’inferno, scagliò una raffica di colpi senza sosta che mandarono in tilt il sistema di riscaldamento della stanza, che iniziò ad aumentare vertiginosamente, lacerando così anche la tuta progettata per proteggere il corpo dal calore. Cadde in ginocchio a terra, flashando l’istante in cui tra le sue braccia morì la compagna, e perdendo il contatto con la realtà, rimase immobile senza controllo alcuno. Fuori Rioga fu il primo ad avvertire il cambiamento, infatti, alzatosi di corsa, sfondò la porta e recuperò Walter; isolando poi la camera per evitare che il calore si propagasse. Per chi si trovava fuori, l’unico spettacolo visibile era quel vortice di fiamme che all’interno continuava a girare vorticosamente, era stato cauto Rioga ad evitare che l’ossigeno presente nell’anticamera prendesse fuoco, ma all’interno ormai attorno al corpo dell’amico di squadra le fiamme si erano già sviluppate.

Portarono di corsa il corpo in infermeria, dove fu curato per ustioni gravi in più parti del corpo. Sembrava avesse del tutto perso i senti ma, quando l’infermiera toccò la cicatrice che aveva, a lato destro, poco al di sotto del bacino, il ragazzo si riprese stritolando con prepotenza il polso della povera infermiera; era sveglio, sì, ma non in lui, davanti a se vedeva solo il volto dell’artefice del brutale assassinio di quattro anni prima; fu Rioga a allentare la sua presa, e a colpirlo forte, tanto da farlo svenire di nuovo. Tutti erano in pensiero per lui, Serena in primis, la quale aveva paura di perderlo del tutto, mentre Juro voleva solo affrontarlo per considerarsi il migliore della squadra.
 
-Lasciatelo riposare, ci raggiungerà dopo nella sala riunioni!-

Riferì con tono imperioso lo stesso Rioga al resto del gruppo, facendo cenno con la mano di raggiungere il livello superiore. Entrati nel largo ascensore, ripensò a ciò che aveva visto nella camera termica; ne aveva paura, ma non quel tipo di paura che si prova quando ci si trova a tu per tu con un lupo affamato, ma la paura che si prova quando si affronta qualcuno che non ha nulla da perdere, lui conosceva quella sensazione e ne era turbato. Saliti, percorsero un breve corridoio grigio, illuminato solo dalle luci sulle pareti. Entrarono nell’ultima porta a destra, che dava direttamente alla sala; Il design dell’intera stanza era molto curato, pareti blu scuro, con varie sfumature date dell’oceano che si vedeva dalle vetrate di cui era composto l’angolo della stanza. I tre si sedettero nei primi posti liberi, il tavolo centrale aveva dieci sedie, e al centro vi era un monitor che proiettava le immagini direttamente di fronte a chi sedeva. Passata un’ora, mentre riorganizzavano i rapporti di metà anno, Walter aprì la porta lentamente, con il palmo completamente disteso su di essa; Entrato, si toccò le fasce che gli erano state messe, attirando lo sguardo di Juro e Rioga, per motivi diversi ovviamente.

-Dovresti riposare, recuperare le forze!-

Disse quest’ultimo, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso il ragazzo. Era preoccupato per le sue condizioni, aveva passato più di sette ore ad allenarsi e il corpo ne aveva risentito, questo Rioga lo sapeva, per questo cercava in tutti i modi di convincere il compagno ad ascoltarlo, ma questi era cocciuto e non analizzava a freddo quanto gli era accaduto; cosa strana dato che lui tende sempre ad analizzare tutto per poi trarne le giuste conclusioni.

-Non è un problema, finché mi reggo in piedi, farò il mio dovere fino all’ultimo!-

Rispose Walter, il cui sguardo era perso nel vuoto, gli occhi erano completamente neri, di quel nero in cui era facile perdersi e non trovare la via d’uscita. All’improvviso, però, uno squillo attirò l’attenzione di tutti, i loro palmari erano collegati all’unità centrale di quella base, quindi la melodia proveniva dal computer centrale sul tavolo; Sui 2 schermi di fronte a Juro e Serena, fu visualizzato il numero, con riferimento “sconosciuto”, al quale, per curiosità, si affrettarono a rispondere.

-Fratelloneee. Fratellone mi sentiii. Oddio non risponde nessuno, avrò fatto bene il numero!?- disse la voce dall’altra parte del monitor; voce che doveva per forza appartenere ad una bambina, la sorella minore di Walter.

-Ehii, quante volte devo dirti di non chiamarmi su questo numero sciocchina?- domandò quest’ultimo, sedendosi al proprio posto, mostrando un sorriso sereno in volto, che mise di buon umore il resto della squadra.

-Che bello risentire la tua voce- rispose lei sorridente, snobbando la domanda postagli dal fratello. –Per di più non torni a casa da mesi, persino Lory pensa che non farai più ritorno- aggiunse poi, mettendo il broncio. Il monitor aveva visualizzato la bimba tramite la web-cam che la piccola aveva sul telefono di casa, ma questa non vedeva né il fratello né la squadra.

-Ma certo che tornerò, che discorsi sono. Sai che sto fuori per lavoro, te l’ho spiegato, sai quanto vorrei stare con te e Lory!- esclamò il ragazzo, facendo un lungo sospiro e portandosi la mano dietra alla nuca.

-Shi questo lo so..- rispose la bimba, abbassando lo sguardo, mentre si iniziavano a formare delle leggere lacrime poco sotto agli occhi. –Mamma e Papà continuano a litigare, tu non ci sei più, non ho più nessuno con cui stare!!-

Continuò, con singhiozzi rotti, cercando di nascondere le lacrime. Era una bambina sì, ma era forte, il fratello le aveva insegnato a badare a se stessa quando non c’era, ma la viziava nel momento in cui tornava a casa, quelle poche volte in cui faceva ritorno.

-Cosa?! Ehi, ehi, non dire più cose simili, io sarò sempre al tuo fianco, il mio lavoro mi costringe a stare via a lungo ma non ti lascerei mai sola, ti sono sempre vicino, poi come vedi puoi sempre chiamarmi- rispose il ragazzo, commuovendosi di fronte al monitor, allungando la mano, sfiorando il viso della piccola.

-Questo lo so, me lo ripeti sempre, ma non ce la faccio. Quando loro urlano in cucina io, non ho più i tuoi abbracci caldi a sostenermi, mi chiudo in camera ma non riesco a distrarmi… tu sei l’unico che mi capisce e mi sta sempre accanto… Allora perché adesso non ci sei?-

Urlò la bambina, con entrambe le mani agli occhi, cercando di fermare le lacrime che scorrevano a fiumi. Il respiro era affannato, il cuore le batteva all’impazzata, non riusciva più a controllarsi, il dolore che provava anche solo a raccontarlo era enorme.

-Oh Wendy!!- singhiozzò Walter, con la mano chiusa a pugno sul tavolo, che tremava alla vista del giovane volto straziato dalle lacrime.

–Ti prometto che tornerò presto, non ci vorrà molto!!- esclamò a voce alta, che spaventò Juro, il quale sentiva addosso una strana pressione.

-Davvero? Non è solo una scusa per farmi smettere di piangere?- chiese la piccola, tirando su il moccolo.

-Piangere a volte è il miglior modo per sfogarsi, per far uscire le cose cattive che ogni giorno tentano di corromperci. Con le mie parole non cerco di consolarti, non ne ho l’intenzione, voglio solo che tu sia forte fino al mio ritorno, me lo prometti?- rispose Walter, i cui occhi brillavano vedendo il volto della sorella rianimarsi di speranza.

-Tornerai sul serio allora… ti prometto che terrò duro!!- replicò questa, sicura di se, con un’espressione seria e risoluta.

-Ascolta… Quando loro litigano, vai nella mia camera, prendi l’mp3 dalla mia scrivania e ascolta la musica; la musica è il modo migliore per alleviare i dolori che ci tormentano, e ascoltando le mie canzoni starò più vicino di quanto immagini. Arriverò presto!! Ora devo andare, abbi cura di te…- concluse poi Walter, apprestandosi a cliccare il pulsante di fine chiamata.

-Grazie fratellone torna prestissimo. Ti voglio bene!!- furono le uniche parole della sorella, immensamente felice di aver riascoltato la voce del fratello da lei più amato. Gioia che traspariva dagli occhi, unico e vero specchio dell’anima.

-Anch’io…-

Rispose, infine, il ragazzo, chiudendo definitivamente la chiamata. Si voltò e, nonostante avesse il braccio fasciato, diede un colpo al muro che dava al corridoio esterno, abbattendo la parete che aveva di fronte e quella dietro.

-Ragazzi, sbrighiamoci a concludere questa faccenda, ho un conto in sospeso da saldare!!- furono le agghiaccianti parole di Walter, i cui occhi tornarono ad essere persi nel vuoto.
 
Tornarono tutti a sedere, e iniziarono il briefing* che durò più di tre ore. Da quello che sapevano, si era evinto che qualcosa era andato storto, che la profezia stava cambiando, e loro non si riuscivano a spiegare il perché. Tutti un po’ scossi cercavano delle possibili ipotesi per comprendere il vero motivo del mutamento, la risposta naturalmente non tardò ad arrivare. Materializzandosi davanti a tutti, al capotavola opposto, un’ombra oscura disse loro l’unica soluzione alle loro domande, la voce era alterata, da quella figura scura si potevano chiaramente distinguere una sorta di collare posizionato sotto la gola, e un punto rosso al posto dell’occhio sinistro. Da quando quell’essere era apparso, l’aria si era fatta pesantissima, la pressione che emanava sul resto del gruppo era enorme, da ciò si può benissimo comprendere la differenza di potenziale tra i quattro presenti e il nuovo arrivato. Non perse tempo in inutili giri di parole, detto loro quanto sapeva, sparì così com’era arrivato, lasciando negli altri un senso d’impotenza di fronte al suo potere.

-Avete sentito tutti no! Ci ritroviamo nell’hangar principale tra meno di un’ora, mi raccomando non tardate-

Disse, così, Walter alzandosi dalla poltrona e dirigendosi verso l’ascensore che portava all’esterno, seguito da Rioga; nel frattempo Juro e Serena, guardandosi reciprocamente, decisero di sottoporsi a un allenamento intensivo di appunto un’ora, così da non essere inadatti per la missione.

Arrivati in superficie, Walter e Rioga si avvicinarono ai bordi esterni della piattaforma, sedendosi con i piedi fuori da quest’ultima. Il sole era calato, mancava poco al tramonto, e Walter non faceva altro che ricordare i tramonti perduti in compagnia della sorella minore, fissando quella sfera arancione, rivedeva il volto di Wendy, l’unica persona più importante della sua vita; Molte volte l’avevano presa di mira, per arrivare a lui, ma nessuno era mai riuscito a prenderla in ostaggio, si può dire che Walter è per la sorella, più un angelo custode, che lei non può vedere, più che un fratello maggiore. Comunque si pone, resta evidente che l’amore di Walter non conosceva limiti, e pur sapendo che il suo lavoro mette a rischio le persone intorno a lui, ha deciso di continuare e proteggere al contempo tutti, consapevole, però, che non potrà esserci per sempre. Portò le mani dietro il corpo, stendendosi quasi, cercando una sorta di serenità interiore, per evitare che il suo lato oscuro prendesse il sopravvento, in un momento in cui “quello” non era minimamente optabile.

-Credi ci vorrà molto per portare a termine questa missione?-

Chiese al compagno che, di fianco a lui, continuava a fissarlo con un sorriso quasi paterno, comprendendo il peso che il ragazzo aveva deciso di sopportare, cercando in tutti i modi di non abbandonarlo per nessuna ragione al mondo.

-Sinceramente…- disse voltandosi verso l’oceano. –Non ho idea di quanto ci vorrà. Ma non sei costretto a venire, dopotutto hai promesso che saresti tornato presto… questa missione è di tipo S, rischieremo la vita di questo ne sei consapevole vero?- rispose, con tono serissimo. Non aveva preso la cosa sottogamba, era convinto di quello che pensava, quella era la missione più difficile che avessero mai avuto, missione per la quale si erano preparati da anni.

-Io non mi tirerò indietro. Solo che… Voglio rivedere il suo volto ancora una volta prima di morire!- disse, invece, Walter con le lacrime agli occhi, singhiozzando come un bambino. –Posso fare il duro quanto voglio, ma sotto questi muscoli ho comunque un cuore…- continuò, toccandosi con la mano destra il petto. Ripresosi poco dopo, si rialzarono, quasi come quella conversazione non fosse mai avvenuta; Riuscirono a essere lucidi e cinici come sempre, dirigendosi verso gli altri due per organizzare i gruppi.

-Bene, è giunto il momento di fare la prima mossa. Cercate di non sottovalutare nessuno di loro, una minima esitazione e poteste perdere la vita.- iniziò Rioga, guardando dritto negli occhi i tre compagni.

-Ma dai, li hai visti? Come sarebbe a dire che alla minima esitazione potremmo morire?-

Disse con spavalderia Juro, strofinandosi il dito sotto il naso. Il suo ego era sconfinato, non considerava mai i rischi, credeva di essere il numero uno; la sua potenza era enorme, è vero, ma ciò non toglie che non era imbattibile.

-Esattamente come adesso potresti morire!- disse Walter che, con uno scatto impercettibile, aveva preso alle spalle Juro e, con le unghie affilate della sua mano, trasformatasi in un istante, attentava alla sua vita.

-Basta V, non è il momento di perdere tempo in simili sciocchezze. Come stavo per dire, ci divideremo in tre gruppi…- continuò poi Rioga, ripetendo a gesti tutto ciò che diceva. –Juro, tu affronterai il ragazzo che hai visto in centro, conosci il suo volto, inutile perdersi in descrizioni inutili; Serena e Walter andranno a cercare l’altro ragazzo, adesso sappiamo dove cercare grazie alle informazioni che ci ha dato poco fa. Io andrò in ospedale a cercare l’ultimo ragazzo.-

-Aspetta un po’, perché tu hai la preda più facile?- chiese, ancora, senza rispetto, Juro, indicando Rioga.

-Preferiresti uccidere qualcuno che non può neanche affrontarti?- rispose lui, annientando il suo ego col solo sguardo.

-No, infatti, le mezze seghe le lascio a te!- disse il ragazzo, prima di sparire nel nulla.

-Ecco non mi ha fatto nemmeno finire di riferirvi tutto. Lo dirò a voi, lui avrà la sorpresa; i due ragazzi che andrete a scovare sono consapevoli dei loro poteri, e potrebbero darvi filo da torcere, dopotutto sono umani!!- disse, più serio che mai Rioga, agli altri due. La sua voce sembrava tremare, possibile che lui avesse timore che la missione fallisse?

-E per quanto riguarda l’ultimo?- domandò Serena, con le mani, delicatamente, poggiate sui fianchi.

-Lui non sarà un problema… Per ora! Vi do tempo fino alle nove di martedì, avete giusto una settimana per catturarlo!-

Concluse Rioga, voltandosi verso l’elicottero, che da poco era atterrato sulla piattaforma. Walter prima di sparire, vide in lontananza l’amico avvicinarsi verso il velivolo, con la giacca che si alzava a causa del vento generato dalla rotazione delle pale. La sensazione che quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe visto, albergava ormai nel giovane, che sentiva il cuore in frantumi.

Nel frattempo Aaron, che negli ultimi giorni si era allenato nell’uso del suo strano potere, si trovava in un parco, ormai illuminato dai raggi lunari e dalle luci che seguivano le sue lunghe vie. Continuava a pensare all’uso che ne avrebbe dovuto fare; non era nel suo stile aiutare il prossimo, ma non era da lui far del male a gente innocente. Nella sua testa vi erano due sentieri, l’eroe che aiutava i più deboli contro la feccia che dominava le strade di Osaka, o il cavaliere oscuro che punisce giusti e infami, basandosi semplicemente su un’etica personale che, non vi erano dubbi, contrastava con quella civile. Mentre rifletteva sulla strada da intraprendere, le luci dietro di lui iniziarono a rompersi, una ad una. Si voltò di scatto non per paura, piuttosto, perché sentiva una strana presenza addosso, che non si riusciva a spiegare; quando poi si rivoltò, di fronte a lui vide lo stesso straniero che quel giorno, tra la folla, osservò il suo spettacolo.

Le mani cominciarono a tremare, un tremolio di piacere, sapeva in qualche modo che quell’individuo era simile a lui, e il fatto di poter testare i poteri in un combattimento alla pari lo eccitava. Nella foga del momento, riuscì a tenere i nervi saldi e chiedere chi fosse; quello rispose, e non chiese la medesima domanda ad Aaron, sapendo già tutto del ragazzo. Questi se ne accorse, e cercò di mettersi subito sulla difensiva, stupito però da ciò che il suo nuovo avversario fece proprio in quell’istante; egli si avvicinò lentamente, porgendo la mano destra, aperta, verso Aaron, quei movimenti lenti, a poco a poco, aumentarono, inspiegabilmente, la tensione nel ragazzo.

-Nessuna esitazione. Battito di poco sopra la media. Sudore freddo. Mi temi, dico bene?-

Domandò Juro, avvicinandosi sempre più, a passo lento e fermo. Sorridendo come un maniaco, che aveva trovato una preda succulenta da saggiare.

-Se vuoi combattere sbrighiamoci, non ho tempo da perdere con gente come te!-

Esclamò Aaron, facendo un passo indietro. La difensiva del giovane non si ruppe, tutt'altro, si consolidò; si sarebbe aspettato tutto da quel tipo, il suo volto non gli suggeriva nulla se non la pazzia allo stato puro, ma sapeva che un modo per sconfiggerlo lo avrebbe trovato, doveva solamente mantenere i nervi saldi.

-Combattere? Tsè, ma mi prendi in giro? Con te non posso “combattere”!-

Disse questi, ridendo a crepapelle. Una risata che non auspicava nulla di buono. La mente di Juro era invasa da pensieri perversi e macabri, degni di una mente malata come la sua.

-Renderemo questo scontro più interessante. Proporrei una sfida, che ne dici?- domandò lo stesso, alzando leggermente il capo, mostrando i suoi occhi cremisi.

-Che intenzioni hai?- chiese, invece, Aaron, turbato da quello sguardo che lo stava pietrificando.

-Aaah, nulla di complicato per una schiappa come te. Ti affronterò usando solo la mano sinistr, anzi, solo il palmo della mano sinistra! Se mi costringerai, cosa improbabile, ad usare la destra avrai vinto lo scontro!-

Spiegò, stando attento ad usare bene le pause tra un dichiarazione e l’altra. Il ghigno che ricopriva il suo volto, finita la spiegazione, non auspicava nulla di buono. Il suo dito che si muoveva in tondo, creava una tensione maggiore in Aaron, il quale credeva fosse tutto uno scherzo per attaccarlo di sorpresa. Sfortunatamente Juro non scherzava affatto, anzi aveva intenzione di giocare con la mente di Aaron emulando proprio colui che temeva di più all’interno della squadra. Aaron aveva un nodo alla gola, nella sua mente ripensava alle strane regole di quello scontro, cercava di comprendere se erano a lui favorevoli o meno. In quella confusione totale, una voce dentro di lui lo incitava a provarci, solo per togliere quel fastidioso ghigno dal volto del ragazzo.

-Bene, ti avverto che non attenderò molto per una risposta. Hai dieci secondi per decidere!-

Esclamò poi Juro, interrompendo quel flusso di dati che riempivano interamente la mente di Aaron. Il ragazzo iniziò a sudare, le palpebre si chiudevano da sole, la paura e la stanchezza si facevano sentire, ma, a causa dell’adrenalina, Aaron non se ne accorse.

-Dieci… Nove… Otto…-

Il conto alla rovescia iniziò, e Aaron non aveva ancora preso una decisione. La cosa grave era che, qualunque cosa scegliesse, alla fine del conteggi lo scontro sarebbe stato inevitabile, e Juro questo lo sapeva bene. Quella notte si preannunciava ricca di avvenimenti, il destino di Aaron era più incerto che mai, così come quello degli altri due ragazzi che presto avrebbero ricevuto, allo stesso modo, delle visite inaspettate e poco amichevoli...


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*Briefing: relazione che contiene informazioni per svolgere una determinata missione. (Nomi, piste, luoghi conosciuti del nemico, ecc..)
 
 

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Capitolo 6
*** Scelte ***


VI CAPITOLO

Mentre con le mani, Juro, continuava il conteggio dei secondi, il vento spostava delicatamente gli alberi che circondavano il vialetto del parco dove si trovavano i due ragazzi. La luna si specchiava nelle gocce di sudore che Aaron perdeva dalle punte delle dita; a ogni secondo, scandito dalla voce di Juro, una goccia toccava terra emettendo un rumore sordo sulle pietre del viale. Aaron prese la decisione che gli sarebbe costata la vita, mandò giù il nodo che gli si era creato alla gola, si aggiustò, rompendo la posizione di guardia, sgranchendo le ossa del collo, e accettò la sfida.

-Non ho trovato altro modo per affrontarti, mi duole dirlo ma accetto la sfida!!- disse con convinzione, puntando il dito verso il suo avversario. Sperava che quest’ultimo fosse un uomo di parola, essendo consapevole che senza quella limitazione che egli si era imposto, lo avrebbe massacrato.

-Oh! Ma bene.. ha le palle ragazzino, per questo ti lascerò fare la prima mossa- rispose Juro sorridendo, portando al contempo il braccio destro dietro la schiena. Era sicuro della sua superiorità, dopotutto il suo ego smisurato non aveva mai trovato ostacoli insormontabili sulla sua strada, anche se un dubbio iniziava a scomporgli quella sua sicurezza, portandolo a fremere pur di verificarlo.

-*Attaccherà da destra. È talmente stupido che cercherà di sfruttare il mio punto di svantaggio*- pensò Juro, continuando a intimare Aaron ad attaccare.

-*Sei un cretino se pensi che ti attaccherò da destra. Solo uno stupido sfrutterebbe il tuo handicap*- ragionò il ragazzo, lanciandosi verso l’avversario tenendo la destra.

-HA! Sapevo che avresti attaccato da destra!- urlò Juro, spostandosi verso sinistra per ottenere lo spazio necessario affinché potesse colpire Aaron con il palmo sinistro.

-Per questo ti colpirò da sinistra!-

Rispose invece il ragazzo, spostandosi rapidamente dietro il braccio sinistro dell’avversario, sperando di afferrarlo per spezzarglielo. Con la coda dell’occhio, però, Juro riuscì a vedere il rapido spostamento di Aaron e, muovendosi più rapidamente di lui, ritirò il braccio colpendolo in pieno volto col palmo della mano, generando con la stessa un’onda d’urto che spostò il giovane. A mezz’aria Aaron riprese il controllo del suo corpo e, ormai parallelo al suolo, portò braccia e capo all’indietro per sobbalzare di nuovo in piedi subito dopo. Continuò l’attacco, si diresse basso verso l’avversario, si fermò col piede a pochi millimetri da Juro, cercando di colpirlo con il gomito; il colpo fu evitato grazie ad uno scatto all’indietro, approfittando poi della posizione d’attacco di Aaron, Juro ruotò verso destra e con la mano sinistra scaraventò al suolo la testa del ragazzo, distruggendo il viale e creando un solco per terra . Appena la testa di Aaron si alzò da terra, si poterono vedere distintamente gli occhi bianchi e il sangue che seguiva il movimento ascensionale del capo. Non contento Juro prese, sempre con la mano sinistra, la giacchetta di Aaron, lanciandolo per aria, facendolo atterrare proprio sul suo palmo, generando l’onda d’urto proprio sul costato del ragazzo. Juro si voltò, sicuro che non si sarebbe rialzato, cosa che però Aaron fece, intenzionato pertanto a batterlo.

-Eh eh! Cos’è, credi di avermi messo K.O?- disse scioccamente Aaron, cercando di irritare ancor di più l’avversario. –Mettiti in testa queste parole: Io non mi arrenderò, ti leverò quel sorrisetto beffardo che hai!- questa frase risuonò nella testa di Juro, che lo riportarono indietro con gli anni, quando si allenava con suo fratello.

-Bravo, sei migliorato, ho dolori lancianti in tutto il corpo!- esclamò il fratello, rialzandosi tutto sanguinante a causa del recedente attacco di Juro.

-Lascia perdere, non mi puoi battere, finirai per rimetterci le penne!- rispose Juro, dando le spalle al fratello minore. Le ferite che aveva Juro erano ancor peggio di quelle del fratello, ma lui non ne sentiva gli effetti, a causa del suo ego ogni dolore era represso, e questo gli permetteva di continuare ad attaccare senza curarsi della difesa.

-Tu non capisci: Io non mi arrenderò!- ribatté il fratello, col sorriso sul volto, sorriso che gli donava una strana luce, la stessa che Juro vide sul volto di Aaron quando si voltò.

-Vuoi continuare quindi, ti accontento subito!- furono le parole che Juro disse al fratello, e furono identiche anche nello scontro con Aaron, che si vide subito attaccare dall’avversario, ma questa volta lo vedeva bene.

Avendo visto arrivare il colpo, Aaron lo evitò, ricevendone, però, un altro in pieno volto; mentre la testa si spostava verso destra, tuttavia, il ragazzo poggiò il braccio a terra e colpì, con un calcio potente, Juro in pieno volto. Rimasto in piedi, Juro si congratulò per la tenacia che stava dimostrando Aaron, e lo invitò a contrattaccare nuovamente; l’invito fu preso alla lettera, il ragazzo si lanciò menando un pugno con la mano destra, evitato dall’avversario, il quale sferrò un colpo dritto al fianco, colpo evitato da Aaron, e restituito al mittente che si spostò evitandolo nuovamente.

-Mi dispiace.. sembra che i tuoi movimenti stiano rallentando!- riferì con risolutezza Aaron al nemico, lasciandolo senza parole. Juro non capiva il significato di quelle parole, i suoi movimenti erano sempre gli stessi, non aveva accennato neanche un secondo a rallentare, eppure Aaron aveva appunto accusato questo.

-*Ma che cazzo dice. Deve essere un bluff, io non sto rallentando i miei movimenti*-

-*Possibile che stia migliorando adesso, sul campo di battaglia?!*-

-*No, è da escludere, nessuno può farlo, nessun umano. Ma allora che diavolo sta dicendo, sta mentendo, sicuramente!!*-

Tanti furono i pensieri che riempirono la mente di Juro dopo aver udito le parole di Aaron, era preoccupato, pur essendo sicuro della sua superiorità temeva che quel ragazzo potesse superarlo se, col tempo, si fosse allenato. Juro, si trovò di fronte ad un muro, un muro che lo separava dalla supremazia di quell’incontro, doveva distruggerlo, superarlo, doveva dimostrare a se stesso che il suo potere non vacillava, che avrebbe sconfitto l’avversario usando solo una mano, solo il palmo; nella sua mente, la sua immagine di fronte al muro, fu affiancata da quella di Aaron, che con un colpo lo butta giù, immagine che mandò Juro su tutte le furie.

-Ahahah.. ma cosa credi di fare, non montarti la testa, cazzone! Annienterò la sicurezza che stai acquistando, e ti schiaccerò in modo definitivo!-

Gridò Juro, digrignando sadicamente contro l’avversario che, immobile, lo fissava attendendo il momento adatto per attaccare. Arrabbiato, Juro, caricò il suo potere, distruggendo parte del campo di battaglia che lo circondava; il terreno s’iniziò a sgretolare e si alzò lentamente, i sassi iniziarono a farsi in mille pezzi e il cielo si annuvolò.

-*Che sta succedendo? Pensavo che con quella frase avrebbe vacillato, ma qui sembra che abbia attenuto l’effetto contrario*-

Disse, tra sé e sé, Aaron decisamente preoccupato per le sorti dell’incontro. Juro muovendosi a velocità impercettibile, seguito da una scia di distruzione, colpì in pieno volto Aaron, ancora incredulo dei movimenti effettuati dall’avversario, che volò contro un albero, la cui corteccia si distrusse completamente, si rialzò pochi istanti dopo il contatto, dolorante in volto a causa dell’onda. Pulendo il labbro, sporco di sangue, con la mano, iniziò a pensare a un nuovo schema d’attacco, avendo costatato di persona che l’avversario era più veloce e agile di lui. Poco prima di rialzarsi raccolse un pugno di sabbia che si trovava ai piedi dell’albero; si diresse verso Juro, tendendo il pugno sinistro, prontamente respinto col palmo, ed è proprio in quell’istante di sbilanciamento per entrambi che Aaron aprì la mano destra, lanciando la sabbia negli occhi di Juro, che si divincolò cercando di pulirli.

-Brutto stronzetto, che cazzo credi di fare!!- iniziò a dire Juro.

–Sei una canaglia, aspetta che ti prenda, ti caverò gli occhi e ti taglierò ogni dito della mano. Figlio di puttana!!-

Continuò a dire, cercando di raggiungere il laghetto poco distante da li. Aaron però non si perse di coraggio e con la gamba destra lo fece cadere a terra, per poi afferrarlo per le gambe e lanciarlo dalla parte opposta. Sfortunatamente, con la testa, Juro colpì una fontanina che lavò via i granuli di sabbia dagli occhi, ormai del tutto arrossati. Si voltò verso Aaron e lo raggiunse, alle spalle, con uno scatto che il ragazzo nemmeno vide, gli prese il braccio destro e glielo spezzo, staccandolo, di fatto, dalla scapola. Le grida del giovane risuonarono per tutta l’area, quella voce straziata dal dolore spaventò quei pochi passanti che si trovavano ai limiti del parco, che, però, non fecero nulla per aiutarlo o quantomeno capire da cosa erano provocate. Il sangue iniziò a fuoriuscire dalla bocca di Aaron che aveva gli occhi rossi e lacrimanti; ormai il braccio destro era fuori uso, e il dolore non lo faceva concentrare lasciandolo in balia dell’avversario, che lo prese per le tempie, con la mano sinistra, e lo sbatté ripetutamente contro il primo albero che vide.

-*Oddio cosa dovrei fare, il braccio mi fa un male cane, se non bastasse sembra che voglia spedirmi all’altro mondo!*-

Cominciò a pensare Aaron, ormai caduto in un limbo buio e umido, estraneo alla realtà, dove non sentiva il dolore fisico che, fuori, stava provando. Trovandosi in quel luogo, ne approfittò e rifletté su cosa avrebbe dovuto fare, quali mosse adoperare per riuscire a far utilizzare al suo avversario la mano destra. Chiuse gli occhi, e ripensò ai movimenti che eseguiva Juro; non trovò schemi fissi, quel tipo sembrava muoversi senza un senso logico, il che rendeva impossibile trovare uno schema che si adattasse, finché un pensiero, malato, gli passò di mente, un modo per attenuare il dolore e colpire il suo avversario di sorpresa. Tornò a contatto con la realtà, cercando di sopprimere il dolore, afferrò con entrambe le mani il braccio di Juro che, con suo stupore, iniziò pian piano a decomporsi in piccoli frammenti; prima che fosse troppo tardi quest’ultimo lasciò la presa e si allontanò, felice di avere ancora il braccio intero. Scuotendo la testa, Aaron riprese i sensi, si voltò e, senza interruzione, ripartì all’attacco, stupendo persino il suo avversario. Pensando a ogni singolo movimento che stava facendo, attaccò con il braccio sinistro, ancora sano, vedendolo respinto per due volte di fila; sorrise, si mosse a cerchio attorno all’avversario, creando quasi più copie di se stesso, anche se Juro non ne risentì affatto, tanto che vide senza problemi il vero Aaron e lo attaccò. Quello da lui colpito però era ancora una copia fantasma, che sparì poco prima del contatto con la mano sinistra di Juro; sparita la copia, nel momento esatto in cui si stava per generare l’onda d’urto, Aaron gli si para dinanzi, faccia a faccia, portando il suo braccio destro contro la mano dell’avversario. Il colpo risuonò in quel silenzio agghiacciante, protagonista fino a un istante prima, gli uccelli che erano rimasti, attoniti sulle creste degli alberi, volarono via, il sangue sporcò il terreno dello scontro, quel rosso scarlatto colava dalla mano di Aaron senza soluzione di continuità. Con quella mossa, il ragazzo riaggiustò il suo braccio, sopportando un dolore immane, pur di riottenere l’uso dell’arto e continuare lo scontro al massimo delle sue capacità.

-*Ma è un pazzo! Ha fatto quel poco solo per farsi colpire di proposito… cos’ha che non va nel cervello*- disse tra sé e sé Juro, stringendo l’occhio sinistro in un’espressione di stupore misto ad una strana eccitazione.

–Devo ammetterlo.. Sei il mio tipo! Per questo manderò a puttane la sfida… Voglio massacrarti con tutte e due le mani!!- disse poi ad Aaron, che aveva preso fiducia nelle sue capacità. La situazione ormai si stava complicando più che mai, e doveva prepararsi a subire l’insanità mentale del suo avversario, nel pieno del suo potenziale.

-Adesso sono letteralmente fottuto!- disse Aaron con un tono di voce più che basso, mentre il sangue continuava a gocciolare, tingendo di rosso anche i suoi vestiti.

-*Ora voglio vedere che farai!*- pensò qualcosa, celato nell’ombra in quel limbo, di cui s’intravedevano gli occhi gialli, con l’iride sottile e nera.
 

Mentre si svolgeva l’incontro tra Aaron e Juro, Rioga arrivò finalmente nell’ospedale, dove tenevano sotto stretta osservazione Oliver che, dopo l’incidente, era in uno stato di come perenne. Riuscì a eludere ogni sorta di sorveglianza, nonostante la sua grossa statura; uccise l’infermiera di turno dietro al bancone del terzo piano, e cercò nel computer la stanza nella quale si trovava il ragazzo. La trovò e vi si recò con molta calma, sapendo che il corpo da lì non si sarebbe mosso; allo stessa tempo, però, in una camera poco distante da quella di Oliver, qualcuno scese dal letto e si infilò le pantofole, senza emettere rumore alcuno.

Rioga aprì la porta della camera di Oliver, trovandola in perfetto ordine, con un profumo delizioso di lavanda che permeava l’intera stanza. Si avvicinò lentamente, vide sul comodino una foto del ragazzo con la sorella, quando stavano al luna park che allestirono pochi mesi prima proprio nella loro città. In quella foto rivide se stesso da bambino, quando ancora aveva una sorella che lo stringeva e gli donava affetto. Posò all’istante la foto, rivolgendola verso il basso. Vide il giovane attaccato ai macchinari che lo tenevano sotto controllo, il suo viso candido era colpito dalla luce arancio del lampione che illuminava il parcheggio sottostante. Tese la mano verso il collo di Oliver, intenzionato a strapparglielo via in un sol colpo, ma proprio mentre stava per raggiungere la sua pelle, fu interrotto da una vocina fioca e assonnata.

-Lei è un dottore?-

Chiese una bambina, che reggeva con una mano un orsacchiotto, e con l’altra mano si strofinava gli occhi. Era piccina, con un pigiamino rosa e degli occhi blu come l’oceano; nonostante la tenera età, non aveva più capelli, e sul braccio vi era un tubicino legato ad una flebo mobile. La piccola, a passi lenti, si avvicinò sempre più al lettone di Oliver, continuando a porgere domande che non ricevevano alcuna risposta.

-Non mi sembra un dottore, ma allora perché è qui? Le visite non sono permesse, o sbaglio? Ma perché allora si trova nella stanza di Oliver a quest’ora di notte?- domandò, senza interruzione, la bambina, fissando negli occhi Rioga che, ad ogni parola della piccola, sussultava.

-No, non sono un medico.- furono le prime parole dell’uomo. –Non sono tenuto a dirti perché mi trovo qui. Tu, piuttosto, non dovresti essere sveglia!- disse poi, voltandosi completamente verso la piccola, lasciando, per un attimo, la sua missione. -Perché sei qui?- domandò poi.

-Ogni sera vengo qua da Oliver per raccontargli ciò che ho fatto durante la giornata. Poi, prima di tornarmene a letto… prego il signore affinché risparmi lui la vita, così da farlo ricongiungere con la sorella che, ogni giorno, piange al fianco del fratello, per non essergli stata vicina nel momento del bisogno; e questo.. mi rattrista il cuore!- rispose la bambina, sedendosi sulla sedia di fronte al letto, facendosi leva col ginocchio.

-Ma non ti può sentire, è in coma- disse scioccamente Rioga, ignorando completamente i motivi o i pensieri della giovane.

-È da tanto che sto in quest’ospedale, e mia madre mi ha sempre detto che.. se quel monitor continua ad emettere un suono, la persona è ancora viva, e può sentire tutto ciò che diciamo!- rispose ancora la piccola, lasciando senza parole il suo interlocutore, che non aveva mai visto una persona così piccola, ma così coraggiosa.

-E dimmi, perché preghi il signore per la sua vita e non per la tua? Anche tu sei malata, cancro non è così?- domandò, ingenuamente, ancora una volta, Rioga, stupito più che mai dalle risposte così profonde di una bambina.

-Perché lo faccio, dice.. perché vorrei che tra i due, almeno lui si salvasse. Sa.. per quanto possa ignorarlo, ho poche settimane di vita, il cancro sta deteriorando ogni mio organo. Ma sono felice, rivedrò i miei genitori quando salirò in cielo, ma lui, che ha ancora delle persone che lo amano qui sulla terra, mi sembra ingiusto che soffra, così come soffriranno i suoi cari.- rispose la piccola, con le lacrime agli occhi, toccandosi il petto, dolorante a causa del cancro.

-Se lei può fare qualcosa per salvarlo la prego lo faccia, lui non ha fatto niente di male, non è giusto che muoia così!!- continuò a dire la bambina, alzando di poco la voce, prima che il sangue gli uscisse di bocca.

-Non si preoccupi, ci sono abituata, ogni volta che alzo la voce, mi esce il sangue…-

Disse poi, vedendo Rioga avvicinarsi a lei. Era turbato, la risolutezza di quella giovane vita, che si sarebbe spenta di li a poco, lo aveva spaventato; era consapevole di dover svolgere la sua missione, che poteva benissimo uccidere anche la ragazzina, ma qualcosa lo bloccava, forse era il suo cuore, in fondo Rioga un cuore ce l’aveva, un cuore umano a cui dava sempre ascolto, che lo tratteneva dal compiere azioni che lui considerava ingiuste. Nascondendo le lacrime, si voltò verso Oliver e gli sfiorò il petto con un dito, per poi lasciare la stanza, non prima di aver detto un’ultima frase alla bambina.

-Il signore non ti aiuterà in questo caso, ma se sei disposta a dare la vita per questo ragazzo, allora lui si salverà!!-

Furono le agghiaccianti parole di Rioga, che percorse il corridoio, illuminato dalle luci al neon, corridoio freddo, tipico degli ospedali giapponesi, senza nemmeno un’anima ad occuparlo; mentre si allontanò, udì, comunque, la sottile voce della bambina che, con risolutezza, rispose di poter accettare tutto pur di salvarlo.

-*Spero di non pentirmene.. Ragazzina, mi ricordi troppo mia sorella!!*- pensò poi Rioga, con gli occhi brillanti, sul cornicione dell’ospedale, in attesa del risveglio, ormai certo, di Oliver.
 

Passata la mezzanotte, invece, Shin vagava ancora per le strade, distrutto da quel pensiero che lo tormentava, quella voglia malsana di uccidere; era combattuto, l’etica, il cuore e naturalmente gli insegnamenti del maestro lo portavano sulla strada del giusto, la retta via che molte persone tendono a lasciare, ma qualcosa, qualcosa di magnetico, lo attirava verso quel lato oscuro che, incostantemente, gli proponeva azioni fuori da ogni rigor logico e morale. Shin continuava a camminare dritto, fissando i suoi piedi che, elegantemente, si poggiavano sulle pozzanghere al margine della strada, pozzanghere in cui, alternate da cerchi armonici, si specchiavano le insegne dei negozi ai lati della grande via. I suoi occhi erano persi nel vuoto, non vi erano immagini riflesse di ciò che stava vedendo, ma solo nero, che esprimeva il senso di disorientamento che, in quel periodo, stava passando. Le auto che passavano per di là, continuavano a suonare, vedendo solo all’ultimo, grazie ai fari, la sagoma del ragazzo; per evitarlo, le auto sterzavano bruscamente, bagnando completamente il povero ragazzo, che non accusò niente. Afflitto da mille pensieri, decise di porvi fine nell’unico modo che conoscesse, svoltò nel primo vicolo a destra e, a causa di un balcone poco sopra di lui, una goccia colpì il suo viso, cadendo al lato dell’occhio, simulando una lacrima che il ragazzo, forzatamente, stava trattenendo. Raggiunse un locale, che aveva ingresso sotto il livello della strada, e un’insegna al neon rosa sopra alle scale, decisamente malandate, ricoperte da sporcizia e rifiuti. Entrato, l’atmosfera che si respirava era del tutto diversa, lo stile americano retrò risuonava nell’intera stanza, composta dal bancone centrale, in legno, e tanti tavoli poggiati al muro, e tavoli da biliardo posti a destra dell’entrata. In un angolo, Shin scorse subito un gruppo di uomini che bevevano. Uno di loro, con un bizzarro pizzetto intrecciato aveva appena avuto un figlio, e come sempre, ogni occasione era buona per mandare giù un boccale di birra; probabilmente anche le moto fuori al viale erano le loro, immaginò Shin; pose poi lo sguardo su uno che fumava il sigaro e stava lentamente annebbiando il locale, Shin odia il fumo e chi ne fa uso nei locali pubblici, ma quello era una tana di lupi, l’aveva scelta apposta. Nessuno diceva nulla a quel tipo, date le sue enormi dimensioni, ma questo non sembrava essere un problema per Shin che, ignorandolo, si diresse verso il bancone dove si trovava una splendida ragazza. Fu, però, bloccato dal braccio di un tizio, grosso almeno quanto l’altro, che, vedendolo bagnato fradicio, gli chiese cosa gli fosse accaduto, in modo tutt’altro che gentile; Shin lo guardò con aria di sufficienza, irritando quella montagna di muscoli, senza ancora che avesse aperto bocca.

-La mamma non ti ha insegnato a farti i cazzi tuoi?- chiese Shin, fissando negli occhi quell’uomo, che fremeva d’uccidere qualcuno, glielo si leggeva in faccia. Questo sorrise, si girò verso i compagni e poi tornò a fissare Shin, mostrando i numerosi denti d’oro che aveva conquistato nelle sue zuffe.

-Cosè, le hai sempre prese senza mai darle?- continuò a sfidarlo Shin, che aveva una voglia insana di uccidere, tanto quanto quella del tizio. Questi stufo delle continue affermazioni del ragazzo, fece cenno al resto del gruppo di avvicinarsi, per poi aprir bocca.

-Ma avete sentito questo nano? Chi cazzo si crede di essere?- domandò ai compagni, fissandoli ad uno ad uno. -Diamogli una lezione ragazzi!!-

Esclamò, cacciando un macete dalla giacca. L’uomo, pieno di peli in petto, era alto due metri e ne misurava altrettanti di larghezza. Le braccia erano possenti così come le sue gambe, tutti quei muscoli a scapito dell’agilità.
Il tizio sferrò un colpo di macete da desta, colpo che Shin vide ed evitò con facilità, facendo si che l’arma tagliasse in due un compagno dell’uomo. Shin poi afferrò per il braccio l’uomo e glielo girò, lasciandogli cadere l’arma, per poi raccoglierla e rotearla con facilità impressionante.

-E tu vai in giro con un giocattolo pericoloso come questo?- domandò Shin, muovendo a gran velocità l’arma, costringendo tutta la banda a prendere le distanze dal ragazzo. Quest’ultimo con un occhio rosso come il sangue, che s’intravedeva nel mentre della rotazione, decise di affettare quella banda di squilibrati, iniziando proprio dal suo capo.

Fu attaccato in massa, e, evitando con facilità ogni colpo, iniziò a tranciare gli arti di ognuno di loro. Il primo si lanciò verso Shin da destra e questo, evitandolo girandogli attorno, perforo la nuca dell'imprudente avversario; un secondo cercò di afferrare il ragazzo dall’alto ma Shin, senza muovere lo sguardo, alzando la lama del macete, lo colpì alla gola aprendo uno squarcio nella mascella che proseguì per tutto il volto, facendo schizzare parti di cervello sui quadri, chiaramente di poco valore, che si trovavano dietro di lui. Un altro ancora, corse con una sedia in mano, sperando di colpirlo, ma Shin gli tranciò la pancia in due, facendo fuoriuscire l’intestino e altri organi, mentre l’uomo, lasciata la sedia, cercava di mantenere attaccate le due parti. Il sangue che si spargeva nel locale, sporcò i muri e bagnò il pavimento, che rifletteva ogni movimento del ragazzo che affrontò e uccise tutti e dieci gli uomini della banda, compreso il neo papà, la cui testa rotolò sul pavimento, con una lacrima cadente dall’occhio. Shin rimase solamente il capo in vita, incastrando il macete a pochi centimetri dal suo corpo, dopo che questi, per la paura, era caduto contro il muro. Il volto di Shin era terrorizzante, gli occhi rossi e il sorriso sul suo volto non erano rassicuranti, soprattutto per le altre persone che si trovavano nel locale.

-Non siete nemmeno minimamente alla mia altezza…-

Aggiunse, infine, Shin, voltandosi verso il bancone, ormai impregnato di sangue, dove il barista era ancora fermo a pulire i bicchieri. Le bottiglie di rum e whisky sulla parete erano ormai indistinguibili, ricoperte da un rosso carminio, colante per tutto lo scaffale. Da un angolo della stanza, intanto, una donna dai capelli lunghi, seguita da un uomo, iniziò a battere le mani, avvicinandosi a Shin, evitando con i tacchi le membra di quegli uomini, innocenti.

-Ti sei dato da fare con questi tipi, penso che sarà complicata averla vinta contro di te!!- disse la donna, togliendosi gli occhiali ormai sporchi si sangue. Lo spettacolo che poco prima aveva dato Shin non aveva intimidito ne loro ne tantomeno il barista che, nonostante l’atmosfera si fosse fatta pesante dalla presentazione degli altri due clienti, continuava imperterrito a pulire i suoi bicchieri.

-E voi cosa volete?- domandò Shin senza voltarsi, intravedendo le figure nel sangue vicino il bancone.

-Nulla di complicato, dobbiamo catturarti!-

Rispose la ragazza, pulendo gli occhiali con un fazzoletto che, pian piano, si tingeva di rosso. Fece un altro passo verso Shin calpestando un occhio di quei Raiders, il cui guizzo risuonò nell’intera sala. Shin, che con la mano tremava di gioia, non vedeva l’ora di cominciare; la voglia di uccidere non era ancora sazia e l’invito della giovane non lo avrebbe potuto rifiutare. Ancora immobile, con gli occhi ardenti come le fiamme dell’inferno, alzò il labbro superiore in un ghigno che presagiva una lunga notte, di scontri.

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Capitolo 7
*** Ritiro ***


VII CAPITOLO

Era passata la mezzanotte e la terra cominciò a tremare. Da lontano luci blu e rosse coloravano i muri dei palazzi che davano sul parco, ove Aaron e Juro stavano combattendo. Era stata allertata la polizia; cosa potevano fare dei semplici agenti contro quel mostro. Juro era ancora in forma umana ma dalla sua schiena le ossa mutarono forma: le scapole iniziarono a creare bozzoli come bolle di acqua giunta a ebollizione; pian piano quelle stesse mutarono ancora tentando invano di bucare la pelle che le intrappolava. Quando il processo si stabilizzò, quest’ultime, con la punta un po’ affusolata costernavano l’intera schiena del giovane, due su ogni scapola, e una catena lungo tutta la schiena; protuberanze ossee che ricordavano un vampiro dei film di seconda categoria. Anche i gomiti furono sporgenti, con la stessa forma lunga e affusolata. Gli zigomi, così come la mascella, erano in risalto e gli occhi brillavano di un giallo innaturale mentre l’iride si strinse a poco più che una linea. Quell’essere non era per niente umano, e Aaron lo aveva capito a sue spese. Tremante di paura fece un passo indietro, udendo allo stesso momento le sirene della squadra inviata a controllare la zona per il “fastidio” causato dai due ragazzi. Aaron, con una nota sarcastica nella voce, fece un commento sulla reattività della polizia alle denunce; in verità pensava che non sarebbero venuti, immaginando cosa la gente possa aver detto loro. Appena vide che Juro si era come rilassato, pensò di poter tirare un sospiro di sollievo; non poteva certo andare peggio di così. Dalla sua bocca usciva un fumo gelido e soffocante. Aaron, in quei pochi istanti che era certo di avere, cercò di valutare la situazione, scappare se gli riusciva; restare, andando in contro a la morte; cercare di ragionare con l’avversario, scartando quest’ultima ipotesi, intuita come impossibile, non sapeva, in verità, nemmeno se lo capiva ancora. Ma la domanda più assillante che si poneva era: “Cos’è?”; cercava di ricordare le figure mitologiche che da sempre lo affascinavano, sperava di trovare tratti comuni, qualcosa che potesse indirizzarlo a una qualche categoria, seppur di improbabile esistenza. Eppure aveva di fronte qualcosa, poteva non crederci, razionalmente, ma come si fa a non credere a ciò che si vede?.

Lo sguardo di Juro volgeva ora da sinistra verso destra, ora in verso opposto. Sembrava smarrito, come se avesse perso di vista l’obiettivo. Intorno a lui volgeva solo distruzione e la cosa non lo meravigliava più di tanto. Non ricordava però l’ultima volta in cui aveva usato quella trasformazione, quasi dimenticava di averla tra le sue carte. Quando lo sguardo cadde su Aaron, Juro iniziò a ricordare e inarcò le labbra evidenziando la miriade di denti piccoli e aguzzi, ordinati e splendenti. In quel momento il cuore del giovane dai capelli biondi si fermò all’istante, una leggera brezza, glaciale, gli mosse la chioma dorata e ci mise un po’ a notare che Juro si trovava alle sue spalle, facendolo tremare per la consapevolezza di non aver notato il suo movimento né un qual si voglia suono a indicare lo spostamento; nemmeno l’aria si era permessa di fiatare. Mentre la mano di Juro, lentamente, si avvicinava sempre più alla gola del ragazzo, una decina di agenti si dispose a cerchio attorno ai due, intimando gli stessi di alzare le mani e inginocchiarsi a terra. Naturalmente nulla di ciò sarebbe stato fatto, e Aaron lo sapeva bene; non si stupì che Juro neanche calcolasse le loro voci. Entrambi accennarono un sorriso, seppur per motivi diversi: Aaron derideva la stupidità umana, il come in una situazione del genere se ne potessero uscire con simili richieste, trovava impossibile, razionalmente, anche solo pensare di proporre una cosa del genere vedendo il modo in cui verteva quel posto, per non parlare dell’essere a cui stavano parlando; Juro invece vedeva tutto come un divertimento senza sconti, non solo avrebbe potuto mangiare dopo tutto quel tempo, ma aveva a disposizione anche un succulento antipasto. Le foglie del viale, così come i detriti, iniziarono ad alzarsi in volo sotto la spinta degli elicotteri, della polizia e non, che volavano a pelo degli alberi. Il rumore era assordante. Da uno di questi si sporse un cameraman, intento a registrare quanto di straordinario stava accadendo. In quel momento di disordine generale Juro fece la sua mossa. Il movimento fu “letto” unicamente della video-camera, che registrava a ben 120fps. Al resto dei presenti sembrò che Juro non si fosse per niente mosso, ma la verità era tutt’altra; lasciò momentaneamente la presa, tagliando l’aria con la stessa mano con cui attentava alla vita di Aaron. Il fendente semi-circolare correva lungo tutta la disposizione dei poliziotti e li raggiunse in un attimo, squartandoli senza pietà. Muovendo poi la mano in verticale, con un altro movimento rigido, tagliò le pale dell’elicottero della polizia che, vedendo gli agenti feriti, aveva iniziato a sparare alla ceca, rischiando di colpire anche Aaron. L’elicottero perdendo stabilità cadde tra gli alberi elevando una colonna di fumo nero che ben presto lasciò il posto a fiamme alte e divampanti.

In quel frangente il ragazzo si lanciò verso Juro, sperando di coglierlo di sorpresa alle spalle, ma fu tutto inutile, quest’ultimo, vedendo il movimento, si voltò e colpì forte Aaron al collo, lasciandolo senza respiro per qualche secondo. Fortunatamente Juro aveva colpito più su del centro collo, evitando così la morte prematura del giovane. Questa mossa però fece capire che non aveva intenzione di ucciderlo, ma unicamente di renderlo inoffensivo. Saltò in aria, evitando di colpire il secondo elicottero che era salito di quota, approfittando del faro puntato su Aaron, si lanciò verso il ragazzo inginocchiato a terra caricando le quatto dita appuntite della mano destra. Uno schiantò seguì il colpo, andato a segno, alzando al contempo una coltre di polvere seguita da alcuni detriti. Appena questa si dileguò, con grande stupore, mise in luce ciò che né Aaron né il cameraman si aspettavano. Tra il giovane in ginocchio e Juro ancora a mezz’aria vi era un individuo alto, con un vestito nero e il cappuccio a nascondergli il volto, di cui s’intravedeva unicamente il labbro inferiore, che presentava una cicatrice sulla parte sinistra. L’uomo aveva fermato il colpo e stringeva ancora forte la mano di Juro, che non nascose la smorfia di dolore, mordendosi le labbra. Con un movimento veloce l’uomo lanciò l’essere contro un albero intimandolo di tornare al suo stato originale, se non voleva vedersela con lui.
Turbato e ferito Juro, come Aaron, si alzò tornando piano al suo stato originale, strofinandosi il polso, sul quale era cresciuto un livido.

-Che ci fai tu qui?- domandò subito, con un tono di disprezzo nella sua voce.

-Ritieniti fortunato giovane Van Hover. Se non fossi accorso in tuo aiuto, avresti raggiunto la tua famiglia!-

Disse questo, voltatosi verso Aaron, ignorando la domanda che Juro gli aveva posto. Con stupore il giovane si chiese chi mai fosse l’uomo davanti a sé, come questi facesse a sapere il suo cognome e il suo passato, non trovando però le parole per chiederglielo. Era un nemico, si domandò; certamente aveva una relazione con la persona che poco prima stava per ammazzarlo.

-C..ch..chi sei tu?- domandò con un filo di voce, che non nascondeva la paura che stava provando in quel momento.

-Non importa chi io sia. Sappi che mi sei debitore, presto verrò a riscuotere il debito.-

Rispose questi in un sorriso vuoto, privo di allegria, come il suo tono, pesante e duro. Il volto era ancora oscurato dal buio della notte e pure quando si girò verso Juro, rimase coperto mostrando unicamente un’iride nera contornata da un cerchio di fuoco, con le gote nere come la pece.

-Torniamo. Tra non molto sarà troppo tardi. Non fare questioni o ti ammazzo, cosa che avrei dovuto già fare visto il macello che hai combinato. La discrezione non sai minimamente cosa sia, giusto?-

Continuò l’uomo avvicinandosi lentamente a Juro, allungando allo stesso tempo la mano verso di lui. Juro non disse nulla, volse lo sguardo verso terra a mo’ di sottomissione e lasciò che l’individuo poggiasse la mano destra sul suo braccio e, insieme, sparirono lasciando una crepa nell’aria, a pochi centimetri da terra, abbandonando nello stupore Aaron e il cameraman. Pochi istanti dopo, un’esplosione attirò gli sguardi di entrambi, che volsero in direzione sud. Seppur a molti kilometri di lontananza Aaron sentì come se quell’esplosione fosse, in qualche modo, collegata a lui, decidendo così di andare a controllare. Fede cenno all’elicottero sopra di lui ad allungare una scaletta, sapendo che tanto si sarebbero diretti comunque verso l’origine dell’esplosione. Inarcando le sopracciglia per lo stupore della pronta risposta, raggiunse la cima dell’elicottero proprio quando per radio avevano annunciato a tutti gli elicotteri della polizia dell’esplosione di un ospedale nei pressi del distretto di Kōchi.

-Sbaglio o non è legale sorvegliare le frequenze delle forze dell’ordine?- domandò con tono ironico il ragazzo mentre si sedeva a fianco del cameraman.

-Ragazzo al giorno d’oggi le notizie fresche si fanno pagare, e in tempo di crisi bisogna aguzzare l’ingegno- rispose lo stesso con un sorriso stampato in volto.

-La ringrazio di avermi permesso di venire con lei!- aggiunse poi Aaron.

-L’ho fatto solo perché penso che possa interessarti, visto ciò che ti è appena capitato.- rispose serio, senza distogliere lo sguardo dal cielo. La colonna di fumo era alta e ben visibile, nonostante la distanza che li separava.
 


Nel frattempo un’auto curata e molto costosa percorreva le strade notturne di Osaka. All’interno vi era un uomo con i capelli lungi radunati da un codino rosso, che guidava tenendo in mano l’ultimo modello d’iPhone, visionando un’applicazione che gli aggiornava in tempo reale sulla posizione di un altro telefono, con cui condivideva l’account. Oltre alla luce del cellulare che illuminava il volto, la macchina prese il colore rossastro dei lampioni che circondavano le strade della Downtown. Si fermò a un semaforo, approfittandone per dare uno sguardo fuori dal finestrino, il tempo necessario per fargli riorganizzare i pensieri che affollavano la sua mente. Pensieri poco felici, tra l’altro. Giunto a un altro incrocio, svoltò a destra arrivando nel punto in cui l’applicazione segnalava la presenza dell’altro dispositivo mobile, scese dall’abitacolo giusto in tempo per vedere la porta di un locale su una via secondaria esser scardinata verso l’esterno, andandosi a piantare proprio sul muro di fronte.
 


Nel locale in cui si trovava Shin era scesa un’atmosfera carica di elettricità. Il giovane fremeva al sol pensiero che avrebbe potuto scaricare tutta l’emozione che provava sui due tizi che gli si erano presentati di fronte. La donna aveva rimesso gli occhiali che accentuavano il suo fascino occidentale, mentre l’uomo, piuttosto anonimo e muscoloso incuteva terrore a chiunque incrociasse il suo sguardo. Shin, lentamente, studiò i due avversari, non riuscendo, però, a trovare nessuna debolezza di ordine fisico in nessuno dei due.

-Quasi mi dispiace dover solo catturarti sai!-

Disse la donna, rompendo il silenzio che stava dominando il locale. Shin non commentò quell’affermazione, piuttosto si mise in posizione di attacco, cercando di recuperare tempo prima che si muovesse uno dei due. Sorpreso, Walter scostò Serena avvicinando il volto al pugno che Shin poco prima si era lanciato a dare; prima che il pugno sfiorasse il viso di Walter, però, con un movimento veloce questi lo spostò con la mano destra alzando allo stesso tempo la gamba destra, ruotando e colpendo in pieno volto Shin, che fu scaraventato contro i tavoli affiancati al muro. Tempo di rialzarsi, Shin ripartì all’attacco vedendo arrivare il calcio di Serena, schivandolo prontamente, ma venendo di nuovo colpito da Walter, questa volta allo stomaco. Shin perse sangue dalla bocca, a causa del forte colpo, ma rimase in piedi. Il barista nel frattempo seguiva i loro movimenti con la coda dell’occhio, mentre cercava di ripulire quanto poco prima Shin aveva imbrattato.

Irritato il ragazzo prese violentemente Serena per i capelli portandola con la schiena sul  suo braccio abbassando poi il tipo facendo sì che le ossa crepassero al contatto. La ragazza non fece in tempo a gridare che inarcò la schiena, sprezzante di dolore. Appena, però, Shin alzò lo sguardo, si trovò contro un pugno letteralmente in fiamme che lo colpì in pieno volto lanciandolo questa volta verso la porta del locale. Senza prestare soccorso Walter si lanciò ancora contro Shin tendendo un calcio che colpì al busto il ragazzo lanciandolo fuori dal locale, a seguito della porta di ferro massiccio.

Dal muro caddero innumerevoli detriti e il ragazzo rimase immobile schiacciato contro la porta che era ormai venuta meno al suo compito. Sorpreso, vide con occhi soffusi, Serena salire, lentamente, le scale che davano sul vicolo. I tacchi risuonavano sul quel miscuglio di ghiaia e acqua, misti a sporcizia varia; Dietro di lei, col sorriso in volto, Walter, che aveva in mano già il cellulare per informare i suoi capi che la cattura aveva dato esito positivo. La ragazza si avvicinò a Shin pressando col tacco sul suo ventre. Il ragazzo non emise alcun fiato, la fissava con occhi in fiamme e gote rosse cremisi, l’iride era diventata gialla, un giallo consumato. Si udì il suono di un ghigno sotto le labbra e poi, con forza sovraumana, Shin prese per la gamba Serena e la fece roteare fino a scaraventarla in faccia al muro, proprio alla sua destra. Walter partì all’attacco per colpire ancora una volta Shin, che evitò il colpo issandosi sopra in verticale sulla parete, mantenendosi sul bordo della porta di ferro. Il colpo s’infranse nella porta, sulla quale lascò un segno indelebile, che si piegò facendo perdere l’equilibrio al giovane che ne approfittò per colpire con una ginocchiata sulla schiena Walter. Voltandosì con rabbia, poi, Walter cercò di tirare un nuovo colpo infuocato a Shin, venendo però bloccato dall’uomo con il codino, che estinse le fiamme e costrinse il giovane in ginocchio.

-Maestro!- esclamò Shin, i cui occhi tornarono normali. In quel preciso istante sentì, tutti in una volta, i dolori dei numerosi colpi inferti dai suoi avversari, e non sapeva cosa massaggiarsi e, soprattutto, come massaggiarsi. Iniziarono, infatti, a evidenziarsi i primi lividi che, sapevano bene, non sarebbero guariti facilmente.

-TU!-

Disse Walter a denti stretti, trattenendo un certo dolore causato dalla stretta troppo ferrea dell’uomo. I due si conoscevano a quanto pare, e la loro conoscenza era molto sentita da entrambi, nell’aria si sentiva quasi odore di vecchia faida tra i due, ma non era chiaro il come e il quando dei loro rapporti.
Appena Serena si destò in piedi, l’uomo lasciò la presa e fece segno alla ragazza di aiutare Walter a rialzarsi. Questa non perse tempo ed eseguì l’ordine, facendo cenno all’uomo che lo scontro era terminato e doveva aiutare il ragazzo che aveva evidenti difficoltà a rimanere in piedi.

-Avete ottenuto ciò che cercavate. Avete abbastanza informazioni ormai, ma sappiate che non vi permetterò di avvicinarvi a lui una seconda volta!- Riferì l’uomo ai due, voltandosi verso Shin, che di quella situazione ci capiva sempre meno.

-Ed è meglio che vi prendiate un periodo di riposo. Sentirete i segni dello scontro manifestarsi tra qualche giorno-

Ammise poi con tono duro e poco rassicurante. Subito dopo, mentre Shin e il maestro si avviarono verso l’auto parcheggiata proprio all’entrata del vicolo, Walter e Serena ricevettero una telefonata, da un numero anonimo, che spaventò i due. Pensavano che i loro capi avessero già ricevuto la notizia del fallimento e, per questo, erano restii a rispondere. Walter tirò un lungo respiro e fece scorrere il dito sul display del cellulare ultra-sottile, Serena udì solamente una flebile voce poco chiara e distinta, ma non le ci volle molto per capire che qualcosa era andato storto nell’operazione di quella sera. Ciò fu testimoniato dall’espressione che dipinse il volto di Walter, poco prima che il cellulare gli cadesse da mano, crepandosi a contatto con l’asfalto. Walter, che era stato, con difficoltà, messo in piedi da Serena, cadde a terra in ginocchio, alzò lo sguardo al cielo, gli occhi vuoti e senza anima. Un grido di disperazione riecheggiò lungo tutto il viale, seguito dai tuoni poderosi che dominavano il cielo notturno del Giappone.
 
 

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Capitolo 8
*** Dolore ***


VIII CAPITOLO

Il traffico a quell’ora di notte era pressoché assente, cosa strana in piena estate. Le poche auto che c’erano tendevano a rallentare al passaggio del bolide nero, visibile unicamente grazie ai due fari allo xeno posti sul cofano anteriore. I vetri rigorosamente neri a nascondere i due nell’abitacolo. Per l’alta velocità sostenuta dal veicolo, Shin fu costretto a mantenersi con la mano destra alla maniglia superiore, sopra il vetro. La testa, come il resto del corpo, era rigidamente posata al sedile, e ogni azione risultava forzata e difficilmente attuabile. Alla sua sinistra vi era chi fino a poco prima chiamava maestro; ne conosceva il nome ma lo rispettava al punto di non nominarlo mai. In quel momento però, in una sede decisamente separata da quella del dojo, non sapeva se usare il vero nome o quello a cui era sempre stato abituato. La situazione era più che mai stressante: perché il maestro lo aveva salvato? Perché si trovava in quell’auto con lui, al suo fianco? Perché non riusciva a togliersi di mente l’immagine del maestro che estingue le fiamme che, senza rigor di logica, si erano materializzate sul pugno di quel sicario mandato da dio solo sa’ chi per catturarlo?

Con la coda dell’occhio il maestro di Shin - fino a quel momento -, notò la tensione che percorreva il giovane seduto di fianco a lui. Notò le goccioline di sudore che lentamente gli colavano dalla radice dei capelli castani. Le contrazioni dei nervi appena sotto gli occhi, il veloce e ripetuto movimento delle palpebre; l’agitazione che traspariva dal corpo del ragazzo era alta, ma non preoccupante. Non ancora. Con uno scatto repentino, la mano destra del maestro colpì violentemente la leva del cambio, per inserire  l’ultima marcia offerta dalla vettura, e in quel preciso momento Shin trasalì, a causa della mossa inaspettata del guidatore.

-Maledizione, dovevo prendere l’altra auto… almeno i comandi erano al volante!-

Disse con un sorriso, subito dopo, vedendo il volto di Shin sbiancarsi di colpo. Il sorriso mostrò una dentatura quasi perfetta e decisamente lucente. L’uomo, che non dimostrava per niente i suoi anni, era molto curato, dal vestiario all’auto; questa era pulita e rifinita in ogni particolare, nulla le mancava… se non i comandi al volante.

-Scusi? Non la seguivo!-

Rispose Shin dandosi un colpetto in viso, incredulo di quella situazione incresciosa. Aveva dimostrato mancanza di concentrazione, spaventandosi a un gesto che poteva benissimo prevedere. Cercò di scacciare dalla mente i fatti accaduti poche ore prima, dalla strage nel pub fino allo scontro violento con quei due esecutori. Sfortunatamente, per quanto ci stesse riuscendo, la sua attenzione fu richiamata proprio a quei frangenti dalla domanda che il maestro gli propinò subito dopo.

-Niente, parlavo tra me e me, non farci caso. Piuttosto, quando stavi combattendo… che sensazione provavi?-

Domandò in modo alquanto schietto il maestro, seguendo con la cosa dell’occhio la possibile espressione che il ragazzo avrebbe fatto; senza, però, giustificare le sue conoscenze riguardo ciò che era accaduto. Già il fatto che era riuscito a trovare il ragazzo era sospetto, e Shin stava iniziando a dubitare, seppur solo in un angolo remoto del suo inconscio, del suo maestro. Egli ci pensò, portò la mano sinistra al mento e strofinò il pollice lungo il labbro inferiore, ricordava non molto delle sensazioni provate in quel momento, poi, un sussulto. Immagini frammentate di un oceano sconfinato, bolle d’aria che si moltiplicavano nel blu dei mari, un suono tamponato, tipico di chiunque sia immerso in acqua, e, naturalmente, lucidità visiva. Ora ricordava, provava una singola sensazione mentre combatteva contro i suoi avversari.

-Non so spiegarmi bene in che modo, ma… era come fossi immerso in un oceano azzurro. Non vi erano pesci o altri esseri marini….Ero solo, circondato dall’acqua e dalle bolle che fuoriuscivano dalle mie narici. Non sentivo soffocamento, quasi come se fossi io stesso un essere acquatico… ha presente, branchie e tutto!-

Disse Shin agitando la mano intorno al collo descrivendo ciò che ricordava, in base a quei veloci flash che gli inondarono la mente. Nella descrizione fu attento a tenere le giuste pause, in modo da generare una certa tensione, cercando, inoltre, l’attenzione del suo maestro aspettandosi, come un bambino, un’approvazione per qualcosa di non ancor ben definito. Senza distogliere lo sguardo dalla strada, si limitò ad annuire, inarcando leggermente le labbra in una smorfia che sapeva tanto di vittoria.

-Il Nirvana!-

Esclamò lui, senza aggiungere altro, superando un gruppo di auto relativamente lento. Parlava e guidava ad alta velocità, concentrato sia su ciò che aveva davanti a se, che prontamente si spostava per lasciarlo passare, sia su ciò che il ragazzo stava dicendo, pur non vedendolo in volto a causa della scarsa luce.

-Cosa?- si domandò Shin quasi in un sussurro udito bene dal maestro che, prontamente, si accinse a chiarire.

-Ma certo. La pace interiore, o dello spirito, che dir si voglia. I monaci Buddisti ne sono da sempre alla ricerca. È sorprendente che un ragazzo comune come te parli di tali sensazioni.. soprattutto considerando il momento in cui esse si sono manifestate. Sai non stavi proprio “discutendo pacificamente”-

Disse ancora una volta col sorriso sul volto. Il tono poteva sembrare ironico sì, ma solo per mascherare quella serietà che, a poco a poco, aveva riempito l’auto fino a quel momento. Entrambi erano soliti avere atteggiamenti sereni e solari ma in quella notte, in quella vettura, i loro volti avevano un ché di oscuro e tetro. Shin era attanagliato da pensieri cupi e marci, il suo maestro cercava di trovare un nesso logico tra le azioni del suo allievo e le intenzioni dei sicari che Lui aveva inviato. Muovere due mercenari di quel calibro per un solo ragazzo gli sembrava esagerato ma, appena lo pensò, si corresse, avendo riesaminato velocemente la situazione che si trovò di fronte quando raggiunse il vicolo. Shin stava combattendo alla pari con quei due, forse in un singolo avrebbe potuto… scosse subito la testa, di nuovo, ripensando al fatto che loro stavano unicamente analizzando le possibilità favorevoli a Shin; non stavano combattendo, rispondevano solo meccanicamente alle azioni del giovane. Dopotutto un loro simile aveva distrutto un intero distretto la notte prima; era sicuro che le cose erano collegate in un certo qual senso. Adesso però aveva un unico obiettivo in mente: portare Shin verso la fonte dell’esplosione avvenuta a Kōchi. Sapeva di poter trovare qualche risposta li, e lì stava andando.

-Il Nirvana dice…-

Aggiunse Shin abbassando il tono della voce così come lo sguardo. Sospirò e si voltò a scorgere lo scenario fuori dal finestrino.

–Forse è come dice lei. La sensazione di solitudine, di pace, era come eterna, credo di non essermi mai sentito veramente così, nonostante molte volte mi sia immerso nelle acque gelide dell’oceano, in completa solitudine...- Cercò di distrarsi posando la sua attenzione alle auto che gli passarono di fianco, cercando di distinguere quanti più dettagli possibili, mettendo alla prova la sua vista. . Gli occhi gli lacrimarono all’istante così li chiuse per qualche secondo sospirando ancora.

-Adesso dove siamo diretti?- domandò poi, cercando di capirlo da sé guardando fuori, senza però riuscirci; l’oscurità assorbiva tutto e poco potevano le luci dei lampioni che seguivano simmetricamente la strada.

-Nel distretto di Kōchi, e dobbiamo anche affrettarci-

Rispose spingendo al massimo l’acceleratore, non curante dei limitatori posti in posizioni strategiche lungo la strada. Shin riuscì a notare, nel momento in cui il maestro gli rispose, il cartello che segnalava l’uscita verso quel distretto a pochi kilometri dalla loro posizione. Era rilassato, sicuro che la serata non poteva che farsi più interessante da quel momento in poi. Le ansie e i terrori lo avevano, improvvisamente, abbandonato, lasciando spazio al vecchio e caro Shin, il ragazzo semplice e gentile che era stato fino a qualche giorno prima. Ma nelle profondità del suo animo, avvolto nelle oscurità più buie, albergava un essere enorme, seduto a gambe e braccia incrociate -alto ben due metri in quella posizione- apparentemente in dormiveglia con una katana sottile e incredibilmente lunga poggiata sul braccio destro, che seguiva tutto il corpo fino a perdersi nell’oscurità. Quando l’auto prese l’uscita per Kōchi, quell’essere aprì un occhio: una pupilla gialla contornata da un rosso purpureo, e un’iride sottilissima, simile a quella dei gatti.

 
Mentre i due in auto erano sempre più vicini al luogo dell’esplosione, Aaron continuava a fissare la città dall’alto dell’elicottero. Era la prima volta che sorvolava il Paese e l’idea di avere sotto i piedi una marmaglia di manichini guidati dal volere di regole imposte da qualcun’altro lo disgustava. Avrebbe deliberatamente schiacciato ogni singolo uomo che, senza esitazione, seguiva quelle legg;, come faceva l’uomo a permettere ad un altro uomo di calpestare la sua dignità? Aaron si era sempre posto questa domanda senza però attingere alcuna risposta, plausibile. Lui non aveva mai accettato tali regole, viveva come un reietto, un outsider, convincendosi che in quel modo non sarebbe stato soggetto a tali leggi, ritrovandosi suo malgrado nel sistema; nonostante tutto. Il processo che lo vedeva protagonista era rinviato periodicamente, quasi a voler indicare che egli dovesse rimanere imprigionato in quel circolo giuridico per sempre. I legali a lui affidati cambiavano a ogni rinvio, egli stesso, spontaneamente, chiedeva la loro sostituzione pensando che fossero loro il problema, avrebbe desiderato difendersi da solo piuttosto che seguire le direttive di essere infimi come gli avvocati d’ufficio.
Aaron distolse i pensieri da quel caso e pose maggior attenzione alle notizie che udiva attraverso le cuffie che portava in capo. Avvicinò con la mano destra una cuffia più vicino all’orecchio, le eliche creavano un ronzio fastidioso e rendevano poco comprensibili le notizie in merito all’esplosione. Bastò poco. Le parole non servivano più, il calore era palpabile, le guance si colorarono di un rosso acceso sfumato da venature giallo-arancio. L’elicottero era arrivato con netto anticipo sul luogo dell’incidente, ove parte dell’edificio, l’ospedale in cui era ricoverato anche Oliver, era in fiamme, specialmente sulla facciata anteriore in corrispondenza di due camere molto vicine, di cui si potevano benissimo distinguere gli interni, in fiamme, siccome le vetrate di entrambe le camere non esistevano più. Aaron commentò lo scenario con una singola smorfia, i soccorsi, come si poteva immaginare, non erano all’altezza del compito di domare le fiamme, ed erano intenti a fissare le due sagome che si stavano fissando sul terrazzo dell’edificio.

-*Ma che hanno da guardare! Svolgessero il loro lavoro invece che oziare.. stupidi umani!*- affermò, tra sé e sé, il ragazzo, sfilandosi velocemente le cuffie e dirigendosi sul retro dell’elicottero.

-Io scendo!- disse in fine, gridando con tutte le forze.

-È inutile che ti dica che è pericoloso, vero?-

Gridò forte, in risposta, il cameraman, spostandosi una cuffia dall’orecchio per comprendere meglio una possibile risposta. Sfortunatamente il ragazzo già non c’era più, aveva fretta di conoscere l’origine del fastidio che aumentava sempre più con l’avvicinarsi all’edificio. L’uomo alla guida dell’elicottero, nel girarsi, notò una scia di sangue che seguiva fino al sedile dove era seduto Aaron, strinse gli occhi sospirando, pregando che il ragazzo non facesse qualche sciocchezza, date le sue precarie condizioni fisiche.
 
Aaron atterrò rigido sul malto d’asfalto del parcheggio anteriore all’ospedale. Di fronte a lui l’enorme edificio, dai colori rinnovati da quel fuoco che dominava l’intera facciata. Alla sua destra, la rampa che portava direttamente al pronto soccorso. Nel garage, aperto, ambulanze che, ironicamente, non erano in grado di soccorrere nessuno, in quel momento. Mentre con lo sguardo Aaron analizzava il luogo, una grossa auto nera, fari allo xeno e due figure scure al suo interno, raggiunse l’ospedale fermandosi proprio alle spalle del ragazzo, che vide la sua ombra materializzarsi davanti a se, ombra che mostrava anche un lento e inesorabile gocciolio di sangue dalla mano destra, la cui manica era ormai inesistente. I due nell’auto scesero senza spegnere il motore. Aaron non mosse lo sguardo, non si pose domande, sapeva che nessun sano di mente andrebbe in quel luogo se non fosse delle forze dell’ordine, cosa che sicuramente i due arrivati non erano. Notò che erano di altezza e corporatura molto diversa e azzardò l’ipotesi che avessero età differenti. Incuriosito, cercò di scorgere con la coda dell’occhio qualche tratto dei due, quando, inaspettatamente, uno di loro si avvicinò con sfrontatezza.

-Non è un gran bel spettacolo, vero?- disse questi con tono ironico, portando entrambi i pugni ai rispettivi fianchi.

-Inutile chiederti perché sei qui?... Posso darti del tu, spero!- continuò a domandare, inarcando le labbra in un sorriso privo di allegria.

-Mi sa che non sei un tipo molto socievole, o erro? Comunque piacere, Shin’ichi! So che non è un buon momento ma in caso di emergenza devo sapere chi ho salvato!- aggiunse, irritando Aaron che oscillò il capo in segno di noncuranza, voltandosi verso Shin con uno sguardo di sufficienza.

-Il mio nome è Aaron, e sono qui per quella cosa che si trova sopra l’edificio. E.. no, non puoi darmi del tu!- rispose freddo e rapido il ragazzo, voltandosi verso l’edifico scrutandone i lineamenti. Strinse con forza il pugno che perse sempre più sangue, macchiando l’asfalto sotto di lui.

-Ma tu sanguini?-

Domandò prontamente Shin spostandosi di lato per vedere meglio la ferita. Non fece in tempo a muoversi che con un ordine fermo Aaron lo invitò a correre verso il tetto dell’edificio. Il ragazzo fui il primo a sparire all’interno delle porte girevoli del piano terra, seguito dopo pochi secondi da Shin che, una volta dentro, ne perse le tracce. Le luci erano, incredibilmente, ancora accese, ma Shin decise comunque di scegliere le scale anti incendio. Poco prima di spingere sulla leva metallica della porta sulla quale era affisso il segnale verde, il ragazzo scrutò i due ascensori che si fiancheggiavano, e notò che su uno dei due le spie dei piani si accendevano una dopo l’altra. Diede più forza e la porta si spalancò. A due a due salì le scale cercando di arrivare in fretta e furia sul terrazzo, pensò al motivo per cui quel tale, Aaron, si trovasse lì, e come avesse fatto a capire che, in quel momento, qualcosa stava accadendo. Si chiese come mai il maestro non li avesse ancora raggiunti, evitando poi di pensarci. Si applicò alle scale e a cosa avrebbe visto aperta la porta superiore, quella che dava appunto sul terrazzo. Corse l’ultima rampa, inciampando per la fretta, restando in equilibrio per pura fortuna. Il cuore gli batteva più che mai, fino a quando non aprì la porta di ferro, leggermente arrugginita, corrosa dal tempo e dall’aria. Uscì, investito da un vento inaspettato, accecato da un faro che, tremante, illuminava l’intero tetto; con una mano in volto attese che gli occhi si riabituassero a quel livello di luce e sgranò gli occhi alla vista di una ragazzo in piedi, vestito unicamente  con un pigiama cosparso di orsacchiotti. Intorno a lui il pavimento era come consumato da secoli di corrosione, una sia più marcata partiva dai piedi del ragazzo fino a raggiungere il limite esterno dell’edificio. Quel colore verde scuro era familiare a Shin, lo aveva visto già altrove, sembrava un miscuglio di muschio, alghe, e altre sostanze rossastre, come ruggine; tutto lì sopra era corroso, dal pavimento al ferro della ringhiera.

Oliver tremava, nonostante Aaron, che era arrivato prima, gli aveva poggiato sulle spalle il suo giaccone. Quel tremore non era dovuto, però, al vento che spirava a quell’altezza, piuttosto da ciò che il ragazzo stava fissando da diversi minuti e che aveva lasciato titubante anche Aaron, appena lo vide.

Di fronte a Shin, Oliver e Aaron, poco distante dal parapetto, vi era una carcassa, in ginocchio, completamente putrida. Erano rimaste solo le ossa di ciò che prima poteva essere definito un uomo. Sulle ossa vi erano rimasti piccole rimanenze organiche, soprattutto lungo il torace, dove s’intravedeva qualcosa di nero e logoro assimilabile, un tempo, a un cuore. Sulla tempia pochi effimeri peli facevano pensare a una folta capigliatura che, fino a poche ore prima, l’uomo poteva aver avuto. Aaron analizzò bene la scena, non proprio esente da incongruenze. Quello scheletro era umano sì, ma non apparteneva alla figura che si trovava sul tetto, prima di passare a miglior vita. La cosa, o essenza, che era caduta in ginocchio aveva una corporatura di dimensioni molto più grosse di quella che lo scheletro poteva sorreggere, il che pose il punto di domanda a un pensiero che balenò nella mente del giovane. Com’era possibile una cosa simile?
Non era esperto di anatomia, ma aveva studiato affondo ogni libro di medicina anatomica che aveva nella libreria di casa, nulla di simile era mai saltato fuori nelle sue lunghe ricerche senza fine ultimo, se non la sete di conoscenza. Nei due solchi che dovevano esser stati causati dalle ginocchia della vittima quelle ossa entravano, esagerando, venti volte, quindi era più che improbabile l’incrocio delle due strutture ossee. Riferì quella e le altre stranezze ai due ragazzi che si trovavano alla sua destra. Oliver ancora terrorizzato, con le lacrime che non avevano paura di scorrere, e Shin completamente indifferente alla visione di quel “corpo”, preoccupato piuttosto per le condizioni di Oliver.

-L’ho notato anch’io..-

Disse senza incrociare il suo sguardo, Shin, poggiando un braccio sulle spalle di Oliver. –Sicuramente dopo di Lei, signor “sotuttoio”- aggiunse
poi, con una nota sprezzante nella voce. Era più che mai irritato dalla presenza di un ragazzo così attento ma anche così freddo. Certo aveva offerto la sua giacca al povero Oliver, ma di più non gli era importato e ciò a Shin dava fastidio.

-Ehi… siamo amici. Lo so che è il momento meno adatto, contando anche la confusione ma… cosa ricordi? Riesci a dirmi cos’è accaduto quassù, e chi era l’uomo che si trovava qui con te?- domandò amichevolmente Shin mentre altri uomini del servizio anti-incendio scardinarono la porta, che dava al terrazzo, con un calcio ben piazzato. Gli uomini si portarono subito attorno ai ragazzi, restando allibiti dalla carcassa che costeggiava il parapetto dell’ospedale.

-Ni-Ni-Niente… non mi ricordo niente!-

Disse, tremante e stordito, Oliver, aggrottando la fronte e facendo scorrere sempre più lacrime lungo il viso. Si rannicchiò sui piedi, scalzi, e portò le mani ai capelli, e con un unico movimento di labbra, quasi in un sussurro, chiese a qualcuno, di non ben identificato, di mandarli via. E in quel preciso istante, mentre Shin e Aaron si allontanarono lentamente da Oliver, la luce del faro che proveniva dall’elicottero iniziò a oscillare in modo confuso, insieme allo stesso velivolo che perse, con facilità, quota, andandosi a schiantare su un edificio limitrofo. Poco dopo dal punto in cui si trovava Oliver il suolo, con onde periodiche e perfettamente circolari, cambiò più volte colore: azzurrino, verde smeraldo, blu notte, rossastro, intrinseco di sfere di luce simili a stelle nel cielo più oscuro. E, a poco a poco, la consistenza stessa del palazzo iniziò a mutare.

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Capitolo 9
*** Fine ***


IX CAPITOLO

Sul tetto di quell’edificio, quella notte, buia e agitata, era accaduto qualcosa d’inverosimile. Le nubi sembravano terrorizzate, coi loro “brontolii” che riecheggiavano nell’aere notturno; lampi seguitavano quei tuoni che preannunciavano un nuovo temporale. I  ragazzi, come gli agenti che avevano raggiunto il luogo in cui si trovava il cadavere e il ragazzo, rimasero stupefatti da quell’inaspettata esplosione di colori, sembrava che lo Spazio si fosse compresso intorno al ragazzino tingendosi di cromature variopinte. Inspiegabilmente la pressione sulle loro teste aumentò d’improvviso e intorno ai tre ragazzi si elevarono tre aure di colori ben distinti tra loro. Le caratteristiche, a occhio inesperto, potevano sembrare molto simili ma così non era. Quella di Oliver era caratterizzata da un colore giallognolo molto spento, che pulsava a ritmi scoordinati, quasi tremasse, tenuta in vita, sembrava, dai sentimenti di paura che provava il ragazzo; Intorno a Shin, invece, scintillava un’aura rosso carminio, scintille che somigliavano a spruzzi lavici di un vulcano in attività. L’ultima, quella che avvolgeva Aaron, era violacea, non pulsava, non scintillava, era come compressa, quasi impercettibile, avvolgeva il ragazzo ai suoi brodi; brillava, come se avesse vita propria, inoltre, se vista con attenzione, sembrava che al suo interno si muovesse qualcosa caratterizzata da un viola di gran lunga più intenso le cui forme ricordavano quelle di crani umani, in preda al panico. Oliver sembrò non accorgersene o comunque non dargli peso, mentre gli altri due si domandarono cosa stesse accadendo e perché quelle aure si fossero materializzate solo quando il ragazzino aveva dato luogo a quel suo spettacolo. Shin e Aaron indietreggiarono di pochi passi raggiungendo quasi gli agenti alle loro spalle che, increduli, non proferirono parola spiazzati da ciò che stava succedendo.

-Rispondete passo!-

-Cosa succede lì sopra, passo!-

Disse una voce attraverso i microfoni che gli agenti portavano all’altezza della spalla destra. All’unisono tutti spensero le loro ricetrasmittenti, quasi per paura di una reazione istintiva da parte del ragazzo che, ai loro occhi, aveva dato sfoggio di abilità sovraumane e pericolose. Sì perché quando quella serie di cerchi, dipanatisi dal ragazzo, cessò, tutto intorno a sé continuò a marcire a ritmo di dieci anni al secondo. La consistenza dell’intero edificio mutò, lentamente le mattonelle, e in generale tutto il pavimento, collassarono su se stesse colando come lava incandescente, lasciando solo un piccolo appoggio proprio dove si trovava Oliver. In un attimo rimase solo intorno al nulla. Shin e Aaron erano come pietrificati, con gli occhi sgranati a fissare il pavimento che veniva meno, fermatosi miracolosamente a pochi centimetri da loro. L’ospedale si reggeva ancora in piedi nonostante tutto; quando Shin sporse poco la testa verso il vuoto che lo divideva da Oliver, sentì un vento freddo e umido risalire dagli strati più profondi del sottosuolo, dove si trovavano le fondamenta e i condotti fognari dell’edificio, solo allora capì di trovarsi in una reale situazione di pericolo. Spostò istintivamente il piede sentendo venir meno un altro pezzo di pavimento, concentrandosi al massimo cercando di sentirne poi il tonfo ma nulla, sembrò quasi che quello strapiombo formatesi non avesse fine. Quando, preoccupata di quanto stava accadendo, la polizia azionò un faro fisso proveniente dal retro di un pick-up, Oliver riaprì gli occhi il cui colore dominante era il giallo, con macchie scure che ricordavano, nell’insieme, un suolo interamente arido. Nello stesso istante in cui li riaprì dei lacci di energia scaturirono dalla sua aura, che divampò sempre più, e raggiunsero gli agenti che, in pochi secondi, rinsecchirono e divennero polvere trasportata via dal vento, così come gli agenti che si trovavano sul tetto. La reazione fu veloce ma Shin ed Aaron riuscirono comunque a cogliere dei frangenti di “evoluzione”, i corpi perdevano istantaneamente tutti i liquidi corporei cosicché la pelle si trovò presto stesa sulle ossa del corpo: zigomi marcati, occhi colanti, borse scoscese, perdita dei capelli; tutto stava invecchiando, o meglio, perdendo nutrimento.

-NOOOOO!-

Gridò forte Shin, vedendo quel ragazzo macchiarsi di un reato così grave. Non credeva giusto che una persona togliesse la vita a un’altra, seppur lui avesse fatto lo stesso poche ore prima. Capì subito che però le circostanze erano del tutto diverse e che, questa volta, non era il ragazzino ad aver fatto quella strage, ma qualcos’altro. Prese la rincorsa e si lanciò verso Oliver nella speranza di farlo rinsavire. La distanza che li separava era modesta e un comune essere umano non sarebbe riuscito a raggiungere nemmeno la metà di quella distanza ma una voce dentro Shin gli suggerì di farlo, non curante delle conseguenze; e così fece. Nonostante le scarse aspettative da parte di Aaron, Shin superò lo strapiombo ma fu bloccato a mezz’aria con il pugno, teso verso Oliver, fermato da un’improvvisa barriera plasmatasi attorno al ragazzo. Di consistenza quasi inesistente e dal colore pressappoco trasparente, la barriera fermò Shin e, con grande forza di repulsione, lo rilanciò indietro. Fortunatamente Aaron, con riflessi pronti, afferrò il corpo giusto in tempo prima che sprofondasse nel buio più profondo. Le gambe tese, ed entrambe le braccia a sorreggere quelle di Shin che cercava in tutti i modi di non perdere la presa, entrambi erano sottoposti a uno sforzo fisico notevole senza però che ne riuscissero a sentire il peso. Sporgendosi poco di lato e facendo forza sulla gamba destra Aaron riuscì a portare Shin di nuovo sul pavimento, girandosi poi le spalle in una sorta di stretching.

-Chi doveva salvare.. Chi?-

Commentò sarcasticamente Aaron, aiutando Shin a rialzarsi. Il secondo rispose con una smorfia trovandosi da salvatore a salvato. Poi riportò lo sguardo, serio e imbronciato, verso Oliver, il ragazzo più misterioso e incredibilmente pericoloso che avesse mai conosciuto. Sperava di trovare analogie col suo caso ma non ci riusciva; ciò che era accaduto a lui era del tutto diverso. Sì.. aveva ucciso delle persone ma sapeva che quanto aveva fatto era solo frutto delle sue conoscenza ma, trasalendo, capì che anche in lui qualcosa era cambiato; i suoi movimenti erano fuori dal comune, così come la resistenza, ricordava infatti che aveva piegato la porta in ferro del locale, riusciva a tagliare le ossa con estrema facilità e aveva dei riflessi a dir poco straordinari. Le differenze tra il vecchio Shin e il nuovo erano evidenti ma… perché sembravano nulle in confronto a quel ragazzino?

Quei “nastri” di energia, quella barriera e… quel cadavere, per non parlare degli agenti ridotti allo stato originario. Tutto ciò aveva dell’incredibile, Shin lo desiderava, sembrava un bambino che, davanti a un nuovo giocattolo, freme per ottenerlo. Questo “giocattolo”, però, Shin lo aveva già, ma come avrebbe potuto utilizzarlo? Ma, soprattutto, a quale prezzo lo avrebbe fatto?

Strinse il pugno ancora una volta, concentrandosi al massimo e constatando che l’aura si concentrò anch’essa nel pugno. Così si lanciò di nuovo verso Oliver, nonostante il grido di dissenso da parte di Aaron che, con stupore, prese atto dell’idea geniale di Shin, vedendolo rompere la barriera e colpire forte Oliver tanto da farlo precipitare di sotto, verso il parcheggio ove, a pochi metri, bruciava la carcassa dell’elicottero della polizia. Shin, con un salto, si lanciò di sotto, ancora una volta dissentito da Aaron che, però, non sentì urla di dolore né suono di ossa rotte; il ragazzo era atterrato sui suoi piedi senza risentirne affatto. Aaron, più cauto, scivolò lungo un tubo di scarico, proteggendo le mani con un pezzo di maglia. Raggiunse presto il suolo senza ripercussioni sul suo corpo, cosa che lo lascò stupito ancora una volta. Si voltò, dunque e vide i due ragazzi immobili uno di fronte all’altro, Oliver con uno sguardo cupo e addolorato, Shin con aria di sfida, ancora una volta aveva la sensazione di doversi mettere alla prova, di superare se stesso e gli altri. Aaron, decisamente più riflessivo e cauto di Shin, analizzò la scena dalla distanza, Shin, il tipo sicuro che aveva conosciuto pochi attimi prima, tremava. Aaron si domandò il perché e produsse più di una risposta, tutte perfettamente comunabili al caso; l’altro ragazzo invece non era spaventato, né tantomeno preoccupato per la situazione, e questo portò Aaron a dedurre che non avessero a che fare con un comune mortale e che bisognava trovare un rimedio a quella situazione incresciosa. Assolto dai pensieri, fu riportato alla realtà dal movimento di Shin che alzò in aria il dito stendendolo poi in avanti, catturando così l’attenzione dei presenti, di Aaron e di Oliver.

-Non so cosa tu ne abbia fatto di quel ragazzino, ma ti assicuro che lo riporterò indietro!- Gridò Shin additando il corpo di Oliver, nella speranza che capisse ciò che stava dicendo, speranza vana. Finì appena in tempo la frase che un vento caldo, quasi bollente investì lui e gli altri due ragazzi. Le fiamme intorno all’elicottero ripresero vigore come alimentate da fiamme nuove, la temperatura salì di colpo nonostante mancasse ancora molto al sorgere del sole.

-*E adesso che cosa succede? Cos’è questo caldo improvviso?*-

Pensò, ansimando, Shin. Quello stesso pensiero pervase anche Aaron che però, inaspettatamente, non si preoccupò affatto della cosa, avendo ricorso all’aura per sopprimere il caldo, quasi come se fosse una tuta spaziale. La cosa che lo scosse, tuttavia, fu la figura che dalle fiamme dell’elicottero si avvicinava sempre più, con passo lento e deciso. I capelli sembravano esser diventati fiamme a loro volta, vibravano in aria mossi da volontà propria, il vestito stranamente ancora perfettamente intatto seguiva i muscoli addominali, scolpiti come una statua di pietra. La maglia era attillata, sembrava quasi disegnata sul torace, i pantaloni non facevano eccezione: le cosce erano tutto un susseguirsi di muscoli e tendini, il corpo era in uno stato di perfezione, e ciò avrebbe dovuto preoccupare, e non poco. Shin sgranò gli occhi alla vista del suo volto, quell’uomo che ardeva nelle fiamme, quasi fossero proprie, era Walter, l’uomo che pensava di aver tenuto testa poche ore prima. Shin stesso strisciò un piede per terra, indietreggiando verso destra, ingoiò il nodo che si creò in gola e leccò le labbra secche; aveva persino paura di aprir bocca. Aaron stava analizzando, da lontano, la scena. Dedusse che i due si erano già imbattuti prima di allora, e che quell’uomo era lì con la fiera intenzione di prendersi la loro vita. Di scatto Aaron voltò lo sguardo verso destra alla vista di curve perfette che, ad alternanza, sculettavano in un movimento armonioso. Prima un piede, poi l’altro, la donna si avvicinò ancheggiando come su di una passerella, con la mano destra portata al fianco formando col braccio un angolo retto. Aaron la squadrò, notò pochi graffi lungo il collo e cercò di immaginare come se li avesse procurati, avendo calcolato che dovevano, per forza di cose, esser freschi. La donna si portò quasi al centro tra Aaron e Oliver, poco distante da Shin che si voltò, preoccupato, a fissarla con gli occhi tremanti, in poco tempo si era ritrovato di fronte ai due avversari di prima.. ma con aria diversa. Le labbra sempre più secche iniziarono a collimare tra loro in un movimento rapido e quasi impercettibile, aprì la bocca e respirò affannosamente, la situazione in cui si trovava era quanto mai pericolosa e imprevedibile, aveva come l’impressione di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, circondato dalle persone sbagliate. Di colpo si svegliò grazie ad un sasso lanciato da Aaron, accortosi delle condizioni del ragazzo. Aaron sapeva bene che in un momento come quello bisognava restare calmi e freddi, analizzare gli eventi e trarre conclusioni, veloci ma non affrettate. Con uno scambio veloce di sguardi ordinò a Shin di concentrarsi unicamente sul tipo in fiamme, essendo il più pericoloso tra i tre. Subito dopo posò gli occhi prima sulla donna, poi su Oliver, per poi tornare a fissare Shin.

-TI MUOVI CAZZO!-

Urlò ancora, trovando finalmente contatto con Shin che trasalì al suono di quella voce forte e autoritaria. Non era il tipo che perde facilmente la pazienza e, infatti, non la perse, sapeva che doveva trovare un modo alternativo per svegliare Shin e lo aveva trovato bene. Difficilmente sbagliava i calcoli e lo sapeva bene il ragazzo.

-Ma tu come farai? Non conosci questi tizi e quello che sono in grado di fare, io a stento sono riuscito a tenergli testa! Poi c’è…-

Rispose Shin, temporeggiando prima di voltarsi verso il ragazzo che, in attesa, si trovava ancora davanti a lui senza emettere giudizio di sorta. Shin voleva aiutarlo ma non riusciva a comprendere a chi dovesse dare maggior attenzione. Nel frattempo Walter si era avvicinato abbastanza da riuscir a vedere tutti, lanciò un’occhiata a Serena, notò di sfuggita Aaron e ignorò Oliver, allungò una sorta di frusta infuocata e lo avvolse intorno alla gola di Shin, tirandolo di colpo come fosse una bestia al lazo. Shin riuscì in tempo a contrapporre le mani alla presa di fuoco, evitando il peggio, ma fu comunque trascinato via da Oliver e da Aaron.

-Tu.. pezzo di merda. Tu.. sei morto!-

Disse Walter, con le gote infuocate a Shin che, a terra, rivolgeva lo sguardo in alto proprio dove si trovava la faccia dell’uomo. Il suo tono e i suoi occhi instillarono terrore nell’animo di Shin, non riusciva a muoversi, consapevole che ogni azione sarebbe stata vana. Mai prima di allora aveva provato quelle singolari sensazioni, di chi, impotente di fronte agli eventi, abbraccia l’unica via possibile.. quella della morte, lenta e silenziosa. Pian piano Walter alzò il braccio sinistro tirando con esso la frusta di fiamme, ardenti come quelle dell’inferno, portando il volto del ragazzino ai suoi occhi, al cui interno vibravano fiamme rosse e gialle. Con un movimento impercettibile Walter portò il pugno destro all’addome di Shin, colpendo con tanta di quella violenza che il suolo alle sue spalle si alzò a mo’ di montagne, seppur dall’altezza di un uomo. Shin strinse i denti per evitare che il sangue fuoriuscisse dalla bocca, limitandolo a una semplice colata sul lato del labbro inferiore destro. Quando Walter mollò la presa, Shin cadde di peso sulle sue ginocchia, quasi privo di sensi, capace solo di provare dolore; un dolore immane.

-Questo… è solo l’inizio!- dichiarò fermo e possente Walter, pronto a vendicarsi per ogni affronto subito quella notte.
 

Dopo che Shin fu tirato da quella frusta, Aaron, preoccupato, si lanciò per afferrare il prezioso alleato, venendo però bloccato da Serena che prese proprio il suo posto, contrapponendosi tra Oliver ed Aaron stesso. Il ragazzino ancora in piedi a osservare la scena inarcò le labbra in un ghigno malefico che non assicurava nulla di buono. Aaron, in una situazione simile, preferì l’arte dell’eloquenza allo scontro diretto, sapeva che non ci sarebbe stato bisogno di muovere un dito contro una donna, soprattutto quella donna. Aveva compreso benissimo i suoi punti deboli, e i pochissimi punti di forza; per quanto l’avvertimento di Shin potesse risultar vero Aaron era sicuro di poterla affrontare senza problemi, consapevole che Lui non era Shin. Anche sul volto di Aaron, così, si disegnò un sorriso, che sapeva anch’esso di maligno, e la sua aura cessò di esistere. Iniziò così la sua strategia infallibile, che lo avrebbe portato alla vittoria senza dispendio di ulteriori energie.

-Dunque, da dove iniziare…- disse subito Aaron alla donna, producendo sul suo volto una domanda muta.

-Ti avviso, non ho intenzione di sporcarmi le mani in uno scontro diretto, dopotutto non saresti in grado di vincere. Perciò approfitterò di questi pochi attimi per porti delle semplici domande, e in base alle risposte vedremo il da farsi, che ne dici?- propose il ragazzo, attirando l’attenzione di Serena e producendo, allo stesso tempo, stupore e meraviglia, sarcastica, su quanto affermato dal ragazzo circa l’esito di un possibile scontro.

-Sei un tipetto divertente sai? Ripeti un po’ quella cosa sul chi batterà chi?!- domandò la donna agitando il dito verso il ragazzo, mostrando, al contempo, in un sorriso la perfetta dentatura e il bellissimo volto che questa le donava.

-Oh ma non c’è bisogno che io ripeta, dalla tua domanda posso confermarti che hai capito fin troppo bene, ma il punto non è questo.. ripeto che ho solo intenzione di colloquiare amichevolmente con te e ti suggerisco di collaborare!- dichiarò Aaron sempre più sicuro delle sue parole, e intenzioni. Puntò il dito verso la donna mentre esprimeva quei pochi e semplici concetti, per poi portare la mano al livello del mento, pronto a ottenere risposte a domande ancora non ben congeniate.

-Ho analizzato tutto ciò che è accaduto qui e in generale, suppongo sia uguale per tutti, in questi giorni. Penso ci sia una relazione tra noi e i vostri attacchi, che definirei falliti. A primo sguardo vi avrei circoscritti come organizzazione governativa, tipo CIA o MIB, ma direi che siete ben altro… sì il termine è quanto mai esatto data la natura di quell’uomo/torcia o della bestia che mi ha assalito poche ore fa.-

Aaron aveva appena iniziato e, come aveva programmato, i risultati iniziarono già a mostrarsi; la donna era come pietrificata ad ascoltare quanto Aaron stava accusando, quasi a confermare, non volendo, che quanto stava dicendo il ragazzo corrispondesse a verità. Al che Aaron continuò, nella speranza che ogni suo pensiero avesse effettivamente dei risvolti reali.

-Ci sono diversi aspetti che accomunano noi tre, a partire proprio da queste aure che ci avvolgono, seppur comparse in seguito a questa “riunione” non voluta, possiamo dire. Altra caratteristica sono questi attacchi, decisamente.. esagerati; io che vengo fermato da un mostro, seppur molto debole, Shin che deve essersi imbattuto proprio con voi non molto tempo fa, e ciò lo confermerebbe la reazione, e le sue parole, alla vostra vista. E.. ci sarebbe la questione del ragazzino qui presente che, non voglio sbagliarmi, deve aver ucciso il suo esecutore. Lo testimonierebbe il cadavere ritrovato sul tetto dell’ospedale. Qui però sorge il primo dubbio, quel cadavere non era la stessa persona da viva, può sembrare strano ma sono sicuro che chiunque sia morto non sia colui che avevate mandato!- dichiarò il ragazzo, lasciando di stucco Serena, preoccupata e stupita al contempo per quelle rivelazioni, ottime anche per lei, ma allarmanti allo stesso tempo.

-Posso quasi esser certo che voi non siete altro che la punta dell’iceberg, e questo lo testimonia il tipo col cappuccio che ha fermato Juro, il mio di esecutore. Non sono sicuro che la vostra “organizzazione” si regga su gerarchie predisposte, ma questo è un dato che sfortunatamente non potrà esser confermato. Passiamo a voi nello specifico, Juro è stato portato via dal quel tipo misterioso, tu el’altro invece.. direi interrotti, dopotutto Shin si trovava qui con una persona al suo fianco quindi posso dedurre che sia stata proprio quella persona a parare il culo al ragazzo, poi cos’altro c’è.. ma certo! Il motivo per cui vi trovate qui, siete venuti non tanto per tentare di ricatturare Shin e, perché no, anche noi due, voi siete qui per vendetta personale, eravate legati a quella persona che pensate sia morta. Più quell’uomo, che tu, direi fosse legato l cadavere. E.. posso anche affermare che dei quattro, tu sia la più debole, sono indeciso su questo punto, tra te e quel tale, Juro, non so chi scegliere.- continuò Aaron, vedendo che stava andando tutto secondo i piani, la ragazza era caduta nella sua tana e ormai l’aveva in pugno.

-Aahaha.. ma che stai dicendo. Devi aver battuto forte la testa contro Juro eh? Lui debole? Lui dovrebbe essere al mio livello? Hai ragione a dire che tra noi, io sia la più “debole” ma Juro.. non lo conosci.. potrebbe annientare una nazione se solo volesse. Dovresti rivedere i tuoi calcoli ragazzino!- rispose Serena, stringendo poi lo sguardo cercando di intravedere in quello di Aaron un po’ di esitazione che, con sua meraviglia, non si presentò. Il ragazzo era lì tutto d’un pezzo, con aria alquanto minacciosa e oscura, come le parole che seguirono.

-Non ne dubito. Non dubito affatto delle sue capacità, stavo semplicemente paragonando le sue.. alle mie!-

Quando Aaron pronunciò queste parole, facendo attenzione alle pause e alla loro durata, fece crollare il castello di cristallo che Serena si era costruita intorno a sé per evitare che il ragazzo la “colpisse”, cosa che però accadde, inevitabilmente. La donna sgranò gli occhi, che cominciarono a tremare, fece pochi passi indietro, incredula e impaurita dall’affermazione ferma e autoritaria del ragazzo, la sicurezza con cui espresse quel semplice concetto la fece tremare fin nelle ossa. Il colpo inferto da Aaron era stato profondo e indelebile.

-Perfetto!- esclamò poi, con un ghigno in pieno volto.

–Non c’è bisogno che ti ponga delle domande, a quanto pare ho visto giusto su tutto, e ho dedotto più di quanto tu stessa potessi sapere. Sono più che soddisfatto e ti dirò.. sono fortunato ad aver beccato uno spirito fragile come il tuo..- continuò a dire voltandosi, dando le spalle alla donna e ad Oliver, più per scena che per necessità. La donna stava per emettere sentenza ma si bloccò, sentendo la voce sottile e strisciante di Aaron pervenire alle sue orecchie.

-Hai perso, contro di me non avevi la minima possibilità di vincere. Non te ne sei accorta ma la battaglia era posta sul piano psicologico sin dall’inizio. Non puoi battermi!-

Aaron disse queste parole, e l’esplosione che seguì le stesse ridusse la percezione del suono di Serena, come quando una granata deflagra a pochi metri da una persona, e, nello stesso tempo, trasalì. Alle sue spalle si alzò una coltre di polvere e detriti, e voltò di scatto vedendo Walter che aveva stampato il proprio pugno sull’addome di Shin, ma la sua vera preoccupazione fu quel raggio di energia che, dall’aura di Oliver, si era posto, strisciando poco prima, alle sue spalle. Un colpo secco, e il laccio tagliò in due la donna in lacrime, consumando, partendo proprio dalla ferita, l’intero corpo fino a non lasciare che polvere. In quell’istante Aaron, ancora di spalle, mostrò metà viso girandosi, esibendo degli occhi completamente neri, senza la minima traccia d’iride.

-Adesso è il tuo turno!- disse Aaron con una doppia voce a Oliver, senza che questi, però cambiasse di poco la sua espressione, quasi come se sapesse a cosa andasse incontro.
 

Shin, caduto a terra dolorante, fu subito ricolpito da Walter, con una potenza sovrumana che lasciava tracce indelebili sul suolo. Il ginocchio dell’uomo si stampò sul viso candido di Shin, rompendogli il setto nasale, facendo cadere il ragazzo all’indietro, strisciando sulla ghiaia umida e fredda a causa del temporale che nel pomeriggio aveva colpito quella zona. Le nuvole tuonarono di nuovo e le prime gocce iniziarono a cadere su quel terreno di scontro che vedeva più sangue che cadaveri, inesistenti a causa della trasformazione in polvere. Pian piano la pioggia si fece densa e insistente, tanto da renderla visibile a occhio nudo. Shin col volto a terra sporco di sangue, vide ben presto il suo viso riflesso nella pozzanghera che si formò proprio accanto a lui, illuminata poi dal rosso che emanava Walter, dalle fiamme che lo avvolgevano in modo perenne. Quelle fiamme, seppur ardenti, non bruciavano, solo perché era Walter a non volerlo, la rabbia era tanto alta che aveva solo intenzione di lasciare in fin di vita il ragazzo, per poi bruciarlo vivo in una lenta e dolorosa agonia. Era consapevole che il suo compagno, ormai scomparso, era stato ucciso da Oliver, ma lui voleva prima uccidere Shin, come una sorta di antipasto prima del primo piatto, prelibato e delizioso. Guardò ancora Shin, in stato di semi incoscienza, poi rivolse per un attimo lo sguardo di fronte a lui, ove si trovavano Aaron e Oliver, intenti a combattere in modo alquanto violento e rapido. I lacci di energia di Oliver sembravano infiniti, in movimenti impercettibili, estremamente rapidi e forti, che fortunatamente Aaron evitava senza però rispondergli. In tutto quel casino però, Walter non vide più Serena, la sua compagna, al ché strinse gli occhi e colpì con un calcio fortissimo Shin in pieno volto scagliandolo in avanti a mezz’aria, prendendo poi con la sua frusta di fuoco e scaraventandolo al suolo con violenza inaudita.

-Non può essere. Non può esser morta anche lei.. cosa cazzo sta succedendo qui?!-

Esclamò con rabbia Walter, sbattendo, ad ogni parola, Shin al suolo. Passò in rassegna, in poco tempo, tutti i suoi ricordi, felici e non passati in compagnia di Serena, la ragazza che più di tutti sentiva vicino. Erano soliti lavorare in coppia, nonostante il loro lavoro spesso richiedesse un singolo individuo per svolgere una mansione. Sapere che quei momenti non ci sarebbero più stati fece esplodere la bestia che era in lui, accecandolo ormai da ogni rigor logico. All’ennesimo tocco, Shin sputò tanto di quel sangue che difficilmente gli doveva esser rimasto qualcosa dentro. Il ragazzo strinse il pugno a terra, cercando di recuperare le forze, senza successo. Era a pezzi, fisicamente e mentalmente, stava sperimentando quella sera la vera paura, il vero dolore, la vera umiliazione, quella che fino a qualche giorno prima era lui a procurare agli altri. Fortunatamente Walter mollò la presta sul ragazzo, ma solo per caricare l’ultimo colpo che lo avrebbe portato a miglior vita, trasgredendo però, in questo caso, gli ordini dei suoi superiori, che erano stati molto chiari: “I ragazzi ci servono vivi, assolutamente!”

Caricando il braccio destro alle sue spalle, Walter lo “lanciò” verso Shin con un laccio che aveva la stessa consistenza della lava e che, a differenza di quelli precedenti, stava sciogliendo, con le sue colate, l’asfalto sotto lo stesso laccio. Con difficoltà Shin, steso a terra e poggiato sull’avambraccio destro, intravide quel singolare attacco, sicuro però che sarebbe stato l’ultima cosa che avrebbe visto. Così chiuse gli occhi, aspettando la sua fine. Udì un suono subito dopo, lo stesso che si udirebbe quando una corda si avvolge intorno a qualcosa, riaprì gli occhi, lentamente, ed era felice della figura che si trovò di fronte, ancora una volta a salvarla contro la sua volontà. Il sorriso candido di Shin si contrapponeva alle innumerevoli ferite che gli popolavano il viso, piccoli sassolini neri erano attaccati alla carne che in alcuni punti era di un color carminio scurissimo. La maglietta stracciata in più punti, e i pantaloni rovinati e bruciacchiati alle estremità. Per chi non avesse seguito la scena, poteva sembrare che Shin si fosse lanciato da un treno in corsa. Sbatté più volte le palpebre, per rassicurarsi di non esser già morto, ma la scena che gli si presentava dinanzi non era cambiata, con sua somma gioia.

A fermare il colpo fu proprio Aaron, facendo sì che il laccio gli si avvolgesse intorno al braccio, prontamente contornato dalla sua aura violacea e sottile. Walter sgranò gli occhi dallo stupore, nessuno fino a quel momento era mai riuscito a tenergli testa, e nessuno aveva mai fermato quell’attacco. La situazione stava degenerando, non solo era l’unico superstite della squadra, ma si trovava anche in difficoltà contro tre ragazzi di cui due consapevoli delle loro abilità. Irritato più che mai cercò di ritirare l’attacco, senza successo; Aaron lo aveva sigillato al suo braccio e non aveva alcuna intenzione di mollarlo.

-La rabbia rende cechi, non è così?- domandò il ragazzo all’uomo, i cui occhi stavano letteralmente mutando, solidificandosi come la lava a contatto con il mare.

-Shin.. può sembrare fuori luogo ma.. tutto a posto?- chiese poi a Shin, con aria alquanto sconsolata, sapendo che le condizioni in cui verteva il compagno erano più che mai gravi.

-Fottiti!-

Rispose con un sorriso accennato il giovane compagno, rasserenato dalla presenza di un caro amico, seppur conosciuto da meno di un ora.
Aaron, con il suo potere, che aveva imparato a domare già da giorni, trasformò quel laccio di lava in un pezzo di roccia lavica, tanto resistente quanto nera. Afferrò la stessa con l’altra mano e, facendo forza sui piedi, iniziò a vorticare verso sinistra, nella direzione dell’ospedale, e, poco dopo, il corpo di Walter si vide spinto verso l’edificio da una forza immane. Lo schianto fece crollare tutta l’ala ovest dell’ospedale, ricoprendo interamente il corpo esanime di Walter sotto miriadi di detriti. Una coltre di fumo si alzò e delle esplosioni seguirono gravemente l’impatto.

-È il momento, dobbiamo andare!-

Esclamò Aaron, senza controllare se il nemico era stato sconfitto o meno; non ne vedeva la ragione. Raggiunse con pochi passi Shin, si abbassò verso di lui, lo prese sotto il braccio e lo aiutò a raggiungere l’auto. I due, con movimenti abbastanza lenti, arrivarono al veicolo per miracolo. Aaron aprì la portiera dal lato del passeggero e vi poggiò sul sedile Shin, ancora tramortito; si girò e corse a recuperare il corpo di Oliver disteso a terra, colpito forse con troppa violenza, pensò poi una volta raggiunto. Lo prese tenendo le gambe su un braccio e la testa sull’altro, facendo attenzione a non ferirlo ulteriormente; poggiò anch’egli nell’auto, sulle poltrone posteriori, poco comode ma funzionali al caso. Ebbe appena il tempo di entrare nell’auto e girare la chiave che una nuova esplosione attirò la sua attenzione. Probabilmente era ancora vivo e vegeto, pensò, mentre tentava di mettere in moto il veicolo senza successo; tentò una seconda volta e fortunatamente i cavalli si fecero sentire tutti. Accelerò più volte, tenendo un piede sul freno, al ché scaricò il gas e l’auto iniziò a girare su se stessa finché Aaron non lasciò il freno e quest’ultima partì a razzo. Uscirono dal parcheggio lasciando una scia di pneumatici e un odore mal sano di gomme bruciate. L’edificio che si lasciarono alle spalle, però, iniziò a colare, trasformandosi in pochi istanti in liquame quasi bianco, a causa dell’alta temperatura raggiunta. Da questo liquame si riformò il corpo di Walter partendo dal capo; quando alzò la gamba destra, con difficoltà, si potevano distinguere benissimo dei filamenti di lava che ne restavano impigliati. Ancora in parte liquefatto, per l’altro solidificato, Walter aveva tutta l’intenzione di raggiungere di nuovo i ragazzi, se non fosse per l’ulteriore intoppo che gli si presentò dinanzi.

-Non ti permetterò di far ancora del male a quei ragazzi, Walter!-

Disse l’uomo che Shin chiama.. maestro. Quel professore tutto d’un pezzo che aveva salvato poche ore prima il ragazzo, e che poi era sparito nel nulla. L’uomo, con i capelli legati da un codino e una maglietta bianca attillata, mostrava il suo fisico palestrato ma che non sfigurava; le mani nelle tasche dei pantaloni in segno di superiorità e un tono che poneva i due uomini su piani ben separati.

-Non prendo ordini da te. Lasciami passare Ur/-

Mentre esprimeva queste parole, Walter si lanciò verso il maestro con pugno teso, per poi esser interrotto prima che lo stesso potesse pronunciare il suo nome. Con un movimento repentino, il maestro bloccò Walter piazzandogli un ginocchio in pieno volto, zittendo, di fatto, l’uomo, scaraventandolo verso l’ospedale privo di sensi, con il conseguente crollo del resto dell’edificio addosso al suo cadavere.

-Tu non sei per niente degno di pronunciare il mio nome.- Disse il maestro voltandosi, mentre l’edificio crollava, accendendosi una sigaretta. Con passo lento e sicuro s’incamminò verso la strada che portava in città, noncurante delle innumerevoli volanti che, come al solito, giunsero in ritardo sul luogo dell’incidente.

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Capitolo 10
*** Ricordi ***


X CAPITOLO

Il sole era prossimo a sorgere nonostante le dense nuvole tenevano l’intero Giappone in una morsa di oscurità e follia. I ragazzi, che nell’auto continuavano ad allontanarsi dalla zona dello scontro, erano spaventati ed estremamente stanchi, spaesati e con il costante timore che i guai non li avrebbero lasciati facilmente. Aaron, continuando a scalare le marce e sorpassando le auto che iniziavano a infittire la rete di strade, trovò il coraggio di spezzare il silenzio che era calato sin da quando lasciarono l’ospedale.

-In fin dei conti ce la siamo cavata con qualche graffietto e contusione! Eheh!-

Disse, cercando quella vena ironica che non gli si addiceva proprio. Si voltò verso Shin, che aveva un braccio poggiato sull’addome e l’altro penzoloni che non riusciva a muovere; il sangue che colorava sul viso così come sul resto del corpo, un liscissimo e viscido violaceo tingeva qua e là gli zigomi e il petto, visibile dagli strappi lasciati sulla maglietta dallo scontro. Capito ormai che quelle parole non erano di conforto per Shin, puntò Oliver con la coda dell’occhio. Dormiva, non sembrava aver riportato ferite gravi, solo un’evidente contusione al livello del collo. Si rassicurò vedendolo dormire e senza troppi “danni”.

-Pensa a guidare… finirai per ammazzarci tu al posto loro!- brontolò Shin, mantenendosi all’appiglio sopra la portiera; cercando si sistemarsi meglio.

–Piuttosto. Mi spieghi come hai fatto a fermare il ragazzino?- domandò, poi, stringendo gli occhi in una ricerca minuziosa della verità nelle parole e nel volto di Aaron.

-Parli di Oliver? Bhè.. è semplicemente svenuto! Tutto qui- rispose lui.

-Tutto qui? Mi prendi per il culo per caso?-

Controbatté  Shin, irritato. Non sapeva cosa fosse successo, ma di certo non si sarebbe bevuto una balla simile, sempre che di balla si trattasse. Il punto fu che la voce di Aaron non disse nulla, fredda e inespressiva. Non vi era un modo per capire se quanto aveva affermato corrispondesse a verità o menzogna; almeno Shin non lo conosceva, solitamente si fidava dei suoi istinti, ma in questo caso non gli avevan suggerito nulla. Domandò poi come sapesse il suo nome, ma a domanda non ottenne risposta, e la cosa lo aveva irritato ancor di più.

-Dove dobbiamo andare piuttosto?-

Chiese amichevolmente Aaron per cambiare discorso; il volto sfacciatamente sorridente avvalorò la tesi di Shin secondo cui Aaron lo stesse ingannando per qualche ragione; ignota. Senza arrendersi sulla questione precedente, Shin pensò bene di focalizzarsi prima sulla "fuga". Fece un cenno con la mano verso l'uscita che di lì a poco si sarebbe intravista.

-Prendi quella... andremo a casa mia!-

Fece con tono poco gentile, quasi che l'idea non andasse giù nemmeno a lui. Aaron scalò le marce e prese l'uscita, ignaro del perché Shin aveva cambiato tono parlando di casa sua. Shin stava fissando le luci della città che piano si spegnevano al loro passaggio; un piccolo focus degli occhi e rivide il suo volto nel finestrino, appannato, dell’auto. Respirava contro il vetro, offuscando la sua immagine e cercando di allontanare i pensieri che erano sopraggiunti fissandosi. Un volto segnato dallo scontro, era il suo, mai tanto provato. Soprattutto l’animo del giovane mostrava i segni della più amara sconfitta...

-*ma che gli prende? Gli sembrano modi questi?! Se eravamo di disturbo, me lo faceva presente!!*-

Pensò Aaron scazzato. Fortuna che i pensieri, e il tono con cui si pensano nella propria mente, non sono ascoltati se non da chi li produce. La strada si fece più buia, le luci erano molto distanti tra loro e la nebbia di primo mattino rendeva il tragitto misterioso e triste. Fu un attimo e i pensieri di Aaron tornarono a poche ore prima, quando era rimasto solo a fronteggiare Oliver. I ricordi erano frammentati, e ciò avvalorò la sua tesi secondo cui non era solo in quel momento. Sentiva, durante lo scontro, come se la sua voce era sdoppiata, non riusciva a spiegarselo allora; non era un problema.. allora. Nonostante la forza e la velocità dei colpi di Oliver, era stato solo Aaron a colpire. Come aveva ben visto Walter, i colpi di Oliver, quell’energia che dalla schiena si alzava in cielo, non aveva colpito mai una volta Aaron, pronto com’era a scansarli tutti, con le mani egregiamente posate nelle tasche; sembrava ballasse tra quei raggi. Sapeva di essere superiore anche contro un ragazzo che stava dimostrando di avere poteri fuori dal comune, ma si chiedeva se dovesse stupirsi o meno di ciò, in fondo quella notte di persone fuori dal comune ne aveva incontrate molte.
Utilizzando in modo impeccabile quell’aura violacea, rarefatta, che lo avvolgeva, parò uno di quei mille raggi che vorticavano intorno a lui e lo costringevano a muoversi di continuo. Li fermò tutti nell’istante esatto in cui collise contro la gamba, rigidamente alzata per contrastare quell’energia. Era annoiato, vedeva Shin sanguinante esser colpito da Walter, e sapeva che non avrebbe resistito molto. Ma il suo attuale obbiettivo era Oliver, doveva trovare il modo di capire cosa era accaduto al ragazzo, e cosa si trovava di fronte a sé… Il ricordo si interruppe con Aaron e Oliver uno di fronte all’altro, gli occhi fissi nei loro sguardi; gli occhi di Oliver giallognoli, pulsavano senza sosta, sembrava volessero parlare.
In poche ore arrivarono fuori l’appartamento di Shin. Il ragazzo scese dall’auto premendo forte l’addome, ancora un poco addolorato. Aaron scese, ma rimase davanti alla portiera da cui si vedeva benissimo il volto di Oliver poggiato sul sedile posteriore. Fece cenno a Shin di accertarsi che la loro presenza fosse gradita o meno, ma il cenno fu inteso male dal ragazzo. Sprezzante si avvicinò al campanello. Non fece in tempo a premerlo che la porta si aprì e un volto nell’ombra gli si parò dinanzi.

-Shin’ichi!!!- gridò la voce femminile, che fece drizzare tutti i peli del ragazzo, compresi i capelli.

-Ti sembra ora di rientrare a casa? E poi dove sei stato? Hai fatto a botte?-

La sorella iniziò a fare mille domande, senza mai abbassare lo sguardo verso Shin che, umilmente, si sorbiva la ramanzina, con non poca fretta. Sapeva che il tempo era ciò che di più prezioso avevano, per questo posò la mano delicatamente alla bocca della sorella, facendo seguire al gesto un inchino sentito. Le labbra della sorella si fermarono di colpo, le dita strisciarono lungo la pelle rosea della ragazza, tingendole di rosso. Istintivo fu per la sorella pulirsi le labbra e costatare che l’olfatto non la tradisse; quello era sangue.

-Naoko… ti prego devi aiutare un mio amico, sta male e penso abbia la febbre alta. Per favore pensa prima a lui, poi m’imporrai tutte le punizioni che vorrai!-

Disse con un’umiltà che avrebbe fatto storcere il naso a tutti quelli che lo conoscevano come l’egocentrico che era. Agitando il capo chino, puntò, con l’unico arto che aveva a disposizione, la macchina, e fece drizzare la schiena ad Aaron, un po’ stupito della situazione.

-Cosa hai detto?- domandò ancora incredula, trasformando il volto stesso in una domanda. Shin alzò lo sguardo, comprendendo lo stupore della sorella. Stupendosi, poi, per la risposta della stessa.

-E perché hai esitato a dirmelo?! Tu! Portami il ragazzo veloce, non stare lì imbambolato!-

Disse con tono imperativo ad Aaron, che strinse gli occhi un po’ irritato dalla prepotenza della sua voce. Il ragazzo mise da parte il suo ego e passò alla priorità. Aprì la portiera ed estrasse Oliver, ancora privo di sensi, ma vivo. Arrivato alla soglia della porta, saliti i tre gradini che portavano a questa, Aaron non fece a meno di lanciare un’occhiata di sfida grave alla sorella di Shin, la quale rispose con un’espressione di sufficienza e disappunto.

-Dove lo metto?- domandò il ragazzo, senza riferirsi a nessuno in particolare.

-Che dici lo mettiamo per terra?!- fece Naoko.

–Mi sembra logico che devi poggiarlo su quel divanetto laggiù, penso sia abbastanza comodo-

Aggiunse poi, indicando un divano a due posti abbastanza grande da consentire ad un corpo steso di entrarci tutto. La ragazza si avvicinò per fare una prima veloce diagnosi. Studiava ancora, ma era prossima a laurearsi in medicina a pieni voti. Sapeva il fatto suo, e Shin non si fidava altri che di lei.

-Shin prendi il medikit dal bagno! Tu aiutami a levargli questo camice- disse ad Aaron, sempre più irritato dai modi bruschi della ragazza. Aveva molte domande da porre a entrambi ma preferì ignorarle per il momento.

-Mi chiamo Aaron, se non ti ‘spiace!-

Aggiunse in modo particolarmente sprezzante il ragazzo, stringendo gli occhi mentre fissava Naoko. Fortunatamente arrivò Shin a distrarre gli animi. Poggiò di fianco alla sorella tutto ciò che aveva trovato che potesse servirle, poi fece cenno ad Aaron di lasciarla sola e di andare in cucina.

-Senti io non la digerisco, ti ho aiutato a portarlo qui ma me ne andrò appena il sole sarà alto, siamo intesi?-

Dettò Aaron puntando l’indice a pochi centimetri dal volto di Shin. Il ragazzo in fondo conosceva la sorella e capì bene come si sentisse Aaron. Non rispose, ma fece intendere che il problema non fosse il suo. Andarono in cucina e si fecero un the caldo per riprendersi. Shin si era cambiato, ora indossava un jeans scuro e una maglietta rossa attillata. Più volte mentre beveva, Aaron si bloccava nel fissare un punto del tavolo, forse a pensare a quanto era successo, o, più semplicemente, a ciò che sarebbe successo di lì a poco. Sapeva che una volta svegliatosi il ragazzo, avrebbe creato non poche seccature… a lui.
Quando fu solo in cucina, dopo che Shin era stato richiamato dalla sorella per ottenere supporto nelle fasciature, Aaron uscì sul balcone. Uno strettissimo corridoio, con delle piante molto curate appese alla ringhiera e una gabbietta con uccellino a pochi centimetri dalla sua testa. Alzò lo sguardo, vide il cielo tinto di colori rosei e, dove il blu era ancora ben visibile, riuscì a intravedere le costellazioni. La nuvola, che prima li sovrastava, era passata lasciando spazio al sole mattutino. Sembrava che nulla fosse accaduto la notte prima, ma Aaron sapeva bene la verità.
Chiuse gli occhi, un venticello fresco e umido gli colpì il volto e il cinguettio dell’uccellino lo trasportò indietro negli anni. Si trovò d’un tratto su una collinetta verdeggiante, un cielo arancio e un sole all’orizzonte caldo e rosso. Il vento, caldo anch’esso, spostava le punte del prato della collinetta, che dava su un fiume. Era un ricordo, lo sapeva, ma il vento stranamente gli spostava i capelli, come se fosse fisicamente in quel posto. Con una mano li riportò dietro l’orecchio destro e fu allora che li vide. Due bambini, fratello e sorella, entrambi biondi e sereni. La bimba giocava con un aquilone, inseguendo degli uccellini blu che roteavano attorno al grande rombo giallo, mentre il ragazzo, con le gambe inarcate, sedeva sulla discesa della collinetta, sorridendo al tramonto e alla sorella.. una smorfia, più che un sorriso. In quel momento, in quel gesto, vi era più falsità che affetto, cercava di non darlo a vedere ma la tristezza riempiva il suo cuore, vedendo il volto della sorella e il tramonto.

-Aaron, Aaron! Visto che carini? Girano attorno al mio aquilone- disse sorridente la piccola Yumi, sua sorella minore. Il ragazzo inclinò il volto sorridendo, rispondendo con un semplice cenno alla piccola, come aveva sempre fatto.

-Non ti piacciono?!- rispose un po’ imbronciata la piccola, ormai avvicinatasi al fratello. Si sedette vicino a lui incrociando le gambe.

-Ma cosa dici sciocchina!- fece lui, dando un colpetto con l’indice sulla sua fronte, alzandosi in piedi. –Sono carini e affettuosi come te, non trovi?- continuò inclinando il volto, facendo spostare tutti i capelli verso destra. La piccola annuì poi alzò la sua piccola mano al cielo indicando il tramonto, scandendo poi ogni singola parola.

-Perché quando veniamo qua, e c’è il tramonto, diventi triste e silenzioso?- allungando il suono dell’ultima parola, mentre il vento mosse i capelli di entrambi. Aaron (entrambi gli Aaron) spalancarono gli occhi per la domanda insolita, ma non attesero nel dar risposta. Entrambi la diedero, con la voce di Aaron che sovrapponeva quella del suo Io nel sogno.

-Perché venivamo sempre su questa collinetta… con mamma. Forse non lo ricordi bene perché eri piccola.- quella risposta fece brillare gli occhi della piccola Yumi. Amava quando sentiva storie che la riguardavano ma che lei non ricordava.

-Quando mamma rientrerà dal suo viaggio, ci torneremo.. vero fratellone?- domandò saltellante al fratello. Questi, voltandosi afferrandola per mano, le mentì ancora, promettendogli che sarebbero tornati lì tutti insieme per vedere ancora una volta il tramonto… insieme.

-Pensi che papà sia tornato?- chiese poi lei fissando il movimento alternato dei suoi piedi.

-È periodo natalizio Yumi, sai che papà fa gli straordinari. Il suo lavoro è molto faticoso, ma deve farlo, non può sottrarsi- rispose in un modo che abbracciava la freddezza del suo pensiero e il calore del suo amore per la sorella.

-Allora lo aspetterò. Sì lo aspetterò per dargli tanti bacini!!-

Disse ancora la piccola, voltandosi sorridente verso il fratello. Aaron, che da lontano vedeva ancora la scena, non poté fare a meno di commuoversi, mostrando un lato di sé che sempre nascondeva. Tornò alla realtà, non senza rimpianti. Fece per rientrare quando la voce di Shin lo chiamò, lasciando comprendere dal tono che Oliver si era finalmente svegliato.
Insieme raggiunsero l’altra stanza, Oliver sorseggiava il the, ormai tiepido, con l’ausilio di Naoko. Il ragazzo era come rinato, le bende coprivano l’addome e parte del torace. In alcune parti quest’ultime si erano tinte di un rosso leggero, a testimoniare che qualche ferita anche il giovane l’aveva riportata. Fissava ancora stordito il liquido nella tazza. Il tremolio delle mani creava delle onde concentriche che distorcevano il riflesso del suo volto. Il fumo iniziava a dargli fastidio alla vista e, vedendo entrare anche l’altro ragazzo, alzò lo sguardo per ringraziarlo. Aaron seguiva Shin, era, infatti, mezzo coperto da quest’ultimo. Ma Oliver lo vide bene, lo riconobbe. Spalancò gli occhi e un’ombra calò sul suo viso subito dopo. I suoi occhi erano diventati molto bassi, indicavano  un tono di sfida.. o di odio. Shin se ne accorse e fece per porsi tra i due. Aaron poggiò una mano sulla sua spalla e scosse il capo, iniziando a parlare.
-Non c’è bisogno che tu ti ponga tra me e lui… forse conviene spiegare cos’è accaduto all’ospedale!- disse Aaron con voce molto tenue, dispiaciuto per la situazione incresciosa venutasi a creare. Shin, voltatosi leggermente, stava per chiedere spiegazioni quando la voce di Oliver, sottile ma alta, lo interruppe violentemente.

-È stato lui- iniziò, indicando il livido che aveva sul collo, ora liscio per via della crema applicatagli sopra da Naoko.

-..è stato lui a causarmi questa!-

Continuò con parole di fuoco il giovane, accendendo gli occhi di un giallo più vivido di prima, quando si trovava nel parcheggio dell’ospedale. Shin, che aveva fissato Oliver che lo aveva interrotto, si voltò di nuovo verso Aaron cercando, ancora una volta, di domandare, senza successo.

-Ha ragione! Sono stato io. Avevo pensato che, nonostante tutto, il suo corpo fosse ancora umano, e quindi avrebbe reagito di conseguenza…- rispose, dispiaciuto, Aaron, a una domanda che concretamente non gli fu posta. Spostò gli occhi verso la ferita, ricordando il colpo inferto al ragazzino.

-Grazie per le importati informazioni!-

Esclamò Aaron portatosi dietro ad Oliver, nonostante non fosse in sé in quel momento. E colpì con violenza sul collo del ragazzo, facendolo accasciare a terra, privo di sensi.
Aaron ritornò di nuovo in sé, sentendo la voce squillante della sorella di Shin che aveva preso da un po’ la parola.

-… cioè potevi ucciderlo!-

Fu l’unica frase che Aaron riuscì a comprendere. Vide che Shin lo fissava, e sentiva lo sguardo pesante di Oliver addosso. Stava accumulando stress, e doveva reagire. Non rispose, non fece alcun gesto, prese e andò verso la porta d’ingresso. Aprì e si trovò di fronte il tipo che era prima in macchina con Shin’ichi. Lo riconobbe nonostante la penombra, e lo fissò con sguardo sprezzante ma allo steso tempo dispiaciuto. Il maestro, che aveva sentito le urla di Naoko, lasciò uscire Aaron e poi entrò. Chiuse la porta e tranquillizzò gli animi. Aveva un tono e un fare molto familiare, conosceva bene i due ragazzi, entrambi suoi allievi, nonostante Naoko non frequentasse più. Aaron, sedutosi su di uno dei gradini subito fuori la casa di Shin, ripensò al suo passato, alla notte in cui la sorella venne a scoprire la dura verità.
 
Un rumore di chiavi attirò l’attenzione del ragazzo, seduto sulla poltrona che si trovava alla destra della porta, dietro un muretto divisore. Era tardi, molto tardi, nonostante non avesse visto l’orario, ne era certo. Accese il lume di fianco a sé e attese che il padre varcasse l’uscio. Si strofinò gli occhi e salutò il genitore con una smorfia. Sembrava lo stesse rimproverando, ma neanche lui sapeva per cosa. Molti erano i pensieri che in quel momento vagavano per la sua testa, ma sapeva che troppe parole non avrebbero concluso nulla, e che litigare non sarebbe stato utile a nessuno. Lo accompagnò in cucina facendo attenzione a non svegliare la sorella che angelicamente dormiva nella sua stanzetta, poco distante dalla cucina stessa. Il padre, uomo alto e curato, tanto nell’aspetto quanto nel vestiario, posò lo sguardo verso la porta semi-chiusa della camera della piccola, sospirò e chiuse per pochi attimi gli occhi; poi proseguì. La cucina era in ordine, nulla lasciato fuori posto, neanche un piatto da pulire, una piastrella sporca o altro. La pulizia con cui era tenuto quel locale era maniacale. Ma proprio quella pulizia demoralizzava quel genitore affranto dal lavoro, dalla situazione che si trovavano, tutti e tre, a vivere da ormai sette mesi. Non fece a meno di versare una lacrima al pensiero dei tempi andati. Da genitore comprendeva il carico che verteva ormai sulle spalle del figlio, ma non sapeva come fare. In Giappone non c’è mai stata l’idea di “orario di lavoro”, lì si lavora fin quando il proprio datore vuole, e gli orari non sempre sono a favore dell’impiegato. Essere solo a mantenere i due figli era molto difficile, soprattutto con la crisi che c’era. Aaron riscaldò un piatto prima cucinato, mise su una vettovaglia e apparecchiò per una sola persona. Il padre, vedendolo ‘sì preso, lo aiutò cercando di sorridergli e tirar su il morale del giovane, senza successo. Quando entrambi si sedettero, Aaron ruppe il silenzio, in modo amaro e sprezzante.

-Ancora che ti ritiri a quest’ora?- iniziò a dire, spostando, per il nervoso, il bicchiere che aveva dinanzi.

Yumi ti ha aspettato fino alle undici… povera non ha retto più ed è crollata. Pensi mai di dover fare il padre qualche volta? Di dover esserci per i tuoi figli?-

Accusò, in lacrime, il ragazzo. Cercava di essere duro ma con scarso successo. Si sentiva solo. In cuor suo conosceva il perché dell’assenza del padre, ma non voleva giustificarla. Avrebbe accettato di vivere come un pezzente pur di avere.. riavere.. l’amore che ormai da tempo è venuto meno nella sua vita. Il padre, silenzioso, assorbiva le lamentele del figlio, lamentele che di solito sono di una moglie stanza e afflitta, ma che ora, dette da lui, sembravano ancora più taglienti e dolorose. Cercò di trovare le parole giuste ma senza successo, apriva e chiudeva la bocca senza però emetter fiato. Poi Aaron riprese.

-Da quando mamma è morta… ho perso entrambi i miei genitori, e sono rimasto con una sorella che mi ama, ma cui sono costretto a mentire… come pensi che mi senta!-

Disse queste parole, con voce alta e lacrime a fiumi, bloccandosi nell’istante in cui vide poggiata vicino alla porta, con la testolina stanca e affaticata, la sorella Yumi, con gli occhi densi di lacrime che faticavano a scendere, un nodo in gola che quasi la soffocava. Era sopraggiunta per salutare il padre, avendolo sentito rientrare anche lei, ma alle parole del fratello era come morta dentro, senza speranza di salvezza.
 

Ripercorrendo quel ricordo, Aaron sentì di nuovo quel nodo in gola. Quando si sentiva in colpa, quel ricordo riemergeva prepotente nella sua mente. Il suo animo si stava a poco a poco sgretolando, e le sue forze parevano lasciarlo. In quell’istante Shin uscì dalla porta, per consolare quel compagno che in poche ore stava conoscendo, e del quale voleva capire di più. Ma proprio uscendo, alzando lo sguardo dopo aver visto Aaron seduto, una figura poggiata a gambe incrociate sull’auto attirò la sua attenzione. Dondolando come solo i pazzi fanno, Juro era giunto dai ragazzi per catturarli insieme, quando ancora erano indeboliti dagli ultimi accadimenti.
 

Nel frattempo, passate ormai due ore dall’incidente, l’uomo incappucciato, che prima aveva salvato Aaron, arrivò all’ospedale in macerie. L’incendio delle ore precedenti era stato domato e la polizia scientifica aveva già fatto i suoi accertamenti. L’uomo si avvicinò all’edificio senza difficoltà, nonostante la presenza di due pattuglie a sorvegliare l’area; gli agenti morti nelle loro auto. Il suo riflesso era visibile dalle pozzanghere ancora presenti dei precedenti soccorsi. Non tolse il cappuccio, le prime luci del mattino continuavano ad illuminare solo una piccola parte del suo viso, solo quella cicatrice che era presente sulle labbra. Raggiunse il centro del parcheggio e ripercorse gli avvenimenti, come se fosse stato presente durante questi. Immaginò come Aaron avesse battuto senza troppe difficoltà sia Serena sia Oliver; di come Uriel avesse steso Walter in modo violento, e di come quest’ultimo fosse passato inosservato alle forze dell’ordine sopraggiunte in zona. Occultamento pensò subito, e non sbagliava. Individuò la posizione di Walter, provato e privo di sensi, poggiato vicino a un cumulo di macerie, sporche del suo sangue. Con la coda dell’occhio vide avvicinarsi qualcuno, qualcuno di familiare. Era Rioga, al quale era stato ordinato di catturare Oliver, ma che era rimasto per tutto il tempo nel boschetto che circonda il parcheggio. Zoppicava ancora, e si avvicinava a passo lento verso il suo superiore; arrivò al suo fianco e fece per giustificarsi, ma l’uomo lo zittì prima ancora che cominciasse, alzando la mano destra coperta da un guanto di pelle nera.

-So tutto, non c’è bisogno che spieghi. La prossima volta, però, vedi di non utilizzare così impropriamente la trasmigrazione dell’anima- disse l’uomo senza troppi giri di parole. Poi spostò lo sguardo verso le macerie dov’era poggiato Walter e continuò.

-Recuperalo e andiamo. Non c’è tempo da perdere, i ragazzini diventeranno più forti e consapevoli ogni ora che passa. Dobbiamo richiamare gli altri!- ordinò, sicuro e fermo come pochi. Rispondendo poi alla domanda che Rioga non fece, ma pensò solamente.

-È voluto andare ad affrontare i ragazzini- furono le sue parole mentre, cauto, si dirigeva al suo elicottero, con Rioga che prendeva in braccio il corpo del compagno; scusandosi con quest’ultimo nonostante non potesse sentirlo.

-Non sarà stato imprudente?- domandò poi Rioga, una volta poggiato il corpo sul retro dell’elicottero, salendo anch’egli.

-Non importa. Ha deciso di morire. Ed io non ho mai sopportato le teste calde.-

Rispose impassibile e freddo mentre l’elicottero salì di quota. Un ultimo sguardo all’edificio e poi via, verso la base. Dall’altro lato del paese, Juro non riuscì a proferir parola, scese a stento dall’auto che Shin’ichi lo colpì in pieno volto con un calcio rotante. L’uomo percorse a gran velocità tutto il viale, finendo a ridosso di tre bidoni per la raccolta rifiuti. Non percepì nemmeno il movimento di Shin, e questo lo spaventò per un secondo, prima che si rimettesse in piedi sghignazzando; trovava piacere nel percepire quei sentimenti umani che durante l'allenamento aveva isolato. Shin, poggiando prima un piede poi l'altro sull'asfalto, si girò verso Aaron alla ricerca di attenzione.. non corrisposta. Unì allora i pugni schioccando le ossa della mano destra prima, e della sinistra poi; piegò il volto ed esclamò a voce bassa, quasi in un sussurro: “Adesso è il turno mio”. Curvò il labbro superiore e si lanciò all'azione. In quell'istante il maestro uscì dalla porta d'ingresso, seguito nell'ombra da Naoko, ed entrambi videro Shin, con pugno teso, andare verso il suo avversario, carico di rabbia e di riscatto.

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Capitolo 11
*** Riscatto ***


XI CAPITOLO

L’alba era sorta già da un pezzo. I vetri rotti dell’auto, sulla quale Juro era andato a scontrarsi, volteggiavano in aria, riflettendo i primi raggi di luce sul volto ormai vicino di Shin. Accortosi in tempo, Juro scansò il colpo, che il ragazzo gli stava sferrando, e l’auto fu piegata ulteriormente dal micidiale colpo evitato. Con rapidità spaventosa, tenendo la schiena, Shin colpì col gomito il volto dell’avversario, lanciandolo contro un muro di mattoni, risalente al periodo endo, che si trovava alla destra del malcapitato. Nel fumo sollevatosi subito dopo si intravedeva l’ombra di Juro, già in piedi, che si puliva col polso il sangue che colava dal labbro.

-*puttana troia, non pensavo colpisse duro lo stronzetto!*-

Disse strofinando ancora la ferita, che prontamente si stava rimarginando. Riuscì a malapena ad alzare lo guardo che, senza accorgersene, fu preso al volto dal palmo di Shin e reinserito nel muro con forza inaudita. Il muro cedette ancor di più, si crearono più cerchi attorno alla figura di Juro incastonata nella parete. Shin fece pochi passi indietro mentre Juro si mosse nuovamente, facendo cadere dei detriti dalla parete, nello staccarsi con violenza dalla sagoma del muro; piegò lentamente il collo, prima a destra poi a sinistra, producendo uno scricchiolio poco gradevole. Senza l’uso delle mani aggiustò anche la mandibola, aprendo poi la bocca per fissare bene tutte le ossa del volto che si stavano ricomponendo. Shin era stato tanto violento da scomporgli, anche se di poco, l’asse facciale, ma questo non fece altro che eccitare il suo avversario, il cui solo scopo era quello di uccidere.

Uscì dalla polvere che lo circondava, facendo ruotare il braccio destro, quasi come un riscaldamento, e, senza che Shin se ne accorgesse, all’ennesima rotazione lo colpì sotto il mento con uno spostamento impercettibile. Il corpo di Shin si levò da terra pur restando su quel posto, il sangue fuoriuscì dal naso e dalla bocca. Gli occhi ruotarono verso l’alto rendendogli difficile vedere l’avversario, che, con una forza sovrumana, lo colpì prima allo stomaco, premendo forse sotto lo sterno, causando il piegamento di Shin sul suo pugno, poi, alzando velocemente la gamba, lo colpì con un calcio rotante che fece volare Shin sempre più nel buio del vale in cui si trovavano. Le case alte, che limitavano lo stesso, oscuravano la luce del sole, ben visibile solamente su uno dei due lati, l’altro. Le luci e le insegne erano ormai spente e quindi Shin non poté contare sul loro ausilio. Strisciò carponi a terra, dimenandosi dal dolore, senza però spostarsi dal punto in cui il suo corpo si fermò. Posò con violenza i pugno a terra, sputando ancora sangue dalla bocca. Pensava di essersi ripreso del tutto, ma si rendeva conto anche che in quello stato non poteva esserlo. Cercò di alzarsi facendo leva sulle gambe, ma il piede di Juro, che era ormai arrivato vicino al ragazzo, lo colpì allo stomaco; una, due, tre volte, poi con uno slancio alzò di peso il corpo rannicchiato di Shin, ricolpendolo alla schiena con un potente pugno. Shin ripensò ai colpi che gli inferse Walter, alla rabbia con la quale l’uomo lo colpì, e alla stessa che Shin provò a sua volta per la sua impotenza nei confronti dell’avversario; non si sarebbe perdonato un ulteriore affronto nella stessa giornata. Ricordò ciò che aveva detto ad Aaron poco prima di lanciarsi di nuovo contro Juro: “Adesso è il mio turno”; rivide il volto dell’amico assente, come se, ciò che Shin stesse facendo, avesse poca importanza. Allora risentì il dolore, riprovò l’amaro sapore della sconfitta, la sua inferiorità rispetto ad Aaron e a tutti quegli individui incontrati in quei maledetti giorni.

-Non può essere- Sussurrò sputando nuovamente sangue dalla bocca. –io non posso ridurmi in questo stato. Non ho mai perso..- continuò con voce ancor più sottile, interrotta da piccole lacrime che riempivano i suoi stretti occhi. –Non posso continuare a perdere!!- Urlò, in fine, dopo un piccola pausa, riprendendo le forze e la fiducia in sé.

Colmo di collera, pose il palmo a terra, approfittando di un momento di pausa di Juro (inspiegato), e ruotò su sé stesso, colpendolo alle gambe, facendolo cadere. Mantenendo il palmo a terra, e la rotazione, si diede uno slancio, pur dolorante per i colpi infertogli da Juro , e si rimise in piedi, per poi colpire a pugno fermo l’avversario, ormai a terra, generando un’onda d’urto tutt’intorno, distruggendo l’asfalto della strada formando un cerchio, e facendo crepare gran parte della strada stessa. Gli occhi di Shin erano rosso cremisi, e sentiva come la rabbia scorresse forte in lui, dandogli una forza che trovava indescrivibile e inarrestabile. Non si sentiva così da quando combatté ad  armi pari con Walter e Serena, ma sentiva anche si esser diverso, e così era. Intorno a Shin si riformò la stessa aura rossa che lo circondò sul tetto dell’ospedale. Guardò prima la mano destra, e vide che dei filamenti rossi e un’aura dello stesso colore, ma più lieve, circondavano tutto la mano e il braccio; pose poi lo sguardo sulla sinistra, e costatò che anche su quella fosse comparsa la strana aura. In tutto ciò, però, non si accorse di Juro che, senza preavviso, sostava con un piede dritto a pochi metri sopra il capo di Shin; quando il ragazzo alzò lo sguardo fu troppo tardi, Juro pose il tallone sul suo volto, con un’apparente delicatezza, per poi schiacciarlo al suolo creando un’onda d’urto quatto volte superiore a quella di Shin, poco prima. I palazzi tremarono e le auto iniziarono a suonare. Si alzò improvvisamente una folata di vento e, dal buio della stanza, Oliver riaprì gli occhi, tremante. La sorella di Shin, tremante anche lei per la situazione in cui il fratello verteva, cercò si scansare il maestro volendo aiutare a tutti i costi il fratello minore. Con un braccio provò a spostare il corpo che di fronte a lei si parava, senza successo; il maestro distese il suo di braccio e, senza esporsi tanto, colpì con uno sguardo imperativo Naoko che, abbassando gli occhi, si ritrasse indietro portando la mano al volto, per nascondere la preoccupazione che sempre meglio era espressa dal suo viso candido, ora tremante e in lacrime.

-Ad ogni modo non potresti fare molto. Saresti solo d’intralcio-

Disse d’un tratto il maestro, non girandosi del tutto verso Naoko. La giovane a quelle parole sussultò, comprendeva che ormai tra lei e il fratello c’era una differenza oceanica, e che quel tipo era fin troppo pericoloso persino per Shin. Abbassò ancor di più il volto tanto da farsi cadere i capelli davanti agli occhi; sentiva le lacrime che scorrevano senza sosta e il cuore battere come non mai. Il respiro era affannato, e i ricordi riaffiorarono prepotenti con un velo di sofferenza e nostalgia.

Intanto lo scontro, se così si poteva chiamare, continuava. Shin cercò di colpire con un gancio destro Juro, che prontamente evitò indietreggiando di un passo, rispondendo poi con un pugno nello stomaco. Trattenendo il dolore, Shin, colpì con violenza Juro al fianco, questi rispose con una gomitata sullo sterno del ragazzo che indietreggiò, barcollando, tenendo la mano premuta al suo centro. Tornò poi sull'avversario, premendo sempre sullo sterno, ma Juro, che prima si stava abbassando alla sua destra, sparì per ricomparire alle sue spalle. Shin riuscì a voltarsi in tempo da permettere a Juro di prendere solo un braccio; digrignando i denti in un distorto sorriso, tirò forte il braccio alzando il corpo di Shin, tenendolo in aria a braccio teso.

-Mi fai pena. Un coglione come te non ha speranze di battermi!-

Disse, divertito, l’uomo fissando negli occhi il ragazzo. Fu un attimo, Shin, comprendendo il pericolo, strinse denti ed occhi e, con forza spaventosa, fu lanciato su di una ringhiera, procurandogli una pesantissima frattura. Dal dolore, dopo essersi rimesso in piedi barcollante, Shin tirò un urlo che risuonò in tutto il quartiere, a metà tra l’urlo di disperazione, di persona dolorante, e quello di una bestia pronta ad abbattere l’avversario. In poco tempo, tutte le finestre del viotto, che a poco a poco era illuminato dai raggi del sole, si ruppero a causa degli ultrasuoni liberati da ragazzo. Naoko, spaventata e preoccupata, non poté fare a meno di proteggersi le orecchie da quel frastuono tremendo. All’interno del salone Oliver, al quale sembrava non toccasse quel suono, si raggomitolò nella coperta che Naoko gli aveva posto sulle spalle, tremava, quasi avesse paura di qualcosa di più mostruoso di quel che accadeva. Delle lacrime cristalline iniziarono a colare sul suo bianco volto, e le sue gote iniziarono ad arrossirsi d’un tratto.

Shin, smesso di urlare, strinse forte i denti, e chiuse teso il pugno destro. Drizzò le spalle in postura retta, si voltò verso Juro che, eccitato, stava abbassando le mani dalle orecchie insanguinate. I due si fissarono, gli occhi cremisi di Shin sembravano muoversi, come magma incandescente, le ferite sul suo volto cominciarono a risanarsi con una velocità incredibile, così come quelle sul resto del corpo. Il tempo sembrò bloccarsi, il vento cessò di battere, i respiri erano, come d’un tratto, cessati, persino i cuori non battevano più. In quell’attimo solo un suono sottilissimo si udì; l’asfaltò si disintegrò, proprio dove poco prima si trovava Shin; nessuno lo vide muoversi, ma nell’istante in cui quel suono raggiunse la consapevolezza dei presenti, Juro venne scaraventato all’interno della casa che si ergeva dietro di lui. Persino l’aria si mosse in ritardo, una folata seguì dopo pochi secondi Shin, spostandogli gli orecchini che portava sulla parte superiore dell’orecchio destro. Il tintinnio degli stessi rilevarono la sua posizione, ancora sconosciuta a Naoko fino ad un attimo prima. Shin aveva solo un piede poggiato a terra, l’altro mezzo reclinato; che poi posò a fianco al primo. Con un po’ di difficoltà ritrasse anche il braccio destro, che si era indurito non essendo abituato a quello sforzo immane. Dalla casa, mezza distrutta, Juro uscì senza la parte superiore sinistra del corpo, che, sotto gli occhi stupiti di Naoko e di Shin, iniziò a ricostruirsi lentamente.

-Ah! Ah! Ah!-

Iniziò ansimante Juro, quasi in un singhiozzo forzato. Aveva gli occhi pulsanti, e il suo corpo sembrava accrescersi ad ogni passo, a ritmo di un battito. Era eccitato, il suo sorriso si estendeva quasi per tutto il volto; con prepotenza sfidava l’avversario a ripetere quel colpo. Alzò lentamente la mano, tenendo all’esterno del pugno solo indice e medio, rivolti verso l’alto. La lentezza con cui muoveva la mano era snervante, Shin però, sicuro di sé, seguì il movimento con cauta tranquillità. Juro, portata la mano a livello del volto, sorrise ancor di più e abbassò si scatto le due dita, quasi come se stesse indirizzando verso il ragazzo qualcosa che, sfortunatamente, non si percepiva.

-Prova a resistere a questa, mezza sega!!-

Urlò nello stesso istante Juro, i cui capelli si erano lentamente alzati verso l’alto. A quel punto, proprio mentre le dita si abbassarono, una tremenda pressione colpì Shin; doveva schiacciarlo, in un caso normale, ma così non fu. Prendendo esperienza da ciò che Aaron fece nel parcheggio dell’ospedale, Shin si circondò della sua aura rossa, ora più che mai, e alzò solamente il braccio sinistro a protezione del capo, ma per istinto.. non per necessità. Intorno a lui tutto subì con prepotenza quella pressione generata da Juro, l’asfalto si divise in grossi blocchi, che si alzarono in aria disintegrandosi in piccoli frammenti, le auto furono assottigliate a piccoli pezzi di lamiera inutile, le ringhiere delle case nelle vicinanze si piegarono a loro volta, toccando terra. Vedendo che tutto subì il suo potere meno che Shin, Juro iniziò a tremare d’odio e decise di trasformarsi, proprio come fece con Aaron.

-E dire che questa volevo conservarla per quello stronzetto lì seduto! Ti stai dando da fare merdina!-

Disse l’uomo a denti stretti, trasformandosi nella bestia che affrontò Aaron al parco. Juro si piegò poco in avanti, avvicinò i due pugni e, con rapidità, tutte le ossa si sporsero. A differenza della trasformazione fatta davanti ad Aaron questa non solo fu istantanea, fu anche più profonda. Le ossa sulle vertebre uscirono praticamente dalla pelle, ricoperte ancora dal sangue della sua parte umana; i gomiti si allungarono e anch’essi uscirono fuori dall’involucro di pelle, ed erano talmente affilati che potevano essere utilizzate come lame, e così sarebbe stato. Sulla fronte comparsero due corna sottocutanee, e i capelli diventarono grigi, di uno chiarore argenteo, che venne illuminato dai primi raggi che colpirono l’interno profondo del vialetto. La storia si ripeté.. Juro si mosse in modo rapidissimo, portandosi dinanzi a Shin colpendolo con l’estensione del gomito, strappandogli la maglia e tagliandolo all’addome.
Il ragazzo indietreggiò, non sentiva dolore ma era consapevole di ciò che era successo. Non aveva tempo per chiedersi il perché di quella situazione, ma sapeva che non doveva preoccuparsi del suo corpo, qualcosa glielo stava suggerendo dentro di sé. La ferita infatti si rimarginò all’istante, Shin sputò un po’ di sangue a terra e poi sparì a sua volta. Lo scontro andò avanti ad una velocità che occhio umano non poteva seguire. I due sembravano alla pari, al destro di Shin seguiva quello di Juro. I due iniziarono a colpirsi a ripetizione con una forza incedibile. Entrambi persero fiumi di sangue, ma le loro ferite si richiudevano con la stessa velocità con la quale si presentavano. Da terra si alzarono i piccoli frammenti di asfalto che costernavano la strada, le onde d’urto taglienti distrussero i palazzi a destra e a sinistra, l’aria iniziò a vorticare pericolosamente e ogni piantina si sradicò dalla sua ubicazione vicino le scale di ogni casa. I due urlarono, per darsi forza. L’incontro era pari, i colpi subiti erano prontamente risposti, ma qualcosa stava cambiando e Juro lo sospettava. Mentre colpiva Shin, e subiva al contempo i suoi colpi, notava la potenza crescente di quest’ultimi, proprio come accadde al parco con Aaron. Sembrava comunque eccitato, era assetato di sangue, al successivo colpo di Shin rispose ponendo il gomito, che sporgeva pericoloso e tagliente, e di fatto entrò nel pugno del ragazzo dividendogli mano e avambraccio in due. Ritratto il braccio, che perdeva sangue a fiumi, Shin indietreggiò, commettendo un errore fatale.. distrarre lo sguardo dall’avversario.

-Oh no! SHIN!!- gridò il suo maestro preoccupato ma fermo sulla sua posizione.

La sua preoccupazione era fondata, il ragazzo era fermo a tenere il braccio stretto dalla mano sinistra. Sentiva il dolore questa volta. Uno dei due occhi tornò castano, alla normalità, e forse per questo sentiva il dolore lancinante. Juro non si fece scappare l’occasione. Si spostò con rapidità dietro le spalle di Shin e, a palmo semi chiuso, lo colpì alla schiena spezzandogli due vertebre. Non diede nemmeno tempo alla rigenerazione che lo tirò indietro, portandolo perpendicolare a suo corpo e lo colpì fortissimo al torace sicuro di ucciderlo. Shin fu schiacciato a terra. L’impatto creò una voragine enorme all’interno della strada già dilaniata dai colpi precedenti. Juro, compiaciuto e su di giri, si voltò fissando Aaron che ancora era seduto con le mani congiunte, e il volto basso. Cercò di chiamarlo ma nulla; proprio in quel momento, il maestro ebbe un sussulto. Tale fu la sua sorpresa, scambiata da Juro come provocazione, nel vedere, ancora ammaccato si direbbe, Shin rialzarsi, piegato verso destra, cercando anche di rimettere a posto quanto di rotto aveva. Juro non se ne accorse, avvertì solo un tremendo potere alle sue spalle che lo spingeva con prepotenza in avanti, al quale non riusciva ad opporre resistenza.

-L’incontro.. non.. è… ancora.. FINITOO!-

Urlò scandendo le parole con lentezza e decisione, aveva difficoltà a parlare a causa del colpo ricevuto in pieno torace. Ma riuscì ad imporre comunque l’ultima parola, non in tono di sfida.. ma di fine. In quel momento, intorno al suo braccio si formò una specie di guanto, grosso tre volte l’arto, con una catena tutt’attorno, alla cui estremità inferiore pendeva un talismano a punta. Il disegno era poco chiaro alla distanza da cui la sorella e il maestro si trovavano, ma aveva una forma romboidale e all’interno una spada con un diadema cremisi incastonato nell’elsa. Non si rese conto neanche lui di ciò che accadde dopo, accecato com’era dalla collera. Si lanciò, quasi senza controllo del suo corpo, contro Juro, che sembrò voltarsi lentamente, tanta era la velocità di Shin nel muoversi verso l’avversario. Volando, quasi, raso terra, girò due volte su sé stesso acquistando forza nella rotazione, colpì con potenza Juro dal basso, posando il pugno proprio sotto il mento. La potenza del colpo fu ben visibile agli spettatori, increduli; si vedeva, infatti, al di sopra della nuca di Juro, una fitta nuvola di strane polveri, riconosciuta a quel punto anche dal maestro, che rimase comunque perplesso da quanto stava accadendo.

Gli occhi di Juro si tinsero di bianco, e le ossa dei gomiti si ritrassero; cadde in ginocchio a terra apparentemente privo di sensi.. e di vita. Shin però sentì mancare anche le sue di forze, non si spiegava cosa fosse quel guanto comparso proprio attorno alla sua mano e che si estendeva per tutto l’avambraccio, ma non poteva pensarci.. non ora. Lasciò cadere le braccia, rilassandosi barcollando, e alzò il volto al cielo, di un colore ormai quasi del tutto azzurro. Il sole Illuminò una parte del suo volto; un piccolo triangolino, che fece risplendere i due orecchini d’oro che tintinnarono a lungo, riflettendo la luce del sole. Si sentiva, ancora una volta, in pace. Si chiedeva se avesse raggiunto, per la seconda volta in due giorni, quel Nirvana a cui accennava il suo maestro.. ma le risposte le stava trovando in tutt’altro, in quel momento. Sentì inoltre le ultime ossa ricomporsi, e non solo le sue. Ma sapeva di aver dimostrato il suo valore, e che l’avversario era stato comunque debellato; non sarebbe stato più un ostacolo, e persino la morte non avrebbe meritato. Shin fu clemente, nonostante quel colpo micidiale, che avrebbe potuto uccidere chiunque, non se la sentì di dare il colpo di grazia. Riuscì persino a ridurre l’entità del colpo, pochi istanti prima che toccasse il volto di Juro. Shin, però, era stato tanto distratto da quella tranquillità, e dai suoi pensieri, che non si accorse di cosa stesse accadendo intorno a lui. Riallacciandosi alla realtà piegò di poco il capo verso casa sua, facendo pendere i due orecchini d’oro. Stava sorridendo, come per rassicurare gli animi circa la vittoria e la sua salute, un sorriso un po’ stentato; che si spense poco dopo. Meravigliato vide, sull’uscio della porta, ancora in penombra, Oliver, con un braccio a sorreggere l’altro, passando per l’addome che sanguinava; di fianco a lui Naoko che gli stava riferendo qualcosa e il maestro rivolto verso di loro con un’espressione perplessa. Stranamente non sentiva le loro voci, aveva l’udito come tamponato, il cuore iniziò a battergli forte, quella che stava provando era un’angoscia indescrivibile. Iniziò a sudare freddo; delle vampate di calore percorsero il suo corpo, irrigidito da una inspiegabile paura. Cercò di gridare ma le parole gli si fermavano in gola, il respiro divenne affannoso, e a poco servi spostare lo sguardo sui gradini davanti casa sua. Sussultò quando, d’improvviso una mano si posò sul suo braccio, clemente anch’essa, ma di una clemenza diversa… Shin capì solo dopo cosa stesse accadendo in realtà. 

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Capitolo 12
*** Un nuovo inizio ***


XII CAPITOLO

-Da quando mamma è morta… ho perso entrambi i miei genitori, e sono rimasto con una sorella che mi ama, ma cui sono costretto a mentire… come pensi che mi senta!- disse queste parole, con voce alta e lacrime a fiumi, bloccandosi nell’istante in cui vide poggiata vicino alla porta, con la testolina stanca e affaticata, la sorella Yumi, con gli occhi densi di lacrime che faticavano a scendere, un nodo in gola che quasi la soffocava. Era sopraggiunta per salutare il padre, avendolo sentito rientrare anche lei, ma alle parole del fratello era come morta dentro, senza speranza di salvezza.

Ripercorrendo quel ricordo, Aaron sentì di nuovo quel nodo in gola. Quando si sentiva in colpa, quel ricordo riemergeva prepotente nella sua mente. Il suo animo si stava a poco a poco sgretolando, e le sue forze parevano lasciarlo. In quell’istante Shin uscì dalla porta, per consolare quel compagno che in poche ore stava conoscendo, e del quale voleva capire di più.
 
Aaron aveva gli occhi persi nel vuoto, di un grigio opaco.. senza riflesso alcuno. Il suo corpo era lì ma la sua mente vagava nei ricordi più profondi, radicati nel suo cuore, sì perché, al di là del pensiero comune, quei ricordi albergavano nel suo cuore, nell’organo che, se fosse mai stato possibile, avrebbe fermato tempo orsono. L’uscita di Shin e la presenza di Juro non lo smossero. Nemmeno quando il giovane si lanciò verso l’auto nell’intento di affrontare l’avversario; in quel rapido movimento persino i capelli, perfetti, di Aaron si smossero, trasportati dalla corrente, umida, della notte; mentre Aaron veniva trasportato, al contempo, nei meandri più oscuri del suo passato.
 
-Allora dottore, cosa mi può dire?- domandò il padre di Aaron, quell’uomo che, ormai disperato, non nascondeva i suoi sentimenti, le sue preoccupazioni verso la  piccola Yumi. Il volto provato dalle settimane, seguite a quella notte, in cui non trovò pace; non dormì, e mangiò a fatica. Mentre espresse quelle parole, portò le mani tra i folti capelli brizzolati che correvano fin dietro la nuca, secchi e sfibrati. Il medico, uomo alto e ben portato, scosse leggermente la testa, indicando poi di appartarsi in un’altra stanza per non permettere ad Aaron di udire quanto doveva riferirgli. Sì, Aaron era lì, ai piedi del grande letto in cui giaceva Yumi, presente solo fisicamente, ma distrutta dentro. Non resse la dura verità, per tanto tempo taciuta da quelle persone che lei amava alla follia. Quella notte vide sgretolarsi il muro di certezze che aveva fin allora costruito; ogni ricordo che aveva si bruciò davanti agli occhi, materialmente; invano fu il tentativo della giovane di tenerli stretti a sé, di afferrarli e portarli al petto dove, tristemente, desiderava tenerli. Ogni parola, ogni promessa del fratello le pareva una bugia, un’inutile risposta data con sufficienza per il solo scopo di mentirla e nascondere la verità. Tutti i suoi sorrisi, i suoi gesti, iniziarono a macchiarsi di un nero oscuro e maligno, e il suo animo, pian piano, fu trapassato, lentamente, come da un coltello, che dalla schiena fuoriusciva dal suo grembo. La piccola, in un lampo, quella stessa notte, vide riflesso sul volto del fratello e del padre, delle maschere, dai sorrisi maligni, come se volessero solamente trascinarla nell’oscurità, per divorarle l’animo.

Si chiuse in se stessa, non parlò più con nessuno, rifiutava le cure del fratello e del padre medesimo. Pianse giorno e notte, senza soluzione di continuità; quelle lacrime, per lei, avevano il solo colore del sangue, come se le sue ferite volessero trovare uno sfogo più grande.. o non guarire mai. Il padre, non sapendo più cosa fare, chiese aiuto a numerosi medici, nel tentativo di trovare una “cura” a quella chiusura della figlia, tentativi vani. L’ultimo medico fu il Dr. Hawk, che la visitò meticolosamente, cercando un contatto con la giovane, prima visivo; poi un dialogo. La piccola però mai aprì bocca, nonostante il dolce viso, quasi angelico, di quel medico, sulla trentina, ma già molto conosciuto. Egli si alzò, prese da terra la sua borsa di pelle nera, si voltò verso Nicholas –il padre di Aaron- lo fissò per qualche secondo, vide il rapido movimento delle mani seguito dalla domanda dovuta, rivolse poi gli occhi verso Aaron, che sedeva vicino al letto, ritornò su Nicholas scuotendo la testa e indicando l’altra camera. Entrati, notò subito la foto di famiglia sul cassettone nero ad altezza d’uomo, la sfiorò sul bordo accennando un sorriso amaro.

-È lei la madre?- domandò, cauto, girandosi verso l’uomo che lo seguiva chiudendo la porta alle sue spalle. Sapeva che la domanda poteva essere scomoda, ma voleva prima di tutto un contatto anche con lui, che era rimasto impassibile per tutta la durata della visita. Nicholas, malinconicamente, si diresse verso la foto, ignorando quasi la domanda del duo interlocutore. Rimase immobile, fissandola, poi socchiuse gli occhi, stringendoli subito dopo, lasciando cadere le lacrime senza vergogna, ripensando agli errori commessi. S’incolpava per quello che era accaduto alla figlia, per quello che accadde alla moglie, e a quello che potrebbe ancora accadere. La strinse forte, tanto da appannare il vetro con il lieve sudore del pollice destro. Pulì, quasi all’istante, l’alone creatosi; si asciugò in fretta le lacrime e si voltò a rispondere.

-Sì. È morta mesi fa. Incidente aereo, dovrebbe averne sentito parlare- rispose quasi telegraficamente, cercando, in ogni modo, di mascherare la voce strozzata dal dolore. Fissò, con gli occhi ancora lucidi, il giovane medico, che aveva l’aria perplessa; non ricordava nessun incidente aereo, anche perché non seguiva molto i notiziari.

-Giusto! Cosa voglio pretendere. Voi giovani moderni non vedete Tg, o seguite le news radiofoniche. Vivete nel vostro mondo telematico, con i vostri arnesi diabolici e le vostre ideologie..- continuò, non avendo ottenuto alcuna risposta. Era visibilmente provato e stanco, forse nemmeno si rendeva conto di cosa stesse accusando. Il Dr Hawk lo sapeva bene, era prima di tutto uno psichiatra. Si affrettò ad aprire la borsa, forse per cercare qualcosa. Nel muoversi un capello, del perfetto ciuffo che aveva, gli cadde davanti agli occhi, ma non lo smosse.

-Ma dove l’ho….- esordì, spezzando quel silenzio, imbarazzante, che seguì le parole di Nicholas. –..non sono quel tipo di persona, ad ogni modo.- continuò. –semplicemente non ricordo di nessun incidente aereo; forse in quel periodo non mi trovavo in Giappone. Sa io mi muovo sempre tra Europa e Giappone!- rispose, quasi con tono accusatorio, discolpandosi a tutti gli effetti dalle affermazioni quasi infamanti dell’uomo. Sapeva essere pungente e persuasivo quando voleva; era una delle sue doti, dopotutto. Richiuse la borsa; senza prendere nulla dal suo interno. Aveva dimenticato, nel rispondere, cosa stessa cercando.

-Voglio essere sincero con lei, signor Hohenheim.. sua figlia non ha alcun difetto clinico. Non presenta nessun sintomo che possa definire… sa cosa voglio dire- fece, posando la borsa sul pavimento e incamminandosi verso la finestra che dava sul balcone; le mani intrecciate dietro alla schiena.

-Non esiste una “cura”, come lei cerca di sostenere. Semplicemente perché non c’è nulla da curare- continuò poi, prendendosi una pausa. Fissò fuori, il sole era al crepuscolo, il cielo di color arancio illuminava tutta la zona, dominata da piccole ville basse che offrivano ampia vista dell’orizzonte, ovunque ci si trovasse. Il volto del giovane medico si tinse anch’esso di arancio, e i suoi occhi castani sembrarono brillare di nuova luce. Dall’altra parte della stanza, dietro la porta, Aaron cercava di udire quanto i due uomini si stavano dicendo. Era lì da ormai diversi minuti, con orecchio attento e poggiato al legno freddo della porta; come fredda, era il resto della casa. Comprese poche parole, ma furono fatali. Lentamente, mentre dall’altra parte le pronunciarono, la sua mano si avvicinò al pomello dell’imponente porta, facendo tremare anch’esso. Si vide, da sotto l’uscio, il movimento di ombre e si udirono chiaramente le parole del giovane medico.

-Sua figlia.. ha come perso la volontà di vivere, signor Hohenheim- disse Hawk, lentamente, cercando di restare impassibile, fissando il padre dalla piccola dal solo lieve riflesso che di lui dominava l’anta destra della finestra. Socchiuse gli occhi, cercando di trattenere le proprie emozioni. In quel momento Aaron, furioso, spalancò la porta, ancora tremante dalla rabbia. Digrignò i denti ma non riuscì a formulare alcun ché. Scrutò la stanza, trovò la figura del padre ancora poggiata al cassettone, ma senza riuscir a vederlo, come se la vista le fosse preclusa; seguì poi l’ombra sul pavimento e arrivò ai piedi del medico, risalì frettolosamente il suo corpo con gli occhi, e strinse il pugno.

-Papà perché rimani lì impassibile- disse poi a denti stretti. In testa gli risuonavano ancora quelle parole, che non avevano senso per lui. Come la sorella anche lui ha sofferto per la morte della madre, quindi non trovava possibile una simile situazione. Aveva cercato in tutti i modi di dare fiducia a quel medico, così giovane ma allo stesso tempo sicuro di sé; gentile e disponibile.

-Ma hai sentito quello che ha detto??- continuò, non trovando la risposta, alla sua precedente affermazione, da parte dei due uomini. Hawk sapeva cosa stesse provando il ragazzino, per questo taceva, mentre il padre, inspiegabilmente  era come in una sorta di trans, ancora colpito da quelle dure parole, ma ‘sì cariche di verità. Aveva, infatti, pensato più volte anche lui di farla finita, eliminando poi quel brutale pensiero rivolgendo le sue attenzioni ai due piccoli che non avrebbe mai più voluto lasciare. E capiva anche cosa potesse provare la povera Yumi, vedendo allontanarsi due solidi pilastri della sua vita, le due figure che più di tutti dovevano restarle accanto in quel suo dolore che la stava logorando.

-Dovresti cacciarlo. Non sa quel che dice, e tu non fai nulla per- - non terminò la frase che il padre lo colpì in viso facendolo cadere all’indietro. La guancia gli diventò presto rossa, e le lacrime gli colarono in viso. Occhi fiammanti e volto provato; si rialzò sprezzante del padre e del giovane medico.

-Lo lasci! È naturale che dica queste cose. Ho avuto io poco tatto, mi dovete perdonare. Ad ogni modo non mi avete permesso di continuare..- disse subito Hawk, avvicinandosi ad Aaron cercando di asciugargli le lacrime; inutilmente. Il ragazzo si scostò fissando con sguardo agghiacciante l’uomo, divorandolo interamente con gli occhi. –*Certo!*- pensò poi il medico, riponendo nella tasca interna della giacca blu che indossava, il fazzolettino di stoffa che aveva offerto ad Aaron. Si alzò facendo leva sulle ginocchia. Si avvicinò a Nicholas, posando una mano sulla sua spalla, per scuoterlo lievemente.

-Ha bisogno di tempo. Deve recuperare la vostra fiducia.. e trovare qualcuno su cui contare, che non siate voi due- disse poi, voltandosi, a fine frase, verso Aaron, che ancora lo tracciava a vista. I due uomini continuarono a parlare. Era quasi diventata una visita di cortesia. Nicholas cercava, in lui, un conforto che potesse aiutarlo nell’immediato futuro, trovando una persona meravigliosa a tendergli la mano per superare ogni ostacolo quella brutta situazione gli avesse posto dinanzi. Si fecero le undici e il giovane medico fece per andarsene. Prese la sua borsa e s’incamminò verso la porta; salutò prima la piccola Yumi, baciandola sulla fronte, poi Aaron, scuotendogli i d’orati capelli. Un ghigno si materializzò sul volto del ragazzo, abbassò lo sguardo e lo fissò di sottocchio. Poi si diresse a salutare Nicholas, stringendogli prima la mano, in modo alquanto freddo, concedendosi poi un caloroso abbraccio, quasi d’incoraggiamento a rimettersi in piedi e tornare a combattere.

-Tornerò, in veste di ospite. Seguite i consigli che vi ho dato, vi raccomando!- disse poi dal finestrino della sua auto, mentre Nick lo salutava ancora con la mano. E lo sguardo di Aaron che lo pedinava, ancora.
 

Passarono altre settimane, e Yumi iniziò di nuovo a mangiare, e giocare, grazie anche all’aiuto della giovane Rieko, amica d’infanzia di Aaron, che vedeva in Yumi una sorella minore, e la prese in cura. Ogni giorno, dopo scuola, andava da lei e vi rimaneva fino a sera. Vedendo il rapporto amoroso tra le due, e scorgendo un sorriso quasi rinato sul volto della sorella si sentì così inutile; pensava di aver perso per sempre l’amore della sorella, così iniziò a isolarsi da tutti e da tutto. Chiuse ogni contatto col mondo esterno e covò un certo sdegno nei confronti di quella ragazza, che gli stava rubando le attenzioni della sorella. Le vedeva sempre da lontano, con le mani strette attorno all’asse della porta, con lo sguardo attento a ogni loro movimento, scrutando meticolosamente quelli di Rieko per scorgerne intenzioni malevole; ma invano.
Un giorno, aperta la porta -all’ennesima visita della giovane- si trovò faccia a faccia con lei. Non salutò, spostò lo sguardo verso il vuoto e la invitò a entrare, senza nascondere lo sdegno nel porre quella fastidiosa richiesta. Lasciò però la ragazza nell’anticamera, proprio dove solitamente si posano le scarpe da esterno. S’incamminò verso le scale per salire al piano di sopra, ignorandola. Ignorò persino la domanda spontanea che Rieko gli rivolse, con gentilezza.

-Perché mi tratti così?- domandò, poggiando delicatamente le scarpe vicino quelle di Aaron, riconosciute tra le varie paia. Ancora chinata alzò lo sguardo; nonostante la miriade di capelli che gli caddero davanti, scorse comunque il ragazzo, incrociando –forse per la prima volta, non lo sapeva bene- il suo sguardo di ghiaccio. L’azzurro dei suoi occhi era ancora più chiaro e nitido del solito, risultando ancora più marcatamente freddo e distaccato. Aaron non volle rispondere a quella domanda, continuò, però, a fissare la ragazza; non sapeva nemmeno lui a che scopo. Poi si risolse, allontanò lentamente le labbra e, con un filo di voce, disse ciò che, più di ogni altra cosa, doveva evitare di dire.

-Hai fatto l’errore di incrociare la tua vita con la nostra. Per me sei solo un fastidio!- disse, spregevolmente. Girandosi, continuando a salire le scale. Non si rese conto di ciò che disse, non subito per lo meno. Chiuse gli occhi per un secondo, quasi come segno di pentimento, ma tornò subito sulla sua strada, senza rimpianti. La ragazza, invece, rimase ferma a riflettere sulle sue parole. E continuò a farlo anche mentre stava con Yumi, che avvertiva l’atmosfera fredda che si respirava; nonostante i sorrisi di Rieko che cercava di nascondere la ferita, non fisica ma mentale.

Col tempo, la piccola tornò come prima, parlò di nuovo, con tutti, e usciva regolarmente con le sue amichette di scuola. Riferimento era ormai Rieko, che non la lasciava mai sola. Riuscì a legare di nuovo col padre, anche grazie a quell’amore epicureo che contraddistingue le giovani ragazzine, ma fu col fratello che le cose si complicarono. Non che la piccola non volesse riavvicinarsi a lui, anzi, era lui ad aver rinnegato il mondo intero, persino la sua giovane sorellina. Negava anche i suoi stessi sentimenti, pur essendo consapevole di averli. Trascorse il resto della sua esistenza criticando gli altri, creandosi un mondo proprio. A volte alzava il volto al cielo cercando, tristemente, quello della madre, in segno di sostegno contro quel mondo che lo stava respingendo, quando in verità era lui ad allontanarlo. Nonostante la sua indifferenza, la piccola Yumi iniziò a riempire di attenzioni il fratello maggiore, passando quasi tutto il suo tempo libero al suo seguito, anche se lui la cacciava. Pian piano, però, quasi per abitudine, non fece più caso alle insistenze della sorella, cercando di accettarla nel suo nuovo mondo, e, lentamente, tornò a considerarla parte di sé. Passarono anni, e quella notte sembrò essere svanita ormai dai loro ricordi. Le giornate erano felici, sebbene Aaron continuasse a odiare il mondo intero. I suoi rapporti con Rieko però superarono quella fase di negazione; adesso le parlava, anche se con distaccato interesse. Un giorno d’estate, però, la sua vita gli giocò l’ultimo infame scherzo. Si trovava con la sorella a pochi passi dalla piazza centrale del suo distretto, una delle piazze più grandi. Il cielo era di un colore rosso acceso, il sole era quasi del tutto sparito dietro l’orizzonte e le grida dei bambini che giocavano, riempivano l’aria di allegria. Un fresco venticello spirò da ovest, spostando i capelli di Aaron e della sorella, immortalati da Rieko come un artista fa, con un paesaggio, su tela. Scattò la foto con la sua nuova Polaroid, attese qualche secondo che la macchina gli stampasse la foto, poi l’agitò in aria. Lentamente si materializzò l’opera in quel piccolo rettangolino, incorniciato di bianco. Yumi corse a vedere la foto, e Aaron la seguì quasi stizzato. Rieko si chinò verso la ragazzina per mostrarle il bellissimo scatto, vedendo una felicità smisurata nei suoi occhi, ora pieni di commozione per la foto insieme al fratello maggiore.

-È bellissima!! Guarda fratellone!- disse Yumi, agitandola con la mano cercando le sue attenzioni. Aaron le si avvicinò con le mani in tasca, dritto e vigile su tutto. Imponente e statuario si fermò davanti alla sorella, facendole ombra con tutto il corpo. La fisso in volto, serio, poi sorrise, prendendo la foto in mano.

-Molto bella, hai ragione! Forse perché ci sono io, non pensi?- fece, sghignazzando amorevolmente, mentre scuoteva la chioma d’orata della piccola. Guardò poi Rieko, come mai aveva fatto prima d’ora; sembrava uno sguardo tra due persone che si amavano, ma non volevano ammetterlo. La giovane arrossì di colpo e distolse lo sguardo da Aaron. Yumi si accorse di quanto stava accadendo ed era felice.

-Rieko e Aaron.. insieme per sempre! Ahah!- disse la piccola avvicinando le dita a formare un cuore. Sorridente come non mai, cercò un qualche consenso nel volto del fratello, che, forse per la prima volta, si colorò di un rosa più vivo, vicino al rosso. Subito però si ricompose. Si alzò e propose un gelato fresco, prima che si facesse buio. Entrambe accettarono, senza indugio, l’offerta, e si avviarono verso il negozio che dava sulla strada; diviso solo da uno stretto marciapiede.

-Mmm signor gelataio!? Dovrei pretendere una coppetta- disse la piccola, arrivata per prima alla gelateria, seguita da Aaron e Rieko, molto vicini, che ancora non si erano rivolti la parola; essendo la richiesta precedente espressa senza contatto diretto.

-Che gusti preferisci, piccola?- chiese subito il negoziante, con fare gentile verso Yumi, la quale, alta sulle punte, fissava la moltitudine di gusti, con il labbro poggiato sul tubo di acciaio appena alla base del vetro che la divideva dai gelati. Li scelse senza pensarci troppo. Nessuno però poteva immaginare quello che sarebbe accaduto nell’immediato futuro. Mentre Aaron si voltava, chiamato dalla sorella, dopo aver pagato i tre gelati, vide quest’ultima al centro della strada agitare il braccio, indicando una panchina proprio al di là del parco.

Dall’altra parte della strada, un uomo a telefono, col piede premuto sull’acceleratore, stava correndo all’impazzata, noncurante dei limiti, rigidamente imposti nei luoghi affollati. Litigava forse col suo datore di lavoro per una commissione andata male, e non si accorse della ragazzina a centro della strada. Quando Aaron si voltò, fu più per lo stridore di pneumatici sull’asfalto, che per la voce della sorella, brutalmente stroncata l’attimo successivo. Rimase immobile, con gli occhi persi nel vuoto, tremante, ora di dolore, ora di rabbia. Perse la presa del cono che manteneva in mano. Il cuore gli si strinse in una morsa fortissima; sembrò quasi arrestarsi. Solo l’urlo di Rieko lo riportò alla realtà. Agitò la testa, bisbigliò qualcosa. Poi si diresse verso l’auto, che aveva il parafango ricoperto di sangue. Si sporse velocemente dietro l’angolo ceco, occupato dall’auto, e vide la sorella minore, la piccola Yumi, in un mare di sangue. Continuava a chiamare il fratello, nonostante lo avesse visto correre in suo soccorso, nonostante sentisse la sua voce e gli stesse stringendo le mani. Aaron non aveva voce, solo dal movimento delle sue labbra si potevano benissimo scorgere le sue parole: “sono, qui. Non ti lascio”

La bocca tremò convulsamente. Gli occhi sussultanti. Le mani stringevano, a scatti, il piccolo corpo della sorella, che portò forte a sé. La stringeva con tutto se stesso, cercando aiuto nelle persone a lui più vicine. Come un bambino perso nella folla, stava cercando lo sguardo di Rieko, cercava l’unica persona che poteva comprenderlo, che sarebbe rimasta con lui sempre e comunque. Lei era al suo fianco, ma non se ne accorse. Furono chiamati i soccorsi, ma arrivarono –come loro solito- troppo tardi. Aaron si muoveva avanti e indietro, tenendo a sè il corpo ormai esanime di Yumi. Fu avvertito il padre, che cercò di raggiungerli il prima possibile.. non riuscendoci. All’arrivo dei soccorsi non volle lasciare il corpicino della sorella, stava combattendo con tutto se stesso per non lasciarla andare, non avrebbe sopportato un’altra perdita, non così importate com’era la sorella minore. Un grido di disperazione vibrò nell’aria, ormai oscura, di quella notte estiva. Rieko rimase lì al suo fianco, non riuscendo però a trattenere le lacrime; esplose, infatti, in un pianto senza fine.
Anche l’uomo fu estratto dall’auto. Era ancora vivo, i medici gli misero il collare e lo caricarono sulla barella. Mormorava qualcosa circa il suo cellulare. Era importante. Doveva essere recuperato. Non diceva altro, non rispondeva alle domande dei medici, ripeteva solo la stessa identica frase: “prendete il mio cellulare, ci lavoro con quello”

Non spese neanche una parola per la piccola vita stroncata. Aaron sentì, però, le parole dell’uomo; non voleva crederci, non poteva credere che una persona potesse scendere così in basso, preoccuparsi per la sua carriera piuttosto che della vita di una povera anima, che non potrà essere più vissuta. I suoi occhi si strinsero fino a divenire unicamente due punti in un oceano di dolore e lacrime. In quella confusione generale, e nell’odio più puro che potesse provare, trovò un’ancora di salvezza nella catenina della sorella, ora immersa nel suo sangue, vicino la ruota dell’auto. Probabilmente persa dalla piccola nell’impatto. La strinse forte a sé, e maturò, allora più che mai, un fermo e solido odio verso l’intera umanità, giurando che l’avrebbe presto fatta pagare a tutti quegli esseri meschini che facevano del male al prossimo,  o che vivevano la loro vita, sprecandola nel nulla più assoluto.


Con questa promessa e con questo ricordo, tornò alla realtà; risalì il limbo nel quale era caduto, pronto a spazzare via ogni essere indegno, prendendo atto di una nuova identità, e una nuova risolutezza. Nell’attimo in cui tornò al presente, Oliver si alzò di scatto dal divano, sudando incredibilmente, e agitato più che mai. Sanguinante all’addome, e noncurante delle ferite, si diresse verso l’ingresso, cercando l’attenzione di Naoko e del suo insegnante, entrambi attenti allo scontro tra Shin e Juro. Barcollando, poggiandosi ora su un muro, ora sulla libreria, che percorreva quasi interamente il corridoio di ingresso, arrivò ansimante sull’uscio della porta. Continuava, orami da un po’, a ripetere che dovevano fermarlo, ma nessuno dei due capì le sue parole, non subito almeno. Il maestro aveva il volto perplesso; cercava di capire le parole, quasi sconnesse del ragazzo. Shin nel frattempo aveva finito lo scontro, almeno apparentemente, contro Juro. Si voltò verso di loro, domandandosi cosa stesse accadendo. Nessuno però si accorse che Aaron non era più seduto sulle scale, e non notarono neanche tutto il circondato che, brulicante di oscurità, si stava smaterializzando, diventando un nulla.. lo stesso nulla da cui era nato. Il cielo si stava riempiendo ormai di una sottile polvere nera, la luce del sole, che aveva prima illuminato il volto di Shin era quasi del tutto offuscata.

Con una pressione incredibile su di lui, Shin si girò violentemente sentendo una presa inaudita sul suo braccio sinistro. I suoi presupposti si rivelarono fondati; ma ormai era tardi. Fissò negli occhi Aaron, occhi che non avevano più una consistenza “reale”, erano completamente neri; persino la sclera non aveva più il suo tipico colore bianco.
Con quegli occhi neri fissò di rimando Shin, con un volto che emanava sdegno e incomprensione, la stessa incomprensione che provò il ragazzo, verso lo strano atteggiamento di Aaron.

-Sembra che ti manca il coraggio necessario per fare la scelta più ovvia, o sbaglio?- disse, quest’ultimo, con uno sguardo impassibile e freddo. La sua mano iniziò a tingersi i contorni di viola, così come il resto del suo corpo; la sua aura fece riaccendere, scintillante, quella di Shin, che si sentì mancare subito le forze e cadde a terra, privo di sensi.

-È il momento di porre fine a questa inutile perdita di tempo!- continuò Aaron, risoluto nelle sue azioni, ponendo lo sguardo verso Juro che, ancora in ginocchio, seguiva la scena, incapace di muoversi o controbattere. Il colpo inferto da Shin, con quel guanto, lo aveva debilitato al massimo, non riusciva neanche più a rigenerarsi, ma sapeva che quello era l’ultimo dei suoi problemi. Aaron camminò lentamente verso di lui, poteva scorgere nei suoi occhi la paura di morire; persino l’egocentrico Juro stava per essere definitivamente schiacciato da un potere che ancora non si era spiegato, ma che lo spaventava.. forse più della morte stessa. Non riuscì a replicare, i suoi occhi, però, parlarono per lui, ma inutilmente. Aaron allungò la sua agonia, muovendo verso di lui con una lentezza straziante. La mano tesa verso il suo volto, con leggeri filamenti viola pendenti da ogni estremo delle singole dita; filamenti che si muovevano come serpenti verso la loro vittima, verso una nuova vita da stroncare. Juro ripensò in quegli attimi, come una persona ripassa la sua vita nell’istante in cui la morte sopraggiunge, alle parole –quasi profetiche- di Gabriel, l’uomo incappucciato che fermò, la notte prima, lo scontro tra Juro stesso e Aaron. Capì la verità che si celava dietro quell’avvertimento, ma in ritardo. Disperatamente cercò di rimettersi in piedi, ma le ossa non glielo permisero, come se anche loro avessero ormai accettato il loro destino. Delle gocce di sudore cominciarono a scendere lungo il volto, seguendo i lineamenti del naso, prima, e del labbro, poi; labbro che tremava senza controllo, come mai aveva fatto fin’ora. -*Come può accadere una cosa simile*- pensò, ansimando nel suo stesso pensiero. Ripensando ai colpi inferti dal ragazzo durante lo scontro. Al suo colpo fermato da Gabriel. A lui che, dall’alto dell’elicottero, vedeva la sagoma di Aaron rimpiccolirsi sempre più. Era sicuro della sua superiorità nei confronti del ragazzo, ma era l’unico a pensarlo. Voleva supplicare parole di perdono, ma non ci riuscì. Non aveva neanche il coraggio di pensarle, era troppo egocentrico per farlo. Così, l’agonia s’interruppe nell’istante in cui la mano toccò la sua fronte, con gli occhi, tremanti, rivolti verso quest’ultima, nella vana speranza che si fosse fermata, risparmiandolo. Allora Naoko e il Maestro si voltarono, seguendo la linea che partiva dal braccio di Oliver, che indicava appunto la posizione in cui si trovavano Aaron e Shin, spaventato, alquanto, da quello che stava accadendo. Il contatto con la fronte di Juro creò un onda d’urto dalle sembianze del ragazzo stesso, come se il suo spirito stesse lasciando quel corpo, ancora in ginocchio per terra. Lentamente, piccoli granuli del suo corpo, partendo dai capelli e proseguendo lungo la schiena, si alzarono in volo. Il suo corpo si stava disintegrando pian piano, proprio come accadde a quel ragazzo in centro, qualche giorno prima. Non si sentiva nessuno stramazzo, Juro non avvertiva dolore, ma solo la struggente consapevolezza di essere impotente contro quel nemico; deriso fino a qualche ora prima. In quel momento l’alba lasciò lo spazio al primo mattino, il sole si era già allontanato dall’orizzonte. Nel cielo si levò l’ultimo granello di polvere nera.. l’ultimo brandello dell’essenza di Juro, che lasciava definitivamente spazio alla luce del nuovo giorno.. e del nuovo inizio.

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